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Riassunto Il Gioco Della Cultura

Insegnamento:
Sociologia dei processi culturali e comunicativi (1002556)
1 IL GIOCO DELLA CULTURA di S. Piccone Stella e L. Palmieri PARTE PRIMA – LE
PROSPETTIVE CAP. 1 – IL CROCEVIA DELLA CULTURA La cultura si presenta
inizialmente come la conquista o l'attributo di un singolo individuo. La parola deriva
etimologicamente dal verbo latino colere e alludeva originariamente all'azione di chi
coltivava la terra o tutt’al più la mente. Il termine culturale passa poi a designare non più un
solo soggetto ma la collettività. La riflessione storica dà origine in questo periodo al termine
"civiltà" riferita a un'intera nazione e a un intero popolo, ragion per cui la cultura non
rappresenta più un fatto individuale bensì collettivo. Nel momento in cui si parla di civiltà
entrano in scena anche l'autoriflessione e il pensiero critico: la civiltà occidentale, non
appena viene percepita come tale dai pensatori, comincia a vedere se stessa come una
civiltà tra le altre. Da una cultura o dalla civiltà di un solo popolo si passa così alle molte
culture dei diversi popoli, soprattutto in seguito ad avvenimenti globalizzanti come le
traversate transoceaniche, le esplorazioni e l'ingresso di nuovi paesi come l'America,
la Cina e l'Oriente nella geografia mondiale. A rafforzare l'idea che non esistesse una civiltà
sola, ma tante culture e individualità diverse, contribuì poi la polemica di alcuni studiosi
tedeschi nei confronti del termine francese civiization, ritenuto troppo astratto e unilineare.
Proprio a questi filosofi tedeschi si ispira l'antropologo inglese Eward Burnett Tylor, il
primo a formulare in maniera sistematica il concetto di cultura, alla fine dell'ottocento. A
partire da questo momento l'antropologia si apre inoltre a un nuovo capitolo: la cultura non
riguarda più solo il sapere ma l’intero modo di vivere. Nella nozione di cultura rientrano
dunque, a partire da questo momento, una serie di elementi prima del tutto estranei come gli
usi, le abitudini, gli oggetti della vita quotidiana, i prodotti materiali. Intorno alla metà degli
anni 50 del novecento, gli studiosi inglesi di storia e critica letteraria che hanno formato
la scuola dei Cultural Studies britannici trassero dall’antropologia l’espressione a whole way
of life, collegando in questo modo sul piano epistemologico il campo letterario e le scienze
sociali. Ci si rese infatti conto che bisognava disfarsi della vocazione elitaria
intrinseca alla tradizione umanistica poiché i grandi fatti politici ed economici dell'epoca
moderna, la modalità capitalistica di produzione e l'idea sempre più estesa di democrazia
stavano trasformando il rapporto tra la cultura e il suo pubblico. I contenuti Secondo la
definizione di Tylor la cultura è composta da conoscenze, credenze, arte, morale, diritto,
costume e da qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall'uomo come membro di una
società. Il fatto che gli antropologi siano fermamente intenzionati a separare la cultura in
primo luogo dalla natura (cioè da ciò che viene biologicamente trasmesso agli esseri umani)
spiega il motivo per cui essi tendano a includere nella cultura tutti i prodotti umani, quindi
l'intera sfera del sociale. Il mercato eterogeneo in cui la società e la cultura sono visti come
un tutt'uno nel corso del novecento è stato sottoposto a un processo di depurazione, frutto
principalmente del lavoro teorico di Talcott Parsons. Questo processo ha inoltre fatto sì che i
contenuti della cultura diventassero più nitidi e che venissero riassunti in alcuni elementi
quali le norme, i valori, le credenze e i simboli. Le norme in particolare includono le
convenzioni condivise, i criteri di giudizio riguardanti i comportamenti pubblici e privati. Nei
valori rientrano diversi ideali come la ricerca della felicità individuale o della giustizia sociale,
mete collettive, come l'istruzione, la convivenza pacifica, il rispetto della natura, o qualità
positive come la solidarietà, l'attenzione per le arti, per le scienze e per la bellezza.
