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siglo XIX (1989) (Santiago de Chile: Editorial Cuarto Propio, 2003), pp. 146-47.
6
Susana Rotker, La invención de la crónica (Buenos Aires: Ediciones Buena Letra, 1992), pp.
110-11.
7
José Ismael Gutiérrez, “Manuel Gutiérrez Nájera y la crónica como género de transición o la
confluencia del periodismo y la literatura”, Literatura mexicana, VIII, 2 (1997): p. 604.
8
Ibidem, p. 601.
saggio Edgar Allan Poe. Fragmento de un estudio,9 pubblicato nel 1894 sulla Revista
Nacional e poi incluso nella prima edizione dei Raros (1896), costituisce, oltre che un
caso di ibridismo della scrittura, giacché mescola cronaca, dissertazione politica e
critica letteraria, un campione significativo delle grandi potenzialità della saggistica
finesecolare di veicolare una concezione dell’arte e del mondo. A questo primo fa da
pendant un più tardo contributo su Poe, Edgar Allan Poe y los sueños, uscito nel 1913
sulla Nación e successivamente inserito nel volume Cuentos fantásticos,10 che, pur
appartenendo alla fase conclusiva del movimento modernista, e seppur in misura minore
del precedente, consente ulteriori interessanti considerazioni sul genere e sul modo in
cui Darío lesse Poe.
Darío mostrò una particolare ammirazione per lo scrittore nordamericano ed
essa si evince non solo dai contributi critici ma anche dai riferimenti sparsi nei suoi
scritti.11 Poe, del resto, esercitò una notevole influenza su tutta l'arte modernista,
influenza che Ureña fa risalire allo straordinario successo della versione spagnola di
The Raven realizzata da Juan Antonio Pérez Bonalde nel 1887, 12 ma che era dovuta
anche, e non secondariamente, al lavoro di traduzione e analisi delle opere di Poe
condotto da Baudelaire a partire dal 1856; e basti pensare al saggio Edgar Poe. Sa vie et
ses oeuvres che correda le Histories Extraordinaires o alle Notes nouvelles sur Edgar
Allan Poe (1857) o ancora a Genèse d'un poème (1859), traduzione di The Philosophy
of Composition.
9
Rubén Darío, Obras completas I-V (Madrid: Aguado, 1959), vol. II, pp. 255-70. D'ora in poi i
riferimenti all'opera saranno dati tra parentesi nel testo.
10
Il saggio esce sulla Nación l'8 maggio e il 20 e 24 luglio. Alianza lo include in una raccolta di
racconti dell'autore nel 1976. L'edizione consultata è la terza (Madrid: Alianza, 1982), pp. 91-112.
11
Darío menziona Poe soprattutto nei Raros (1896), in Diario de Italia (1900), in
Peregrinaciones (1901) e in España contemporánea (1901).
12
Cfr. Pedro Henríquez Ureña, Breve historia del modernismo (México-Buenos Aires: Fondo de
Cultura Económica, 1954), p. 28.
13
Come si evince dal sottotitolo della prima edizione Fragmento de un libro futuro, cfr. Los
raros (Buenos Aires: La Vasconia, 1896).
l’emozione e insieme il turbamento provocatigli dal suo primo contatto con la metropoli
nordamericana. Il discorso si struttura in un lento approssimarsi dello sguardo al centro
della città di New York: l'occhio di Darío, dopo una ricognizione della baia, raggiunge
Long Island e Staten Island, poi i Narrows e infine si sofferma sulla statua della Libertà,
che prelude alla visione di Manhattan e alla critica della società newyorchese. Si tratta
di una sorta di zoom in avvicinamento, di una carrellata dall'insieme alla parte di natura
squisitamente cinematografica. In narrativa, l'organizzazione topografica compiuta dal
narratore rispecchia e implica una disposizione ideologica del reale; è quello che
avviene nel racconto, ed è quello che produce, nel Fragmento, il resoconto dell’approdo
a New York, chiara anticipazione di una critica severa alla modernità.
Nelle prime pagine, la descrizione procede per approssimazioni metaforiche (le
tappe della carrellata) riconducibili alla poetica analogica del simbolismo, e la città si
antropomorfizza:14
Entre las brumas se divisaban islas y barcos. Long Island desarrollaba la inmensa
cinta de sus costas, y Staten Island, como en el marco de una viñeta, se presentaba
en su hermosura, tentando al lápiz, ya que no, por falta de sol, la máquina
fotográfica. (p. 255)
Rodeada de islas menores, tiene cerca a Jersey, y agarrada a Brooklin con la uña
enorme del puente, Brooklin, que tiene sobre el palpitante pecho de acero un
ramillete de campanarios. (p. 257)
El ladrante slang yanqui sonaba por todas partes, bajo el pabellón de bandas y
estrellas. El viento frío, los pitos arromadizados, el humo de las chimeneas, el
movimiento de las máquinas, las mismas ondas ventrudas de aquel mar estañado,
el vapor que caminaba rumbo a la gran bahía, todo decía All right! (p. 253)
Darío giunse a New York nel 1893 a soli venti anni di età. Durante il soggiorno
nella grande metropoli sperimentò, tra le altre cose, il contatto diretto con gli aspetti più
aridi e disumanizzati del progresso moderno, quelli da cui l'intero movimento
modernista cercò una via di fuga consacrandosi alla ricerca della bellezza ad ogni costo.
