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Affinità e differenze tra Eraclito e Parmenide

Sia Eraclito sia Parmenide partono dalla constatazione che tutto diviene, ma Eraclito crede che il
divenire sia reale e va alla ricerca di un principio (= il fuoco e il logos) che lo possa spiegare; invece
Parmenide crede che il divenire sia illusorio, e va alla ricerca di un principio (= l’essere) che non
spieghi come sia possibile questa illusione, ma che superi l’illusione. Sia per Parmenide sia per
Eraclito il principio può essere conosciuto con la ragione e non con i sensi, che si fermano al
divenire. Ma per Eraclito la conoscenza dei sensi non è illusoria, è solo il primo stadio di un
cammino che porta alla conoscenza del principio raggiunta mediante la ragione; invece per
Parmenide la conoscenza dei sensi è illusoria, e bisogna affidarsi direttamente alla ragione per
conoscere il principio.

Il principio di Parmenide

Il principio secondo Parmenide è l’essere. Egli lo enuncia mediante le due proposizioni:

L’essere è e non può non essere.


Il non essere non è e non può essere.

Per Parmenide “essere” significa:


1) La realtà in generale (cioè tutte le cose che esistono, non le singole cose, che vengono
chiamati “enti”).
2) Le caratteristiche fondamentali della realtà, cioè quelle proprietà che la realtà in generale
non può fare a meno di avere.
Per capire il principio di Parmenide si possono effettuare le seguenti sostituzioni: “essere” = realtà
in generale, “è” = esiste. Si ha:
l’essere è e non può non essere = la realtà in generale esiste, e non può non esistere;
il non essere non è e non può essere = ciò che non esiste, non può esistere.

Per Parmenide l’essere è “necessario”, cioè non può fare a meno di esistere, e di esistere nel modo
in cui esiste (cioè la realtà in generale deve per forza esistere, e non potrebbe essere diversa da
com’è). In filosofia “necessario” vuol dire qualcosa che dev’essere per forza com’è, non può essere
diversamente.

Per Parmenide c’è una coincidenza tra essere, pensiero e linguaggio (dunque anche tra ontologia e
logica): ciò che esiste lo posso pensare (= conoscere) e ne posso anche parlare, mentre non posso
pensare né parlare di ciò che non esiste. “Non esiste” vuol dire “nulla assoluto”, ciò che non c’è. E’
vero che noi possiamo pensare a cose come l’unicorno, che non esistono nella realtà, ma queste
cose sono date dall’unione di cose che esistono (per es. l’unicorno è formato dall’unione del cavallo
e del corno): quando Parmenide dice che non possiamo pensare a cose che non esistono intende dire
che non possiamo pensare al nulla assoluto, cioè a cose che non sono formate da altre cose che
comunque esistono.

Principi logici elaborati da Aristotele a partire da Parmenide

Il principio di identità dice che una cosa è uguale a se stessa (A=A)


Il principio di non contraddizione dice che una cosa non può essere nello stesso tempo in un modo e
nel suo opposto, cioè che ogni cosa è diversa da un’altra (A=B), perché se fosse uguale a un’altra
non sarebbe uguale a se stessa, e verrebbe meno il principio di identità.

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Il principio del “terzo escluso” (elaborato dai logici medievali a partire dai principi di identità e di
non contraddizione) dice che “tra due opposti contraddittori non c’è via di mezzo” (per es. un uomo
o è vivo o è morto, non può essere vivo e morto nello stesso tempo).

Zenone

Zenone di Elea è scolaro e amico di Parmenide. Egli difende la teoria parmenidea secondo cui:

1) è reale solo l’essere unico e immobile;


2) la pluralità e il movimento non sono reali, sono solo apparenza illusoria.

Per dimostrare che l’essere è unico e immobile, Zenone dimostra che è impossibile l’opposto, cioè
che esiste la pluralità e il movimento. Il metodo che Zenone usa è quello della “dialettica” o
“dimostrazione per assurdo” o “confutazione per assurdo”: ammette inizialmente la tesi che vuole
confutare (cioè la pluralità e il movimento) e ne trae delle conseguenze, che però si rivelano
assurde. Può così concludere che la tesi iniziale è falsa.
I ragionamenti di Zenone prendono il nome di “paradossi”. Alcuni sono contro la pluralità, altri
contro il movimento.
Tra i paradossi contro il movimento c’è quello chiamato “argomento di Achille e della tartaruga”.
Esso può essere esposto nel seguente modo.

Se Achille (detto "pie' veloce") venisse sfidato da una tartaruga nella corsa, e concedesse alla
tartaruga un piede di vantaggio, egli non riuscirebbe mai a raggiungerla, dato che non solo Achille,
ma anche la tartaruga, si muove: quando Achille raggiungerebbe la posizione occupata inizialmente
dalla tartaruga, questa si sarebbe già spostata in avanti. Quando poi Achille raggiungerebbe la
nuova posizione della tartaruga, la tartaruga sarebbe avanzata ancora, trovandosi così comunque più
avanti di Achille. Questo stesso discorso si può ripetere per tutte le posizioni successivamente
occupate dalla tartaruga: la distanza tra Achille e la lenta tartaruga, pur riducendosi sempre di più,
non arriverebbe mai ad essere pari a zero.

Il presupposto concettuale di questo argomento è la tesi che, posta l’infinita divisibilità dello spazio,
il movimento di un corpo non raggiungerà mai la sua meta, poiché, dovendo superare gli infiniti
punti di cui consta una distanza, dovrà impiegare un tempo infinito. Aristotele cercherà di risolvere
questa difficoltà dicendo che nella realtà esiste solo il finito, mentre l’infinito esiste solo nel
pensiero, e nasce quando si aumenta o diminuisce indefinitivamente con l’immaginazione una
quantità data. La soluzione del paradosso sta quindi nel distinguere il piano della realtà da quello
della logica. Tuttavia Zenone si muove sul piano della logica, e come Parmenide ritiene che la realtà
sensibile sia illusoria.

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