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Tutto ciò premesso, proverò a considerare, come proposto, la relazione che io vedo
tra Musica e resilienza, facendo riferimento anche all’osservazione oggettiva.
Non intendo, con questo, dire che esiste una norma universale di riferimento, un
rapporto di causa/effetto o – per restare nella metafora sanitaria – un’unica terapia
(musicale) miracolosa per tutti i malati e per tutte le malattie: intendo, però, suggerire che
la relazione squisitamente soggettiva che nell’ascolto musicale lega l’ascoltatore a quei
suoni, a quei ritmi, a quei timbri, fraseggi, armonie, etc., definisce uno spazio individuale
nuovo e probabilmente sempre diverso; uno spazio ben caratterizzato, tuttavia, in una
cornice dove le molteplici facce dello stesso individuo trovano tutte, in qualche modo, una
propria voce ed una propria dignità. Che è la sua propria, appunto, e di nessun altro.
E pazienza se resteremo un po’ delusi nello scoprire che su nostra cugina, per
ipotesi, la Sinfonia “Dal Nuovo Mondo” di Dvořak produce un effetto completamente
diverso da quello che ha avuto su un nostro collega: ogni individuo è diverso dall’altro! Di
certo, un ascolto ben condotto, sia nel caso della cugina che del collega, avrà spalancato ad
entrambi la porta di un universo dove poter sentire la propria risonanza e segreta
appartenenza ad un più ampio orizzonte cui aprirsi per ricevere quel nutrimento
necessario a sostenersi sempre; per essere, in una parola, resilienti.
Più o meno duemila e quattrocento anni fa, Platone scriveva nel Timeo che il
divino Demiurgo compose l’anima del mondo secondo i principi dell’armonia musicale,
dividendo cioè l’essenza delle cose in sette parti originanti due progressioni, geometrica e
aritmetica, a ragione 3:2. Ragione che è poi quella della sezione aurea. Ragioni e relazioni,
per la verità, ancora oggi sotto i nostri occhi, e che varrebbe la pena di riconsiderare più
attentamente. Ma, questa, è ancora un’altra storia…