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Dott. Luciano Perez Catania 27 aprile 2002

MUSICA E SPIRITUALITA’

A Pierre Denivelle, un amico che amava la musica.

Ho l’impressione che la
musica abbia molto a che fare
con l’inconscio; forse è la
musica del futuro.1
C. G. Jung

In una lettera indirizzata a Serge Moreux, direttore


della rivista musicale parigina Poliphonie, Jung, declinando per
motivi d’età e di salute l’invito a redigere un articolo sulla
musica e l’inconscio, scriveva, il 20 gennaio 1950:

La musica ha sicuramente a che fare con


l’inconscio collettivo, come anche il dramma; è
evidente in Wagner, per esempio. La musica in
qualche modo esprime il movimento dei sentimenti o
dei valori emotivi uniti ai processi inconsci. La
natura di ciò che accade nell’inconscio collettivo
è archetipica, e gli archetipi hanno sempre una
qualità numinosa che si esprime nell’enfasi
emotiva. La musica esprime in suoni ciò che le
fantasie e le visioni esprimono in immagini visive
[...] la musica rappresenta il movimento, lo
sviluppo e la trasformazione dei motivi
dell’inconscio collettivo [...] Il carattere
circolare dei processi inconsci è espresso nella
forma musicale come, per esempio, nei quattro
movimenti della sonata o nel perfetto arrangiamento
circolare dell’Arte della fuga [di Johann Sebastian
Bach].2

Anche per la rarità, negli scritti di Jung, di riferimenti


espliciti alla musica quale noi l’intendiamo comunemente, questa
citazione sarà preziosa per l’argomento che desidero trattare:
la musica quale strumento spirituale - e quindi anche
psicologico - specifico.

Aspetti terapeutici della musica


1
C. G. Jung, Dream Analysis, Routledge & Kegan Paul, London, Melbourne, Henley-
on-Thames 1984, p. 441. L’edizione italiana del libro, curata e tradotta da me,
apparirà presto presso Bollati Boringhieri, Torino.
2
C. G. Jung, Letters, scelte da e a cura di Gerhard Adler in collaborazione con
Aniela Jaffé, 2 volumi, Princeton University Press, Princeton, 1973, volume I,
p. 542, traduzione mia.

1
2

Nell’andatura di un uomo, nella sua scrittura, nella


forma di un vaso, in un verso come in una
pennellata, nei movimenti di una ballerina come in
una statua che è immota, nel colonnato di un tempio
greco, nel profilo della cupola di Michelangelo,
percepiamo un ritmo, non meno di quanto lo
percepiamo ascoltando una melodia.3

Il collegamento - la risonanza - della musica con


l’inconscio collettivo mi fa pensare a certi aspetti terapeutici
fisici che la musica, e in particolare il ritmo, possono
possedere, soprattutto se pensiamo all’idea di Jung che anche il
sistema vegetativo, il sistema nervoso simpatico, possegga una
sorta di psichismo, pur se assolutamente inconscio. “Sapete –
dice Jung in una delle conferenze che compongono l’Analisi dei
sogni4 - che il sistema nervoso simpatico è collegato a
qualcosa di psichico che ‘vede con l’occhio delle profondità’.
Il plesso solare ha un ruolo paragonabile a quello del cervello,
è una sorta di contro-cervello.” E più avanti: “Il sistema
nervoso simpatico è un centro altamente emotivo, e governa in
grande misura la parte emotiva, non quella mentale, della nostra
psiche [...] Non ha niente a che fare con l’individuazione, ma
ha a che fare con l’intera storia dell’uomo, compresi gli
animali; è collettivo, è fuori di voi, come se qualcosa di
strano si fosse impossessato di voi.”5
[Tamburi africani] C’è una storia molto bella, di cui
purtroppo non riesco a ricordare la fonte, di un intervento
“medico” operato da una sorta di sciamano - o di medecine man -
su di un membro di una carovana nel deserto il quale era in
preda, probabilmente, ad una crisi di tachicardia parossistica.
Lo “stregone” iniziò a battere il suo piccolo tamburo fino a
raggiungere e riprodurre il ritmo del battito cardiaco del
sofferente, iniziando poi a diminuirne lentamente la frequenza:
con grande meraviglia dell’osservatore che riporta il fatto, il
cuore dell’uomo abbassò la frequenza dei propri battiti
all’unisono con il rallentamento del ritmo del tamburo fino a
raggiungere una frequenza normale, che poi mantenne.
Un’altra storia di tamburi, con un altro senso, forse
quello di una ricerca di un profondo senso ritmico vitale: mi è
stato riferito che un mio carissimo amico dotato di un profondo
senso musicale e di una grande passione per la musica, nei suoi
ultimissimi giorni – era stato colpito da una forma di leucemia
fulminante – chiedeva che gli fossero portate, per ascoltarle,
delle musicassette con suoni di tamburi, e precisamente di
tamburi primitivi, africani. L’avvenimento mi ha particolarmente
colpito: ho sentito come se, con il suo profondo senso della

3
Victor Zuckerkandl, Sound and Symbol, Music and the External World, Princeton
University Press, Princeton, N.J., 1976, p. 158, traduzione mia.
4
C. G. Jung, Dream Analysis, cit., pp. 236-237.
5
Ibid., p. 335.

