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Dupliciter autem ponitur fatum

La questione sul fato nella tarda Summa theologiae di Alberto Magno

La quaestio 68 del trattato 17 della prima parte della tarda Summa theologiae o Summa de mirabili
scientia Dei rappresenta l’ultima sistematica trattazione di Alberto sul fato (=St.I.68). Di ampiezza
paragonabile al De fato (= Df), St.I.68 non sembra aver complessivamente suscitato un interesse
analogo da parte degli studiosi1, forse per la convinzione che si trattasse di una versione rivista e
ampliata di Df2 o forse per i dubbi che hanno a lungo gravato, ma che oggi paiono definitivamenti
tramontati, sull’autenticità di tutta la Summa theologiae3.
Ad un primo esame ciò che colpisce di St.I.68 è l’entità del ricorso alle fonti filosofiche e alla
tradizione pagana4. Le fonti hanno spesso costituito il terreno di confronto tra i due trattati sul fato:
innanzi tutto St.I.68 presenta un ventaglio più ricco di fonti di Df5; più nello specifico, si è notato
che Agostino prevale in St.I.68 e soprattutto che Nemesio Emeseno, assente in Df, è frequentemente

1
La bibliografia sul fato e la causalità celeste in Alberto è piuttosto ricca: cf. G. VERBEKE, «Le hasard et la fortune.
Réflexions d’Albert le Grand sur la doctrine d’Aristote», in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 70 (1978), 29-48, H.
ANZULEWICZ, «Alberts des Grossen Stellungnahme zur Frage nach Notwendigkeit, Schicksal und Vorsehung», in:
Disputatio philosophica. International Journal on Philosophy and Religion 1 (2000), 141-52; ID., «Fatum. Das
Phänomen des Schicksals und die Freiheit des Menschen nach Albertus Magnus», in: Nach der Verurteilung von 1277.
Philosophie und Theologie an der Universität von Paris im letzten Viertel des 13. Jahrhunderts. Studien und Texte,
hrsg. v. J.A. AERTSEN, K. EMERY, JR., A. SPEER, de Gruyter, Berlin-New York, 2001 (Miscellanea Mediaevalia, 28),
507-34; L. STURLESE, Storia della filosofia tedesca nel Medioevo. Il secolo XIII, Olschki, Firenze, 1996 (Accademia
Toscana di scienze e lettere «La Colombaria» 149), 90-102; A. PALAZZO, «The Scientific Significance of Fate and
Celestial Influences in Some Mature Works by Albert the Great: De fato, De somno et vigilia, De intellectu et
intelligibili, Mineralia», in: Per perscrutationem philosophicam. Neue Perspektiven der mittelalterlichen Forschung
Lors Sturlese zum 60. Geburtstag gewidmet, hrsg. v. A. BECCARISI, R. IMBACH, P. PORRO, Meiner, Hamburg, 2008, 55-
78; ID., «Albert the Great’s doctrine of fate», in: Mantik, Schcksal und Freiheit im Mittelalter, hrsg. v. L. STURLESE,
Böhlau, Köln-Weimar-Wien, 2011 (Beihefte zum Archiv für Kultuergeschichte, 70), 65-95; H.D. RUTKIN, «Astrology
and Magic», in: A Companion to Albert the Great. Theology, Philosophy, and the Sciences, ed. by I.M. RESNICK, Brill,
Leiden-Boston, 2013 (Brill’s Companion to the Christian Tradition, 38), 451-505; D. TORRIJOS-CASTRILLEJO,
«Providence in St. Albert the Great», in: Revista Ciências da Religião: História e Sociedade, 14 (2016), 14-44: 39-41;
H.D. RUTKIN, Sapientia Astrologica: Astrology, Magic and Natural Knowledge, ca. 1250-1800. I. Medieval Structures
(1250-1500): Conceptual, Institutional, Socio-Political, Theologico-Religious and Cultural, Springer, Switzerland,
2019, 173-83, 225-30. Questi contributi dedicano nessuno o pochi cenni a St.I.68. Più significative sono invece le
analisi contenute in L. THORNDIKE, A History of Magic and Experimental Science, II, During the First Thirteen
Centuries of Our Era, New York, MacMillan, 1923, II, 589-592 e J. GOERGEN, Des hl. Albertus Magnus Lehre von der
göttlichen Vorsehung und dem Fatum under besonderer Berücksichtigung der Vosehungs- und Schicksalslehre des
Ulrich von Straßburg, Vechta i. Oldbg., 1932, spec. 95-151.
2
H. ANZULEWICZ, «Der Einfluss der Gestirne auf die sublunare Welt und due menschliche Willensfreiheit nach
Albertus Magnus», in: Actes de la Vème Conférence Annuelle de la SEAC, Gdansk 1997, ed. T. MIKOCKI, Institute of
Archaeology Warsaw University, Warszawa-Gdansk, 1999, 265.
3
L’autenticità della Summa è stata oggetto di un lungo dibattito. Che Alberto sia l’autore della prima parte dell’opera è
un dato oggi generalmente ammesso: cf. D. SIEDLER, P. SIMON, Prolegomena: in ALBERTI MAGNI Summa theologiae
sive de mirabili scientia Dei. Libri I Pars I Quaestiones 1-50A, edd. . SIEDLER, P. SIMON (Alberti Magni Opera omnia.
Editio Coloniensis, 34,1), Aschendorff, Münster, 1978, V-XVI; R. WIELOCKX, «Le ms. Paris Nat. lat. 16096 et la
condamnation du 7 mars 1277», in: Recherches de théologie ancienne ancienne et médiévale, 48 (1981), 235-37; ID.,
«Gottfried von Fontaines als Zeuge der Echteit der theologischen Summe des Albertus Magnus», in: Studien zur
mittelalterlichen Geistesgeschichte und ihren Quellen, hrsg. v. A. ZIMMERMANN, G. VUILLEMIN-DIEM (Miscellanea
Mediaevalia, 15), Berlin-New York, 1982, 209-25; ID., «Zur “Summa theologiae” des Albertus Magnus», in:
Ephemerides Theologicae Lovanienses, 66 (1990), 78-110. Più controversa l’autenticità della seconda parte: A.
HUFNAGEL, «Zur Echtheitsfrage der Summa theologiae Alberts d. Gr.», in: Tübinger Theologische Quartalschrift, 146
(1966), 8-39; H. ANZULEWICZ, «Die platonische Tradition bei Albertus Magnus. Eine Hinführung», in: The Platonic
Tradition in the Middle Ages. A Doxocographic Approach, ed. by S. GERSH, M.J.F.M. HOENEN, de Gruyter, Berlin-New
York, 2002, 207-77: 266, n. 201. D. SIEDLER, P. SIMON, Prolegomena, XII, propendono per l’autenticità di tutta l’opera,
attribuendo le differenze della seconda parte al progressivo invecchiamento di Alberto e al crescente coinvolgimento
nella stesura del segretario Godefredus de Dusborch.
4
R. WIELOCKX, «Zur “Summa theologiae”», 109: «eine verblüffend unerschrockene und primär wuchtige Benutzung
der philosophischen Quellen und des heidnischen Gedankenguts».
5
D. SIEDLER, P. SIMON, Prolegomena, XIV.

1
citato in St.I.68 al punto da costituirne una carattere distintivo6. Come si vedrà nel corso di questa
analisi, altri argomenti e altre fonti di carattere astrologico e scientifico sono presenti solo in St.I.68.
Il confronto tra St.I.68 e Df, se correttamente impostato, non si deve limitare però solo ad una
valutazione delle citazioni, ma deve svolgersi anche sul terreno dei contenuti dottrinali. Su questo
piano, la teoria del fato elaborata in St.I.68 con risorse attinte alla filosofia e alla scienza pagane e
alla teologia cristiana contiene indubbi elementi di originalità.

1. La tarda Summa theologiae di Alberto nel suo tempo


Ai fini di una adeguata interpretazione storico-dottrinale di St.I.68 e preliminarmente ad ogni
paragone con Df, però, è utile inquadrare la Summa theologiae di Alberto nel contesto storico-
letterario coevo. Se Df è il prodotto redazionale di una disputa tenuta probabilmente presso la curia
pontificia ad Anagni nel 12567, la I parte della Summa theologiae va collocata dopo il 12688. In
questo periodo vengono composte altre due imponenti somme teologiche in ambito domenicano: la
la Summa theologiae di Tommaso d’Aquino e il De summo bono di Ulrico di Strasburgo, allievo
anch’egli di Alberto e provinciale di Teutonia9. Le somme di Alberto, Tommaso ed Ulrico si
configurano come tre diversi progetti filosofico-teologici e debbono confrontarsi con le Sententiae
di Pietro Lombardo e la Summa Halensis, che rappresentano due modelli per i teologi dell’epoca.
Nel complesso sono state ravvisate dipendenze della Summa de mirabili scientia Dei tanto dalle
Sententiae del Lombardo quanto dalla Summa Halensis (struttura delle sezioni, corrispondenze
nelle obiezioni, analogie nelle soluzioni e nelle risposte alle obiezioni, uso di citazioni e argomenti
analoghi)10.
Per quanto riguarda più specificamente il fato, Alberto colloca St.I.68 nella cornice più ampia del
trattato 17 «De providentia», composto da tre questioni, nell’ordine dedicate alla provvidenza, al
fato e al libro della vita. Un’analisi comparativa rivela una dipendenza del trattato 17 «De
providentia» – e al suo interno di St.I.68 – dalle parti corrispondenti della Summa Halensis


6
P. SIMON, Prolegomena in ALBERTI MAGNI De Fato, ed. P. SIMON (Alberti Magni Opera omnia. Editio Coloniensis,
17,1), Aschendorff, Münster, 1975, XXXIV.
7
Cf. P. SIMON, Prolegomena: in ALBERTI MAGNI De Fato, ed. P. SIMON, XXXIII-XXXIX: XXXIV-XXXV.
8
Zeitfafel, Albertus-Magnus-Institut (Hg.), in: Albertus Magnus und sei System der Wissenschaften. Schlüsseltexte in
Übersetzung. Lateinisch – Deutsch. Eingeleitet, übertsetzt und für den Druck vorbereitet von H. MÖHLE et alii,
Aschendorff, Münster i.W. 2011, 28-31. Il 1268 è il terminus post quem stabilito sulla base delle citazioni della
Elementatio theologica di Proclo, tradotta da Guglielmo di Moerbeke in quell’anno: cf. D. SIEDLER, P. SIMON,
Prolegomena: in ALBERTI MAGNI Summa theologiae sive de mirabili scientia Dei. Libri I Pars I Quaestiones 1-50A,
edd. SIEDLER, P. SIMON (Alberti Magni Opera omnia. Editio Coloniensis, 34,1), Aschendorff, Münster, 1978, V-XXVI:
XVI-XVII.
9
Sull’“addensarsi di somme di teologia” in quel periodo ha già richiamato l’attenzione L. STURLESE, Storia della
filosofia tedesca nel Medioevo. Il secolo XIII (Accademia toscana di scienze e lettere «La Colombaria». «Studi», 149),
Olschki, Firenze 1996, 162-63. Il fenomeno meriterebbe uno studio autonomo. La I Pars della Summa theologiae risale
al periodo della fondazione nel 1264 e della successiva gestione dello Studium di Roma, mentre la II Pars coincide con
la reggenza parigina (1268-72): cf. P. PORRO, Tommaso d’Aquino. Un profilo storico-filosofico, Carocci, Roma 2012,
264-283, 335-361, con ampia letteratura citata. Sulle varie ipotesi di datazione proposte per il De summo bono, cf. A.
PALAZZO, «Philosophy and Theology in the German Dominican scholae in the Late Middle Ages: The Cases of Ulrich
of Strasbourg and Berthold of Wimpfen», in: Philosophy and Theology in the Studia of the Religious Orders and at the
Papal and Royal Courts, ed. by K. EMERY J. et al. (Rencontres de Philosophie Médiévales, 15), Brepols, Turnhout,
2012, 75-105: 83, n. 28.
10
H. NEUFELD, «Zum Problem des Verhältnisses der theologischen Summe Alberts des Gr. zur theologischen Summe
Alex. v. Hales I», Franziskanische Studien Quartalschrift, 27 (1940), 22-56, 65-87: 76-84. Cf. D. SIEDLER, P. SIMON,
Prolegomena, IX-XI. Sulla Summa theologiae di Alberto cf. almeno i recenti contributi e la bibliografia annessa: M.
BURGER, «Die Bedeutung der Aristotelesrezeption für das Verständnis der Theologie als Wissenschaft bei Albertus
Magnus», in: Albertus Magnus und die Anfänge der Aristoteles-Rezeption im lateinischen Mittelalter von Richardus
Rufus bis zu Franciscus Mayronis (Subsidia Albertina, 1), Aschendorff, Münster i.W., 2005, 281-305W. SENNER,
Alberts des Großen Verständnis von Theologie und Philosophie (Lectio Albertina, 9), Aschendorff, Münster i.W., 2009,
59-64; H. ANZULEWICZ, «The Systematic Theology of Albert the Great», in: A Companion to Albert the Great, ed. by
I.M. RESNICK, 15-67: 19-30, 62-64; M. OLSZEWSKI, «The Nature of Theology According to Albert the Great», in: A
Companion to Albert the Great, 69-104: 80-104.

