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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020

Carlo Saronio, 1949-1975, ritratto postumo di Giuseppe Ingegnoli del 1976

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
Carate Urio (Como), 13 aprile 2020

Carissimo zio Carlo,

sono passati 45 anni dalla tua uccisione. Io non ti ho mai conosciuto, o forse sì. Quante volte
mi hanno parlato di te, quante mi hanno detto che ti assomigliavo. Troppe, forse. Eppure quanto non
detto è rimasto sepolto in questi lunghi anni. Nonna Angela non ha mai voluto parlarmi di te.
Mamma Piera e papà Ernesto lo hanno fatto col contagocce. Eppure l'anno scorso, era il 14 marzo
2019, ho sentito il bisogno di scavare, di conoscerti meglio, di riscoprirti. Perchè? Credo nelle
intuizioni, nelle connessioni tra persone, nel feeling, e qualcosa è scattato. Per caso,
apparentemente. In comunità ad Algeri stavamo guardando un film, che avevo proposto io senza
sapere esattamente di cosa si trattasse, Tutti i soldi del mondo, regia di Ridley Scott (Lucky Red,
2017). E' la storia del rapimento di John Paul Getty junior, avvenuta nel 1973 a Roma. Nel momento
in cui la madre del rapito riceve la prima telefonata con la richiesta del riscatto, nella mia testa è
avvenuto un transfert: ho visto nonna Angela quella mattina del 15 aprile 1975, nello sbalordimento
e nell'angoscia di aver appena saputo che tu eri stato appena rapito la notte precedente, davanti a
casa, in Corso Venezia 30 a Milano.

Michelle Williams nel ruolo di Gail Harris, madre di John Paul Getty junior, in una scena di Tutti i soldi del mondo

In realtà la tua mamma era nella casa di Bogliasco (sul mare, in provincia di Genova) quella
mattina, ed a rispondere al telefono ai rapitori è stato il ragionier Armando Damaschi,
amministratore di famiglia. In quel momento nessuno si immaginava che tu fossi già morto,
accidentalmente durante quella notte stessa, tra il 14 ed il 15 aprile, diranno poi gli atti processuali.
Nella mia notte che ha seguito il film, dopo le lacrime dell'emozione che mi hanno sommerso, mi
sono messo sulle tue tracce. Ho trovato un libro su di te, Pentiti di niente, di Antonella Beccaria
(Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2008). L'ho scaricato e nel giro di 24 ore l'avevo bevuto tutto
d'un fiato.

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
Il giorno dopo ho scritto ad Antonella. Ci siamo sentiti dopo pochi giorni e visti il mese
successivo, in occasione di un mio rientro in Italia. Le ho chiesto di aiutarmi a capire un po' di più e
così è stato. Il giorno dopo ho iniziato un tour della memoria, sui tuoi passi ed allo stesso tempo sui
miei. Quasi a cercare quello che ci accomuna.
Ho camminato lungo Corso Venezia, mi sono
fermato davanti al civico numero 30, dove la
nostra famiglia ha vissuto per decenni, dove tu
sei stato rapito, dove è arrivata la prima
telefonata dei rapitori, dove ho vissuto anch'io
da piccolo.

Ho proseguito verso Piazza San Babila e


sono entrato nell'omonima chiesa. Qui si sono
sposati i tuoi genitori, il nonno Piero e la
nonna Angela, qui abbiamo fatto il catechismo
e ricevuto i sacramenti, qui il 16 dicembre
1978, padre David Maria Turoldo, profeta e
poeta, nonchè tuo padre spirituale, ha
celebrato una liturgia in tuo suffragio.

Le tessere del mosaico, o i pezzi del


puzzle, di questo puzzle che vorrei conoscere il
più possibile, hanno iniziato a comporsi e mi
hanno mostrato tante sfaccettature di te. Con
Marta, la figlia che non hai mai conosciuto, ci
siamo ritrovati entrambi alla ricerca di te
assente, eppure così incredibilmente presente
nelle nostre vite.

Corso Venezia 30, Milano, oggi Palazzo Della Valle

Con Silvia Latini e suo marito Luigi, ho percepito l'amore e la nostalgia che lei prova per te da
quando eravate fidanzati. Con Silvana ed Antonio Sozzi, i fedeli custodi di allora, e poi per lunghi anni
a servizio di nonna Angela, ho colto la stima nei tuoi confronti.

Molti altri pezzi del tuo puzzle sono ancora mancanti, e questo anniversario, il
quarantacinquesimo, vorrebbe anche provocare altri incontri, stimolare altre testimonianze, ma ce
n'è uno, cruciale, che è iniziato il 3 dicembre scorso e continua un mese dopo l'altro. Quello di Carlo
Fioroni. L'amico che ti ha tradito, colui che mi ha raccontato il tuo lato militante ma anche la tua
eleganza dello spirito. Pardossalmente è come se, attraverso chi si è adoprato per la tua morte (non
voluta, nè desiderata, ma accaduta), si sia aperta una connessione di vita.

C'è un libro che mi ha accompagnato nel capire perchè sto facendo tutto questo, ed è La
mattina dopo di Mario Calabresi (Mondadori, 2019). Scritto di getto da chi ha perso suo padre, il
Commissario Luigi Calabresi, in un attentato nel 1972 quando aveva appena due anni. Mario,

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
licenziato da direttore de La Repubblica, ha deciso di
permettersi di essere se stesso, di non dover sostenere
davanti a tutti che "va tutto bene", e di vivere le sue
mattine dopo i traumi della vita con lucidità, coraggio e
resilienza. E' proprio quello che cerco di vivere anch'io,
caro zio, consapevole che "è più facile essere presenti
l'un per l'altro, o assenti l'un per l'altro, che nella
costante presenza dell'assenza altrui" (Gianpiero
Petriglieri).

Ti scrivo davanti al ritratto che ti raffigura,


davanti ai tuoi penetranti occhi blu che sembrano
sorridermi.

Ti abbraccio fortissimo

tuo nipote Piero

Carlo, ritratto postumo di Federico Ferrari del 1980

P. Piero Masolo
Missionario del P.I.M.E. (Pontificio Istituto Missioni Estere)
masolo.piero@pime.org

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020

Estratto da: Antonella Beccaria, Pentiti di niente, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2008 (pp. 7-17).

