RL - INCULTURAZIONE E LITURGIA - I TERMINI DEL PROBLEMA - Rotated

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a im Epizion: Messaccero Papova Per erdnaziont: MESSAGGERO DISTRBUZIONE sr ‘a Ort Botanica, 11 - 35123 PADOVA. tl 049/89 30.212 -fax 049/89 30.225 Collana «Caro salutis cardo» Andrea Grillo TEOLOGIA FONDAMENTALE E LITURGIA Il rapporto tra immediatezza e mediazione nella riflessione teologica Pagine 304 Lire 30.000 Riso fele§ : FONDAMENTALE Svolgendo il tema generale ELITURGIA dina sfondaziones teologica ees della liturgia, Fautore descrive Un itinerario che illumina i rapporti di interazione fra liturgia, teclogia fondamentale, filosofia e scienze umane. Inculturazione e liturgia: i termini del problema* ANSCAR J. CHUPUNGCO, O58 Introduzione 1125 gennaio 1994 la Sacra Congregazione per il Culto Di- vino ¢ la Disciplina dei Sacramenti pubblicd la tanto attesa Istruzione sull'inculturazione liturgica, intitolata La liturgia romana e Vinculturazione. LIstruzione offre un contributo significativo al dibattito sulla terminologia.' Spiega infatti ‘che, sebbene la Costituzione liturgica usi il termine adatta- ‘mento, i documenti magisteriali seguenti hanno preferito adot- tare il termine inculturazione per esprimere cid che Giovan- ai Paolo II descrive come «un’intima trasformazione degli autentici valori culturali nella loro integrazione nella cristia~ nita e Pimpiantazione del cristianesimo nelle differenti cul- ture umane»? L'Istruzione prosegue nello spiegare che il termine edat- tamento, usato nel contesto missionologico, «potrebbe con- durre a pensare 2 modificazioni di qualcosa di transitorio e di puramente esteriore».’ Cosi I'Istruzione ha evitato il ter- mine adattamento preferendo quello di inculturazione, Sap- piamo che nel corso degli anni, nei circoliliturgici, si sono provati diversi termini tecnici, nello sforzo di esprimere, il + Traduzione dal'nglee oi Grostors Pruzza. * La litugia romana e Pinculturacione: IV Itrazione per wna correta ap- lcaione della Costtuzione sulla Litergia (nn. 37-40), Roms. 1994. * Letiera encicica Redemptoris Missio, n. 52, in AAS 83 (1991) 300. 2 La liturgia romana e Uinculturazlone, 0. 4,'p. DROaT G95, RTA UTURGICH pit: accuratamente possibile, la relazione fra la liturgia e la cultura. I termini pit popolari furono incarnazione, indige- nizzazione, contestualizzazione, adattamento e acculturazio- ne. Quando inculturazione, con i suoi connotati quali tran- sculturazione, exculturazione ¢ deculturazione, divenne un termine ormai accettato e stabilito fra gli antropologi, venne accolto dai liturgisti che volentieri lo inserirono nel loro vo- cabolario attivo. Sebbene oggi sia diventato alquanto di moda I’uso di questi termini tecnici, in particolar modo il vocabolo inculturazio- ne, $ importante ricordare che essi non sono nient’altro che un puro gergo. Appartengono alla specifica famiglia di ter- mini usati in diverse occasioni da antropologi e presi volen- ticri a prestito da teologi, missionologi e liturgisti. Per i non addetti ai lavori, queste parole sono bizarre, se non addirit- tura linguisticamente barbare. C’2 un’altra parola che viene sovente usata in relazione all’inculturazione liturgica, ma che é un termine fondamen- tale nel vocabolario liturgico del Vaticano IL, ed @ il termine revisione. Per aggiornare i libri liturgici tridentini, un buon numero dei provvedimenti della Costituzione sulla Liturgia parlano appunto di revisione. Ognuno di questi termini tecnici, quando é usato in litur- gia, si riferisce a un particolare aspetto della relazione fra la Iiturgia e la cultura. Tuttavia, nessuno di essi @ sufficiente per esprimere tutto lo spettro di tale relazione. Tutti hanno idea della interazione fra due o pitt parti, ma termini quali adattamento e contestuelizzazione non hanno una diretta sot- tomntante culturale. D’altra parte, lincarnazione implica, almeno nellattuale uso teologico, tn certo qual tipo di scam- bio culturale. Non c’8 nessuna precisa definizione di questi termini, pertanto occorre prestare attenzione a non usare que- sti vocaboli come se fossero sinonimi, perché altrimenti per- derebbero le loro sfumature ¢ risulterebbe difficile ritrovare il loro preciso significato o cid che lo scrittore intende. Non tutti i termini sovramenzionati saranno qui pres in considerazione, Infatti indigenizzazione ormai una parola 362 9) desueta; adattamento é stata abbandonata, mentré incarna- zione e contestualizzazione non hanno pit quel tipo di po- polarita che registravano un tempo. Incarnazione, tuttavia, sia che venga utilizzato o meno, rimane il termine teologico fondamentale che sottolinea la relazione fra liturgia e cultura. Incarnazione Hl Decreto del Vaticano II Ad Gentes ispiré liturgisti co- me C. Braga e I. Omaecheverria nel riferirsi all’inculturazione come una forma di incarnazione.‘ L’articolo 22 del Decre- to parla dell’ Incarnazione di Cristo come un paradigma per le giovani Chiese: «Cosi come avvenne nell’cconomia del- Tincarnazione (ad instar oeconomiae incarnationis), le gio- vani Chiese che sono radicate in Cristo ed erette sul fonda- mento degti Apostoli, acquisiscono per un meraviglioso scam bio, tutte Ie ricche7ze delle nazioni che sono state date a Cri sto come eredita. La frase ad instar oeconomiae incarnationis indica che il ecreto conciliare pone Vincarnazione di Cristo come un escrn- plare da copiarsi fedelmente. Ad imitazione di Cristo che, per virti dell’Incarnazione, fece se stesso membro del popo- lo d’Israele, la Chiesa locale deve sforzarsi di identificare se stessa con il popolo fra cui é posta. Come Cristo divenne un Gindeo a tutti gli effetti, eccetto il peccato, cosi la Chiesa non deve divenire solo semplicemente una Chiesa in un dato Iuogo, ma la Chiesa di una particolare localité. L'incama- Zione della Chiesa inevitabilmente influenza la liturgia che “C. Baaoa, Un problema fondamentale di pastoral litargice: adattamen- to € icarnazione nelie varie culture, in «pheterides Liturgicee» 89 (1973) 539; 1, Owascazvennia, The dogm of the Incarnation and the Adaptation ofthe Church ro Various Peoples, in « Omnis Terra» 73 (1976) 277-283. Vesii anche A. Cuvrusoco, Cultural Adaptation of the Liturgy, New York 1983, pp. 98-62; G. Bramsura, Ermencutiea teologica dell adattamento litrsico, in Liturgiae adatiamento, Roma 1990, pp. 39-83, spec. pp. 54-11; D. S. Axed mospavapass, Theological Reflections on Inculturation, in «Stadia Liturg ex» 20/1 (1990) 36-54 un 1 @TERMINDS DEL PROBLEMA 363 : similmente impiantera se stessa nelle tradizioni e nelle cultu- re di ogni popolo. ‘L’espressione «incarnazione della liturgia» un