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'L'UNIVERSO
AMICO'
a
cura
di
Andrea
Boni,
tratto
e
ispirato
da
una
lezione
di
Marco
Ferrini
(Matsyavatara
Dasa).
Oggi,
14
Settembre
2010,
ho
avuto
la
fortuna
di
seguire
una
lezione
di
Marco
Ferrini
che
ha
stimolato
in
me
una
riflessione
che
desidero
condividere
con
voi
riportando
alcuni
passaggi
dell'utile
intervento
ascoltato.
L'Universo
è
intelligente?
Su
questo
tema
sono
state
enunciate
tante
teorie,
talvolta
tra
loro
in
opposizione,
che
hanno
la
loro
origine
nei
due
principali
filoni
di
pensiero
noti
rispettivamente
come
creazionista
ed
evoluzionista.
Secondo
i
principi
veicolati
dalla
cultura
Indovedica
possiamo
affermare
che
sì,
l'Universo
è
intelligente,
ma
non
solo:
è
un
caro
amico.
L'Universo
è
veramente
amico?
Sì,
ci
è
supremamente
amico.
E
tutti
quegli
eventi
negativi
quali
catastrofi
naturali,
tzunami,
abbandoni
di
neonati,
omicidi,
guerre,
e
altro,
come
si
spiegano?
Come
fa
l'Universo
ad
essere
davvero
un
amico
e
permettere
tutto
ciò?
E'
opinione
pressoché
condivisa
che
l'Universo,
il
cosmo,
è
ordine,
non
caos,
se
non
altro
per
le
leggi
universali
e
precise
che
governano
ogni
aspetto,
dal
movimento
delle
galassie,
allo
sbocciare
di
un
fiore
a
primavera.
Ma
non
è
solo
questo.
L'Universo
è
amico
perché
soddisfa
i
nostri
desideri
più
sinceri,
ma
non
quelli
egoistici.
Quando
noi,
condizionati
e
identificati
nella
nostra
struttura
psico-‐fisica,
insistiamo
per
soddisfare
i
desideri
che
emergono
dalla
sfera
dell'ego,
in
realtà,
anziché
sentirci
davvero
soddisfatti,
ci
ritroviamo
più
insoddisfatti
di
prima.
È
per
questo
che
l'universo
è
un
caro
amico,
perché
contrasta
l'illusione,
proprio
come
un
vero
amico
che
desidera
il
nostro
bene:
invece
di
rafforzare
le
nostre
istanze
negative,
ci
dice
esattamente
come
stanno
le
cose
e
ci
esorta
a
superare
i
nostri
condizionamenti,
ad
evolvere.
Le
prove
che
incontriamo
nella
vita
incarnata
sono
quelle
che
provengono
da
un
vero
amico,
che
ci
stimola
a
lasciare
lo
strumento
con
il
quale
ci
degradiamo,
perché
la
sua
vera
preoccupazione
è
quella
di
vederci
crescere,
evolvere,
maturare.
La
sua
intelligenza
è
tale
che
tutte
le
volte
che
mettiamo
in
moto
un
processo
degradante,
tutto
l'Universo
mostra
la
sua
straordinaria
tensione
e
predisposizione
a
farci
salire,
mettendoci
nelle
condizioni
di
riflettere
sul
nostro
agire.
Se
sappiamo
come
trattare
con
l'Universo
e
se
concordiamo
con
esso
che
la
nostra
priorità
è
l'evoluzione
spirituale,
sarà
per
noi
molto
amico,
si
tratta
pertanto
di
capire
le
sottili
leggi
che
lo
regolano.
In
questo
senso
la
Cultura
Indovedica
ha
fornito
degli
strumenti
davvero
preziosi
per
comprendere
le
dinamiche
che
sottendono
il
nostro
agire
e
le
relative
conseguenze.
Tutto
questo
non
per
creare
dei
robot
che
agiscono
in
modo
meccanico,
l'Universo
amico
non
si
aspetta
questo
da
noi,
bensì
ci
incoraggia
a
coltivare
e
sviluppare
un
sano
discernimento
(tattva
viveka)
che
ci
orienti
verso
il
Bene
senza
lasciarci
inorgoglire
dai
nostri
successi,
poiché
la
superbia
e
1
l'orgoglio
rappresentano
i
più
grandi
impedimenti
alla
nostra
crescita
spirituale.
La
vera
ricchezza
risiede
infatti
nell'umiltà:
Trinad
api
sunicena
taror
api
sahishnuna
amanina
manadena
kirtaniya
sada
harih
“I
santi
Nomi
del
Signore
andrebbero
invocati
con
mente
sottomessa,
considerando
se
stessi
meno
di
una
paglia
sulla
strada,
facendosi
più
tolleranti
di
un
albero,
liberi
da
ogni
senso
di
falso
prestigio
e
sempre
pronti
a
dar
rispetto
agli
altri.
In
questo
stato
di
coscienza,
sempre
si
potranno
invocare
i
Santi
Nomi
del
Signore”.
(Sri
Sri
Shikshashtaka,
verso
III)
In
un
solo
verso,
Shri
Krishna
Caitanya
Mahaprabhu
ci
fornisce
questo
semplice
e
preziosissimo
insegnamento
che
porta
al
vero
successo
nella
vita
spirituale.
Se
si
realizzano
questi
insegnamenti
riuscendo
davvero
a
metterli
in
pratica,
diventiamo
capaci
di
amare
e
sentiamo
l'universo
che
ci
ama,
che
è
intriso
di
amore
e
che
dispensa
infinita
soddisfazione.
Non
è
proibito
provare
questa
soddisfazione
purché
sia
vissuta
contraccambiando
con
amore,
anzi
dando
amore
ancor
prima
di
averlo
ricevuto.
E'
questo,
infatti,
uno
dei
principi
fondamentali
dell'universo:
per
avere
bisogna
dare.
Quindi,
l'Universo
non
solo
è
ordinato..
ci
ama!
L'energia
Divina
è
in
ogni
suo
atomo,
in
ogni
sua
particella.
Nella
terminologia
Indovedica
tale
Energia
Divina,
che
è
Dio
stesso,
è
indicata
con
il
nome
di
“Vishnu”:
Colui
che
penetra
e
pervade
tutto.
In
questo
senso,
il
rito
religioso
aiuta
a
realizzare
anche
questa
realtà,
ovvero
a
sentire
l'Universo
come
amico,
e
attraverso
l'atto
religioso,
come
l'adorazione
della
Divinità
o
l'invocazione
dei
Nomi
divini,
in
noi
cessa
progressivamente
la
paura
perché
si
percepisce
amicizia
e
dolcezza
ovunque,
anche
se
si
è
consapevoli
che
nel
mondo
ci
sono
anche
i
malvagi,
persone
avvelenate
dall'invidia
con
variegati
problemi
da
risolvere,
conseguenza
di
tutte
quelle
istanze
negative
accumulate
che
ostacolano
il
processo
di
comprensione
e
di
armonizzazione
interiore.
