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Ouverture, C’è musica e musica

Luciano Berio
December 8, 2018

Abstract
Prima puntata del programma televisivo ”C’è musica e musica”

1 Cos’è la musica
Sono l’autore insieme con Vittorio Dolenghi di questi 12 programmi sulla musica
filmati da Gianfranco Mingozzi. Non si tratta di un programma di indovinelli
musicali ma piuttosto di una cronaca, di un divertimento e più spesso di una
meditazione su quel processo sempre aperto, sempre da farsi che è l’espressione,
l’esecuzione e la ricerca musicale in genere. Nell’insieme infatti queste trasmis-
sioni non vogliono proporre delle opinioni bell’e fatte ma piuttosto sviluppare
una polifonia di opinioni diverse e, nei limiti del mezzo televisivo, cercare di far
capire la sostanza spirituale e morale del lavoro musicale. C’è musica e musica
coglie quel processo musicale in un periodo molto preciso che va dal 1970 al
1972.

J. Cage: E’ semplicemente una parola. E quando la si dice con garbo la


gente la chiama canzone, se no non molti capiscono che è musica, ma qualcuno
di noi sı̀.
K. Stockhausen: La musica è il più rapido viaggio di ritorno per l’eternità.
G. Menotti: (forte risata) Vorrei ben saperlo anch’io cos’è a musica.
C. Cardew: E’ l’espressione naturale del proprio rapporto col mondo es-
terno.
B. Maderna: La base di partenza è “la musica muove i sentimenti”, come
diceva Monteverdi; quindi la musica non è un’arte dei suoni ma i suoni non sono
altro che un mezzo per mettere chi li ascolta in un particolare stato d’animo.
J. Tavener: E’ il mio modo di glorificare Iddio.
Y. Xenakis: E’ il modo in cui l’uomo può superare se stesso: col fare la
musica e col capirla.
D. Bedford: E’ qualcosa che esiste; c’è poco altro da dire. Qualcosa che
esiste e si fa, o per il proprio divertimento o per il divertimento degli altri.
K. Penderecki: Per me la musica è una possibilità dio intesa con la società,
di dire quello che non riesco a dire scrivendo, perché l musica è il mio mestiere.
J. Cage: La musica è tutto quello che si sente.

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L. Foss: E’ un’arma. Un’arma che non fa male a nessuno. Un’arma per
combattere il nemico. Il nemico è tutto quanto minaccia di annientarmi. Qual-
siasi cosa voglia portarmi via la libertà o l’amore. E’ tutto ciò che è intorno a
me; non so definirlo con una parola, anticamente lo chiamavano il diavolo.

Buonasera, il mio nome è Luciano Berio e sono un musicista. Questa


sera iniziamo una serie di programmi sulla musica, e questi programmi non
pretendono di essere un’indagine scientifica, completa e obbiettiva. Io penso
che l’obbiettività non esista. D’altronde, anche se avessimo voluto essere com-
pletamente obbiettivi o obbiettivamente completi, non avremmo potuto esserlo
perché è un’impresa pazzesca, ve lo assicuro, inseguire decine e decine di mu-
sicisti per mezzo mondo, cioè tutta gente che vive con la valigia in mano. Infatti
ce ne sono sfuggiti alcuni e ce ne dispiace molto. Non vi racconterò cosa suc-
cederà in queste puntate, se no non ci si diverte più. Una cosa però vorrei dirvi,
è che la ragione principale di questo lavoro è stata quella di avvicinarvi a chi fa
la musica, cioè a chi la compone e a chi la esegue. E vedrete che incontrerete
tra di loro cervelli nonché cuori e orecchi tra i più acuti del nostro tempo. In
questa prima puntata abbiamo chiesto che cos’è la musica, perché la musica, che
cosa vuol dire “c’è musica e musica”, questo vecchio detto che abbiamo scelto
come tema e titolo dei nostri programmi. Sono domande assurde naturalmente,
un po’ come chiedere che cos’è la vita, cos’è l’amore, cos’è l’intelligenza, eppure
queste domande si sono rivelate un pretesto valido per conoscere da vicino e
anche, direi, dal di dentro, i musicisti. E cosı̀ è accaduto che i veri protagonisti
di questo viaggio, di questo gioco anche, sono stati proprio loro.

