Sei sulla pagina 1di 6

L'origine della superstizione

Se qualcuno volesse mettere in fila (e mi pare che qualcuno l'abbia fatto) tutte
le superstizioni presenti nelle differenti culture umane, l'elenco sarebbe
lunghissimo. Ogni cosa, essere o evento, per l'irrazionale della nostra mente,
può portare fortuna, sfortuna oppure addirittura avere più specifici, positivi o
negativi, effetti. Il canto della civetta, il gatto nero che attraversa la strada, lo
specchio rotto, il passare sotto una scala, lo spargere sale... scrivo così, a ruota
libera, e si tratta, fin qui, di superstizioni tradizionali, semplici e circoscritte.
La superstizione, però, può divenire addirittura uno stile di vita perché, per
certe persone, può influenzare ogni scelta, ogni comportamento. Inoltre, può
proliferare. Ciascun essere umano, in tema di superstizioni, può dimostrarsi un
creativo. Ciascuno può, spontaneamente, crearne delle nuove e personali (che
so? un indumento che "porta bene") da aggiungere alle superstizioni antiche e
tradizionali, e dunque generalizzate e generiche come il fare le corna o il dire
"in bocca al lupo" con quel che segue.

Ogni comportamento, nella nostra specie, è complesso e composito, e questo


vale anche per quello superstizioso, che trova infatti in collaterali fenomeni,
primo fra tutti la ritualizzazione, rinforzo e complementarità. Eppure il
fenomeno in sé, nella sua origine, che non posso che definire zoologica, è
semplice, ed è proprio perciò che tutti, in fatto di superstizioni, possiamo
essere creativi. Merita dunque partire dalla zoologia, e lo faccio ricordando
un'abbastanza vecchia, ma ancora valida (del resto nel tempo varie volte
replicata con differenti specie) ricerca di un famoso studioso del
comportamento, B.F. Skinner. Quella storica ricerca s'intitola Superstition in
the Pigeon (superstizione nel colombo) e fu pubblicata nel 1948 sul "Journal
of Experimental Psychology". È un caposaldo per la comprensione del
fenomeno. Occorre però che, sempre parlando di animali, anticipi qualche
informazione su uno speciale modo di apprendere, che rientra
nell'apprendimento per associazione, comunemente detto condizionamento
operante.

Immaginiamo un gatto che si trovi in un ambiente delimitato dove è presente


una leva per la distribuzione del cibo. Il gatto esplora e, più o meno
casualmente, si imbatte nella leva, la preme e, rapidamente, apprende ad
associare il gesto di pressione con l'ottenimento del cibo (il rinforzo positivo).
Questo è il condizionamento operante, un tipo di apprendimento, ove il
comportamento è strumentale all'ottenimento del rinforzo, se questo è
positivo, cioè se è un premio. Oltre al rinforzo positivo, però, esiste anche
quello negativo, cioè la punizione. In questo caso l'associazione tra un
comportamento e una punizione tenderà a inibire il comportamento.
Detto come funziona il condizionamento operante, possiamo ora affrontare il
tema dell'origine prima del comportamento superstizioso in colombi e altri
animali, uomini inclusi. Eccoci allora a Skinner, che ha immaginato, usando
come soggetti sperimentali alcuni colombi, una situazione in cui, a intervalli
prefissati e frequenti, viene somministrato del becchime come rinforzo
positivo. Ebbene, succede che, quando a un colombo capita di ricevere, così
per caso, del becchime (e cioè un premio), quel colombo tende a ripetere "quel
comportamento" che stava facendo quando il premio gli è caduto dal cielo.
Ciò, ovviamente, già di per sé aumenta le probabilità che il premio (che piove
senza regolarità ma con frequenza) gli arrivi ancora proprio al momento
giusto. Per farla breve: così ingannato (autoingannato?), il colombo tende a
interpretare l'arrivo del premio come l'effetto del suo speciale comportamento.
Skinner, attraverso questo modello sperimentale, aveva ottenuto colombi che,
per superstizione, manifestavano i comportamenti più bizzarri, come allungare
e ritrarre il collo, sbattere le ali, fare un giro su se stessi, tutto ciò in funzione
dell'ottenimento del premio. Quei comportamenti, per dirla col nostro
linguaggio, portavano bene.

Una vera superstizione nasce dunque così, come ci hanno insegnato quei
colombi. Associando, erroneamente, l'ottenimento del premio al
comportamento eseguito immediatamente prima, essi non facevano altro che
stabilire l'esistenza di un'illusoria, falsa relazione di causa-effetto tra due
eventi in realtà tra loro indipendenti. La superstizione, in definitiva, non è
altro che un errore di funzionamento all'interno di quel meccanismo rilevatore
di causalità che è presente, data la sua essenzialità, in ogni specie animale.

