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Recensione: Jorge Luis Borges, La biblioteca inglese.

Lezioni sulla
letteratura, a cura di Martín Arias e Martín Hadis (tr. it. di Irene Buonafalce e
Glauco Felici), Torino, Einaudi, 2006, pp. 332, € 24,00.

Si rende oggi disponibile al pubblico italiano il ciclo di lezioni di


letteratura inglese tenuto da Borges nel 1966 e pubblicato in Argentina nel
2001 col titolo Borges profesor. Curso de literatura inglesa en la
Universidad de Buenos Aires. I venticinque incontri in cui si presenta
organizzato coprono un arco temporale che inizia dall’Alto Medioevo e
finisce col tardo romanticismo. Non si può dire con certezza se fu davvero
quello oppure no il numero delle lezioni, perché i nastri su cui vennero
registrate sono andati perduti; non è invece in dubbio l’autenticità di questo
corso giunto fino a noi grazie al contributo di un gruppo di studenti che si
incaricò di trascriverlo per consentire agli assenti di sostenere gli esami. Il
materiale che compone questo volume è perciò il frutto del lavoro di
sbobinatura degli allievi di Borges e presenta per questo non pochi problemi
sui quali, quando possibile, sono intervenuti i due curatori del testo.
Arias e Hadis si sono impegnati nella ricostruzione dei nessi sintattici,
delle parole mancanti o dei frammenti illeggibili, nella correzione delle
storpiature di titoli di opere e di nomi di autori, nella ricerca e reintroduzione
di intere citazioni recitate dagli studenti (ormai cieco, Borges li incaricava di
leggere a voce alta i brani che poi commentava) e cassate nelle trascrizioni. In
certi casi gli interventi hanno addirittura riguardato il completamento di parti
presumibilmente monche: nella lezione XXIII viene aggiunto il finale assente
dell’episodio di Gunnar (Saga di Njal, cap. LXXVII) estrapolandolo da un
precedente lavoro dell’autore (Antiguas literaturas germánicas). In altri casi i
due studiosi hanno provveduto a rettificare informazioni imprecise o erronee:
nella lezione XVIII, ad esempio, Borges affermò che il poeta inglese
Browning rimase colpito dai Sonnets from the Portuguese della futura moglie
Elizabeth Barrett mentre furono i Poems a impressionarlo (e i Sonnets
testimoniano la loro storia d’amore) e aggiunse che i due non ebbero figli
mentre in realtà ne ebbero uno. L’entità del lavoro editoriale è testimoniato
dal copioso apparato di note di cui è corredato il volume e che ha il compito

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di segnalare i problemi più importanti e quello di fornire informazioni di
carattere biografico sui personaggi o i testi meno noti menzionati da Borges.
Questo viaggio all’interno della letteratura inglese che abbraccia, si è
detto, un lungo periodo della sua storia, non per questo può dirsi esaustivo.
Nella recensione al volume pubblicata sul Corriere della sera martedì 4
luglio di quest’anno, Sergio Perosa afferma che il discorso di Borges procede
per “salti e clamorose omissioni”. Alcune inammissibili assenze tra gli autori
spingono lo studioso a concepire uno schema dove Chaucer e Shakespeare
figurano tra i bocciati insieme a Dickens (presente ma criticato per eccesso di
sentimentalismo) e, invece, vengono promossi Blake, Coleridge e Browning.
Per assolvere Borges dall’accusa di essere approssimativo o di proiettare uno
sguardo troppo personale, e parziale, sugli argomenti del corso, basterebbe
ricordare le parole di Roberto Paoli allorché rintracciava nell’uso sfrontato
del sapere, dunque anche nello sfruttamento visibile di certe lacune, uno degli
aspetti di maggiore originalità della sua scrittura (Tre saggi su Borges, Roma,
Bulzoni, 1992) o appellarsi alle dichiarazioni pronunciate dall’autore stesso in
favore della lettura edonista. Borges credeva a tal punto nel piacere come
primo criterio di lettura, da invitare gli studenti ad abbandonare qualsiasi testo
non fosse di loro gusto e questa mi pare una ragione sufficientemente valida
per mettere lo scrittore al riparo da certe critiche.
I motivi per i quali scrittori del calibro di Chaucer e Shakespeare non
compaiono tra gli “eletti” sembrano più verosimilmente legati a questioni di
natura organizzativa, piuttosto che a un discorso di preferenze; sono altre le
scelte fatte, così come i modi di trattare gli argomenti, che mettono a nudo
quanto di più personale c’è nella maniera di Borges di organizzare un
discorso sulla letteratura. Anzitutto, non mi pare casuale il fatto che, nello
stesso anno in cui era impegnato insieme a María Esther Vázquez nella
stesura di Antiguas literaturas germánicas (rifacimento di Literaturas
germánicas medievales, scritto in collaborazione con Delia Ingenieros nel
1951), Borges abbia dedicato un numero così importante di lezioni del corso
(le prime sette) al Medioevo. In conseguenza di un così ampio spazio
consacrato alla letteratura sassone, che forse conservava più fresca delle altre
nella sua mente, Borges può essersi visto costretto a riassumere i fatti relativi
al periodo compreso tra l’XI e il XVIII secolo (esordio della lezione n. 8)