Ma
anche
per
proteggersi
da
queste
influenze
negative,
il
miglior
comportamento
da
attuare
è
sempre
quello
di
offrire
affetto,
sapienza
e
amore,
in
ogni
modo
e
forma
possibile.
Pubblicato
da
Andrea
Boni
VERSO LE ALTE VETTE DELLA CONSAPEVOLEZZA E DELL'AMORE di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).
2
L'aspirazione
intima
di
ognuno
è
verso
l'unità,
l'integrazione
della
personalità
sulla
base
di
valori
autentici,
per
sentirsi
pienamente
soddisfatti
e
realizzare
la
propria
originaria
natura,
quella
spirituale.
Affinché
ciò
sia
possibile
è
indispensabile
un
profondo
lavoro
di
destrutturazione
dei
condizionamenti
e
di
armonizzazione
interiore.
Il
Centro
Studi
Bhaktivedanta
ha
questo
scopo.
Scopo
che
si
può
realizzare
se
vengono
interiorizzati
i
valori
universali
della
Sapienza
e
dell'Amore
attraverso
lo
studio
e
la
pratica
di
vita.
Nella
nostra
esistenza
tante
volte
ci
troviamo
di
fronte
a
problemi
difficili
da
risolvere:
una
parte
di
noi
propone
una
soluzione
e
un'altra
parte
di
noi
la
rifiuta.
Poiché
il
desiderio
profondo
di
ognuno
è
quello
di
essere
felici
realizzando
le
proprie
aspirazioni,
interroghiamoci
sul
perché
spesso
non
riusciamo
a
fare
e
ad
essere
come
nel
profondo
desideriamo.
Anche
quando
proviamo
emozioni
gioiosamente
intense
è
difficile
renderle
costanti,
anzi
spesso
si
trasformano
nel
loro
esatto
contrario:
tristezza,
smarrimento,
confusione.
Spesso
quel
che
appariva
un
traguardo,
si
rivela
essere
uno
scrigno
vuoto:
l'ennesimo
miraggio
di
felicità.
Tante
persone
nascono
e
muoiono
senza
aver
conosciuto
quella
soddisfazione
e
gioia
duratura
che
desideravano
dalla
vita.
La
tradizione
bhakti-‐vedantica
insegna
che
ciò
è
la
conseguenza
di
errate
cognizioni
della
realtà:
poiché
l'essere
umano
si
percepisce
in
maniera
illusoria,
non
cosciente
della
propria
reale
natura,
ricerca
in
modalità
erronee
l'irrinunciabile
felicità.
La
felicità
non
è
un
miraggio:
esiste.
Il
problema
sorge
quando
la
cerchiamo
dove
non
è.
La
nostra
reale
natura
non
la
si
scoprirebbe
nemmeno
se
riuscissimo
a
conoscere
la
materia
nelle
sue
parti
più
micro
o
macroscopiche,
semplicemente
perché
siamo
altro:
spirito.
Sul
finire
degli
anni
cinquanta
del
secolo
scorso,
la
scienza
ha
individuato
una
energia
che
opera
in
modo
alquanto
diverso
dalla
materia
"conosciuta"
e
che
è
stata
definita
“anti-‐materia”.
Ma
esiste
un'altra
energia,
che
tradizionalmente
è
definita
"spirituale"
(brahman,
atman),
la
quale
è
categoricamente
altra
rispetto
a
qualsiasi
forma
di
materia
e
di
anti-‐materia;
essa
infonde
vita
e
coscienza
sia
alla
materia
che
all'antimateria,
e
si
può
prenderne
consapevolezza
non
oggettivamente
attraverso
il
cosiddetto
"metodo
sperimentale",
bensì
soggettivamente,
attraverso
l'introspezione.
L'energia
spirituale
può
essere
infatti
esperita
attraverso
un
percorso
scientificamente
fondato
che,
a
differenza
del
modello
positivistico,
si
basa
su
processi
introspettivi
quali
la
preghiera,
la
meditazione
e
l'agire
in
spirito
d'offerta
a
Dio.
Attraverso
il
processo
yogico
(bhakti-‐yoga)
di
trasformazione
della
coscienza
possiamo
entrare
in
contatto
con
la
nostra
matrice
spirituale
(atman).
Ci
sono
vari
sentieri
che
conducono
ai
picchi
luminosi
della
coscienza
e
alla
realizzazione
della
nostra
natura
divina,
che
aspettano
solo
di
essere
scoperti
e
percorsi.
Trasformiamoci
dunque
in
esseri
alati
per
raggiungere
quelle
alte
vette
-‐
non
luoghi
ma
logos
-‐
in
cui
si
possono
realizzare
tutte
le
aspirazioni
di
immortalità,
libertà,
sapienza
e
Amore.
La
ricerca
di
Dio
è
il
compito
primo
della
vita
umana.
Stabilire
una
relazione
d'amore
con
Lui,
con
tutte
le
creature
e
il
creato
è
lo
scopo
ultimo:
il
traguardo
evolutivo
dell'uomo
universale.
Possa
dunque
la
nostra
vita
essere
finalizzata
a
questo
scopo.
Pubblicato
da
Andrea
Boni
RIFLESSIONI TRA SCIENZA E SPIRITUALITA' -‐ Intervista di ideeforza.com ad Andrea Boni (Parte Seconda).
Qual
è
il
punto
d'incontro
tra
l'intangibile
regno
del
pensiero
e
della
consapevolezza
che
costituisce
la
nostra
esperienza
interna
soggettiva
e
la
"zuppa"
biochimica
dotata
di
carica
elettrica
del
cervello?
Andrea
Boni:
Questa
è
una
domanda
molto
complicata,
che
la
scienza
odierna
sta
cercando
di
comprendere.
Personalmente
apprezzo
molto
il
lavoro
svolto
da
Stuart
Hameroff.
Studiando
i
lavori
di
Hameroff,
ho
trovato
in
lui
una
sintesi
accettabile
dei
meccanismi
che
sottendono
al
fenomeno
della
coscienza
e
della
sua
manifestazione
nel
mondo
dei
nomi
e
delle
forme.
In
particolare
è
molto
interessante
il
lavoro
che
ha
svolto
insieme
al
famoso
fisico
Penrose,
sfociato
nella
teoria
“OR”
della
coscienza
di
Penrose-‐Hameroff,
che
costituisce
un
buon
punto
di
partenza
per
spiegare
come
sia
la
coscienza
a
manifestare
la
realtà
del
mondo
fenomenico
in
generale,
e
i
nostri
pensieri,
sentimenti,
emozioni,
nello
specifico.