INTRODUZIONE: UNA STORIA CHE ATTRAVERSA DUE DECENNI

C’è una storia che taglia a metà gli anni Settanta arrivando a lambire quasi tutti gli Ottanta e
che diventa un paradigma non solo dello sbando di alcuni personaggi che non trovano collocazione in
quel decennio di ideali, ma anche di scontri politici. È quella di Carlo Saronio, giovane ingegnere della
borghesia milanese che si avvicina alla sinistra extraparlamentare, ma che finisce preda della
bramosia di alcuni di questi personaggi. Oltre al dramma personale di un sequestro e di un omicidio,
la vicenda di Carlo Saronio racconta anche la nascita di un fenomeno, quello della dissociazione dalla
lotta armata, e della sua strumentalizzazione da parte di chi andava a caccia di sconti di pena.
Riuscendo a ottenerli.
Mentre si indaga su chi ha rapito l’ingegnere, la Milano che ne emerge in un primo momento
sembra una specie di Marsiglia in cui il Mediterraneo viene sostituito dai Navigli e dalla darsena di
Porta Ticinese, ma che nulla ha da invidiare alla disinvoltura dei banditi d’Oltralpe. Una Milano in cui
la politica arriva fino a un certo punto e la malavita fa da padrona tra evasioni, ricatti, giri di denaro
da riciclare, bella vita ogni volta che si arraffa un po’ di contante. Dove l’umanità si scontra e perde di
fronte al profitto criminale e dove non esiste alcun codice etico quando si decide di speculare anche
su un cadavere in precedenza fatto sparire.
Ma poi all’improvviso lo scenario cittadino si modifica e quegli stessi personaggi, dai
protagonisti alle comparse, dalle vittime ai carnefici, diventano gli interpreti di un copione a sfondo
terroristico dove l’“Organizzazione” viene prima di tutto. Anche della solidarietà verso un compagno
e dell’amicizia tra due giovani che stanno dalla stessa parte. Il cambiamento è così repentino che non
sembra di essere ancora in quei quartieri. Sembra a questo punto di aver attraversato i confini della
realtà per entrare in un romanzo di fantapolitica in cui si può raccontare tutto e il contrario di tutto.
Eppure no. Carlo Saronio viene sequestrato e ucciso davvero. A non tornare per molto tempo
sarà però la ricostruzione di questo delitto. Sono parole, quelle che si andranno via via pronunciando,
che raccontano sempre lo stesso fatto, ma lo fanno ogni volta in modo diverso. Il punto di partenza,
che non si modifica mai, è la sorte dell’ingegnere. Il resto – ciò che è avvenuto dopo, ma anche ciò
che si è consumato prima del sequestro – muta senza tregua a ogni interrogatorio, a ogni
deposizione. Non saranno mai identici la dinamica, i ruoli, le responsabilità, le appartenenze. Non si
può fare altro che ripartire sempre da zero, da quella sera dell’aprile 1975 quando Carlo Saronio
viene bloccato e costretto a salire su un’auto sconosciuta. Da una dimensione criminale pasticciona e
spietata, con il tempo, con gli anni, si arriva a sostenere che quel ricco militante non era più utile
neanche come pollo da spennare per la “causa”. E che il suo destino viene deciso da una potente e
implacabile cupola eversiva responsabile, più o meno direttamente, di tutta la violenza politica che si
consumava ogni giorno in tutta la nazione. “Mi pento, mi dissocio e vi racconto tutto”, diranno i
responsabili della fine che Saronio fa. E parlano, scrivono memoriali, chiedono di incontrare
magistrati di procure differenti, indirizzano le indagini. Ma soprattutto si adeguano a quelle che
vengono definite emergenze investigative e processuali. In altre parole modificano la realtà sulla
base di opportunità. Le loro, ovviamente. Ma vengono creduti.
Il risultato che ne deriva ha un nome: è il processo “7 aprile” che, nei suoi vari gradi, avrà
l’unico merito di smentire le parole di chi si definiva collaboratore di giustizia e che proclamava il

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proprio ripudio al terrorismo. E di dimostrare che il vertice della violenza rossa, quello che tutto
avrebbe coordinato e che puntava alla guerra civile, non era mai esistito. Le realtà politiche che pur
commisero reati anche molto gravi si muovevano infatti senza contribuire a un disegno più
complessivo. Non c’era nessun giovane “grande vecchio”, come si disse di Toni Negri, Oreste
Scalzone o Franco Piperno. Non ci furono fiancheggiatori che, pur indicati dai sedicenti pentiti come
tali, trascorsero comunque dietro le sbarre anni di carcerazione preventiva in attesa che la loro
innocenza fosse riconosciuta.
Ci furono solo coloro che tentarono un’estrema speculazione su un ragazzo che avevano rapito
e ucciso a metà degli anni Settanta approfittando di una legislazione che cambiava e che dunque non
era ancora stata applicata, di una gestione dell’emergenza non sempre svolta nel rispetto dei diritti
degli imputati e di vantaggiosi benefici in termini di anni di galera.

