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16/3/2020 L’esordio assoluto di Primo Levi « Buna Lager »

Cahiers d’études romanes


Revue du CAER

33 | 2016 :
Fragments de mémoire européenne
Primo Levi et Jorge Semprún

L’esordio assoluto di Primo Levi


« Buna Lager »
D S
p. 47-58
https://doi.org/10.4000/etudesromanes.5245

Abstract
Français Español
Cet article analyse les tous premiers écrits de Primo Levi. Entre les derniers jours de l’année 1945
et les premières semaines de 1946 Levi a écrit une douzaine de poèmes que lui même, trente ans
plus tard, dans le récit « Cromo » dans Le système périodique, aurait défini comme « concises et
ensanglantées ». Ces vers, nés avant Si c’est un homme, révèlent une voix bien différente par
rapport à sa grande œuvre première.

Questo articolo studia i primissimi scritti di Primo Levi. Tra gli ultimi giorni del 1945 e le prime
settimane del 1946 Levi scrisse una dozzina di poesie che trent’anni più tardi, nel racconto
« Cromo » del Sistema periodico, avrebbe definito « concise e sanguinose ». Questi versi, nati in
anticipo sulla gran parte di Se questo è un uomo, emettono una voce ben diversa rispetto alla sua
grande opera prima.

Termini di indicizzazione
Mots-clés : Levi (Primo), poésie, Auschwitz, mémoire
Palabras claves : Levi (Primo), poesia, Auschwitz, memoria
Indice geografico : Pologne
Indice cronologico : XXe

Testo integrale
1 « Fuma la Buna dai mille camini » può quasi sembrare uno scioglilingua. Con quelle
assonanze e allitterazioni, con la duplice cupezza delle « u » proprio al principio, con
quel vibrare di « m » e di « n » che si alternano e si geminano, col suo cocciuto