2
nell’organizzazione formale, nei titoli dei capitoli e degli articoli e anche nei contenuti (citazioni e
argomenti usati)11.
L’analogia formale è confermata se si considera la collocazione del materiale relativo al fato
nell’edificio complessivo della Summa de mirabili scientia Dei. Come il trattato sul fato contenuto
nella Summa Halensis, anche St.I.68 è inserito nella più ampia sezione sulla scienza di Dio. Come si
evince dalla sinossi in basso, la Summa Halensis e la Summa de mirabili scientia Dei trattano le
questioni relative alla scienza di Dio pressappoco nello stesso ordine: l’unica sostanziale differenza
consiste nel fatto che Alberto sposta le questioni su provvidenza e fato in coda alla sequenza prima
della questione finale sul libro della vita, dopo averle sganciate dal gruppo delle prime tre questioni
su scienza, prescienza e disposizione.

S.Hal. Albertus, S.theol. I Ulricus, De.sb. II tr. 5


Tr. V: De scientia divina Tr. 15 c. 8 De scientia Dei communiter dicta
q. 23: De natura et conditionibus qu 60: De scientia Dei [cc. 9-11: ideae divinae]
scientiae divinae qu 61: De praescientia Dei [cc. 12-13: De incircumscriptibilitate
q. 24: De scientia Dei relate ad futura qu 62: Utrum dispositio sit in Deo Dei]
seu de praescientia divina Tr. 16 c. 14: De praescientia Dei
q. 25: De scientia Dei relate ad qu. 63: De praedestinatione c. 15: De dispositione, in quo est de
facienda seu de dispositione divina dilezione vestigio
q. 26: De providentia divina q. 64: Utrum dilectio qua Deus diligit c. 16: De providentia divina et de hoc
q. 27: De fato creaturam sit eadem cum dilectione nomine Deus, quod est nomen
q. 28: De praedestinatione divina qua Pater diligit Filium, et e providentiae
q. 29: De reprobatione divina converso? c. 17: De aliis tribus nominibus
q. 30: De electione divina qu. 65: De electione, utrum sit in pertinentibus ad providentiam, in quo
q. 31: De dilectione divina Deo? est de legibus aeternis
q. 32: De libro vitae qu. 66: De reprobatione c. 18 De fato, et de his, quae ad eius
Tr. 17 notitiam requiruntur, quae sunt casus
qu. 67: De providentia et fortuna, contingens et occasio et
qu. 68: De fato frustra et vanum et otiosum
qu. 69: De libro vitae c. 19 De praedestinatione
c. 20 De electione et reprobatione
c. 21 De dilectione Dei, ut est
principium electionis, et de libro
vitae, in quo conscripti sunt electi

Il De summo bono di Ulrico non si discosta troppo dall’organizzazione dei contenuti sulla scienza di
Dio che troviamo nella Summa Halensis, anche se interrompe la successione degli argomenti con i
capitoli dedicati alle idee divine e a Dio incircoscrittibile. Sui contenuti dei capitoli il De summo
bono presenta invece delle peculiarità: include ad esempio la trattazione della legge naturale ed
eterna nel secondo dei due capitoli sulla provvidenza, mentre affronta nel capitolo sul fato le
questioni filosofiche sul determinismo e la contingenza, assumendo come fonte privilegiata le opere
filosofiche di Alberto (in particolare la Physica)12.
Tommaso adotta una soluzione radicalmente diversa, trattando questi argomenti in luoghi separati
della Summa theologiae. La provvidenza, la predestinazione, l’elezione, la riprovazione e il libro

11
J. GOERGEN, Des hl. Albertus Magnus Lehre, 13-25. La dipendenza dalla Summa Halensis non impedisce ad Alberto
di elaborare nella Summa theologiae una teoria originale sul fato, come vedremo. La dipendenza è stata rilevata anche
su questioni tematicamente affini, come quella dedicata alla predestinazione: cf. K. OBENAUER, «Zur
Prädestinationslehre des hl. Albertus Magnus», in: Albertus Magnus. Zum Gedenken nach 800 Jahren: Neue Zugänge,
Aspekte und Perspektiven, hrsg. v. W. Senner (Quellen und Forschungen zur Geschichte des Dominikanerordens. Neue
Folge, 10), Akademie Verlag, Berlin, 2001, 537-52: 548-50.
12
Cf. ULRICUS DE ARGENTINA, De summo bono, V, tr. 2, 17-18, ed. A. BECCARISI (CPTMA 1/2[2]), Meiner, Hamburg,
2007, 121,1-137,509; 137,1-152,468. Sulle concezioni di Ulrico sul fato cf. J. GOERGEN, Des hl. Albertus Magnus
Lehre, 152-217, spec. 182-185 e 193-216; A. PALAZZO, «Ulrich of Strasbourg’s Philosophical Theology. Textual and
Doctrinal Remarks on De summo bono», in Schüler und Meister, hrsg. v. A. SPEER, T. JESCHKE (Miscellanea
Mediaevalia, 39), de Gruyter, Berlin-Boston, 2016, 205-242: 219-241.

3
della vita sono soggetti teologici discussi in relazione agli attributi divini, nella fattispecie
l’intelletto e la volontà (Summa theol. Ia, qu. 22-24). Il fato è esaminato separatamente nella
questione 116 della Ia pars, che, con la questione precedente (115), costituisce un blocco organico
di carattere prevalentemente filosofico, dedicato all’analisi dell’azione delle creature corporee e agli
influssi dei corpi celesti13.***
Confrontata con questa organizzazione della materia, la struttura ideata da Alberto appare piuttosto
tradizionale. Trattando del fato nel contesto teologico della provvidenza di Dio e inquadrando la
provvidenza nella cornice più ampia della scientia Dei, Alberto sembrerebbe negare al fato
consistenza autonoma e dignità filosofica. Opposta la posizione di Tommaso, che salvaguarda
l’autonomia filosofica del fato, tenendolo ben distinto dalla provvidenza divina e associandolo al
problema degli effetti dei cieli sulla regione terrestre, problema, quest’ultimo, discusso nei
Commenti al II libro delle Sentenze (II dist. 15) e toccato da Alberto anche nella Summa theologiae
(II pars, qu. 58) in relazione alla creazione dei sei giorni, in particolare alla creazione del
firmamento e delle stelle.
In realtà, la struttura data da Alberto al trattato 17 «De providentia» non è un semplice omaggio alla
tradizione, ma è dettata da precise ragioni dottrinali. In altri termini, non è l’organizzazione
tradizionale della materia a condizionare la teoria del fato di Alberto, ma sono i contenuti innovativi
a giustificare e conferire nuovo significato a una struttura formale oggettivamente obsoleta. Innanzi
tutto, Alberto interpreta la concezione cristiana della provvidenza alla luce della celebre definizione
boeziana secondo la quale «il fato è la disposizione inerente alle realtà mutevoli per mezzo della
quale la provvidenza collega le varie cose nel loro ordine» (IV 6 §9)14. In secondo luogo, egli
coniuga la dottrina boeziana con la concezione del fato come catena di cause, come heimarmene
ermeticaa. Il punto di contatto tra Boezio ed Ermes, tra un auctoritas considerata espressione della
sapienza cristiana – così è inteso Boezio nella Summa – ed un autore pagano, è il De natura hominis
dello pseudo-Gregorio di Nissa – in realtà Nemesio Emeseno –, testo dal quale Alberto ricava una
definizione di fato come heimermene, legittimando e dando autorevolezza alla concezione ermetica.
Sarebbe fuorviante leggere però l’operazione teorica compiuta da Alberto in St.I.68 come un
tentativo di cristianizzare il controverso concetto di fato, un concetto problematico a causa delle sue
origini pagane e delle sue implicazioni necessitaristiche. Nelle quattro sezioni (membra) che
compongono St.I.68 il domenicano tedesco tenta di dar conto, attraverso una complessa analisi di
carattere filosofico, di alcuni aspetti fondamentali del fato: l’origine divina (provvidenza), la catena
delle cause (heimarmene), gli ambiti regolati dal fato (provvidenza naturale e necessaria), la
contingenza degli effetti terreni, la fortuna, la scelta individuale. Sono alcuni dei temi cruciali che
avevano costellato la riflessione di Alberto sulla causalità celeste nelle opere precedenti15.
St.I.68 è l’esito finale di un lungo itinerario di ricerca e ciò che contraddistingue questo piccolo
trattato sul fato rispetto al passato è l’accresciuto interesse per i temi e i problemi di ordine

13
Cf. THOMAS DE AQUINO, Summa theologiae, editiones Paulinae, Cinisello Balsamo, 1988, 532-38 (qu. 115), 538-41
(qu. 116). J. GOERGEN, Des hl. Albertus Magnus Lehre, 25-34, esclude una dipendenza della Summa de mirabili
scientia Dei di Alberto dalla Summa theologiae di Tommaso in relazione ai temi della provvidenza e del fato e segnala i
luoghi nelle altre opere tommasiane dedicati a questi temi. Sulla provvidenza in Tommaso cf. i recenti: P. PORRO, «Lex
necessitatis vel contingentiae. Necessità, contingenza e provvidenza nell’universo di Tommaso d’Aquino», in: Revue
des sciences philosophiques et théologiques, 96 (2012), 401-50: 417-37; V. CORDONIER, «La doctrine aristotélicienne
de la providence divine selon Thomas d’Aquin», in: Fate, Providence and Moral Responsability in Ancient, Medieval
and Early Modern Thought. Studies in Honour of Carlos Steel, ed. by P. D’HOINE, G. VAN RIEL, Peeters, Leuven
University Press, Leuven, 2014, 495-515; R. TE VELDE, «Thomas Aquinas on Providence, Contingency and the
Usefulness of Prayer», ibid., 539-52.
14
BOETHIUS, De consolatione philosophiae, ed. C. Moreschini, Teubner, München-Leipzig, 2000, IV, 6, 9, 122,32-33:
«fatum vero inhaerens rebus mobilibus dispositio, per quam providentia suis quaeque nectit ordinibus».
15
Per una analisi dei motivi principali che hanno caratterizzato la riflessione albertina sul fato, mi permetto di
rimandare ad A. PALAZZO, «The Scientific Significance of Fate», 55-78 e ID., «Albert the Great’s doctrine of fate», 65-
95. Cf. inoltre ID., «Astrology and Politics: The Theory of Great Conjunctions in Albert the Great», in: Le stelle, i regni,
le credenze e le masse. L’astrologia politica nel Mediterraneo fra Medioevo e Rinascimento, ed. by M. BENEDETTO,
forthcoming.

4
astrologico. Nel momento in cui concilia Boezio con Ermete, nel momento in cui concepisce il fato
strumento della provvidenza divina come heimarmene ermetica, cioè come una catena di cause che
si origina si articola in tutti gli enti inferiori, naturali e volontari, Alberto sente la necessità di
affrontare criticamente la posizione dei mathematici, secondo i quali la catena fatale delle cause si
origina dalla posizione e dai raggi degli astri. È una concezione naturalistica che, portata alle
estreme conseguenze, degenera nel determinismo astrale. La critica di Alberto trova un significativo
supporto negli argomenti avanzati da Agostino nel V libro del De civitate Dei contro l’astrologia e
il fatalismo. Ma al determinismo astrale Alberto oppone anche le teorie ottiche, i riferimenti medici
e soprattutto gli argomenti tratti dal Quadripartito e dal Centiloquio di Tolomeo e da altri astrologi,
tracciando così, talvolta al prezzo di qualche forzatura, una linea di demarcazione tra le concezioni
dei mathematici e le teorie degli astrologi scientificamente affidabili (Tolomeo, Messallach e
Albumasar).

2. Il fato come catena ordinata di cause: Boezio, Ermete Trismegisto e Nemesio Emeseno
Sullo sfondo di St.I.68 c’è il IV libro (prosa 6) del De consolatione philosophiae di Severino
Boezio. All’inzio del Medioevo l’opera boeziana, in contrasto con le chiusure patristiche nei
confronti della nozione pagana di fato, fornisce una delle più riuscite sistematizzazioni dei rapporti
tra provvidenza e fato. Non è casuale che Alberto introduca il trattato 17 «De providentia» citando
in forma abbreviata la nota definizione boeziana: «la provvidenza collega per mezzo del fato
ciascuna cosa nel proprio ordine»:

«Secundum est, De fato, de quod dicit Boetius in libro V [recte IV] de Consolatione philosophiae, quod
“providentia per fatum quaeque suis nectit ordinibus”»16.

Nella soluzione del membrum II («Quid sit fatum?») Alberto sostiene che del fato esistono più
definizioni. Innanzi tutto, in relazione a ciò a cui si applica («ad id cujus est»), il fato è descritto
come disposizione inerente nella già citata definizione boeziana (IV 6 §9). Rispetto all’origine («ad
id a quo est»), Boezio dà del fato un’altra definizione ove sostiene che è «la connessione mobile e
l’ordine temporale delle cose che la divina semplicità ha disposto debbano essere fatte» (IV 6 §13).