MILANO, 14 APRILE 1975: DAL SEQUESTRO AI PRIMI SOSPETTI

Carlo Saronio scompare la sera del 14 aprile 1975, un lunedì all’apparenza come tanti altri. È
un ingegnere, ha 26 anni e, malgrado l’appartenenza a una facoltosa famiglia della borghesia
milanese, nutre simpatie neanche tanto celate alle stesse forze dell’ordine per la sinistra
extraparlamentare e in particolare per alcuni personaggi che provengono dalle disciolte fila di Potere
Operaio. L’ultima volta che la madre, Angela Boselli, lo vede è a cena conclusa: intorno alle 22, Carlo
prende le chiavi della sua auto, una Lancia Fulvia con cui va in giro da un po’, e come accade spesso
in quel periodo lascia l’appartamento di corso Venezia per raggiungere un gruppo di amici che lo
aspetta dalle parti di piazza Aspromonte.
Nella notte nessuno si accorge che Carlo Saronio non è rientrato e chi avesse gettato
un’occhiata sul ciglio della strada si sarebbe accorto che l’automobile dell’ingegnere era al suo posto.
Alle 9 del mattino successivo tuttavia giunge a casa Saronio una telefonata. E non è la prima: altre
due l’hanno preceduta tra le 8 e le 8 e mezza. All’apparecchio c’è sempre uno sconosciuto che non si
qualifica e si limita a chiedere con insistenza di parlare con la signora Boselli, ma il filtro dei domestici
regge e l’anonimo telefonista decide di chiamare un altro numero: è quello degli uffici dell’azienda di
famiglia, che si trovano nello stesso edificio, e parla direttamente con l’amministratore dei Saronio, il
ragionier Armando Damaschi. “L’ingegnere è stato rapito. Richiamerò tra poco per il riscatto”. Poi
riattacca. La lapidaria telefonata ha uno scopo preciso: dare il tempo alla famiglia e ai suoi
collaboratori di verificare l’assenza di Carlo. Vuoi mai che sia uno scherzo di cattivo gusto? Ma il
giovane in camera sua non c’è. Per di più – a quel punto chi si affaccia se ne deve accorgere per forza
– la Fulvia è sotto casa, chiusa a chiave, come se non fosse stata toccata o come se il giovane
professionista avesse avuto il tempo, una volta lasciati gli amici, di riportarla sotto casa e
parcheggiarla senza alcun disturbo. Ma ciò che è realmente accaduto nelle ore immediatamente
precedenti è un mistero: di certo c’è solo che lui non si trova.

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Tempo
mezz’ora e il
telefono squilla di
nuovo. È ancora
lo sconosciuto di
poco prima che
parla con
Damaschi e che gli
comunica in tono
perentorio che
per la liberazione
dell’ostaggio la
famiglia dovrà
scucire cinque
miliardi di lire in
due rate.

Il quotidiano La Notte del 16 aprile 1975, pagina 3

Tre i giorni concessi per il versamento della prima tranche di due miliardi e mezzo: la data
fissata è il 18 aprile e quel giorno gli emissari dei Saronio dovranno seguire le informazioni che
verranno loro comunicate in seguito per raggiungere il luogo del pagamento. Nel corso di quelle
prime ore i sequestratori giocano con il terrore della famiglia: chiamano di frequente, a volte facendo
una telefonata dopo l’altra, poi interrompono le comunicazioni per qualche ora, lasciano che i
parenti si macerino nell’angoscia e poi tirano all’improvviso la corda, minacciano ritorsioni nel caso le
loro disposizioni non vengano seguite alla lettera. Aggiungono ansia all’ansia per piegare qualsiasi
rifiuto alla trattativa. In una telefonata che infatti arriva alle 17 di quello stesso 15 aprile, si decide di
dare un’iniziale conferma del fatto che nessuno sta scherzando, la prima prova che a chiamare sono
davvero i rapitori di Carlo: all’altro capo c’è sempre la stessa voce, caratteristica, con un forte
accento meridionale, che dice dove si trovano le chiavi dell’auto che l’ingegnere aveva con sé quando
è stato portato via. Poi basta, non si dilunga in altri dettagli, e che i familiari aspettino, seguiranno
ulteriori contatti. Fin da subito vengono avvertite le autorità e i telefoni di casa e degli uffici sono
messi sotto controllo. Però ci si rende conto che le trattative saranno tutt’altro che rapide.
Innanzitutto la prima data del pagamento, il 18 aprile annunciato inizialmente, salta: da un lato,
infatti, i congiunti dell’ingegnere non vogliono sentir parlare di “rate”. Il loro scopo infatti è quello di
pagare tutto in un’unica soluzione, ma la cifra è ragguardevole e metterla insieme è affare che
richiede tempo. Dall’altra però chiedono una prova che Carlo sia ancora vivo, ma i sequestratori
nicchiano, eludono la questione, la rimandano o minacciano e solo a undici giorni da quella prima
telefonata, il 26 aprile, dopo pressanti richieste in questo senso, sembrano finalmente accogliere
quella che ormai ha assunto i toni di una supplica: va bene, avranno quanto chiedono. Per ottenerlo
che vadano al cinema Italia e raggiungano la toilette. Dentro la cassetta dello scarico dell’acqua,
troveranno l’orologio da polso dell’ingegnere. Ma è troppo poco, non basta per fugare o anche solo
per rendere meno attanagliante l’angoscia della madre. E poi perché non fanno come in altri casi di
sequestro di persona? Perché non inviano una fotografia che ritrae l’ostaggio insieme a un giornale
recente? Perché non spediscono uno scritto dell’ingegnere successivo al rapimento?