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3

musica e del ritmo, volesse ricollegarsi a un ritmo vitale


primigenio, fuori di lui, come dice Jung; come se volesse,
perlomeno come l’ho inteso io, collegare nuovamente il suo bíos,
che se ne stava staccando, alla zoē, la vita universale.
La musica è una delle modalità che ha l’uomo di perseguire
una sua caratteristica di “specie”, quella di avere
“paradossalmente il destino di rifiutare obbedienza al solo
destino”, per dirla con Michel Leiris,6 vale a dire di cercare,
magari anche soltanto temporaneamente, di uscire da se stesso,
di essere altro da sé.

Essere fuori di sé (come implica la trance,


stato psichico a cui in verità quell’animale
curiosamente sviato che è l’uomo non è con tutta
probabilità il solo a poter accedere, e come vi
pervengono i mistici nelle loro estasi), spingersi
in un altro mondo (come fa lo sciamano) [Canto e
tamburo sciamanico], diventare altro da sé (come fa
la possessione, per nulla rifiutata da numerosi
popoli, anzi persino integrata, spesso, a culti
assolutamente leciti); questi tre tipi di rottura –
non ricercati in quanto tali, ma più radicali di
quelli di cui arte e gioco offrono, più o meno
apertamente, i mezzi – sembrano essere, quali che
siano i fini perseguiti coscientemente, di
realizzazione abituale in società meno
industrializzate delle nostre, nelle quali
prevalgono ufficialmente delle ideologie
razionaliste legate allo sviluppo tecnico molto
avanzato e in cui la vita, compreso il tempo
libero, si rivela molto più meccanizzata e con dei
tempi molto più calcolati, perlomeno in ambiente
urbano.7

Queste parole di Leiris fanno pensare all’uso fatto,


soprattutto dai giovani, della musica e delle droghe, o
l’inquietante diffondersi di tante pseudo-spiritualità, pseudo-
mistiche ecc. di cui siamo testimoni: sembrerebbe essere una
rivolta, purtroppo a livello disorganizzato, inconscio e
arcaico, contro un sistema di vita eccessivamente
razionalizzato, che non riconosce all’irrazionale un proprio
statuto; un sistema di vita in balia dell’avere, cui i giovani
non hanno che da proporre, il più delle volte, i valori di uno
pseudo-essere. Quale peggiore letteralizzazione dell’estasi che
l’“estasi” intesa come pillola, come tipo di droga?
Anche Socrate del resto, come Platone gli fa narrare nel
Fedone,8 non riuscì a capire il senso di ciò che il suo daimon

6
Nella sua prefazione a La musique et la transe di Gilbert Rouget, Gallimard,
Paris, 1980, p. 8, traduzione mia. [Edizione italiana rivista e aumentata,
Musica e trance, a cura di Giuseppe Mongelli, Einaudi, Torino, 1986.]
7
Ibid., pp. 8-9, traduzione mia.
8
Fedone, 60 e; 61.

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gli suggeriva in sogno: “Socrate, dovresti fare più musica!” Il


terribile razionalista prese il consiglio in modo letterale e
non metaforico e andò a comprarsi un flauto e – come dice Jung –
“Il caro, vecchio Socrate si mise a suonare cose orribili!
Naturalmente il demone voleva dire: ‘Pratica di più il
sentimento, non essere così dannatamente razionale tutto il
giorno’.”9
Dalle considerazioni testé fatte si rivela un aspetto della
musica che ogni tanto viene dimenticato, quello della musica
come cammino, come percorso, come – addirittura – “mezzo di
trasporto” per raggiungere altre dimensioni, e questo aspetto
credo venga soprattutto rivelato nel rapporto tra musica e
spiritualità. Un esempio tipico è – ancora l’importanza del
tamburo – il viaggio dello sciamano alla ricerca dell’anima
perduta del suo malato, viaggio di cui il tamburo (1 DIA),
appunto, è mezzo essenziale e irrinunciabile della “caccia
all’anima” e al contempo mappa dell’altro mondo, del mondo
“altro”, al di fuori delle rassicuranti geografie o topografie
del nostro mondo cosciente, del mondo dell’io (2 DIA: 1 mondo
sciamanico + 1 Bunyan). Si può forse dire, pensando a certe
meditazioni taoiste,10 che nel tamburo è particolarmente evidente
l’importanza del “vuoto” da cui proviene il suono sacro.
[Disco ronzante] Se ci è impossibile risalire ad una
“origine” della musica, per il fatto che – ovviamente – ci
mancano i documenti per un’indagine di questo genere, possiamo
comunque affermare che la musica è un fenomeno spirituale che ha
accompagnato l’umanità fin dai suoi primordi. Per quanto
riguarda la preistoria possiamo se non altro ipotizzare, e non
senza ragione, che molti dei dipinti rupestri che sono
sopravvissuti dalle epoche più remote, dall’Europa all’Africa,
all’America, all’Asia, all’Australia, rappresentino danze, che
sono quindi collegate alla musica in modo tale da dipenderne in
modo essenziale (2 DIA). D’altro canto, se ci volgiamo
all’etnologia e alle civiltà allo “stato di natura”, il
materiale a questo riguardo è enorme ed è stato abbondantemente
studiato. Proprio in questi studi vediamo come la musica (o il
suono) sia legata al rituale religioso o a quello magico, spesso
inestricabilmente intrecciati, quindi a due “regni” spirituali,
o come la musica abbia addirittura, e questo anche in civiltà
evolute, un ruolo cosmogonico.11 Ritengo perciò che si possa
affermare, senza possibilità d’errore, l’importanza psichica e
spirituale della musica in ogni tempo e in ogni luogo (1 DIA
Gafurius).

