Sei sulla pagina 1di 3

Forse lavorerò fino a ottant’anni o fino a quando morirò.

Anche quando
sei storpio, dipingi. Se fossi paralitico, credo che dipingerei. Saper
cantare significa cantare fino a quando la gente vuol sentirti, non
significa tenere una nota alta o roba del genere. Tutti dicono: lei. Ma lei
non ha diviso i Beatles, e se anche l’avesse fatto cosa volete che fossero
i loro dischi fottuti? E però lei è una donna. È giapponese. Ci sono
pregiudizi razziali contro di lei. È semplice. La gente mi guarda, scuote
la testa, mi tocca la mano, e mi dice stai attento. Ehi: è mia moglie!
Lei è importante come Sergent Pepper. Il suo dolore è tale che si esprime
in una maniera che vi urta. Come succedeva a Van Gogh: troppo vero.
Ferisce.
Ecco. L’America, io la amo e la odio. Sarei dovuto nascere a New York.
Mi dispiace incredibilmente di non essere americano, di non essere nato a
New York, al Greenwich Village. Ma tutti vanno verso il centro, ecco perché
sono qui. Ci può essere un mucchio di merda nell’aria, ma è qui che succede
tutto. In Europa ci vai per riposarti, come in campagna. L’America è tanta,
ed io sono un tale fottutissimo paralitico che per me è anche troppo. Sono
spaventatissimo. È così grande e c’è tanta gente aggressiva. Non so
sopportarlo. Ho bisogno di stare a casa. Ho bisogno di guardare il
giardino. Scrivo sempre del prato inglese, ne ho bisogno. Degli alberi e
dei prati. Ho bisogno della campagna. Non ce la faccio.
Liverpool è dove sono cresciuto. Un posto come tanti. Mi piace l’idea di
Liverpool, ma non mi piace vivere lì. C’è il porto, e il porto significa un
posto meno provinciale di tanti altri. Il porto: il secondo di tutta
l’Inghilterra. Eravamo i soli ad essere guardati dall’alto in basso, come
animali. La gente pensa che giù al Sud ci siano dei porci. Come la gente di
New York pensa che sulla Western Coast ci siano provinciali.
Eravamo provinciali, una grande massa di discendenti irlandesi, e neri e
cinesi, come San Francisco. Liverpool era così, ma non c’era niente di
grande, non era l’America, era una città povera, ma la gente era piena di
humour. Dove c’è dolore c’è più allegria. C’è più gente spiritosa. È dove
gli irlandesi arrivarono e fecero piovere patate. È dove i negri furono
lasciati e lavorarono come schiavi. È da dove i marinai sarebbero tornati a
casa portando i dischi di blues. Il posto più country e western
d’Inghilterra è Liverpool. La prima chitarra ch’io mai visto stava in una
borsa d’un ragazzo che pareva un cowboy. Sul serio, credetemi. Ci sono
stati prima i cowboy e poi il rock and roll.
Vi faccio una confidenza. Non ho mai ascoltato le parole di una canzone
di Bob Dylan. Non a fondo, intendo. Mi piaceva il suono, e gliel’ho anche
detto. Non devi sentire quello che dice, ma il modo in cui lo dice. Il
mezzo è il messaggio, no? Ma lo rispetto, e so che Paul non lo fa. Credo
per gelosia. A Paul non piaceva nessun altro artista. Ma va bene: Paul non
voleva essere condizionato da me. Avevo troppe figure paterne. Mi piacciono
i testi, certo che mi piacciono. Se leggete quel che ho scritto, vi
accorgete presto di cos’ho scritto prima di sentire Dylan e cosa dopo. Io
non ho mai pensato di venire dopo Elvis e Dylan, pensavo di essere solo
attorno a loro. Quando incontro un grande artista, io voglio amarlo. E se
lui mette i pantaloni verdi, devo metterli anch’io.
La popolarità. Io ci sono finito dentro, per via di quella cosa dei
Beatles. Ero un imperatore. Avevo milioni di bambine, droghe, alcool, un
fottutissimo potere. E tutti mi dicevano quanto grande io fossi. Come
potevo uscire da tutto quello. Non potevo. Non riuscivo a creare altro.
Creavo un pochino, ne uscivo, ma ero nella festa. Non si riesce a uscire da
una roba come quella, era fantastico. L’ultima cosa di cui avevo sentito
parlare era Van Gogh. Ci stavo dentro. Jimmy Carter rappresenta solo il suo
Paese, io rappresento il mondo. Io e Yoko. Mio padre se ne andò per fare il
marinaio, mia madre non sapeva come crescere un bambino. Ci provò per 4
anni e mezzo, poi mi mollò ai miei zii, che vivevano qualche palazzo più in
là. Paul raccontava le storie e io facevo il filosofo. È sempre stato così,
prima e dopo dei Beatles. Ho sempre voluto guardare sotto la superficie.
Non accetto una cosa per com’è e per come appare. Le abbiamo scritte occhi
negli occhi, e quando ho detto una cosa diversa, ho raccontato frottole,
perché ce l’avevo con lui. Ma ora so che si trattava solo di un gioco di