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No, quell’orologio non è neanche vagamente sufficiente. I familiari insistono, producano
qualcosa di più convincente altrimenti niente riscatto. E allora la banda di rapitori, nel giro di poche
ore, fa recapitare alcune informazioni poco note a proposito di Carlo: la prima riguarda una
fotografia scattata tempo addietro in America Latina in cui Saronio viene ritratto accanto a due
bambini indios: è talmente affezionato a quell’immagine e al ricordo del viaggio che l’ha appesa in
camera sua, sopra il letto; la seconda invece è la descrizione di una cagnolina che la famiglia Saronio
teneva nella sua villa di Bogliasco, in provincia di Genova. Nessuno scritto però accompagna questa
comunicazione, le informazioni vengono trasmesse sempre al telefono ed è vero che non sono
notizie di dominio pubblico, ma è altrettanto vero che anche l’entourage delle vittima conosceva
quei dettagli. Di più però i rapitori non possono fare, Carlo si rifiuta di collaborare. Dunque che la
famiglia si accontenti: non è proprio la prova che chiedeva, ma ci va vicino. A quel punto i nervi
hanno già ceduto e a questo punto si deve tentare il tutto per tutto per far tornare Carlo a casa.
Tanto basta quindi per concordare la cifra definitiva: 470 milioni di lire, meno del dieci per cento
della richiesta iniziale, da versare in un’unica soluzione.
Le trattative intanto si sono trascinate per giorni e ormai si è arrivati al primo maggio, sono
trascorse oltre due settimane dal rapimento, ed è tempo di chiudere. Così nel corso dei tre giorni
successivi si prendono accordi sulle modalità di consegna: il 4 maggio il ragionier Damaschi e
l’avvocato Alessandro Tonolli, altro collaboratore di famiglia, devono salire a bordo della Fulvia di
Carlo portando con loro due valigie in cui sono custoditi i soldi. A quel punto inizia un percorso, una
specie di caccia al tesoro, in cui si arriva nel primo punto indicato dai rapitori, si raccoglie un
messaggio, un dettaglio concordato di volta in volta, un qualsiasi elemento che suggerisca in quale
direzione procedere. La prima tappa di questa caccia viene raggiunta alle quattro del mattino quando
i due professionisti approdano all’Hotel Cavalieri di Milano. Qui attendono una telefonata che giunge
puntuale nel giro di poco e che ordina loro di inforcare la tangenziale est del capoluogo lombardo,
arrivare al chilometro 8 e di cercare il messaggio successivo sotto un cartello stradale. Lì trovano
un’ulteriore indicazione che dice loro di uscire a Cernusco sul Naviglio, parcheggiare l’auto nei pressi
di una cava lì vicino e di allontanarsi per mezz’ora: al loro ritorno, se tutto sarà andato secondo i
piani, non ci saranno più le borse con i quattrini. Ma quando la coppia di emissari torna indietro si
accorge che non è accaduto nulla, che questo appuntamento è andato a vuoto: i rapitori non si sono
infatti presentati a ritirare il riscatto perché – diranno poco dopo sempre al telefono – avevano avuto
l’impressione che un’auto in borghese della polizia fosse in zona. Avevano ragione.
Nel contatto che segue l’incontro alla cava di Cernusco, i rapitori non sono affatto teneri, fanno
notare con violenza alla famiglia che la foglia l’hanno mangiata e aggiungono si pentiranno dello
scherzo che hanno tentato di tirare loro perché mica sono scemi, l’hanno vista bene quell’Alfa Romeo
Giulia che stazionava in zona. Sbirri, non poteva essere altrimenti, e chi vuoi che fosse a quell’ora in
un posto tanto isolato? Dunque – accusano ancora i malviventi – non solo i Saronio hanno
denunciato la scomparsa contravvenendo a quanto esplicitamente vietato, ma stanno collaborando
con le forze dell’ordine. A questo segue un nuovo stillicidio di comunicazioni durante le quali però
vengono via via lasciate da parte le minacce e riprendono le trattative.
Si stabilisce così che la data successiva per la consegna del denaro sarà il 9 maggio. Questa
volta si chiede che gli emissari della famiglia si muovano separatamente per confondere eventuali
pedinamenti da parte delle forze dell’ordine: Damaschi prenderà di nuovo la Fulvia mentre il cognato
di Carlo, Ernesto Masolo, a bordo della propria autovettura, dovrà puntare verso Nova Milanese,
entrare nel bar Corona e attendere nuove istruzioni. Qui giunge puntuale una telefonata per lui e

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l’uomo viene indirizzato verso una località di campagna dove troverà un messaggio scritto. Nel
foglietto gli si dirà di imboccare l’autostrada dei Fiori Milano-Genova in direzione del capoluogo
ligure e di fermarsi nei pressi di un ponte, all’altezza del chilometro 148,400. Qui incontrerà tre
individui armati a volto coperto che prenderanno in consegna le valigie con il denaro. Non una parola
e nessun altro scherzo altrimenti a pagare sarà Carlo. Questa volta tutto va liscio: il denaro viene
consegnato, Ernesto Masolo riprende la strada di casa con 470 milioni di meno, ma con la speranza
che il cognato ricompaia presto. Per tutti inizia la fase dell’attesa più lacerante, ma anche la più
vivida: la liberazione di Carlo. Tuttavia il giovane non ricompare quel giorno. Forse accadrà il giorno
successivo o forse occorre attenderne qualcuno: l’avranno magari portato lontano e deve ritornare in
zona prima di essere rilasciato. Illusione, desiderio, fiducia si alternano in quelle prime ore, ma con il
trascorrere del tempo si trasformano in chimere, fantasie fino ad assumere i connotati del miraggio,
di un’illusione che svanisce via via che trascorrono le ore. E non ci sarà nulla che arresterà questo
processo, che conterrà un timore che si fa tracimante: Carlo Saronio scomparirà per sempre e con lui,
fin dalle ore successive al pagamento del riscatto, anche i rapitori svaniscono nel nulla. Non ci sarà
più alcuna comunicazione, nessuna telefonata, neanche un messaggio scritto fatto ritrovare chissà
dove.
A
questo
punto, però,
la squadra
mobile della
questura di
Milano inizia
a tirare gli
estremi di
una corda
che ha teso
intorno alla
banda.

Il quotidiano Il Giornale del 20 maggio 1975, pagina 9

D’accordo con la famiglia, i movimenti compiuti prima e durante il pagamento del riscatto
erano stati seguiti da lontano da agenti in borghese che si erano mossi con più circospezione rispetto
al 4 maggio. Si erano sempre mantenuti a distanza, mai un veicolo delle forze dell’ordine si era
avvicinato all’auto che stava andando a consegnare un riscatto. Ma in quell’occasione, il 9 maggio,
quando il pagamento va a buon fine, non avevano tratto alcun dato su cui indagare. Sarebbe tuttavia
il caso di dire che non avevano tratto alcun elemento nuovo perché un elemento da cui partire ce
l’avevano già. L’elemento ha un nome, si chiama Carlo Casirati, è nato nel 1942 a Treviglio, in
provincia di Bergamo, ha precedenti penali per rapina e fino ai giorni convulsi del rapimento Saronio
era irrintracciabile: di lui non si era più saputo nulla dopo che il 20 febbraio 1974 era evaso dopo
venti mesi di detenzione dal carcere di San Vittore. Ricompare però il 4 maggio, proprio il giorno di
quel primo mancato pagamento, anche se per arrivare alla sua identificazione occorrerà ancora
qualche giorno. Sul momento si parla solo di un uomo che si materializza la notte in cui Armando

