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SEPSI

Nonostante i progressi in campo antibiotico e di terapia di supporto del malato critico, la sepsi è ancora
oggi associata ad elevata mortalità (~40-50%), anche con terapie adeguate. La sepsi è il risultato di
complesse interazioni tra prodotti microbici, reazione immune (leucociti), e fattori umorali, che agiscono
soprattutto sull’endotelio vascolare.

Incidenza di sepsi in aumento, perché:

• Popolazione anziana in aumento Nuove tecnologie di supporto delle funzioni vitali: persone che in
passato sarebbero morte, oggi sopravvivono, e il fatto di vivere a dispetto di un organismo che
normalmente non avrebbe dovuto sopravvivere, comporta una serie di rischi, fra cui la sepsi

• Soggetti immunodepressi sono parecchi

• Sono aumentate apparecchiature e procedure invasive (come tecniche endoscopiche)

• Sono aumentate le infezioni acquisite in comunità

• Sono aumentate le infezioni nosocomiali

• E’ aumentata la resistenza agli antibiotici

SEPSI: STADI E DEFINIZIONI

Prima di parlare di sepsi, dobbiamo parlare di SIRS, sindrome della risposta infiammatoria sistemica,
perché la sepsi ha delle caratteristiche comuni a situazioni non infettive, come i traumi. Questa sindrome è
una risposta clinica aspecifica a un qualsiasi insulto, e per dire che c’è questa sindrome devono esserci 2
tra:

- Temperatura >38oC o <36oC

- Frequenza cardiaca >90 battiti/min


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- Frequenza respiratoria >20 atti respiratori/min o PaCO2 < 32 mmHg (la CO2 viene eliminata con il respiro,
per cui se aumenta la frequenza respiratoria e quindi la ventilazione, l’anidride carbonica si riduce, e se la
teniamo bassa nel sangue arterioso, vuol dire che viene maggiormente eliminata con il respiro

- Conta dei leucociti >12.000/mm3 o < 4000/mm3 o presenza di neutrofili immaturi, le cosiddette cellule “a
banda”, >10% (questi neutrofili immaturi sono cellule che non hanno ancora il nucleo segmentato, sono
presenti nel midollo, ma nella sepsi possono essere presenti in circolo)

Questa è la SIRS, che non ha nulla a che vedere con l’infezione, perché, se a questa condizione (cioè 2 di
queste situazioni che abbiamo esposto) si associa un segno d’infezione presunta o confermata, si parla di
sepsi, quindi la definizione di sepsi è: SIRS con segni di infezione presunta o confermata.

Segni e sintomi di sepsi sono in genere aspecifici ed includono:

- febbre,

- brividi,

- astenia

- malessere

- ansia e confusione

per questo è importante dare una definizione come quella precedente, cioè con dei punti precisi, perché
per dire che il paziente ha una sepsi e va mandato in terapia intensiva per uno stretto monitoraggio, è
necessario individuarla precocemente, perché se non la si individua e la si tratta precocemente, il paziente
ha l’alta probabilità di morire.

La sepsi presenta, pertanto, sintomi non indicativi per infezione, perché presenti in differenti condizioni
non infiammatorie e assenti in una serie di infezioni, specie negli anziani.

Un’altra definizione, che però ormai è stata abbandonata, è quella di sepsi grave, perché una delle
conseguenze della sepsi non è tanto la presenza di segni e sintomi, come febbre, brividi, disturbi
respiratori… ma il fatto che ci sia una sofferenza degli organi.
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➢ SEPSI GRAVE=> sepsi con uno o più segni d’insufficienza d’organo:

 Insufficienza cardiovascolare: ipotensione refrattaria (con la somministrazione di liquidi non si riesce a


risolvere, quindi bisogna utilizzare farmaci vasoattivi, cioè che vadano a creare un vasospasmo che faccia
salire la pressione arteriosa)

 Insufficienza renale con riduzione del flusso urinario

 Insufficienza respiratoria

 Insufficienza epatica

 Disturbi ematologici

 Disturbi del SNC

 Acidosi metabolica inspiegata (il fatto che è alterata la microcircolazione, c’è una sofferenza d’organo che
include anche i muscoli, quindi se non arriva una quantità adeguata di sangue in periferia, il metabolismo
da aerobio si trasforma in anerobio con produzione di un acido terminale e quindi acidosi).

Dall’insufficienza d’organo e, in particolare dall’ipotensione refrattaria, si passa allo shock, che in condizioni
di infezione, è lo shock settico. Lo shock si realizza quando una sepsi grave con associata un’ipotensione
refrattaria non è correggibile nemmeno con le ammine vasoattive.

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[il prof. Legge la slide: SaO2= saturazione di ossigeno; PaO2/FiO2= rapporto tra la pressione arteriosa di
ossigeno e il volume di ossigeno inspirato.

Il fegato funziona male, quindi si può avere ittero, aumento degli enzimi epatici (soprattutto le
transaminasi), riduzione dell’albumina, e quindi della capacità di sintesi delle proteine da parte del fegato,
aumento del PT (espressione di una riduzione della sintesi dei fattori della coagulazione da parte del fegato,
ma anche di un consumo di questi fattori a causa della CID).