Questi
studi
sono
ancora
allo
stato
embrionale,
e
sono
concentrati
sullo
studio
del
neurone
e
dei
microtubuli
in
particolare,
strutture
cave
simili
a
cannucce
contenute
all'interno
di
ogni
cellula
nervosa.
Questi
interessantissimi
studi
potrebbero
essere
l'inizio
per
una
sintesi
tra
Scienza
e
Spiritualità,
per
cambiare
il
paradigma
classico-‐meccanicistico
su
cui
la
nostra
società
ancora
si
basa,
e
sviluppare
così
un
nuovo
paradigma
quantico-‐spirituale,
olistico,
in
cui
ci
sia
spazio
per
un'armonizzazione
tra
fede
e
scienza,
3
con
l'obiettivo
di
fornire
dei
presupposti
concreti
per
interpretare
il
mondo
fenomenico
come
un
immenso
laboratorio
in
cui
noi
ci
muoviamo,
dove
è
la
nostra
coscienza
a
creare
forme,
percezioni,
emozioni,
e
tutto
ha
un
significato,
nulla
accade
per
caso,
bensì
qualsiasi
esperienza
ha
un
senso
se
pensata
per
un
fine
evolutivo,
l'evoluzione
della
nostra
coscienza
stessa.
Quando
ciò
avviene,
quando
la
coscienza
ritrova
la
sua
condizione
di
purezza,
il
mondo
non
appare
più
in
quella
forma,
e
l'essere
può
sperimentare
la
sua
propria
natura
fatta
di
beatitudine
ed
eternità:
4
di
armonizzare
le
tante
branche
citate,
e
proprio
per
questo
offre
insegnamenti
e
principi
che
aiutano
nello
sviluppo
di
una
coscienza
globale
del
problema,
sganciata
da
identificazioni,
condizionamenti
o
speculazioni
che
hanno
la
loro
radice
nei
piani
materiali
dell'esistenza.
L'essere
è
definito
nei
suoi
tre
piani
atropologici
(bio-‐psico-‐spirituali)
come
una
parte
del
Tutto,
e
come
tale
ontologicamente
eterno
nella
parte
più
profonda
della
personalità.
E'
in
questo
senso
una
scintilla
Divina.
Mamaivamsho
jiva-‐loke
Jiva-‐bhutah
sanatanah
Manah-‐shashthanindriyani
Prakriti-‐sthani
karshati
“Gli
esseri
viventi,
in
questo
mondo
materiale,
sono
miei
frammenti
eterni,
ma
essendo
condizionati
lottano
duramente
con
i
sei
sensi,
tra
cui
la
mente.”
(Bhagavad
Gita
XV.7)
Nascita
e
morte
vengono
interpretati
come
momenti
di
cambiamento
e
come
motivo
di
nuove
possibilità
di
crescita
in
quel
cammino
affascinante
che
è
la
vita
nel
suo
insieme.
Non
esiste
un
inizio,
non
esiste
una
fine,
ma
un
ciclo
(samsara)
che
si
sussegue
eternamente
finché
l'essere
ottiene
l'emancipazione
(moksha)
dalla
natura
materiale,
anch'essa
di
natura
Divina,
ottenendo
la
piena
consapevolezza
della
sua
relazione
con
l'Essere
Supremo.
5
RIFLESSIONI
TRA
SCIENZA
E
SPIRITUALITA'
-‐
Intervista
di
ideeforza.com
ad
Andrea
Boni
(Parte
Prima).
La
fisica
moderna
dal
900
in
poi
è
giunta
alle
stesse
conclusioni
degli
antichi
Rishi
Vedici
di
circa
5000
anni
fa.
Cioè
che
la
realtà
non
è
altro
che
lo
spettro
di
un
mosaico
vibrante
e
illusorio,
(Maya)
appunto.
Secondo
lei
com'è
stato
possibile
giungere
ad
una
realizzazione
così
profonda
della
comprensione
della
realtà
ascoltando
soltanto
la
voce
dell'interiorità?Andrea
Boni:
La
voce
dell'interiorità
dice
molto
di
più
di
quanto
può
dire
la
mera
conoscenza
ottenuta
attraverso
i
sensi.
Questo
è
uno
dei
primi
insegnamenti
dei
Rishi
Vedici,
secondo
cui
la
retta
conoscenza
(pramana)
può
essere
ottenuta
in
tre
modi
distinti:
attraverso
la
percezione
sensoriale
(pratyaksha),
attraverso
la
deduzione
(anumana)
e
attraverso
una
realizzazione
interiore
ottenuta
sperimentando
livelli
di
consapevolezza
che
vanno
oltre
il
piano
fenomenico
(shabda
Brahman).
Sebbene
tutti
e
tre
corretti,
solo
l'ultimo
permette
l'ottenimento
di
una
conoscenza
vera,
priva
di
errori.
Ciò
ha
naturalmente
a
che
fare
con
il
livello
di
coscienza
di
colui
che
sperimenta.
Il
Centro
Studi
Bhaktivedanta
(www.c-‐s-‐b.org),
da
anni
opera
proprio
con
l'obiettivo
di
far
comprendere
al
vasto
pubblico
dell'Occidente
questi
importantissimi
insegnamenti,
i
cui
principi
sono
quanto
mai
attuali
ed
estremamente
utili
per
potersi
orientale
in
questa
società.
Ervin
Laszlo,
un
famoso
scienziato
dell'est
europeo
(presidente
del
club
di
Budapest
e
più
volte
candidato
al
Nobel
-‐
tra
l'altro
residente
in
toscana
-‐)
sostiene
che
l'universo
è
collegato
e
tutto
è
in
relazione
continua
tra
le
parti.
Riscopre
e
prende
in
prestito
dalla
cosmologia
Indù
l'Akasha,
un
campo
invisibile
che
tutto
pervade,
il
luogo
di
nascita
di
tutte
le
cose.
Può
aiutarci
a
rendere
più
chiaro
di
cosa
si
tratta?
Andrea
Boni:
Posso
rispondere
a
questa
domanda
citando
letteralmente
una
conversazione
che
ho
avuto
con
Marco
Ferrini,
Fondatore
e
Presidente
del
Centro
Studi
Bhaktivedanta,
con
il
quale
ho
avuto
modo
di
confrontarmi
proprio
su
questo
tema.
Per
chi
è
interessato
ad
approfondire
questo
argomento
può
consultare
il
testo:
Coscienza
e
Origine
dell'Universo
di
Marco
Ferrini,
pubblicato
dal
Centro
Studi
Bhaktivedanta.