2 Perché la musica
Per diventare un professore d’orchestra occorrono anni e anni di lavoro fisico
e intellettuale che non è forse paragonabile a nessun’altra professione. Per un
musicista non si tratta solo di capire, ricordare ed elaborare delle nozioni, ma di
coordinare corpo e cervello in maniera molto sottile e specifica. Questa vale per
chi suona uno strumento, per chi compone una musica e, in un certo senso, anche
per chi l’ascolta. In ultima analisi la musica è anche un esercizio di unificazione
tra corpo e intelletto. Un musicista che si presenta in pubblico in fondo vuole
anche raccontare questa sua vicenda personale, iniziata in gioventù, di come è
riuscito a trasformare una cosa nell’altra, fino a pensare col corpo, a sentire col
cervello. Avete visto, ci siamo messi tutti in frac e, con l’aiuto dell’Orchestra
Sinfonica, abbiamo fatto come nei vecchi film di Hollywood: una storia di suc-
cesso passando dalle stalle alle stelle, cioè dallo studente al concertista arrivato.
Perché la musica? Perché si fa la musica? Perché la si cerca? Perché tanto la-
voro per dare un altro senso alle dita, al fiato? Forse c’è qualcuno che può vivere
senza musica, che pensa alla musica come a un di più, qualcosa di distante e di
futile in confronto alle esigenze fondamentali della vita, come il lavoro, l’amore
e il godere di buona salute. Futile perché la musica è, come si suol dire, astratta
e non serve a niente, materialmente; non si può appendere a un muro, svanisce

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nell’aria e viene ripercorsa e reinventata dalla nostra memoria. Distante perché
i suoi mezzi concreti, poniamo un pianoforte, non sono reperibili in natura come
il verde di un pittore o la pietra di uno scultore. Per ora accontentiamoci di
constatare che, comunque, la musica c’è e forse non ce n’è mai stata tanta come
oggi, intorno a noi. E allora chiediamolo a Massimo Mila, musicologo, perché
la musica?

M. Mila: Quando si chiede il perché di qualche cosa, a questo perché,


generalmente, si dà un’accezione teleologica, finalistica, cioè si crede che questo
perché voglia dire, a che scopo? Secondo me questo è il sistema brevettato
per non capire niente di quello che accade nel mondo. Voltaire diceva che il
teleologismo è la mentalità di quelli che credono che il buon Dio abbia inventato
la pianta del sughero perché noi ci possiamo fare i tappi. E’ chiaro che con
questo sistema di idee non si spiegherà mai niente. Il perché la musica, ha un
senso e dà a sé stesso la propria risposta soltanto se si dà alla parola perché il
significato causale che ha normalmente, che ha rettamente. Perché la musica?
Perché ci sono dei germi preesistenti, c’è una vis, c’è una forza che produce
qualche cosa. Perché un albero? Perché sotto ci sono i semi.
H. Pousseur: Marx dice che l’arte è la gioia più alta che l’uomo dia a sé
stesso. Non credo che sia soltanto l’uomo a darla a sé stesso ma anche qualcun
altro, il mondo, Dio, non so. Il filosofo Ernst Bloch ha detto che la musica è
una sorta di premonizione della vittoria sulla morte, in ogni caso è la vittoria
sul tempo e nella musica il tempo è qualcosa da vivere.
A. Copland: Sı̀, penso che ognuno abbia bisogno della musica, in diversa
misura. C’è chi non ne ha bisogno affatto e mi dispiace per lui. Amare realmente
la musica è un dono del cielo che bisogna sviluppare, ingrandire il più possibile.
G. Ligeti: Perché l’amore?
K. Wachsmann: Fondamentalmente la musica è il frutto della tristezza e
della sofferenza.
Studente 1 (Evenstone, Illinois): Mi pare che la nostra sia la prima gener-
azione che tenti di insegnare qualcosa con la musica, o addirittura in certi casi
a combattere con la musica.
Studente 2: Mi sembra che la musica dovrebbe tentare di avvicinare le
persone tra di loro.
D. Milhaud: (sorridendo) E perché no?
D. Cross (giovane professore di biologia): Per me, fondamentalmente, è
un’introspezione dei miei sentimenti. Nella misura in cui noi siamo sensibili
ai nostri stessi sentimenti direi che il nemico è il compiacersi di questa nostra
sensibilità.
A. Boucourechliev: Perché la musica? In ogni caso è qualcosa che è un
modello dell’uomo e del suo comportamento.
M. Tippett: Tutto ciò che possiamo dire è che andando indietro, ma anche
andando avanti, l’arte è vecchia quanto l’umanità: ci sono dei piccoli flauti
fatti di osso, trovati in una caverna dell’età glaciale. Ci si può suonare due
note, quindi l’uomo faceva musica già nell’età glaciale e farà musica quando