Il rene soffre molto precocemente in questa situazione e come prima manifestazione, si avrà oliguria o
anuria.]

Tutte queste condizioni, che vanno monitorate quando si sospetta una sepsi, indicano che i vari organi sono
interessati dalla sindrome.

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Non tutte le SIRS sono delle sepsi!

Molte cause di SIRS non hanno nulla a che vedere con le infezioni, per esempio una pancreatite, ustioni,
traumi, e si dice che il paziente è shockato proprio perché ha una SIRS, e questo essere shockati non hanno
nulla a che vedere con le infezioni, anzi nella maggior parte dei casi si tratti di cause diverse, come i traumi.
Tuttavia le infezioni hanno una parte importante nella genesi di una sepsi, e non tutte le sepsi hanno una
batteriemia dimostrata, quindi non c’è un’equivalenza tra il fatto di avere una batteriemia e avere una
sepsi, perché la sepsi è una sindrome clinica caratterizzata da quelle manifestazioni che abbiamo visto
prima.

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DEFINIZIONI DI CONSENSO

Negli anni si
sono susseguite diverse definizioni di sepsi, perché ci si è accorti che quella di cui abbiamo parlato, che è
una definizione del 1991, aveva dei punti deboli:

• Bassa sensibilità nella definizione di sepsi e non perfetta specificità (1 paziente su 8 in terapia intensiva
con infezione o disfunzione d’organo non ha 2 o più criteri di SIRS)

• l’80% dei pazienti in terapia intensiva senza infezione hanno i 2 criteri della SIRS

• differenti fonti d’infezione hanno tassi di mortalità diversi (non tutte le infezioni sono uguali): ammesso
che abbiamo definito la sepsi e abbiamo definito che c’è un’infezione, avere un’infezione disseminata da
catetere endovascolare ha un livello di mortalità, avere un’infezione da ferita chirurgica ha un altro livello di
gravità e mortalità attesa

• i criteri di SIRS non spiegano il decorso dinamico della sepsi: noi abbiamo fatto diagnosi di sepsi probabile,
però la sepsi ha una sua evoluzione (cioè i marcatori di disfunzione d’organo evolvono nel tempo), e questo
non viene esattamente spiegato con questa definizione inziale.

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10 anni dopo (2001) sono stati rivisti i concetti di sepsi, sepsi grave e shock settico, che sono rimasti uguali,
ma si è preso atto del fatto che queste definizioni fossero poco sensibili e specifiche, e allora per definire la
sepsi si sono cercati una serie di parametri di laboratorio, che sono obiettivi: parametri generali, parametri
infiammatori, parametri emodinamici e parametri di perfusione tissutale, quindi una serie di dati il più
possibile obiettivi, che andassero ad arricchire la definizione.

Questi criteri diagnostici sono stati definiti nel 2001.

Nel 2016 è stata ribaltata la situazione, anche se non è da tutti accettata: prima di tutto non esiste più il
termine “sepsi grave”, ma solo “sepsi” e “shock settico”; inoltre, la definizione di sepsi è che è una
disfunzione d’organo che mette in pericolo la vita, dovuta ad una risposta disregolata dell’ospite a
un’infezione. Questa è la definizione attuale di sepsi e ad essa si affianca una definizione patogenetica: è
una condizione che mette in pericolo la vita, che insorge quando la risposta dell’ospite all’infezione è essa
stessa responsabile di danno tissutale.

Già negli anni ‘70 si diceva che i microrganismi sono degli spettatori di una situazione, che è determinata,
invece, dai nostri arsenali di combattimento, che sono così potenti nel reagire ad un’offesa batterica, che
noi siamo più in pericolo per questi arsenali, che per gli invasori, cioè i batteri.

Poi sul piano patogenetico è emerso proprio questo, cioè che la sepsi è il risultato di un’esagerata risposta
citochinica, la tempesta citochinica, che è scatenata dagli invasori patogeni. Le risposte immunitarie
linfocitarie sono di tipo Th1, che è una risposta pro-infiammatoria, o di tipo Th2, che è una risposta anti-
infiammatoria; il tutto avviene attraverso il rilascio di mediatori citochinici, alcuni dei quali pro-
infiammatori, altri antinfiammatori.

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In condizioni normali, in risposta ad un insulto si può avere una reazione citochinica pro-infiammatoria, alla
quale deve far seguito un calo repentino, dovuto al fatto che c’è una risposta anti-infiammatoria
compensatoria: questa dovrebbe essere la riposta normale, con cui noi non avremmo la sepsi, ma in alcuni
casi manca questa risposta anti-infiammatoria e questa risposta pro-infiammatoria continua con
un’eccessiva infiammazione sistemica, che può arrivare fino alla sepsi fulminante e alla mortalità precoce;
in altri casi, anche se si ha questo fenomeno, si ha un’eccessiva risposta compensatoria anti-infiammatoria
con il risultato che c’è una mortalità tardiva, perché il paziente è diventato immunodepresso, perché c’è un
eccesso di citochine anti-infiammatorie, quindi si ha un’immunoparalisi. Pertanto, è giusto parlare di una
sepsi come di una disregolazione.

