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ROMA

NELLA MEMORIA E NELLE


IMMAGINAZIONI
DEL MEDIO EVO
VOLUME II
ROMA
NELLA MEMORIA E NELLE IMMAGINAZIONI
DEL

MEDIO EVO

DI

ARTURO GRAF
Prof. Straord. di Storia comparata delle Letterature romanze
nella R. Università di Torino
Roma caput mundi regit orbis frena rotundi.
Volume II.
CON UN'APPENDICE SULLA LEGGENDA DI GOG E MAGOG

TORINO
ERMANNO LOESCHER
1883
ROMA e FIRENZE presso la stessa Casa.
PROPRIETÀ LETTERARIA
L'Editore si riserba il diritto di traduzione.
Torino — VINCENZO BONA, Tip. di S. M.
INDICE
[1]

CAPITOLO XII.
Trajano.

Dante trova Trajano fra l'anime beate che nel cielo di Giove ricevono premio e sono
glorificate per avere amata ed amministrata la giustizia nel mondo [1]. Un imperatore non
battezzato, fatto partecipe della felicità degli eletti, non è certo la meno strana fra le
immaginazioni e le favole di cui siamo venuti discorrendo sin qui, o discorreremo in
seguito. La storia autentica nulla ricorda che faccia parer degno di tanta grazia Trajano;
anzi narra di fatti che avrebbero dovuto renderne odiosa alla Chiesa la memoria in
perpetuo; giacchè egli fu persecutore dei cristiani, e in molte cronache del medio evo si fa
espresso ricordo di ciò, e, con certa alterazione di verità, si dice che dalle persecuzioni
desistette più tardi per consiglio e per intercessione di Plinio il Giovane [2]. Si sa inoltre [2]

ch'egli fu dedito al vino un po' più dell'onesto, e non rifuggì da certi amori, in quel tempo
non meno latini che greci. Di ciò Dione Cassio non sembra fargli gran carico [3]; ma
Gregorio Magno, se l'avesse saputo, l'avrebbe senz'alcun dubbio lasciato stare all'inferno,
d'onde, secondochè la leggenda racconta, con perseverantissime preci gli venne fatto di
trarlo. Più delle sue colpe si ricordavano le sue virtù, e in particolar modo il grande amore
della giustizia [4]. Alessandro Neckam esprimeva un comune giudizio dei tempi suoi
quando diceva a tale proposito:

Trajanum superis aequat clementia summa [5].

La leggenda comincia a lavorare intorno a Trajano già sino dal terzo secolo. Molti atti di
bontà gli sono attribuiti de' quali egli non ebbe merito, e di cui altri rimane spogliato in [3]

suo beneficio. Chi più vi scapita è Adriano [6]. Così la fantasia, coadiuvando la storia nel
perpetuare ed accrescere la buona riputazione di Trajano, preparava la via alla leggenda
celebre della redenzione di lui dall'inferno [7]. Il documento più antico in cui questa
leggenda si trovi riportata è la Vita che del santo papa Gregorio scrisse Paolo Diacono,
come sembra, in Roma stessa, corrente l'anno 787. Ecco in breve la sostanza di tale
racconto. Trajano partiva per una spedizione guerresca, seguito da numeroso esercito,
quando una vecchia vedova, cui era stato ucciso ingiustamente il figliuolo, gli si fece
incontro domandando giustizia. Trajano prometteva di esaudirla quando fosse tornato;
ma, ripreso da lei di tal negligenza, si fermò, e non volle più oltre procedere finchè non le
ebbe fatta ragione. Passando un giorno San Gregorio per il Foro Trajano, vide le
testimonianze e udì narrare la storia di quella giustizia, onde cominciò a lacrimare per la
pietà e a pregare Iddio che volesse usare la sua misericordia verso quell'ottimo principe.
Così giunse al sepolcro di San Pietro, dove continuando a pregare si assopì, e nel sonno [4]

ebbe per rivelazione che la sua preghiera era stata esaudita; ma perchè si guardasse da
indi in poi di pregare per chi era morto senza battesimo, ebbe a soffrire il castigo della
sua tracotanza [8]. che Paolo Diacono abbia composta una Vita di San Gregorio è certo, [5]

poichè egli stesso ne fa poi ricordo nella Historia Langobardorum, e che la Vita scritta da
lui sia quella medesima che, sotto il suo nome, è venuta sino a noi non si può
ragionevolmente mettere in dubbio, sebbene sia stato da parecchi negato. Ma non è men
vero che sono da considerare come una interpolazione i capitoli 17-23, dove si narrano i
miracoli più insigni di Gregorio, tra gli altri quello della salvazione di Trajano. Tale
racconto contraddice formalmente a quanto lo stesso Paolo Diacono afferma in questo
medesimo scritto, che, cioè, San Gregorio avrebbe agevolmente potuto fare miracoli, se
gli si fosse offerta occasione [9]. Questa interpolazione dev'essere del resto assai antica,
giacchè si ritrova in presso che tutti i manoscritti.
Nel IX secolo la leggenda è raccolta da Giovanni Diacono, che la narra nella Vita Sancti
Gregorii Magni da lui composta [10]. Questo racconto, confrontato col precedente, [6]

