Sei sulla pagina 1di 16

Epatite infettiva del cane

EZIOLOGIA

Gli adenovirus del cane sono CAdV-1 e CAdV-2, essi appartengono al genere
Mastadenovirus e rispettivamente sono gli agenti eziologici dell’epatite infettiva del
cane. Il virione degli adenovirus non presenta envelope ed ha un diametro che
oscilla tra gli 80-110 nm, il capside ha una struttura icosaedrica a 20 facce triangolari
ed è strutturato da 252 capsomeri di cui i 12 pentoni ne rappresentano i vertici che
possiedono effetto citotossico causando distacco e lisi cellulare in vivo (raramente in
vitro), e 240 esoni che costituiscono le facce del capside. I pentoni possiedono anche
1 o 2 fibre glicoproteiche , chiamate fibre o spike, costituite da 3 subunità che
determinano effetto emoagglutinante in diversi sierotipi. Gli esoni sono formati da 2
subunità e sono l’antigene di neutralizzazione tipo-specifico. Il core del virione è
rappresentato da DNA a doppia elica del peso di 20-25 x 106 Da.

(virione adenovirus)

Replicazione: il Mastadenovirus si lega alla cellula tramite le fibre e per endocitosi


penetra in essa. Quando il virus è stato inglobato nei lisosomi, i pentoni si dissociano
dal capside e lisano la membrana lisosomiale. Il virus libero nel citoplasma migra
verso il nucleo e avvia la replicazione. Il ciclo di replicazione è diviso in due parti
quello precoce e quello tardivo :
- nella prima parte si ha la trascrizione dei geni precoci e in seguito la
trascrizione del DNA. Ginsberg nel 1988 descrisse 6 regioni precoci E1A, E1B,
E2A, E2B, E3 ed E4, le prime due sono le uniche che vengono trascritte senza
l’ausilio di un transattivatore codificato. La regione E1A codifica un’importante
proteina dal peso di 51 kDa che è responsabile della trascrizione delle altre
regioni precoci ed amplifica l’espressione del gene virale. La regione E1B
codifica un’importante proteina ( 55 kDa) che assieme alle proteine della
regione E4 formano un complesso nucleico che blocca la sintesi delle proteine
cellulari durante la fase litica dell’infezione. Le regioni E2A ed E2B si occupano
della trascrizione della DNA polimerasi e delle proteine preterminali e di
quelle associate al DNA mentre la regione E3 sintetizza 2 proteine che si
occupano della neutralizzazione della risposta immunitaria dell’ospite, queste
proteine impediscono alla cellula di esporre antigeni virali sulla superficie
della stessa impedendo il riconoscimento della cellula infetta e la successiva
distruzione.
- Nello stadio tardivo invece si assiste alla sintesi delle proteine strutturali del
capside, esse vengono sintetizzate nel citoplasma e successivamente
assemblate nel nucleo. Il processo infettivo porta alla lisi cellulare.

Caratteristiche Chimico-fisiche: CAdV-1 e CAdV-2 sono molto resistenti a pH


compresi fra 5-6 e ai solventi lipidici poiché sono privi di envelope mentre vengono
inattivati da disinfettanti a base di cloro e formolo, sono stabili per diverso tempo a
temperature di -70°C mentre a temperature comprese fra 4°C- 20°C resistono
diverse settimane; vengono inattivati ad una temperatura di 56°C, a trattamenti con
raggi ultravioletti e a pH basici; a pH 9 i pentoni vengono rimossi dal virus ormai
inibito. Il CAdV-1 agglutina globuli rossi di diverse specie (uomo di gruppo 0, volatili
e ratti) ad una temperatura di 4°C e pH compreso fra 6 e 8. Le reazioni di
agglutinazione vengono inibite da anticorpi specifici.

Coltivazione: il CAdV-1 cresce su diversi substrati cellulari come rene di maiale e


rene, polmone e testicolo di cane; i risultati migliori si ottengono su cellule in linea
primaria (Cabasso 1954) e continua (Cornwell nel 1970) di rene di cane. Nelle cellule
infette esaminate al microscopio elettronico si notano particelle singole sparse se
infettate da CAdV-1 mentre si notano grossi agglomerati paracristallini se infettati da
CDaV-2 (Ditchfield 1962).