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arriveremo a un’altra età glaciale.
L. Nono: Per me la concezione di Antonio Gramsci, quindi la cultura come
momento egemone della classe operaia è anche nella musica. La musica inter-
viene nella vita, quindi il musicista sceglie nella vita, sceglie una parte, sceglie sul
piano tecnico, quindi il momento di conoscenza del problema tecnico analitico
è un momento anche di scelta perché non si fa proprio un mezzo tecnico unica-
mente per sé ma lo si analizza perché c’è – cosa può servire, strumento di cosa?
Credo che oggi il problema fondamentale per me non è tanto la definizione della
musica quanto della sua funzionalità e, ripartendo oggi in un modo nuovo, dopo
il ’68 ’69, cioè dopo la lotta studentesca e operaia, che pone dei problemi nuovi,
anche nella cultura, io credo che la domanda veramente fondamentale sia sulla
funzione della musica. Come la musica può intervenire nella lotta di oggi, come
la musica può aver significato nella lotta, dato che io scelgo, dato che il musicista
sceglie comunque una parte, come la musica mia può intervenire e contribuire
nella coscienza o nella lotta della classe operaia, quindi decisamente da una
parte.
M. Babbit: Sembrerò un po’ egocentrico ma pare che io scriva per me
stesso. La ragione poi per cui questo mi da soddisfazione coinvolge moltissime
altre ramificazioni.
M. Subotnik: E’ un problema difficile (ridendo).
K. Stockhausen: Il vero significato e scopo della musica è prima di tutto
quello di modellare gli uomini e di riuscire a modularli all’interno fino negli
atomi che li compongono, attraverso vibrazioni cosmiche che si tramutano in
vibrazioni sonore. Sono queste vibrazioni che i musicisti utilizzano e ne fanno
qualcosa di nuovo. In sostanza la musica serve come mezzo per ritrovare noi
stessi e il nostro collegamento con il cosmo, con il divino.
T. Willis: Credo che se lo chiediamo a questo particolare gruppo di studenti,
non sarà facile capire chi è il nemico. Questo una certa difficoltà generale che
tutti abbiamo nel considerare la musica come una forza sociale diretta. Una
delle cose che dimentichiamo, secondo me, e sempre continuiamo a dimenticare,
è che la musica realmente è una forza sociale diretta. Ancora parliamo in termini
di “vogliamoci bene”, ancora parliamo di “sensibilità”, poi trattiamo materiale
rivoluzionario in maniera distaccata e vogliamo persuaderci che questo modo
distaccato, come L. Foss ha detto, non è violento, né pericoloso. Secondo me
invece esso è sia violento, sia pericoloso.
L. Bernstein: Se qualcuno potesse rispondere a questa domanda credo
che non avremmo più bisogno di messe come quella che ho appena composto.
Capiremmo la causa di tutto, capiremmo tutti gli indovinelli di questo mondo.
E’ uno scherzo di natura, altrettanto impossibile a spiegarsi quanto la causa
originale.

Alla domanda del “perché la musica?”, i musicisti e i filosofi della musica


dei secoli scorsi avrebbero dato risposte certamente differenti e più omogenee.
Perché? Perché la musica nei secoli scorsi era più omogenea, cioè, nell’ambito
di una stessa grammatica, una stessa sintassi musicale, un musicista poteva

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comporre canzonette, danze di corte, mottetti a otto voci di enorme complessità
polifonica, concerti o sinfonie. C’erano diversi gradi di complessità nell’ambito
dello stesso linguaggio musicale. Oggi, che ci piaccia o no, i linguaggi sono
diversi. Per esempio, nella musica di Stravinsky i suoni sono collegati tra di loro
in maniera molto diversa che in una canzoncina dei Beatles. Sono mondi che
sembrano escludersi a vicenda non solo sul piano della complessità, ma anche sul
piano del linguaggio. Dobbiamo considerare queste come diverse facce di una
stessa musica? Io non credo. E se provassimo a considerarle come diverse facce
musicali di una stessa società? Per approfondire il problema, poniamo un’altra
domanda pretesto: “C’è musica e musica?”

