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LA RESILIENZA NELLE ORGANIZZAZIONI

LA GESTIONE DEL CAMBIAMENTO NELLE ORGANIZZAZIONI: AFFRONTARE LO STRESS, LE


SITUAZIONI AVVERSE E INATTESE.

LA GESTIONE DEL
CAMBIAMENTO NELLE
ORGANIZZAZIONI:
AFFRONTARE LO STRESS,
LE SITUAZIONI AVVERSE E
INATTESE.

INTRODUZIONE
Possiamo definire la resilienza come una capacità strettamente legata alla gestione
del cambiamento.

Infatti, la resilienza rappresenta la competenza che consente di trasformare un


vissuto di sofferenza e disagio in un'opportunità per scoprire nuove potenzialità di
crescita e di miglioramento. Tale competenza riguarda sia gli individui, che i
gruppi, che le organizzazioni: ognuno di essi, infatti, può vivere momenti di crisi e
cogliere l'opportunità per riflettere sul proprio funzionamento e riorganizzarsi in
un'ottica di sviluppo.

Nell’ambito delle organizzazioni, ad esempio, un lavoratore o un contesto


resiliente gestiscono e affrontano le difficoltà in modo da mettere in atto tutte le
loro risorse individuali.
Essa si associa alla capacità di riflessione sulla propria esperienza lavorativa, alla
capacità di stabilire rapporti intimi e soddisfacenti, alla capacità di misurarsi con i
problemi perseguendo gli obiettivi prefissati.

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Inoltre è caratterizzato da capacità di tipo sociale come saper ascoltare,


confrontarsi, lavorare in gruppo al fine di superare momenti critici.

UN PO’DI STORIA

Come nasce il concetto di resilienza?

La parola “resilienza” deriva dal latino “resilio”, “rimbalzare”, stesso termine che
ritroviamo in alcune espressioni dialettali che riguardano proprio il farsi scivolare le
cose addosso.
Nato dal mondo della fisica, il concetto di
resilienza è stato utilizzato metaforicamente da
altre discipline per spiegare il funzionamento
dell'individuo, ma anche dei contesti sociali e
organizzativi.
Nel mondo della fisica la parola resilienza sta ad
indicare una capacità specificadi un materiale: un
materiale è resiliente nella misura in cui è in grado
di assorbire energia in caso di urto, cioè di
sopportarlo senza spezzarsi.

L'esperimento del pendolo di Charpy studia la


resilienza fisica di una provetta colpita da un
pendolo. Questo studio mette in evidenza come i
materiali resilienti siano quelli in grado di assorbire
un urto senza rompersi. In questo senso la funzione
chiave è l'assorbire, dal latino sorbere, sorsare,
ossia succhiare, prendere qualcosa con cui si è a

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contatto.
Anche altre discipline si sono occupate di resilienza. Ad esempio in architettura gli
edifici sono definiti resilienti se sono progettati per sopportare scosse sismiche di
grado elevato. Oppure in etologia e in biologia: la resilienza è la capacità di
autoripararsi dopo un danno e le specie con alti tassi di resilienza si definiscono le
specie r-strategy.
Anche in informatica si parla di resilienza, ad esempio la resilienza hardware è la
capacità della soluzione hardware di rete di rimanere attiva anche nel caso di
guasti o di usura, mantenendo la disponibilità dei servizi erogati.

Il concetto di resilienza è stato studiato anche in ambito psicosociale, soprattutto


da quegli autori che hanno lavorato con soggetti che avevano vissuto situazioni
traumatiche, sia fisiche che psichiche o si trovavano in condizioni sociali
svantaggiate. Hanno analizzato approfonditamente in particolare casi e profili
psicologici di minori inseriti in contesti difficili, in cui si riscontrava spesso una
grave discontinuità nella gestione della funzione di accudimento genitoriale e la
presenza di eventi fortemente critici nella storia familiare, incluse patologie
psichiatriche gravi nelle figure di cura. Ebbene, gli studiosi furono colpiti dal
riscontrare che questi soggetti non avevano perduto le capacità affettive, gli
interessi – anche di carattere artistico, la curiosità e la voglia di imparare,
nonostante appunto contesti familiari deprivati da questi punti di vista.

