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Documento d’apertura della Seconda assemblea nazionale di Calpestare l’oblio,

Roma, 8 gennaio 2011

Come mai gli studenti in rivolta non condividono la rivolta dei poeti e i poeti ignorano
i contenuti delle assemblee degli atenei?
Per quale motivo il mondo del giornalismo non ha a cuore la sorte degli scrittori
esiliati dalla società italiana e viceversa?
Perché le voci dei lavoratori precari dell’istruzione non si intrecciano con le armonie
dei nuovi musicisti o con le riflessioni dei nuovi intellettuali costretti alla fuga?
Come mai ogni ambito della cultura della società italiana vive in questa forma di
separazione la propria crisi e il proprio dissidio nei confronti dell’ideologia nazionale
più ignorante ed arrogante d’Europa?

Calpestare l’oblio, che al di là del pretesto antologico dei cento poeti uniti contro la
rimozione della memoria repubblicana si è da tempo auto-sviluppato nelle forme di un
vasto movimento spontaneo di rivolta generale contro quello che abbiamo definito il
trentennio della interruzione culturale e della rimozione della coscienza critica,
poetica ed artistica dai media italiani, vuole dire che una vasta e crescente porzione
generazionale non intende più rassegnarsi al silenzio di fronte alla desertificazione
culturale del proprio Paese, desertificazione che se può essere definita sinteticamente
“berlusconismo” più propriamente è la storia di trent’anni di vita nazionale, un
trentennio battezzato nel 1978 con la fondazione di Telemilano cavo e da cui, con non
pochi silenzi o assensi anche a sinistra, ha avuto inizio quel progetto malato di
pacificazione ed unificazione nazionale fondato sulla lobotomia di massa e sulla
pedagogia mediatica del disimpegno, del disinteresse, dell’indifferenza ed infine del
più volgare cinismo, di cui viviamo oggi le più desolanti ed evidenti conseguenze.

Un’antropologia nazionale fondata sul dogma del disincanto, sulla solitudine di massa
e su un individualismo senza individualità, in cui i canoni pur necessari e ineludibili
della società liquida e postmoderna sono stati imbrigliati e incanalati in una delle più
spaventose operazioni coatte, e cioè progettuali, di devastazione delle coscienze, della
memoria, della percezione stessa della dimensione temporale e di omologazione
attorno ad un unico ed uniforme inconscio collettivo rappresentato dallo spettacolo
televisivo italiano, che ha plasmato nel corso dei decenni a propria immagine e
somiglianza un’intera comunità smarrita e trainata nella più greve regressione
culturale e antropologica.

Quella che abbiamo definito in quest’anno di lotta come “ideologia della separazione”
(tra ruoli sociali, ambienti, generi, individui) è riuscita nel silenzio generalizzato a
radicarsi nel Dna di quel corpo sano che era stato, dalla Resistenza contro il fascismo
alla simbolica morte di Pasolini, un autentico coordinamento plurale di produzioni e
diffusione di culture, sensibilità e coscienze come presagio e presentimento di un
Paese da costruire nell’alleanza e nel continuo scambio tra fermento artistico, vivacità
giornalistica, approfondimento scolastico e ricerca universitaria.

I tre ambiti che come saprete abbiamo oggi convocato sono in rappresentanza, ancora
necessariamente simbolica e non scientifica, del mondo dell’arte (la produzione di
opere), il mondo degli studi universitari e il mondo del giornalismo culturale legato a
quella porzione di visione politica che dovrebbe avere a cuore un’idea alternativa di
società e di sviluppo, fondati sulla partecipazione democratica alla cosa pubblica e
sullo sviluppo delle opportunità di conoscenza e diffusione culturale.
Ad oggi, come risulta evidente, questi tre ambienti vivono e svolgono i propri percorsi
come monadi separate, persino quando le loro intenzioni di lotta convergerebbero
naturalmente verso uno stesso obiettivo che è il superamento del pantano storico
nazionale.
Sono qui presenti Pietro Spataro, vicedirettore de L’Unità, Donatella Coccoli,
direttrice di Left - Avvenimenti, che hanno già seguito e condiviso dallo scorso anno
la nostra campagna, Angelo Mastrandrea, vicedirettore de Il manifesto, Il fatto
quotidiano, Liberazione e Gli altri.
Abbiamo inoltre invitato alcuni referenti culturali del mondo politico per metterli al
corrente delle nostre riflessioni. Sono qui presenti Matteo Orfini del Partito
democratico e Stefania Brai di Rifondazione comunista, mentre per SEL proietteremo
un breve saluto di Nichi Vendola che oggi è all’estero ma che avrà presto sotto mano i
documenti che seguiranno l’assemblea.
Sono inoltre presenti alcuni sindacalisti della Cgil nazionale e dei Cobas, oltre che
numerosi altri ospiti che presenteremo nel corso dell’assemblea.