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sacrificando la trattazione degli autori appartenenti a quest’epoca. Per
confermare questa ipotesi è sufficiente dare uno sguardo alla Introducción a
la literatura inglesa (1965) scritta in collaborazione con María Esther
Vázquez, dove a Chaucer e Shakespeare, i due bocciati eccellenti, è riservato
il posto che spetta loro. Questo testo, certamente più sintetico e bilanciato
nelle sue parti rispetto alle lezioni, e che presenta una lista più completa degli
autori da Borges ritenuti davvero rappresentativi delle epoche prese in
considerazione (dal Medioevo al XIX secolo con qualche cenno anche al
XX), appartiene a un gruppo di opere a carattere storico-letterario dedicate
alle letterature di lingua inglese, tra cui compaiono, oltre a quelle già citate,
anche la Breve antología anglosajona (1978) compilata in collaborazione con
María Kodama e la Introducción a la literatura norteamericana (1967),
scritta con Esther Zemborain de Torres; a questi lavori vanno aggiunti i
contributi mirati, ovvero le recensioni, i saggi e gli articoli rivolti
espressamente a un singolo autore o a singole opere, che sono molti e sparsi
nelle raccolte.
Tornando alle lezioni, dopo il Medioevo, il discorso si riavvia su Samuel
Johnson (lezioni XVIII-XX), apprezzato da Borges per il suo dizionario, le
sue traduzioni ma anche per la predisposizione alla malinconia che, a suo
avviso, segna profondamente un’opera come Rasselas; inoltre, l’attenzione
dello scrittore argentino è catturata da ciò che di questo personaggio delle
lettere inglesi emerge dalla biografia di Boswell, uno dei libri che Borges
confessa di aver letto e annotato di più per aver così felicemente
drammatizzato la vita del poeta. Più in generale, tutti gli approcci agli
argomenti del corso mostrano un Borges interessato soprattutto ai resoconti
appassionati delle vite degli scrittori e a quelli delle trame coinvolgenti,
punteggiati qua e là da riflessioni di natura estetica, da digressioni
etimologiche e da giudizi sulla qualità artistica delle opere ma sempre
attraverso il filtro dell’aneddoto o della curiosità. Gli deve essere parso questo
il sistema più adatto e immediato, forse anche per lui il più piacevole, per
stimolare l’interesse degli studenti e fare di questo ciclo di lezioni più un
invito a perdersi tra le pagine di questa letteratura con gioia e trasporto,
avvalendosi anche di un registro scevro da pedanteria e adatto a un pubblico
giovane ed inesperto, che un corso accademico. Le lezioni possiedono la