«Solutio. Dicendum, quod fatum diversimode definitur, scilicet in comparatione ad id cujus est, sicut
inhaerens dispositio: et sic illud definit Boetius. Definitur etiam aliquando secundum esse quod habet in
comparatione ad id a quo est: et sic dicit Boetius, ibidem: “Fatum est eorum quae divina simplicitas gerenda
disposuit, mobilis nexus atque ordo temporalis”»17.

La seconda definizione valorizza il concetto di connessione («nexus»), un’idea che si trova anche
nella prima e principale definizione boeziana («nectit»), senza costituirne tuttavia il fulcro18.
Alberto formula anche una terza definizione, che mette insieme le caratteristiche delle prime due,
cioè l’inerenza alle realtà mobili (IV 6 §9) e la dipendenza dalla provvidenza (IV 6 §13): il fato è
definito come «la connessione delle cause di tutte le cose da fare a partire dalla prima e principale
fino all’ultimo effetto».


16
ALBERTUS MAGNUS, Summa theologiae pars prims, ed. A. Borgnet (Alberti Magni Opera omnia, 31), Paris, 1894, I,
tr. 17, 674; cf. BOETHIUS, De consolatione philosophiae, ed. C. Moreschini, IV, 6, 9, 122,32-33.
17
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 699b; cf. BOETHIUS, De consol. phil., ed. C. Moreschini, IV, 6, 9,
122,32; IV, 6, 13, 123,54-56.
18
L’idea del fato come nesso o catena di cause non è estranea al testo boeziano. In un passo della Consolazione della
filosofia il fato si realizza in una catena di cause: cf. BOETHIUS, De consol. phil., ed. C. Moreschini, IV, 6, 13, 123,47-
52: «Sive igitur famulantibus quibusdam providentiae divinis spiritibus fatum exercetur, seu anima seu tota inserviente
natura seu celestibus siderum motibus seu angelica virtute seu daemonum varia sollertia seu aliquibus horum seu
omnibus fatalis series textitur».

5
«Et sic definitur fatum secundum quod est connexio causarum omnium gerendorum a prima et principe
causa usque ad ultimum effectum»19.

Proprio l’insistenza sulla «conexio» o catena di tutte le cause20, dalla più alta, cioè la provvidenza,
fino agli eventi terreni, permette lo slittamento dalla concezione boeziana all’heimarmene ermetica.
Secondo Ermete Trismegisto e lo pseudo-Gregorio di Nissa – in realtà Nemesio Emeseno –
l’heimarmene o fato è l’ordine delle cause. Il ricorso ad Ermete e a Nemesio consente ad Alberto
una sottile ma significativa variazione della prima e principale definizione boeziana: il fato è detto
infatti una disposizione per mezzo della quale la provvidenza collega le varie cose nel loro ordine,
ma è una disposizione che inerisce alle cause e ai causati mobili, e non semplicemente alle cose
mobili, come recita invece il testo boeziano. La precisazione è frutto della reinterpretazione del fato
boeziano in termini ermetici come catena di cause.

«Et cum fatum idem sit quod Graece ειµαρµενη, quod, ut dicunt Gregorius Nyssenus et Hermes
Trismegistus, sonat ordinem causarum, sic accipitur proprie et secundum totum esse suum: sic enim est
inhaerens dispositio mobilibus causis et causatis, per quam sicut instrumentum providentia quaeque suis
nectit ordinibus»21.

Procedendo a ritroso lungo St.I.68, ci si rende conto che il ripensamento della concezione boeziana
in termini ermetici è addirittura più radicale nella solutio del membrum I («Utrum fatum sit»).
Alberto esordisce sostenendo che il fato è heimarmene, cioè ordine, una concezione sulla quale
concordano Nemesio Emeseno ed Ermete Trismegisto22.
L’Asclepius, l’unico testo del Corpus Hermeticum antico accessibile al Medioevo latino, è la fonte
da cui Alberto trae la concezione del fato ermetico. Nei capp. 39 e 40, l’ignoto autore del testo
individua i tre fattori strettamente correlati (destino o heimarmene, necessità e ordine) che reggono
lo svolgimento degli eventi terrestri23. Nel De caelo Alberto interpreta l’heimarmene come la catena
delle cause, la necessità come la loro realizzazione verso l’essere attraverso il movimento e l’ordine
come la distribuzione di ciascun prodotto nel suo posto e nella sua funzione24. Ciò significa che
anche l’Asclepius, come Boezio, teorizza esplicitamente che l’esito ultimo della catena delle cause è
l’ordinata distribuzione delle cose nel tempo. A ciò si aggiunga il fatto che secondo l’Asclepius
all’origine della catena necessaria è la ragione divina, che coincide di fatto con la provvidenza


19
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 699b.
20
Si deve notare che il sintagma «connexio causarum» è anch’esso boeziano: cf. BOETHIUS, De consol. phil., ed. C.
Moreschini, IV, 6, 19, 124,83-84: «indissolubili causarum conexione». Alberto cita il passo boeziano in un’obiezione
del membrum II, usandolo come argomento contro la definizione del fato come disposizione mobile o inerente alle cose
mobili: cf. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 698a.
21
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 699b-700a. In altre opere Alberto predilige «complexio» o «implexio
causarum» a «ordo causarum»: cf. ALBERTUS MAGNUS, Physica, ed. P. HOßFELD (Alberti Magni Opera omnia. Editio
Coloniensis, 4,1), Aschendorff, Münster, 1987, II 2 19, 126,33-34; ID., De Fato, ed. P. SIMON, art. 2, 68,2-3; ID.,
Ethica, ed. A. BORGNET (Alberti Magni Opera omnia, 7), Paris, 1891, I 5 4, 62a; III 1 17, 221a.
22
Al contrario, nella Summa theologiae di Tommaso il concetto di catena/ordine delle cause rimane sullo sfondo e,
nelle questioni relative al fato, Ermete non è mai citato, mentre Nemesio compare solo due volte, ma gioca un ruolo
marginale. Nemesio Emeseno gioca invece un ruolo centrale nella Summa contra Gentiles in relazione al tema della
provvidenza divina: cf. V. CORDONIER, «La doctrine aristotélicienne», 505-506.
23
Asclepius, ed. C. Moreschini (Apulei Platonici Madaurensis opera quae supersunt, 3), Teubner, Stuttgart-Leipzig,
1991, capp. 39-40, 83,15-85,3:, spec. 83,15-84,12: «Quam ειµαρµενην nuncupamus, o Asclepi, ea est necessitas
omnium quae geruntur, semper sibi catenatis nexibus vincta […] has ordo consequitur, id est textus et dispositio
temporis rerum perficiendarum […] haec ergo tria: ειµαρµενη, necessitas, ordo, vel maxime dei nutu sunt effecta, qui
mundum gubernat sua lege et ratione divina». Nella concezione ermetica confluisce anche il De mundo apuleiano: cf.
APULEIUS, Liber de Mundo, ed. C. MORESCHINI, ivi, cap. 38, 187,1-2. Sull’ermetismo di Alberto rimane
imprescindibile L. STURLESE, «Saints et magiciens: Albert le Grand en face d’Hermès Trismégiste», in: Archives de
Philosophie 43 (1980), 615-634.
24
ALBERTUS MAGNUS, De caelo et mundo, ed. P. HOßFELD (Alberti Magni Opera omnia. Editio Coloniensis, 5,1), I 1 2,
Aschendorff, Münster i.W., 1971, 5,62-69.

6
boeziana. Si tratta di convergenze che rendono più facile la conciliazione della concezione boeziana
con il fato ermetico.
Analoga a quella ermetica è la definizione di fato attribuita agli stoici nel capitolo 36 del De natura
hominis di Nemesio Emeseno: la fortuna, corrispettivo latino di heimarmene, è l’ordine immutabile
(«intrasgressibilis») delle cause che conduce ciascuna cosa al proprio fine secondo necessità e
attraverso il movimento25.
Secondo Alberto la concezione ermetico-nemesiana coincide con la teoria cattolica del fato, che
viene invece contrapposta al necessitarismo astrale degli Aegyptii e dei Chaldaei26. La dottrina
cattolica, che corrisponde poi al punto di vista di Alberto, descrive il fato come la forma o la regola
(«ratio») di tutte le cose che accadono secondo natura o secondo volontà. Tale forma procede dalla
provvidenza, prima delle cause, lungo l’ordine delle cause inferiori, di quelle naturali (le
intelligenze motrici, gli orbi celesti, i moti celesti, i moti elementari, i moti degli elementati, dotati
di complessione o in qualche modo misti) e di quelle volontarie (le cose compiute volontariamente
dall’angelo e dall’uomo). Qui meglio che altrove Alberto descrive il fato come legge che, originata
(«inchoans») dalla provvidenza, sovrintende all’intera realtà, colta nelle sue diverse articolazioni e
scandita nei suoi gradi causali.

«Dicendum, quod fatum est, sicut dicit Gregorius Nyssenus in libro quem fecit de homine, in cap. de
electione, quod fatum Graece dicitur ειµαρµενη. Graece enim ειµαρµενη, Latine sonat ordo. Et hoc idem
dicit Hermes Trismegistus in suo libro De causis. Dupliciter autem ponitur fatum. Uno modo Catholice,
secundum quod est forma et ratio omnium per naturam, vel voluntatem, vel propositum fientium, inchoans a
principe causarum quae est providentia, et ab ipsa procedens in secunda, tertia, et quarta, secundum ordinem
causarum, sicut in intelligentias quae motores sunt orbium, et in orbes sive coelos, et ex coelis in motus
coelorum, et ex motibus coelorum in motus elementorum, et ex motibus elementorum in actus et motus
elementatorum sive complexionatorum sive quocumque modo ad formam mixti deductorum. Et in proposito
similiter. Omnium enim quae in proposito sunt, vel fieri possunt, sive ab Angelo, sive ab homine, prima ratio
et forma exemplaris in providentia divina est: et ab illa sicut a fonte et principe quasi per influentiam
procedit in alia si sunt bona, vel ordinanda per ipsum si mala sunt»27.

Alberto solleva in questo testo problemi di grande rilevanza: il piano provvidenziale bipartito in un
duplice ordine, naturale e volontario; la legalità dei processi fisici; la conoscibilità dell’intera realtà;

25
Cf. NEMESIUS EMESENUS, De natura hominis transl. Burgundionis, edd. G. VERBEKE, J.R. MONCHO (Corpus Latinum
Commentariorum in Aristotelem Graecorum, Suppl. 1), Brill, Leiden, 1975, c. 36, 138,74-76: «Fortuna vero, cum apud
Graecos heimarmene dicatur ex eo quod est heirmos (id est ordo) quidam causarum intransgressibilis (ita enim eam
Stoici determinant, hoc est ordinem et supercolligationem intrasgressibilem), non secundum id quod confert, sed
secundum proprium motum et necessitatem inducit fines». Alberto sembra fraintendere il punto di vista di Nemesio
perché gli attribuisce la concezione deterministica degli Stoici, mentre Nemesio la riferisce per criticarla. Sulla teoria
della provvidenza nemesiana, cf. R. SHARPLES, «Nemesius of Emesa and Some Theories of Divine Providence», in:
Vigiliae Christianae, 37 (1983), 141-56.
26
Anche la Summa Halensis teorizza la distinzione tra la concezione astrologica del fato e quella cristiano-boeziana,
senza però approfondirla: ALEXANDER HALENSIS, Summa theologica, t. I, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae,
Ad Claras Aquas (Quaracchi), 1924, I, pars I, inq. I, tr. V, sect. II, n.212, sol., 305: «Ad quod dicendum quod fati
duplex est acceptio. Una, secundum quam dicitur lex astrorum, quae rebus singularibus dicitur inducere necessitatem et
etiam libero arbitrio […] Alia est acceptio fati, secundum quam dicitur quaedam dispositio sive connexio relicta in
rebus temporalibus a summo Artifice sive a divina providentia».
27
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 695a. Nella Physica Alberto propone una analoga caratterizzazione del
fato come trama ordinata di cause: ID., Physica, ed. P. HOßFELD, II 2 19, 126,73-127,5: «Ex his omnibus colligitur de
fato, quid sit secundum rei veritatem. Cum enim prima causarum sit deus et omnia quorum causa est ipse, providentiam
habeant, eo quod ipse causat per intellectum et sua scientia est causa rerum, ipse causat ea sic, quod mediantibus causis
universalibus producit causas particulares et mediantibus particularibus producit quaeque, quae fiunt a natura et a
proposito voluntatis. Id ergo quod primo procedit ab ipso, est necessarium sicut orbes et motus eorum. Quod autem sub
illo procedit ab ipso et ab orbium motu, contrarium habet et ideo impediri potest et ideo caret necessitate, sed evenit ut
frequenter; et hoc est in elementonun mixtione et causis seminalibus rerum. Naturae autern res et opera omnia fiunt ex
his causis, quia effectus et motus inferiorum pendet ex superioribus sicut ex causis, et superiora pendent ex providentia,
et ideo dispositio providentiae infusa toti isti contexioni causarum dicitur fatum».