In sostanza, è stato riscontrato con sorpresa dagli studiosi che soggetti cresciuti in
ambienti sfavorevoli o con vissuti traumatici importanti, mantenevano un
funzionamento mentale adattivo e orientato allo sviluppo. Lo stupore deriva dalla
confutazione della convinzione radicata che tali capacità siano
deterministicamente connesse all'influenza dell'ambiente in cui si vive.
Questa sorpresa, che viene colta come qualcosa di molto positivo, ha destato la
curiosità degli studiosi, che hanno quindi cercato di capire meglio il rapporto tra
individuo e contesto.

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Allo stesso tempo è interessante, specie in un periodo di crisi economica e di


rivoluzione del mercato del lavoro, applicare queste riflessioni nel mondo delle
organizzazioni.

Nel caso dei processi psicologici, possiamo quindi definire la resilienza come la
capacità di elaborare i vissuti di crisi e le esperienze traumatiche a favore del
proprio sviluppo e della propria progettualità. In questo senso, la resilienza diventa
un elemento difensivo rispetto alla rassegnazione e consente di mettere in moto le
proprie risorse rischiando scelte o soluzioni innovative.
Il concetto di resilienza è stato associato a caratteristiche che, con parole di senso
comune, possiamo definire elasticità, vitalità, energia, atteggiamento fiducioso
verso la vita. Infatti, gli studiosi hanno cominciato a definire resiliente il soggetto
capace di resistere, dotato di flessibilità, elasticità, capacità di contenimento di
stress.

AFFRONTARE LO STRESS, LE
SITUAZIONI AVVERSE E
INATTESE

“Come lo strumento più importante per un insegnante è


il suo stesso comportamento, per un'organizzazione il
più efficace strumento di influenza è il suo stesso
comportamento”

Malcolm Knowles

Vediamo di approfondire cosa significa gestire il cambiamento in situazioni avverse


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e poco favorevoli, partendo dai dati emersi dalle ricerche che più di altre hanno
dato vita agli approfondimenti sul tema della resilienza.

Per poter gestire i cambiamenti nell'ambito del mondo delle organizzazioni gli
studiosi spesso si sono basati sugli studi che hanno analizzato i processi di resilienza
negli individui.

Il concetto di resilienza è da lungo tempo oggetto di riflessione per la psicologia.


Gli studi condotti da Emma Werner1 su circa 700 bambini dell’isola Kauai nelle
Hawai, per 40 anni dal 1955 al 1995 confutarono l'ipotesi di “ereditarietà” familiare
dei comportamenti devianti e si cominciò a pensare al concetto di resilienza. Molti
di quei bambini avevano un'alta probabilità di sviluppare problemi a causa di
diversi fattori di rischio: nascita difficile, povertà, famiglie con problemi di
alcolismo, malattie mentali, violenza, conflitti ebbero una vita completamente
diversa.

Emma Werner fu una delle prime ad applicare questo concetto ad un intervento


sociale: i risultati di questo studio furono spiegati attraverso un modello che tiene
insieme le diverse riflessioni sulla interrelazioni tra tratti individuali, contesto
famiglia e contesto sociale.

I bambini che avevano sviluppato comportamenti adattivi, secondo gli studiosi,


avevano avuto relazioni stabili, erano capaci di dare valore all’esistenza propria
e altrui, chiedendo e offrendo aiuto, credendo di poter intervenire con
efficacia sulla propria vita.

Nella letteratura sull'argomento si è assistito al confronto tra un modello


interpretativo che ipotizza la resilienza come una caratteristicha di personalità e
un altro modello teorico che la vede come un processo, un insieme di competenze

1 WERNER E., SMITH R., (1992) Overcoming the Odds: High Risk Children from Birth to
Adulthood, Cornell University Press, Ithaca (NY) in .Putton A. e Fortugno M. (2006), Affrontare la
vita. Cos’è la resilienza e come svilupparla. Roma, Carrocci Editore.

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acquisite.

Tornando allo studio di Emma Werner, un dato che risultò con molta evidenza fu
che durante l'infanzia, i bambini da lei seguiti erano entrati in contatto con adulti
che fungevano da punto di riferimento assimilabili a quelli di famiglia allargata. La
capacità di queste figure di supportare le competenze dei minori seguiti fu un
contributo fondamentale nella costituzione della resilienza di questi individui.

