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PROBLEM-SOLVING

Il problem-solving training viene definito dagli ideatori ( D’Zurilla e Goldfried,


1971) come un processo cognitivo autodiretto, attraverso il quale si cerca
d’identificare soluzioni efficaci ed adattive da applicare ai problemi quotidiani.
Si tratta di una tecnica cognitiva che tende ad aumentare i comportamenti
funzionali in situazioni difficili, in quanto nella sua applicazione consente d’
incrementare le probabilità di selezionare, tra le alternative possibili, quelle più
efficaci.
Il problem-solving trae origine tra la fine degli anni Sessanta e inizio anni
Settanta, dal lavoro di D’Zurilla e Goldfried (1971) come strategia per la
generalizzazione delle competenze sociali ; in seguito, Platt e Spivack (1972)
hanno messo in luce il rapporto tra abilità di problem-solving e psicopatologia;
Libermann (1998) e Falloon (2000) sono stati i primi ad impiegare il problem-
solving nei training di abilità sociali con i pazienti psicotici. Il problem-solving si
è progressivamente affermato come una strategia di base in molti interventi di
tipo cognitivo-comportamentale (Malouff, Thorsteinsson e Shutte, 2007).
Il PST è un percorso che favorisce il come pensare, piuttosto che il cosa
pensare. Un altro aspetto del PST consiste nell’imparare a riconoscere e a
rispondere ai bisogni dell’ altro, come elemento efficace per contribuire alla
soluzione dei problemi. Un metodo strutturato per la soluzione dei problemi,
come il PST, consente ai pazienti schizofrenici di sviluppare soluzioni autonome
ai problemi quotidiani, assegnando loro un ruolo di responsabilità e un’
esperienza di gestione attiva dei problemi stessi. Il PST include la stimolazione
di processi percettivi, attentivi e di elaborazione dell’informazione, insieme a
competenze utili nelle situazioni sociali specifiche.Il PST non impone ai
partecipanti soluzioni predeterminate, ma si propone di insegnare delle
strategie di pensiero che consentono la scelta di una soluzione fondata su un’
accurata valutazione delle proprie azioni e di quelle altrui. Il PST è articolato in
quattro fasi di crescente complessità (Barbieri 2006) , dall’individuazione e
definizione dei problemi pratici alla risoluzione di problemi interpersonali,
intrapersonali e infine di gestione delle soluzioni di crisi e di sofferenza.
Nella fase della pianificazione di un training di problem solving, come per la
pianificazione di qualsiasi altro gruppo, è importante tenere conto di alcuni
aspetti fondamentali per la buona riuscita dello stesso. Per la strutturazione
dell’intervento è più facile condurre un gruppo quando i membri che lo
compongono presentano un livello di funzionamento non troppo diverso. E’
importante includere nel gruppo pazienti che presentano deficit simili, in
quanto ciò permette di perseguire obiettivi coerenti e condivisibili. Tuttavia, la
diversità delle persone coinvolte, per funzionamento o per sintomatologia,
potrebbe comunque rappresentare un arricchimento se vengono tenute in
considerazione le esigenze di ciascuno. Un gruppo ideale di problem solving si
compone di 6-10 persone, un numero contenuto di partecipanti dà la possibilità
a tutti di mettersi in gioco, di partecipare attivamente ai giochi di ruolo
proposti e di ottenere il maggior beneficio possibile.
Se si decide di attuare un intervento a tempo determinato, è buona regola
stabilire a priori il numero di incontri che si intende effettuare. E’ meglio che i
gruppi a tempo determinato si incontrano 2 o più volte a settimana, per
permettere ai pazienti maggiori opportunità di esercitarsi nell’ abilità di
problem solving e per consolidare gli apprendimenti nel tempo. Si propone di
fare 30 incontri totali, svolti 2 volte a settimana per la durata di 2 ore
ciascuno, intervallati da una breve pausa. Una volta scelto l’orario e i giorni in
cui si effettuerà l’incontro, è bene mantenerli costanti per fornire ai
partecipanti un senso di continuità e di identità che li aiuterà a partecipare più
attivamente al training. E’ preferibile che gli incontri avvengano in un ambiente
confortevole, lontano da fonti di distrazione come ambienti rumorosi o stanze
particolarmente disordinate. La strutturazione degli incontri può variare a
seconda delle esigenze del gruppo ed è adattabile ai problemi che di volta in
volta i pazienti presentano. E’ opportuno prevedere una disposizione circolare
delle persone, in modo che ciascuno possa facilmente vedere gli altri e i
conduttori, è consigliato ad ogni incontro, fare un riassunto di quello
precedente, attuare una scelta condivisa di alcune regole di gruppo. Il lavoro
parte dall’esemplificazione di problemi condivisibili e ipotetici, in quanto è
opportuno, in fase iniziale, familiarizzare sia con il problema, sia con la
metodologia e le tecniche utilizzate.
Vengono principalmente utilizzate tecniche come: il brainstorming, il role-
playing, la ristrutturazione cognitiva, gli homework e il rinforzo informativo e
sociale; compito del gruppo è quello di fornire modeling e feedback immediati
e occasioni di applicazione delle competenze nel qui e ora. Inoltre il lavoro è
focalizzato su problemi legati all’esperienza concreta dei partecipanti.
Per sviluppare efficacemente il problem solving training sono necessari alcuni
presupposti: le abilità di problem solving in quanto processo cognitivo
necessitano della padronanza dei concetti e delle regole che ne sono alla base;
l’apprendimento deve essere cumulativo e seguire il principio della difficoltà
crescente; tutti gli esempi si devono basare su persone e relazioni tra persone,
piuttosto che su eventi interpersonali; si cerca di favorire l’acquisizione di
nuove strategie piuttosto che la sola risoluzione del problema; la
partecipazione attiva è parte integrante dell’attività; le abilità di problem
solving non vengono insegnate come fini a se stesse, ma come mezzo per
facilitare il raggiungimento degli obiettivi personali scelti.
I passaggi sono i seguenti:
1)definire i problemi in termini specifici
2)pensare creativamente per trovare una soluzione alternativa
3)anticipare le conseguenze positive o negative di ogni soluzione
4)scegliere la soluzione migliore
5)scomporre la soluzione scelta in una serie di passi realizzabili
6)valutare l’efficacia della scelta