7
ecc. Il fato è descritto come l’ordine delle cause che si articola in una trama di eventi naturali e
volontari, garantisce la compattezza del tessuto della realtà e fonda l’intelligibilità del mondo fisico
e umano. Tale concezione è più radicale di quella delineata nella Physica perché lì il fato assolveva
la funzione di vincolo della sola realtà fisica, costringendo la molteplicità dispersa dei fenomeni
entro l’ordine della natura28.
Ma un altro aspetto degno di nota della solutio è la cura di Alberto nel precisare la modalità del
trapasso dalla regola semplice della provvidenza alla catena articolata delle cause. La provvidenza,
origine dell’ordine fatale delle cause, contiene tutta la realtà in qualità di causa esemplare29. Ma se
la provvidenza è vista primariamente come una causa esemplare che tutto contiene, allora il
rapporto tra provvidenza e fato è concepito platonicamente come il rapporto tra l’esemplare e la
copia («ut exemplar et exemplatum») o, secondo la teoria neoplatonica del flusso, come la relazione
tra la causa che influisce e la forma influita («sicut causa influens, et forma influxa»). In generale la
formazione del mondo, secondo Dio, si configura come un processo di derivazione dalla causa
esemplare, Dio degli Dei.

«Et quando accipitur dispositio exemplata a providentia influxa et impressa rebus creatis secundum totum
ordinem causarum naturalium et voluntariarum rebus inhaerens, et quasi impressa et incorporata rebus
creatis, tunc vocatur fatum. Unde providentia et fatum differunt ut exemplar et exemplatum, et sicut causa
influens, et forma influxa. Propter quod etiam Hermes Trismegistus et Plato mundum ab hoc exemplari
egressum describunt, quasi secundum Deum a Deo deorum formatum. Et hoc modo ponere fatum nihil est
inconveniens. Sic enim a providentia inchoat, et in aliis non est nisi dispositio causata et impressa»30.

I riferimenti ad Ermete e Platone sono libere citazioni del luogo dell’Asclepius nel quale si parla di
un dio secondo creato dal Dio supremo e del passo timaico nel quale Dio, fattore dell’universo,
forma gli dei secondi, cioè i corpi celesti e gli dei del mito31. Alberto riformula così, grazie al
modello platonico-ermetico, la definizione boeziana del fato come una disposizione inerente
trasmessa dalla provvidenza alle cose mobili. Platone fornisce gli strumenti concettuali per
ripensare il rapporto tra provvidenza e fato nei termini del flusso e della derivazione dalla causa
esemplare; le pagine dell’Asclepius sulla catena necessaria e sull’ordine temporale consentono ad
Alberto di precisare le modalità di incorporazione della disposizione inerente alle cose mobili.
Non sfuggono infine i frequenti riferimenti di Alberto alla distinzione tra i due generi ordinati di
cause, naturali e volontarie 32 . Ispirati dalla gemina providentia del De genesi ad litteram di
Agostino, di cui non enucleano però ancora appieno le implicazioni teoriche, questi accenni

28
ALBERTUS, Physica, ed. P. HOßFELD, II 2 20, 128,15-29: «Nisi enim particulares effectus varii et mutabiles
referrentur ad motum elementorum et motus elementorum ad motum caelestium et motus caelestium ad motum primum
et motus primus ad providentiam motoris primi, diversa non redirent ad unum; et mobilia non ligarentur ad immobile
primum, fieret tanta diversitas et mutabilitas in rebus, quod in seipsis perirent res naturae. Propter quod fatum
superfusum est eis sicut vinculum contienens ea et sicut regula regens […] et quidquid constantiae et concordiae et
conformitatis est in infimis, ex illo est sicut ex causa et regula».
29
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 695a-b: «Unde totus ille ordo causarum ex providentia inchoans, quae
exemplariter omnia continet et causaliter, Graece vocatur ειµαρµενη».
30
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 695b. L’identificazione della provvidenza e del fato con l’esemplare e la
«forma exemplata» è presente già nella Summa Halensis, che rimane però entro lo schema concettuale boeziano:
ALEXANDER HALENSIS, Summa theologica, I, pars I, inq. I, tr. V, sect. II, n.196, sol., 287-88. Come si arguisce dal
passo citato, Alberto ripensa invece il modello boeziano tradizionale fondendolo con la teoria neoplatonica del flusso e
con la concezione ermetica.
31
Asclepius, ed. C. MORESCHINI, cap. 39, 83, 84,1: «[…] ab ipso deo qui secundus effectus est deus». Il secondo Dio è
stato identificato con la νους del Dio supremo: cf. Asclepius, éd. par A.D. NOCK, trad. par A.-J. FESTUGIÈRE (Corpus
Hermeticum, 2), Les Belles Lettres, Paris, 1973, 397, n. 333. Cf. Plato, Timaeus a Calcidio translatus commentarioque
instructus, ed. J.H. Waszink (Plato Latinus, 4), Warburg Institute-Brill, London-Leiden, 1962, 41A, 35,9-10: «[…]
conditor uniuersitatis deus […] “Dii deorum quorum opifex idem paterque ego […]”».
32
Cf. e.g. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 3, 703b-704a: «Sunt alia per duos ordines causarum a providentia
descendentia, scilicet per ordinem causarum naturalium […] Est iterum ordo causarum in his quae descendunt a
providentia per liberum arbitrium».

8
pongono le premesse per i futuri sviluppi contenuti nelle opere di Ulrico di Strasburgo, Teodorico
di Freiberg e Bertoldo di Moosburg33.
Tra le obiezioni all’esistenza del fato vanno segnalati anche classici argomenti di matrice patristica.
Alberto menziona il noto divieto di Gregorio Magno («Absit hoc a fidelium mentibus») a credere
nell’esistenza del fato, passo citato anche in Df34. La soluzione è nella sostanza uguale in entrambi i
casi perché Alberto sostiene che ciò che Gregorio contesta è la concezione necessitaristica del
fato35.
Alberto ricorre anche al V libro del De civitate Dei, nel quale Agostino contesta la concezione
astrologica del fato inteso come «influsso della posizione degli astri al momento della nascita o del
concepimento». Secondo Agostino però il termine fato può essere ammesso nella misura in cui
designa la potenza e la volontà di Dio o, ancora meglio, l’ordine delle cause di ciò che accade,
ordine imputabile in ultima istanza alla volontà di Dio36.
Il riferimento all’ordine delle cause scagiona Agostino dall’accusa di aver reso il fato una realtà
increata. Nella soluzione alle obiezioni, Alberto osserva che nell’ordine delle cause il fato rimanda
alla provvidenza o volontà divina come alla causa primaria e prioritaria, ma significa propriamente
la disposizione influita dalla provvidenza alla serie delle cause inferiori e ai causati, tanto
nell’ordine dei processi naturali che degli eventi naturali. In quanto tale, il fato è qualcosa di
creato37. Così concepita, anche la teoria agostiniana è ricondotta allo schema boeziano-ermetico.

3. Contro Egizi e Caldei e con Tolomeo


Alberto si sofferma a lungo anche sulle posizioni degli Egizi e dei Caldei. È questo l’inizio di un
serrato confronto con il fatalismo astrale, al quale vengono contrapposte alcune teorie astrologiche
moderate, secondo le quali gli effetti degli astri sul mondo sublunare non sono necessari, ma
contingenti. Alberto erige un argine contro le derive necessitaristiche che minano la credibilità
dell’astrologia proponendo Tolomeo come teorico di una concezione antideterministica
dell’astrologia.
Secondo gli Egizi e i Caldei (solutio del membrum I) il fato è una disposizione o una qualità che,
originariamente nelle sfere celesti e nelle stelle, viene trasmessa a chi nasce. Questa disposizione
dipende da fattori astrali, come il moto, la posizione, i raggi, la congiunzione e la prevenzione delle
stelle, e impone la necessità all’ordine degli eventi naturali e a quello degli eventi volontari.
L’influsso delle costellazioni, definite dagli astrologi domus nativitatum, si esplica sia attraverso le

33
Cf. AUGUSTINUS, De Genesi ad litteram, ed. J. ZYCHA (CSEL, 28/1), Prag-Wien-Leipzig 1894, VIII, 9, 244,2-5, che
sviluppa il concetto per tutto il cap. 9: 243,25-245,9. Su Ulrico, cf. A. BECCARISI, «La “scientia divina” dei filosofi nel
De summo bono di Ulrico di Strasburgo», in: Rivista di storia della filosofia 61 (2006), 137-163: 149-151; A. PALAZZO,
«Ulrich of Strasbourg’s Philosophical Theology. Textual and Doctrinal Remarks on ‘De summo bono’, Schüler und
Meister, hrsg. v. A. SPEER, T. JESCHKE (Miscellanea Medievalia, 39), De Gruyter, Berlin-Boston, 2016, 205-242: 222-
228. A proposito di Teodorico e Bertoldo, cf. L. STURLESE, «Il “De animatione caeli” di Teodorico di Freiberg», Xenia
Medii Aevi historiam illustrantia oblata Thomae Kaeppeli O. P., a cura di R. CREYTENS, P. KÜNZLE, Roma, 1978, 175-
247: 183-201 (per Teodorico), 193-196 (per Bertoldo).
34
Cf. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 694a; ID., De fato, ed. P. SIMON, art. 1, 67,19-21; cf. GREGORIUS
MAGNUS, Homilia in Evangelia, 10, 4, ed. R. Étaix (Corpus Christianorum. Series Latina, 141), Brepols, Turnhout,
1999, 68,67-68.
35
Cf. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 696b: «Ad primum ergo dictum Gregorii dicendum […] debet esse
fatum secundo modo dictum [scil. secondo il modo degli Egizi e dei Caldei] »; ID., De fato, ed. P. Simon, art. 2, 71,18-
22.
36
Cf. ALBERTUS, Summa theol., I, tr. 17, qu. 68, 1, 694b; cf. AUGUSTINUS, De civitate Dei, edd. B. Dombart, A. Kalb
(Corpus Christianorum. Series Latina, 47), Turnhout, Brepols, 1955, V 1, 128,6-9; ALBERTUS, Summa theol., I, tr. 17,
qu. 68, 1, 694b-695b; cf. AUGUSTINUS, De civitate Dei, edd. Dombart, Kalb, V 8, 135,1-9.
37
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 697a-b: «Ad dictum Augustini dicendum, quod fatum secundum primam
acceptionem quaedam dicit sicut antecedentia, sicut homo dicit animal, et causa secundaria praesupponit primariam: et
sic fatum in cardine ordinis causarum dicit providentiam et voluntatem divinam. Sed quantum ad id quod significat,
dicit dispositionem causis secundis et tertiis et quartis et sic deinceps causatis influxam a providentia: et illa non est
voluntas divina, sed effectus voluntatis […] fatum est dispositio relicta in omnibus ordinibus causarum et effectuum
secundum ordinem naturalium et voluntarium causarum, in quibus principantur providentia Dei et voluntas».

9
qualità elementari sia attraverso le decisioni e le scelte degli agenti volontari, esercitando così la sua
forza coercitiva in ambedue i domini.

«Alio modo determinabant de fato Aegyptii et Chaldaei, qui ordinem causarum hunc mundum regentium,
stellis attribuebant: et dicebant, quod in nativitate cujuslibet, dispositio et qualitas nati et regimen consistit in
duodecim circulis et stellis positis in eis: et hunc ordinem et dispositionem relictam in natis, quae dispositio
qualitas est relicta ex motu et situ stellarum et radiatione et conjunctione et praeventione, quae necessitatem
rebus imponit, tam in naturalibus quam in voluntariis, fatum vocaverunt. […] Sic dicebat, quod qualitates
elementales quae adhaerent materiae in generatione generatorum, et voluntates et electiones quae sunt in
generatis, non movent nisi in forma et virtute constellationum, quae domus nativitatum vocantur ab
astrologis. Et quia virtus addita est nativitati, propter hoc dicebant, quod dictum fatum necessitatem imponit
et voluntariis et naturalibus»38.

Secondo Alberto questa è una concezione eretica per due ordini di motivi. Evocando il V libro del
De civitate Dei e il De natura hominis di Nemesio Emeseno, egli sostiene che il necessitarismo
astrale ha devastanti ripercussioni sulla vita sociale e sui destini ultimi dell’uomo, perché rende
superflue le leggi, i propositi, le decisioni, le pene e le ricompense ultraterrene39.
Inoltre la «qualitas stellarum» può agire solo sui corpi e sulle anime dei bruti, ma non sull’anima
umana che, creata libera ad immagine di Dio, è padrona dei propri atti e delle proprie scelte. Il
determinismo astrale è quindi sconfitto alla radice. È interessante notare il modo in cui in questo
caso Alberto si serve del concetto di inclinatio: l’anima umana può essere influenzata dagli astri,
egli sostiene, mai costretta però. Ciò è possibile nella misura in cui l’anima razionale è inclinata al
corpo per il tramite delle sue facoltà sensibili e vegetative, che sono radicate negli organi corporei.