Proprietà antigeniche: il CAdV-1 nelle prove di precipitazione e di fissazione del


complemento è antigenicamente correlato alle diverse specie di Adenovirus delle
varie specie animali, tuttavia, non c’è cross-reattività nelle prove di
sieroneutralizzazione. CAdV-1 e CAdV-2 sono strettamente correlati dal punto di
vista antigenico e nei test di sieroneutralizzazione ed emoagglutinazione pur
presentando caratteristiche patogenetiche differenti. Le reazioni di cross-reattività
sono solo parziali poiché è possibile la differenziazione su base sierologica dei due
sierotipi (Swago 1969). I due virus sono nettamente diversi su base genomica, anche
se possiedono un’ omologia genomica del 75% (Marusyk e Hammarskjold 1972), i
loro profili di restrizione del DNA sono molto diversi (Hamelin 1984).
EPIDEMIOLOGIA

L’epatite infettiva canina era conosciuta già in passato come encefalite epizootica
della volpe e venne osservata per la prima volta nei cani nel 1930 da Cowdry e Scott,
ma solo nel 1947 in Svezia Rubarth ipotizzò che la malattia delle volpi e quella dei
cani avessero un agente eziologico comune. Si deve a Rubarth una dettagliata
descrizione della malattia donde la denominazione di “malattia di Rubarth”.

La malattia è diffusa in tutto il mondo, principalmente nell’Europa centrale e del


nord e negli Stati Uniti.

IMMAGINE MONDO CON PRINCIPALI FOCOLAI

L’epatite infettiva del cane colpisce prevalentemente i cani di età compresa tra 3 e
12 mesi, ma sporadicamente può colpire anche individui adulti non vaccinati.

L’infezione è stata descritta oltre che nel cane in tutti i generi della famiglia dei
Canidae e in molte specie di mammiferi:

 moffetta, un mustelide, in cui sono stati riscontrati casi di epatite acuta letale;
 volpe rossa, lupo e coyote, in cui si presenta in forma encefalica;
 orso, in cui è nota la comparsa di focolai a carattere endemico
 volpe grigia, procione ed altri mammiferi in cui pare sia possibile un’infezione
asintomatica.

In Australia è stata trovata una prevalenza media di anticorpi per il CAdV-1 del
23,2% nella volpe rossa con forti variazioni geografiche, stagionali e legate all’età,
del 97% nelle volpi islandesi nelle isole Channe in California.
Sono stati riscontrati anticorpi anche nei carnivori selvatici e nei mammiferi marini
in Alaska e Canada (orso nero americano, martora di Pennant, orso polare, lupo,
tricheco e leone marino di Steller); di recente un’infezione fatale è stata riscontrata
nella lontra europea.
Quella dell’epatite infettiva canina è una patologia molto contagiosa ed ogni animale
sospetto d’averla contratta deve essere isolato dagli altri soggetti. Tuttavia nelle
volpi la malattia risulta meno diffusibile rispetto al cane, probabilmente per il loro
diverso comportamento sociale.
La trasmissione del virus si realizza per contatto diretto e indiretto tra animale
infetto e animale recettivo. Il virus è infatti diffuso nell’ambiente attraverso urine,
feci, saliva, sangue e secrezioni nasali. Viene contratto attraverso bocca e naso
mentre non è dimostrato il contagio per via aerogena.

Nei soggetti che presentano una guarigione clinica, il virus non è a lungo
evidenziabile nel sangue, ma l’animale continua per lungo tempo (da alcune
settimane fino a sei mesi) ad eliminare il virus attraverso le urine e questa
costituisce una pericolosa fonte di contagio per gli animali sani, anche in
considerazione del fatto che il virus è molto resistente e riesce a sopravvivere a
temperatura ambiente per 1-2 settimane. Proprio per questa ragione l’urina è da
considerare il più frequente veicolo di trasmissione della malattia.

Tutte le misure di ordine igenico-ambientali si rivelano di scarsa efficacia.

Studi sierologici effettuati prima dell’uso sistematico dei vaccini hanno riscontrato
una sieroprevalenza del 30-60% nella popolazione canina mondiale (Cabasso 1953;
Sasaky 1956).

Comunque la maggior parte degli animali infetti siero converte senza manifestare
nessun sintomo della malattia.

Al giorno d’oggi la malattia non è molto diffusa, dal momento che la profilassi
vaccinale a partire dagli anni ’50 ha notevolmente ridotto la circolazione del virus tra
le popolazioni animali colpite, in special modo in quella canina.