La capacità di mantenere una rappresentazione buona della propria esperienza è


tipica di quella percentuale di bambini che, nonostante la deprivazione, riescono a
crescere con risorse insperate e non prevedibili.

Un altro aspetto importante quando si parla di resilienza è il riferimento alla


capacità di ripristinare l’equilibrio o alla capacità di generare un nuovo
equilibrio.

La prima accezione riproduce una visione ingegneristica, la seconda invece di tipo


ecologico.

In questo secondo caso si pone cioè l'accento sulle trasformazioni da un sistema ad


un altro, riuscendo comunque ad essere in funzionamento adattivo. Questa ottica
di resilienza ecologica è stata fondamentale nella definizione di resilienza nelle
scienze sociali, così come nell’economia e nel management.

In particolare vediamo come l'ottica ecologica applicata alle scienze sociali metta
in evidenza l'interconnessione tra sistemi umani ed ecologici: potremmo dire, cioè,
che la resilienza inizia lì dove iniziano le interazioni tra i sistemi stessi e non
sulla stabilità dei loro componenti.

Gli studi della biodiversità e degli ecosistemi hanno consentito di cogliere come gli
esseri umani siano diventati fondamentali ed inseparabili nel sistema in cui vivono,
proprio per il fatto che dipendono dagli ecosistemi e grazie ai servizi che
forniscono agli ecosistemi stessi.

Nell'ambito delle scienze sociali si parla quindi di resilienza sociale per indicare la

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complessa attività di gruppi e comunità di adattarsi e svilupparsi anche entro


processi di cambiamento spesso drastici, problematici, che generano crisi.

Vengono anche elencate possibilità di sviluppo della resilienza attraverso il rinforzo


della stima positiva, i legami affettuosi significativi, la creatività naturale, il buon
umore, una rete sociale e di appartenenza, una ideologia personale che consenta di
dare un senso al dolore, in modo da diminuire l’aspetto negativo di una situazione
conflittuale, permettendo al soggetto di ipotizzare alternative in situazioni di
sofferenza.

Un altro fattore spesso collegato alla resilienza è la creatività, intesa come


capacità di rinnovarsi, di costruire un nuovo assetto rispetto a quello che è stato
destabilizzato. È la capacità umana di affrontare gli avvenimenti dolorosi e
rinnovarsi nonostante la deprivazione ambientale o la scarsità di risorse.

Dall’analisi degli studi si identificano alcune linee guida per poter rafforzare la
capacità di resilienza.

Un primo punto è la capacità di valorizzare aspetti fondanti la propria storia


personale, la disponibilità ad entrare in rapporto di richiesta di aiuto, la flessibilità
di fronte alle dinamiche di conflitto.

Ruolo centrale lo svolge il contesto, che può facilitare questo processo attraverso il
riconoscere e valorizzare questi aspetti, intervenendo per il loro rinforzo e
consolidamento, nonché per trasmettere la capacità di attuare queste stesse azioni
in modo autonomo.

Un modello utilizzato per descrivere alcune tappe che, secondo gli autori, meritano
attenzione nel processo di costruzione o rafforzamento di un processo di resilienza
è “La Casita” di Vanistendael e Lecomte utilizzato in Cile per i figli dei
desaparecidos che avevano subito il trauma della scomparsa drammatica dei
genitori o familiari.

Vediamolo da vicino.

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La “Casita” (casetta) è un modello di sviluppo della resilienza che mette in


evidenza le aree significative su cui intervenire, la loro importanza e le loro
interazioni.

Assume la rappresentazione di una casa, in quanto intende evocare una dimensione


di appartenenza e di contesto familiare che consente l'esplorazione delle diverse
aree.

I piani di cui è composta comunicano tra loro così come in una casa ogni area
rappresenta un obiettivo di intervento per sviluppare la resilienza,e il livello di
importanza.

Vediamo come si compone:

Il Suolo: la soddisfazione dei bisogni primari come sicurezza, salute,


alimentazione, sonno.

Le Fondamenta: sono costituite dall’accettazione della persona, che crea


l'atteggiamento di fiducia nel mondo, mediante una rete di relazioni di solidarietà.

Il Giardino: capacità di dare senso al proprio percorso di vita attraverso il gioco, lo


studio, il lavoro.