«Talis enim stellarum qualitas trahere potest corpora, et mutare animas etiam plantarum et brutorum, sed
animam et voluntatem hominis quae ad imaginem Dei in libertate sui constituta est, et domina est suorum
actuum et suarum electionum, nec mutare nec trahere potest coactiva coactione: licet forte eatenus qua anima
inclinatur ad corpus secundum potentias quae affiguntur organis (sicut sunt potentiae animae sensibilis, et
animae vegetabilis) anima humana inclinative, non coactive, a tali qualitate trahi possit»40.

L’inclinatio ha quindi il valore di barriera contro il determinismo astrale, valore sottolineato anche
dal passo agostiniano che afferma che gli influssi astrali modificano solo i corpi, ma non i moti
della volontà41. Viceversa in altre opere, come nel De somno et vigilia, Alberto aveva evidenziato le
implicazioni deterministiche della teoria dell’inclinatio. Richiamando l’attenzione sul fatto che le
effettive capacità intellettuali della massa degli esseri umani sono limitate, Alberto aveva osservato
che solo il ristretto numero di uomini sapienti, che vivono secondo ragione, è davvero immune dai
condizionamenti fatali, mentre la maggioranza, vivendo sotto la spinta delle passioni e dei sensi,
non può non essere condizionata in maniera coattiva dalle stelle42.
Alla concezione eretica e necessitaristica degli Egizi e dei Caldei vengono contrapposti gli
argomenti di Tolomeo. Nelle risposte alle prime due obiezioni del primo membrum Alberto cita il
Centiloquio pseudo-tolemaico e il commento attribuito ad Haly, l’Almagesto e Ippocrate, quasi a

38
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 695b-696a.
39
Cf. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 696a. Cf. AUGUSTINUS, De civitate Dei, edd. Dombart, Kalb, V, 9,
137,44-48; NEMESIUS EMESENUS, De natura hominis, edd. G. VERBEKE, J.R. MONCHO, cap. 34, 133,59-63.
40
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 695b-696a.
41
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 696a-b; AUGUSTINUS, De civitate Dei, edd. Dombart, Kalb, V, 6,
133,22-134,28.
42
Cf. ALBERTUS MAGNUS, De somno et vigilia, ed. A. BORGNET (Albert Magni Opera omnia, 9), Paris, 1890, III 1 8,
189a. Sul concetto di inclinatio e le sue rilevanti implicazioni in Alberto e altri autori del XIII secolo (Bacone,
Tommaso, Ulrico), cf. T. GREGORY, «Natura e qualitas planetarum», in ID., Speculum naturale. Percorsi del pensiero
medievale (Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi, 235), Storia e Letteratura, Roma, 2007, 47-68: 61-63; ID., «I
cieli, il tempo, la storia», in ID., Speculum naturale, 69-91: 75-78; P. PORRO, «Lex necessitatis vel contingentiae.
Necessità, contingenza e provvidenza nell’universo di Tommaso d’Aquino», in: Revue des sciences philosophiques et
théologiques, 96 (2012), 401-450: 421-425; A. PALAZZO, Ulrich of Strasbourg’s, 235-39.

10
marcare la distanza tra i fautori del fatalismo astrale e due scienze predittive, l’astrologia e la
medicina, il cui protocollo operativo prevede la formulazione di pronostici su base congetturale43.
A conferma che nessuna qualità coercitiva inerisce agli enti – nemmeno alle realtà corporee –
Alberto cita il celebre aforisma del Centiloquio «homo sapiens dominatur astris» seguito
dall’aneddoto, riferito nel commento ad locum di Haly, del medico sapiente che, grazie alla sua
conoscenza dei fenomeni astrali, predispone opportunamente con cibi e medicine adeguati il corpo
del paziente al fine di indurre l’effetto desiderato44.
Le scienze predittive sono basate su segni probabili, come si evince dal De prognosticis di
Ippocrate, e in ciò rispecchiano l’organizzazione della realtà, perché l’ordine fatale è necessario
nelle stelle, ma perde inesorabilità quando inerisce come disposizione alle persone e alle cose
generate. Per questa ragione il Centiloquio pseudo-tolemaico insegna che il divinatore predice più
correttamente sulla base delle stelle seconde, ossia degli enti sublunari ai quali inerisce la
disposizione fatale, piuttosto che sulla base delle stelle in cielo, che sono lontane e i cui influssi
agiscono sulla realtà sublunare solo indirettamente e accidentalmente, come osserva Tolomeo nel
Quadripartito45.
Come si nota, molte fonti ed argomenti antideterministici citati in St.I.68 sono comuni a Df, anche
se le differenze su questo piano non mancano: i Prognostica ippocratici non sono citati in Df. In
ogni caso, le differenze sostanziali tra le due opere sono altre: in Df. il problema della conoscibilità
del fato (art. 4) rappresenta una componente di rilievo del discorso antideterministico. Accordando
all’astrologia un valore meramente congetturale e non apodittico, Alberto conferma sul piano
epistemologico la contingenza degli influssi fatali. In St.I.68, invece, il problema dello statuto
epistemologico dell’astrologia è solo accennato in una obiezione (cf. n. 45). Il cuore della critica del
determinismo sta piuttosto in lunghe analisi tecniche di concetti e teorie astrologiche contenute
negli altri tre membra.
Nel membrum II («Quid sit fatum?») il confronto con il determinismo astrale diventa più
approfondito e minuzioso. Il punto di partenza di questo confronto è la posizione degli astrologi
contro i quali polemizza Agostino nel V libro del De civitate Dei. Secondo costoro «il fato è la virtù
della posizione delle stelle nel cerchio delle nascite, la quale si determina al momento del
concepimento o della nascita, facendo conoscere la vita futura di qualcuno». Il grave limite di
questa definizione consiste nel considerare il fato un effetto delle stelle e non della provvidenza,
annullando di fatto la definizione di Boezio.

«Augustinus in libro V de Civitate Dei, contra Astronomos loquens dicit, quod “fatum secundum eos est vis
positionis vel situs siderum in circulo nativitatum, quae existente quando quis concipitur vel nascitur,
cognoscitur qualis futurus sit”. Videtur ergo quod fatum non sit effectus providentiae, sed positionis siderum:
et ita nulla est definitio Boetii»46.


43
Sul valore congetturale delle scienze predittive secondo Alberto, cf. A. FIDORA, «Divination and Scientific
Prediction: The Epistemology of Prognostic Sciences in Medieval Europe», in: Early Science and Medecine, 18 (2013),
517-35: 523-26.
44
Cf. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 696b; PS.-PTOLEMAEUS, Centiloquium, Venetiis 1493, verbum 8, f.
107vb; cf. verbum 5, f.107va; HALY, Commentum in Ptolemaei Centiloquium, verbum 5, ad loc., f.107va. Anche in Df
Alberto cita il famoso detto del Centiloquio corredato dell’esempio medico tratto dal relativo commento dello pseudo-
Haly: cf. ALBERTUS, De fato, ed. P. SIMON, art. 2, 69,68-70,4.
45
Cf. ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 1, 697a. Cf. PTOLEMAEUS, Quadripartitum, 1, 3, Venetiis 1493, f. 8vab;
PS.-PTOLEMAEUS, Centiloquium, Venetiis 1493, verbum 4, f.107rb; verbum 13 cum comm. Haly, f. 108ra: «Secunda
stellarum sunt effectus, qui fiunt in hoc mundo, scilicet in aëre, per stellas»; verbum 2, f. 107rb: «Quando eliget elector
melius […]». Il riferimento alle «stellae secundae» in chiave antideterministica compare anche altrove nel corpus
albertino: cf. e.g. ALBERTUS MAGNUS, De fato, ed. P. SIMON, art. 1, 66,50-54; ID., De animalibus, ed. H. STADLER,
Aschendorff, Münster i.W., 1916, I 2 2, 47,20-23.
46
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 698a; cf. AUGUSTINUS, De civitate Dei, edd. Dombart, Kalb, V 1,
128,13-14.

11
Come Alberto precisa nella risposta all’obiezione, la definizione degli astrologi riportata da
Agostino è imperfetta nella misura in cui esclude il primo in assoluto («simpliciter»), cioè la
provvidenza, prima di tutte le cause, dalla quale le altre cause sono regolate e mosse, limitandosi al
primo in genere, cioè alle stelle47.
Il necessitarismo astrale è presentato anche come un grave errore dei filosofi, perché l’animo umano
è costituzionalmente libero e sempre padrone di fare o non fare ciò che vuole, perché nessuna forza
esterna, che sia il fato, le stelle o la provvidenza, può sottrarre al libero arbitrio la libertà di agire o
di decidere48.
Ma è soprattutto a partire dalle ragioni degli astrologi («ex rationibus astronomorum») che Alberto
delinea la concezione naturalistica del fato, cioè l’idea che il fato non dipende dalla provvidenza,
ma dagli astri. Nell’obiezione 6, Alberto sviluppa una lunga argomentazione a sostegno del
determinismo astrale, la cui premessa è il modello ottico geometrico di spiegazione degli influssi
celesti. Come si apprende nella scienza ottica («in Perspectivis»), configurazioni astrali diseguali,
trasmettendo raggi di forma diversa, influiscono qualità differenti negli enti generati nel mondo
sublunare. Il libro Sugli specchi descrive gli effetti, variabili a seconda dell’angolo di tangenza, che
un raggio produce sugli enti materiali, compresi i corpi degli esseri animati49. Pertanto la diversità
delle complessioni corporee deriva integralmente dalla posizione delle stelle50.
Alberto sposta quindi il discorso sugli esseri umani, contraddistinti dalla capacità di operare scelte
volontarie. Secondo Socrate tutte le scelte volontarie sono compiute secondo la diversità degli abiti
preesistenti in chi opera la scelta, ove per abito, come è chiaro dagli esempi che seguono, si intende
non la disposizione che si produce a seguito della ripetizione di un atto, ma la predisposizione
naturale derivante dalla complessione corporea, predisposizione che induce un individuo a operare
determinate scelte e compiere determinati atti. Dato che la scelta è una conseguenza dell’abito, e gli
abiti dipendono dalle stelle, la conclusione del ragionamento è che le scelte umane variano al

47
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 700b: «[…] dicendum quod Philosophi non acceperunt fatum secundum
perfectam sui definitionem: quia […] ordinem causarum non deduxerunt usque ad primam et principem causam
omnium, cujus nutu et voluntate et ordinatione et dispositione omnes aliae regulantur et moventur et agunt: et ideo
totum esse fati non consideraverunt, sed reduxerunt in primum ordinem causarum corporalium: et hoc est primum in
genere, et non simpliciter».
48
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 701a: «Et in hoc nihil errabant: sed errabant vehementer in hoc, quod
dixerunt, quod illae dispositiones et ordines motuum coelestium et stellarum imponerent necessitatem ad gerenda: ut
quaecumque quis ageret, de necessitate fati et coactione faceret: cum non necessitati subdatur animus hominis, cum
semper liber sit et dominus actuum suorum: quia in ipso est facere quod vult, vel non facere, et non in fatis vel in stellis
vel etiam providentia: eo quod nec fatum nec stellae nec etiam providentia a libero arbitrio aufert libertatem agendi
quod vult et arbitrandi. Unde hic fuit error, quod sic ponebant fatum esse, quod rebus fatalibus necessitatem imponat».
49
Nel corpus albertino compaiono altri riferimenti alla scienza ottica (Perspectiva) in contesti analoghi. Nel De natura
loci, ad esempio, la divisione della terra in cinque aree, due abitabili e tre inospitali, è spiegata come una conseguenza
del diverso grado di tangenza dei raggi solari sulla superficie terrestre: cf. ALBERTUS MAGNUS, De natura loci, ed. P.
HOßFELD (Alberti Magni Opera omnia. Editio Coloniensis, 5,2), Aschendorff, Münster i.W., 1980, I 6, 10,33-37: «cum
enim omnis radius incidens reflectatur ad parem sive aequalem angulum, oportet necessario, quod radius incidens alicui
terrae perpendiculariter in seipsum reflectatur. In seipsum reflexus radius causat adustionem, sicut probatur in
Perspectivis». Nel De caelo Alberto attribuisce esplicitamente un’opera ad Euclide: cf. ID., De caelo et mundo, II 3 1,
143,29-32: «in libro, quem Euclides de talibus speculis in scientia perspectiva conscripsit». Il libro degli specchi è stato
identificato con i Catoptrica pseudo-euclidei: cf. ALBERTUS MAGNUS, De natura loci, ed. HOßFELD, n. ad ll. 37-38. Sul
modello ottico geometrico applicato alle influenze astrali, cf. D. RUTKIN, «Astrology and Magic», 462, 472-76.
Sull’ottica geometrica nelle prime opere di Alberto, con riferimenti alle fonti, cf. H. ANZULEWICZ, «Perspektive und
Raumvorstellung in den Frühwerken des Albertus Magnus», in: Raum und Raumvorstellungen im Mittelalter, hrsg. v.
J.A. Aertsen, A. Speer (Miscellanea Mediaevalia, 25), de Gruyter, Berlin-New York, 1998, 249-86: 252-67.
50
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 698b: «Adhuc etiam videtur hoc ex rationibus Astronomorum. Negari
enim non potest, quod sidera per figuras positionis suae radiationes diversarum figurarum loco generationis influant.
Nec negari potest, quod in Perspectivis probatum est, quin radiationes diversarum figurarum diversas qualitates
imprimant generatis. Demonstratum est enim in libro De speculis, quod radius reflexus in seipsum elicit ignem, et in
nato propter hoc facit furens incendium et nigredinem, ut in Aethiope. Reflexus ad angulum acutum, calorem facit, non
tamen incendium. Reflexus ad angulum hebetem sive expansum, propter privationem caloris si non sit multum
expansus, facit temperatum. Si autem sit multum expansus, frigus inducit et humidum. Et sic videtur, quod in
corporibus secundum complexiones tota diversitas sit a stellarum positione».