Quindi, o all’inizio si ha un eccesso di risposta infiammatoria sistemica, che può portare direttamente a
morte, come avviene nella sepsi menigococcica (quindi si ha una mortalità precoce), oppure si ha
un’immunodeficienza, un’immunoparalisi tardiva che favorisce infezioni sovrapposte successivamente, a
distanza di giorni dall’esordio della sindrome.

FISIOPATOLOGIA DELLA SEPSI

Cosa succede nelle fasi iniziali, quando c’è una risposta energica?

Soprattutto un danno endoteliale, che porta a:

• comparsa di alterazioni della coagulazione con riduzione della fibrinolisi e aumento della coagulazione,

• aumento dell’infiammazione generale dell’organismo,


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• disfunzione degli organi

L’infezione causa il rilascio di mediatori dell’infiammazione, (quindi siamo nella fase in cui prevale la fase
pro-infiammatoria), che hanno due funzioni: la vasodilatazione, che comporta ipotensione, e la disfunzione
endoteliale, che porta all’edema (i vasi non riescono più a trattener ei liquidi all’interno del torrente
circolatorio e il plasma fuoriesce dai vasi, per questo è importante la fluid resuscitation, cioè la
resuscitazione con i fluidi, perché va ripristinato il volume plasmatico circolante. L’organismo risponde a
questi fenomeni sia con un intasamento microvascolare, perché si accumulano cellule del sangue che
aderiscono alle parete, sia con una vasocostrizione, al fine di mantenere alta la pressione arteriosa (lo
stesso effetto che noi cerchiamo di ottenere, somministrando le ammine che inducono un vasospasmo); il
risultato di tutto ciò è una maldistribuzione del flusso ematico microvascolare, che porta ad un’ischemia
periferica con morte cellulare fino alla disfunzione degli organi.

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Questo è quello che si verifica in corso di CID: a carico delle estremità si hanno delle ampie zone di necrosi,
dovute al fatto che lì non arriva più sangue. In figura, vedete una sepsi meningococcica con CID:
classicamente in questo tipo di sepsi si parlava di sindrome di Waterhouse-Friderichsen, che è l’emorragia
surrenalica bilaterale, dovuta alle emorragie conseguenti al disturbo coagulativo della sepsi.

La frequenza della sepsi è in aumento e si avvia al continuo raddoppio ogni circa 10 anni.

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Nel grafico è rappresentata la frequenza di sepsi per 10.000 persone in rapporto all’anno: oggi siamo
all’incirca sui 40 per 10.000. Di questa quota una grossa parte viene ospedalizzata, specialmente nell’età
avanzata, cioè al disopra dei 65 anni.

La mortalità si è un po’ ridotta, soprattutto perché si adottano tecniche di terapia intensiva per la gestione
della sepsi.

L’insufficienza d’organo può interessare un organo, 2 organi, 3 o anche più di uno, e questo ha una
relazione stretta con la mortalità: se non si ha nessuna insufficienza d’organo, la mortalità è molto bassa, se
l’insufficienza d’organo interessa 4 o più organi, la mortalità supera il 60%; quindi il numero di organi che
non funzionano è una misura diretta della gravità della situazione.

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[dal basso verso l’alto, la prima linea sono i funghi, la seconda i Gram+, e la terza i Gram-]

Inizialmente le sepsi più gravi erano le sepsi da Gram-, ma a partire dagli anni ’90 si è avuta un’inversione,
nel senso che è più facile che sia un Gram+ a dare una sepsi mortale; inoltre, c’è un aumento di una certa
entità delle sepsi fungine.

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La sepsi è una sindrome e va distinta dalla batteriemia e dalla setticemia, che hanno una base diagnostica
nell’emocoltura, quindi se questa è positiva, il paziente ha una batteriemia o una setticemia; la sepsi,
invece, è una sindrome clinica che prescinde dalla possibilità di un’emocoltura, cioè questa può essere
positiva, ma il paziente può non avere quella sindrome clinica finora descritta. Pertanto, la diagnosi di sepsi
è clinica non basata sull’emocoltura, dal momento che questa non è necessariamente positiva, ma su
altri esami (come l’emogasanalisi, che dice come sono i gas nel sangue e che ci aiuta a definire la situazione
di sepsi).

➢ Sepsi severa (non più considerata secondo la nuova classificazione): sepsi associata a disfunzione d’organo,
ipoperfusione o ipotensione

➢ Shock settico: sepsi con ipotensione refrattaria a reidratazione, quindi è necessaria la somministrazione di
ammine vasoattive; tuttavia, dare un’ammina vasoattiva vuol dire indurre uno spasmo nell’arteriola, che
aumenta la pressione aumenta, ma riduce la perfusione degli organi periferici, che è proprio la causa della
disfunzione d’organo (quindi questo intervento terapeutico può aggravare la disfunzione d’organo).

➢ Shock settico refrattario: shock settico che per oltre 1 ora non risponde alla somministrazione di liquidi e di
vasopressori

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➢ MODS (sindrome da disfunzione multiorgano): presenza di alterazione della funzione di vari organi che
richiede interventi terapeutici per correggere la disfunzione di vari origani.