tempo ve- niva usata come equivalente di inculturazione. Ma sarebbe pitt esatto considerarla quale base teologica dell’inculturazio- ne, piuttosto che un suo sinonimo. L’incarnazione, sia come mistero che come termine tecnico, arricchisce la nostra com- prensione detf'incutturazione, Jn quanto mistero spiega perché la Chiesa e la sua liturgia devono adattarsi alle culture dei popoli. Cid che avvenne quando Dio si fece uomo, ora avviene quando Ja Chiesa e la sua liturgia incarnano le ricchezze delle nazioni In quanto termine tecnico, |’incarnazione da profondita all'inculturazione, che non dovrebbe essere compresa come un lavoro esteriore di adattamento o di conformita con una situazione. La liturgia é non un mero adattamento: é unita con le tradizioni ¢ la cultura della Chiesa locale, cosi come avvenne nel mistero ipostatico. In breve, ¢ incarnata. L’Istru- zione, citando la Lettera enciclica del papa Giovanni Paolo Ui Slavorum Aposioli, afferma che inculturazione «defini sce pit precisamente 'incarnazione del Vangelo rielle cultu- re autonome e allo stesso tempo Vintroduzione di queste cul- ture nella vita della Chiesa» Indigenizzazione Il termine proviene dalla parola indigeno ¢ indica il pro- cesso di conferimento alla liturgia di una particolare forma culturale che é nativa della Chiesa locale. Negli anni settan- ta, D.S. Amalorpavadass usd la parola per indicare Pincul- turazione della liturgia nel contesto della cultura indiana, 0, come lui la intese, «per dare alla nostra liturgia una sistema- zione ¢ un maggiore carattere indiano». Indigenizzazione, per lui, era sinonimo di indianizzazione. Il processo, secondo lui, £ a tturgia romana e Vinculturazione, n. 4, p. 4 364 pa, consta di tre fasi. La prima é la creazione di un’atmosfera indiana del culto, attraverso gesti, posizioni del corpo, for- me di omaggio, oggetti ed elementi, silenzio e interiorita; la seconda é una traduzione in vernacolo ¢ la composizione di nuovi testi liturgicis ¢ la terza é Puso di Scritture di altre reli- sioni nelia liturgia, specificatamente dei sacri libri indiani, come parte della proclamazione della Parola di Dio.* Tuttavia la parola indigenizzazione, sia etimologicamen- te che letteralmente, rappresenta un’impossibilita. Niente pud essere reso nativo o indigeno in una terra straniera; per esse- re indigeno necessario essere nato o venir prodotto nella propria terra natia, Una indigenizzazione della liturgia cri- stiana é cosi un’impossibilita, perché, come spiega Giovanni Paolo II nella Catechesi Tradendae (n. 53), il messaggio del ‘Vangelo non cresce spontaneamente da uno sfondo cultura- Je: é sempre trasmesso attraverso il dialogo apostolico. Un’al- tra difficolta presentata dalla indigenizzazione ¢ la questio- ne di definire per aleuni Paesi cid che & propriamente indige- no, cioé cid che non ha mescolamenti con altre culture. Inol- te, un ritorno alla indigeneita ha il sapore del romanticismo ¢ dell’archeologia. Contestualizzazione I termine contéstualizzazione venne introdotto nel voca~ bolario ecclesiastico dal Concilio Mondiale delle Chiese nel 1972. In questo ambito continua ad esser usato, sebbene il termine inculturazione abbia ormai guadagnato terreno. De- rivando dalla parola contesto, esprime precisamente il biso- ‘gno della Chiesa di essere attinente alla societa contempora- nica, I termine fa eco alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo ©D.S. Asatonpavanass, Towards Indigentzation inthe Liturgy, Banga: lore 1971, pp. 26-53. Nel mio libro Towards a Filipino Lituray, pubblicato nel 1976, usa il termine indigenizzazione come sinonimo di adattamento li- turgico. B interessante notare che il Sinodo dei Vescovi nel 1974 discusse la ‘questione deli inigenizzazione nella Chiesa, vedi P. O'Connor, The Bishops" Synod and Indigenization, in «World Mission» 26 (1875) 4-12. a3 1 TERMINI» DEL PROBLEMA 365 contemporaneo del Vaticano II ta quale invoca 'inserimen- to della Chiesa nel mondo moderno. Cultura ¢ ambiente sono i contesti concreti in cui vive, ope- rae celebra la Chiesa locale. La liturgia dovrebbe cosi pren- dere in considerazione il contesto concreto di una data as- semblea: le condizioni geografiche e temporal, la situazione politica ¢ socioeconomica, il contesto urbano e rurale, di la- voro e produzione, ecc, Sfortunatamente, la liturgia, che al- Vinizio era fortemente orientata in senso agricolo, sembra dare oggi poca attenzione al mondo industriale, al suo stile di vi- ta, alle condizioni delle fabbriche, ai contratti di lavoro ¢ agli scioperi che sono regolari come le stagioni dell’anno.’ Poiché in moite parti del mondo la negazione dei diritti ‘umani costituisce la caratteristica dominante della vita quo- +idiana, il contesto nel quale la Chiesa vive, opera c celebra @ profondamente influenzato dalla lotta per la liberta politi- ca, economica ¢ culturale. In questi luoghi, la contestualiz- razione é stata usata per indicare la lotta verso la liberazio- ne. Cosi ha guadagnato popolarita in quei luoghi dove la teo- logia dela liberazione ha messo radice a causa del suo inte- ressamento per il progresso, Ia libert politica e la giustizia sociale, Secondo questa teologia, 1a Chiesa ha il dovere di riformulare la sua dottrina e rivedere le sue istiturioni nel con- testo delle aspirazioni umane per la liberta e il progresso. Durante gli anni settanta, nelle situazioni di oppressione politica ed economica, la liturgia contestuale, inclusa la ce- Iebrazione eucaristica, prese elementi simbolici ¢ linguistici dalle dimostrazioni e dai comizi, come gli slogan, gli striscioni, imanifesti ei gesti per significare la protesta. Talvolta la li- turgia divenne un forum dove si drammatizzavano le iniqui- +8 socio-politiche ed economiche e dove ci si appellava all'a- 7 Vedi R. Costa, One Faith, Many Cultures: Ineulturation, Indigenteation and Contextuaization, New York 1988; nel campo della missionologia L. Luz- ‘etak usa il termine comtestualizaavione per esprimese la relazione fra la eu- tra ela teologia: Signs af Progress in Contextual Theology, in « Verbum SVD» 22 (1981) 39-37 366 14) zione urgente. AI di sotto di tutto cid si poteva cogliere la forte motivazione teologica secondo la quale il culto non de- ve essere dissociato dal contesto umano della sacieta.