Il
termine
Akasha
utilizzato
da
Ervin
Laszlo,
Il
vuoto
quanto-‐meccanico
postulato
dal
dottor
Corbucci
nella
sua
teoria
delle
particelle
subatomiche,
riteniamo
possano,
in
buona
parte,
corrispondere
alle
caratteristiche
dell’elemento
“etere”
postulato
anche
dal
famoso
studioso
Marco
Todeschini
e
all'elemento
akasha
introdotto
millenni
or
sono
dalla
filosofia
Samkhya.
L’elemento
akasha
descritto
dall’antica
filosofia
Samkhya,
probabilmente
la
più
antica
del
genere
umano,
è
tradotto
variabilmente
nelle
lingue
europee
moderne
con
i
termini
di
‘spazio’
e
di
‘vuoto’.
Per
le
caratteristiche
peculiari
del
vuoto
quanto-‐meccanico
potremmo
utilizzare
questa
stessa
definizione
anche
per
il
termine
akasha
della
filosofia
Samkhya,
che
indica
un
contenitore
(composto
di
prakriti,
materia,
seppur
sottile,
essendo
uno
dei
pancabhuta),
per
l’appunto
“vuoto”
avente
la
potenzialità-‐disponibilità
massima
di
manifestare
tutto
ciò
che
diventa
fenomeno
(dall'etere
infatti,
secondo
il
Samkhya,
derivano
tutti
gli
altri
bhuta,
ovvero
l'aria,
il
fuoco,
l'acqua
e
la
terra).
L'elemento
akasha,
insieme
a
tutti
gli
altri
elementi,
sono
di
fatto
energie
del
parampurusha,
l'Essere
che
si
situa
ontologicamente
al
di
là
di
materia,
spazio
e
tempo.
Si
veda
a
tal
riguardo
Bhagavad
Gita
VII.4:
“Terra,
acqua,
fuoco,
aria,
etere,
mente,
intelligenza
e
falso
ego
–
questi
otto
elementi
distinti
da
Me,
costituiscono
la
Mia
energia
materiale”.
Quando
si
manifestano
i
fenomeni
secondo
il
Samkhya?
Quando
nel
vuoto
o
nello
spazio
si
situa
l’osservatore,
il
purusha.
Qui
varrebbe
la
pena
di
citare
la
famosa
teoria,
poi
dimostrata
ed
accettata
dalla
scienza,
del
Principio
di
Indeterminazione
di
Heisenberg
del
1928,
secondo
il
quale
un
fenomeno
non
si
può
precisamente
determinare
in
quanto
l’osservatore
-‐
osservandolo
-‐
lo
modifica;
da
qui
appunto
l'enunciazione
del
‘Principio
di
Indeterminazione’.
Similmente,
nella
filosofia
e
psicologia
Samkhya
si
evidenza
che
quando
il
purusha
-‐
con
la
sua
coscienza
e
capacità
di
osservazione
-‐
penetra
nella
prakriti
o
dimensione
empirica,
il
primo
impatto
che
questi
ha
è
con
lo
spazio
ed
è
nello
spazio
-‐
nell'interazione
con
la
coscienza
-‐
che
si
manifesta
la
materia
con
la
sua
specifica
forma
empirica,
definita
in
termini
moderni
come
massa,
proprio
come
nel
concetto
del
vuoto
quanto-‐meccanico
postulato
dal
dottor
Corbucci
o
dall'”etere”
di
Todeschini.
Il
purusha
si
carica
di
massa,
quindi
manifesta
il
corpo
materiale,
a
seguito
dell’impatto
con
akasha
(lo
spazio,
il
vuoto).
Che
la
massa
si
origini
da
questo
spazio-‐vuoto
nell'interazione
6
con
la
coscienza
dell'osservatore
è
ciò
che
postula
anche
la
Fisica
moderna;
infatti,
affinché
le
onde
energetiche
si
trasformino
in
particelle
subatomiche
è
necessario
l’impatto
con
l’osservatore.
Rimangono
onde
se
non
vengono
osservate
e
diventano
particelle,
dunque
si
caricano
di
massa,
quando
invece
sono
osservate.
Con
il
linguaggio
della
Fisica
moderna
il
dottor
Corbucci
spiega
che
esse
attingono
massa
dal
vuoto
quanto-‐meccanico;
nella
filosofia
Samkhya
si
afferma
che
il
purusha
si
riveste
di
materia
(massa)
nel
suo
impatto
con
la
prakriti
nella
forma
di
akasha,
ed
è
da
questo
impatto
che
si
genera
il
Tempo.
Quest'ultimo
ha
infatti
influenza
solo
sulla
massa,
ma
non
sul
purusha.
Il
purusha
non
è
eterno
perché
dura
tanto
nel
Tempo,
bensì
perché
non
ha
niente
a
che
fare
con
esso.
Né
con
lo
Spazio:
il
purusha
è
definito
pura
coscienza
(cit),
a-‐temporale
e
a-‐spaziale.
Si
veda
a
tal
fine
Bhagavad
Gita
II.12:
'NEWTON SI E' SBAGLIATO, LA GRAVITA' NON ESISTE' di Andrea Boni.
Leggendo
sulle
versioni
on-‐line
dei
più
importanti
quotidiani
mi
sono
imbattuto
in
questa
notizia
che
ha
riacceso
in
me
passati
e
non
terminati
studi
e
ricerche.
La
notizia
riguarda
una
disputa
scientifica
circa
la
validità
o
meno
della
Legge
di
Gravitazione
Universale
che
è
stata
enunciata
da
Newton.
E'
questo
un
tema
davvero
interessante
già
affrontato
da
eminenti
studiosi
anche
italiani
(si
consideri
ad
esempio
tutto
il
lavoro
svolto
da
Todeschini
che
senza
particolari
remore
esplicitamente
affermava
che
la
legge
di
gravitazione
non
esiste),
e
certamente,
sebbene
non
in
maniera
diretta,
anche
dagli
“scienziati”
della
coscienza
Indovedici.
Letteralmente
dall'articolo
di
Repubblica
leggiamo(1):
“La
teoria
della
gravità
è
forse
la
più
formidabile
legge
della
fisica,
il
principio
più
evidente
e
universale
perché
corrisponde
a
un'esperienza
empirica
irresistibile.
Il
bambino
ancora
non
sa
parlare
e
uno
dei
primi
giochi
in
cui
si
trastulla
dal
seggiolone,
consiste
nel
far
cadere
il
cucchiaio
della
pappa.
Lo
spettacolo
è
affascinante
nella
sua
ripetitività.
Afferra
il
cucchiaio,
lo
7
solleva,
lo
lascia
cadere,
e
ogni
volta
il
miracolo
si
ripete:
quell'oggetto
viene
attratto
irresistibilmente
a
terra,
costringendo
il
paziente
genitore
a
raccoglierlo.