Alcuni studi condotti di recente dall’Università di Medicina Veterinaria di Bari


segnalano che, a causa dell’importazione illegale dei cani provenienti dai paesi
dell’Est, ci sia stata l’introduzione sul territorio nazionale di ceppi virulenti tipici
dell’ecosistema artico.

Inoltre, può accadere che per motivi commerciali i vaccini vengano somministrati
troppo presto, cioè in cuccioli con titoli anticorpali colostrali ancora troppo elevati, il
che rende inefficaci i vaccini.

Uno degli studi descrive 4 episodi di malattia che si sono verificati in Italia tra il 2001
e il 2006, tre dei quali in canili del sud e uno in due cuccioli di razza importati da
pochi giorni dall’Ungheria, prima della comparsa dei sintomi clinici.
In tutti i focolai è stato identificato l’Adenovirus canino tipo 1 mediante PCR e, oltre
a questo, sono stati rilevati altri agenti patogeni virali canini, tra cui il virus del
cimurro, parvovirus e coronavirus canini.

Il primo focolaio si è verificato in un rifugio in provincia di Brindisi nel febbraio 2001


che ospitava 254 cani di cui 40 con meno di un anno d’età. Nei cani introdotti non
era stata effettuata nessuna vaccinazione. Tra i cani ospitati c’erano 20 cuccioli di
età compresa tra i 2 e i 3 mesi che mostravano una malattia sistemica caratterizzata
da febbre, letargia, diarrea, vomito, difficoltà respiratorie, congiuntivite
mucopurulenta e segni neurologici (tremori, convulsioni).Di questi cuccioli 11
riuscirono a sopravvivere mentre altri 6 presentarono un opacità corneale
bilaterale. Segni neurologici vennero osservati anche in alcuni cani adulti, ma con un
basso tasso di mortalità (2 cani).

Il secondo focolaio si è verificato nel mese di ottobre del 2001 in un rifugio nella
provincia di Matera che ospitava 300 cani di cui non erano disponibili informazioni
sullo stato sanitario e sulle vaccinazioni effettuate. Tra questi, 22 cani di età
compresa tra i 2 mesi e i 2 anni soffrivano di diarrea, vomito, febbre, grave perdita
di peso, e 6 di loro morirono.

Il terzo focolaio è scoppiato nel novembre del 2004 nel rifugio di Valenzano che
ospitava 250 cani tutti vaccinati contro le principali malattie infettive, tra cui l’epatite
infettiva del cane. Quattro cuccioli tra i 3 e i 9 mesi manifestarono episodi di febbre
e diarrea emorragica che portarono ad un esito fatale dopo 3 giorni dall’inizio dei
segni clinici.

Il quarto focolaio ha coinvolto nel gennaio 2006 due cani, un beagle di tre mesi e un
labrador retriver di tre mesi e mezzo, entrambi comprati in un negozio e importati
dall’Ungheria pochi giorni prima della comparsa dei segni clinici. I cuccioli erano stati
vaccinati contro la rabbia e il parvovirus canino in Ungheria, e contro l’epatite
infettiva del cane, il cimurro e la leptospirosi in Italia. In seguito alla comparsa dei
sintomi vennero portati in una clinica veterinaria di Bari e, con l’esame clinico, nel
beagle vennero riscontrate letargia e incontinenza urinaria, senza sintomi
gastroenterici e respiratori; nel labrador, invece, anoressia e convulsioni. Il beagle
riuscì ad avere nei giorni seguenti un lento recupero, mentre il labrador morì dopo 5
giorni dall’inizio degli esami clinici.
In tutti e 4 i focolai sono stati effettuati tamponi e vari prelievi che hanno dimostrato
la presenza dell’adenovirus tipo 1.

La mortalità negli animali che contraggono questa malattia è compresa tra i 10 e il


30 % e interessa specialmente i cuccioli di età inferiore ad un anno.

Studi effettuati da Cabasso nel 1962 e da Wright e Cornwell nel 1968 hanno
evidenziato che è presente un elevato tasso di morbilità e mortalità nei cuccioli fino
a 2 settimane di età e privi di immunità colostrale.

PATOGENESI

Il CAdV-1, agente eziologico dell’epatite infettiva del cane, viene osservato


principalmente nelle tonsille e nelle placche del Peyer anche dopo sole 48 ore dalla
penetrazione del virus che avviene per via oro-nasale. È proprio in questa sede che
si verifica quella che è denominata “replicazione primaria”; da qui il virus si muoverà
verso i linfonodi regionali fino ad entrare nel torrente circolatorio e dare vita ad una
fase viremica attiva che porterà il virus a contatto con numerosi organi quali fegato,
polmoni, milza, rene e sistema nervoso centrale.