presenta alcune particolarità e differenze notabili, ma mostra di derivare da una medesima


fonte con quello. Paolo, o l'ignoto interpolatore del suo scritto, non dice d'onde attinga;
Giovanni accenna espressamente a documenti scritti e divulgati per le Chiese
d'Inghilterra: Legitur etiam penes easdem Anglorum Ecclesias, ecc. Poi nel suo racconto
comincia a prendere maggiore svolgimento il dialogo fra la vedova e Trajano, dialogo
che non mancherà mai nei riferimenti posteriori della leggenda, e di Trajano non si dice
che, provveduto alla vedova, mandasse sciolti i rei, com'è narrato nella scrittura di Paolo,
e non si accenna a nessuna punizione inflitta dal cielo a Gregorio [11]. Nella breve Vita di
questo pontefice pubblicata anonima dal Canisio [12] il miracolo è similmente narrato, e [7]

con le stesse parole quasi di Giovanni Diacono [13]. Tuttavia scostandosi da costui in sul
principio del racconto, l'autore di essa ricorda che Trajano perseguitò ferocemente i
cristiani, e dice che San Gregorio lo trasse bensì dall'inferno, ma non però gli aperse le
porte del paradiso. Più antico di questi sarebbe il racconto contenuto nella omelia De iis
qui in fide dormierunt (XVI), attribuita a San Giovanni Damasceno, se veramente questo
padre ne fosse l'autore. Ma che non sia dimostra fra l'altro quanto in un luogo di esso
racconto si afferma, cioè che il miracolo era noto in tutto l'Oriente e in tutto l'Occidente,
cosa che Giovanni Damasceno non avrebbe potuto affermare a mezzo del secolo VIII,
quando nel IX vediamo Giovanni Diacono non conoscere ancora altre fonti della
leggenda che la relazione sparsane per le Chiese d'Inghilterra [14].
Questa leggenda, di cui abbiamo veduto la prima forma e le testimonianze più antiche,
era destinata ad avere per tutto il medio evo una grande e crescente celebrità. Parecchie [8]

ragioni cooperavano a procacciarle favore; anzi tutto la qualità dei personaggi che vi sono
introdotti; da una parte un imperatore romano, dall'altra un pontefice famosissimo e che
porse argomento d'altre leggende alla fantasia popolare; poi la stessa curiosità della
favola; finalmente la esemplarità sua. In tempi di fede assai viva, quando le coscienze
erano senza posa affaticate, o almeno molto spesso ricorse dal pensiero dell'altra vita, e
l'uomo era del continuo richiamato alla considerazione delle mille pratiche e de' mille
espedienti onde poteva giovarsi per conseguire l'eterna salute, la storia di un principe
pagano, a cui era fatta grazia di uscire dall'inferno e di salire tra i beati, non poteva non
trovare avidi ascoltatori e ricordatori fedeli. Quale prova più trionfale della efficacia della
preghiera, che, secondo la bella espressione di Dante, fa forza alla stessa divinità, e quale
più chiara dimostrazione che l'esercizio di una sola virtù può ricomprare tutta una vita di
colpe? I leggendarii abbondano di esempii d'uomini sceleratissimi che riuscirono a
salvarsi, o perchè in mezzo a tutte le sceleraggini loro durarono devoti di Maria, o perchè
con un atto di pietà o di giustizia interruppero il corso delle loro nequizie. Oltre a ciò la
storia di Trajano, a cui un atto di giustizia acquista il cielo, poteva essere ricordata come
esempio illustre a quanti hanno in terra il grave carico di reggere i popoli e di amministrar
la giustizia. Il medio evo ebbe dello stato un concetto essenzialmente etico, e pose la
giustizia primo fondamento della politica.

Legem servare, hoc est regnare.

dice Vipone in uno de' suoi Proverbii composti nel 1027, o 1028, e dedicati ad Enrico III. [9]

Dante pone in Giove i principi che esercitarono la giustizia, e Calandre avverte nella sua
Cronaca rimata degl'imperatori:

Tant faz je les princes savoir


Que nus n'a tresor ne avoir
S'il n'a justise et verite.