12
variare delle posizioni degli astri e degli abiti51. Il lungo ragionamento di Alberto, scandito in due
parti, sfocia in una forma di determinismo radicale.
Nella lunga obiezione 7 Alberto descrive, attraverso una serie di esempi, gli effetti degli astri sulle
complessioni e sulle scelte umane. Si tratta di un repertorio di casi, tratto dalla letteratura
astrologica, che ben illustrano l’influsso delle stelle sulle concrete vicende umane. La sfera di
Mercurio, ad esempio, agisce sull’umido che può essere commisto per formare enti misti e
complessionati e determina le scelte che conseguono da tali abiti. Pertanto coloro che sono nati
sotto l’influsso di Mercurio scelgono le attività dei mercanti, che esercitano vari negozi («miscent
negotia»), e perseguono erranti i guadagni52.
L’esordio dell’obiezione contiene un’affermazione problematica, perché iscrive anche il
Quadripartito di Tolomeo all’interno di questa prospettiva.

«Adhuc, Hoc modo descriptus est totus liber qui dicitur Quadripartitum Ptolemaei, in quo ostenditur qualis
quisque futurus sit in figura et complexione corporis et electione voluntatis, ex positione astrorum in circulis
nativitatis»53.

Ciò contrasta con la consueta rappresentazione di Tolomeo come campione di una concezione
antideterministica. Secondo Alberto, l’obiezione 7 si riferisce alla genetliaca. Questa forma di
astrologia sarebbe tramandata nella prima parte del Quadripatito, che tratterebbe degli eventi degli
enti che si generano in generale («communiter»). Gli astrologi deterministi avrebbero quindi errato
non a causa dell’esercizio della genetliaca, ma perché fuorviati dalla convinzione che le
disposizioni trasmesse dalle stelle fossero coattive. L’approccio generale («communiter») della
trattazione tolemaica lasciava invece intatta la sfera della contingenza, garantendo all’uomo di poter
operare scelte divergenti dalla forma abituale. Tolomeo risulta così scagionato dal sospetto di aver
fornito giustificazione teorica al fatalismo astrale. Rimane però il problema storico relativo alla
fonte tolemaica: la genetliaca è trattata da Tolomeo nelle parti 3 e 4 del Quadripartito. A cosa fa
esattamente riferimento Alberto quando menziona la prima parte dell’opera di Tolomeo?

«Ad aliud dicendum, quod illa sunt principia ex quibus prognosticantur Astronomi, et secundum quod scripta
est scientia genethliacorum, quae traditur in Quadripartito quantum ad primam partem ejus, quae est de his
quae accidunt generatis communiter. Sed peccatum est in hoc, quod dispositiones habituales influxas a stellis
dicunt necessitatem imponere rebus et electionem, cum non possit hoc convenire formae habituali quae per
aliud et per accidens est in rebus, ut iam patuit ex verbis Ptolemaei»54.

È soprattutto nella soluzione dell’obiezione 6 che Alberto espone tutta una lunga teoria di
argomenti antideterministici. All’articolato ragionamento di stampo deterministico svolto in
quell’obiezione Alberto contrappone innanzi tutto il principio formulato da Tolomeo all’inizio del
Quadripartito secondo il quale l’astrologo non deve predire secondo necessità nemmeno in
relazione ai corpi. La contrapposizione tra il necessitarismo astrale e il Quadripartito di Tolomeo


51
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 698b: «Sed dicit Socrates, quod electiones voluntatum fiunt secundum
diversitatem habituum prius existentium in eligente. Sicut phlegmaticus eligit pisces et somnum. Melancholicus de
melancholia adusta, eligit amara, tetra, et tristia. Sanguineus Jovis habens complexionem, pulchra et laeta eligit.
Cholericus Martis sequens complexionem, eligit acuta et feracitates et audacitates sive animositates. Et sic de omnibus
dicit Socrates, quod semper electio secundum habitum est: et cum habitus sint a stellis, eo quod in aliud causans
primum non possunt reduci, quod sit causans in genere et coordinatione causantium naturaliter, videtur quod electiones
variantur secundum positiones astrorum et habitus». Per un’efficace e sintetica formulazione del necessitarismo astrale
cf. 699b: «Et six (recte sic) ex stellis et formis habitualibus ex positione siderum impressis, causant et ordinant natorum
esse, operationes, vitam, et electiones, et formant durationis quantitatem». Su Socrate, cf. ALBERTUS, Ethica, ed. A.
BORGNET, IX, 9, 1, 571b: «Electio enim et appetitio boni, sicut dixit Socrates, secundum habitum est : tunc enim eliget
ad habitum quo alius factus est, convenientia».
52
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 699a.
53
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 698b-699a. Il riferimento è ai libri tre e quattro del Quadripartitum.
54
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 702a.

13
ricalca lo schema argomentativo del membrum I. La contingenza della realtà terrestre è garantita in
secondo luogo da un altro concetto tolemaico, che Alberto non perde occasione di enunciare nelle
sue opere: il potere delle stelle è trasmesso indirettamente («per aliud») e accidentalmente («per
accidens»). Come in Df, Alberto premette alla legge tolemaica il principio che ciascuna cosa è
ricevuta secondo la potenza di ciò che riceve. Per questa ragione il potere delle stelle («vis
stellarum»), quando non è più nelle stelle, sarà alterato dal medio in cui si trova. Inoltre la «vis»
delle stelle è causata nelle realtà inferiori non «per se», ma accidentalmente, perché deriva dalla
relazione dell’ultimo causato tra le realtà inferiori con la prima causa nel genere delle cause
corporee tra i superiori55. L’ultimo argomento addotto da Alberto nella risposta all’obiezione 6 fa
leva sull’utilità dell’astrologia. Se gli effetti degli astri non fossero contingenti, l’astrologia sarebbe
inutile perché non sarebbe possibile evitare i mali previsti né favorire i beni. A sostegno Alberto
cita l’importante astrologo Messallach, secondo il quale l’effetto del circolo celeste («alatir») è
coadiuvato dall’uomo competente proprio come la terra è portata a produrre frutti con la semina e
l’aratura. Dimostrando che il fato non impone la necessità sugli enti coporei, tutti gli argomenti fin
qui esposti rispondono alla prima metà del ragionamento svolto nell’obiezione 6. Se è vero che il
mondo materiale non è sottomesso alla necessità, tanto meno possono esserlo l’animo umano e il
libero arbitrio, chiosa Alberto alla fine della risposta, una chiosa che vale come risposta a Socrate,
che, nella seconda parte del ragionamento dell’obiezione 6, sosteneva che le scelte volontarie
dipendono dalle stelle56.

55
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 701b: «Ad id quod objicitur de rationibus Astronomorum, dicendum
quod in veritate ex talibus principiis dicunt quod dicunt. Tamen Ptolemaeus in principio Quadripartiti dicit, quod
Astronomus nihil quasi de necessitate fatorum etiam in corporibus debet dicere, et assignat duas causas. Una est, quod
vis stellarum non per se, sed per aliud venit ad inferiora. Est autem per se notum et a Philosopho in libro De causis, et in
VI Ethicorum dictum, quod omne quod est in aliquo, est in eo secundum potestatem ejus in quo est. Unde vis stellarum
in medio existens, est in medio secundum potestatem medii et non secundum potestatem quam habet quando est in
stellis sive in coelis: et ideo non venit ad inferiora, nisi alterata a virtute medii. Alia causa est, ut dicit, quia talis virtus
stellae non fit in inferioribus per se, sed per accidens. Si enim fieret per se: tunc esset ab aliqua causarum per se: et sic
esset vel ab efficiente per se, vel a forma per se, vel a per se materia, vel a per se fine. Constat, quod nihil horum est.
Relinquitur ergo, quod sit per accidens, hoc est, ex relatione ultimi causati in inferioribus, ad primum causans in genere
causarum corporalium in superioribus. In omni autem tali ordine causarum, licet secundum moveat virtute primi, et
tertium virtute primi et secundi, et sic deinceps: tamen primum modum causalitatis propriae non aufert a secundo, nec
primum et secundum a tertio: et sic fit, quod licet vis stellarum immobilis sit in stellarum positione, tamen in
inferioribus in quibus per accidens est, efficitur mobilis et mutabilis». Si tratta dello capitolo del Quadripartitum (1, 3)
citato alla nota 45. È interessante notare il fatto che in Df Alberto dia un’altra interpretazione di «per aliud» e «per
accidens». La vis stellarum incide sugli enti sublunari «indirettamente», cioè attraverso la mediazione delle qualità
elementari, e «accidentalmente», perché le accade di trovarsi nell’essere di enti generabili e corruttibili. Ciò spiega
perché diventa contingente: cf. ALBERTUS, De fato, ed. P. SIMON, art. 2, 69,32-42. Per ciò che riguarda le fonti citate da
Alberto nel passo della Summa sopra trascritto, cf. Liber de causis, ed. A. Pattin, §9 (10), 99, in: Tijdschrift voor
Filosofie, 28 (1966), 160,46-49: «aliqua ex rebus non recipit quod est supra eam nisi per modum secundum quem potest
recipere ipsum, non per modum secundum quem est res recepta»; quanto all’Ethica, Alberto interpreta molto
liberamente un passo (ARIST., Eth. Nic. VI 13, 1144b33-35) già citato in relazione alla contingenza degli influssi fatali
anche nel De fato: ALBERTUS, De fato, ed. P. SIMON, art. 2, 69,1-3.
La risposta all’obiezione 8 sintetizza i due argomenti usando a conferma della contingenza dell’influsso fatale un passo
del De insomniis di Aristotele, che è un altro luogo topico all’interno di questo contesto dottrinale: cf. ALBERTUS,
Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 702a: «Ad aliud dicendum, quod in veritate primum in genere in ordine talium
causarum movens, stellae sunt: et verum est, quod secundum movet virtute primi: sed cum forma primi et virtus in
secundo est secundum modum et potestatem secundi et non primi, ideo in secundo non habet necessitatem quam habet
in primo. Et hujus satis exemplum dat Aristoteles in libro de Somno et vigilia, dicens quod primae causae sunt sicut
principales consiliarii principis, qui ordinatissima secundum rationes legum dant consilia, quae tamen propter res quae
proximae sunt negotiis, et circumstant ea, aliquando non congruunt: et ideo ex inferioribus causis mutantur. Et quod
dicit Socrates, quod electiones sunt secundum habitus, intendit habitus inclinantes, et non cogentes» (il corsivo è mio);
cf. ARIST., De insomn., 2, 463b26-28, transl. vetus, ed. H.J. DROSSAART LULOFS, 40,10-16: «et multa consulta bene,
quae fieri expediebat, dissoluta sunt propter alias digniores incohationes» Il passo del De insomniis è citato da Alberto
in varie opere: cf. e.g. ALBERTUS, De fato, ed. P. SIMON, art. 3, 72,8-16; ALBERTUS, De somno et vigilia, ed. A.
BORGNET, III, 2, 5, 202b.
56
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 2, 701b-702a: «Nisi enim sic esset, ipsa etiam scientia astrorum esset
inutilis: quia mala praevisa in eis impediri non possent, nec bona promoveri. Propter quod etiam Messeallach