* Le liturgie contestuali hanno adottato il linguaggio della protesta al fine di suscitare o indurre ad un’azione decisa. La parola «lotta» & preminente nel lessico marxista, sebbe- ne frasi del tipo «innalzare gli umili» siano di origine bibl ca. La seguente preghiera dei fedeli composta negli anni set- tanta @ una caratteristica di tali liturgie: « Che la Chiesa nel nostro paese possa non essere pi identificata finanziariamente con irricchi, socialmente con i potenti ¢ politicamente con sli oppressori». O: «Per i potenti della terra: siano preservati dalle false ideologie e dalla fame di potere; dona loro la pru- denza per evitare le guerre e promuovere la pace». Tn un certo senso tali espressioni sono allineate con il ruo- lo profetico della cristianita nel mondo.’ Poiché le situazioni, e quindi anche il contesto, cambiano rapidamente, una «liturgia contestualizzata» é difficile da caratterizzare e da definire. Per tale ragione il termine con- testualizzazione ha avuto poco suecesso presso gli studiosi iliturgia. In realta, tuttavia, la liturgia dovrebbe essere con- testuale, perché il contesto & un’espressione della cultura. Revisione I termine revisione gioca un ruolo chiave nel vocabolario della Costituzione sulla liturgia che in molte occasioni affer- Vedi P. Hmenr, Critci! Contextualization, in «Missionclogy» 12 (4984) 287-256, *'D, Power d& expressioueall’opportunita df usare il linguaggto contestuae le nella Tturgia. Nella sua proposta di rito alternativo per Pordinazione di ua presbitero per una comunita di base, incontriamo fras del tipo: « Lazua Chiesa @ avvints oelleloita per tener vive il tao vero nomen; «Condividere coa popolo la lotta contro Vingiusizia e imparare dalla sua speranza. Vedi Al- ternative 1: Ordination of a Presbyter in a Church Constitued by Basie Chri- stn Communities, in Alternative Putures for Worship, vol. 6, Collegeville 1987, pp. 157-164 ps) 1 GTERMINI® DEL PROBLEMA 367 ‘ma che i libriliturgici debbano essere rivistial fine di eviden- ziare pill chiaramente la natura € lo scopo dei riti.® II movimento liturgico preconciliare, chiamato classico per la forte predilezione per la forma classica della liturgia ro- mana, csercito un’influenza profonda sulle strutture della Co- stituzione sulla liturgia. Cosi non dovrebbe sorprendere che il documento conciliare segui il programma di una riforma classica. L’articolo 34 illustra notevolmente questo punto, quando dichiara: «1 titi splendano per nobile semplicité; siano chiari nella loro brevita e senza inutili ripetizioni; siano adat- tati alla capacita di comprensione dei fedeli né abbiano biso- gno, generalmente, di molte spiegazioni» Il termine revisione suggerisce che i libri litargici, in que- sto caso i tridentini, siano considerati passibili di correzio- ne, emendazione, miglioramento o aggiornamento. ‘A tal proposito, due cose devono essere chiarite. Anzitut- to che la revisione lavora solo su libri gia esistenti. II Conci- lio non previde una completa ¢ totale nuova edizione dei li- bri liturgici, ad eccezione di quelli non ancora esistenti Secondo, il lavoro di revisione segue il modello classico. In tal senso la revisione delle edizioni ti restaurazione. Durante la discussione conciliare alcuni padri dissentirono dalla restaurazione classica proposta poiché ri- chiamava modelli antiquati o persino obsoleti. Sembrava ci fosse una contraddizione fra la revisione in quanto aggior- namento e la restaurazione classica.” Ma cid che il Concilio sembrava aver chiaro, era Ia possi- Dilita di offrire alle Chiese locali un modello liturgico, un’e- dizione tipica, segnata dalla sobrieta romana, dalla sempli- cite dalla chiarezza. In tal senso, esse potevano adattare Tedizione tipica alla loro cultura, al seguito dell'esempio delle Chiese franco-germaniche dell’ottavo secolo. TI termine revisione, cosi come é usato dalla Costituzione sulla liturgia, siiferisce al lavoro postconciliare di migliora- © Vedi SC 31, 50, 66, 67, 71, 72, 76, 79, 80, 82, 90.¢ 107. MA, CHURENGco, Liturgies of the Future, New York 1989, pp. 3-8. 368, na, ‘mento dei libri tridentini in armonia con la forma classica del rito romano e in considerazione delle richieste pastorali. Adattamento L’adattamento é una parola ufficiale usata dalla Costitu- dione sulla liturgia, specialmente agli articoli 37-40. Il docu- mento conciliare usa aptatio ¢ accommodatio come se fosse- 10 sinonimi, sebbene nel capitolo riguardante i sacramenti ei sactamentali accommodatio sostituisce sistematicamente aptatio, ponendosi come via media o misura di compromes- so. B bene ricordare clie talvolta, durante la discussione cot ciliare, aptatio iniziava ad avere un tono minaccioso, Aleuni padri conciliari si sentirono a disagio con il termine, perché veniva associato con la riforma radicale dei sacramenti. La distinzione fra aptatio ¢ accommodatio inizid a pren- dere forma solo con la pubblicazione della editio typica dei libri conciliari. La parte introduttiva di questi libri contiene due sezioni proprio sull’adattamento. La De aptationibus di competenza delle Conferenze episcopali e Ia De accommo- dationibus, riguardante il diritto e il dovere del ministro. 1 libri liturgici danno quindi indicazioni specifiche a propos to di uno e dell’altro. Un’altra differenza fra apiatio ac- commodatio é che la prima, quando approvata da Roma, ri- chiede che i cambi siano inseriti nel rituale della Chiese.loca- Je, mentre la seconda é una temporanea modificazione del tito fatta dal ministro per particolari bisogni dei vari gruppi. Qual @ il significato dato dalla Costituzione sulla liturgia all’adattamento? SC | afferma che uno degli scopi del Con- cilio é quello di «meglio adattare alle esigenze del nostro tem- po quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti. In tale luce, possiamo pensare che I’adattamento si riferisca al pro- gramma generale di rinovamento e di aggiormamento della, Chiesa. Abbiamo tutte le ragioni per pensare che la Costitu- zione sulla liturgia usasse il termine aptatio (0 accommoda- tio) come equivalenti del celebre aggiornamento con cui il pa- pa Giovanni XXIII convoco il Vaticano II. Per attuare l’ag- 07 1 (TERMINT DEL PROBLEMA 369 ; giornamento della liturgia, occorre adattarla alle circostan- ze contemporance, al fine di apporre gli aggiustamenti ne- ccessari secondo il pensiero corrente sul culto pubblico. La Co- stituzione propone due vie per raggiungere cid: la revisione dei riti esistenti e Padattamento ai bisogni dei tempi. Ma ’adattamento non é un termine antropologico; infat- ti 2 culturalmente neutro. Questo spicga perché quando la SC ai numeri 37-40 si interessa alla questione dell’adattamento alla cultura, parla di «norme dell'adattamento della liturgia alle culture e alle tradizioni dei vari popoli», o in breve di adattamento culturale. Inoltre, come G. Arbuckle ha chia~ ramente messo in luce, il termine @ associato alla manipola~ zione della cultura nel passato. Egli, quindi, suggerisce che ssia staccato dal vocabolario teologico ¢ liturgico e sostituito con un termine nuovo e migliore, propriamente quello ai in- culturazione, che venne coniato per esprimere «le implican- ze evangeliche della teologia della Chiesa locale».” Rispettando la Costituzione sulla liturgia, i libri liturgici ufficiali continuarono per molto tempo a parlare di adatta- mento. Questo probabilmente spiega perch¢ il sisnificato di adattamento rimase fluido e il suo uso flessibile. Un buon numero di liturgisti scambid i termini adattamento ¢ incul- turazione 0 anche li combind per formare l’espressione ibri- da di «adattamento culturale».