9
C. G. Jung, Dream Analysis, cit., p. 11.
10
“Si ha un bel modellare l’argilla per farne del vasellame, l’utilità del
vasellame dipende da quello che non c’è.” E’ lo spazio vuoto all’interno che ne
fa il valore. J.-J.-L. Duyvendak (a cura di), Tao Tö King. Le livre de la voie
et de la vertu, XI, Maisonneuve, Paris, 1953, p. 27, traduzione mia.
11
Vedi ad esempio l’opera di Marius Schneider, Il significato della musica,
Rusconi, Milano, 1970, in particolare i saggi “Il significato della musica”, pp.
17-64; “La musica come modello del mondo”, pp. 65-76 e “Musica e magia”, pp. 77-
90.

4
5

Non essendo possibile esaminare la massa enorme di


materiale che esiste nella storia musicale umana, mi soffermerò
soltanto su alcuni aspetti.

La religiosità medioevale occidentale

Il canto gregoriano è preghiera – di lode, di


supplica, di ringraziamento – più che qualcosa di
ricevuto, è un’offerta.12

[Campane e Te Deum, a seguire Dies Irae] La vita religiosa


del medio evo è letteralmente intrisa di musica (1 DIA Fludd),
in particolare nei monasteri, nei quali tutta la vita dei monaci
era scandita da canti e liturgie, mentre, d’altro canto,
esisteva la regola del silenzio per la parola parlata.
In uno studio singolare comparso nel 1955,13 un insigne
musicologo, Marius Schneider, avanzava un’ipotesi di lettura
delle raffigurazioni dei capitelli di tre chiostri romanici in
Spagna, più precisamente in Catalogna: quello di San Cugat de
Vallès, quello della cattedrale di Gerona e quello di Santa
Maria di Ripoll. Schneider, colpito dal ripetersi delle
rappresentazioni di certi animali particolari nella decorazione
dei capitelli – parlo ora in particolare del chiostro di San
Cugat - tramite uno studio accurato e minuzioso vuoi della
simbologia e della mitologia comparata, vuoi della musica
medioevale, arrivò alla conclusione, in realtà sorprendente, che
la successione dei simboli riproduceva una partitura musicale, e
precisamente quella di un inno, o meglio della variante di un
inno gregoriano dedicato al santo protettore di quella comunità
monastica conventuale. Mi limiterò a qualche accenno sulle
corrispondenze per mostrarvi il modo in cui Schneider è giunto
alle proprie conclusioni.
Ciò che ha attratto l’attenzione dello studioso è stato il
ripresentarsi “ritmico” nelle raffigurazioni dei capitelli –
parlo sempre in particolare del chiostro di San Cugat de Vallès,
ma anche di quello della cattedrale di Gerona – di figure di
animali reali o immaginari, in questo caso sarebbe meglio dire
immaginali, caratterizzati da una forte carica simbolica: il
pavone (2 DIA) (inteso qui più come animale immaginale che non
concreto, viste le modalità della sua rappresentazione), il
leone (1 DIA), l’aquila (1 DIA), il gallo (1 DIA), il bue o toro
(1 DIA), gli uccelli canterini (1 DIA). Basandosi anche sulla
mitologia comparata, ad esempio sulla simbologia animale
dell’India, Schneider arriva a delle equivalenze tra animali
rappresentati e note musicali. Dò un breve esempio del suo modo
12
Victor Zuckerkandl, Man the Musician, Princeton University Press, Princeton,
N.J., 1976. pp. 12-13.
13
I capitoli III e IV sono stati interamente riscritti dall’Autore nel 1972,
mentre i primi due sono stati riveduti e ampliati. Quindi l’editore italiano può
scrivere, con legittimo orgoglio: prima edizione mondiale della nuova,
definitiva redazione. Marius Schneider, Pietre che cantano, studi sul ritmo di
tre chiostri catalani di stile romanico, Archè, Milano, 1976, traduzione di
Augusto Menduni.