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stessa capacità di coinvolgimento di una trama narrativa e, pur non
aggiungendo niente di nuovo a quanto già è noto del Borges studioso e critico
di letteratura inglese, risultano essere di una godibilità estrema.
Le pagine dedicate al romanticismo mostrano anch’esse la tendenza
dell’autore a cercare il coinvolgimento dell’uditorio commentando aspetti
molto poco tecnici delle opere. Il fatto stesso di organizzare il discorso
mettendo sullo stesso piano la portata del rinnovamento estetico promosso dal
movimento e il nuovo stile di vita che inaugurò è un chiaro esempio di questa
impostazione. Borges racconta la nascita di una sensibilità nuova attraverso
quegli elementi delle vite degli scrittori che ai suoi occhi contengono i germi
di un sentimento del tempo, di una concezione della Storia, più in generale di
una mentalità, destinati a segnare un cambiamento profondo nella letteratura
mondiale. In questo processo in cui l’Inghilterra gioca un ruolo
preponderante, Borges affida il ruolo di precursore del movimento romantico
allo scozzese Macpherson e riconosce come suoi più importanti
rappresentanti Byron, Wordsworth, quest’ultimo più valido come pensatore
che come poeta, e naturalmente Coleridge e Blake, verso i quali lo scrittore
espresse sempre una particolare ammirazione attraverso continui riferimenti o
la stesura di specifici contributi (si pensi, per tutti, a La flor de Coleridge, in
Otras Inquisiciones). Coleridge gli permise di elaborare ed esporre la propria
idea di identità tra attività onirica e creazione (soprattutto attraverso il
commento al poema Kubla Khan) e Blake lo affascinò tanto con il potere
misterioso dei suoi simboli, che non riuscì a trovargli una collocazione
adeguata nel tempo storico in cui visse e lo ritenne mentalmente un
contemporaneo di Swedenborg e Nietzsche (Introducción a la literatura
inglesa), nonché un precursore degli espressionisti.
Riferite a questa parte del volume, al periodo romantico, le parole di
Perosa sulle lacune del corso meritano di essere almeno in parte recuperate. In
effetti, la mancanza anche solo di un accenno ad uno scrittore come Shelley,
cui Borges non prestò attenzione neppure negli altri lavori dedicati alla
letteratura inglese, può a ragione dirsi legata al suo disinteresse per il poeta
inglese. Ma neppure Keats, ad esempio, che fu materia di numerosi commenti
di Borges sulla letteratura, in questa occasione è ricordato tra gli esponenti del
romanticismo. Insomma, se l’assenza di Chaucer e Shakespeare è legata al

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fatto che durante le lezioni Borges non si occupò delle epoche in cui scrissero
questi due grandi autori, in casi come quelli appena menzionati si può invece
parlare davvero di “imperdonabili”, per quanto deliberate, omissioni.
Una volta conclusa la parentesi sul romanticismo, l’attenzione di Borges
si rivolge a Carlyle (lezione XVI), un tempo ritenuto “un’intera letteratura”
alla stregua di Becher, Whitman, Cansinos Asséns, De Quincey ma nei
confronti del quale fu costretto a ridimensionare la portata della propria
ammirazione. Di questo autore, Borges apprezzò soprattutto il modo di
giocare con la letteratura attraverso stratagemmi quali il commento ad un
testo presentato come altrui ma in realtà scritto di suo pugno oppure la
formula del libro immaginario redatto da un autore inesistente praticata nel
Sartor Resartus ma ne criticò il concetto di Storia quando lo rilesse alla luce
del pensiero nazista. Come argomenti del corso seguono Dickens (lezione
XVII) e Browning (lezioni XVIII, XIX), inventore del poema lirico in prima
persona, e chiudono il ciclo di lezioni Rossetti (lezioni XX, XXI) “l’italiano”,
egregio traduttore di Dante e Cavalcanti, per Borges autore dei più bei sonetti
erotici che la letteratura inglese abbia mai prodotto, Morris (XXII, XXIII,
XXIV), col quale lo scrittore argentino ravviva l’interesse del pubblico per le
saghe nordiche e Stevenson (lezioni XXIV, XXV), una delle sue più costanti
devozioni, di cui apprezzò, in particolar modo, l’idea della finta trama
poliziesca.
Anche volendo ridimensionare la portata del suo sapere, che sotto certi
aspetti fu inferiore alle apparenze, mentre molto più grande di quanto appaia
in superficie è l’originalità dei sistemi di utilizzo della sua erudizione, resta
innegabile che quello della letteratura inglese fu un ambito dominato in modo
decisamente più esteso di tutti gli altri. Esso può competere solo con quello
della letteratura argentina, al cui alto grado di conoscenza contribuì anche la
sua frequentazione dei cenacoli letterari, e si arricchisce con il dominio della
letteratura nordamericana. Pur se in certi casi, e penso a una dichiarazione
come la seguente: “Delle letterature dell’Occidente, quella dell’Inghilterra è
una delle due più importanti (lasciamo al lettore giudizioso la scelta
dell’altra)” (Prólogo a Breve antología anglosajona), Borges si sforzò di non
mostrare troppo apertamente la propria anglofilia, la sua predilezione per le
letterature di lingua inglese è indiscutibile e ha radici profonde.