A New York, inoltre, Darío incontrò José Martí, di cui aveva già letto le opinioni sulla
società americana nelle pagine della Nación, quotidiano di cui anche lo scrittore cubano
fu corrispondente. Nel lungo e denso saggio che gli dedicò nel 1895 per commemorarne
la morte, e con cui Martí si guadagnò un posto di rilievo tra gli illustri “eccentrici” scelti
a rappresentare le forme della nascente sensibilità artistica moderna, Darío ne ricorda
l’insistente preoccupazione circa il grave pericolo rappresentato dall'utilitarismo e
dall'imperialismo del colosso yankee.15 Lo smarrimento e l'alienazione provati dal poeta
nicaraguense immerso nel “ribollire metropolitano” di New York, paiono scaturire da
un’identica inquietudine:16
15
Cfr. Darío, José Martí, Los raros, cit., pp. 488-87.
16
Molte delle riflessioni di Darío sulla società e lo stile di vita dei nordamericani risentono
dell'influenza degli articoli dello scrittore cubano: “En la visita al pabellón norteamericano” afferma Beatriz
Colombi “resuenan las crónicas de José Martí sobre las exposiciones norteamericanas, particularmente la
Exposición de Ganado de New York de 1887, indudable intertexto de la corresponsalía dariana”, cfr.
“Peregrinaciones parisinas: Rubén Darío”, Orbis Tertius, II, 4 (1997): p. 7.
tranvía, y grita al pasajero: Intransooonwoood; lo que quiere decir si gustáis
comprar cualquiera de esos tres diarios: el Evening Telegram, el Sun o el World.
El ruido es mareador y se siente en el aire una trepidación incesante; el repiqueteo
de los cascos, el vuelo sonoro de las ruedas, parece a cada instante aumentarse.
Temeríase a cada momento un choque, un fracaso, si no se conociese que este
inmenso río que corre con una fuerza de alud, lleva en sus ondas la exactitud de
una máquina. (p. 258)
Y los he visto a esos yankees, en sus abrumadoras ciudades de hierro y piedra y las
horas que entre ellos he vivido las he pasado con una vaga angustia. Parecíame
sentir la opresión de una montaña, sentía respirar en un país de cíclopes,
comedores de carne cruda, herreros bestiales, habitadores de casas de mastodontes.
Colorados, pesados, groseros, van por sus calles empujándose y rozándose
animalmente, a la caza del dollar. El ideal de esos calibanes está circunscrito a la
bolsa y a la fábrica. Comen, comen, calculan, beben whisky y hacen millones.
Cantan ¡Home, sweet home!, y su hogar es una cuenta corriente, un banjo, un
negro y una pipa. Enemigos de toda idealidad, son en su progreso apoplético,
perpetuos espejos de aumento; pero su Emerson bien calificado está como luna de
Carlyle; su Whitman con sus versículos a hacha, es un profeta demócrata, al uso
19
José Augustín Balcero sostiene che le riflessioni esposte da Darío nella prima parte del saggio
su Poe abbiano influito sulla genesi di Ariel di José Rodó, cfr. Seis estudios sobre Rubén Darío (Madrid:
Gredos, 1967).
20
Carlos Jáuregui, Revista iberoamericana, LXIV, 184-185 julio-diciembre (1998): pp. 441-49.
21
Nello stesso numero di dicembre del 1998 della Revista iberoamericana, Jáuregui pubblica
una versione corretta e annotata del “Triunfo de Calibán”, cfr. ibidem, pp. 451-55.
22
Cfr. Darío, El triunfo de Calibán, “Mundo adelante”, cit., vol. IV, pp. 569-76.
23
Ibidem, p. 569.
del Tío Sam; y su Poe, su gran Poe, pobre cisne borracho de pena y de alcohol, fue
el mártir de su sueño en un país en donde jamás será comprendido.24
Poe, como un Ariel hecho hombre, diríase que ha pasado su vida bajo el flotante
influjo de un extraño misterio. Nacido en un país de vida práctica y material, la
influencia del medio obra en él al contrario. (p. 262)
27
Cfr. Rafael Gutiérrez Girardot, Modernismo (Barcelona: Montesinos, 1983).
alla scienza, al lavoro e all'analisi.”28
In più di un luogo del Fragmento si rintracciano gli echi degli scritti
baudelariani; si veda il seguente brano tratto da Edgar Poe, la sua vita e le sue opere:
Dal seno di un mondo ingordo, affamato di materia, Poe si è lanciato nei sogni.