5
6

di lavorare, scegliendo una raffigurazione frequente nell’arte


romanica, la lotta – o il rapporto - tra leone e bue (1 DIA):

Solitamente il leone è considerato simbolo del


sole trionfante, della luce del giorno e del
valore. La sua sostanza risuona nella nota fa. Per
contro il toro sacrificale e il bue simbolizzano la
notte, umiltà e lutto, rinuncia ed abnegazione, e
il suono mi. La lotta, veramente classica nella
scultura romanica, tra il leone e il bue, o il
toro, rende visibile la tensione acustica
dell’intervallo di semitono fa-mi cioè la lotta
primaverile tra estate e inverno (giorno e notte)
[...] In antitesi con la lotta primaverile, in cui
il leone solare (fa) vince il toro notturno o il
bue (mi), è la disputa serotino-autunnale. Al
calare della notte l’animale solare è vinto dal
toro notturno. Perciò il leone stanco emette la
nota mi, suono della sottomissione, mentre il toro
possente fa udire il vittorioso fa. Non l’animale
in sé ma il ritmo alterno della sua forza spiegata
corrisponde al suo valore sonoro. La nota fa è
l’urlo di vittoria dell’immolatore; nella nota mi
si diffonde il lamento dell’immolato.14

Le cose sono quindi complesse, non importa soltanto


l’animale rappresentato, ma anche la sua funzione, il che
ricorda il modo funzionalista di accostarsi alla fiaba di
Vladimir Propp che, appunto, sottolinea il valore di “ciò che
fa” il personaggio, piuttosto di “ciò che è”.15 Come risultato
finale Schneider giunge a stabilire delle equivalenze16 (1 DIA )
fa do sol re la mi si fa
Gallo Aquila Gru Pavone Uccelli Toro Pesce Toro
Leone Elefante canterini sacrif. Rana Anim.
Animale Leone fant.
fantast. domato
Agnello
Bue
Mattino Mezzog. Pomeriggio Notte
Sera

L’ipotesi di Schneider è veramente affascinante e ci fa


sognare.
In Il nome della rosa, di Umberto Eco, Adso si domanda,
immerso in una sorta di stato d’animo visionario di fronte al
portale romanico riccamente scolpito del monastero (1 DIA):
14
Ibidem, pp. 20-21.
15
Soprattutto nel suo libro Morfologia della fiaba, a cura di Gian Luigi Bravo,
Einaudi, Torino, 1966.
16
M. Schneider, Pietre che cantano, cit., p. 22.

6
7

Cos’erano e che simbolico messaggio


comunicavano quelle tre coppie di leoni intrecciati
a croce trasversalmente disposta, rampanti come
archi, puntando le zampe posteriori sul terreno e
poggiando le anteriori sul dorso del proprio
compagno, la criniera arruffata in volute
anguiformi, la bocca aperta in un ringhio
minaccioso, legati al corpo stesso del pilastro da
una pasta o da un nido di viticci?17

Ecco comunque gli schemi dei chiostri di San Cugat e di


Gerona e gli spartiti di cui sarebbero l’espressione (4 DIA,
schemi dal libro).
Anche se si trovano molte altre rappresentazioni della
musica e persino rappresentazioni “tecniche”, come quelle dei
toni del “canto fermo” gregoriano sullo splendido capitello di
Cluny (5 DIA: 4 Cluny + 1 mozarabico), è sicuramente eccezionale
la riproduzione, mediante raffigurazioni scolpite, di una
melodia. Come dice il titolo del libro, le pietre cantano,
creando inoltre un gioco di parole evocativamente creativo,
ricordando che in Spagna Schneider ha vissuto e lavorato
moltissimi anni e che inoltre proprio in Spagna si trovano i
chiostri di cui parla: “La lingua spagnola che indica un morto
che ritorna (spettro) con il termine estantigua (= estatua
antigua), intende con la parola canto tanto ‘pietra’ quanto
‘canto’.”18
Non ho parlato del chiostro di Santa Maria di Ripoll, il
terzo preso in esame da Schneider perché esula dal mio discorso
di oggi. Però vorrei proiettarvi l’immagine di uno dei suoi
capitelli,19 perché mi sembra possa farci immaginare
ulteriormente, seguendo la famosa massima di Rafael Lopez-
Pedraza “stick to the image”, “aderite all’immagine” che, come
dice Hillman, è diventata la regola aurea della psicologia
archetipica.20 La scultura (1 DIA) rappresenta una monaca, vista
di spalle, che sta entrando nella pietra: se ne vedono la
schiena e il capo velato. Schneider torna sull’immagine due
volte,21 interpretandola come “l’antica rappresentazione della
morte (pietrificazione), cioè l’ingresso del morto nella pietra
delle anime (ingresso agli inferi)”, aggiungendo più avanti: “da
un pensiero d’origine megalitica scaturisce l’immagine di una
monaca che (volgendo le spalle all’osservatore) entra in una
parete di pietra [...] Qui si è dato forma realisticamente
all’idea della graduale pietrificazione, dell’ingresso del
17
Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1980, p. 51. Dalla
descrizione direi che Eco avesse in mente, nella sua descrizione, il portale di
Moissac.
18
Ibidem, p. 61.
19
Ibidem, figura 8.
20
Nella voce “Psicologia archetipica” in Enciclopedia del Novecento, Istituto
dell’Enciclopedia italiana, Roma, ca. 1980.
21
M. Schneider, Pietre che cantano, cit., pp. 81 e 88.