Le credenze comprendono invece le convinzioni profonde, ma anche le superstizioni e
pregiudizi mentre i simboli danno a tutti questi elementi un significato. Il simbolo, in
un'accezione elementare, rappresenta un
2 segno che evoca la relazione di un oggetto materiale con un'idea astratta. Secondo
un'accezione più allargata, invece, nella sfera dei simboli rientra la comunicazione, con le
sue diverse articolazioni, il linguaggio, i rituali e le espressioni corporee. Il termine
"simbolico" è stato poi esteso ulteriormente e reso più complesso dall'antropologo Clifford
Geertz, il quale vede il simbolo come una chiave d'accesso per interpretare tutti i fenomeni
del mondo sociale, in quanto ne indica il significato. Sia i simboli che i significati inoltre
hanno per Geertz un carattere pubblico dal momento che circolano, comunicano, vengono
intesi e scambiati dagli attori sociali. Con "sfera simbolica" si intende dunque il mondo dei
significati, l'intera sfera culturale. In quanto veicolo del significato, il simbolo è inoltre ubiquo,
così come lo è la cultura, che assorbe dentro di sé i nostri atti e i nostri pensieri e che è
anche in grado di influenzarli combinandosi con altri fattori. Tutto l'insieme di significati
attribuiti alla cultura è costituito da dimensioni simboliche, mediate dalle istituzioni, dalla
struttura, dalle norme sociali, ma non direttamente costituite da esse. Norme e istituzioni
fanno parte del sistema sociale; quest'ultimo però, nonostante sia connesso con quello
culturale, rimane separato da esso sul piano analitico. Ogni articolazione o istituzione,
economica, politica o giuridica, diffonde inoltre un suo significato culturale proprio mentre
esercita le proprie funzioni economiche, politiche o giuridiche; queste funzioni però agiscono
con logiche proprie. La cultura, dunque, non è una realtà diversa ontologicamente da quella
delle norme e istituzioni, bensì distinta soltanto analiticamente. Tutto il percorso teorico
portato avanti dall’antropologia è stato da sempre costellato di “cultura materiale”, una
cultura imprescindibile per gli antropologi poiché essa certifica l’assunto principale della
antropologia, cioè che non vi è società senza cultura. La cultura materiale è stata
considerata e studiata anche da molti sociologi i quali la intendono come un ventaglio di
prodotti oggi molto più diversificato di quanto non fosse nelle società primitive, che
comprende tutti gli artefatti delle attività manuali e intellettuali: le opere di artigianato, le
tecniche della cottura dei cibi, la cura del corpo, gli abbigliamenti, l'architettura, i libri, ma
anche i prodotti della tecnologia e del consumo. Il testo e la pratica Il metodo di analisi
dell’antropologo americano Geertz ha dato forte impulso al lavoro teorico sulla cultura
attraverso l'adozione di un concetto, da lui definito “semiotico”, calibrato sostanzialmente sul
significato. Dopo la sua proposta, l'approccio interpretativo, semiotico, si è imposto per molto
tempo come la modalità più adeguata per esplorare la sfera culturale. Come il
simbolo, però, anche il termine "semiotico" può dar luogo a fraintendimenti, a seconda se lo
si consideri solo segno o anche metafora, tassello del linguaggio o anche tassello
dell'esperienza. È possibile individuare dei passaggi critici che hanno portato
gradualmente alla definizione di cultura come "sistema di simboli e significati". Verso
quest'espressione, in particolare, era stata rivolta l'accusa di suggerire una visione
integrata, troppo coerente della cultura. Se i sistemi culturali si presentano come totalità
armoniose, infatti, scompare l'elemento fondamentale se si vuole avere una visione
dinamica della società, vale a dire la contraddizione, il contrasto, il conflitto. La proposta di
Geertz inoltre produce un effetto di astrazione quando il termine semiotico combacia
con uno strumento formale – il linguaggio – nella sua versione testuale. Il testo per
Geertz è qualcosa che va al di là del materiale scritto, e perfino al di là di quello verbale. La
principale obiezione mossa alla proposta di Geertz, comunque, è quella che si riferisce
alla "descrizione densa" che rivela un carattere contratto e statico. Al termine del libro
Interpretazione di culture Geertz conclude affermando che tutto è già stato detto,
l'interpretazione è già fatta e che basta soltanto trovarla. La cultura si riduce così a un dato
implicito, chiuso, mentre le sue cause e i suoi effetti risultano prigionieri in un circolo privo di
svolgimento. Questo metodo è stato tuttavia criticato dallo storico culturale Sewell, il
quale ha notato una debolezza nell'impostazione di Geertz, ossia la mancanza di una
dimensione pragmatica e narrativa della cultura. Questo nuovo approccio che vede la
cultura come pratica si è affermato con successo
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