Abbiamo così appreso che la superstizione non è altro che un momento di


confusione all'interno di un utile, in quanto adattativo, processo di
apprendimento per associazione. E', d'altro canto, difficile anche per noi,
quando un evento precede strettamente un altro, sottrarsi all'impressione che il
primo sia la causa del secondo. E mi verrebbe da scrivere che, in fin dei conti,
la superstizione ha una sua dignità proprio perché si basa su un processo
logico, di cui, meno dignitosamente, si fa un uso improprio. E se è improprio
per dei colombi e per altri animali, topi o scimmie che siano, che dovrei dire
per la nostra specie?

L'errore, cioè la confusione tra causalità e casualità, dipende dal fatto che
forte è la tendenza a badare alla presenza delle associazioni, dimenticando i
numerosissimi casi dell'assenza, quando cioè i due eventi avvengono
indipendentemente. A trarci in inganno è proprio il differente peso che si
attribuisce a presenza e ad assenza. Esempio: può capitarci mille volte di
assistere a un incidente senza che questo sia preceduto da un gatto nero che
attraversa la strada, può capitarci mille volte che un gatto nero attraversi la
strada senza che niente succeda; se però capita, una volta su duemila, che i
due eventi coincidano, ecco che subito l'associazione viene colta e viene letta
come rapporto di causa-effetto, e di conseguenza enfatizzata, raccontata a
destra e a manca. Già, raccontata, perché noi umani, tra l'altro, "trasmettiamo
culturalmente". Da qui, appunto, molti sviluppi e altrettante ricadute.

Sviluppi e ricadute
Se nei colombi, così come in altre specie animali, l'origine della superstizione
è sempre rinvenibile in un erroneo uso del condizionamento operante, per la
specie umana non è così. Chi sarà mai stato quello che per primo ha stabilito
che passare sotto un scala porta male? Probabilmente uno cui era caduto un
secchio di vernice in testa avendo inciampato sotto la scala di un imbianchino.
Quello sì che ha fatto come i colombi di Skinner. Ma da allora, lo sappiamo
bene, moltissimi individui, nello spazio e nel tempo, hanno evitato, evitano ed
eviteranno di passare sotto qualsiasi scala perché porta male. E non
possiedono, per quel "porta male", così come per tanti altri, alcuna esperienza
diretta, alcuna spiegazione. Il fatto è che l'uomo non apprende solo attraverso
la sua esperienza diretta, ma anche, e direi soprattutto, per trasmissione
culturale. La maggior parte di quelli che non passano sotto una scala per
superstizione lo fanno perché qualcuno gliel'ha detto. E non pensano a un
secchio che potrebbe cadergli in testa, perché altrimenti sarebbe semplice:
basterebbe guardare se c'è un secchio.

È così importante il fenomeno della trasmissione culturale nella nostra specie


(così come in altre, d'altronde) che a esso dedicherò l'intero prossimo capitolo
e altro spazio ancora, ma non posso approfondire l'argomento della
superstizione senza anticipare almeno qualcosa sui meccanismi sociali su cui
si basa buona parte del passaggio dell'informazione. Del resto non c'è scampo:
chi come me ha esperienza d'insegnamento o anche solo di divulgazione nel
campo del comportamento animale e umano sa che non è possibile trattare in
modo troppo separato un fenomeno, senza cioè tirarne in ballo altri. Ogni
comportamento infatti è sempre debitore, per il suo determinarsi, di svariati
fenomeni. L'avevo ribadito aprendo il discorso sulla superstizione: ogni
comportamento, in particolare nella nostra specie, è sempre complesso e
composito. A ogni modo, non è soltanto nella specie umana che
l'informazione, e pertanto anche quella concernente una superstizione, può
passare attraverso le vie della comunicazione sociale. C'è un esperimento
davvero elegante - l'ha realizzato Eberhard Curio dell'università di Bochum -
che ci dimostra come una superstizione possa venire acquisita per
trasmissione culturale da un'intera popolazione di uccelli.

L'idea originale di Curio è stata quella di realizzare una vera struttura capace
di fabbricare le superstizioni. Ecco come. Immaginate tre voliere messe una
accanto all'altra. Le due voliere laterali non avevano niente di speciale e
contenevano ciascuna un merlo. La vera fabbrica delle superstizioni si trovava
nella voliera centrale, più piccola di quelle laterali perché i due merli
potessero vedersi, sentirsi, comunicare. La voliera centrale era centralmente
divisa, per il lato parallelo alle altre due, da una parete opaca, così che ciascun
merlo potesse vedere solo dalla sua parte. Curio poteva piazzare, dal lato di un
merlo, un uccello rapace (che solo quel merlo vedeva), mentre dall'altro lato,
nelle differenti serie sperimentali, metteva animali diversi oppure oggetti. Ma
sempre animali o oggetti totalmente nuovi, e dunque sconosciuti al merlo che
poteva vederli.