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8

malato o del moribondo nella roccia.” Si deve ricordare, a


proposito del malato o del moribondo, che l’interpretazione di
Schneider sul chiostro di Ripoll tende ad associare quest’ultimo
ad un “probabile rito terapeutico”.
A me è sembrato invece di vedere in quest’immagine un
significato completamente diverso: è un principio spirituale (la
suora) femminile (la musica) che entra nella pietra per
vivificarla, per renderla, oltre che visiva, sonora e
“cantante”, come appunto succede in questi chiostri catalani.

* * *

[Viridissima virga] Questa immagine mi è stata forse


dettata, fungendo da “ponte”, dal prossimo argomento che
affronterò: una monaca che ha veramente vivificato il chiostro
con le sue liriche e le sue musiche, e non soltanto; quella
straordinaria figura di donna spirituale che fu Ildegarda di
Bingen.
Mi si presenta un'altra immagine: l’opera di Ildegarda come
un grande trittico medievale i cui portelli laterali sono la sua
attività di medico e di musicista e la pala centrale la sua
opera visionaria: come predella possiamo immaginare la sua ampia
corrispondenza e le sue opere minori. Occuparmi delle
straordinarie visioni e della non meno straordinaria competenza
medica di Ildegarda mi porterebbe fuori strada, quindi mi
limiterò, com’è ovvio, all’anta della musica – per non uscir di
metafora - dopo aver dato alcuni cenni biografici che, come
vedremo, sono importanti.
Nasce, decima figlia di un’aristocratica famiglia tedesca
renana, nel 1098, un anno prima di una data formidabile della
storia dell’Occidente: il 15 luglio 1099 Gerusalemme é
conquistata dai Crociati.
Ad otto anni Ildegarda viene affidata dai genitori per la
sua educazione a Jutta di Spanheim, monaca del monastero di San
Disibodo, monastero benedettino misto nella diocesi di Magonza.
Da Jutta apprende a leggere e a cantare, apprende cioè il
Salterio, inteso sia come testo, i Salmi, che come strumento
musicale, il decacordo (1 DIA); all’epoca era d’uso corrente la
metonimia: “imparare il Salterio = imparare a leggere”, e la
musica era una delle arti liberali: i testi religiosi si
memorizzavano cantandoli. Nel 1136 Jutta muore e Ildegarda viene
eletta badessa; pochi anni dopo, in una delle visioni di cui era
oggetto sin dalla prima infanzia, al comando decisivo: “Annuncia
queste meraviglie e scrivile tali e quali ti sono insegnate e
dette”, Ildegarda inizia a scrivere le proprie visioni, di cui
non tratterò, ma di cui sono rimaste alcune straordinarie
immagini nelle illustrazioni dei manoscritti.
Può essere interessante notare come la volontà della luce
divina di farsi conoscere si manifesti in quel momento cruciale
dell’esistenza umana, la cui importanza Jung ha sottolineato
tante volte: la “metà della vita”.

8
9

Nel 1148 il papa Eugenio III, cistercense allievo di San


Bernardo di Chiaravalle, riconosce durante il Concilio di
Treviri il dono profetico di Ildegarda e le chiede di “scrivere
tutto quello che le detterà lo Spirito Santo”. A proposito del
“dono profetico” va ricordato che “profezia” non va intesa nel
senso di “predizione”, ma nel senso di una visione intellettuale
che penetra le verità divine. Il Papa stesso lesse in pubblico,
di fronte ai numerosi astanti, dei passi degli scritti di
Ildegarda esponendo una parte importante della sua opera. Tutti
gli uditori furono colpiti d’ammirazione e ne resero grazie al
Signore. La conclusione dell’assemblea, attribuita a San
Bernardo, fu: “Bisogna guardarsi dallo spegnere una luce tanto
mirabile, animata dall’ispirazione divina.”
L'autorevolezza di Ildegarda, già grande come medico e come
consigliera, naturalmente acquista una base più solida, non
soltanto “pratica”, ma di “magistero”.
Tralascerò episodi - importanti - della vita: la fondazione
del monastero di Rupertsberg ed il conseguente contrastato
abbandono del Disibodenberg, la separazione dalla diletta
Richardis e la sua morte, per accennare ad un altro notevole
aspetto dell’attività di Ildegarda che iniziò subito dopo la
conferenza papale: i suoi viaggi di predicazione sia anticatara
(ed è in qualche modo da notare che, anche secondo autori
qualificatissimi, esistono nella visione del mondo di Ildegarda
delle idee manichee) sia pubblica, in cui non esitava ad
attaccare con foga e durezza il clero ed i prelati per la loro
“effeminatezza e mollezza”. Ricordo che la predicazione pubblica
di una donna a quel tempo era - letteralmente - più unica che
rara.
Poco prima di morire, l’ultima traversia: per una
contrastata sepoltura nel cimitero del convento, il capitolo di
Magonza - in assenza del vescovo, che si trovava a Roma – getta
l’interdetto sul monastero: viene imposta la proibizione di
ascoltare la Messa, di ricevere l’Eucarestia e di cantare in
chiesa. L’interdetto e la scomunica vennero annullati soltanto
sei mesi dopo, con una lettera del vescovo da Roma. La lettera
di difesa di Ildegarda ai prelati di Magonza è un capolavoro, in
cui anche lo stile della scrittura e delle immagini è costruito
in modo musicale; la riporterò tra breve.
Ancora sei mesi e, il 17 settembre 1179, Ildegarda muore,
la sera.

