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L’enigma chiave del confronto fra grazia divina e libero arbitrio umano è stato il
focolaio del dibattito fra modernità e reazione, incarnati rispettivamente nel
XVII secolo dalle dottrine gesuita e giansenista .
I giansenisti si consideravano i “discepoli di S.Agostino” e affermavano di
ripetere l’insegnamento più tradizionale della Chiesa, conforme ai Vangeli e alla
teologia agostiniana. Invece accusavano i gesuiti o meglio la dottrina
“molinista” di essere una novità nella Chiesa cattolica che resuscitava la
pericolosa eresia del pelagianesimo. I gesuiti evitavano discussioni sull’autorità
di S.Agostino e legittimavano la loro teoria sulla grazia invocando il perfetto
accordo con l’insegnamento di S.Tommaso D’Aquino e attaccavano la dottrina
giansenista dichiarandola macchiata dagli orrori dell’eresia calvinista.
Esaminando il contenuto delle dottrine sulla grazia e al libero arbitrio, si
possono distinguere:
Gli Agostiniani dichiarano che la grazia efficace viene rifiutata a chi non trae
frutto dalla grazia sufficiente; questo argomento presenta delle affinità con la
dottrina molinista, così detestata dagli Agostiniani , secondo la quale la grazia
è conferita secondo i meriti.
Il legame della dottrina di S.Agostino con il giansenismo è però la
semplificazione di una realtà ben più complessa e contraddittoria.
S.Agostino aveva introdotto un fattore di rottura sotto forma di un insieme di
elementi quali la trascendenza di Dio, l’esteriorità di Dio in relazione all’ordine
delle cose e l’attestazione di Dio nell’intimo del credente.
Tutto ciò comportava l’allontanamento di Dio di fronte ad un mondo terrestre
che si affermava nella sua consistenza autonoma e dove la sua presenza si
rafforzava nella fede interiore. Ritroviamo anche la tematica della “fede sola” e
del “libero arbitrio”nella Riforma luterana dove si riafferma la separazione di
Dio e quindi la proibizione di qualsiasi mediazione se non quella di Dio
attraverso Cristo e le Scritture.
In entrambi i casi l’allontanamento del divino mette in discussione la funzione
mediatrice della Chiesa, perchè questa distanza rende poco plausibile una
mediazione sacrale come legame visibile fra cielo e terra.
Di conseguenza la Chiesa ridefinisce la funzione mediatrice come mediazione
pastorale ed ermeneutica ed il prete diventa guida della Parola e delle
coscienze, un altro Cristo sulla terra.
Questa ridefinizione della Chiesa e la volontà di mantenere un’identità distinta
dalla Riforma comporta una tensione e la sua espressione è il giansenismo.
I giansenisti sono i primi a difendere il sacerdozio o l’eucarestia contro i
“pretesi riformati”, ma questa ortodossia si accompagna ad un rigore riguardo
la necessità della grazia che non può che accomunarli agli avversari protestanti
agli occhi degli ortodossi.
Di fatto c’è un’importante somiglianza fra agostinismo e giansenismo, nelle
concezioni dell’uomo macchiato dal peccato originale e della grazia. Per
entrambi quest’ultima è un dono di Dio che l’uomo non può procurarsi in
alcuna maniera e per divenire efficace, non deve solo conferire alla volontà la
capacità d’agire, ma anche l’azione. La legge di amare Dio comporta l’obbligo
di rimettere a Lui tutte le nostre azioni.