Soffocato com'era dall'atmosfera americana, ha scritto in limine ad Eureka:
“Offro questo libro a quelli che hanno riposto la loro fede nei sogni come uniche
realtà!”. Egli fu dunque una protesta ammirevole; la fu e la fece alla sua maniera,
in his own way.30
28
Charles Baudelaire, Nuove note su Edgar Poe, Opere (Milano: Mondadori, 1996), p. 825.
29
Ibidem, p. 787.
30
Ibidem, p. 813.
31
“Yo detesto la vida y el tiempo en que me tocó nacer” dirà il poeta nelle Palabras
liminares a Prosas profanas, Páginas escogidas (Madrid: Cátedra, 1997), p. 58.
32
Cabezas e Semblanzas sono le due raccolte di ritratti riunite nelle Obras completas,
cit., vol. II, pp. 937-1029; pp. 783-930.
modo stereotipato (“Los otros retratos, como el de Halpin para la edición de Amstrong,
nos dan ya tipos de lechuguinos de la época” p. 264); l'insieme delle raffigurazioni si
rivela insomma insufficiente a rappresentare il poeta, e la sua bellezza resta avvolta in
un alone di indeterminatezza, di mistero. Dopo aver dichiarato fallito l'intento dei pittori
e degli incisori coevi, Darío si sofferma su due ritratti in particolare: quello di Chiffart e
quello di R. Loncup, per mettere in risalto due aspetti diametralmente opposti della
personalità del poeta, quello dello scrittore visionario:
En el primero, el artista parece haber querido hacer una cabeza simbólica. En los
ojos, casi ornitomorfos, en el aire, en la expresión trágica del rostro, Chiffart ha
intentado pintar al autor del Cuervo, al visionario, al unhappy Master más que al
hombre. (ibidem)
En el segundo hay más realidad: esa mirada triste, de tristeza contagiosa, esa
boca apretada, ese vago gesto de dolor y esa frente ancha y magnífica en donde
entronizó la palidez fatal del sufrimiento, pintan al desgraciado en sus días de
mayor infortunio, quizá en los que precedieron a su muerte. (ibidem)
“Los ojos de Poe, en verdad, eran el rasgo que más impresionaba, y era a ellos a
los que su cara debía su atractivo peculiar” […] Observé que lo párpados jamás
se contraían, como es tan usual en la mayor parte de las personas cuando hablan;
pero su mirada siempre era llena, abierta y sin encogimiento ni emoción. Su
expresión habitual era soñadora y triste: algunas veces tenía un modo de dirigir
una mirada ligera, de soslayo, sobre alguna persona que no le observaba a él, y
con una mirada tranquila y fija, parecía que, mentalmente, estaba midiendo el
calibre de la persona que estaba ajena a ello. “¡Qué ojos tan tremendos tiene el
Sr. Poe! Me dijo una señora. Me hace helar la sangre el verle darles vueltas
lentamente y fijarlos sobre mí cuando estoy hablando”. La misma agrega:
“Usaba un bigote negro, esmeradamente cuidado, pero que no cubría
completamente una expresión ligeramente contraída de la boca y una tensión
ocasional del labio superior, que se asemejaba a una expresión de mofa. Esta
mofa era fácilmente excitada y se manifestaba por un movimiento del labio,
apenas perceptible y, sin embrago, intensamente expresivo. Non había en ello
nada de malevolencia, pero sí mucho sarcasmo”. (pp. 266-67)
33
“El género de la crónica en el contexto finisecular condensa mensajes de procedencia
distinta, que interactúan unos con otros hasta derivar en un sistema escritural que integra armónicamente
las dualidades de la modernidad latinoamericana [...] La crónica disuelve los antagonismos que han
dividido a categorías antaño enfrentadas: lo artístico y lo no artístico, lo literario y lo paraliterario o
literatura popular, la "alta cultura" y la cultura de masas ven desdibujados sus límites genéricos”, Cfr.
Susana Rotker, La invención de la crónica, cit., p. 21.
più che una dissoluzione dei contrasti, lo scioglimento della tensione tra concetti o
argomenti contrapposti comporta il dischiudersi di una prospettiva critica. Poe, e come
lui molti simbolisti e parnassiani, agli occhi di Darío appartiene a coloro che vissero
un’esistenza tormentata tra gli stenti e l'incomprensione, alimentandosi di poesia, ma
questa, dal momento che li votò al martirio, fu anche la prima ragione della loro
sofferenza. La vocazione poetica è un dono e insieme una maledizione. Nel dare
evidenza alla natura paradossale della condizione dell'artista, Darío afferma il carattere
innato del talento e il suo preludere a un'ineludibile e totalizzante esperienza di
dedizione. Tale sacralizzazione è il risultato della sintesi di inclinazioni opposte dello
spirito: la pratica di una morale cristiana e la assenza di fede in Dio. “Su 'ensueño'” dice
di Poe “está poblado de quimeras y de cifras, como la carta de un astrólogo” (p. 268).