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impennarsi di sillabe brevi, nella sua versione originale in italiano potrebbe essere il
verso di una filastrocca da bambini. Invece la poesia s’intitola « Buna Lager », dove
Buna vuol dire – in tedesco – gomma sintetica, mentre l’altra parola tedesca la
conoscono tutti. La « Buna » era appunto la fabbrica di gomma destinata a sorgere
all’interno di uno dei sotto-Lager satelliti di Auschwitz, la fabbrica alla cui costruzione
Primo Levi lavorò con altri diecimila deportati: in condizione di schiavitù e per giunta
invano, perché non entrò mai in attività. I ventidue versi di « Buna Lager » furono una
piccola finestra tipografica che si aprì entro la terza pagina, fitta di inchiostri, del
settimanale comunista di Vercelli L’amico del popolo. Apparvero nel numero 26
dell’anno secondo, datato 22 giugno 1946. E sono la prima pubblicazione di Primo Levi
dopo il suo ritorno da Auschwitz (Fig. 1 et 2): la prima in assoluto che attualmente sia
nota.
2 Soltanto nove mesi più tardi L’amico del popolo – che era diretto da Silvio Ortona,
vecchio amico di Levi – avrebbe ospitato cinque episodi di Se questo è un uomo, oltre al
celebre testo in versi che figura oggi come epigrafe del libro: « Voi che vivete
sicuri/Nelle vostre tiepide case ».
3 Nella raccolta definitiva delle poesie di Levi (Fig. 3 et 4), pubblicata nel 1984 da
Garzanti con il titolo Ad ora incerta, « Buna Lager » s’intitola semplicemente « Buna »
(la precisazione era a quel punto superflua) e porta la data del 28 dicembre 1945.
Proprio in quel mese Levi scriveva anche « Storia di dieci giorni », ossia il capitolo
conclusivo di Se questo è un uomo. Redatte sotto forma di diario, furono le pagine del
suo libro d’esordio che Levi sentì di dover scrivere per prime, con la massima urgenza.
Descrivono, come si sa, un Lager abbandonato dai dominatori tedeschi: Auschwitz in
disfacimento. « Buna Lager » ci presenta, al contrario, la fabbrica dello sterminio che
funziona a pieno regime: con una ritmica martellante, con una vocalità martoriata, con
un registro declamatorio. E questa prima redazione del testo, suddivisa in quattro strofe
aggettanti e rientrate a blocchi alterni, si offre allo sguardo del lettore con una solennità
anche tipografica: laddove, nella versione raccolta nel volume del 1984, le strofe sono
soltanto due, con interruzione dopo l’ottavo verso, mentre il testo è normalmente
allineato a sinistra.
4 Si può dire che nell’opera di Primo Levi Auschwitz sia prima di tutto un insieme di
suoni. Tra gli ultimi giorni del 1945 e le prime settimane del 1946 Levi scrisse una
dozzina di poesie che trent’anni più tardi, nel racconto « Cromo » del Sistema periodico,
avrebbe definito « concise e sanguinose ». Questi versi, nati in anticipo sulla gran parte
di Se questo è un uomo, emettono una voce ben diversa rispetto alla sua grande opera
prima. Sono gli accordi di preludio del libro, più altisonanti e più stridenti rispetto al
memoriale che li avrebbe seguiti di lì a poco. Con il primato che le assicurano le sue
date di composizione e di pubblicazione, « Buna Lager » testimonia che Levi scolpì
innanzitutto in versi quel Lager che aveva appena cominciato a disegnare in prosa;
quella poesia testimonia, in senso più ampio, che Levi agì da scrittore a pieno titolo fin
dal suo primo passo pubblico. Quel breve violento ciclo di versi proietta il lettore in una
situazione – che l’autore-testimone costruisce con strumenti formali: con procedimenti
letterari – analoga a quella in cui si trovava gettato il neo-prigioniero al suo ingresso nel
Lager. I versi di Levi infliggono uno shock acustico che si converte all’istante in shock
morale: non è un caso che gli ultimi versi di « Buna Lager » evochino la vergogna di aver
attraversato quell’esperienza di annullamento della dignità. « La poesia mi ha colto in
flagrante » avrebbe ammesso Levi molto tempo più tardi.
5 La prima segnalazione di « Buna Lager » in L’amico del popolo si deve a una preziosa
ricerca di Franco Crosio e Bruno Ferrarotti, pubblicata online nel 2007 nella sezione
« Cultura » del sito http://www.grupposenzasede.it/. Ecco il testo della poesia così
come apparve nel giornale comunista di Vercelli:

Piedi piagati e terra maledetta,


Lunga la schiera nei grigi mattini.
Fuma la Buna dai mille camini,
Un giorno come ogni giorno ci aspetta.
Terribili nell’alba le sirene:
«Voi moltitudine dei visi spenti,
Sull’orrore monotono del fango

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È nato un altro giorno di dolore».
Compagno stanco ti vedo nel cuore
Ti vedo negli occhi compagno dolente
Hai dentro il petto freddo fame niente,
Hai rotto dentro l’ultimo valore.
Compagno grigio fosti un uomo forte,
Una donna ti camminava accanto.
Compagno vuoto che non hai più nome,
Uomo deserto che non hai più pianto,
Così povero che non hai più male,
Così stanco che non hai più spavento,
Uomo spento che fosti un uomo forte:
Se ancora ci trovassimo davanti
Lassù nel dolce mondo sotto il sole,
Con quale viso ci staremmo a fronte?

