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DIPENDENZA AFFETTIVA:

QUANDO IL CUORE HA TROPPI LIVIDI

(Lucia Rosa Cantafio)

“Amare troppo significa, in sostanza, essere ossessionate da un uomo e chiamare questa


ossessione amore, permettendole di condizionare le vostre emozioni e gran parte del vostro
comportamento…. Significa anche misurare il grado del vostro amore dalla profondità del vostro
tormento”

Norwood

Le favole che ci sono state raccontate da bambine terminavano tutte con “…. e vissero felici e
contenti” ed in esse c’era sempre il coronamento di un amore. Le favole dovrebbero (almeno in
parte) formare le basi dei sogni che poi inseguiamo da adulti. Allora gli adulti dovrebbero  seguire il
sogno di un  amore felice e duraturo ed essere disposti ad aspettare fino al suo arrivo rifuggendo
dagli amori infelici. Ma forse non tutti i genitori raccontano le favole, e le bambine crescono con il
sogno di un amore che non si sa ne quando ne come le renderà felici. Cioè molte sembrano
identificarsi in Belle, la protagonista di “La bella  e la bestia”, ovvero in eroine capaci di
trasformare la bestia in un bellissimo principe! Che delusione quando questo non succede. Eppure
la favola è chiara: affinché avvenga la trasformazione è indispensabile che la bestia sia stata un
giorno un bellissimo principe trasformato  da un incantesimo che deve sciogliersi prima del
matrimonio non dopo. Ma le nostre caparbie eroine insistono nell’attesa che il miracolo avvenga,
lasciando che il loro amore e la loro vita sfioriscano tra liti e maltrattamenti psicologici e fisici di
ogni tipo, rifiutandosi di accettare che, anche con ogni giustificazione, hanno sposato una “bestia”
vera e che può essere trasformata solo da un aiuto esterno e non dal nostro amore! L’amore fa molti
miracoli, ma non quando parliamo di tossicodipendenza, alcolismo o tendenza a violenti attacchi
d’ira spesso giustificati da gelosia, possesso o altro.

Le eroine di cui stiamo parlando sono soggetti il cui cuore sanguina a causa di una forma di
dipendenza affettiva. Sono le  donne che innamorate di un uomo sposato, si accontentano di briciole
di tempo nell’eterna speranza che lui lasci la moglie per loro (speranza sorretta dalle promesse di
lui!), sono le compagne di alcolisti o tossicodipendenti, le mogli vittime di violenze fisiche e
psicologiche, ma anche le innamorate silenti del proprio capoufficio, da cui si lasciano maltrattare
pur di sentirsi importanti. Per motivi di spazio evito qui di parlare delle donne che si fanno male,
ovvero autolesioniste.

Insomma un’ampia categoria di persone che addebitano alla sfortuna la propria sofferenza.

C’è sempre un partner sbagliato nella vita di queste persone.

Gli studi fatti sulla scelta amorosa dimostrano che in realtà  non è stato il caso che ci ha fatto
incontrare quella persona invece di tal altra, ma quell’incontro è stato il risultato di una nostra
attenta, anche se inconsapevole, ricerca. Una sorta di profezia che si autoadempie: da bambine
infelici a donne … infelici.

L’amore risponde ai nostri bisogni più impellenti, che possono essere diversi nei diversi periodi
della vita oppure sempre  uguali. Sono situazioni in cui creiamo da soli la nostra prigione e non
siamo capaci di uscirne, una prigione che a volte consideriamo quasi indispensabile, come se non
potessimo vivere  senza, a meno che non intervenga un fattore imprevisto come la paura che venga
fatto del male ad un figlio, o una crescita emotiva della vittima di turno che non si lascia più
maltrattare, crescita che può dipendere dall’avere intrapreso un nuovo lavoro o nuove amicizie, ma
molto frequentemente è un  nuovo  innamoramento a dare la forza di ribellarsi ad una situazione di
malessere.

La Norwood, nel libro donne che amano troppo, parla ampiamente di donne figlie di alcolisti o
semplicemente di scapestrati giocatori d’azzardo o di genitori affettivamente assenti impegnati a
soddisfare i propri bisogni e non quelli dei figli. Queste  donne sono state bambine- adulte che
spesso si sono dovute occupare del genitore o dei fratellini, bimbe buone  e brave, angioletti che
imparano presto a cucinare, sistemare casa, andare bene a scuola e, soprattutto, camminare in punta
di piedi quando l’atmosfera lo chiede; che crescendo continuano a volere redimere, aiutare, salvare
le persone che hanno accanto ripetendo il copione familiare.  Si sentono responsabili di tutto e di
tutti e sentono di potersi realizzare solo  salvando la persone che hanno accanto. Quasi sempre
queste persone hanno uno scarsissimo livello di autostima e ritengono di meritare tutto ciò che
capita loro, sentendosi spesso loro stesse la causa dell’ira del partner. Il problema fondamentale di
queste persone è proprio quello dell’autostima. Poiché sentono di contare qualcosa solo nel loro
ruolo di sofferenti salvatrici, avvertono la netta sensazione di non poter vivere senza quel partner
(fonte di sofferenza e delusioni continue), anche perché quel partner riveste un ruolo importante
proprio in quanto ci ha scelte nonostante i nostri infiniti limiti.