° Persino la recente Istruzione tende ad usare inculturazio~ ne € adattamento come se fossero sinonimi." Cosi parla di «adattamento del rico romano, persino nel campo dell’incul- turazione».* Altrove dice: «La Costituzione Sacrosancrum Concilium desiderava un’incultarazione del rito romano quan- © G, ARBvcKLE, Inculturation not Adaptation: Time to Change Term ology, in « Worship» 60/6 (1986) 512-520. TF Ber esempio il Congresso def professor: italiani del” APL, del 1989 a scasye temas Liturgia eadattamento >. Gli Atti furono pubblicati nel volux ‘Se: Liturgia e adattemento. Dimension: cultural e teologico-pastoral, Rome 1980. a lturgla romana e Pincuturazione, an, 37, 38, $2, 83 © 5, pp. 18-25. Pid... 37, P. 18. an ns} do forni le norme per I'adattamento della liturgia mentalita e ai bisogni dei differenti popoli, ‘quando ae vide ad un graduale adattamento dei libri liturgici e anche quando intravide la possibilita di un pid profondo adatta- mento in alcune circostanze, specialmente nei paesi di mis sione».!* Inculturazione Una delle prime richieste che si ricordi per uso del termi- ne inculturazione é un articolo pubblicato da J. Masson nel 1962. Scriveva: «Oggi, giustamente, si fa pitt urgente Pesi- genza di un cattolicesimo inculturato in modo polimorfo». La parola venne usata nel 1973 da G.L. Barney, un missio- nario protestante, che era professore alla Nyack Alliance School of Theology a Nyack, New York. Nel suo articolo: Il sovraculturale e il culturale: implicazioni per le missioni di frontiera, Barney sottolineava la necesita di tenere il mes- saggio cristiano intatto attraverso il corso degli scambi cul- turali, Scriveva: «La natura essenziale di queste commponenti sovraculturali non dovrebbe essere persa, né distorta ma piut- tosto assicurata ed interpretata chiaramente mediante la guida dello Spirito Santo, inculturandole in questa nuova cultu- ray." Sebbene Barney fosse pi interessato alla questione del tenere intatta la fede, piuttosto che inventare una nuova parola, lui senza saperlo arricchi il vocabolario ecclesiastico con un termine tecnico che in breve trové il favore degli stu- diosi e dei responsabili della Chiesa. I Gesuiti fecero Ia loro parte nel lanciare il nuovo termi- ne, I delegati alla 32* Congregazione Generale della Com- pagnia di Gest, tenutasi nel 1975, adottarono il latino incul- % Mid, n. 52, p. 24. * L'fplise ouverte sur le monde, in «Nouvelle Rev fc one in «Nouvelle Revue Théologiquen 84 nati Gospel and Frontier Peoples, Pasudens 1873. Vedi anche G. Ds (apa, Ineulturation as Communication, i «lnculturation IX (1987) 71-98, 09) 1 @TERMINDY DEL PROBLEMA 371 turatio nel corso delle loro discussioni.” La parola probabil mente sembrava essere Pequivalente latino di enculturazio- ne. Poiché il latino non ha il prefisso en divenne necessario usare in. Lo spostamento da enculturazione a inculturazio- ne portd con sé un cambio nel significato dei termini. A. Shor- ter spiega che enculturazione é un termine gergale antropo- logico che sta per socializzazione o 'apprendimento di un pro- cesso «attraverso il quale una persona é inserita in una cul- turay.” Inculturazione rapidamente sostitui enculturazione nei circoli missionari, teologici ¢ liturgici, e venne ad assu- mere un significato totalmente diverso. Fu il papa Giovanni Paolo II che nel 1979 introdusse il termine incutturazione nei document ufficiali della Chiesa. ‘Nel suo messaggio alla Pontificia Commissione Biblica, os- servd come «il termine acculturazione o inculturazione pos- sa essere un neologismo, ma che esprime molto bene uno de- gli elementi del grande mistero dell’Incarnazione».* Nel corso dello stesso anno il Papa elabord questa affermazione nell’Esortazione apostolica Catechesi Tradendae. Dopo aver presentato gli elementi che avrebbero dovuto segnare la re- lazione fra catechesi ¢ cultura, ricordd ai suoi lettori che la catechesi é incarnazionale: «I veri catechisti sanno che la ca- techesi “prende carne” nelle varie culture ¢ luoghi».” ‘Negli anni settanta i liturgisti si dedicarono alla diffusio- ne delle informazioni riguardanti i nuovi libri liturgici. Bra- no troppo occupati da questa missione che non si preoceu- parono dell’adattamento, Fra i primi ad usare il termine in- culturazione in connessione con la liturgia fu C. Valenzia- no, professore di antropologia culturale al Pontificio Istitu- to Liturgico di Roma. In un articolo sulla liturgia ¢ la re- © A. Craurus, What isso New about Inculturation?, in «Gregorian $9 1978) 721-738. W's" Suonten, Toward « Theology of Inculturation, London 1988, pp 56. "a Giovane: Pacso UI, Messaggia alla Pontificia Commissione Biolica i Fede e cultura alla luce della Bibbia, Torino 1981, p. 5 ™ p., Carechest Tradendae, 0. $3. 372 ol ligiosita popolare, che pubblicd nel 1979, defini incultura- Zione il metodo col quale si conduce una mutua interazione fra la liturgia ¢ le varie forme di religiosita popolare.” Quale significato comunica il termine inculturazione quan- do viene usato nel campo dello studio liturgico? Per rispon- dere a questa domanda é necessario esaminare Pincultura- ione in relazione ad un altro termine, l’acculturazione. Ci fu un tempo in cui questi due termini furono intercambiat ‘i, ma col passare degli anni divenne chiaro che, sebbene stret- tamente correlati, non possono essere considerati sinonimi. A. Una definizione di acculturazione Nel suo illuminante lavoro, Toward a Theology of Incul- turation, A. Shorter definisce Pacculturazione come «?in- contro fra una cultura e un’altra, 0 Pincontro fra due cultu- re». Un importante aspetto di simile incontro, spicga, & che Ja comunicazione fra le due culture proviene «da una rela- Zione di mutuo rispetto e tolleranza». Ma aggiunge che l’in- contro avviene su una base esterna. Questo perché «’accul- turazione pud condurre propriamente a una giustapposizio- ac di espressioni culturali non assimilate, provenienti da va- rie direzioni c origini». Ciononostante l’incontro fra due cul- ture é un proceso che inizia con un contatio esterno. Talvolia questo pud risultare in uno stato permanente di giustapposi- ioni di elementi non relazionati, ma normalmente dovreb- be fiorire in una comunicazione interna. In breve, Shorter & espressione a uno dei principi base della cultura antropo: logica,-quando afferma che «Pacculturazione & una cond! dione necessaria dell’inculturazione».