Gli interventi terapeutici sono graduali a seconda di quello che avviene, quindi prima si comincia con la
somministrazione di liquidi che va calcolata in base al paziente: in una persona di 80 kg si somministrano
circa 2 litri e 400 nelle prime 2 h, dopo queste 2 h di somministrazione, se non c’è una risposta adeguata, si
passa alle ammine vasoattive, e se per 1 h il paziente non risponde alla somministrazione dei liquidi, che
continua, e a quella dei vasopressori, allora lo shock è refrattario, e vanno poi fatte trasfusione di plasma o
di sangue per cercare di evitare la fuoriuscita di liquidi dai vasi.

EZIOLOGIA DELLA SEPSI

Questo schema si riferisce ai casi positivi, perché nella sepsi la diagnosi è clinica, quindi noi possiamo
assolutamente ignorare l’agente in causa, perché non riusciamo ad isolarlo; tuttavia, sapere che le
possibilità sono queste, vuol dire che possiamo fare, anche se non sappiamo se è presente l’agente
patogeno o non lo abbiamo ancora isolato (visto che gli interventi vanno fatti nell’arco di minuti), una
terapia antibiotica empirica.

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È importante capire qual è il focolaio primitivo d’infezione, perché sulla base di questo si può capire qual è
può essere il germe in causa.

La frequenza dei microrganismi varia a seconda delle cause predisponenti:

- ferite chirurgiche, cateteri venosi centrali, protesi, tossicodipendenza, neutropenia: i più frequenti sono
gli Stafilococchi, quindi imposteremo una terapia mirata per gli Stafilococchi, che spesso sono resistenti,
pertanto dovremo usare antibiotici diretti contro gli Stafilococchi-resistenti.

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- infezioni urinarie, cateteri vescicali: il più frequente è E.coli

- insorgenza nosocomiale (sospettiamo un microrganismo ospedaliero), immunodeficit: P.aeruginosa,


quindi dovremo scegliere antibiotici diretti contro questo batterio, che sarà resistente venendo
dall’ospedale => è il caso, per esempio, della sepsi da Klebsiella (attualmente ci troviamo di fronte ad
un’epidemia mondiale da Klebsiella Pneumoniae multi-resistente, cioè resistente ad ogni antibiotico

DIAGNOSI E VALUTAZIONE INIZIALE

Diagnosticare una sepsi e valutarne la gravità rappresenta un’emergenza, perché bisogna intervenire subito
con terapie appropriate.

1. Anamnesi, ci interessa:

➢ la storia clinica del paziente, in particolare è importante sapere quanto tempo il paziente è stato in
ospedale, perché questo condiziona molto l’eziologia della sepsi, e poi si valuta la presenza d’ipertensione
(tra gli elementi della sepsi c’è un’ipotensione, quindi se il paziente ha un’ipertensione, bisognerà tenere
conto di questa situazione basale, tant’è vero che nei casi di pazienti ipertesi non si calcola al di sotto dei 90
mmHg, ma si calcola quanto la pressione è più bassa rispetto alla pressione abituale), malattie
cardiovascolari o polmonari, la terapia farmacologica o eventuali allergie.

➢ il meccanismo del danno (dinamica, andamento immediatamente dopo il danno)


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2. Clinica: tachicardia, tachipnea, cianosi, oliguria, encefalopatia (confusione), ipoperfusione periferica,
ipotensione (SP< 90 mmHg, DP<65 mmHg)

3. Esami di laboratorio: Hb, WBC, PLT, Pt, aPTT, elettroliti, EGA, Ca, Mg, azotemia, creatinina, lattati; la
piastrinopenia e il numero di globuli bianchi rientrano tra i criteri di definizione della sepsi.

4. Monitoraggio: ECG in continuo e monitoraggio respiratorio, monitoraggio invasivo della pressione arteriosa
e pressione venosa centrale, ossimetria, diuresi (oliguria e anuria sono una delle conseguenze principali
della sepsi), ecocardiogramma

5. Imaging (ci permette di valutare la sede d’infezione): Rx torace, Rx ed eco-addome, TAC toraco-addominale

È importante poi valutare il danno dei vari organi:

✓ Polmoni: si valuta la presenza di una precoce caduta della PO2 arteriosa (anche se ci si basa spesso sul
rapporto PO2/FiO2), Acute Respiratory Distress Sindrome (ARDS): trasudato dai capillari negli alveoli;
tachipnea ed iperpnea

✓ Reni (insufficienza renale acuta): oliguria, anuria, azotemia, proteinuria

✓ Fegato: elevati livelli di bilirubina, Fosfatasi alcalina (molto sensibile al danno di perfusione del fegato),
indici di colestasi

✓ Tratto digestivo: nausea, vomito, diarrea ed eventualmente ileo paralitico, gastrite erosiva, pancreatite,
emorragie sottomucose, intestinali, traslocazione batterica, ischemia intestinale