6 A circa un anno di distanza da « Buna Lager », il 31 maggio 1947, anche il quinto e


ultimo episodio di Se questo è un uomo apparso in L’amico del popolo fu accompagnato
da una poesia, che sulle pagine del settimanale si intitolò « Salmo ». Fu questo il titolo
originario dei versi più celebri di Primo Levi: « Vi comando queste parole ». La
disposizione delle strofe di « Salmo », a blocchi e rientri, era la stessa di « Buna Lager »,
e così è rimasta fino a oggi, senza nessun mutamento. Non fu così per il titolo, invece.
Levi lo abolì del tutto quando scelse proprio quei versi come epigrafe di Se questo è un
uomo (sia nella prima edizione, apparsa a Torino presso De Silva nel 1947, sia nella
versione definitiva, uscita da Einaudi nel 1958) e infine lo cambiò in « Shemà » quando,
nell’agosto 1964, ripubblicò la poesia sul secondo numero di Sigma, una rivista
universitaria di Torino; e « Shemà » è il titolo con il quale la poesia è nota oggi in tutto il
mondo.
7 « Salmo » e « Shemà » sono entrambi titoli religiosi, ed entrambi provengono dal
Vecchio Testamento. In « Shemà » la connotazione ebraica risulta più netta, essendo
questa la prima parola della preghiera fondamentale dell’ebraismo: « Shemà Israel »,
Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Nel suo commento a Se
questo è un uomo (Einaudi, Torino 2012) Alberto Cavaglion scrive che in « Shemà »
Levi ci fa ascoltare la « voce di Dio » evocata nel finale del capitolo « Il canto di Ulisse ».
È un’osservazione fondata. Fu anzi lo stesso Levi a definire « Shemà », in un’intervista
con Gabriella Monticelli (Epoca, 17 settembre 1982), come « la mia interpretazione
blasfema di una preghiera yiddish ». Quella poesia-epigrafe, quella voce di comando
così solenne e adirata, era una preghiera atea: la parodia di una preghiera, una contro-
preghiera che affermava l’unicità dello sterminio più che l’unicità di Dio, e che sferzava
l’indifferenza del lettore-spettatore ricorrendo a un raffinato stratagemma letterario.
8 « Se questo è un uomo è un libro scritto subito », ha detto Primo Levi nel novembre
1975, durante un incontro con i lettori che ebbe luogo a Cuneo; ed è un’affermazione
che va interpretata: così contratta, e così concreta, è una frase sostanzialmente
veritiera, benché Se questo è un uomo sia apparso solo nell’autunno 1947, cioè a quasi
tre anni dalla liberazione di Auschwitz, e quando in Italia erano già uscite decine di
testimonianze sulla deportazione. Malgrado tutto ciò, va segnalato un fatto elementare:
Levi non si dedicò alla scrittura del suo primo libro durante la traversata dell’Europa
che lo tenne in stallo per nove mesi prima di riportarlo finalmente a Torino, il 19
ottobre 1945. La prosa del suo memoriale, così come le poesie che la precedono o la
accompagnano, avrebbe cominciato a prodursi solo qualche mese dopo il rientro.
Perché non prima? Perché Levi non si lanciò subito a scrivere (a fissare il ricordo, a
liberarlo e a liberarsi) appena ebbe varcato i cancelli di Auschwitz, magari durante le
sue permanenze a Cracovia e a Katowice? Si possono azzardare due ragioni: primo,
perché l’esperienza-Auschwitz non era finita, e la vicissitudine del rimpatrio, così
esasperante ma pure così avvincente, ne era la scia; secondo, perché ancora non
esisteva un pubblico al quale rivolgere il racconto, dato che in quella peregrinazione
continentale tutti erano reduci o combattenti, e tutti facevano comunque parte della
storia e della geografia nella quale il Lager era inscritto. La testimonianza andava
portata agli altri: a chi non c’era, a chi non sapeva, a chi avrebbe preferito non sapere,
agli indifferenti, ai renitenti, agli increduli. Per Levi, dunque, « la tregua » fu anche quel