3 C’è musica e musica?


M. Mila: Beh, che c’è della musica che vale e della musica che non vale, c’è
della musica che è attuale e altra che non lo è, c’è un modo di intendere e di
insegnare la musica che oggi può essere valido e c’è un modo di intendere e di
insegnare la musica che non funziona più. Suppongo che è questa l’idea.
P. Castaldi: Si potrebbe intendere dal punto di vista puramente nomen-
clatorio musica leggera e musica non leggera, cioè seria, cioè la musica senza
aggettivi. Allora la prima bisognerebbe che fosse discussa come fatto socio-
logico piuttosto che come fatto musicale perché, a parere di molti, e un po’
anche mio, non è veramente musica perché, per definizione, musica è quella che
è fatta secondo i gusti di chi la compone mentre invece la musica commerciale è
fatta secondo i gusti di chi la deve consumare, cosa che è in conflitto con l’idea
stessa di composizione.
G. Petrassi: Esiste questa molteplicità, perché la musica non si può dire
che sia una. E’ una in quanto manifestazione tecnica ma è molteplice in quanto
a destinazione. Se per i greci i vari modi dovevano corrispondere ai vari stati
d’animo e alle varie situazione dell’uomo cosı̀ anche adesso c’è una funzionalità
varia della musica. Evidentemente c’è una musica di divertimento, una musica
di consumo, una musica di accompagnamento, una musica di fondo e una mu-
sica che è propriamente la musica, che è l’unica protagonista della cerimonia
musicale.
P. Boulez: In effetti ci sono molti diversi piani di comprensione della musica,
e sempre ci saranno - musica e musica. Prima di tutto, rispetto al significato al
significato che si vuol dare alla parola, la musica è una componente dell’esistenza
di ognuno, ma nessuno vede la musica alla stessa maniera. C’è chi la vede in
maniera più filosofica, o più diretta, emotiva, o in maniera più intellettuale.
Oppure, più semplicemente, e avviene quasi tutti i giorni, in aereo, al ristorante,
in albergo, si usa la musica come rumore di fondo: un fondo contemporaneo,
mai esistito prima d’ora. Molti malintesi avvengono proprio dunque perché non
si ha chiaro il senso del termine musica. Perché la gente che vi parla di musica,
in realtà, vi parla di una certa musica, di solito della loro, del loro modo di
intenderla, senza capire il modo in cui la intendete voi. La parola musica, come
la parola letteratura, o la lingua, permette un maggior grado di comprensione tra

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gli uomini, ma allo stesso tempo permette tutti i possibili malintesi che possono
nascere tra di loro. Se non fosse cosı̀ tutti i popoli del mondo avrebbero scoperto
nello stesso momento la stessa musica, invece ogni cultura ne ha inventata una
propria, rispondente alle proprie necessità e a fini diversi.
L. Nono: Io penso che non è tanto questione di tipi di musica differente
quanto che ci siano tipi di funzione differente della musica. Cioè casi pratici:
nel Rinascimento, prendiamo il caso di Giovanni Gabrieli o Josquin Desprez;
loro componevano mottetti, sacri o profani, componevano messe e anche delle
canzoni. Josquin componeva messe e componeva delle canzoni a due o tre voci.
Quindi direi delle musiche che avevano una funzione, un rapporto diretto con le
necessità della società di allora, o delle musiche celebrative, come anche Andrea
Gabrieli ha composto per la vittoria di Lepanto, per esempio, o per i ricevimenti
di alcuni principi o duchi di altri stati esteri che venivano a Venezia; cioè erano
musiche avevano un certo tipo di funzione. Arrivando a oggi io direi che ci sono
diverse funzionalità della musica, c’è la musica che è scritta ancora per le sale
da concerto, musica che tende comunque a uscire dalle sale da concerto, vi sono
i gruppi di canzonieri italiani, che hanno un’altra funzionalità fino alle musiche
di totale evasione o intrattenimento.
H. Pousseru: Nella nostra società tutto ciò ha un significato assolutamente
negativo, da contestare. Un po’ perché la musica è presa come un’entità a sé,
opposta alla società o comunque distinta da essa, mentre la musica è semplice-
mente una funzione della società, come la lingua, è del tutto inseparabile da
essa. Se guardiamo le società diverse dalla nostra, vediamo che la musica è
apparentemente molto più integrata nella vita, non soltanto i rituali musicali
accompagnano tutti i gesti della vita, ma la musica è dappertutto. Nella nos-
tra vita quotidiana, nella nostra vita collettiva, sembra che ci sia una maggiore
frattura tra musica e società, ed è vero. Perché la nostra vita è stata tagliata a
pezzi dalle esigenze del mercato. La musica che è più lontana dalla vita quotid-
iana è quella borghese delle sale da concerto; vicino ad essa ci sono le cosiddette
musiche leggere, da intrattenimento, che sono molto più vicine alla vita, sono
nella vita: a guardare bene la nostra società si nutre e vive di musica quanto le
altre, ma in maniera più distorta, tortuosa, con molta cattiva coscienza.
J. Cage: Ci sono diversi suoni e molte diverse persone, e queste persone
hanno tutte idee diverse, qualcuna è d’accordo con me, altre con voi, altre ancora
né con me né con voi. Sı̀, c’è musica e musica, se è a tutti che pensiamo.
P. Schaeffer: C’è musica e musica. Spesso quando noi diciamo musica,
pensiamo alla nostra musica e pensiamo a quella degli altri continenti come
la musica degli altri. Poi c’è la musica degli uomini, poi c’è anche la musica
delle cose, degli altri esseri viventi, c’è la musica degli uccelli, degli animali.
Noi spesso diciamo scioccamente che sono soltanto urla, rumori. Ma perché
gli uccelli cantano, non lo sappiamo. Che cosa si dicono, che cosa c’è perfino
nell’orribile grido del corpo. E’ una lingua la loro o una musica?
K. Stockhausen: Ci sono tanti generi di musica quante persone che fanno
la musica. Ma ci sono anche tanti generi di musica quante sono le persone che
arrivano a percepirla. Si realizzano nella musica correnti che stanno nell’aria e si
chiamano “spirito dei tempi”. Il compositore è un tramite, come un apparecchio