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Damaschi segue il percorso indicato dai rapitori: per evitare che gli investigatori gli si avvicinino
troppo in tempi in cui le comunicazioni mobili sono ancora molto lontane, si è stabilito che il
ragioniere, nel momento in cui saprà quale direzione prendere, lo scriva su un foglietto, lo inserisca
in un pacchetto di sigarette e lo lasci cadere prima di ripartire. “Sto andando alla cava di Cernusco”.
Poi ingrana la prima e parte, ma la polizia comunica via radio con la centrale la destinazione e c’è così
il tempo di allestire un servizio di appostamento e di raggiungere quell’area. Qui i malviventi si
accorgono dei poliziotti, ma accade anche il contrario.
In zona, infatti, oltre alla Giulia degli agenti, c’è anche un’altra auto, una Simca 1000, nascosta
dietro un mucchio di detriti estratti dalla cava. Data l’ora – si è ormai prossimi all’alba – e il luogo, il
fatto appare strano e così la targa del veicolo viene annotata. A dirla tutta, non è che ci si aspetti
granché da quel controllo: se i rapitori sono furbi, quella macchina l’hanno rubata e non si arriverà a
nulla. Invece ecco che arriva una sorpresa: sull’auto non pende alcuna denuncia per furto, risulta
intestata a una donna. E se sulle prime sembra che comunque sia un vicolo cieco, vai a vedere meglio
e ti accorgi che quella donna è la madre di un pregiudicato per di più latitante: Carlo Casirati. Verifica
ancora, fai qualche domanda in giro e salta fuori proprio che il figlio di quella donna, seppur
ricercato, bazzica ancora in zona (vive infatti con la moglie a Sesto San Giovanni) e dispone a proprio
piacimento della Simca. Strano dunque che un personaggio come lui fosse in quella zona proprio
quando era in corso il pagamento di un riscatto. Se si tratta di una coincidenza, è davvero curiosa, ma
per gli investigatori non si tratta di una coincidenza, il pregiudicato è coinvolto.

(Il testo del libro per intero è scaricabile su: http://bluedoorbar.co.nz/pagine/346302-IACLIKFFH.html)

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020

Angela Boselli Saronio, articolo apparso su Gente nel 1979

Carlo, mio figlio, è stato rapito e assassinato da delinquenti comuni. Farlo passare per una
vittima dei suoi compagni di fede politica significa non averlo mai conosciuto intimamente, vuol dire
fargli un grande torto. Carlo, lo posso dire con assoluta certezza, senza timore di essere smentita,
non si è mai occupato di politica. Semmai, è stata la sua umanità, il suo interesse per i problemi delle
persone meno fortunate di lui, a metterlo in contatto con l'uomo che l'ha tradito, il professorino
Carlo Fioroni.

Quando venne sequestrato, la sera del 14


aprile 1975, Carlo non aveva ancora compiuto 26
anni, era infatti nato a Milano il 30 maggio 1949.
Alla fine di ottobre era rientrato dagli Stati Uniti.
Aveva studiato per un anno a Filadelfia con il
professor Britton Chance per perfezionare i suoi
studi di ricerca sugli enzimi. Il problema che lo
interessava maggiormente era la lotta contro i
tumori. Se non lo avessero rapito, si sarebbe iscritto
a Medicina (si era già laureato, a 22 anni, in
Ingegneria chimica alla Statale di Milano). Aveva
scelto Ingegneria probabilmente per accontentare il
papà, Piero, laureato in chimica ed industriale del
settore. Ma allora la sua predilezione andava alla
materie letterarie. Aveva studiato prima dai gesuiti,
al Collegio Leone XIII, poi aveva preso la maturità
classica al Parini, che allora era un ottimo liceo
statale.
Carlo piccolo con il papà Piero a Bogliasco,
ritratto da A. De Paoli da Carbonara nel 1971

Fin da quegli anni, le sue simpatie politiche erano orientate verso i moderati. Ricordo che
quando aveva 15 anni fu anche colto da una crisi religiosa così intensa che in casa si pensava che
Carlo potesse entrare in seminario. Allora mio figlio frequentava i gruppi studenteschi di don Luigi
Giussani, che ora sono confluiti in Comunione e Liberazione. La sua attività si concretizzava nella
propaganda religiosa che faceva tra i coetanei: il problema della fede gli era particolarmente sentito.

Gli impegni al Leone XIII erano troppo pesanti per lui, che soffrì anche di un esaurimento
nervoso. Su consiglio del medico di famiglia lo iscrivemmo allora al liceo statale. Era al Parini nel '66,
quando scoppiò l'ormai famoso scandalo per il giornaletto dell'istituto, la Zanzara.

In famiglia Carlo era piuttosto chiuso. Solo quando gli amici che frequentavano casa lo
stuzzicavano, venivamo a conoscere alcuni episodi della sua vita dei quali non ci aveva mai parlato.
Sciava piuttosto bene, andava a cavallo, era un abile nuotatore, ma non era uno sportivo. Al Parini il
suo insegnante di ginnastica tentò invano di convincerlo a entrare nella squadra di pallacanestro del
liceo: Carlo pensava che l'educazione fisica fosse una materia che faceva solo perdere tempo. Così

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riuscì anche a farsi esonerare, contro la mia volontà, da ginnastica. Con le sorelle, Piera e Maria,
andava molto d'accordo. La sera passavano spesso e volentieri molte ore insieme a chiacchierare.

Conosceva l'inglese, il francese e un po' di tedesco che gli serviva per i suoi studi. Durante il
periodo universitario Carlo cominciò anche a frequentare i gruppi cattolici di Charles Peguy e di David
Maria Turoldo e si recava spesso all'Abbazia di Fontanella, a pochi kilometri da Sotto il Monte (BG), il
paese di Papa Giovanni.

Al secondo anno di Ingegneria


cominciò a interessarsi alla ricerca scientifica.
Allora insegnava con un gruppo di amici alla
scuola per adulti di Quarto Oggiaro, alla
periferia di Milano. Un giorno chiese di
parlare con il professor Silvio Garattini,
direttore dell'Istituto di ricerche
farmacologiche Mario Negri, che così ricordò
quell'incontro: "Fui colpito dalla sua voce
gentile e ferma allo stesso tempo, dal suo
viso buono e mobile, dal suo desiderio di
sapere che traspariva da ogni sua parola.
Ritornò dopo circa un mese chiedendomi di
lavorare con noi. Ebbi un attimo di esitazione
pensando che l'ingegneria chimica era un po'
lontana dai nostri problemi di ricerca, ma lui
stesso mi disse che per il momento
considerava la scuola un'altra attività.

