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Il libro uscì per la prima volta nel 1927

Una storia che parla dell'amore coniugale

La prepotenza del desiderio


di LAURA LILLI

Tra la fine dell'Ottocento e i primi venticinque anni del Novecento, la cultura occidentale fu scossa da una
delle più gravi crisi che l'abbiano mai attraversata. Il suo fondamento andò in frantumi. Questo
fondamento era il soggetto, quell'"io" che guarda e giudica e costruisce scale di valori e che fin dall'antico
Protagora era stato "la misura di tutte le cose".

Improvvisamente esso si ruppe in tanti pezzi, così come alcuni decenni più tardi si sarebbe rotto l'atomo,
il cui nome, sempre in greco significa "quello che non si può rompere".

Come sarebbe stato in seguito per l'atomo, anche la frammentazione del soggetto avviene in una sorta di
bombardamento a catena, in cui sono coinvolti la psicologia (William James), la filosofia (Henri Bergson),
la psicoanalisi (Freud), la musica (dodecafonia), la pittura (il surrealismo), la letteratura (T. S. Eliot,
Svevo, Pirandello, Proust, Joyce). Di questi due ultimi un precursore ingiustamente dimenticato è il
francese Eduard Dujardin che nel 1887 aveva pubblicato Les Lauriers sont coupés (I lauri sono tagliati)
prendendo a prestito il titolo da un antico girotondo.

Nell'insieme andando un poco all'ingrosso, tutto questo significava che di colpo andavano in fumo le
orgogliose certezze occidentali, affermate dal mondo classico e riaffermate dall'Umanesimo, dal
Rinascimento, dall'Illuminismo e - perché no? - dal colonialismo ottocentesco con le sue cannoniere e le
sue famiglie piene di governanti.

Adesso tutto era diventato soggettivo, relativo, oscillante, ambiguo, molteplice. Il tempo non era più
quello misurato dagli orologi ma quello della coscienza; la memoria non poteva più essere certa di quello
che ricordava; e un sogno poteva valere più di una riunione d'affari fatta alle nove del mattino. I buoni
borghesi se ne accorsero con qualche ritardo, ma gli intellettuali consumarono in quegli anni un vero e
proprio banchetto delle idee.

Non molte donne vi parteciparono - in questo la tradizione greca era ancora granitica, all'epoca di
Socrate, ai simposi, dove allievi e maestri bevevano, mangiavano e discettavano delle questioni ultime,
erano ammesse solo le "traviate" come Aspasia, che fu l'unica donna colta dell'Atena, appunto di Socrate.
Tornando alla nostra epoca, una delle poche donne che dunque parteciparono al banchetto delle idee fu la
scrittrice inglese Virginia Woolf, nata nel 1882, intelligentissima e dotata, trasgressiva molto al di là di
quanto i suoi tempi potessero sopportare, e anche malata di depressione. Tentò a varie riprese di
uccidersi, finché le riuscì nel 1941, quando si gettò nel fiume Ouse.

Forse sarebbe stata così comunque. Ma certo non è illegittimo supporre che il suo comportamento
venisse accentuato appunto dall'essere unica o quasi fra tanti uomini. Uomini che in parte le furono vicini
e amici come il marito Leonard Woolf, col quale fondò la Hogarth Press, o l'economista John Maynard
Keynes. Con molti altri, essi parteciparono al famoso circolo di Bloomsbury (dal quartiere di Londra in cui
abitava) cui lei stesse diede vita.

La scrittura di Virginia Woolf contribuì in modo sostanziale alla sperimentazione e alla trasformazione del
romanzo, e lo si vede splendidamente in Gita al faro, uscito nel 1927 dopo due anni di lavoro teso e
nervoso.

E' un libro che, prima di tutto, ha una trama precisa. A torto si è soliti dire che Virginia Woolf trascurasse,
appunto, gli avvenimenti del mondo esterno. Prima della grande guerra una famiglia della buona
borghesia inglese che si trova in vacanza al mare decide di fare una gita al faro che lampeggia da un'isola
di fronte alla spiaggia. Ma la gita non si può fare per via del maltempo. Si farà, però: dopo dieci anni e
una guerra mondiale, quando ormai la madre, l'indimenticabile signora Ramsay che è l'eroina del
racconto sarà morta da tempo. Dei molti figli, uno è morto in guerra altri saranno comunque volati via dal
nido e saranno rimasti solo i due più piccoli: Cam e James, che da piccolissimo desiderava questa gita più
di ogni altra cosa al mondo.
Ormai i due sono una ragazza e un giovanotto che durante la navigazione sopportano pazientemente il
padre mentre legge spiegazioni sul faro (James intanto giura solennemente a se stesso di trascorrere la
vita a combattere la tirannia fino alla morte). Al faro dunque si arriva, e come tutte le mete agognate e
finalmente raggiunte, esso appare deludente, una torre nera e nuda su un'isola a forma di foglia che è
"proprio un'isola" col mare che entra negli anfratti della roccia e la circonda da ogni parte.
Questa trama, da molti considerata fragile è invece molto importante e convoglia un'enorme quantità di
significati. Gita al faro è un libro sull'amore coniugale, sulla prepotenza (o desiderio di prepotenza del
maschio e la ribelle arrendevolezza della donna), sull'amore materno, sulla fine dell'infanzia, sul passare
del tempo, sui pensieri di un doppio soggetto femminile (non c'è solo la signora Ramsay ma anche Lily
Briscoe, il nuovo amore del marito vedovo) sulla vita che continua malgrado tutto, sulla realtà esterna
che esiste nonostante la diversità di intensità e durata delle nostre percezioni.

(11 giugno 2002)

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