Il tessuto utilizzato dal CAdV-1 per la replicazione è rappresentato dall’endotelio


vascolare e, se si rileva la concentrazione di virus nel torrente circolatorio, si osserva
che in quest’ultimo è davvero alta; questo spiega la rapida diffusione del CAdV-1
durante l’infezione da epatite infettiva in tutti i distretti sopra citati.
La viremia porta a danni tissutali all’endotelio che terminano con emorragie profuse
nei tessuti colpiti dal virus.

Nel corso della patologia si evidenziano numerosi fenomeni concomitanti quali


disfunzioni piastriniche, trombocitopenia, diminuzione dell’attività del fattore VIII
della coagulazione ed aumento del fibrinogeno. È stato anche supposto che questi
problemi siano correlati ad alterazioni epatiche con liberazione di eparina o
formazione di coaguli che cospargono l’endotelio vascolare.
Il CAdV-1, replicando negli epatociti, richiama un elevato numero di leucociti che in
sede epatica determinano lesioni necrotiche reversibili che, dopo la prima settimana
di incubazione, il sistema immunitario ripara depurando il sangue ed il fegato.

L’uveite si realizza quando il virus replica nell’endotelio dei vasi corneali per cui
l’immunocomplesso si forma con il richiamo di cellule infiammatorie nella camera
anteriore dell’occhio che porta alla
distruzione della cornea con conseguente
passaggio di umor acqueo nello stroma
corneale (tutto ciò porta alla
denominazione “occhio blu”). Il fenomeno
dell’uveite solitamente accompagna il
cane fino alla morte anche se il recupero e
la regressione dell’edema possono
avvenire solo se si ha la rimarginazione
dell’endotelio e se si ripristina il normale
gradiente di diffusione tra la cornea e l’umor acqueo.

Nei glomeruli renali il CAdV-1 persiste per circa 14 giorni ma la sua sopravvivenza e
la possibilità di essere eliminato con le urine anche per 6 mesi è data dal fatto che il
virus è presente a livello tubulare per più tempo, anche dopo l’avvenuta guarigione
clinica.

Il fegato rappresenta l’organo bersaglio del CAdV-1; infatti, la morte dei soggetti
colpiti, avviene spesso per insufficienza epatica ed epatoencefalopatia che possono
determinare coma e successiva morte.

SINTOMATOLOGIA E LESIONI ANATOMO PATOLOGICHE


L’ICH (infectious canine hepatitis) si può manifestare in quatto differenti forme:

- fatale;
- acuta;
- subclinica;
- cronica.

In tutti i casi dell’ ICH il primo sintomo è ipertermia ad andamento bifasico,


caratterizzata da un primo picco febbrile (dai 39,4 °C ai 41,1°C) che si osserva nei
primi tre giorni ed un secondo che si manifesta esclusivamente nelle forme più
gravi.

La forma fatale è così denominata poichè possiede un picco di mortalità prossimo al


100%. E’ tipica dei cuccioli privi di immunità colostrale che, successivamente al
primo picco febbrile, vanno incontro alla morte entro 1-2 giorni.
Nella forma acuta la mortalità è del 10-30%. E’ osservabile principalmente in cuccioli
di 1 anno che guariscono dopo circa 7 giorni di malattia.
La forma sublinica è la più diffusa il cui quadro clinico iniziale fa sospettare il
cimurro.
La forma cronica è riscontrabile esclusivamente nei soggetti infetti in maniera
sperimentale.
TEMPO MODALITA’
Successivamente INCUBAZIONE CONTAGIO al primo rialzo
termico, nei (giorni) soggetti affetti
dalla forma 6-9 contatto diretto con subclinica si
osserva una soggetti infetti guarigione
spontanea, al 4-6 Ingestione contrario di quelli
contaminanti
2-4 Infezione
sperimentale per via
parenterale
affetti dalla forma fatale. I cani che presentano il secondo rialzo termico mostrano i
primi segni clinici:
- sintomatologia respiratoria: scolo nasale, epistassi, tonsillite, tracheite, laringite,
polmoni ispessiti (accumulo di cellule linfoidi) e infiammati solo nei casi più
conclamati;
- sintomatologia oculare: scolo oculare, congiuntivite, fotofobia, dolore alla
palpazione del globo oculare, edema della regione orbitale, opacità corneale o
“occhio blu”. Quest’ultimo si può presentare in modo permanente o transitorio,
si manifesta 1-3 settimane dopo la guarigione, per accumulo di immuno-
complessi che precipitano nei vasi di piccolo calibro; è espressione di uveite,
iridociclite non granulomatosa ed edema corneale; inizia dal limbo e procede in
direzione centripeta determinando un aspetto puntiforme;