Due splendenti archi di luce colorata


apparvero nel cielo allargandosi sempre più verso i
punti cardinali, dal nord al sud, dall’oriente
all’occidente. E in alto, dove gli archi si
univano, si alzò una luce chiara come la luna a
riempire il cielo e scacciare le tenebre della
notte. Vedemmo una croce luminosa e rosseggiante,
dapprima piccola poi sempre più grande, farsi
immensa e tutt’intorno cerchi di luce di vario
colore ...Il mondo intero ne era illuminato...

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10

Capimmo tutti che questo era un segnale divino che


mostrava in quanta luce Dio avesse ammantato nel
cielo la sua amata.22

Come abbiamo visto, la musica accompagna Ildegarda per


tutta la vita, dalla primissima istruzione fino al dolorosissimo
interdetto del capitolo di Magonza, un anno prima della morte.
La lettera ai prelati di Magonza, scritta non certamente per
chiedere perdono ma per difendere il proprio buon diritto con
estrema forza e tensione emotiva, contiene una delle più belle
pagine mai scritte sulla musica; la citazione é lunga e
complessa, ma non mi sono sentito di abbreviarla troppo:

Vidi anche qualcosa a proposito del fatto che,


obbedendo a voi, abbiamo finora smesso di celebrare
l’ufficio divino cantando, limitandoci a leggerlo a
bassa voce; udii una voce che veniva dalla luce
vivente a proposito dei diversi generi di lode di
cui Davide (1 DIA) dice nel salmo: “Lodatelo con
squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra,
lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde
e sui flauti, lodatelo con cembali sonori, lodatelo
con cembali squillanti; ogni vivente dia gloria al
Signore.”23
In queste parole, cose esteriori ci insegnano
cose interiori, vale a dire in che modo, secondo la
composizione materiale e la qualità degli
strumenti, possiamo formare al meglio e trasformare
in lodi al Creatore le azioni del nostro essere
interiore. Se tendiamo a ciò con amore, recuperiamo
il modo in cui l'uomo cercò la voce dello spirito
vivente, che Adamo perdette per disobbedienza, egli
che, ancora innocente prima della sua colpa, aveva
un’affinità non trascurabile con le voci delle lodi
angeliche [è un tema che troveremo anche tra i
mistici islamici, più avanti][...]
Ma affinché l’umanità potesse recuperare
quella dolcezza e quella lode di Dio con cui,
assieme agli angeli, Adamo si dilettava in Dio
prima della caduta, e potesse recuperare Adamo dal
suo esilio, e inoltre per provocare l’umanità a
tale dolce lode, i santi profeti - ammaestrati dal
medesimo spirito che avevano ricevuto - non solo
composero salmi e cantici, da cantarsi per
accendere la devozione dell’ascoltatore;
inventarono anche, a questo scopo, strumenti
musicali di diversi tipi con i quali i canti
potessero esprimersi in una moltitudine di suoni,

22
Dalla Vita Sanctae Hildegardis, citato in Maria Teresa Fumagalli Beonio
Brocchieri in In un’aria diversa. La sapienza di Ildegarda di Bingen, Mondadori,
Milano, 1992, p. 31.
23
Salmo 150, 3-5.

10
11

di modo che gli ascoltatori, esteriormente


indottrinati e allenati, potessero nutrirsi
interiormente sia con le forme e le caratteristiche
degli strumenti che con i significati delle parole
recitate.
Uomini volonterosi e saggi imitarono i santi
profeti, inventando tipi umani di melodie (organa)
armonizzate con la propria arte, così da poter
cantare per la delizia dell’anima; e adattarono il
loro canto alla [notazione indicata dalle] giunture
delle dita (1 DIA). Come rammentandosi che Adamo
era stato formato dal dito di Dio, che è lo Spirito
Santo, e che nella voce di Adamo prima della caduta
c’era il suono di ogni armonia e la dolcezza di
tutta l'arte della musica. E se Adamo fosse rimasto
nella condizione in cui fu formato, la fragilità
umana non avrebbe mai potuto sopportare la forza e
la sonorità di quella voce. Ma quando il suo
ingannatore, il diavolo, udì che l’uomo aveva
cominciato a cantare per divina ispirazione, e si
rese conto che da ciò, vale a dire dal ricordo
della dolcezza dei canti della patria celeste,
sarebbe stato trasformato, vedendo sfumare la
macchinazione della sua astuzia, si spaventò a tal
punto che [...] ha incessantemente continuato a
turbare o a distruggere l’espressione, la bellezza
e la dolcezza delle lodi divine e degli inni dello
spirito. Così voi e tutti i prelati dovete usare la
massima cautela prima di chiudere la bocca con un
decreto a qualsiasi assemblea di persone che
elevino canti a Dio [...] dovete sempre badare a
non essere nei vostri giudizi turlupinati da
Satana, che trasse via l’uomo dall’armonia celeste
e dalle delizie del paradiso. [...]
E dato che a volte, ascoltando una melodia, un
essere umano spesso sospira e geme, ricordandosi
della natura dell’armonia celeste, il profeta
Davide, considerando sottilmente la profonda natura
dello spirito, e sapendo che l’anima dell'uomo è
sinfonica [sottolineatura mia] (symphonialis), ci
esorta nel suo salmo a proclamare il Signore sul
liuto e a suonare per lui sulla cetra a dieci
corde: egli riferisce il liuto, che suona più
basso, al controllo del corpo; la cetra, che suona
più alto, all’intenzione dello spirito; le dieci
corde, al compimento della Legge.24 (1 DIA)