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radio ricevente: le onde entrano nell’apparecchio radio ricevente e il composi-
tore le trasforma il più chiaramente possibile in note scritte, in partiture. Egli
stesso le suona qualche volta, utilizzando questa musica. Queste note scritte si
tramutano di nuovo in musica. L’uomo è quindi modulato dalla musica, sicché
non resterà mai la stessa persona.
Y. Xenakis: La diversità può dipendere dai compositori, stile, intelligenza,
capacità. Ma forse è più importante il diverso senso che ciascuno dà alla parola
musica: può essere soltanto un modo per passare il tempo o per ballare, o invece
un modo per trasformarsi, o una spinta mistica e cosı̀ via.
G. Menotti: Credo che esista un solo tipo di bellezza. Che la bellezza
veramente è un fatto ideale e che noi artisti siamo semplicemente delle creature
e che abbiamo delle brevi intuizione di quella che è la vera bellezza. Perciò i
diversi stili non sono altro che queste ricerche molteplici di questo unico tipo di
bellezza.
M. Tippett: C’è musica e musica perché c’è pubblico e pubblico, per es-
empio il pubblico dei Beatles non corrisponde esattamente a quello che viene
ad ascoltare noi. Eppure la musica tende a diventare oggi una musica sola; c’è
più scambio tra i diversi rami della musica, anche se uno rimane più indietro
mentre gli altri vanno avanti. Ma certo è un unico gigantesco corpo musicale.
L. Dallapiccola: Una società in cui il momento religioso è dominante es-
primerà una musica religiosa o sacra, il canto gregoriano ce lo dimostra. Una
società in cui sia carattere dominante l’individualismo esprimerà forti person-
alità. Nulla di valido nasce per imposizione delle autorità. Nulla. Neppure una
canzonetta si scrive senza convinzione. Prova ne sia la guerra fascista, la guerra
che non ebbe canti, nemmeno uno.
K. Penderecki: Dinnanzi allo sviluppo dei moderni mezzi di diffusione
della cultura, il ruolo della musica e del compositore è diventato completamente
diverso, è più facile, grazie alla radio, alla televisione, al cinema, al teatro. Il
compositore può dunque influire sulla società in modo più rapido ed efficace.
H. W. Henze: Lo può probabilmente molto meno di un regista di cin-
ema o di uno scrittore, perché la musica non ha parole, non ha immagini però,
credo, per lo meno, una cosa può fare: in alleanza con scrittori, aiutare ad avan-
zare messaggi, aiutare nella comunicazione di urgenti messaggi sulla situazione
umana di oggi. Credo anche che la musica stessa è in grado fino a un certo
punto di essere cosı̀ precisa, chiara e umile da poter raggiungere l’ascoltatore,
anche quello non coltissimo, e aiutare lui stesso ad analizzarsi e analizzare la
sua situazione nella società.

I musicisti che avete visto vi hanno aperto la porta a molte ipotesi e forse
anche a qualche certezza. E’ vero che la musica non è cosı̀ importante in maniera
immediata come certe cose, quali l’amore, il lavoro o la salute, ma il fatto è che
la musica sembra anche inserirsi in tutte queste cose, trascendendole e anche
molte altre cose che non hanno neanche un nome. E’ certo infatti che le idee
capaci di toccare e trasformare quei suoni, quei rumori, quelle dita, quel fiato,
sono fatte della stessa pasta delle idee che muovono il mondo.

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