* ‘Acculturazione, che é nna giustapposizione di due cultu- re, opera in accordo alla dinamica delP’interazione. Le due culture interagiscono «sulla base del mutuo rispetto e della ® C. Vasewaano, La relipiosté popolare in prospettiva antropol La rel antropotogica, in Aa, Ricerche sua relisiostté popolare, Bologna 1979, pp. 85-110. SaowreR, 0.<-, pp. 68: vedi A. CHUPUNGCO, Linugies of the Fut. 7 08, pp. 25:28. Bn 1 (TERMINI DEL PROBLEMA 373 tolleranza». Tuttavia, esse non vanno al di lA del forum ester- ‘no 0 entrano nel processo di mutua assimilazione. Esse non interagiscono né nelia loro struttura interna né nel loro or~ ganismo. L’acculturazione pud essere descritta come la con- ginnzione di tre fattori: la giustapposizione, che & propria- ‘mente esterna; la dinamica dell interazione; ¢I’assenza della mutua assimilazione, Possiamo paragonare lacculturazione come a un incontro fra due stranieri. Possiamo illustraria usando la formula A+B = AB. In questa formula A e B sono a fianco a fianco, ¢ non intraprendono aleun cambio sostanziale 0 qualitativo. Da qui, A e B possono sempre rit rarsi 'uno dall’altro senza nessuna conseguenza. Nella liturgia un buon esempio di acculturazione avvenne durante il periodo barocco. I testi wfficiali¢ i riti della litur- gia, specialmente la messa tridentina, non assorbirono il dram- ma, la festivita e l'esuberanza della cultura barocca, Perché le rigide rubriche sbarravano I’ accesso a tutto cid che sapes- se di nuovo e cosi la cultura barocca se ne rimase alla perife- ria della liturgia.* ‘La giustapposizione continua a caratterizzare alcuni sfor- zi che tendono ad accomodare le devozioni popoleri. La pra- tica di combinare le novene o [’Angelus con la messa un tipico esempio di acculturazione che si ferma alla mera giu- stapposizione. La messa e le devozioni popolari sovente hanno nulla in comune, eccetto il fatto che entrambe sono preghie- re. Un altro esempio & dato dall'integrazione di una forma i religiosita popolare, conosciuta come encuentro, con !a ‘messa del mattino di Pasqua. L’encuentro consiste in due pro- cessioni. Una con l'immagine del Cristo risorto ¢ ’altra con un’immagine velata della Beata Vergine. Provengono da due direzioni diverse ¢ s’incontrano — da qui il nome di encuen- tro — nella piazza centrale del paese dove 'immagine della Vergine viene svelata. In seguito, la processione prosegue ver- 0 la chiesa dove verra celebrata l'Eucaristia. Nel 1971 la Con- 355, Toxowansy, The Mass of the Roman Rite, Westminster Md. 1986, pp. 141-159; Ip., Pastoral Liturgy, London 1962, pp. 80-89. 374 pal gregazione per il Culto Divino concesse alla Chiesa filippina la possibilita di sostituire entrata del rito della messa del mat- tino di Pasqua con encuentro. I testi per la messa e questa devozione popolare non hanno nulla in comune, eccetto che entrambi avvengono all’alba della domenica di Pasqua. B, Una definizione dell’inculturazione liturgica A. Shorter definisce l'inculturazione come «la relazione creativa ¢ dinamica fra il messaggio cristiano e una cultura o pid culture», Elenca poi tre dei principali tratti che carat- terizzano Vinculturazione. Anzitutto, Vinculturazione é un [Processo costante e concerne ogni paese o regione dove la fede é stata seminata. In secondo Inogo, la fede cristiana non pud esistere eccetto che in una forma culturale. E terzo, fra la fede cristiana e la cultura dovrebbe esserci interazione e reci- proca assimilazione.™ Approposito sara ricordato che il Sinodo straordinario dei ‘Vescovi del 1985 affronto anche la questione dell’incultura~ zione. Nella dichiarazione conelusiva (n. D4), i vescovi con- trapposero precisamente l’inculturazione con il mero adat- tamento 0 acculturazione: «Poiché la Chiesa, presente in tutto ilmondo, & una comunione, che unisce la diversita nell’ uni- 4, assume tutto cid che @ positivo in tutte le culture. L’in- calturazione, tuttavia, é diversa dal semplice adattamento esterno, ma significa una trasformazione interiore degli au- tentici valori culturali mediante la loro integrazione nella cri- stianjta e nel radicamento della cristianita nelle varie cultu- re». La definizione del Sinodo contiene gli elementi essen- Gali dell'inculturazione. Da un lato il processo di assimila- zione reciproca fra la cristianita e la cultura e la risultante trasformazione interiore della cultura, ¢ dall’altro il radica- mento della cristianita nella cultura. Agli elementi sopraccitati di interazione e di assimilazio- ne reciproca, dovremmo aggiungere la dinamica della tran- sculturazione. In virvi di questa dinamica le parti interagen- % A. Suontex, Toward a Theology of Ineuluration, 0.0. PU. py 1 TERMINL> DEL PROBLEMA 375 a ti sono capaci di conservare la loro identit2 0 i loro tratti es- senziali. L’inculturazione non minaccia né la natura della cri- stianita in quanto religione rivelata, né le espressioni della vita, la societ e le aspirazioni della cultura umana. Il culto cristiano non dovrebbe risultare un puro ingrediente della cul- tura locale e né la cultura dovrebbe essere ridotta ad un ruo- Jo ancillare. Il processo di interazione ¢ la mutua assimila- zione producono un vantaggio per entrambi; non si provoca la reciproca estinzione, ma si conserva cid che @ integrale a ciascuno. A tale proposito, MIstruzione La lifurgia romana e Pinculturazione, basandosi sull’autorita della Costituzio- ne dogmatica sulla Chiesa, n. 17, afferma che Ja liturgia del- la Chiesa «deve essere capace di esprimere se stessa in ogni cultura umana, mantenendo contemporaneamente la sua iden- titd, mediante la fedelta alla tradizione che le proviene dal suo Signore». La differenza fra I'acculturazione ¢ Vinculturazione pud essere illustrata con una formula A+B = CoD. A diffe- renzadi A+B = AB, questa formula implica che il contatto fra A e B conferisce mutuo arricchimento sulle parti intera- genti, cosi che A non é pid semplicemente A ma C, e simit- mente B non é pit semplicemente B, ma D, Tuttavia, a cau- sa della dinamica dell’inculturazione A non diviene B, né B diviene A. Entrambe sottostanno a una trasformazione in- tera, ma nel proceso esse non perdono Ia loro identita. ‘L'inculturazione liturgica, vista dal lato della liturgia (’2- spetto della cultura merita uno studio a parte), pud