14
Nel membrum III («Cujus sit fatum?») Alberto solleva esplicitamente la questione del fatalismo
astrale («quaeritur, Si ipsum fatum imponat necessitatem?»). Il primo argomento contro il
determismo è di carattere filosofico e fa leva sulla distinzione tra cause universali (provvidenza e
fato) e cause subordinate e prossime. Le cause contingenti, come il libero arbitrio, sono cause
prossime la cui efficacia non viene annullata dalle cause superiori. Per questo gli effetti delle cause
contingenti, pur essendo subordinati anche alla provvidenza e al fato, sono di natura contingente57.
Il secondo argomento consiste nella corretta interpretazione della definizione ciceroniana di fato
come «ordine determinato delle cause («certus ordo causarum») per il quale tutto ciò che accade è
destinato che accada», una concezione che non lascia niente in nostro potere e annulla il libero
arbitrio58. Mentre contro questa definizione Agostino non nega l’ordine delle cause, ma all’interno
di quest’ordine attribuisce alla volontà divina il massimo potere 59 , secondo Alberto bisogna
distinguere due sensi di «certus ordo causarum». Se con questa espressione Cicerone si riferisce alla
certezza nell’essere dell’ordine («certitudo in esse ordinis»), cioè al fatto che tutte le cause
appartengono a una serie ordinata, allora le cause contingenti rimangono contingenti senza perdere
la loro efficacia, anche se sono subordinate alle cause necessarie. In questo primo caso il «certus
ordo causarum» è perfettamente compatibile con la contingenza. Se la certezza è invece una
modalità dell’azione del causare («certitudo in causando»), allora il «certus ordo causarum» implica
il necessitarismo, perché solo le cause necessarie causano con certezza («certe»)60.
Come si arguisce da quanto si è fin qui esposto, la polemica contro il fatalismo astrale costituisce
una parte centrale delle riflessioni sul fato in St.I.68. Nel momento in cui compone la concezione
boeziana con quella ermetica – concezioni che rappresentavano due distinti e opposti punti di vista
in Df 61–, nel momento in cui cioè il fato boeziano, strumento di cui la provvidenza divina si serve
per connettere e ordinare le cose nello spazio e nel tempo, viene reinterpretato come heimarmene,
che nell’Asclepius è la catena necessaria delle cause, Alberto sente il bisogno di fugare ogni dubbio
sul determinismo implicito nella propria teoria. Da qui la sua polemica contro i fautori del fatalismo
astrale, una polemica sostenuta sul piano teologico e filosofico ma soprattutto sul piano scientifico,
analizzando criticamente le teorie degli astrologi deterministi.


praecipuus in astris, dicit quod Alkir, hoc est, circulus coelestis, studio periti viri juvatur ad effectum, sicut juvatur terra
ad fructum seminatione et aratione. Et si corporibus non imponant necessitatem, constat quod nec animo hominis, nec
libero arbitrio». Messehallach: cf. PS.-PTOLEMAEUS, Centiloquium, verbum 8, f.107vb: «Anima sapiens ita adiuvabit
opus stellarum, quemadmodum seminator fortitudines naturales». Lo stesso passo è citato a fini antideterministici in
ALBERTUS, De fato, ed. P. SIMON, art, 70,23-26.
57
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 3, 705ab: «Et hujus causam assignat Boetius, scilicet quia nec providentia
nec fatum sunt tota causa eorum quae subjacent eis: sed sub fato et providentia sunt causae contingentes, ut liberum
arbitrium, quae sunt verae causae et proximae eorum quae fiunt, a quibus providentia et fatum modum causalitatis non
tollit: et ideo quae fiunt ab ipsis, contingenter fiunt, quando respectu ejusdem sunt providentia et fatum et liberum
arbitrium».
58
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 3, 703b: «[…] et tunc tenet objectio Tullii quam ponit Augustinus in libro
V De civitate Dei, sic: “Si certus est ordo causarum, quo fit omne quod fit: fato fiunt omnia quae fiunt. Quod si ita est,
nihil est in nostra potestate, nullumque est arbitrium voluntatis”»; cf. AUGUSTINUS, De civitate Dei, edd. Dombart,
Kalb, V, 9, 132,41-43.
59
AUGUSTINUS, De civitate Dei, V 9, edd. Dombart, Kalb, 138,83-89.
60
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 3, 705b: «Ad objectionem Tullii quam ponit Augustinus in libro V De
civitate Dei, et Gregorius Nyssenus in ultimo cap. De homine, dicendum quod cum dicit: Si certus est ordo causarum,
quod tunc sequuntur inconvenientia quae inducit: dicendum, quod dupex est certitudo causarum, scilicet certitudo in
esse ordinis, et certitudo in causando. Primo modo certus est ordo causarum, et nihil sequitur inconveniens: quia sic
contingens remanet contingens, et necessarium necessarium, et neutrum alteri praejudicat: quamvis contingens sit sub
necessario, sicut vult Aristoteles in II Peihermenias, et in libris Primae Philosophiae. Certitudine autem in causando
non est certus ordo causarum, nisi in causis necessariis: quod enim contingenter causat, non certe causat. Et verum est
quod si hoc modo esset certus ordo causarum, sequerentur inconvenientia quae infert Tullius et alii negantes
providentiam».
61
Cf. A. PALAZZO, «The Scientific Significance of Fate», 57. Sulla ricezione di Df cf. K. EMERY, JR., «Fate, Providence
and Predestination in the Sapiential Project of Denys the Carthusian», in: Fate, Providence, ed. by P. D’HOINE, G. VAN
RIEL, 617-35: 623-26, 631.

15
4. L’effetto della vis stellarum sul nato: la fortuna
Nel quarto e ultimo membrum di St.I.68 Alberto si interroga sull’impatto del fato sul singolo. È il
problema della «fortuna», cioè della qualità naturale trasmessa al nascituro dalle configurazioni
astrali e che inciderà sul decorso favorevole («eufortunium») o sfavorevole («infortunium») della
sua esistenza. Anche questo tema, che non era stato affrontato in Df, ma era stato già stato discusso
nell’Ethica62, viene adesso approfondito nei suoi risvolti astrologici.
Come il fato, anche la fortuna è considerata da Alberto come un concetto equivoco. Secondo una
prima definizione la fortuna è l’intera disposizione influita alle cose mobili secondo tutto l’ordine
delle cause, prime, mediane e prossime, per mezzo del quale ciascuna cosa è connessa nel suo
debito ordine. Di fatto questa è la definizione boeziana di fato con l’aggiunta del riferimento
all’ordine ermetico delle cause. La prima accezione di fortuna corrisponde quindi alla concezione
boeziano-ermetica di fato già illustrata da Alberto nei primi due membra. Così intesa, chiosa ancora
Alberto, la fortuna coincide con il fato.

Aliquando dicitur fortuna tota dispositio a providentia influxa rebus mobilibus secundum totum ordinem
causarum primarum, mediarum, et proximarum, qua unumquodque debito nectitur ordine: et sic fortuna
sumitur a Platone, et convertitur cum fato63.

Nelle risposte alle obiezioni Alberto delinea più precisamente i contorni del rapporto tra la fortuna e
il fato. Anche se diversi, il fato e la fortuna si riferiscono agli stessi effetti. Rifacendosi liberamente
a Nemesio, Alberto ravvisa che è corretto l’ordine gerarchico delle cause istituito da Platone e
Socrate. Secondo questo ordine la provvidenza è prima, il fato è subordinato come la parte al di
sotto del tutto, e la fortuna è subordinata al fato. Tutto ciò che invece sfugge a un ordine certo delle
cause, come le nostre scelte che sono contingenti, non sottostà alla provvidenza, al fato e alla
fortuna64.
Nella seconda accezione, che è marcatamente astrologica, la fortuna è la disposizione o la virtù o il
potere che deriva dalla posizione delle stelle nel circolo della nascita. Dalla nascita tale potere
inerisce al nato e lo spinge a scelte dall’esito buono o cattivo durante tutto il corso della vita.

«Aliquando autem fortuna dicitur dispositio vel virtus sive potentia innata ex positione siderum in circulo
nativitatis, et per nativitatem inhaerens nato, et movens eum ut impetum faciat ad successus electionum
bonos vel malos per totam vitam. Et sic Astronomi ponunt fortunam. Unde in circulo nativitatis partem
fortunae inveniunt, et omnem stellam coeli ad circulum nativitatis reducunt»65.

Come la definizione del fato degli Egizi e dei Caldei, anche la definizione della fortuna proposta
dagli astrologi è una forma di determinismo radicale, perché fa dipendere dalla configurazione
astrale che si verifica al momento della nascita le sorti di tutta la vita futura di chi nasce.
Per meglio chiarire il modo in cui va intesa questa definizione, in particolare come ogni stella può
essere ricondotta al circolo della natività, Alberto fornisce precisazioni di carattere lessicale del
concetto di «signum» zodiacale, attingendo largamente alla letteratura astrologica. Non è il caso di
indugiare sulle sottili distinzioni poste da Alberto. Ciò che conta è la tesi di fondo, e cioè che tutti i
nati sono sottoposti all’effetto necessario della virtus stellarum. Il punto del mondo sublunare sul
quale si esercita l’effetto degli astri è secondo Tolomeo il centro nel quale si raccoglie la virtù delle

62
Cf. A. PALAZZO, «Albert the Great’s doctrine of fate», 90-92.
63
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 707b. Il riferimento a Platone è ricavato dal De natura hominis di
Nemesio Emeseno. Quest’opera, liberamente reinterpretata da Alberto, è alla base della prima accezione di fortuna.
64
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 709ab, speciatim: «In hoc tamen convenienter dixerunt, quod
providentiam in ordine causarum primam posuerunt et principantem, et fatum sub ipsa sicut partem sub toto et fortunam
sub fato. Unde non sequitur, quod fortuna sit fatum, licet sit ad idem. Ad hoc enim quod fatum est universaliter, ad hoc
est fortuna particulariter. […] haec enim tria, scilicet providentia, fatum, et fortuna, sub certo ordine causarum: et quae
certum ordinem causarum effugiunt, sub nullo illorum sunt. Quae autem sunt in nobis, sicut sunt electiones nostrae,
certum ordinem causarum effugiunt: eo quod possibilia sunt aliter esse».
65
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 707b.

16
stelle e il centro varia da individuo a individuo66. Per questa ragione nessuno dei nati è nel
medesimo segno di un altro e così il decorso dell’esistenza di ciascun individuo è unico. Inoltre dato
che la lunghezza e larghezza dei nati nei diversi climi non sono mai identiche, due nati non hanno
mai il medesimo periodo circolare, anche se sono gemelli nello stesso utero67.
È proprio in relazione all’effetto dei segni astrologici sugli eventi inferiori che gli astrologi
distinguono il fato dalla fortuna. Il fato è infatti il potere delle stelle («vis stellarum») considerato
nei segni del cielo e nei mezzi che che lo trasmettono e nelle cause prossime che alterano la materia
delle cose generabili. La fortuna è una disposizione abituale che dipende da tutte queste cause e
inerisce al nascituro e può essere favorevole («eufortunium») o sfavorevole («infortunium»)68.
Anche nell’Ethica Alberto si era occupato di precisare i rapporti tra il fato e la fortuna,
individuando di fatto una gerarchia tra queste due disposizioni: la medesima qualità era detta
fortuna quando inerente al nato, fato quando infusa in tutta la connessione delle cause, costellazione
in quanto è nei motori superiori ed è causata nei circoli celesti dai diversi fattori astronomici69.
Di fronte ai risvolti antropologici del determinismo astrologico Alberto non nega che la fortuna o il
fato abbiano un impatto sulla libera facoltà umana di scegliere. Sottolinea però che il potere
dell’ordine delle cause produce una disposizione che inerisce ai nati e questa disposizione inclina a
scegliere questo o quello70. Si tratta quindi solo di inclinazione, e non di determinazione. La teoria
degli astrologi non terrebbe conto di questa fondamentale distinzione.
Ma da dove nasce il determinismo astrologico? La risposta di Alberto è interessante perché
evidenzia il fraintendimento alla base della posizione degli astrologi. Secondo questi ultimi la
necessità e la certezza della catena fatale, e quindi della fortuna, rispecchia il moto regolare e
uniforme dei corpi celesti, un’idea orribile, che non tiene conto di tutte le considerazioni svolte in
precedenza da Alberto sulla ricezione mediata degli influssi astrali71.
Dietro questa affermazione se ne cela un’altra assai più pericolosa: la catena necessaria delle cause
deve innervare la realtà perché altrimenti non si darebbe la regolarità dei processi naturali e sarebbe
quindi impossibile ogni forma di previsione. In altri termini, è per salvaguardare la certezza delle
predizioni astrologiche, basate sul regolare movimento degli astri, che gli astrologi deterministi
postulano la trama necessaria dei nessi fatali. Anche Alberto ritiene che la scienza si deve fare a
partire dagli influssi fatali che si dispiegano attraverso la catena delle cause; a differenza degli
astrologi deterministi, Alberto sottolinea però il ruolo svolto dalle cause prossime, che mediano,
alterano, amplificano, riducono, favoriscono, ostacolano, in una parola interferiscono con l’azione
degli astri.
Il fatalismo astrologico si manifesta in tutta la sua radicalità soprattutto nella teoria stoica dei cicli
cosmici ricorrenti al ripresentarsi delle medesime configurazioni astrali. Alberto cita un noto passo
di Nemesio Emeseno72, che sintetizza alcuni elementi cratteristici di questa dottrina: conflagrazioni


66
H.D. RUTKIN, Sapientia Astrologica, 80-91, esamina il modello ottico-geometrico delle influenze astrali descritto nel
De natura loci secondo il quale le peculiari proprietà di ciascun luogo sulla terra dipedono da una determinata
configurazione celeste o orizzonte.
67
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 707b-708b. La tesi di fondo del determinismo astrale, e cioè che al
momento del concepimento o della nascita nel centro di ogni individuo si concentra la virtù delle stelle determinandone
l’esistenza futura, era oggetto di aspro dibattito. L’argomento dei gemelli, che, concepiti o nati sotto la stessa
configurazione astrale, hanno poi vicende biografiche diverse o opposte (per esempio Caino ed Abele), era largamente
diffuso nella polemica contro il determinismo astrale e in generale contro l’astrologia. Alberto vi ritorna più volte sulla
scorta del De civitate Dei di Agostino.
68
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 708b.
69
ALBERTUS, Ethica, ed. A. Borgnet, I 7 6, 116a.
70
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 710a: «[…] habitus autem et dispositio inhaerens generatis sive natis, est
ex vi ordinis causarum, et illa dispositio inclinat voluntatem ad eligendum hoc vel illud: et sic est primum movens
fatum et fortuna».
71
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 708b: «Addunt etiam, quod maxime horribile est, quod quia talis ordo
causarum certus est, fundatus motu regulari et uniformi coelestium, ideo certus et necessarius est cursus fati, et etiam
cursus fortunae. Unde Homerus: “Inveniunt sibi fata viam”. Et hoc contra fidem, sicut patuit in praecedentibus de fato».
72
NEMESIUS EMESENUS, De natura hominis transl. Burgundionis, edd. G. VERBEKE, J.R. MONCHO, cap. 37, 142,62-75.