Ognuno
di
noi
all'età
di
18
mesi
è
stato
Newton
senza
saperlo.
Ebbene,
ricrediamoci:
la
forza
di
gravità
è
un'illusione,
una
beffa
cosmica,
o
un
"effetto
collaterale"
di
qualcos'altro
che
avviene
a
un
livello
molto
più
profondo
della
realtà".
Krishna
nella
Bhagavad
Gita
ci
dice
che
tutto
emana
da
Lui
(aham
sarvasya
prabhavo
…)
e
che
“tutto
su
di
Lui
riposa
come
perle
su
un
filo”.
Dal
punto
di
vista
della
filosofia
del
Samkhya,
il
mondo
manifesto
di
cristallizza
a
partire
dall'etere,
il
vuoto
quanto
meccanico,
sotto
la
spinta
della
coscienza
creatrice
divina,
ed
è
li
a
quel
livello
più
profondo
di
realtà
che
vanno
cercate
le
cause
dei
moti
dei
pianeti
e
di
tutti
i
fenomeni
a
noi
–
più
o
meno
–
conosciuti.
Questa
era
peraltro
la
stessa
interpretazione
di
Todeschini.
E
poi
ancora:
“L'abbandono
di
Newton
era
già
stato
anticipato
dalla
relatività
di
Albert
Einstein
ma
ora
avviene
una
rottura
ancora
più
radicale.
Un
celebre
fisico
matematico
olandese-‐americano,
il
48enne
Erik
Verlinde
che
ha
già
legato
il
suo
nome
alla
"teoria
delle
stringhe"
(la
supersimmetria
negli
universi
paralleli),
sta
agitando
il
mondo
accademico
degli
Stati
Uniti
con
una
serie
di
conferenze
in
cui
fa
a
pezzi
la
teoria
della
gravità.
[…].
Andrew
Strominger,
fisico-‐matematico
di
Harvard,
è
uno
dei
colleghi
di
Verlinde
che
non
nasconde
la
sua
ammirazione:
"Queste
idee
stanno
ispirando
discussioni
molto
interessanti,
vanno
dritte
al
cuore
di
tutto
ciò
che
non
comprendiamo
del
nostro
universo".
Verlinde
è
l'ultimo
di
una
serie
di
scienziati
che
da
trent'anni
a
questa
parte
stanno
smantellando
pezzo
dopo
pezzo
la
teoria
della
gravità.
Negli
anni
Settanta
Jacob
Bekenstein
e
Stephen
Hawking
hanno
esplorato
i
legami
tra
i
buchi
neri
e
la
termodinamica.
Negli
anni
Novanta
Ted
Jacobson
ha
illustrato
i
buchi
neri
come
degli
ologrammi,
le
immagini
tridimensionali
usate
per
la
sicurezza
delle
nostre
carte
di
credito:
tutto
ciò
che
è
stato
"inghiottito"
ed
è
sparito
dentro
i
buchi
neri
dell'universo,
è
presente
come
un'informazione
stampata
nell'ologramma,
sulla
superficie
esterna.
Juan
Maldacena
dell'"Institute
for
Advanced
Study"
ha
costruito
un
modello
matematico
dell'universo
espresso
come
un
barattolo
di
minestra
in
conserva.
Tutto
ciò
che
accade
dentro
il
barattolo,
inclusa
quella
che
chiamiamo
la
gravità,
è
sintetizzato
nell'etichetta
incollata
all'esterno:
fuori
invece
la
gravità
non
esiste.
Pensate
all'universo
come
una
scatola
dello
scrabble
(lo
scarabeo,
ndr),
il
gioco
in
cui
si
compongono
parole
con
le
lettere
dell'alfabeto.
Se
agitate
la
scatola
e
sparpagliate
le
lettere
a
caso,
c'è
una
sola
possibile
combinazione
che
può
darvi
una
poesia
del
Leopardi.
Una
quantità
pressoché
infinita
di
combinazioni
non
hanno
alcun
significato.
Più
scuotete
la
scatola
delle
lettere
più
è
probabile
che
il
disordine
aumenti
via
via
che
le
lettere
si
combinano
per
ordine
di
probabilità.
Questo
è
il
nuovo
modo
di
vedere
la
forza
di
gravità,
come
una
forma
di
entropia.
O
un
"effetto
collaterale
della
propensione
naturale
verso
il
disordine".
Questa
è
l'interpretazione
degli
Scienziati
moderni.
In
realtà,
le
leggi
che
governano
il
nostro
Universo
sono
ben
altro
che
un
mero
risultato
del
caso.
Anzi,
come
Dante
stesso
cita
è
“l'Amore
che
move
il
sole
e
l'altre
stelle”.
Certamente
se
ci
concentriamo
solo
su
ciò
che
i
nostri
sensi
possono
percepire
e/o
misurare
i
risultati
che
riusciremo
ad
ottenere
ne
saranno
una
diretta
conseguenza
che
porterà
ad
inevitabili
risultati
parziali.
Newton
aveva
avuto
sicuramente
una
grande
intuizione,
ma
ciò
che
ha
delineato
altro
non
è
che
un
modello
della
realtà
che
in
talune
circostanze
funziona,
in
altre
no.
Così
è
in
generale
per
tutte
le
leggi.
Noi
possiamo
solo
rappresentare
la
realtà
fenomenica
con
dei
modelli
rappresentativi,
ma
potremo
entrare
nella
sua
più
profonda
essenza
e
forma
8
(svarupa)
solo
accedendo
a
livelli
di
consapevolezza
e
coscienza
più
elevati,
come
ci
spiegano
lo
Yoga
e
la
Bhagavad
Gita:
SULLA
'PLASTICITÀ
NEURONALE'
E
LA
MEDITAZIONE
di
Andrea
Boni
con
la
collaborazione
di
Barbara
Ferrando.
9
obiettivi
della
neurobiologia.
È
stato
dimostrato
che
le
reti
neuronali
sono
capaci
di
adattamento
e
apprendimento,
benché
uno
studio
profondo
e
completo
dell’attività
dei
loro
circuiti
sia
stato
finora
impedito
dalla
complessità
della
loro
dinamica.
Tuttavia
già
con
millenni
di
anticipo,
la
Scienza
dello
Yoga
aveva
fornito
una
conoscenza
molto
precisa
delle
dinamiche
che
contribuiscono
alla
strutturazione
delle
reti
neuronali,
e
quindi
delle
dinamiche
mentali
automatiche
e
condizionanti
che
ne
derivano
e
soprattutto
ha
fornito
i
mezzi
per
la
loro
destrutturazione.