La fiducia nella scienza, la matematicità della sua attività psichica ne hanno annebbiato
la fede. Le ambientazioni tristi e malinconiche proprie della narrazione allorché si
spinge ai confini con l'ultraterreno sarebbero, perciò, da ricondurre alla natura algebrica
della sua mente e alla mancanza di fede; esse evocherebbero, cioè, l'impossibilità della
conoscenza, cui il poeta sopperisce dando sfogo alla regina delle sue facoltà,
all'immaginazione, da intendersi non come fantasia ma come capacità di intuire i
rapporti intimi e segreti tra le cose.
Darío, inoltre, spiega l'innatismo della creatività di Poe sottolineando il
carattere autobiografico di alcuni racconti, tra cui William Wilson:
Qualche anno più tardi, in quella fase della traiettoria in cui Darío è diviso tra
la volontà di liberarsi dalle intemperanze e dagli eccessi giovanili e una fede inalterata
nei principi fondanti della propria concezione artistica, egli ribadirà il concetto di genio
innato in polemica con la critica letteraria che, basandosi sugli studi di psicopatologia,
riteneva che certe creazioni fossero il risultato dell'impiego di oppiacei.
In Poe y los sueños, Darío esprime posizioni senz'altro più conservatrici di
quelle dei primi anni. Rispetto all'autore di El humo de la pipa (1888), opera nella quale
il poeta si racconta in un'esperienza visionaria di iniziazione all'oppio, il Darío del 1913
si avvale di toni più pacati, anche se non scevri di ironia; risponde a Dupoy, il quale
include Poe nell'esclusivo clan degli oppiomani, affermando che lo stato quasi
inesprimibile dei sogni si raggiunge anche con l'alcol e che l'oppio è un validissimo
antidoto all'emicrania. Senza apertamente contrastare, ma semmai sminuendo la
posizione della critica letteraria più conservatrice, Darío include Poe nella schiera degli
illustri artefici, dotati di innate capacità immaginifiche:
Si es cierto que nuestra alma es inmortal y que percibe más allá de lo que le
permiten durante la vida terrestre los medios de los sentidos corporales, Poe se
adelantó al progreso de su espíritu, y percibió cosas que únicamente nos son apenas
vagamente mostradas en los limbos de los sueños, en las brumas del éxtasis o en la
supervisión de las posesiones poéticas.34
Nel primo Novecento, Poe non è più solo l'emblema dell'artista in conflitto con
la società o il poeta dell'ideale femminino ma è soprattutto l'artefice che indaga le zone
d'ombra della coscienza e sperimenta nuove forme di scrittura; e Darío rintraccia nei
suoi scritti alcune riflessioni sul fantastico, ad esempio sull'identità tra attività onirica e
creazione, che anticipano modernissime concezioni dell'arte.
Darío fu un sensibile interprete e un acuto osservatore di tutte le manifestazioni
artistiche e culturali che contrassegnarono il proprio tempo, e i suoi saggi, di cui questi
su Poe non sono che un parzialissimo esempio, lo testimoniano eloquentemente. Ma essi
sono anche un eccellente campione per riflettere sulle peculiarità del genere, sul modo
in cui, mescolando diverse forme della scrittura (il saggio, la cronaca, la recensione, il
resoconto di viaggio), il giornalismo letterario modernista divenne lo strumento più
immediato e utilizzato dagli scrittori per trasmettere la propria idea di arte e di mondo, e
assunse così un rilievo storicamente non meno importante di quello riconosciuto da
sempre alla poesia.
34
Darío, Edgar Poe y los sueños, cit., p. 111.
35
Ibidem, p. 93.
Alessandra Ghezzani è ricercatrice di Lingue e Letterature Ispanoamericane presso il
Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell'Università degli studi di Pisa. I
suoi interessi vertono sulla narrativa ispanomericana moderna e contemporanea, sulla
rappresentazione dei processi culturali nei saggi e nelle cronache, sui procedimenti di
scrittura argomentativa e di finzione. È autrice del volume Borges critico letterario.
Strutture e procedimenti discorsivi (ETS, 2008), di articoli e saggi su Cortázar, Arenas,
Carpentier, Darío e Borges, nonché della prima traduzione italiana dei Raros di Rubén
Darío (Gli eccentrici, ETS, 2012).