essere definito come il processo dell’inserimento dei testi ¢ dei riti della liturgia nella struttura della cultura locale. Come risul- tato, i testi e i riti assimilano il pensiero del popolo,” la lin- > La lita romana ePncuturacion, 18, p10 > Vedi a Crowvsoco, Liturgies ofthe Fate 0.2 pp 23-405 R Gor shure, Adapieclon,inculrectom reat. Plentanento,problenstice Seripetvs de prafundasctén in «Phase 158 (987) 129-595 Aa. Vn “Lenton, nea Maiton-Dieay 189 (1969), A.V Papers lag titration doh 09 Socks Lge Mega Sain ay 20/1 O99), sealzete PM. Ce, The Inculuraion of he Chi Str Liturgy n the Wor, pp 818; D.S. Auatoneavanss, Theoeetee R= 376 (es) gua, i valori, i simboll e le arti, ossia il loro tracciato cultu- rale. Cosi Pinculturazione liturgica ¢ fondamentalmente Pas- similazione nella liturgia dei tratti della cultura locale. Cid significa che la liturgia ¢ la cultura condividono le stesse ca- ratteristiche di pensiero, linguaggio e rito. La liturgia pensa, parla e ritualizza, dungue, il suo contemuto in accordo con i tratti della cultura della Chiesa locale. Nessun modello storico caratterizza Pinculturazione me- alio delia classica liturgia romana. Questa forma di liturgia fiori a Roma fra il quinto e l’ottavo secolo. Venne scritta da Gelasio, Vigilio, Leone Magno e Gregorio Magno, papi che appartenevano all’élite della societa romana, al gruppo de- gli homines classici celebrati per la loro nobile semplicit’ e sobrieta, maestri di retorica oltre che di senso pratico. E pen- sando a costoro che questi papi svilupparono quella forma di liturgia romana per la quale la storia ha riservato Ta desi- gnazione di classica. I loro testi, persino quando sono tra- dotti nelle lingue moderne, tradiscono ancora il pensiero il finguaggio della gente per la quale sono stati composti.” E bene ricordare che durante il periodo classico Vincultura- zione della liturgia fu grandemente creativa. I sacramentari di questo periodo, quali il Gelasiano Vetus, il Veronese e il Gregoriano, contengono formule di preghiere che sono com- posizioni originali.” Nell’ottavo secolo si registra poi un altro tipo di incultu- razione liturgica nella Chiesa dell’impero franco-germanico. Diversamente dalla liturgia romana, che crebbe attraverso lo sforzo creativo dei papi, la liturgia franco-germanica si svi- luppd primariamente mediante il contatto con la forma clas- ections on Inculturation, pp. 36-54; A. Sraveren, Incultwration and Church Architecture, pp. 70-80; T. BurcEx, The Women’s Movement as a Liturgical ‘Moverient: A Form of Ineulturation?, pp. 55-64; A. KavaNacx, Liturgeal Incuituration; Looking to the Future, pp. 95-106. 3 Vedi E. Bisuor, Liturgica Historiea, Oxford 1962, pp. 2-9 dove 'auto- ro descrive The genlus of the Roman Rite; G. Dix, The Shape of the Liturgy, New York 1982, pp. 103-140 per la forma classi della liraagia eucatistica; ‘Tu, Kiauser, La liturgia nella Chiesa occidentale, Leumann (TO) 1971, pp. 55-63 per I watllclassil del’ eucologia romana. pa 1 @TERMAND> DEL PROBLEMA 377 sica della liturgia romana. I liturgisti dell’impero dovettero riformulare i testi e i rit del libri romani per accomodare l’in- dole dei nuovi popoli a cui erano diretti, che in quel tempo erano in netto contrasto con la sobrieté romana. Il risultato fu una liturgia ibrida che conteneva lessenziale del modello romano, menire Io rivestiva con una nuova e vigorosa for- ‘ma culturale. Hl Pontificale romano-germanico del decimo se- colo, per non parlare dei sacramentari eccentrici ed esube- ranti di questo stesso periodo, rivesti sicuramente di fasci- no, dramma e colore la liturgia formale, austera ¢ riservata i Roma.” L’oggetto dell'inculturazione liturgica é quello di innesta- re i testi liturgici e i riti nella forma culturale della Chiesa locale. La questione consiste nel vedere quali metodi sono disponibili oggi per noi. Se esaminiamo i modelli di incultu- razione storici e contemporanei, concludiamo che nel tempo sono stati wtilizzati diversi metodi. Tuttavia esperienza mo- stra che il metodo dell’ equivalenza dinamica ha prodotto ri- sultati abbastanza soddisfacenti. ‘L’cquivalenza dinamica consiste nel sostituire un elemen- to della liturgia romana con qualcosa della cultura locale che hha un uguale significato 0 valore. Applicando questo meto- do, la linguistica, il rituale e gli elementi simbolici della li- turgia romana sono riespressi seguendo un particolare rito, modo di pensare e di esprimersi. II risultato ¢ una liturgia il cui linguaggio, rito e simboli si comunicano mirabilmente al culto comunitario, in quanto evocano lesperienza di vita, i valori umani e Ie tradizioni dei popoli ¢ forniscono imma- gini vivide della creazione e della storia." er il metodo del!’equivalenza dinamica, occorre ricordare la sua dipendenza dall’edizione ufficiale o tipica dei libri li * C, Voust, Les motifs de la romanisation du cute sous Pépin et Char- lemagne, in Cuito cristiano. Politica imperiale carolingia, Tosi 1979, pp. 17- 20; E. Cartawto, L'etd franco-carolingia, in I culto cristiano in occidente, ‘Roma 1984, pp. 184-219; Ta, Kiavsen, La liturgia nella Chiesa occidentale, 0.24 pp. 6-117. 3K. Cuurcsoco, Liturgies of the Future, 0.0, pp. 35-0. 378 pa turgici. Pud infatti produrre una liturgia creativa, ma non proveniente dalla pura immaginazione, in quanto abbisogna pur sempre dei libri ufficiali. Alla fin fine, l’inculturazione & un Uipo di traduzione dinamica: preserva la sostanza del- Poriginale nel proceso di comunicazione in riti e linguaggi i altre culture, In tal senso il metodo dell’ equivalenza dina mica definisce la natura dell’inculturazione. I promemoria dato su questo punto dall’Istruzione Le li- iurgia romana e V'inculturazione ® preciso: «Il processo di inculturazione doveebbe mantenere ta sostanziale unita del rito romano. Tale unita & correntemente espressa nelle edi- oni tipiche dei libri liturgici pubblicati sotto Pautorita det ‘Sommo Pontefice e nei libri liturgici approvati dalle Confe- renze episcopali per le aree di loro competenza ¢ approvati dalla Santa Sede». Lequivalenza dinamica pud essere un esercizio creativo, ma non é un lavoro di creativita poiché sibasa su materiale preesistente. Non per nulla la stessa Istru- zione, citando Giovanni Paolo II, afferma: «Il lavoro di in- culturazione non prevede la creazione di nuove famiglie di riti; P’neulturazione risponde ai bisogni di una particolare cultura e conduce all’adattamento che fa ancora parte del ri- to romano.” L’opposto dell’equivalenza dinamica & ’equivalenza sta- tica 0 stazionaria. Questa consiste nel dare Pequivalente di una parola o di una frase senza la dovuta referenza al conte- sto culturale, storico, alle esperienze di vita della lingua e del opolo per cui si traduce. La liturgia nei Jinguagai odierni se- gue abbastanza l’equivalenza dinamica. Gli esempi non man- cano: mistero per mysterion, sacramento per sacramentum, «in memoria di» per anammnesis, e anche ’epiclesi ha le sue forme adattate. Questo férnire Pequivalenza é certamente un modo ragguardevole per salvaguardare 1a doitrina della fede. Inoltre, evita il rischio che un traduttore diventi un iraditore. Ma dobbiamo chiederci se aiuta anche l’assemblea ® a liturgla romana ¢ lIneulturazione, n. 36, p. 18. 