Articoli pubblicati da Carlo con il prof. Silvio Garattini al Mario Negri

Carlo cominciò così a frequentare i nostri laboratori collaborando con il dottor Ivan Bartosek.
Si dimostrò subito attivo e geniale. Alcune delle sue osservazioni e domande alle nostre riunioni
periodiche (il cosiddetto club delle due) lasciavano stupiti molti dei vecchi. Nessuno dubitò fin
dall'inizio che fosse un ragazzo eccezionale destinato ad avere un ruolo significativo nella ricerca
scientifica".

Carlo si entusiasmava per questa sua attività: faceva addirittura 12-13 ore al giorno di
laboratorio senza mai lamentarsi. Alla ricerca aveva sacrificato ogni altro interesse.

Nell'estate del '71 mio figlio si laureò con 110 e lode e dopo un breve periodo di vacanza (andò
in campeggio con i cugini), rientrò al Mario Negri. Aveva già cominciato a pubblicare ricerche
scientifiche e nell'ottobre del '73 fu invitato negli Stati Uniti. Non scriveva spesso, ma telefonava a
casa ogni quattro-cinque giorni. Per le vacanze trascorremmo qualche giorno insieme in Brasile, dove
Carlo era già stato l'anno prima. Si era recato nel nord del Paese, verso Belem,dove presta la sua
opera un missionario di Melegnano, padre Aristide Arioli. Per aiutare quella comunità, Carlo aveva
finanziato la costruzione di un ospedale intitolato alla memoria di suo padre.

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
Da quanto ho raccontato, appare evidente che mio figlio non ebbe mai il tempo di occuparsi di
politica. Tranne qualche riunione di Comunione e Liberazione, passava le sue giornate al Mario Negri.
Anche alla fidanzata, Silvia, dedicava solo qualche fine settimana. Non so quindi quando e come
conobbe Carlo Fioroni. Suppongo che si siano incontrati a Quarto Oggiaro. Qualche volta Fioroni fu
anche ospite della nostra casa, malgrado la cosa non mi facesse piacere. A me il professorino era
stato presentato sotto il nome di Bruno. Diceva di venire da Roma. Era simpatico, parlava bene, ma
non trattava mai argomenti politici. Ignoravo che fosse ricercato dalla magistratura perchè implicato
nella morte dell'editore Giangiacomo Feltrinelli: se lo avessi saputo non gli avrei aperto le porte di
casa.

Probabilmente proprio grazie all'ospitalità che aveva ricevuto, Fioroni era invece convinto di
poter sfruttare mio figlio per i suoi non ben chiari fini politici. Si spiega così il fatto che i carabinieri
abbiano trovato la nostra villa di Bogliasco, vicino Genova, in un elenco di rifugi sicuri sequestrato in
casa di Brunilde Pertramer. Ma la villa non era un rifugio sicuro perchè ci vivono i custodi che, come il
personale di servizio a Milano, non ha mai visto persone sconosciute in casa tranne Fioroni.

Anche dal punto di vista economico Carlo non ha mai aiutato gruppi politici, di nessun colore.
Lo stipendio che percepiva al Mario Negri, un centinaia di migliaia di lire al mese, non glielo avrebbe
consentito. Nè aveva mai utilizzato a tali scopi i suoi beni patrimoniali. Lo posso dire con assoluta
certezza perchè l'amministratore di casa riceveva in visione per la contabilità tutti gli estratti conto.
Comunque, se avessimo saputo per tempo che la villa di Bogliasco era considerata un rifugio sicuro
per i fautori dell'eversione, forse tante cose dolorose non si sarebbero verificate. L'autorità era infatti
a conoscenza di questo particolare già alcuni mesi prima del rapimento.

Carlo fu sequestrato la sera del 14 aprile 1975 sotto il portone di casa. Verso le sei del mattino
del 15 squillò il telefono. Volevano parlare con qualcuno della famiglia. La cameriera rispose di
richiamare verso le nove l'amministratore. Ma intanto la casa era stata svegliata e ci si era accorti che
Carlo non era a letto e che la sua Fulvia coupè era parcheggiata davanti al portone del palazzo. Io non
ero in casa, ero partita il 13 mattina per Bogliasco.

Alle nove i rapitori telefonarono nuovamente e parlarono con l'amministratore Armando


Damaschi. Gli dissero che Carlo era in mano loro: doveva preparare cinque miliardi per il riscatto.

Nei primi dieci giorni telefonarono almeno una ventina di volte: era sempre la stessa persona
(oggi si pensa che fosse il latitante Giustino De Vuono) a parlare con Damaschi, che per tutto quel
periodo rimase in casa in attesa di istruzioni. Ma anche la polizia era informata di tutto e ogni
telefonata veniva registrata. Poi i banditi cominciarono a dare appuntamenti nei bar delle vicinanze e
così non fu più possibile far intercettare le telefonate.

Feci chiedere una prova che Carlo era in mano loro: risposero che mio figlio "si rifiutava di
collaborare" e quindi era impossibile fotografarlo. Descrissero però una fotografia che era in camera
sua e che lo ritraeva con padre Arioli. A mia figlia Piera dissero il nome del cane che abbiamo a
Bogliasco, infine restituirono l'orologio e le chiavi di casa di Carlo.

Allora sembrava che l'unica soluzione possibile fosse il pagamento del riscatto. Alla fine si
trovò un accordo per 470 milioni di lire in banconote da diecimila e centomila lire. La polizia ci aveva
sconsigliato di pagare, riteneva che Carlo fosse già morto, ma lasciò ai familiari ogni responsabilità

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
sulla decisione da prendere. Così pagammo. Damaschi e mio cugino, l'avvocato Alessandro Tonolli,
andarono due volte con i soldi del riscatto agli appuntamenti fissati. La seconda volta i banditi
ordinarono di lasciare il denaro nell'automobile, parcheggiata in una cava di ghiaia a Cernusco sul
Naviglio. Il denaro non fu però riscosso. Tuttavia la polizia, che li aveva seguiti, vide nei pressi della
cava un'automobile: era la vettura della madre di Carlo Casirati. Così fu possibile risalire agli autori
del sequestro di persona.

Il riscatto venne pagato verso le 22 del 9 maggio. Lo portò a destinazione mio genero, Ernesto
Masolo: tre persone lo aspettavano sotto un cavalcavia dell'autostrada Milano-Genova nei pressi
dello svincolo di Bereguardo. Quella fu una notte interminabile. I banditi avevano detto che
avrebbero telefonato presto per comunicare dove avrebbero rimesso in libertà Carlo. Ma il telefono
non squillò mai.