✓ Cute: le manifestazioni cutanee sono molto importanti in corso di sepsi, perché una delle caratteristiche
delle conseguenze della sepsi è il disturbo coagulativo (che può arrivare alla CID, ma anche decorre in modo
meno importante), che si presenta con manifestazioni cutanee minori, utili per avvalorare la diagnosi,
oppure specifiche di alcuni sindromi infettive, come Ecthyma gangrenosum (dovuto a P. Aeruginosa nei
pazienti neutropenici), petecchie e porpora (dovute a N. meningitidis o rickettsia, se c’è evidenza del morso
della zecca), emorragia o lesioni bollose nei soggetti che hanno mangiato ostriche crude (Vibrio Vulnificus),
eritroderma diffuso (sindrome da shock tossico da Staphylococcus aureus o Streptococcus pyogenes)

✓ Cuore: tachicardia, aritmie ventricolari (negli stadi avanzati bradicardia, fino all’ACC), ischemia miocardica,
depressione della contrattilità miocardica

✓ Cervello: agitazione (c’è uno stato di ansia dell’ammalato, che sta acutamente male, quindi possiamo non
spiegarci questo stato d’agitazione, che invece va inquadrato all’interno del quadro clinico complessivo
come sintomi clinico), stato confusionale, sopore, coma (encefalopatica da shock)
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✓ Fegato: epatite ischemica (“fegato da shock”, caratterizzato da un quadro di colestasi intra-epatica)

✓ Ematologico: CID, trombocitopenia

✓ Metabolico: iperglicemia (per glicogenolisi e/o gluconeogenesi), ipoglicemia (che generalmente nel decorso
della sepsi è più tardiva), ipertrigliceridemia

✓ Sistema immunitario: mentre nelle fasi inziali prevale l’eccesso di risposta immune, nelle fasi più avanzata
della sepsi, (quindi quando è già stata diagnosticata come tale) prevalgono gli effetti immunosoppressivi
con depressione dell’immunità cellulare e umorale, che ha lo scopo di bloccare la progressione della
malattia, ma che poi può avere conseguenze in termini di ulteriori infezioni che si sovrappongono

Poiché la funzionalità dei vari organi è fondamentale nella classificazione della sepsi, a metà degli anni ’90
(1996) venne individuato il SOFA (sepsis organ failure assessment) score, che era un sistema che assegnava
dei punteggi a ciascun sistema o organo che era interessato dall’insufficienza in corso di sepsi, in base a
quello che si trovava.

Per esempio, in caso d’insufficienza renale se la creatinina era inferiore a 1,2 mg/dl il SOFA score assegnava
0 punti, ma se la creatinina era > 5 mg/dl con un’emissione di urina < 200 ml/al giorno, il punteggio saliva a
4; oppure nel caso dell’ipotensione, si valutava la sua presenza e la possibilità di correggerla, e se era
correggibile, con quanto la si poteva correggere (<5 mg di Dopamina, 2 punti, > 5mg, 3 punti…).

Il massimo punteggio era 24, considerando i 6 parametri, e chi aveva un punteggio più alto, aveva una
probabilità di morte entro 4 settimane quasi del 100%; questa probabilità d’incremento del rischio di
mortalità era graduale. In realtà, bastava avere un punteggio > 11, affinché il rischio di morte entro i 28
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giorni arrivasse al 50%. Quindi, questo score ci permetteva di individuare quella porzione di pazienti con
rischio più elevato di mortalità, prestando pertanto maggior attenzione a questi pazienti nella valutazione
della prognosi.

Tuttavia, questo score sembrava troppo complicato, per cui si è poi utilizzato un punteggio più semplice, il
quick SOFA: i parametri che vengono valutati sono la frequenza respiratoria, l’ipotensione e i disturbi
mentali, che vengono valutati soprattutto clinicamente.

Ad ogni parametro viene assegnato un punto:

 Frequenza respiratoria > o uguale a 22 atti respiratori/min, si assegna un punto

 Pressione arteriosa < o uguale 100 mmHg, si assegna un punto

 Disturbi mentali di qualsiasi tipo, utilizzando il Glasgow coma scale (che dev’essere <15), si assegna un
punto

➢ Se nessun parametro dei 3 è interessato, la mortalità è <1%,

➢ se 1 parametro su 3 è interessato, la mortalità è 2-3%,

➢ se sono interessati 2 o 3 parametri, la mortalità è > o uguale al 10%

Oggi si utilizza il quick SOFA score, che poi ha portato alle modifiche della definizione di sepsi nel 2016.

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E’ stata eliminata la categoria “sepsi grave”.

Se troviamo queste manifestazioni, siamo sicuri che il paziente ha una sepsi. Per valutare l’aggravamento
della sepsi, ci si basa sulla pressione arteriosa, perché, non essendoci più la sepsi grave, l’unico
aggravamento possibile è la morte o lo shock settico.

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Lo stato di coscienza nelle fasi iniziali può essere normale, ma in realtà non lo è mai, perché c’è sempre uno
stato di agitazione, spesso c’è confusione, quindi il paziente non è in grado di dire precisamente dove si
trova, perché si trova lì, cos’è successo, e non risponderà a tono.

Si avrà irrequietezza ed agitazione, che poi cederanno il passo ad uno stato soporoso fino al coma.

