Provo a condividere il mio pensiero e la mia esperienza alla luce dell’esortazione apostolica Christus Vivit nn. 268-273, nella speranza che possa essere d’aiuto ad altri giovani che si ritrovano a fare i conti con la realtà del lavoro. Terminato il mio percorso universitario, mi resi conto che davanti a me si spalancavano le porte del mondo del lavoro. Ricordo che il trinomio “giovani, lavoro, precariato” era già all’epoca molto in voga e alquanto demoralizzante. Ad oggi ho 27 anni, quasi 6 di lavoro alle spalle, 4 professioni completamente diverse le une dalle altre e se c’è una cosa che ho capito è che nonostante le varie difficoltà, non ci si può e non ci si deve accontentare del lavoro che ci capita perché, come dice Papa Francesco, “esso può determinare la qualità e la quantità del tempo”, da cui di conseguenza dipendono molte altre scelte della nostra vita; motivo per cui bisogna avere il coraggio di scegliere sempre consapevolmente. Credo che la prima vocazione di ciascuno di noi sia vivere e farlo nel modo giusto, ossia amando. Siamo chiamati ad amare Dio, gli altri e noi stessi tutti i giorni. Per questo motivo non possiamo commettere l’errore di credere che il lavoro sia soltanto un mezzo per ottenere un reddito. Esso è uno strumento di crescita e dignificazione dell’essere umano, nonché un’attività attraverso la quale possiamo maturare una visione del mondo comunitaria e non individualista, perché generalmente non si lavora soli, ma siamo chiamati ad intrecciare relazioni con gli altri, le quali ci faranno inevitabile crescere attraverso scambi di idee, incomprensioni e aiuto reciproco. Personalmente, tra le altre, ho avuto modo di fare due esperienze lavorative opposte: nel primo caso un impiego con una retribuzione decisamente buona per un giovane che muove i suoi primi passi in cerca d’indipendenza economica, ma un prezzo troppo alto da pagare (ragazzi spremuti fino all’estremo delle proprie forze fisiche e mentali); nel secondo caso gli anni più belli della mia vita lavorativa. È mettendo a confronto queste due realtà che ad oggi mi sento di dire che non è pensabile scegliere una professione soltanto in base alla sua retribuzione: è quando ci troviamo esattamente dove ci sentiamo chiamati ad essere che diventiamo capaci di cose che non ci saremmo mai aspettati da noi stessi. Svegliarsi giorno dopo giorno con il sorriso, pensando di essere apprezzati per quello che siamo e facciamo e pensare a quanto siamo chiamati a vivere, trasmettere, creare, imparare, grazie al nostro lavoro, non è minimamente paragonabile a svegliarsi pensando a “quando arriva lo stipendio”. Purtroppo, la realtà non sempre coincide con ciò che desideriamo davvero, ma una cosa è certa: il lavoro è una necessità che ricopre una parte importante nelle nostre giornate e spendere tutta la vita svolgendo un’attività che non ci sentiamo chiamati a fare è impensabile e triste. Non potrei terminare con parole migliori di quelle utilizzate da Papa Francesco: “Non sempre un giovane ha la possibilità di decidere a che cosa dedicare i suoi sforzi, […] ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto. Continua sempre a cercare, come minimo, modalità parziali o imperfette di vivere ciò che nel tuo discernimento riconosci come un’autentica vocazione.” Miriam Di Lello Laica clarettiana - Italia
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