24
Il testo è riprodotto in Peter Dronke, Women Writers of the Middle Ages,
Cambridge University Press, Cambridge, 1984. Traduzione italiana (da me
lievemente modificata) di Eugenio Randi, Donne e cultura nel Medioevo, Il
Saggiatore, Milano, 1986, pp. 254-255.

11
12

Ricordo che Ildegarda scriveva non soltanto la musica, ma


anche le liriche delle sue composizioni: di nuovo la doppia
immagine del Salterio da cui aveva iniziato sotto la guida di
Jutta. [Campane Angelus a sfumare] E’ veramente un’anima
sinfonica quella che canta e il chiostro, che a Ripoll e a
Gerona vestiva le proprie immagini di note, sembra qui diventare
una possente cassa armonica per la voce e la musica di questa
donna straordinaria.
Symphonialis est anima. L’anima è sinfonica.

Il concerto spirituale nella mistica islamica ed ebraica

Ecco perché i filosofi hanno detto che riceviamo


queste armonie dalla rivoluzione della sfera
celeste,
e che questa melodia, che la gente canta
accompagnandosi con il banduro è il suono delle
rivoluzioni della sfera...
...Dall’audizione dei suoni e dei canti le immagini
mentali derivano una grande forza; in verità esse
diventano delle forme.25

Se i prelati di Magonza e molti teologi medioevali erano


contrari alla musica, destino non diverso ha la musica in Islam,
dove l’avversione per essa da parte degli ‘ulama, i “dottori
della legge”, è forse ancora più feroce.

Da sempre, nella prospettiva fatta propria


dalle frange dell’Islam più ortodosso, la musica –
e tutto ciò che ad essa, in un modo o nell’altro,
si riconnette – è da ritenersi sic et simpliciter
contraria allo spirito e alla lettera della “legge
islamica” – sharī’ah. Non c’è scuola giuridica, tra
le quattro ortodosse – la hanafita, la shāfi’īta,
la hanbalita e la mālikita – che non sia aspramente
determinata nel disapprovare tanto il canto quanto
la danza, entrambe essendo nient’altro che delle
fattispecie secondarie della musica e come quella,
pertanto, atte a provocare effetti indesiderabili
sull’”equilibrio psicofisico” – mizāj – dell’essere
umano.26

Com’è sempre il caso, tra ortodossia e mistica, tra


pensiero ed esperienza, si crea una squalifica reciproca che
porta, possedendo ovviamente l’ortodossia il potere e mostrando
sempre un’intransigenza molto più dura di quanto non faccia la
mistica, a conseguenze tragiche, come dimostra – un’eminente

25
Jalāl ad-Dīn Rūmī, Mathnawī, IV, 732-733, 743.
26
Angelo Iacovella, “Per una ricognizione delle fonti arabo-islamiche in materia
di eventi sonori”, in Musica e storia, Fondazione Ugo e Olga Levi, Il Mulino,
Bologna, volume IX, n° 2 – dicembre 2001, pp. 454-455.

12
13

figura per tutte in ambito islamico, dove è ancora venerato – il


martirio di Al-Hallāj, il grande mistico condannato al patibolo
dai “dottori della legge”, sentenza eseguita il 26 marzo 922
A.D..27 Non è questa la sede per affrontare questa opposizione,
peraltro ubiquitaria sia in Oriente che in Occidente, tra
mistica e ortodossia, tra esperienzialità e ragionamento
filosofico, che si ripropone spesso anche nelle nostre scuole
analitiche, causando a volte acerbe polemiche.
Nonostante la guerra dichiaratale da parte dei dottori
della legge, la musica, intesa proprio come strumento devoto di
elevazione spirituale, è ben presente nell’Islam. Una delle
forme che forse ci sono più note – tralasciando il richiamo alla
preghiera del muezzin, che pure è un’espressione musicale – è
forse il sama’, qual è praticato dai dervisci della
confraternita fondata da Gialāl-ad-Dīn Rūmī , i dervisci mawlānā
(dal titolo che danno al proprio fondatore, e che significa
nostro maestro) o, in turco, mevlevi: si tratta dei famosi
derviches tourneurs o Whirling Dervishes, che hanno il loro
attuale centro a Konya, l’antica capitale selgiukide
nell’Anatolia turca dove è sepolto lo stesso fondatore. (2 DIA 1
Rumi che danza + 1 manifesto) Rūmī – che scriveva in persiano -
venne definito dal suo grande traduttore inglese Reynold A.
Nicholson: “il massimo poeta mistico di tutti i tempi”,28
definizione che Nicholson continua a reputare adeguata anche
molti anni dopo averla espressa per la prima volta, e che quindi
non era solo frutto di entusiasmo giovanile. Ma non posso
trattenermi su Rūmī - su di lui sono stati versati fiumi
d’inchiostro anche in Occidente - se non per quanto riguarda
l’uso della musica nella confraternita da lui fondata.
Due parole sul sama’. Con questo termine, che spesso viene
tradotto come “concerto spirituale”, si indica – parlo in
particolare dei derviches tourneurs – quella che per i nostri
dervisci è una sorta di vera e propria liturgia. Dopo la
preghiera, in certi giorni della settimana, i dervisci si
siedono in cerchi concentrici per il dhikr, che consiste nella
ripetizione esasperata di un nome di Dio o di una breve frase,
che spessissimo è la prima parte della professione di fede, “Non
c’è Dio all’infuori di Dio”. Il sama’ vero e proprio è l’ultima
parte della seduta. Vengono recitate delle poesie o da uno dei
confratelli o, a volte, anche da un dicitore appositamente
pagato. La recitazione è accompagnata dal canto e talvolta dalla
musica. (1 DIA orchestra)