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tempo di mezzo in cui non scrisse nulla su Auschwitz: salvo una notevole eccezione. A
Katowice, nella primavera 1945, una commissione del governo sovietico interpellò
3000 deportati di varie nazionalità, chiedendogli di documentare la loro esperienza nel
Lager di Oświęcim – il nome polacco di Auschwitz. Fu quella precoce inchiesta a
delineare, in modo ancora sommario ma con bastevole attendibilità, il ruolo-chiave di
Auschwitz nella « soluzione finale »: il numero delle vittime, la struttura e il
funzionamento dell’industria di morte. Tra gli estensori delle testimonianze due ebrei
torinesi: un medico di 47 anni, Leonardo De Benedetti, e un chimico venticinquenne,
Primo Levi. Forse redatto originariamente in francese, forse rintracciabile tuttora in un
qualche archivio della ex-Urss, il loro Rapporto sulla organizzazione igienico-sanitaria
del Campo di concentramento per Ebrei di Monowitz (Auschwitz - Alta Slesia) sarebbe
apparso nel novembre 1946 nella prestigiosa rivista Minerva Medica, un settimanale
stampato a Torino che era l’omologo italiano dell’inglese Lancet. Il testo del Rapporto è
noto agli studiosi da venticinque anni, grazie al recupero (Fig. 5 et 6) che ne fece
Alberto Cavaglion nel 1991, dopo decenni di oblio, ed è stato incluso nell’edizione delle
Opere di Levi curata nel 1997 da Marco Belpoliti. Ora, dopo che nel 2008 il testo è stato
collazionato e corretto dal giovane filologo Matteo Fadini, il Rapporto è stato collocato
in posizione d’apertura in un nuovo volume di testi di Primo Levi, curato dallo storico
Fabio Levi, direttore del Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino, e da chi
scrive. Il libro è intitolato Così fu Auschwitz. Testimonianze 1945-1986, ed è stato
pubblicato da Einaudi il 27 gennaio 2015, nei settant’anni dalla liberazione di quel
Lager. Sulla copertina figura anche il nome di Leonardo De Benedetti, del quale sono
incluse nel volume altre testimonianze sul Lager, rese negli anni successivi. Ma Così fu
Auschwitz è un libro folto di testi e documenti inediti che lo rendono, in tutto e per
tutto, una nuova opera di Primo Levi che si affianca a quelle già note ai lettori, e uno
strumento prezioso per rileggere daccapo la sua biografia intellettuale, riconsiderando
la capacità di trasformarsi, da prigioniero del Lager quale fu, in uno studioso del
sistema concentrazionario, anzi: in un vero e proprio ricercatore che per tutta la sua
vita seppe agire in base a un metodo duttile e sottile, un metodo che gli permise di
ricavare il massimo dell’informazione fattuale e della significanza morale dalla sua
ricerca nel campo: un sintagma, quest’ultimo, che sta a indicare la competenza di
Primo Levi anche quale etnologo del Lager.
9 Affiancato agli altri testi riuniti in Così fu Auschwitz, il Rapporto firmato con
Leonardo De Benedetti torna a sprigionare la sua sconcertante precisione testimoniale.
Sbalordisce la capacità di raccogliere, memorizzare e organizzare informazioni di
minuziosa complessità (antropologica non meno che clinica, politica non meno che
scientifica) da parte di due prigionieri collocati al livello del rasoterra, del fango: la loro
capacità di sconfiggere l’ottundente ignoranza spazio-temporale che gli veniva inflitta
prima di ogni altra umiliazione. Il Rapporto va letto e studiato a sé, e non come un
primo abbozzo di Se questo è un uomo: a conferma che, prima di darsi alla narrazione-
meditazione della sua opera di esordio, Primo Levi divaricò la propria testimonianza su
Auschwitz in un breve ciclo di versi che in molti casi si presentano come i versetti di un
atroce inno sacro (tanto più sacro quanto più irreligioso) e in un referto che assorbe
nella nuda descrizione di fatti un atto d’accusa implacabile.
10 Questi due modi della brevità testimoniale, questi due stili morali nello scolpire
Auschwitz avrebbero trovato una sintesi nell’ottobre 1947, quando le edizioni De Silva
di Torino, dirette da Franco Antonicelli, stamparono la prima edizione di Se questo è un
uomo. Antonicelli fece ogni sforzo per promuovere un libro che immediatamente gli
apparve unico: anticipazioni, annunci a stampa, una brochure a colori. E poi un
« quartino », cioè (nel gergo dell’editoria italiana) un foglietto in-16° ripiegato in due,
per il quale fu richiesta all’autore una frase che compendiasse il significato del suo libro.
Anche questo « Volantino n. 15 » della De Silva – finora sconosciuto così come la prima
apparizione di « Buna Lager » – è riemerso solo da poco tempo. La frase che Primo Levi
fece stampare con la sua firma è la seguente: « Questo libro non è stato scritto per
accusare, e neppure per suscitare orrore ed esecrazione. L’insegnamento che ne
scaturisce è di pace: chi odia, contravviene ad una legge logica prima che ad un
principio morale ». Il filo di lama dell’ultima sentenza possiede il taglio dei pensieri di
Pascal (Fig 7 et 8): applicando fino alle estreme conseguenze quella legge del più forte
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che nasce dall’odio contro chiunque sia diverso, il risultato inevitabile sarà
l’annientamento del genere umano: della specie « uomo » cui s’intitola l’opera. In queste
parole così come nel suo libro, il nerbo etico di Primo Levi pareggiava la sua esattezza
come testimone e la sua potenza come scrittore.