Però è da meravigliare che quello esempio della giustizia di Trajano non si trovi ricordato
in alcuno di quei trattati di cui ebbe copia il medio evo, intesi a instituire i principi nella
virtù e nelle dottrine del buon governo, come sarebbero il De regimine principum di
Egidio Colonna, e il De regimine rectoris di Fra Paolino Minorita. Ma nel poema
francese di Girart de Roussillon, composto fra il 1330 e il 1348 [15], si narra il fatto della
giustizia di Trajano, e si dice espressamente che il valoroso Gerardo, il quale
nell'esercizio di tutte le virtù cercava di seguire gli esempii degli uomini eccellenti, come
Romolo, Giulio Cesare Augusto, non dimenticò quello che aveva lasciato al mondo
Trajano:

Trop bien li sovenoit de Trajain l'emperiere [16].

Dopo il riferimento fattone da Giovanni Diacono, che dovette scrivere la sua Vita di San [10]

Gregorio tra l'872 e l'882, noi non troviamo, per lo spazio di quasi tre secoli, altra
testimonianza della leggenda di Trajano, sino a giungere a quella che si trova nel
Polycraticus di Giovanni Sarisberiense, finito di scrivere nel 1159. Questo è un fatto
molto importante, perchè dimostra che la nostra leggenda stentò gran tempo a ottenere il
favore che poi più tardi le fu così universalmente consentito, e non si diffuse da prima
fuori di quella Inghilterra d'onde Giovanni Diacono l'aveva ricevuta, e dove ora la
vediamo novamente raccolta ed esposta da uno scrittore celeberrimo [17].
Giovanni Sarisberiense, dopo aver dichiarato di porre Trajano al di sopra di Cesare, di
Augusto e di Tito, entra a narrare la leggenda in questa forma [18]: «Ut vero in laude
Trajani facilius aquiescant, qui alios ei praeferendos opinantur, virtutes ejus legitur
commendasse sanctissimus papa Gregorius, et fusis pro eo lachrymis inferorum
compescuisse incendia, Domino remunerante in misericordia uberi justitiam, quam
viduae flenti exibuerat Trajanus. Quum enim memoratus Imperator jam equum
adscendisset, ad bellum profecturus, vidua apprehenso pede illius, miserabiliter lugens,
sibi justitiam fieri petiit, de his qui filium ejus optimum et innocentissimum juvenem [11]

injuste occiderant. Tu, inquit Auguste, imperas, et ego tam atrocem injuriam patior? Ego,
inquit imperator, satisfaciam tibi quum rediero. Quid, inquit illa, si non redieris?
Successor meus, ait Trajanus, satisfaciet tibi. Et illa: Quid tibi proderit si alius
benefecerit? Tu mihi debitor es, secundum opera mercedem recepturus. Fraus utique est
nolle reddere quod debetur. Successor tuus injuriam patientibus, pro se tenebitur. Te non
liberabit justitia aliena. Bene agetur cum successore tuo, si liberaverit se ipsum. His
verbis motus imperator, descendit de equo, et causam presentialiter examinavit, et
condigna satisfactione viduam consolatus est. Fertur autem beatissimus Gregorius Papa
tamdiu pro eo fudisse lachrymas, donec ei in revelatione nunciatum sit Trajanum a poenis
inferni liberatum sub ea tamen conditione, ne ulterius pro aliquo infedeli Deum sollicitare
praesumeret».
In questo racconto si nota anzi tutto il maggiore svolgimento dato alle ragioni con cui la
vedova stringe Trajano a farle pronta giustizia: esso è senza dubbio dovuto allo stesso
Giovanni Sarisberiense, il quale, discorrendo, in quella parte del suo libro, della epistola
indirizzata da Plutarco a Trajano, e del buon reggimento degli stati, trovò opportuno
d'insistere alquanto più sulla virtù capitale del principe, che è la sollecita amministrazione
della giustizia. Quanto al rimanente del racconto Gaston Paris crede che Giovanni
Sarisberiense l'abbia composto traendone gli elementi, così dal racconto di Paolo, come
da quello di Giovanni [19]. Ma su ciò si può muovere un dubbio. Giacchè Paolo e [12]

Giovanni derivano da una fonte comune i loro racconti, non avrebbe potuto da questa
medesima fonte derivare il suo Giovanni Sarisberiense? Sarebbe così più semplicemente
spiegato il fatto dei riscontri di concetti e di parole che Gaston Paris viene notando. Ai
tempi in cui Giovanni Sarisberiense scriveva è molto probabile che in qualche chiesa
d'Inghilterra si conservassero ancora le relazioni antiche a cui Giovanni Diacono accenna,
per modo che non fosse necessario ad uno scrittore inglese l'andare ad attingere in libri di
stranieri la notizia del miracolo; e d'altra parte mi ripugna di ammettere che l'autore del
Policratico, uso a conversare coi classici, volesse torsi la briga di confrontar fra di loro
due scritture quali sono quelle di Paolo e di Giovanni, e studiarsi di scegliere in ciascuna
di esse le parole che meglio gli si affacevano.

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