Pochi giorni dopo arrestarono in Svizzera Carlo Fioroni. Il personale di casa ne riconobbe la
fotografia pubblicata sui giornali. Cominciarono gli anni del mio calvario, fino al ritrovamento del
corpo del povero Carlo, avvenuto soltanto nel 1979.

Oggi il corpo di mio figlio riposa al cimitero di Milano, accanto a quello del padre. Sono
cristiana e so che non devo provare odio per i suoi assassini, ma pietà per la loro bestialità, per la
quale saranno giudicati da un Tribunale ben più severo e giusto di quello di Milano. La tragedia che
ho vissuto mi ha insegnato che le guardie del corpo non possono sostituirsi al timore che deve
incutere la legge e che i soldi spesso non sono sufficienti a ridare la libertà a chi ci è caro. So anche
che i rapitori di Carlo non hanno diritto a giustificazioni di sorta perchè non è stata la necessità di
sopravvivere che ha provocato la ferocia del loro atto criminale. Per simili atti di malvagità non può
esserci attenuante. Alla vigilia del suo rapimento, Carlo non immaginava neppure lontanamente che
una simile catastrofe dovesse distruggere la nostra famiglia. Ma il sacrificio di mio figlio, quello delle
altre vittime di questa ondata di criminalità, il dolore delle loro famiglie, quello mio e dei miei cari
non può essere ripagato dalla sentenza che emettono i giudici del tribunale di Milano. L'impegno, per
tutti gli esseri civili, è che questa spirale di violenza abbia finalmente fine.

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020

Padre David Maria Turoldo, nella Liturgia in suffragio di Carlo Saronio

(Chiesa di San Babila, Milano,16 dicembre 1978)

Letture Bibliche:

PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Daniele (12,1-3)

12,1 Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran


principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un
tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal
sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel
tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà
scritto nel libro. 2 Molti di quelli che dormono nella
polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita
eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia
eterna. 3 I saggi risplenderanno come lo splendore
del firmamento; coloro che avranno indotto molti
alla giustizia risplenderanno come le stelle per
sempre.
La Chiesa di San Babila a Milano

SALMO RESPONSORIALE
Salmi 41 e 42

41,2 Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. 3 L'anima mia ha
sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? 4 Le lacrime sono mio pane giorno e
notte, mentre mi dicono sempre: «Dov'è il tuo Dio?».

5 Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla
casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa. 6 Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

7 In me si abbatte l'anima mia; perciò di te mi ricordo dal paese del Giordano e dell'Ermon, dal
monte Misar. 8 Un abisso chiama l'abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.

9 Di giorno il Signore mi dona la sua grazia, di notte per lui innalzo il mio canto: la mia
preghiera al Dio vivente. 10 Dirò a Dio, mia difesa: «Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne
vado, oppresso dal nemico?».

11 Per l'insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno:
«Dov'è il tuo Dio?». 12 Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora
potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
42,1 Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall'uomo
iniquo e fallace. 2 Tu sei il Dio della mia difesa; perché mi respingi, perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?

3 Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi portino al tuo monte santo e alle
tue dimore. 4 Verrò all'altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo. A te canterò con la cetra,
Dio, Dio mio.

5 Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui,
salvezza del mio volto e mio Dio.

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di San Paolo apostolo ai Romani (8,31-39)

8,31 Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32 Egli che non
ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con
lui? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. 34 Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi,
che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? 35 Chi ci separerà dunque dall'amore di
Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la
spada? 36 Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati
come pecore da macello. 37 Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che
ci ha amati. 38 Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né
avvenire, 39 né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci
dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

VANGELO
Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12)

5,1 Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi
discepoli. 2 Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
3 «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
5 Beati i miti, perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male
contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei
cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

Benvenuti a questa dolce e terribile preghiera!


E il saluto prima lo rivolgo alla mamma di Carlo, alla sorella, ai familiari, a tutti gli amici. Anzi,
prima ancora, ringrazio la madre di avermi chiamato per questo gesto così bello. E' un dono che fa,

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
per mezzo di Carlo, a noi stessi. E prima che a voi, a me, amico da molti anni e fratello di Carlo
Saronio.
Siamo qui, finalmente, a rendere il nostro atto di fraternità e di fede per un giovane che
attendeva da anni di essere nella pace, ed ora può ricevere il nostro saluto confortato dalla speranza
di essere finalmente nella pace.

Prima di richiamare qualche ricordo di Carlo, vi voglio dire perchè ho scelto queste letture. Ho
scelto questi brani per alcune espressioni che contengono, perchè vorrei che fossero le parole stesse
di Dio a confortare tutti noi e soprattutto la madre.

"Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni"; credo che
per una madre che perde l'unco figlio, in questo modo, credo che sia veramente "tempo unico
d'angoscia". Subito dopo è scritto che "molti dormono nella polvere"; e lei ha visto suo figlio "nella
polvere". Ma "si risveglieranno!": chissà il mistero della vita come eromperà "dalla polvere"! Sapete
che Adamo vuol dire"polvere tenuta insieme dalla parola di Dio"? Questo è il vero significato della
parola Adamo: è polvere tenuta insieme dalla parola di Dio.
E continua la parola del Signore: "I saggi (e Carlo era un saggio, anche se aveva appena 26
anni!) risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla
giustizia risplenderanno come le stelle per sempre".
Questo è il firmamento della fede. Ed è in questo firmamento che noi dobbiamo vedere Carlo e
chissà quante altre vittime falciate, così, in questi tempi e trasferite, attraverso il sacrificio, in questo
regno misterioso del Dio della vita!
Pertanto l'altra parola: "Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo
più che vincitori per virtù di Colui che ci ha amati".
Credo che soprattutto la mamma e i familiari ci diano questo esempio di compostezza e di
vittoria!
E ho scelto, naturalmente, le Beatitudini perchè almeno in qualcuna di esse abbiamo speranza
di ritrovarci anche noi: "Beato l'afflitto, beato il mite, beato colui che piange; colui che è
misericordioso, chi avrà fame e sete della giustizia!". Soprattutto Carlo sia beato per qualche titolo di
queste beatitudini che dovrebbero essere la luce che splende in caliginoso loco; la luce che non
dovrebbe spegnersi mai, qualunque sia la notte che attraversiamo.