Fig. 1 La prima pubblicazione di « Buna Lager », apparsa nel giornale L’Amico del popolo.

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Fig. 2. La prima pubblicazione di « Buna Lager », apparsa nel giornale L’Amico del popolo.

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Fig. 3. Estratti di Se questo è un uomo pubblicati nel giornale L’Amico del popolo.

Fig. 4. Estratti di Se questo è un uomo pubblicati nel giornale L’Amico del popolo.

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Fig. 5. Testimonianza storica di Primo Levi sui deportati di Auschwitz.

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Fig. 6. Testimonianza storica di Primo Levi sui deportati di Auschwitz.

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Fig. 7. « Quartino » di presentazione del romanzo Se questo è un uomo.

Fig. 8. « Quartino » di presentazione del romanzo Se questo è un uomo.

Indice delle illustrazioni

Legenda Fig. 1 La prima pubblicazione di « Buna Lager », apparsa nel giornale


L’Amico del popolo.
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Legenda Fig. 2. La prima pubblicazione di « Buna Lager », apparsa nel giornale


L’Amico del popolo.
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Legenda Fig. 3. Estratti di Se questo è un uomo pubblicati nel giornale L’Amico del
popolo.
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Legenda Fig. 4. Estratti di Se questo è un uomo pubblicati nel giornale L’Amico del
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popolo.

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Legenda Fig. 5. Testimonianza storica di Primo Levi sui deportati di Auschwitz.
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Legenda Fig. 6. Testimonianza storica di Primo Levi sui deportati di Auschwitz.
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Legenda Fig. 7. « Quartino » di presentazione del romanzo Se questo è un uomo.
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Legenda Fig. 8. « Quartino » di presentazione del romanzo Se questo è un uomo.
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Per citare questo articolo


Notizia bibliogafica
Domenico Scarpa, « L’esordio assoluto di Primo Levi « Buna Lager » », Cahiers d’études
romanes, 33 | 2016, 47-58.

Notizia bibliogafica digitale


Domenico Scarpa, « L’esordio assoluto di Primo Levi « Buna Lager » », Cahiers d’études
romanes [Online], 33 | 2016, online dal 10 mai 2017, consultato il 16 mars 2020. URL :
http://journals.openedition.org/etudesromanes/5245 ; DOI :
https://doi.org/10.4000/etudesromanes.5245

Autore
Domenico Scarpa
Centro Internazionale Primo Levi di Torino

Diritti d'autore

Cahiers d'études romanes est mis à disposition selon les termes de la licence Creative
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