- sintomatologia del tratto addominale: sete intensa, inappetenza, vomito, diarrea


(anche emorragica), dolore addominale, ascite (presenza di fluido siero-
emorragico nella cavità addominale), colecisti edematosa ed emorragica con
pareti ispessite, duodeno e primo tratto del digiuno emorragici (esclusivamente
nelle forme più gravi), timo emorragico ad aspetto gelatinoso a causa dell’edema
interstiziale, pancreas emorragico, linfonodi della cavità addominale
congestionati con lesioni emorragiche, milza ingrossata ed emorragica con polpa
congesta, reni emorragici e congestionati con infiltrazione di monociti e
neutrofili che determinano fibrosi interstiziale dal colore bianco-grigio ed
infiammazione e presenza di inclusi intranucleari di tipo A (Cowdry), ittero,
epatomegalia. Quest’ultima è caratterizzata da un aspetto scuro, maculato e
congesto dell’organo, con focolai necrotici centrolobulari; il fegato presenta
essudato fibrinoso, vene centrolobulari dilatate con inclusi intranucleari di tipo A
(Cowdry) ed infiltrazione di cellule neutrofile e mononucleari;
- sintomatologia apparato circolatorio: ridotto controllo dell'attivazione
dell'emostasi nel cuore e nei vasi di grosso calibro (dovuto a trombocitopenia),
stato anemico, neutropenia, albuminuria (causata da glomerulonefrite immuno-
mediata), danni vascolari generalizzati;

- sintomatologia cutanea: ecchimosi e petecchie sulla regione addominale e


dorsale, congestione ed emorragia di cute e mucose, edema gelatinoso nel
connettivo sottocutaneo (in particolare su spalle, fianchi e addome), dolore alla
palpazione della regione epigastrica, del dorso e della regione lombare, edema
sottocutaneo nella regione del capo e del collo;
- sintomatologia neurologica: contrazioni tonico-cloniche di arti e capo, emorragia
cerebrale, depressione del sensorio, congestione delle meningi, presenza di
petecchie ed ecchimosi nel parenchima cerebrale, vasi meningei con cellule
endoteliali rigonfie e desquamate in fase infiammatoria, encefalopatia porto-
sistemica o coma epatico (il fegato rende atossici i prodotti provenienti dalla
digestione intestinale; nelle epatopatie tali prodotti raggiungono inalterati il
circolo sistemico a causa della insufficiente depurazione epatica. Le sostanze
tossiche possono raggiungere così il cervello, alterando il funzionamento dei
neuroni).