In
sostanza,
la
plasticità
delle
reti
neuronali
può
essere
definita
come
il
continuo
modellamento
di
morfologia
e
funzione
indotta
prevalentemente
dall’esperienza
e
quindi
dall’ambiente.
Tale
modellamento
può
essere
rafforzato
e
“orientato”
attraverso
la
pratica
costante
(abhyasa)
di
un
determinato
esercizio.
Ad
esempio,
per
destrutturare
schemi
mentali
automatici,
condizionanti
e
distruttivi,
è
possibile
applicare
la
tecnica
della
visualizzazione
meditativa
giornaliera,
da
attuarsi
prevalentemente
nelle
ore
del
mattino
(dalle
4
alle
8):
10
HIGH
TECH,
SERVITORE
DI
DUE
PADRONI.
'DALLA
SINDROME
DA
I-‐PHONE
ALLA
SUPERFICIALITA'
DELLE
RELAZIONI
VIRTUALI
DI
MASSA'
(PARTE
TERZA)
di
Caterina
Carloni.
L’ultima
novità
proviene
dalle
ricerche
del
colosso
dei
microprocessori
Intel,
il
quale
ha
appena
presentato
un
software
in
grado
di
indovinare
con
estrema
accuratezza
cosa
una
persona
sta
pensando
tramite
l'analisi
della
sua
attività
cerebrale.
Il
sistema
è
stato
dimostrato
per
la
prima
volta
al
Tech
Heaven
di
New
York,
ma
la
tecnica
è
ancora
in
una
fase
di
sviluppo.
Il
programma
messo
a
punto
da
Intel
è
collegato
a
un'apparecchiatura
per
la
risonanza
magnetica.
Ad
un
soggetto
viene
chiesto
di
pensare
una
serie
di
nomi
comuni
suggeriti
da
un
ricercatore.
L'algoritmo
associa
a
ogni
parola
le
aree
del
cervello
che
si
attivano
quando
esse
vengono
pensate.
Successivamente,
al
soggetto
viene
chiesto
di
pensare
a
una
delle
parole
precedentemente
suggeritegli.
Se
la
ricerca
andrà
avanti,
in
futuro
sarà
possibile
comandare
un
computer
senza
usare
tastiera,
mouse
o
touch-‐screen.
Ma
la
ricaduta
più
importante
si
avrebbe
nell'assistenza
alle
persone
affette
da
gravi
invalidità
o
menomazioni
fisiche,
che
potrebbero
riacquistare
una
parziale
autosufficienza
manovrando
col
pensiero
sedie
a
rotelle,
sintetizzatori
vocali
e
altri
strumenti
di
assistenza
fisica.
L’evoluzione
tecnologica
è
certamente
un
bene
prezioso
per
tutti.
L’unico
rischio
è
che,
parafrasando
la
divertente
commedia
goldoniana,
diventi
uno
strumento
al
servizio
di
due
padroni
poco
avveduti:
da
un
lato,
il
Piacere
che
ottunde,
confonde
le
idee,
stordisce,
allenta
la
connessione
con
se
stessi
e,
in
definitiva,
mina
le
nostre
più
autentiche
risorse
umane
e
spirituali;
dall’altro
il
Progresso
che
separa
l’uomo
dal
suo
centro,
la
Medicina
frammentaria
e
settoriale,
che
identifica
la
vita
nel
segmento
nascita-‐
morte
privandola
della
sua
funzione
evolutiva,
il
Benessere
scorporato
dalla
sua
dimensione
metacorporea,
ridotto
ad
“aggiustamenti”
fisici
e
a
manipolazioni
virtuali,
in
cui
la
salute
psicologica
si
riduce
a
un
esercizio
di
normalizzazione
sociale.
La
salute
psicologica
è
plasticità,
dinamismo,
trascendenza
dai
confini
angusti
dell’io,
è
espansione
di
sé
stessi,
è
esperienza
di
viaggio
in
territori
magici
e
sconosciuti
fino
al
ritorno
alla
propria
Sorgente
Suprema,
è
esplorazione
della
propria,
unica
e
irripetibile
essenza.
E’
Amore
al
più
alto
livello,
dato
e
ricevuto
senza
condizioni
né
condizionamenti.
“Ma
con
Amor
l’inzegno
no
val
gnente/Per
causa
de
Cupido
impertinente/No
son
più
servitor
de
do
Patroni/Ma
sarò
servitor
de
chi
me
sente”,
conclude
la
maschera
del
grande
commediografo
veneziano.
Perché
le
nostre
attività
apportino
un
reale
beneficio
a
noi
stessi
e
a
chi
ci
circonda,
qualunque
sia
il
mezzo
portentoso
di
cui
disponiamo,
è
decisivo
a
quale
padrone
offriamo
il
nostro
servizio
e
con
quale
sentimento.
Nessun
avanzamento
è
possibile
senza
una
coscienza
illuminata
da
valori
spirituali.
L’evoluzione
tecnologica
ha
permesso
di
abbattere
molte
barriere
e
di
spianare
la
strada
della
comunicazione
globale,
ma
potrebbe
elevare
altri
muri
sottili
e
invisibili
dentro
la
nostra
anima.
La
via
della
Bhakti
(del
servizio
di
amore
verso
il
Creatore
e
le
Sue
creature)
ci
aiuta
a
rammentare
che
l’intero
universo
è
permeato,
generato
e
riassorbito
da
un’unica
potente
energia
d’Amore
da
cui
noi
tutti
proveniamo
e
verso
cui
noi
tutti
tendiamo:
Shri
Krishna.
Onorare
questa
grande
forza
è
il
segreto
per
ottenere
tutti
i
più
autentici
e
durevoli
benefici
dell’esistenza.
Krishna
stesso
nella
Bhagavad
Gita
ci
ricorda
che
non
è
necessario
fare
chissà
quali
opere,
ma
ciò
che
è
importante
è
la
motivazione
che
ci
spinge
all'azione:
11
Patram
pushpam
phalam
toyam
Yo
me
bhaktya
prayacchati
Tad
aham
bhakty-‐upahrtam
Ashnami
prayatatmanah
“Se
qualcuno
Mi
offre
con
amore
e
devozione
[bhakti]
una
foglia,
un
fiore,
un
frutto
o
dell'acqua,
accetterò
la
sua
offerta”.
Bhagavad
Gita
XI.26
HIGH
TECH,
SERVITORE
DI
DUE
PADRONI.
'DALLA
SINDROME
DA
I-‐PHONE
ALLA
SUPERFICIALITA'
DELLE
RELAZIONI
VIRTUALI
DI
MASSA'
(PARTE
SECONDA)
di
Caterina
Carloni.