Per valutare in modo più preciso, quindi, quantificare e monitorare quest’alterazione del SNC, si usa la scala
di Glasgow, che assegna un punteggio a ciascuna di queste 3 condizioni:

[Risposte verbali orientate (cioè il paziente risponde più o meno a tono); risposte motorie: localizza il dolore
(cioè se diamo un pizzico sul torace del paziente e cerca di allontanare la mano, perché ha capito che il
dolore interessa i muscoli del torace, allora si assegna un punteggio pari a 5); risposte motorie: estende al
dolore (si ha una risposta motoria in decerebrazione, cioè il paziente in risposta ad uno stimolo doloroso si
estende, perché non riesce a flettersi).]

Il massimo punteggio che il paziente può raggiungere è 15, quindi paziente sveglio e cosciente, e più scende
questo punteggio, più saranno compromesse le funzioni cerebrali del paziente.

ESAMI DI LABORATORIO

➢ esame emocromocitometrico:

- leucocitosi

- neutrofilia

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- leucopenia (associata a prognosi infausta)

- piastrinopenia con coagulopatia da consumo (nel senso che sono consumate le piastrine, ma anche i
fattori della coagulazione) => CID

➢ test della coagulazione:

- prolungamento del tempo di protrombina o di tromboplastica

- diminuzione del fibrinogeno

- aumento dei marcatori di fibrinolisi (se si è realizzata una CID, saranno prodotti in eccesso quegli agenti
che vanno a lisare questo coagulo, quindi avremo un aumento dei prodotti di degradazione della fibrina o
D-dimeri)

➢ elettroliti e funzionalità renale:

- creatinina

- aumento del potassio, che indica la sofferenza muscolare periferica dovuta ai disturbi circolatori connessi
con la sepsi (rabdomiolisi)

➢ test di funzionalità epatica:

- alterazioni minori (comuni)

- aumento di bilirubina

- transaminasi

- fosfatasi alcalina

Ci sono poi due test specifici:

➢ Proteina C Reattiva (PCR): è una proteina di fase acuta (infezioni, traumi, interventi chirurgici), che viene
considerata un indice molto sensibile d’infiammazione ed è generalmente ben correlata a quanta
infiammazione c’è in quel paziente. È prodotta dagli epatociti in seguito alla stimolazione ad opera dell’IL6.
Si osserva tra le 24 e 48 ore e non sempre è correlata con lo sviluppo o la scomparsa del focolaio infettivo.

➢ Procalcitonina (PCT): viene rilasciata in circolo dopo 3-4 ore dopo una singola iniezione di endotossina ed
aumenta costantemente fino alle 24 ore. Le variazioni della PCT nel corso della sepsi e dello shock settico
riflettono l’aumento e decremento della risposta immunitaria e hanno un comportamento parallelo con la
situazione clinica dei pazienti. Ci aiuta inoltre a valutare come risponde il paziente alla nostra terapia.

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Questi esami sono un po’ meno importanti, nel senso che ci portano verso una diagnosi più precisa.

PROGNOSI

La morbidità e letalità variano in relazione a:

• nazione di rilevamento (avere la sepsi a Taiwan è diversa dall’averla nel Vietnam: la terapia intensiva in
questi paesi del Sud Est asiatico, forse perché si è formata nel corso delle guerre che vi sono state, è molto
efficiente, quindi in genere a Taiwan c’è un numero di stanze di terapia intensiva e isolamento elevatissima,
4000-5000; ci sono delle differenze anche tra Francia e Spagna, Italia e Grecia, quindi ci sono percentuali di
sopravvivenza diverse)

• tipologia di paziente

• disponibilità di terapie intensive, collegata alla nazione di rilevamento

• caratteristiche di definizione della sepsi: la definizione di sepsi cambia, e soprattutto oggi può essere
diversa, perché non c’è un accordo comune, quindi la mortalità sarà diversa a seconda della definizione
data (per esempio, la definizione data nel 2016 abbassa di molto la mortalità attesa)

• Gravità della infezione.

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La letalità è:

• 10-20% per batteriemie

• 20-30% per sepsi

• 50% per sepsi grave (di cui però non si parla più) /shock

• 80% per MODS

Microrganismo in causa:

• 15% stafilococchi coagulasi negativi

• 25% bacilli gram negativi

• 30% enterococchi

• 40% Candida spp.

APPROCCI TERAPEUTICI DI MAGGIORE EFFICACIA

• Riconoscimento precoce di preshock- tachipnea, che porta ad alcalosi respiratoria

Bassa Pco2, pH >7.45

• Somministrazione abbondante di liquidi (per cercare di riempire il letto vascolare che si è disteso),
cristalloidi o colloidi (i plasma-expander, che attirano acqua dall’interstizio, e sono così grandi come
molecole che non fuoriescono dai vasi, in genere sono dei gel, che si somministrano in maniera diluita ed
hanno la capacità di trattenere i liquidi nel circolo)

• Tempestiva somministrazione di antibiotici efficaci

Questo è quello che si dovrebbe fare: prima di tutto, bisognerebbe rendersi conto che siamo in una
condizione di sepsi o pre-shock, poi bisogna mantenere le caratteristiche del circolo, perché la sepsi si
caratterizza per la riduzione della perfusione degli organi periferici, quindi non dobbiamo arrivare a quel
punto, ma dobbiamo cercare di tenere alta la pressione e riempire il letto vascolare; infine, possiamo
cominciare a pensare di dare degli antibiotici. Chiaramente qui stiamo parlando di minuti, ma la sequenza è
questa.

