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Le Operette sono 24 testi sviluppati in forma dialogica, e di argomento filosofico.

In
questa opera Leopardi sistema in forma unitaria i pensieri e le riflessioni sparsi dello
Zibaldone, donando veste letteraria ai contenuti filosofici con ironia e distacco.
Viene abbandonata la prospettiva soggettiva, autobiografica e della protesta civile,
propria delle Canzoni e degli Idilli, per poter mostrare la realtà dell'esistenza e della
condizione umana, svelando così le illusioni con cui l'uomo riesce a rendere più
accettabile la sua vita. La forma del dialogo ironico è mutuata dalla letteratura
classica (si considerino i dialoghi platonici), ma in particolare da Luciano di
Samosata, tardo scrittore greco del II secolo d.C., autore di dialoghi satirici e
polemici di contenuto filosofico, morale e religioso.
Le Operette morali sono caratterizzate da una grande varietà di temi; in particolare
Leopardi si concentra nella dura critica delle ottimistiche concezioni filosofiche
ottocentesche: l'idea di un progresso continuo, l'illusione della felicità e
l'immortalità dell'anima. Critica soprattutto le teorie antropocentriche, che vedono
l’universo come creato con il solo fine della soddisfazione umana.
Qui sono evidenti il pessimismo cosmico e la presa di coscienza della esistenziale
infelicità umana. L'uomo non è al centro del cosmo, ma solo una particella; la Natura
opera in maniera autonoma, indifferente all'uomo. Collegato a questa concezione è
anche il tema della morte, sviluppato in diversi dialoghi.

Durante uno dei suoi viaggi nel cuore dell'Africa, l'Islandese si imbatte proprio nella
Natura, che gli si presenta nella figura di una donna gigantesca: per nulla felice
dell'incontro, l'uomo confessa alla Natura di aver viaggiato per tutto il mondo
cercando un luogo in cui vivere senza l'assillo di climi estremi, aria cattiva e malattie,
non trovandolo mai.
La Natura, sorpresa per l'ingenuità dell'Islandese, gli dichiara di non essere per nulla
interessata alla sorte della specie umana (la quale potrebbe anzi sparire da un
momento all'altro senza conseguenze rilevanti); le interessa soltanto perpetuare il
meccanismo della vita, di cui sofferenza fisica, malattia e morte sono condizioni
necessarie.
A nulla valgono le obiezioni dell'Islandese, il quale non può far altro che lamentarsi
dell'ingiustizia della Natura, e domandarsi a chi piaccia o a chi giovi «cotesta vita
infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo
compongono». Per tutta risposta a questo fondamentale interrogativo, che chiude
l'operetta, l'Islandese viene ucciso.
La sofferenza è dunque per Leopardi uno degli elementi del tutto necessari affinché
la morte, e conseguentemente la legge naturale, possa continuare a operare. Il
Dialogo nega una volta per tutte la possibilità di intendere le leggi che dominano la
Natura come buone, o riconducibili a una visione provvidenziale.
Nel Dialogo, il rapporto tra uomo e Natura è concepito materialisticamente come un
ciclo perpetuo di creazione e distruzione, del tutto fine a se stesso. L'Islandese è
consapevole dell'inutilità delle fatiche cui gli uomini abitualmente si sottopongono al
fine di raggiungere la felicità, ed è stanco della crudeltà del clima della propria isola;
perciò parte alla ricerca di un luogo lontano dalle sofferenze arrecate dalle asprezze
della Natura e dalle intemperie.

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