Ecco allora cosa succedeva. Il merlo dalla parte del predatore si metteva,
correttamente, in agitazione, e cominciava a lanciare i suoi segnali d'allarme.
Ciò attirava l'attenzione dell'altro merlo, il quale però, ingannato dal
marchingegno pensato da Curio, non vedeva il predatore, bensì un animale o
un oggetto sconosciuto. Così, sulla base dell'allarmante informazione, si
fabbricava l'errata associazione, in pratica la sua superstizione, che
quell'animale (si trattava di uccelli esotici non predatori) o quella cosa (per
esempio una bottiglia dipinta a righe trasversali) rappresentava una minaccia!
E così, nel futuro, quel merlo ogni volta che li incontrava lanciava segnali
allarmanti, trasmettendo la falsa informazione. Liberato in un ambiente dove
c'erano altri merli e, sparsi qua e là, quegli animali o quegli oggetti, era lui a
dare il via alla tradizione, ma presto altri si aggiungevano. Dopo un po' tutti i
merli erano diventati superstiziosi. E questo, senza dubbio, è quello che può
capitare, e che è capitato infinite volte, nella nostra specie.

Nei prossimi capitoli, affrontando il tema della trasmissione culturale, darò


ulteriori informazioni sull'importanza dello stato sociale di chi passa
l'informazione e di chi la riceve (soprattutto se è un giovane), e sul ruolo della
ritualizzazione. Aspetti che valgono sia per la superstizione sia per altri tipi di
comportamenti e che, pertanto, vanno affrontati in una trattazione più
generale. Voglio però subito segnalare che, a proposito dei comportamenti
superstiziosi propri dell'infanzia, si ritiene che dipendano dal fatto che i
bambini sono fondamentalmente conservatori, hanno paura dell'imprevisto e,
di conseguenza, cercano di controllare la realtà per evitare che essa cambi. E
la maniera più semplice, per la mente infantile, è quella di fare qualcosa, di
compiere azioni che dovrebbero allontanare imprevedibilità e incertezza.
Come, per esempio, fare attenzione a non pestare le linee tra due lastroni della
pavimentazione stradale, non salire il primo gradino di una casa con il piede
sinistro, e così via. Questi piccoli esorcismi, in qualche caso, possono
perdurare anche negli adulti, a volte sotto forma di riti innocenti, a volte di riti
un po' ossessivi che hanno alla loro radice forme di insicurezza e di paura.

La superstizione, insomma, rimanderebbe a un aspetto infantile della mente


umana e al suo modo di valutare la realtà. Farebbe parte di noi, e come tale si
dovrebbe comprendere e quindi accettare come una manifestazione collaterale
dell'"irrazionale necessario". Dispiace, però, che questa tendenza a credere
ignorando il contributo, spessissimo disponibile, di una spiegazione razionale
così frequentemente venga strumentalizzata per fini e interessi almeno
discutibili. Penso all'astrologia o al gioco del lotto, così di moda. Mi riferisco
al comportamento della nostra televisione di stato, che sembra fare di tutto per
rinforzare la purtroppo già radicata credenza che i cosiddetti numeri
ritardatari abbiano maggiori probabilità di venire estratti degli altri, mentre ci
vuole così poco per capire che ogni volta che ha luogo un'estrazione ogni
numero ha, esattamente, le stesse probabilità di uscire di tutti gli altri. Non è
certo così che si favorisce l'acculturazione di una popolazione.

Mi pare infine interessante riportare testualmente la definizione di


superstizione che si trova nel recente Dizionario di antropologia curato da
Ugo Fabietti e Francesco Remotti: "Termine utilizzato per denotare pratiche,
credenze e rituali che, a giudizio dell'osservatore, sono prive di qualsiasi
fondamento empirico e religioso. Esso implica sempre un giudizio di tipo
negativo, mirando a considerare falsi o illusori i presupposti su cui si fonda il
tipo di pensiero così classificato. La considerazione delle superstizioni
primitive è stata al centro degli interessi degli evoluzionisti, costituendo il
punto di partenza per discutere l'origine della religione e per descrivere
modalità di pensiero considerate radicalmente diverse rispetto a quelle
occidentali". Insomma, se ne deduce che sono superstizioni solo le pratiche, le
credenze e i rituali degli altri. E se vengono da lontano (dall'Oriente) ancora
meglio. Ora, considerato che quanto riportato dal dizionario non è una fantasia
degli autori, ma un dato di fatto ancora quasi universalmente accettato, mi
pare che ciò davvero possa diventare un punto di riflessione sullo scarso uso
che la nostra specie fa ancora oggi della razionalità. E una riflessione sull'oggi
basterebbe. Non posso però non ricordare cosa significò questa discriminante
solo pochi secoli fa, quando "il giudizio dell'osservatore" poteva spedire
chiunque sul rogo, esseri umani (le streghe) e animali (gatti e civette). Ha fatto
davvero molto male, e ancora può farlo, la superstizione.
Tratto da: Mainardi D. L'animale irrazionele, Oscar Mondadori Quark [pp.51-58]

Potrebbero piacerti anche