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Il Primo piano: c'è la capacità di costruire senso e di vedere la coerenza tra gli
eventi della propria esistenza. In quest’area si trovano la stima di sé, le attitudini,
le competenze, l'ironia. È la possibilità sentirsi protagonisti, capaci di progettare,
di vedersi nel futuro.

Il Granaio: Qui sono collocate tutte le altre esperienze da scoprire, il bagaglio


esperienziale che ogni individuo si costruisce via via.

“Ogni dimora è un candelabro dove ardono in appartata


fiamma le vite”
Jorges Luis Borges

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“Una cantina, è la memoria della casa. Non è solamente


piena di cose di cui non ci si serve più, ma è anche
piena di ricordi che non si vuole dimenticare”
Daniel Pennac

Prova a pensare alla tua esperienza personale.

Quali momenti, incontri, relazioni collocheresti nelle diverse aree della casa?

Procedi ambiente per ambiente così come preferisci.

Ora pensa alla tua esperienza lavorativa. Cosa indicheresti?

Accanto a questo modello è possibile declinare diversi percorsi attraverso cui


perseguire lo scopo di sviluppare resilienza. Possiamo riferirci a quanto indicato
dagli esperti dell'Americal Psychological Association:

 coinvolgersi entro buone relazioni con il proprio contesto familiare e


amicale;

 assumere il cambiamento come aspetto costante della propria esperienza,


più che come evento eccezionale;

 coinvolgersi nella gestione degli eventi più che attendere una loro
risoluzione autonoma;

 investire in occasioni da cui poter apprendere;

 dedicarsi alla cura di sé e dei propri desideri.

Vediamo come il fenomeno della resilienza studiato a livello individuale possa


essere utile alla comprensione della dimensione organizzativa.

Le organizzazioni e gli individui sono soggetti a eventi imprevisti, che spesso


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mettono alla prova la capacità di recupero; ciò che fa la differenza è il modo in cui
si gestisce questa incertezza.

Il bisogno di sicurezza e di continuità è insito nella natura dell'essere umano, si


esprime con l'attaccamento a ciò che si conosce e ci si sente rassicurati
dall'equilibrio che si sperimenta.

L'interazione con l'ambiente in cui si vive sollecita in modo più o meno intenso
l'esperienza della discontinuità, che si può tradurre in un vissuto di incertezza.
Pensiamo a eventi drastici come eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni, ma
anche crisi economiche, cambiamenti nel mercato, come nuove tendenze di
acquisto, nuove scelte etiche dei consumatori, ecc.

In ambito organizzativo, gli studiosi si interrogano sulle caratteristiche,


competenze e processi che rendono le organizzazioni resilienti, capaci di superare
o anticipare le crisi.

Le organizzazioni si possono definirle “sistemi che si


compongono di persone connesse in una rete, le quali si
accordano per perseguire obiettivi comuni, al fine di
raggiungere un profitto collettivo”.

Come l'ambiente si evolve, anche le organizzazioni sono costrette a farlo,


adattandosi, innovandosi, riorientandosi ai continui stimoli esterni.

La resilienza nelle organizzazioni è rappresenta dalla capacità di fronteggiare


situazioni di stress che sono connaturate ai rapporti, specie entro i contesti
produttivi.

Per situazioni stressanti possiamo intendere eventi critici che si presentano nella
loro quotidianità e vanno a determinare giorno per giorno un clima organizzativo
faticoso e non facilitante il buon lavoro, ma anche eventi critici intesi come forti
discontinuità o novità che generano rottura di equilibri consolidati.

In entrambe queste accezioni le organizzazioni si trovano, in rapporto alle


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sollecitazioni al cambiamento, nella necessità di trovare nuovi assetti, sia dal


punto di vista strutturale che funzionale e culturale.

Ogni evento ha una potenzialità stressante, lo diventa nella misura in cui gli
individui e i contesti lo percepiscono come stressante. In altre parole gli eventi
critici lo sono in quanto vissuti come tali.

Vediamo alcuni esempi di eventi critici che possono destabilizzare il funzionamento


di una organizzazione:

- esterni:

contesto generale: il sistema sociale, culturale, finanziario, politico,


bancario, ecc.

contesto di riferimento: clienti, concorrenti locali ed esteri, fornitori, ecc.