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STRATEGIE TERAPEUTICHE NELLA SEPSI

Migliorare la perfusione degli organi:

• Espandere il volume plasmatico effettivo con i liquidi e i cristalloidi

• Monitoraggio emodinamico (dobbiamo sapere in qualsiasi momento com’è la pressione del paziente

• Possono essere necessari farmaci vasopressori:

in caso di Shock Settico Compensato:

• Fenilefrina

• Norepinefrina

• Dopamina: viene detta anche revival, proprio perché è una delle principali ammine vasoattive che si usano
in moltissime condizioni cardiologiche o rianimative

• Vasopressina

In caso di Shock Settico scompensato:

• Epinefrina

• Dobutamina + Fenilefrina/Norepinefrina

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Di seguito vediamo gli effetti che determinano questi farmaci:

Alcuni hanno uno spiccato effetto inotropo, altri sono indifferenti sul cuore; diversi sono efficaci sulla
vasocostrizione, che dev’essere calibrata, perché un’eccessiva vasocostrizione non aumenta il flusso verso
gli organi periferici, ma lo riduce perché induce un vasospasmo.

SUPPORTO ALLA DISFUNZIONE DEGLI ORGANI

➢ Terapie di supporto della funzione renale: emodialisi, dialisi peritoneale, dialisi intermittente

➢ Supporto Cardiovascolare: vasopressori, inotropi (che aumentano la contrattilità e la forza di


contrazione muscolare, perché molte ammine vasopressorie sono efficaci sul cuore, ma aumentano la
frequenza cardiaca ancora di più rispetto all’aumento che già si verifica come meccanismo compensatorio
messo in atto dal cuore in risposta all’ipotensione; questo può comportare disturbi del ritmo cardiaco,
come una fibrillazione atriale o addirittura una fibrillazione ventricolare)

➢ Ventilazione Meccanica come supporto per la funzionalità respiratoria

➢ Trasfusioni per la disfunzione emorragica

➢ Minimizzare l’esposizione a terapie epatotossiche e nefrotossiche (come gli stessi antibiotici,


alcuni dei quali sono nefrotossici e non si dovranno somministrare in alcune condizioni)

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TERAPIA OTTIMALE DELLA SEPSI

Gli antibiotici restano la scelta più critica da fare:

• La terapia dev’essere tempestiva, efficace, ad ampio spettro

• Devono essere considerati i problemi di resistenza, quindi bisognerebbe sapere se il germe in causa, è un
germe ospedaliero, evenienza che si verifica, per esempio, nei pazienti che provengono da un reparto
ospedaliero o dalle case di riposo (perché i pazienti che si trovano nelle case di riposo spesso vanno e
vengono dagli ospedali, quindi sono colonizzati da germi ospedalieri)

• Modificare la terapia antibiotica, quando il microrganismo viene individuato

• Molti pazienti con sepsi non hanno una coltura positiva

Farmaci disegnati per neutralizzare le azioni biologiche della risposta infiammatoria, però non c’è ancora
un protocollo di utilizzo di questi farmaci “patogenetici”, cioè che entrano nel meccanismo con cui si
sviluppa la sepsi.

Per quanto riguarda la terapia antibiotica, vanno utilizzati antibiotici battericidi e non batteriostatici,
perché abbiamo bisogno di un’azione rapida che vada a lisare i batteri responsabili della sepsi.

Spesso è necessaria una terapia d’associazione per i meccanismi di potenziamento, che alcune
combinazioni di antibiotici hanno: per esempio, beta-lattamico/glicopeptide + aminoglicoside hanno
un’azione di potenziamento, cioè la somma dell’attività, 1+1, non fa 2, ma fa 3, quindi è importante
scegliere questo tipo di associazione. La via di somministrazione è endovenosa.

Il farmaco va usato al dosaggio massimo consentito e talvolta anche di più, perché le case farmaceutiche
per avere una registrazione in più condizioni, se il farmaco ha una certa tossicità muscolare, per esempio, lo
registrano a dosaggi inferiori, che sono più sicuri in termini di effetti collaterali, ma meno efficaci dal punto
di vista dell’utilizzo; per esempio, un farmaco che si utilizza moltissimo contro i Gram+, la Daptomicina,
inizialmente è stata registrata a 4 mg/kg, ma oggi l’utilizzo normale va da 8 a 12 mg, quindi dal doppio a tre
volte di più.

La terapia va decisa senza avere informazioni precise sull’agente patogeno, quindi va fatta una terapia
empirica in base a:

✓ sede dell’infezione,

✓ tipo di esposizione,

✓ stato immunologico,

✓ allergie farmacologiche
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Bisogna evidenziare e rimuovere un materiale infetto (se si pensa che la sepsi proviene da un catetere
venoso centrale infetto, il catetere va tolto, oppure si drenano gli ascessi...)