12
baronessa
Susan
Greenfield,
direttrice
della
Royal
Institution,
sostiene
che
l’utilizzo
costante
del
computer
‘infantilizza’
il
cervello
rendendogli
più
difficile
imparare
a
superare
le
difficoltà
e
gli
errori:
“Quando
un
bambino
cade
da
un
albero,
impara
subito
a
non
ripetere
l’errore,
mentre
se
uno
sbaglia
durante
un
videogame,
semplicemente
continua
a
giocare.
La
parte
del
cervello
coinvolta
nell’attenzione,
nell’empatia
e
nell’immaginazione
–
la
corteccia
pre-‐frontale
–
potrebbe
non
svilupparsi
correttamente
nei
bambini
troppo
informatici”
minaccia
la
Greenfield.
“E
poiché
negli
obesi
questa
zona
cerebrale
è
spesso
poco
attiva,
il
legame
tra
uso
eccessivo
del
computer
e
obesità
potrebbe
essere
a
livello
cerebrale,
producendo
meno
percezione
del
rischio,
più
abuso
di
junk-‐food
e
stili
di
vita
poco
salutari(1)”.
Un
nuovo
studio
pubblicato
da
un
professore
di
psicologia
statunitense
pone
l'accento
su
quello
che
ritiene
essere
un
vero
e
proprio
profilo
clinico:
quello
del
gamer
patologico.
La
ricerca
è
stata
effettuata
presso
il
“National
Institute
on
Media
and
the
Family”
e
ha
decretato
che
almeno
uno
su
dieci
intervistati
presenta
veri
e
propri
sintomi
patologici
che
vanno
ben
oltre
la
semplice
dipendenza,
arrivando
a
modificare
profondamente
l'individuo
sia
a
livello
sociale,
sia
caratteriale.
Lo
studio,
eseguito
analizzando
le
risposte
date
da
1.178
giovani
utenti
di
età
compresa
tra
8
e
18
anni,
ha
identificato
una
percentuale
pari
allo
8,5%
degli
intervistati
come
"gamer
patologici",
cioè
vittime
di
ben
sei
sintomi
dichiarati
patologici
dal
DSM
II,
ovvero:
rilevanza
(l'attività
videoludica
tende
a
dominare
la
vita
dell'utente),
euforia
(sollievo
nell'atto
videoludico
che
permette
di
accantonare
sensazioni
spiacevoli),
tolleranza
(il
prolungarsi
anche
in
intensità
dell'esperienza
nel
tempo),
astinenza
(l'individuo
tende
ad
essere
irrequieto
o
insoddisfatto
se
non
può
giocare),
conflitto
(l'attività
tende
ad
essere
in
conflitto
con
le
attività
quotidiane,
come
studio,
relazioni
interpersonali)
e,
per
finire,
reticenza
(il
gamer
patologico
tende
a
continuare
a
giocare
anche
in
presenza
di
espliciti
divieti
o
di
astinenza
autoimposta).
Douglas
Gentile,
docente
di
psicologia
presso
la
Iowa
State
University
e
13
sito
web.
In
un
numero
speciale
della
rivista
“Cyberpsychology,
Behavior
and
Social
Networking”,
sono
stati
pubblicati
vari
studi
sull'uso
della
realtà
virtuale
come
terapia
psicologica
per
rimuovere
le
cicatrici
di
un
trauma
-‐
per
esempio
gli
effetti
traumatici
di
un
terremoto.
“La
realtà
virtuale”,
ha
spiegato
Brenda
Wiederhold,
direttore
della
rivista,
“immerge
il
paziente
che
soffre
di
stress
post-‐traumatico
in
un
mondo
fittizio
dove
la
persona
rivive
in
modo
controllato
il
trauma.
Gli
stimoli
virtuali
riportano
alla
mente
del
paziente
l'evento
traumatico
in
cui
e'
rimasto
coinvolto,
fino
a
che
l'individuo,
magari
agendo
attraverso
il
suo
avatar,
impara
a
non
associare
più
quegli
stimoli
a
qualcosa
di
terrificante
e
ansiogeno,
riuscendo
a
liberarsi
dalla
paura
anche
nel
mondo
reale”.“COSPATIAL”,
un
progetto
europeo
appena
avviato,
coordinato
dalla
Fondazione
Bruno
Kessler
(FBK)
di
Trento,
dedicato
alla
messa
a
punto
di
tecnologie
collaborative
per
la
promozione
dell’apprendimento
di
competenze
sociali
da
parte
di
bambini
e
ragazzi
con
sviluppo
tipico
o
con
autismo,
sta
tentando
di
creare
strumenti
tecnologici
per
favorire
lo
sviluppo
di
competenze
comunicative
nei
bambini
e
contribuire
allo
sviluppo
cognitivo
e
sociale
in
generale,
venendo
in
particolare
incontro
alle
grandi
speranze
dei
genitori
dei
bambini
autistici.
In
particolare,
COSPATIAL
si
indirizza
verso
due
tipi
di
tecnologie
che
in
studi
precedenti
hanno
mostrato
buone
potenzialità
nel
migliorare
le
abilità
sociali:
ambienti
collaborativi
virtuali
e
superfici
attive
condivise.
(1)
Macrae
F.
'Do
you
have
Facebook
flab?
Computer
use
could
make
you
eat
too
much,
warns
professor'.
Daily
Mail
15/05/2009.
Pubblicato
da
Andrea
Boni
PERDONARE
UN
TORTO
AIUTA
A
STARE
MEGLIO,
LO
DICE
LA
SCIENZA.
STUDIO
DI
RICERCATORI
PISANI
SULLA
RISONANZA
MAGNETICA
FUNZIONALE.
14
'Fondazione
Giannino
Bassetti'.
Nello
studio
i
ricercatori
hanno
utilizzato
metodiche
di
risonanza
magnetica
cerebrale
funzionale
(fMRI)
per
esaminare
le
basi
cerebrali
che
sottendono
distinte
scelte
morali.
"Ci
siamo
chiesti
-‐
spiega
Giuseppina
Rota,
assegnista
di
ricerca
nel
laboratorio
del
professor
Pietrini
e
primo
autore
della
ricerca
-‐
cosa
succede
nel
cervello
quando
un
individuo
che
ha
subito
un
torto
da
una
persona
a
cui
è
legato
deve
decidere
come
superare
la
situazione
di
conflitto,
se
perdonare
o
meno
la
persona".
Studiando
le
connessioni
funzionali
del
cervello
nelle
diverse
situazioni,
i
ricercatori
hanno
dimostrato
che
complesse
reti
di
aree
cerebrali
coinvolte
nei
processi
decisionali,
nelle
teorie
della
mente
e
nella
regolazione
emotiva
dialogano
intensamente
tra
loro
nel
prendere
una
o
l'altra
decisione.