Nella fase iniziale viene presentato il lavoro che si svolgerà con il gruppo, come
verrà strutturato e quali obiettivi si intendono perseguire. Il gruppo
inizialmente stabilisce le regole di buona convivenza, si presenta e si impegna
attivamente al ciclo di incontri che prevederà non solo l’intervento dei
conduttori, ma soprattutto la partecipazione attiva di tutti i presenti. In questa
fase si dà particolare enfasi all’ importante sinergia che si dovrebbe creare tra
razionalità ed emotività; la razionalità da sola non basta per risolvere
adeguatamente i problemi.
L’approccio creativo rappresenta quindi una potenzialità da sviluppare nel
processo di problem-solving. E’ in questa prima fase che vengono poste le basi
per il lavoro successivo.
Obiettivi:
-generare delle regole di gruppo
-promuovere un atteggiamento creativo
-far apprendere ai partecipanti la tecnica di brainstorming
Strumenti usati:
-lavagna a fogli mobili
-scheda di lavoro
-esercizi e giochi per stimolare il pensiero creativo.
Tecniche usate:
-rinforzo informativo
-brainstorming

Le varie fasi:

PRIMA FASE: Definire il problema (si parla del problema, desideri, esigenze
,paure, facendo domande e ascoltando opinioni di ciascuno

SECONDA FASE BRAINSTORMING: Il gruppo si attiva in un brainstorming


per trovare soluzioni ed idee, si procede a ruota libera senza scartare o
giudicare nessuno.
TERZA FASE: In gruppo si analizzano i costi e i benefici di ogni possibile
soluzione, considerando l’aspetto economico, patico, sociale, ecc. e
soppesandone l’applicabilità.

QUARTA FASE: La scelta della soluzione è sempre individuale, personale e


soggettiva. Per qualsiasi tipo di problema, infatti, non esiste una soluzione
perfetta in assoluto, bensì una soluzione adatta a una determinata persona,
per una determinata circostanza, in un determinato momento. La soluzione più
praticabile per ciascuno dipende dunque dalle risorse economiche, emotive,
psicologiche e affettive disponibili nel momento in cui si deve scegliere. Per
alcuni problemi si possono eventualmente individuare più soluzioni praticabili
contemporaneamente, o programmare una sequenza di soluzioni possibili da
tentare una dopo l’altra con un criterio di priorità definito in base alle
aspettative di successo rispetto al raggiungimento dell’obiettivo.

QUINTA FASE: Quando la situazione lo prevede è utile elencare anche per


iscritto i passaggi necessari a risolvere il problema, individuando sequenze di
azioni, materiali e utensili che devo avere a disposizione per attuare la
soluzione scelta. Molto spesso diamo per scontato la pianificazione di questi
passaggi, ma se ci addentriamo nelle esperienze dei nostri utenti ci
accorgeremo di come anche azioni così banali siano vissute come ostacoli
insuperabili, portandoli a rinunciare all’ opportunità di essere autonomi in virtù
di una percezione destrutturata e quindi troppo complessa delle attività della
vita quotidiana

SESTA FASE: E’ il momento di verifica se il piano ha funzionato e se l’obiettivo


è stato raggiunto. Questa tappa del procedimento si applica solo nei problemi
realmente affrontati.

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