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Come non ricordare, seppur col rischio di essere ripetitivi, che una parte
dell’educazione del giovane Borges fu affidata alla nonna materna, nata nello
Staffordshire e così gelosamente interessata a tramandare questa eredità
linguistica e culturale, che inglese fu il testo grazie al quale creò le basi delle
proprie conoscenze filosofiche (Henry Lewes, Biographical history of
filosofy), che l’inglese fu la lingua che imparò a leggere per prima e,
soprattutto, che inglese fu la biblioteca del padre, avvocato, traduttore,
scrittore e insegnante di psicologia alla Normal School of Modern Laguages,
dove Borges stabilì il primo vero contatto con l’universo letterario. Nel
prologo alla seconda edizione dell’Evaristo Carriego, confessa: “Ho creduto,
per anni, di essere cresciuto in un suburbio di Buenos Aires, suburbio di
strade avventurose e di tramonti visibili. A dire il vero sono cresciuto in un
giardino dietro le lance di un’inferriata, e in una biblioteca di innumerevoli
volumi inglesi” (Borges tutte le opere, vol. I, Milano, Mondadori, 1985, p.
187). È nella biblioteca del padre dove ha inizio la sua vita immaginativa.
L’inglese avrebbe rappresentato la lingua di accesso a mondi immaginati, a
desideri e sogni, e lo spagnolo quella della vita vissuta. Del resto, i temi e i
motivi in base ai quali, seppur a grandi linee, è possibile rintracciare un filo
conduttore nella passione di Borges per questa letteratura ruotano intorno al
concetto di immaginazione, più concretamente incarnato nella predilezione
dell’autore per l’onirico, il mistero, il fantastico, il sogno, il senso di irrealtà
della realtà che emerge anche dalla trattazione dei testi scelti per il corso. Il
debito di Borges nei riguardi della letteratura inglese si estende anche alla
possibilità che questa gli concesse di considerare la creazione artistica come
un insieme di atti ripetuti ma individuali; in più di un’occasione, Borges
ripeterà la frase di Novalis “ogni inglese è un’isola” proprio per esprimere
questo concetto di unicità, per raccontare questo suo modo di pensare gli
scrittori inglesi e il modo degli inglesi di pensare la letteratura, ai suoi occhi
assai più condivisibile e diverso da quello dei francesi, abituati invece a
considerare gli scrittori in base alla loro appartenenza a scuole e movimenti.
Maestri indiscussi dell’arte della narrativa breve, gli inglesi, inoltre,
trasmisero a Borges l’amore per il racconto e gli fornirono gli strumenti per
riflettere sul concetto di ambiguità in arte che, peraltro, è materia di alcuni dei

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più importanti contributi su cui poggia la sua fama di saggista (si veda, ad
esempio, El arte narrativo y la mágia, in Discusión).
La Biblioteca inglese si offre così come una ulteriore testimonianza di
quella passione per una tradizione letteraria cui Borges dovette molto anche
in termini di spunti creativi, e di spunti di riflessione sulla creazione, e cui
dedicò buona parte della propria carriera di insegnante, suggerendo percorsi
di lettura molto personali e appassionati e, soprattutto, guidati dalla volontà di
trasmettere agli studenti l’amore per certi autori o, per dirla con Borges,
“meglio ancora, per certe pagine, o meglio ancora, per certe frasi”.

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