"Perdonare
permette
di
superare
una
situazione
di
stallo
che,
se
protratta,
porterebbe
altrimenti
ad
un'alterazione
dell'omeostasi
biochimica
e
psicologica
dell'individuo",
spiega
Emiliano
Ricciardi,
coautore
dello
studio.
In
pratica,
i
circuiti
coinvolti
nell'empatia
sono
chiamati
in
causa
quando
si
perdona,
come
se
'calarsi
nei
panni
altrui'
potesse
aiutare
a
comprendere
le
ragioni
di
chi
ci
ha
offesi
e,
quindi,
a
perdonare.
Pubblicato
da
Andrea
Boni
HIGH
TECH,
SERVITORE
DI
DUE
PADRONI.
'DALLA
SINDROME
DA
I-‐PHONE
ALLA
SUPERFICIALITA'
DELLE
RELAZIONI
VIRTUALI
DI
MASSA'
(PARTE
PRIMA)
di
Caterina
Carloni.
Quante
volte,
passeggiando
per
strada,
ci
capita
di
osservare
il
comportamento
delle
persone
che
ci
circondano?
La
maggior
parte
dei
passanti
si
muove
tra
la
folla
isolandosi
mentalmente
da
tutto
e
tutti.
L’unica
cosa
che
desta
la
loro
attenzione
è
lo
squillo
o
la
vibrazione
del
proprio
amato
telefono,
che
segnala
l’arrivo
dell’ennesimo
messaggino
a
cui
rispondere
immediatamente.
Un
problema
concreto,
spesso
sottovalutato,
che
colpisce
in
maniera
diversa
e
forse
ancor
più
inquietante,
gli
utenti
proprietari
di
un
terminale
iPhone.
Il
fenomeno,
ribattezzato
dagli
psicologi
come
“sindrome
da
iPhone”,
presenta
diverse
similitudini
con
la
sindrome
di
Stoccolma.
In
sintesi,
i
“sequestrati”,
oltre
a
comportarsi
come
se
fossero
inebetiti,
manifestano
anche
sentimenti
positivi
nei
confronti
del
proprio
“rapitore
hi-‐tech”.
Per
la
Strand
Consult,
che
ha
analizzato
le
frequenti
quanto
irragionevoli
risposte
dei
fan
del
“melafonino”,
i
possessori
di
un
iPhone
sono
quasi
sempre
ostaggi
inconsapevoli
del
loro
oggetto
preferito.
Si
tratterebbe,
insomma,
di
un
vero
e
proprio
“rapimento
intellettuale
di
massa”.
Niente
sembra
riuscire
a
tener
lontano
gli
utenti
dal
loro
oggetto
dei
desideri,
neppure
i
possibili
problemi
tecnici.
I
possessori
di
questo
dispositivo
sono
pronti
infatti
a
difendere
il
15
proprio
acquisto
ricorrendo
ad
argomentazioni
“fantasiose”.
Tutto
ciò
che
normalmente
verrebbe
visto
come
un
“difetto”
o
un
“limite”,
viene
considerato
un
pregio,
una
qualità
che
altri
dispositivi
non
hanno
e
mai
potranno
avere:
se
sull’iPhone
di
Apple
non
è
possibile
installare
un
qualsiasi
applicativo,
gli
utenti
non
si
rattristano
e
non
accusano
la
casa
madre,
in
quanto
tale
limite
è
in
realtà
un
vantaggio
poiché
i
software
disponibili
sono
di
certo
i
migliori
sul
mercato;
se
la
fotocamera
integrata
è
di
bassa
qualità,
il
design
viene
prima
di
tutto,
ecc.
La
“sindrome
da
iPhone”,
e
di
questo
gli
psicologi
sembrano
esserne
certi,
è
globale
e
colpisce
allo
stesso
modo
in
tutte
le
parti
del
mondo.
In
realtà
gli
studi
sugli
effetti
nocivi
dell’alta
tecnologia
sulla
psiche
umana
sono
ormai
numerosi
e
incontestabili.
Due
anni
fa
un
saggio
di
Nicholas
Carr,
consulente
aziendale
e
direttore
della
“Harvard
Business
Review",
fu
pubblicato
dalla
rivista
«The
Atlantic»
col
provocatorio
titolo
«Google
ci
sta
rendendo
stupidi?».
“Le
tecnologie
digitali”
–
scriveva
Carr
–
“offrono
opportunità
straordinarie
di
accesso
a
nuove
informazioni,
ma
hanno
un
costo
sociale
e
culturale
troppo
alto:
insieme
alla
lettura,
trasformano
il
nostro
modo
di
analizzare
le
cose,
i
meccanismi
dell’apprendimento.
Passando
dalla
pagina
di
carta
allo
schermo,
perdiamo
la
capacità
di
concentrazione,
sviluppiamo
un
modo
di
ragionare
più
superficiale,
diventiamo
dei
“pancake
people”
-‐
come
dice
il
commediografo
Richard
Foreman:
larghi
e
sottili
come
una
frittella
-‐
perché,
saltando
continuamente
da
un
pezzo
d’informazione
all’altra
grazie
ai
link,
arriviamo
ovunque
vogliamo,
ma
al
tempo
stesso
perdiamo
spessore
perché
non
abbiamo
più
tempo
per
riflettere
e
16
depressione.
Gli
psicologi
della
Leeds
University
hanno
riscontrato
delle
"impressionanti"
evidenze
empiriche
che
mostrano
come
alcuni
habitué
del
Web
sviluppino
una
tendenza
compulsiva,
soppiantando
l'interazione
sociale
della
vita
reale
con
chat
e
siti
di
social
network.
"Questo
studio
supporta
l'idea
comune
che
un
uso
smodato
della
rete
a
sostituzione
di
una
socialità
nella
norma
possa
essere
legato
a
disordini
psicologici
come
depressione
e
dipendenza"
-‐
scrive
sulla
rivista
“Psychopathology”
Catriona
Morrison,
principale
autrice
della
ricerca
-‐
aggiungendo
che
"navigare
in
questo
modo
può
avere
un
impatto
serio
sulla
sanità
mentale".
• ▼
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§ 'L'UNIVERSO
AMICO'
A
Cura
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Andrea
Boni,
tratto
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§ VERSO
LE
ALTE
VETTE
DELLA
CONSAPEVOLEZZA
E
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§ RIFLESSIONI
TRA
SCIENZA
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SPIRITUALITA'
-‐
Intervis...
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§ RIFLESSIONI
TRA
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SPIRITUALITA'
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SERVITORE
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PADRONI.
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religiosità
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UMANA
E
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IMPLICITO
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DHARMA)
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'GRANDE
[POEMA
...
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LA
FORMA
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L'EVOLUZIONE
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CSB
2009/2010
La
Scienza
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FORMA
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