DIAGNOSI

La diagnosi dell’ICH costituisce un momento fondamentale in questa patologia in


quanto si manifesta con forme enteriche e respiratorie e spesso può indurre il clinico
a sospettare la presenza del Cimurro (presenta, al suo esordio, sintomi respiratori ed
enterici).
Le analisi ematologiche (leucopenia, trombocitopenia, prolungamento del tempo di
coagulazione, ALT e AST) possono essere indicative di infezione da CAdV1, anche se
valori di transaminasi molto elevati si sono registrati solo in cani gravemente
ammalati o prossimi al decesso.
L’aumento delle transaminasi e della fosfatasi alcalina si verifica gradualmente sino al
14° giorno p.i., per poi declinare rapidamente. Il tracciato elettroforetico evidenzia
diminuzione della albumine, transitorio aumento delle alfa 2 globuline a 7 giorni p.i.
e, più tardivamente, aumento delle gamma-globuline, che raggiungono il picco
massimo al 21°giorno p.i..
Con l’esame delle urine è possibile apprezzare la proteinuria dovuta al danno renale
con conseguente aumento della permeabilità glomerulare (anche 50 mg/dl).
Altri esami vengono effettuati sul liquido asportato mediante paracentesi
addominale e sul liquido cefalorachidiano.
La diagnosi di certezza necessita tuttavia la conferma con test sierologici e virologici.
Test sierologici:
– SN è l'esame sierologico più utilizzato; si esegue con la tecnica del doppio
prelievo;
– IEA sfrutta la capacità di CAdV1 di agglutinare gli eritrociti di ratto, pollo e
uomo gruppo 0;
– FdC è poco attendibile;
– AGID ed ELISA, poco utilizzati.
La correlazione antigenica tra CAdV1 e CadV2 e la diffusione della vaccinazione
costituiscono il principale limite delle tecniche sierologiche.
L'isolamento virale rappresenta la tecnica virologica più utilizzata.
La diagnosi intra-vitam viene effettuata a partire da secrezione congiuntivali e nasali,
da feci, da sangue e da urine.
La diagnosi post-mortem viene effettuata a partire dai tessuti linfatici, dai polmoni,
dai reni e dal cervello. I substrati da utilizzare sono cellule permissive come le MDCK
(Madin Darby canine kidney, Cornwell 1970), allestite da donatori non infetti.
La replicazione virale può anche essere evidenziata mediante identificazione di corpi
inclusi nucleari nelle cellule dopo colorazione con ematossilina-eosina (E-E).
L’immunofluorescenza indiretta su sezioni di fegato rappresenta una metodica rapida
per la dimostrazione dell'antigene virale.
Protocolli PCR sono stati sviluppati per la diagnosi diretta, da più di un decennio, per
l'identificazione e caratterizzazione di CAdV1 e CadV2 utilizzando una sola coppia di
primer.
PROFILASSI

Il controllo dell'ICH non può essere garantito dall'esclusivo intervento di disinfezione


a causa della resistenza ambientale del virus.
Soprattutto in canili e pensioni è buona norma allontanare i cani infetti per evitare la
diffusione dell'infezione.
L’impiego sistematico dei vaccini ha largamente ridotto l’impatto dell’epatite infettiva
sulla popolazione canina.
Inizialmente si utilizzarono dei vaccini inattivati a base di CadV-1 che si dimostrarono
privi di effetti collaterali ma soggetti a ripetute inoculazioni in quanto privi dei
efficacia duratura.
I vaccini vivi modificati preparati con CAdV1 (non presenti attualmente in
commercio) sono risultati molto efficaci, talora responsabili di reazioni post-vaccinali
(comparsa di lesioni oculari e renali, con conseguente nefrite interstiziale e
persistente eliminazione del virus attraverso le urine).
La somministrazione di CAdV1 assieme al vaccino per il cimurro è stata associata ad
encefalite post-vaccinale. Poiché CAdV1 e CAdV2 sono in grado di conferire
protezione crociata, i vaccini sono attualmente preparati con CAdV2 vivo attenuato,
che, diversamente da CAdV1, non induce danni renali o oculari. Il ceppo CAdV2
attenuato Toronto A26/61 è contenuto nella maggior parte dei vaccini.
Il protocollo di vaccinazione deve tener conto dell'interferenza indotta nei cuccioli
dall'immunità colostrale, la vaccinazione risulta efficace solo quando il titolo
anticorpale scende al di sotto di 1:100 (35 – 50 gg di età). La somministrazione va
ripetuta ad intervallo di 3-4 settimane.
La somministrazione intranasale di vaccini vivi attenuati di tipo CAdV-2 sembra in
grado di superare l’interferenza degli anticorpi passivi, ma può essere associato alla
comparsa di sintomi respiratori.

TERAPIA

Non potendo effettuare terapie antivirali, nell’epatite infettiva si effettua una terapia
sintomatica che prevede fluidoterapia e trasfusione di sangue per compensare e
limitare i danni epato-renali.

BIBLIOGRAFIA
- “focolaio di epatite infettiva del cane in un canile”: Tesi di laurea di Maria
Loredana Colaianni;
- Nome de libro di malattie infettive
- Siti camero
- Siti delle foto
- http://www.evsrl.it/vet.journal/archivio_pdf/2007/2644.pdf
- http://www.tuttosanita.it/pugliasalute/Anno2004/Pugliasaluten
%C2%B020%20PDF/veterinario_epatite.pdf
- http://www.corsivettoquotidiano.com/index.php?
option=com_content&view=article&id=94:cani-dallest-cimurro-ed-epatite-tra-i-
rischi-sanitari&catid=50:scienza-e-tecnologia&Itemid=66
- http://salute.leiweb.it/dizionario/medico/encefalopatia-porto-sistemica.shtml
- http://www.canigattieco.com/cani/malattie-cani.aspx?id_articolo=52

Potrebbero piacerti anche