Ma  esistono anche modi specifici di creare la dipendenza, modi simili al somministrare piccole
dosi di droga fino a creare la dipendenza dalla sostanza.

Credo che ad ognuno sia capitato di sentirsi dire “Ti amo, anche se non sei bellissima”, e spesso si è
sentito ferito da questa affermazione, tutti vogliamo  essere belli agli occhi di chi ama, se non
avviene ci sentiamo veramente  uno straccio! Ora immaginiamo che la serie dei “anche se non
sei…” diventi molto lunga, allora può succedere che io mi senta di dovere gratitudine a chi mi ama
nonostante tutti quei “anche se non …” e mi convinca che nessuno sarebbe così stupido da amarmi
nonostante io non sia …” e giorno dopo giorno le insicurezze aumentano insieme alla dipendenza.

Mentre scrivo mi accordo di usare frequentemente il femminile rivolgendomi ai soggetti dipendenti


dall’amore, questo avviene perché quando si tratta il tema pernicioso ma sempre attualissimo della
sofferenza auto o etero inflitta, si tende a parlare di donne. Questo non perché gli uomini non hanno
motivi di sofferenza o non scelgano donne carnefici, ma perché frequentemente gli uomini che
hanno subito traumi o sono cresciuti in famiglie cosiddette a rischio, tendono a diventare
attivamente carnefici o dipendenti da sostanze. Ma questo rimane a grandi linee. La Miller, nel suo
libro “Donne che si fanno male” precisa che l’infanzia violata da violenze fisiche o psicologiche è
una realtà anche maschile. La diversità, secondo l’autrice, esiste nell’educazione ricevuta, mentre
gli uomini che hanno subito traumi infantili tendono a diventare a loro volta violenti, le donne
tendono a riprodurre  su se stesse tale violenza, tendono a subire più che ad infliggere.

Nelle coppie disfunzionali in cui uno dei due è alcolizzato o violento, si tende a vedere l’altro come
un eroe, che con pazienza e grande coraggio sopporta tutto per il bene dei figli, oppure perché  “un
giorno grazie a me cambierà”, o perché  “cosa farebbe senza di me?”.

Motivazioni socialmente accettate ed anzi sostenute. In genere anche le donne che amano un uomo
che ha già un legame vengono perdonate, perché il mostro della situazione è lui. Ma l’opinione
pubblica cambia velocemente e la stessa persone che è stata compresa nel suo amore infelice
diventa una “rovina famiglie” se l’altro si spara, ma questa soluzione non è la più frequente. In
realtà questi eroi sono soggetti che hanno una diversa dipendenza, una dipendenza affettiva. Non
sono realmente eroi ma solo persone che stanno tentando di soddisfare un bisogno insoddisfabile.
Certo questi soggetti hanno molte giustificazioni, ma di fondo sono assolutamente incapaci di
occuparsi di se stesse e riescono a sopportare solo quello strano tipo di solitudine a due. In pratica
finché hanno qualcuno di cui occuparsi sono forti e capaci ma se devono occuparsi di se stesse sono
assolutamente incapaci ed impauriti.

La letteratura d’oltre Oceano si è molto occupata di queste strutture di personalità da quando la


problematica della dipendenza affettiva è letteralmente scoppiata in seguito al nascere di gruppi di
self- help per mogli e mariti di alcolisti. Si è scoperto che queste persone erano dipendenti tanto
quanto i compagni alcolisti (o tossicodipendenti) ed avevano bisogno di imparare non tanto ad
aiutare il compagno quanto ad aiutare se stesse. Questo è avvenuto nel tipico stile americano dei
gruppi di self- help.

La problematica diviene evidente solo quando il partner eletto a disfunzionale decide di uscire dal
proprio tunnel, e quindi si disintossica, frequenta gruppi self- help, diventa una persona “sana”.

Il partner prima considerato sano anche se infelice, l’eroe della situazione rimane senza nessuno di
cui occuparsi e, come un guerriero in tempo di pace, cade nella più cupa depressione.

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