competitività fra di noi. Non ho mai avvertito una mancanza. Non voglio che
suoni in negativo: tipo non avevo bisogno di Paul, perché non è così,
quand’eravamo insieme, funzionava. È più semplice dire che ho dato a Paul
quanto lui ha dato a me, e lui potrebbe dire lo stesso. Ringo sarebbe
esploso lo stesso, ma era sottostimato. Anche Paul al basso era
sottostimato, eppure penso sia stato uno dei bassisti più innovativi di
sempre. Non erano grandi tecnicamente, nessuno di noi lo era, nessuno di
noi sapeva leggere la musica, nessuno di noi sapeva scriverla. E George che
ha copiato He’s so fine quand’ha scritto My sweet Lord. Poteva cambiare
qualcosa, non l’ha fatto, ne paga le conseguenze. Sapete a che pensa? Ai
soldi. Forse pensava che Dio l’avrebbe tirato fuori anche da quella storia.
Mi secca George. Mi secca quel suo libro autobiografico in cui dice che la
mia influenza sulla sua vita è stata nulla. Poi si ricorda ogni due righe
di ogni sassofonista e di ogni musicista che ha incontrato negli anni dopo.
Bah.
Io non ci sono in quel libro. Eppure la nostra relazione era come quella
fra un maestro e un giovane allievo. Lui è di 3 o 4 anni più piccolo di me.
È un rapporto di amore-odio, e credo George sia ancora risentito con me,
come verso un papà che ti lascia a casa. Lui non sarà d’accordo, ma è così.
Ma anche lui mi ha lasciato fuori da quel suo libro, e mi ferisce. Non sono
eogomaniaco, ma quando cominciò era come un mio discepolo. Io ero già uno
studente d’arte, Paul e George andavano ancora a liceo. Io già scopavo,
bevevo, facevo tante altre cose. Ci sarà stata una differenza fra me e
loro. George era un ragazzino, e veniva dietro a me e Cynthia. Ricordo
quando mi chiamò per esere aiutato con una canzone. Venne da me, non da
Paul, perché sapeva che Paul non l’avrebbe aiutato. Io gli volevo bene, non
l’avrei mai ferito. Non mi capite male. Io voglio ancora bene a quei
ragazzetti. I Beatles sono finiti, ma John Paul Ringo e George no.
Ora tutti fanno delle reunion. trovano la scusa della beneficenza. Io non
voglio avere niente a che fare con la beneficenza. Quei concerti sono
sempre di merda. Non mi esibisco per un mio guadagno dal ’66, dall’ultimo
concerto dei Beatles. Ogni concerto, da allora, è stato un evento di
carità. Ma tutti con gente che ne approfitta. Perciò ora voglio dare i
soldi a chi dico io. Lo faccio privatamente. Non voglio cadere nel business
di chi vuol salvare il mondo da un palco. Uno show ha sempre delle carenze.
Voi direte, e il Bangladesh? Il Bangladesh è cacca. Mi scrivono: salviamo
gli indiani, salviamo i neri, salviamo i veterani di guerra, e via così. Ma
ora decido io chi voglio salvare, col 10 per cento dei miei guadagni. 200
milioni di dollari per il Sudamerica? Gli basteranno per un giorno, e
quando saranno finiti? Per tornare tutti insieme avremmo dovuto dedicare il
resto della vita a organizzare un concerto che doveva salvare il mondo, e
io non sono pronto.
In Inghilterra puoi stare da un parte o dall’altra. O coi lavoratori o
coi capitalisti. Stavo coi lavoratori per istinto. Nel senso che pensavo la
gente dovesse preoccuparsi della sua salute, ma io lavoravo per soldi, e
volevo essere ricco. Questo è un paradosso. Allora io non sono niente.
Quello che ero solito essere: colpevole d’aver soldi. Ecco perché li ho
persi, o li ho buttati via, o mi sono autorizzato ad affidarli ai
cosiddetti manager. Ho giocato un gioco per capitalisti, viviamo in un
mondo di capitalisti. Credo che per sopravvivere e cambiare il mondo,
bisogna prima prendersi cura di se stessi. Me lo dicevo spesso: sono il
solo socialista qui. Gli artisti non devono pensare ai soldi, ma a cambiare
il mondo. Ma per cambiare il mondo ci sono due strade: una è la violenza,
l’altra è far soldi all’interno del sistema. La violenza non fa per me, e
allora devo fare soldi. Non so quanto ho da parte, avrei bisogno di due
commercialisti per 10 anni che mi fanno un po’ di conti. Solo che per far
soldi, bisogna spenderli. Cosa mi suggerite di fare, allora? Buttare via
tutti i soldi e vivere per strada? I Buddisti dicono: prendi possesso della
tua mente. Anche se buttassi via i soldi, non ci riuscirei. E’ come coi
Beatles, non potevo liberarmene.
Perciò quando sarò vecchio, insisto, spero che me ne starò su una costa
dell’Irlanda, o una roba del genere, a guardare l’album dei ritagli
della nostra follia.

Potrebbero piacerti anche