- interni:

conflitti, clima organizzativo, fusioni, licenziamenti, ecc.

Così come gli individui vivono un processo di adattamento che sollecita risposte
adattive e funzionali al superamento delle difficoltà, così le organizzazioni possono
gestire in un modo o nell'altro gli eventi critici.

Investire sulla capacità di resilienza organizzativa consente ad una organizzazione


di fronteggiare ad esempio le fluttuazioni spesso repentine del mercato.

Questo obiettivo passa attraverso la costruzione di processi di sviluppo della


resilienza personale delle diverse componenti dell’organizzazione, formando e
coinvolgendo le funzioni manageriali in modo che possano attivare processi a
cascata presso le altre funzioni nel proprio gruppo di collaboratori.

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Ad esempio, eventi che possono rappresentare crisi nella continuità


dell'organizzazione come fusioni, cambiamenti delle figure apicali, variazioni di
strategie aziendali, spesso sono trattate come variazioni strutturali, che
produrranno un cambiamento automaticamente. Si sottovaluta spesso la funzione
della condivisione in termini di comunicazione, coinvolgimento, orientamento e
motivazione.

Questi risultano invece fattori chiave per produrre gli obiettivi auspicati, che sono
correlati con la creazione di un buon clima aziendale.

Ad esempio l’acquisizione o la fusione tra organizzazioni con backgroud diversi,


spesso appartenenti a contesti sociali e nazionali diversi, se non è accompagnata
da processi che aiutino a comprendere quale nuova identità si stia generando,
lasciano lo spazio a pregiudizi, convinzioni, diffidenza verso le dimensioni estranee.

Tali dimensioni relazionali si traducono in disfunzioni organizzative: conflitti tra


regole e procedure, difficoltà di condividere processi produttivi che a loro volta
possono generare frustrazione sia a livello individuale che collettivo.
Si assiste spesso a conseguenze drastiche come interruzioni conflittuali dei
rapporti di lavoro, disorientamento, demotivazione e a livello organizzativo più in
generale, confusione e inefficienza di settori e processi aziendali.

Tutto ciò si traduce in termini economici in problemi di mancato o rallentato


perseguimento degli obiettivi programmati.

Si è quindi passati da un evento critico potenzialmente produttivo di nuovi equilibri


alla deriva di dimensioni distruttive e demotivanti l'organizzazione nelle sue diverse
componenti.

Supportare la capacità di un’organizzazione nell'affrontare un evento critico per


trovare un nuovo equilibrio non significa fornire procedure, oppure giudicare le
dimensioni di difficoltà, o proporre soluzioni ideali. Il percorso è quello di
riconoscere le risorse, il potenziale capace di perseguire anche piccoli cambiamenti
che possono fungere da apripista per quelli successivi. Questo processo produce
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consapevolezza circa le proprie potenzialità presenti e future, al fine di affrontare


le sfide che via via ci si troverà a vivere.

L'ipotesi quindi è di una resilienza come competenza acquisibile e sviluppabile, e


non come una caratteristica genetica, innata.

Atteggiamento rinunciatario, passivo, mancanza di motivazione nel percorrere ed


esplorare nuove modalità produttive e nuovi prodotti, si trasformano nella
dimensione psicologica dell'impotenza, nell’incapacità di affrontare le incognite
del nuovo e di riorganizzare le proprie risorse.

In alternativa a questa pozione c'è la possibilità di confrontarsi, mettendo in


discussione la cultura e le prassi fin lì adottate. Lo scopo è quello di recuperare
margini di potere d'azione, una visione aggiornata sul proprio funzionamento,
analizzando limiti e dinamiche che hanno potuto generare o contribuire alla genesi
della fase critica.

Un’organizzazione resiliente cerca di attivare il confronto interno, lo scambio idee


ed opinioni; costruisce sinergie, modifica la sua processualità, si focalizza verso un
obiettivo comune e condiviso internamente.

Fin dagli studi di Darwin sappiamo che i sistemi ecologici non si evolvono per la loro
forza, nemmeno per la loro intelligenza, ma per la sensibilità e capacità di
affrontare con successo il cambiamento.

Similmente, le organizzazioni capaci di procedere allo stesso modo sapranno


affrontare con successo i problemi, vivendoli come nuove sfide.

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