17
e distruzioni si susseguono ciclicamente ognivolta che i pianeti assumono nuovamente le posizioni
che avevano originariamente quando il mondo è stato costituito; tutto è predeterminato al punto che
a ogni distruzione fa seguito ogni volta il medesimo universo, popolato dagli stessi individui e dalle
stesse città; gli dei, che sono sottratti alla corruzione mortale, avendo conosciuto un periodo,
conosoceranno sulla base di quello le cose che accadranno nei periodi successivi, perché non
accadrà nulla di nuovo rispetto a quanto sarà già accaduto. La durata di un ciclo è trentaseimila
anni, periodo che corrisponde al Grande Anno73. La dottrina del Grande Anno, teorizzata tra gli altri
da Aristotele, fu osteggiata prima dai Padri della Chiesa e poi dai pensatori del Medioevo74. Fu tra
le tesi condannate nel 1277 dal vescovo Tempier, proprio per il suo carattere deterministico e per le
limitazioni poste alla libertà di Dio di intervenire nell’ordine naturale75. La presa di posizione di
Alberto si inquadra entro questo contesto, ma meriterebbe un’analisi più ampia, tale da rendere
conto di quella che appare come una contraddizione. Se è vero infatti che il teologo domenicano,
contro la pretesa di predizioni astrologiche certe, fa proprio l’argomento tolemaico secondo il quale,
non riproducendosi mai esattamente le stessi configurazioni astrali, gli influssi fatali sulla terra non
saranno mai identici76; dall’altra parte non si può negare la rilevanza che Alberto attribuisce alla
dottrina delle grandi congiunzioni come modello di spiegazione di fenomeni fisici di carattere
catastrofico77. Nel passo della Summa che stiamo esaminando questa contraddizione non emerge. È
degno di nota però il fatto che, pur criticando dal punto di vista della fede la teoria delle distruzioni
ricorrenti («Et hoc contra fidem»), Alberto ometta l’argomento di carattere teologico, cui Nemesio
Emeseno ricorre, e che è adottato anche da altri autori cristiani, e cioè che il Grande Anno con la
sua periodica inesorabile ripetizione è in contrasto con la linearità della storia della salvezza,


73
ALBERTUS, Summa theol. I, tr. 17, qu. 68, 4, 708b-709a: «Unde Gregorius Nyssenus in libro De homine: “Stoici aiunt
restitutos planetas in idem signum secundum longitudinem et latitudinem, ubi in principio unusquisque erat cum
primum mundus constitutus est, in dictis temporum circumitionibus incendium et corruptionem eorum quae sunt,
perpetrari, et rursus a principio in eumdem mundum restitui, et rursus unumquodque astrorum in priore circumitione
figens secundum longitudinem et latitudinem indissimiliter alium mundum perfici. Futurum enim rursus esse Socratem
et Platonem et unumquemque hominem cum eisdem et amicis et civibus, et eadem suadere, et cum eisdem colloqui, et
omnem civitatem et municipium et agrum similiter instaurari ut prius”. Addunt etiam “deos”, sive corporeos, sive
incorporeos, sive coelestes, sive terrestres, sive infernales, “qui non subjiciuntur corruptioni huic quae mortalium est,
cum assecuti fuerint unam circumitionem, hoc est, perfecte cognoverunt, ex hac cognoscere omnia quae sunt futura in
his quae deinceps sunt circumitionibus. Nullum enim extraneum futurum esse dicunt, praeterquam ea quae facta sunt
prius, sed omnia similiter et immutabiliter esse in una circumitione sicut in alia etiam usque ad minima”. Tempus autem
unius circumitionis dicunt esse triginta sex millia annorum quod vocant magnum annum, in quo sicut dicit Aristoteles in
primo Primae Philosophiae, dii coelestes jurejurando confirmaverunt ad idem principium circumitionis se redituros, et
similem circumitionem ut prius se perfecturos. Et quia sic fatum et fortunam in diis coelestibus radicaliter posuerunt,
ideo fatum et fortunam pro diis colebant supplicationibus et sacrificiis». G. DE CALLATAŸ, Annus Platonicus. A Study of
World Cycles in Greek, Latin and Arabic Sources, Université Catholique de Louvain – Institut Orientaliste, Louvain-la-
Neuve, 1996, 58-66, commenta il passo di Nemesio e alcuni frammenti stoici relativi alla dottrina delle distruzioni
cicliche. Lo studio de Callataÿ ha il merito di delineare più nettamente i contorni della dottrina del Grande Anno nel
contesto variegato e complesso di temi e motivi, spesso intrecciati e fusi tra loro, relativi a calamità cicliche e rinascite.
74
Cf. ARIST., Metaph., XII 9, 1074b,10-12; Meteora, I 3, 339b27-29; De caelo, I 3, 270b19-20; Pol., VII 9, 1329b25-
27. Cf. G. DE CALLATAŸ, Annus Platonicus, 32-42 (su Aristotele teorico del Grande Anno) e 88-97, 183-211 (per ciò
che concerne la Patristica e il Medioevo).
75
La condamnation Parisienne de 1277. Texte latin, traduction, introduction et commentaire par D. PICHÉ, Vrin, Paris
1999, 80, 6[92]: «Quod redeuntibus corporibus celestibus omnibus in idem punctum, quod fit in xxx sex milibus
annorum, redibunt idem effectus qui sunt modo». Cf. R. HISSETTE, Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7
mars 1277, Publications Universitaires–Vander-Oyez, Louvain-Paris, 1977, 157-60; E. GRANT, «The Condemnation of
1277, God’s Absolute Power, and Physical Thought in the Late Middle Ages», in Viator. Medieval and Renaissance
Studies, 10 (1979), 211-44: 238-39.
76
ALBERTUS MAGNUS, Super Dionysium De divinis nominibus, ed. P. Simon (Alberti Magni Opera omnia. Editio
Coloniensis, 37,1), Aschendorff, Münster i.W., 1972, 4, n.49, 155,20-41. Cf. PTOLEMAEUS, Quadripartitum, Venetiis,
1493, 1, 2, f. 4vb.
77
Cf. A. PALAZZO, «Astrology and Politics: The Theory of Great Conjunctions in Albert the Great», forthcoming.

18
scandita in momenti irripetibili come la Resurrezione, Incarnazione, ecc.78 Questa omissione può
valere come una conferma dell’approccio preminentemente filosofico scelto da Alberto in St.I.68.
Ai teologi (in particolare al V libro De civitate Dei di Agostino, all’Omelia sull’Epifania di
Gregorio Magno e al De natura hominis di Nemesio Emeseno) Alberto ricorre solo nella misura in
cui questi discutono del fato in termini filosofici e da loro trae concetti, problemi e dottrine
filosofici.
L’unica questione propriamente teologica trattata in St.I.68 è se il corpo e l’anima di Cristo siano
subordinati alla fortuna. Il tema, apparentemente solo teologico, non è privo di valore filosofico,
perché la questione è un caso speciale dell’azione della vis stellarum e rimanda ai condizionamenti
cui è sottoposta l’umanità, alla quale anche Cristo, incarnandosi, appartiene. La risposta di Alberto
è che Cristo non soggiacque alla fortuna. In quanto creatore della disposizione che è nelle cose, per
ciò che concerne l’ordine delle cause o la collocazione delle stelle, non può essere subordinato a
questa disposizione. In quanto governa ciascuna cosa al debito fine e ordine secondo la propria
provvidenza, non può essere a sua volta governato79. La risposta ribadisce una volta di più che la
provvidenza è sovraordinata rispetto al fato e che quest’ultimo esercita la sua azione anche
sull’uomo, anche se, come è chiaro da quanto detto in precedenza, questa influenza non è
necessaria.
Chiude il membrum IV un’appendice nella quale alla concezione astrologica del fato («ex positione
siderum») vengono contrapposte le obiezioni dei Padri della chiesa (Sancti). La modalità espositiva
adottata in questo testo è interessante: sono prima presentate le cinque obiezioni dei Padri, a cui
seguono quelle che vengono definite le calunnie degli astrologi (mathematici). Ciascuna calunnia è
respinta sulla base di argomenti scientifici (le fonti di questi argomenti sono l’ottica, Tolomeo, il De
magnis coniunctionibus di Albumasar e Ippocrate citato da Agostino nel V De civitate Dei)80.

5. Osservazioni conclusive
Nella tarda Summa theologiae o Summa de mirabili scientia Dei Alberto torna a riflettere sul
fato, dedicando a questo, sicuramente uno tra gli oggetti privilegiati della sua riflessione, la più
ampia e sistematica (St.I.18) indagine contenuta nel suo intero corpus.
In St.I.18 Alberto armonizza la concezione boeziana del fato con l’heimarmene ermetica: dalla
provvidenza discende la regola o forma della realtà. Estremamente semplice all’origine, questa
forma si concretizza nello spazio e nel tempo dispiegandosi attraverso una catena di cause
(heimarmene), che la traducono in effetti terreni.
La polemica contro il determinismo astrale è la conseguenza di questa teoria. Mentre Alberto
risale fino alla causa semplice e intellettuale da cui si dipana la realtà in una pluralità di ordini
(naturale e volontario) e in una scalarità di gradi, gli astrologi deterministi pongono come origine
ultima della catena fatale gli astri e considerano gli eventi terreni prodotti necessari della catena
di cause. Alberto critica aspramente il fatalismo astrale, consapevole dei rischi di confusione
dell’heimarmene ermetica con il determinismo astrologico.
Sarebbe un imperdonabile errore di prospettiva scorgere una contraddizione tra questa critica e le
innegabili tendenze deterministiche di alcuni scritti albertini di filosofia della natura: il De
natura loci, il De causis proprietatum elementorum, i Meteora, i Mineralia. La polemica
sostenuta contro gli astrologi deterministi in St.I.18, non è dettata dal contesto teologico, né è il
segno di una mutata attitudine di fronte a questi temi nel tardo Alberto, né una prova della
presunta non autenticità della Summa theologiae.


78
NEMESIUS EMESENUS, De natura hominis transl. Burgundionis, edd. G. VERBEKE, J.R. MONCHO, cap. 37, 142,75-78:
«Et propter hanc restaurationem aiunt quidam Christianos resurrectionem imaginari, multum seducti. Semel enim
resurrectionem, non secundum circuitionem, futuram esse Christi opinantur eloquia».
79
ALBERTUS, Summa theol. I, qu. 68, tr. 17, 4, 711a.
80
Cf. ALBERTUS, Summa theol. I, qu. 68, tr. 17, 4, 711b-714b. L. THORNDIKE, A History of Magic, 591-92, ravvisando
alcune incongruenze rispetto al resto di St.I.68, ha ipotizzato che questa sezione potrebbe essere spuria. Allo stato non
ho elementi per formulare un giudizio al riguardo e rimando una analisi del testo ad un’altra sede.

19
In realtà in St.I.18 Alberto si mantiene fedele al paradigma scientifico che aveva ispirato quegli
scritti di filosofia della natura, continuando a coltivare l’immagine razionale del mondo secondo
la quale la regolarità dai movimenti celesti garantisce la conoscibilità dei processi fisici e la
trama degli influssi fatali fonda la consistenza della realtà naturale e umana. Da vero uomo di
scienza, abituato a studiare le pietre, le piante e gli animali, Alberto sa bene però che la regola
fatale incontra resistenze e opposizioni e deve sempre piegarsi alle imperfezioni del mondo
sublunare. Fare scienza è anche riconoscere il valore e la funzione delle cause seconde,
considerare le mediazioni, prendere atto delle interferenze: fare scienza è conoscere la validità
vincolante della legge naturale, incapace però eliminare del tutto lo spazio della contingenza.

Università di Trento

Alessandro Palazzo

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