8 pid, en 1 (CTERMIND> DEL PROBLEMA 379 alla piena comprensione di cid che la liturgia sta celebrando. Alcuni esempi possono delucidare il significato dell’equi valenza dinamica. E stato affermato che due termini fonda- mentali della liturgia quali anamnesi ed epiclesi sono anche le piit intricate questioni che vessano Pinculturazione liturgi- cca. La recente riflessione teologica ha cercato di definire questi termini con accuratezza e precisione. Tale lavoro perd é sta- to cosi tecnico che esse ora risultano difficilmente traducibili. L’anamnesi viene generalmente definita come il memoriale rituale del mistero pasquale di Cristo. In virtit di questo me- moriale il mistero pasquale diventa presente nell’assemblea celebrante.™ Per esprimere il concetto di anamnesi, il latino impiega il termine augusto e solenne di memores nella prima delle tre preghiere cucaristiche e memoria celebrantes nella quarta, La Misa ng Bayang Pilipino (Messa del popolo filip- pino), proposta a Roma dalla Conferenza episcopale filippi- na nel 1976, ha compiuto un significativo sforzo per trovare un equivalente dinamico di anamnesi.™ Nella preghiera eu- caristica la narrazione del? ultima cena é preceduta dalla frase in lingua tagalog: «tandang-tanda pa namin», che letteral- mente significa: come chiaramente noi ricordiamo. La frase indica la memoria collettiva ed é usata per iniziare il raccon- to di un evento storico. B il modo dei narratori per afferma- re che essi erano presenti quando accadde I’evento € che lo testimoniarono di persona. Per questo lo possono racconta- re ora vivamente ¢ fino all’ultimo dettaglio. Nom é forse que- sto cid che la Chiesa desidera affermare con la narrazione delf’ultima cena? La Chiesa era 1a e ricorda chiaramente cid che avvenne quella sera quando Gesit si mise a tavola con i suoi discepoli e ora fedelmente trasmette quel momento di ‘generazione in generazione. Iiconcetto di epiclesi pud essere definito come la preghie- ra della Chiesa che invoca la presenza dello Spirito Santo. 3S. Marsma, Verso una teologia dela liturgia, in Anammess, vol. I, TO- sing 1974, pp. 47-86 ° Testo in tagalog ¢inglese in A. CauPuxeco, Towards a Filipino Litur- a, Quezon City 1976, pp. 96-118. 380 (es) Chiede al Padre di inviare lo Spirito Santo sui doni sacra- mentali e sul popolo che riceve i sacrament, affinché lo Spi- rito Santo possa consacrarli a Dio e renderli santi.™ La li turgia latina, che, come ben si sa, @ avversa all’uso di qua- lungue linguaggio pittoresco, non presenta lo Spirito né in quanto veniente, né in quanto mandato. La Misa ng Bayang Pilipino, d’altra parte, ha un’espres- sione grafica per l'epiclesi: «tukuban ng Espiritu Santo», 0 letteraimente: possa lo Spirito Santo prendere [i doni eucari- stici] sotto le sue ali. Il verbo Aukuban significa proveggere, porte sotto Ie ali o covare. Usato nell’epiclesi, richiama I’ Zione dell’uccello che cova le sue uova, per cui conferisce I dea dell’azione vivificante ¢ trasformante dello Spirito San- to sugli elementi eucaristici e sull’assemblea. Le espressioni idiomatiche sono un linguaggio immagina- tivo molto utile per le equivalenze dinamiche. L’uso della for- ma idiomatica, che é un linguaggio pecutiare del popolo, @ una prova convincente che la liturgia ha assimilato il pensie- ro cla struttura del linguaggio della comunita celebrante. L'e- sempio seguente illustra come le espressioni idiomatiche pos- sano essere impiegate nella liturgia come equivalenti dinamici. La parola latina dignitas viene generalmente tradotta con dignita, Sebbene dignita sia un equivalente piuttosto statico, fornisce, tuttavia, il significato e le implicanze della parola latina. Ciononostante Vinculturazione é profondamente se- gnata dal metodo dell’equivalenza dinamica. Lungo questa linea A. Echiegu, per la traduzione in lingua igbo della col letta di Natale che dice: Deus, qui humanae substantiae di gnitatem, propone di usare il metodo dell’equivalenza dina- mica. Sebbene V'igbo, una lingua della Nigeria, abbia una pa- rola equivalente per dignita, la traduzione proposta da Echic- gu ha preferito usare la colorita espressione idiomatica: in- dossare una piuma d’aquila. La piuma di un’aquila posta nei capelli indica la dignita e la posizione che una persona tiene A. Venuzut, Incroduction ro the Liturgy, Hertfordshire 1972, pp. sie. by 1 @TERMIND> DEL PROBLEMA 381 nella societa. Invece di affermare semplicemente che Dio ha creato la dignita della razza umana, la proposta preghiera igbo Joda Dio che dona, ad ogni uomo e donna che crea, una piu- ma d’aquila.” Per quanto riguarda gli elementi del rito, l'esperienza in- segna che l'inculturazione, usando il metodo delle equivalenze dinamiche, risulta meno bizzarra e pud raggiungerc risultati significativi. Questo & particolarmente vero con i gesti che posseggono un forte valore simbolico. Nella liturgia ogni cosa pud diventare simbolo, Ogni qual volta noi ci sediamo, stia- mo in piedi, ci inginocehiamo, alziamo le mani, inchiniamo iI capo o ci voltiamo verso il lettore, eseguiamo un simbolo liturgico. Ma ci sono gesti che trasmettono eloquentemeate il messaggio all’assemblea per via del simbolismo di cui so- no carichi, I metodo dell"equivalenza dinamica pud essere molto utile per conferire ai gesti ordinari della liturgia un pitt forte significato culturale. Nell’ordinario della messa zairese, il segno della pace ha Iuogo dopo il rito penitenziale che conclude la liturgia della Parola. Nelle parrocchie il gesto consiste in una semplice stret- ta di mano, tuttavia V'introduzione all’ordinario della messa ‘menziona una forma alternativa che consiste nel lavare le mani nello stesso catino d’acqua. E un simbolo di purificazione che indica I’unita e la riconciliazione. B una dichiarazione ‘commovente ed espressiva di perdono: avo ogni cosa io possa avere contro di te." L’introduzione di forme alternative con eminenti valori culturali quali quello descritto, risolve la dif- ficolta sorta dalla stretta di mano e il cenno di augurio. In alcuni uoghi infatti la stretta di mano @ essenzialmente un segno di congratulazione, mentre un cenno del capo, con un sorriso, pud risultare formale e artificioso se non affettato, specialmente in quelle societa in cui si vuole presentare le per- sone le une alle altre in modo ufficiale. © A. Ecinsow, Translating the Colleets of the Sollemmitates Domini of the MR of Paul VI in the Language of the African, inster 1984, p. 313, 5 Testo della Conferenca episcopale zsirese, Rite aairols deta celebration ewcharistique, Kinshasa 1985, pp. 44-45. 