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II.

“il volontario abbandono” e gli effetti sul vincolo coniugale


A differenza del codice Napoleone dove il legislatore, nel reintrodurre il divorzio con la legge
Naquet del 1884 non aveva previsto, tra le possibili ragioni di scioglimento del matrimonio,
l’abbandono volontario del domicilio coniugale, il codice civile italiano del 1865 espressamente
incluse il volontario abbandono tra le cause per cui poteva essere domandata la separazione
personale. Prima di procedere guardiamo un po’ le elaborazioni giurisprudenziali francesi: pur
consapevoli della mancata previsione dell’abbandono volontario tra le cause facoltative di divorzio
o di una domanda di separazione, ritenne di annoverare tale motivo attraverso la rivisitazione di
ingiuria grave.
La nozione di ingiuria difatti interpretata come una formula di carattere generale che, in materia di
divorzio, non aveva assunto un significato preciso, comprendendo tutte le parole, gli atti e i fatti
contrari alle obbligazioni che nascevano dal matrimonio e alla dignità della vita coniugale: in quale
caso ed a quali condizioni si poteva considerare l’abbandono come un’ingiuria grave era una
questione di fatto cosicché il giudice valutava sovranamente il carattere dell’abbandono del
domicilio coniugale, del rifiuto di rientrarvi o quello del marito di ricevere la moglie, e la sua
decisione sfuggiva al controllo della Corte di Cassazione.
Vi era delle cause serie dove l’abbandono non rivestiva carattere ingiurioso, tra queste
l’impossibilitò di convivere con i genitori del marito; l’abbandono da parte della donna della dimora
maritale, laddove fosse stata constatato che l’abbandono era avvenuto con il consenso del marito: o
ancora il rifiuto di quest’ultimo di riaccogliere la moglie nella casa coniugale, allorché tale ripudio
fosse da attribuire alla cattiva condotta della donna o qualora la sua richiesta di rientrare nel
domicilio comune fosse da considerare, a ragione del suo comportamento anteriore, poco seria.
Ampia discrezionalità circa questa valutazione, se la ragione fosse o meno rientrare nell’ingiuria
grave, spettava ai giudici francesi.
Le Corti italiane invece, valutavano che non potesse configurarsi ipotesi di volontario abbandono,
qualora le circostanze del caso dimostrassero che il coniuge, lasciando la casa coniugale, non avesse
avuto in animo di separarsi definitivamente ma temporaneamente né laddove per un “perturbamento
morale’, che avesse indotto nel coniuge la convinzione di non poter continuare senza danno e
pericolo a convivere con l’altro, fosse mancata quella piena maturità di consiglio che si richiede
perché un atto possa ritenersi consentito e voluto liberamente. Oltre a ciò non costituiva volontario
abbandono che autorizzasse la moglie a chiedere la separazione al marito, il fatto che costui avesse
venduto i propri beni, accennando al proposito di emigrare come si evince dalla sentenza della
Corte di Appello di Casale del marzo 1896 (soprattutto in America in quegli anni), come in egual
modo, non era considerato motivo di separazione il rifiuto della donna di coabitare con terze
persone quando tale convivenza risultasse intollerabile (Corte d’Appello di Genova 1915).
Ugualmente è stato giudicato che la moglie non potesse essere imputata di volontario abbandono,
quando il marito l’avesse costretta con ingiunzioni e minacce a lasciare il domicilio coniugale per
sottrarsi ai suoi maltrattamenti. Di sicuro non si riteneva volontario l’allontanamento, anche
prolungato, del marito per ragioni professionali, per la cura di interessi familiari o per altri legittimi
motivi, a condizione che lo stesso avesse cura di continuare a provvedere al sostentamento della
moglie, e mantenesse con questa rapporti di corrispondenza, dimostrando per tal via di non volersi
sottrarre ai suoi doveri. Diversamente non era da considerare innocente il comportamento del marito
che, allontanatosi dalla casa coniugale senza motivo, avesse mantenuto ignora la sua residenza,
venendo meno ai doveri morali e sociali che il matrimonio impone ai coniugi.
I Giudici italiani invece ritenevano che la cattiva condotta della moglie non potesse costituire per il
marito un valido motivo che lo legittimasse ad abbandonare il domicilio coniugale, costituiva di per
sé un’infrazione e siccome la legge ammette la separazione dei coniugi per colpa di ambedue, è
evidente che ciascuno deve rispondere della propria condotta. Analogamente, non era considerato
motivo ragionevole per l’allontanamento della moglie dal tetto coniugale il dissesto finanziario del
marito, soprattutto se momentaneo, in questo caso i giudici italiani a differenza di quelli francese
negavano senza dubbio la possibilità per il marito di pretendere in tal caso, un risarcimento dei
danni subiti sul presupposto che talee dovere non potesse essere considerato alla stregua di
un’obbligazione contrattuale il cui inadempimento fosse come tale risarcibile.
Infine, per completare il quadro delle cause ‘ingiuriose’ di separazione, si vuole concludere con una
sentenza alquanto singolare della Cassazione di Firenze del primo Novecento, che ravvisava
l’ipotesi di volontario abbandono nel caso del coniuge che, senza necessità, rinchiuse la moglie in
un manicomio e costretto a toglierla da là non essendovi i motivi di salute che ne giustificassero la
permanenza, la ricoverava in un sanatorium al fine di indurla a chiedere la separazione consensuale.
Inoltre, il marito pur possedendo un certificato medico comprovante la pienezza delle facoltà
mentali della coniuge che aveva indotto alla domanda di separazione consensuale, decise di far
permanere la stessa nel sanatorium sino a che la separazione non fosse stata omologata dal
Tribunale.

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