L’importanza della tempestività può essere evidenziata, guardando il seguente grafico: si valuta la
sopravvivenza in base a quanto tempestivamente viene iniziata la terapia antimicrobica. Se la terapia
antimicrobica, viene iniziata immediatamente (meno di mezz’ora), la sopravvivenza è massima, ma più
tempo aspettiamo per iniziare la terapia antibiotica, più diminuisce la sopravvivenza.

Considerando la diffusione dei ceppi microbici resistenti, una terapia a spettro abbastanza ampio dovrebbe
contenere:

✓ cefalosporine di III-IV generazione+ aminoglicoside, che determina quel fenomeno di potenziamento

✓ carbapenemi (ultimi derivati della penicillina) + aminoglicoside

✓ Piperacillina-Tazobactam+ aminoglicoside (associazione tra una penicillina attiva sui Gram- e un


antibiotico suicida, cioè gli enzimi dei batteri resistenti che dovrebbero lisare la Piperacillina, attaccano il
Tazobactàm, che li blocca, rendendo la Piperacillina capace di agire senza essere distrutta dagli enzimi di
resistenza batterica)

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Si ha sempre l’associazione con gli aminoglicosidi, perché questi sono antibiotici immediati, a differenza per
esempio, delle Tetracicline, che agiscono dopo 48 h dalla somministrazione, e in caso di sepsi non è
possibile attendere un tempo così lungo.

Se l’incidenza di Stafilococchi aurei multiresistenti (MRSA) è elevata, bisogna aggiungere un antibiotico


anti-Stafilococco, come la Vancomicina, Teicoplanina o il Linezolid.

FATTORI CHE RENDONO ADEGUATA LA TERAPIA ANTIBIOTICA NELLA SEPSI

La sede di infezione, se nota, aiuta a limitare le scelte (intraddominali, o infezioni necrotizzanti dei tessuti
molli suggeriscono la necessità di copertura anche per gli anaerobi; dei farmaci che abbiamo visto prima,
solo i Carbapenemi agiscono sugli anaerobi, per cui se noi pensiamo che ci siano degli anaerobi, o
somministriamo un Carbapenemo, che più o meno funziona su questi batteri, oppure va fatta una terapia
specifica per gli anerobi, ovvero il Metronidazolo)

I polmoni sono la sede di infezione documentata più comune, quindi dobbiamo essere certi che
l’antibiotico utilizzato agisca sul polmone (per esempio, la Daptomicina non funziona sul polmone, perché è
inattivata da enzimi presenti sulla superficie polmonare)

Il quadro di resistenza nell’ospedale o nella comunità a seconda di dove è stata acquisita l’infezione: ci
dovrebbe essere un monitoraggio costante in ogni ospedale e in ogni reparto del tipo di germi che vengono
isolati, perché così si può sapere con che germi abbiamo a che fare; lo stesso vale per la comunità, ma se
noi sappiamo che il germe è “comunitario”, cioè che il paziente ha acquisito a casa sua, è molto più difficile
capire se ha delle caratteristiche particolari, però se il paziente ha acquisito il germe in una casa di riposo, si
potrebbe identificare, perché potrebbe esserci un elenco d’infezioni che in quel posto sono state contratte

Generalmente bisogna garantire una copertura per Gram-positivi e Gram-negativi.

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Questo è quello che accade se si sbaglia terapia antibiotica: dei 4579 pazienti che fanno una terapia
appropriata, 52 sopravvivono; dei 1136 che fanno una terapia inappropriata, 10 sopravvivono. Il rischio di
morire per terapia inappropriata è 9,45%: questo vuol dire che se si fa una terapia antibiotica appropriata o
meno, si ha 10 volte la probabilità di morire se si fa una terapia inappropriata, e queste percentuali variano
a seconda del paziente. (P value esprime la probabilità casuale, determinata dal fatto che uno fa la terapia
appropriata e uno quella inappropriata).

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L’anamnesi è fondamentale: per esempio, sapere che il paziente ha fatto terapia antibiotica nei 3 mesi
precedenti, ci dice che questa terapia ha modificato la flora normale di questo paziente.

Fare una monoterapia o una terapia combinata dà risultati diversi in termini di mortalità entro 28 giorni,
perché la terapia combinata ha un maggior effetto protettivo, che si osserva anche se questa viene fatta
con il paziente in terapia intensiva.

Mentre il paziente fa terapia antibiotica, dev’essere mantenuto in vita e costantemente monitorato:

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Nuovi approcci terapeutici, che però non sono codificati, prevedono:

• Proteina C attivata (Drotrecogin alfa): ha azione anti-trombotica e si dà in genere per trattare le emorragie

• Terapia insulinica per mantenere la glicemia tra 80-110 mg/dl, così da aumentare la fagocitosi e ridurre
l’apoptosi cellulare

• Anticorpi monoclonali anti-lipopolissacaridi e in genere anti-endotossine, anti-recettore per l’IL-1, anti-


bradichinina, anti-PAF, anti-TNF

• In futuro si potrebbe utilizzare:

✓ IL-12, per stimolare la risposta immune Th1

✓ Ab anti-C5a

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