382 po, Un altro esempio di equivalenza dinamica rituale si trova nel rito di comunione della Misa ng Bayang Pilipino. La ru- brica invita il prete a prendere la comunione dopo l’assem- blea e gli altri ministri. Questo esprime il concetto filippino del valore della leadership e della sollecitudine. Mangiare per ultimo non é solo un segno di civilta e di posizione sociale. ‘Ma indica soprattutto il servizio. Cosi il padrone di casa man- gia dopo gli ospiti, perché ci si aspetta che il padrone di casa serva gli ospiti e li intrattenga. I genitori prendono i loro pa- sti dopo che si sono presi cura dei bambini. In casa, una per- sona perde, o almeno indebolisce il suo ruolo di capo se prende ilcibo prima degli altri. In breve, assumere la comunione per ultimo é nella cultura filippina, un’affermazione del ruolo del prete in quanto presidente dell’assemblea. Conelusione: verso una creativiti liturgica L*incuiturazione, che appartiene alla categoria della tra- duzione dinamica, non é il punto di arrivo di un processo che determina la realtd della liturgia di una Chiesa locale. L'I- struzione sulla traduzione dei testi liturgici del 1969 afferma chiaramente: «I testi tradotti da un’altra lingua sono chia- ramente non sufficienti per la celebrazione di una piena e rin- novata liturgia. Sara necessaria la creazione di nuovi te- sti.” Una liturgia inculturata rimane pur sempre un tipo di traduzione dinamica e non pud soddisfare tutte le richieste diuna liturgia che sia capace di rispondere ad ogni necessité locale. A un certo punto ci sara bisogno di far molto di pit di una semplice traduzione dinamica della liturgia romana. La creativita lirurgica copre un ampio spettro di significa- tiche va dalle forme assolutamente nuove fino ad un sem- plice caso di adattamento. Sovente ¢ associata con la forma- zione di fantasiosi ¢ originali riti liturgici che sono general- mente conosciuti come liturgie creative. Queste sono soven- te pensate per celebrazioni particolari, in gencre per i giova- ® Covsn..., Instruction Comme le prévoit, 43; of EV 3, 790. en) 1 @TERMINDD DEL PROBLEMA 383 ni, al fine di rendere a tali gruppi il culto ufficiale pitt com- prensibile, o per lo meno accettabile.* Dispiace che le litur- sie creative talvolta diano ’impressione di essere il prodotto di pura fantasia e abbiano solo, se pur ne hanno, una vaga referenza ai principi e alle tradizioni della liturgia. Come la parola suggerisce, la creativité che stiamo trat- tando nei riti liturgici, si forma indipendentemente dalle clau- sole, implicite o esplicite, della edizione tipica dei libri ro- mani. Nella liturgia idea della creativita non é del tipo as- soluto a cui si riferiscono i filosofi scolastici quale creatio ex nihilo sui et subiecti. La liturgia , in parte, rivelata e istitui- ta da Cristo, o come afferma SC 21: «La liturgia é costituita da elementi immutabili, divinamente istituiti, e da elementi soggetti al cambiamento». Questi elementi immutabili sono stati trasmessi dalla tradizione e sussistono in ogni nuovo ri- to liturgico istituito dalla Chiesa. E evidente che senza di es- si nessun rito pud essere considerato liturgico. La creativita liturgica non significa l’assenza totale di qua- Junque elemento preesistente 0 un misconoscimento della tra~ dizione. Significa semplicemente che si preoccupa di nuove forme liturgiche non basate sulle edizioni ufficiali o tipiche dei libri liturgici. La cultura, la tecnologia ¢ ’ideologia influenzano la for- ma delle liturgie creative. L’osserviamo in alcuni esempi di ritualizzazione creativa come la danza simbolica alla proces sione offertoriale o durante il canto del Magnificat ai Vespri, Vinterpretazione mimica della lettura del vangelo e I’uso de- gli audiovisivi (chiamati negli anni settanta ottanta multi media) nelle intercession, In situazioni di tensione sociopo- litica queste forme possono avere un sostrato ideologico. Pos- sono esasperare i sentimenti di frustrazione e di rabbia della gente. Ecco perché le liturgie creative sono talvolta associate con la contestualizzazione. La cultura e Videologia, similmen- fe, ineriscono i testi creativi. Questi sono composizioni ori ginali lontane tanto nel tema quanto nel carattere dal for- © Vedi B. Keay, Children’s Liturgy, New York 1977. 384 mulario romano che, in situazioni di malcontento, scarica- no le rivendicazioni pubbliche. Il concetto di creativita liturgica pud essere applicato in senso ampio alle liturgie acculturate e inculturate. Anche que- ste sono prodotte dalla creativita. Per invero, é difficile pen- sare a qualche esempio di inculturazione dove non vi sia sta- to spirito creativo e capacita immaginativa. Il solo fatto che una nuova forma liturgica basata sulleditio typica é stata ela- borata attraverso l’inculturazione é gia una chiara prova che la creativita ¢ parte di questo processo, Tuttavia, la liturgia inculturata differisce dalle altreliturgie creative, perché a dif- ferenza di queste, per definizione in relazione, anche se non. profondamente, con l'editio typica. La storia della liturgia attesta l’abi creative della Chic~ sa nel formare nuovi riti per trasmettere il messaggio in mo- do che possano essere comprensibili ¢ apprezzati dalla comu- nit celebrante. Una delle vie preferite dal Concilio @ la tra- duzione dinamica della liturgia romana o inculturazione, dove viene conservato il contenuto originale del rito. Ma Ia vita crtistiana & pit ricea, sia nel contenuto che nei suoi fini, della liturgia romana. C’8 pid vita rispetto a cid che i formulari ¢ i riti romani sono capaci di incarnare. Da qui, l’incultura- Zone da sola non pud soddisfare a tutte le richieste per un vero rinnovamento liturgico. La creativita, che @ sempre stata un elemento essenziale del culto della Chiesa, & talvolta non solo unopzione, ma un imperativo per la Chiesa locale se questa vuole che la sua liturgia sia considerata e abbia un’incidenza nella vita del po- polo di Dio. Ac Pontificio Istituto Liturgico, * Pontificio Ateneo «S. Anselmo», Rome. 1 @TRRMONDD DEL PROBLEMA 385

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