E, accanto alla parola di Dio, il nostro ricordo.


Io vi dico questo solo: che Carlo ha fatto l'ultima Pasqua della sua vita con noi, lassù a Sotto il
Monte. Vi è stato tutta la Settimana Santa, a pregare, e dopo dieci giorni era già morto!
Quindi, nessuna mestizia. E' nel segno di una Pasqua (che vuol dire risurrezione, che vuol dire
vita che continua oltre la morte, che vuol dire la causa dell'uomo che continua); è nel nome della
Pasqua che siamo qui a ricordarlo, in attesa che riposi per sempre.
Veniva tra la nostra gente ogni anno, a Pasqua, spinto dal suo spirito religioso (sempre vigile e
attento), spinto dal suo spirito umanitario e per cultura.

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
Lui, uomo di scienza così rigorosa, benchè tanto
giovane, possedeva una cultura aperta su tutti i campi
dello spirito: non soltanto della scienza ma anche della
fede.
Domenica passata, nella nostra bellissima chiesa di
Sotto il Monte, annunciavo alla nostra gente: "Sabato
andrò finalmente a celebrare le esequie per Carlo Saronio.
Ve lo ricordate?".
E un bambino mi dice: "E come ce lo ricordiamo!
Era quello alto alto, che si metteva sempre vicino alla
colonna... e così buono!".
Queste parole di un fanciullo sono forse il modo
migliore per rendere onore alla memoria di Carlo. Tanto
più che Carlo stava molto volentieri coi fanciulli: "così alto
e così buono!".
Ecco, credo che sia questo il modo migliore di
ricordarlo: con il candore di un fanciullo.
Così grande, direi, nonostante fosse così giovane. E
così buono!

L'Abbazia di Fontanella a Sotto il Monte (BG)

Aveva appena ventisei anni, eppure ci ha lasciato di sé un'immagine che non possiamo
dimenticare. Voi stessi, familiari ed amici qui presenti, l'avete conosciuto e credo che ciascuno di voi
abbia notato il suo spirito di osservazione, il suo spirito di attenzione, di premura, nei rapporti con gli
altri e il suo rigoroso impegno negli studi.
Quando veniva da noi si metteva sempre in biblioteca e vi sostava a lungo leggendo e
meditando. Naturalmente, la nostra biblioteca ha tutto quello che si può pensare sulla storia delle
religioni, sull'inizio della fede, sul modo di credere, sulle ragioni per credere. In quei giorni meditava e
leggeva parole che non sono di questo mondo. Anche, forse, per controbilanciare gli studi che faceva
nel suo Istituto dove erano soltanto formule: formule chimiche, formule algebriche.
E quindi: il mistero e la scienza. Erano i due motivi che lo tenevano sempre vigile, sempre
attento.
Il Venerdì Santo noi facciamo la Via Crucis in mezzo ai campi e non terminiamo mai alla
sepoltura di Cristo ma alla resurrezione del Signore: l'ultima stazione è la stazione della vita.
E mi ricordo l'ultima volta: Carlo seguiva questa preghiera con i nostri contadini e, proprio
quest'ultima stazione, l'avevamo meditata insieme: quella della resurrezione, quella della vita.
Questi sono i ricordi che io conservo di lui. Soprattutto di quest'ultima settimana della sua vita.

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
Per me era un altissimo prodotto di umanità. Altissimo, completo. Forse perchè era completo
ha avuto quel destino.

Certo era una promessa per la scienza.


Pensate: a ventisei anni poteva già contare ventun
titoli! Ventun pubblicazioni con le quali ha dato il
suo contributo alla scienza. A ventisei anni!
Una scienza, però, mai fine a se stessa ma
sempre a servizio dell'uomo. Penso che tutte le sue
scelte scientifiche fossero dettate da questa
volontà.

E credo che sia stata la sua bontà a tradirlo. E'


stato giocato dalla sua umanità. Io mi fermerei qui,
perchè oltre non voglio neanche pensare. E' solo
Dio che può giudicare!
Non riesco neanche a leggere le cronache di
quel processo: tutto è così avvilente, così squallido,
così disumano!

Articoli pubblicati da Carlo insieme al prof. Britton Chance a Philadelphia

Un destino simile a uno che poteva essere una promessa per tutti: per i giovani, per le
generazioni future, per il mondo!
Finire così! Perchè?
Sono domande che non hanno risposta. O meglio, se c'è una risposta, è soltanto nella luce
della fede.
Io credo che gli uomini sono altrettanto utili, se non anche più utili, con la loro morte. Perchè
anche la morte -dice San Paolo- è una conquista, se la si inserisce dentro la grande luce della fede.
La cosa più importante nella vita di uno che crede è certamente la morte.
Anche Cristo è morto giovanissimo.
E se la morte viene accolta, se viene capita bene, diventa la cosa più importante della vita.
Io credo che Carlo continuerà a parlare anche con la sua morte, perchè è una morte data e
accettata in virtù di un'amicizia. Pensate: non c'è nulla di più evangelico! Perchè l'intreccio iniziale è
venuto da lui, dall'amico: "Amico, è così che tu tradisci un povero figlio dell'uomo?".

Dalla liturgia che ho scelto ricordo un'ultima parola e vorrei che con questa parola ci
salutassimo anche noi e continuassimo a ricordare Carlo: "L'anima mia ha sete del Dio della vita.
Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o mio Signore! L'anima mia ha
sete di Dio, del Dio vivente. Quando verrò e vedrò il tuo volto?". E questo dovrebbe essere il
riassunto della vita di Carlo.
Per la madre, poi, direi queste altre parole: "Perché ti rattristi, anima mia? Perché gemi dentro
di me? Spera in Dio! Ancora potrò lodarlo, Lui, mia salvezza e mio Dio!".

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Carlo Saronio, 45 anniversario 2020
Con queste parole vorrei che riprendessimo a pregare, oserei dire, nella serenità; o almeno
nella speranza che la morte di Carlo, il pianto della madre e le sofferenze di tutti i giusti e i più umili
del mondo non siano vane. E non siano vane perchè crediamo in Lui!

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