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Interpretazione tipologica

APPENDICE
La chiesa delle origini

Lettura ebraica e cristiana


dell’Antico Testamento
di Don Filippo Morlacchi

Interpretazione tipologica

La maggiore discrepanza è l’uso della tipologia. Se l’AT acquista il suo pieno significato
come "prefigurazione" del NT, come valutare questa esegesi tipologica, tanto importante
nei padri? Ecco le indicazioni della Commissione per i rapporti religiosi con
l'Ebraismo, che il 24 giugno 1986 ha pubblicato i Sussidi per una corretta
presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi
della Chiesa Cattolica. (Il documento è reperibile integralmente su internet
all’indirizzo: http://www.nostreradici.it/sussidi.htm, purtroppo con alcuni errori
tipografici).

1.…nell'uso della tipologia, il cui insegnamento e la cui pratica ci derivano dalla


Liturgia e dai Padri della Chiesa, occorre evitare ogni passaggio tra Antico e Nuovo
Testamento che fosse esclusivamente considerato come una rottura. La Chiesa,
nella spontaneità dello Spirito che la anima, ha vigorosamente condannato
l'atteggiamento di Marcione e si è sempre opposta al suo dualismo.
2.È importante anche sottolineare che l'interpretazione tipologica consiste nel
leggere l'Antico Testamento come presentazione e, sotto certi aspetto, come il
primo delinearsi e come l'annuncio del Nuovo (cf. per es. Eb5,5-10, ecc.). Cristo è
ormai il riferimento chiave delle Scritture: "quella roccia era il Cristo" (1Cor 10,4).
3.È dunque vero ed è bene sottolinearlo, che la Chiesa e i cristiani leggono l'Antico
Testamento alla luce dell'avvenimento del Cristo morto e risorto e che, a questo
titolo, esiste una lettura cristiana dell'Antico Testamento che non coincide
necessariamente con la lettura ebraica. Identità cristiana e identità ebraica
devono pertanto essere accuratamente distinte nella loro rispettiva lettura della
Bibbia. Ciò che, tuttavia, nulla sottrae al valore dell'Antico Testamento nella Chiesa
e non vieta che i cristiani possano a loro volta utilizzare con discernimento le
tradizioni di lettura ebraica.
4.La lettura tipologica non fa altro che manifestare le insondabili ricchezze
dell'Antico Testamento, il suo contenuto inesauribile, il mistero che lo pervade,
ed essa non deve far dimenticare che l'Antico Testamento mantiene il proprio valore
di Rivelazione, che spesso il Nuovo Testamento non farà che riprendere (cf. Mc
12,29-31). Del resto, lo stesso Nuovo Testamento esige parimenti di essere
letto alla luce dell'Antico. La catechesi cristiana primitiva vi farà costantemente
ricorso (cf. ad es. 1Cor 5,6-8; 10,1-11)
5.La tipologia significa inoltre proiezione verso il compimento del piano divino,
quando "Dio sarà tutto in tutti" (1Cor 15,28). Questo fatto vale anche per la Chiesa
che, già realizzata in Cristo, non di meno attende la sua perfezione definitiva come
Corpo di Cristo. Il fatto che il Corpo di Cristo tenda ancora verso la sua statura
perfetta (cf. Ef 4,12-13), nulla sottrae al valore dell'essere cristiano. Così la
vocazione dei Patriarchi e l'esodo dall'Egitto non perdono la loro importanza e il loro
valore proprio nel piano di Dio per il fatto che esse sono al tempo stesso delle tappe
intermedie ( cf, per es., Nostra Aetate n. 4).

•Ma allora riconoscere la legittima diversità di interpretazione significa dire che


cristiani ed ebrei, pur leggendo la stessa Bibbia, non leggiamo lo stesso libro? No,
perché "la chiesa delle origini, la quale compose il NT, pretese che questo, lungi dal
proporsi come un’interpretazione aliena dalle Scritture di Israele, ne
rappresenti l’ultima e definitiva rilettura, dunque indubitabilmente
ebraica (At 26,22-23: "Null'altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè
dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra
i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani": discorso di
Paolo davanti ad Agrippa)" (F. Rossi de Gasperis, Cominciando da Gerusalemme,
Piemme 1997, p. 384).

•L’esegesi tipologica è infatti nota già all’interno dello stesso AT. Come ricorda il n. 9
dei citati Sussidi, l’esodo egiziano è stato riletto dai profeti come paradigma per
descrivere il ritorno dagli esili e la liberazione escatologica stessa: basti pensare
al Seder di Pesah (la liturgia pasquale). Ma c’è una tipologia cristiana che si distacca
da questa modalità: è quella che "si interessa agli eventi e alle persone del Primo
Testamento unicamente come "figure" e "tipi" da attraversale in fretta per giungere
alle "realtà" (= antitipi) della Nuova Alleanza" (ivi, p. 390). È la tipologia della
"frattura tra i due testamenti", secondo la quale il Figlio con la sua incarnazione
non avrebbe portato a compimento la rivelazione veterotestamentaria, ma la
avrebbe totalmente rinnovata.

•Occorre invece una lettura di pacificante continuità tra i due testamenti. La
novità cristiana non indica frattura con l’antico, ma definitività della
rivelazione in Cristo. "Per quanto concerne il Testamentum (= l’economia, distinta
dall’Instrumentum, = gli scritti), mentre il NT può essere definito come l’ultima
rilettura dell’Antico, esso stesso non può andare soggetto a una ulteriore allegoria,
senza che venga distrutta la realtà della stessa fede cristiana" (ivi p. 403). Il NT è
l’"ultima allegoria" dell’AT, rimanendo aperto solo all’anagogia escatologica (il
compimento finale, quando "Dio sarà tutto in tutti": 1Cor 15,28). D’altro canto la
novità cristiana può essere rinvenuta nel fatto che nessun ebreo è giunto alla fede
in Cristo solo per aver letto le scritture: è necessario l’incontro con l’evento
irripetibile della risurrezione (dunque il cristianesimo non è solo lo "sviluppo
organico e naturale" dell’ebraismo).
•"La lettura ebraica delle scritture, di per sé, rimane aperta a un futuro e a un’attesa
escatologica indeterminata. […] La lettura cristiana crede di conoscere il nome
preciso di questa incognita: Gesù di Nazaret" (ivi p. 422). L’evento di Cristo rimane
la discrepanza di fondo nell’interpretazione di quello che noi chiamiamo AT: la prima
venuta di Gesù non è riconosciuta dagli ebrei come chiave interpretativa della storia
e della scrittura, mentre l’attesa escatologica della sua seconda venuta (la parusìa,
quello che gli ebrei chiamano "il giorno di Yhwh") è ciò che ci accomuna.

Object 1

•"Leggendo l’AT, il cristiano […] è come il lettore di un libro giallo, che ne vada
Object 2

leggendo progressivamente il testo dopo essere stato preventivamente informato


dello svelamento finale. […È così] molto più in grado di soppesare
proporzionatamente l’importanza e il significato di quei particolari che, letti prima di
conoscere la fine, possono apparire irrilevanti e casuali. […] Di per sé, però, l’ultima
chiave della lettura cristiana della Bibbia non deve mortificare in nulla la
consistenza dei capitoli precedenti, l’importanza di conoscere ogni loro pagina in se
stessa e di soppesarne i contenuti e la struttura"" (ivi p. 423-425).

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