L’assemblea sarà videoripresa da alcuni giovani registi della Scuola di Cinema ACT
di Cinecittà, che nei prossimi mesi ne faranno un documentario sulla rivolta dei poeti,
sul movimento studentesco e sulle lotte sindacali in atto contro il ricatto dei grandi
patrimoni economici nei confronti degli individui inermi in quanto separati,
documentario che sarà poi capillarmente diffuso sul web e in tutte le città d’Italia per
amplificare in tutte le sue forme e potenzialità il portato di questa campagna.

Tornando alla questione culturale, e nello specifico poetica, dovremmo forse chiederci
il motivo per cui una comunità - anche a sinistra - non ha ritenuto più necessario
tramandarsi una educazione e sensibilità che in definitiva è la capacità di condividere
una visione complessiva e collegata dei fenomeni del mondo, per cui anche un sonetto
paesaggistico parla di una visione del mondo, delle relazioni e della coscienza che un
individuo storico ha di sé. Quanto avviene nel testo è sempre un modo di pensare e di
interpretare un contesto.

E una società, o meglio, un intreccio di poteri che ha dominato nell’ultimo trentennio


la società italiana fondando il proprio controllo sociale sulla disgregazione degli
individui e sulla separazione coatta dei fenomeni per cui tutto il reale apparisse
arbitrariamente preesistente, inconoscibile ed irremovibile, non poteva che essere
radicalmente e naturalmente nemico della poesia, così come è stato inconsciamente
nemico di ogni spazio di riflessione e di socializzazione non traducibile in rendiconto
immediatamente spendibile e strumentalizzabile, spazio che infatti il potere italiano
ha rimosso prima dalla comunicazione e poi dalla società reale. Questo è l’oblio che
intendiamo calpestare.

Calpestare l’oblio, che come appare chiaro non è più soltanto un libro ma è un
movimento culturale libero, spontaneo ed eterogeneo, rilancia a partire da questo
momento la costituzione di un osservatorio, aperto e plurale, sulla questione culturale
italiana.
È prematuro discutere ora delle forme e delle periodicità che tale strumento potrebbe
assumere ma è importante iniziare a pensarlo come una prospettiva necessaria: le
tavole rotonde della sinistra culturale e l’officina del pensiero critico.

Un luogo aperto e di incontro per una pluralità sempre più gravida di domande ed
orfana di risposte: scrittori schiacciati dalla censura editoriale sulla qualità e
dall’indifferenza dei media, editori massacrati da processi monopolistici di
distribuzione e vendita, studenti e ricercatori accerchiati da ogni lato, da una politica
di tagli e sfruttamento intensivo del precariato ma anche, e non può essere taciuto a
sinistra, da baronati feudali che esistono, che sono pressoché la norma del lobbismo
localistico italiano e che non devono essere più accettati.
Antropologia feudale che talvolta si riscontra persino in parte della stampa da noi
considerata amica, non sempre in grado di riconoscere una nuova opera di valore, un
nuovo fenomeno, una problematica centrale nel dibattito culturale in corso.

Un osservatorio nelle forme della tavola rotonda che non deve e non può tradursi in
un nuovo ambiente chiuso di nuove amicizie riservate ma in un libero, aperto e
partecipabile cantiere.
Se vogliamo un’alternativa sincera ad un’epoca storico-politica fondata
sull’abolizione del pensiero e sulla repressione della cultura, dobbiamo dare inizio ad
un nuovo fondamento e ritrovare uniti un luogo, reale e metaforico, mentale e fisico,
di unità e discussione, di condivisione e confronto, anche di scontro purché di
crescita.
Considerarci tutti quanti come un’unica grande questione aperta: la questione
culturale italiana.

Questo è solo un seme, che oggi lasciamo al vento nelle forme della parola. Buona
assemblea.

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