Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
L’AUTORIZZAZIONE MARITALE
I. “E’ nella qualità di donna maritata che convien cercare il fondamento
della maritale autorizzazione
La legge ed il costume devono concedere alle donne molte cose che sono state loro negate, ma la
posizione della donna rimarrà sicuramente quella che è: un oggetto d’adorazione in gioventù e una
moglie amata negli anni della maturità (S. Freud Vita e opere di Freud). L'Autorizzazione Maritale
rappresenta la manifestazione più importante della potestà maritale, un insieme di diritti spettanti al
marito che influenzò la condizione giuridica della donna. Una vivida querelle sorse sull’istituto che
ebbe la ventura di essere ripreso nel clima vivissimo della scienza giuridica italiana nella fase
preparatoria del Codice.
In Italia nacque una disputa dottrinale all'atto di realizzazione del Codice Pisanelli. Una parte della
Commissione preparatoria riteneva che il matrimonio non doveva aver come effetto il far sorgere
dell'incapacità della donna (opinione supportata dallo stesso ministro Pisanelli), l'altra si presentava
favorevole all'istituto dell'autorizzazione maritale. L'epilogo fu l'adozione di un sistema medio fra
l'austriaco che dava alla donna piena capacità di contrattare e il francese per il quale era in generale
necessaria l'autorizzazione. Il codice italiano del 1865, perciò, stabilì l'incapacità della donna
sposata a compiere atti giuridici e stare in giudizio senza l'autorizzazione maritale. Al contrario di
quanto capitava in Francia dove l'incapacità è la regola e la capacità l'eccezione, l'autorizzazione in
Italia era presunta esistente: essa non era simbolo della naturale inadeguatezza della donna, ma uno
strumento di garanzia dell'ordine e degli interessi della famiglia.
Le Corti Italiane affermarono che la donna sposata potesse validamente compiere gli atti ordinari di
semplice amministrazione (atti di conservazione e di garanzia dei suoi diritti: trascrivere gli atti di
acquisto, iscrivere e rinnovare ipoteche) cosa che invece non era assolutamente ammessa nella
giurisprudenza francese. In Italia la donna maritata era limitata alla sola alienazione dei beni
immobili, mentre era libera di acquistare qualsiasi cosa mobile e immobile sia a titolo oneroso che
gratuito. Per quanto riguarda il divieto di donazioni, la giurisprudenza italiana lo riteneva non
riferibile alle donazioni manuali di tenue intensità. In Francia, invece, l'autorizzazione maritale era
finalizzata non solo a far emergere l'autorità del marito ma anche a salvaguardare gli interessi
pecuniari della famiglia.
L'autorizzazione era generale quindi sia per l'alienazione, sia per l'acquisto a titolo oneroso o
gratuito. Per quanto riguarda la capacità della donna di stare in giudizio il Code prevedeva che
doveva essere autorizzata in ogni tipologia di giudizio e in ogni grado dal marito, in Italia invece era
limitato ai soli casi in cui la donna non poteva stare da sola in giudizio. Il Italia inoltre il marito
poteva dare una autorizzazione generale a compiere tutti o alcuni degli atti che usualmente non
poteva compiere senza autorizzazione. In Francia invece questa forma di autorizzazione non era
concepita nel Code. Vigeva un principio di specialità dell’autorizzazione che voleva non solo una
indicazione precisa dell'oggetto ma anche la specificazione delle principali condizioni dell'atto da
compiere. Anche le forme in cui doveva essere concessa l'autorizzazione speciale erano diverse. In
Italia la giurisprudenza affermo la libertà di forma, anche la forma tacita era sufficiente, però la
semplice presenza dell'uomo nel luogo della stipula o l'utilizzo da parte della donna del bene
acquistato per la famiglia non era sufficiente a fornire prova di autorizzazione.
II. I limiti della potestà maritale
Il codice civile italiano, oltre a definire le ipotesi in cui era richiesta l'autorizzazione maritale,
definisce anche i casi in cui l'incapacità della donna doveva venir meno. Innanzi tutto non vi si
doveva ricorrere all'autorizzazione maritale nel caso in cui il marito fosse minore o interdetto. La
giurisprudenza estensivamente allargò questa ipotesi anche ai casi di inabilità del marito.
Ugualmente non si doveva ricorrere all'autorizzazione in caso di assenza del marito. Tale assenza
poteva essere sia dichiarata che presunta. Idem per i casi di prolungata lontananza del marito in cui
era difficile per la donna procurarsi il suo consenso. Nell'ordinamento francese invece la minore età,
l'assenza e l'interdizione del marito non dava la piena capacità alla donna che doveva richiedere
l'autorizzazione al giudice. In caso di inabilità, la giurisprudenza ritenne che l'uomo non poteva
autorizzare la donna a compiere atti che lui stesso non poteva compiere. Interpretando il Code si
ritenne che per interdizione si intendesse anche l'inabilità, al punto che per entrambe era richiesta
l'autorizzazione del giudice.
Su questa eventualità (interdizione e inabilità) anche la giurisprudenza italiana ritenne la necessità
dell'autorizzazione del giudice, che poteva avvenire in due forme: suppletiva: si sostituiva
all'autorizzazione del marito che non “voleva” dare. surrogativa: quando il marito non “poteva” a
termine di legge autorizzare la moglie. A seconda dei casi il giudice adempiva o una funzione di
arbitro, o un direttore succedaneo al capofamiglia, o di tutore della moglie. Anche in caso di
separazione, secondo il codice civile del 1865, l'autorizzazione maritale era data in surrogazione dal
giudice (salvo che la colpa della separazione era del marito): in tal caso la donna era liberata dalla
richiesta di autorizzazione. Nel caso in cui la separazione fosse avvenuta per colpa della moglie, o
di entrambi, o consensuale, la donna rimaneva incapace e soggetta all'autorizzazione del tribunale
per quegli atti che non poteva compiere senza autorizzazione. L'omologazione finale del
provvedimento lasciava in capo alla donna la sola possibilità di richiesta di autorizzazione al
giudice, non avendo il marito più alcun potere.