“Resi estatici dal sama’, i dervisci si alzano


dal loro posto e si mettono a danzare.
Originariamente è possibile che la danza abbia
potuto avere un carattere passionale del tutto

27
Su Hallaj si veda la straordinaria opera di Louis Massignon, La Passion de
Husayn Ibn Mansûr Hallâj, Gallimard, Paris, 1975, 4 volumi.
28
The Mathnawī of Jalālu’ddin Rūmī (Books V and VI), Edited and Translated by
Reynold A. Nicholson, E. J. W. Giggs Memorial Trust, Cambridge, ristampa 1990,
p. IX.

13
14

spontaneo. Poco a poco, tuttavia, ogni ordine ha


dato alle proprie sedute una forma specifica.
Questo è vero soprattutto per i Mevlevi di Konya
(DIA copertina), i celebri “derviches tourneurs”
presso i quali la danza ha un carattere
29
propriamente liturgico.” (1 DIA miniatura antica)

A parte la mia esperienza diretta delle danze dei


dervisci a Konya e anche in Italia, sono stato invitato una
volta ad un sama’ – esclusivamente di recitazione e musica - che
si teneva in una libreria persiana di Roma, in occasione della
presentazione della traduzione italiana di un famoso trattatello
di al-Ghazālī sul sama’30, e posso testimoniare della commozione
profonda del padrone della libreria, che è anche un derviscio,
mentre recitava gli straordinari versi con cui inizia la
Mathnawī, la massima opera di Rūmī: [Ney]

Ascolta il ney (il flauto di canna) che


racconta una storia, che si lamenta della
separazione:
“Da quando sono stato tagliato via dal
canneto, il mio lamento fa gemere l’uomo e la
donna.
“Voglio un cuore lacerato dalla separazione
per versarvi il dolore del desiderio.
“Chiunque sia lungi dalla propria sorgente
anela all’istante in cui le sarà di nuovo unito.
“Ho levato il mio lamento in ogni compagnia,
mi sono unito a quelli che gioiscono e a quelli che
piangono.
“Ognuno mi ha inteso secondo il suo
sentimento, ma nessuno ha cercato di capire il mio
segreto.
“Il mio segreto non è tuttavia lontano dal mio
lamento, ma l’orecchio e l’occhio non riescono a
percepirlo.
“Il corpo non è velato all’anima né l’anima al
corpo, tuttavia nessuno riesce a vedere l’anima.
“E’ fuoco e non aria il suono del flauto: che
si annienti colui cui questa fiamma manca!”31

Credo che nessuno possa recitare o anche solo ascoltare o


leggere questi versi senza esserne profondamente commosso, ma la
visione di quell’anziano signore baffuto con gli occhi pieni di
lacrime, come è giusto che siano gli occhi dell’amante in
assenza dell’Amato, mi resterà per sempre presente.

29
Marijan Molé, « La danse extatique en Islam », in Les danses sacrées, Seuil,
Paris, 1963, p. 149.
30
Abū Hāmid al-Ghazālī, Il concerto mistico e l’estasi, a cura di Angelo
Iacovella, Il leone verde, Torino, 1999.
31
Mathnawī, cit., I , 1-10.

14
15

Vorrei ora darvi una descrizione di come si svolga la


danza, altamente ritualizzata, dei nostri dervisci. La prima
volta che li vidi danzare, non sapendone nulla, ebbi un pensiero
immediato: “Ma questa è come la danza degli astri!”;
inconsapevolmente avevo visto giusto.
La cerimonia è molto suggestiva. Cercherò di darvene
un’idea, senza entrare in troppi dettagli, che appesantirebbero
soltanto l’esposizione.
La sala dove si svolge ha – come nelle moschee - un mihrāb
(la nicchia che indica la qibla, la direzione della Mecca) e un
minber (il pulpito islamico). C’è poi un recinto ottagonale che
separa lo spazio dedicato alla danza dagli eventuali spettatori.
All’inizio ci sono delle preghiere e la recitazione di una parte
della Mathnawī, poi dei canti e un’improvvisazione del flauto,
il ney di cui ci parlava il poeta. Dopo l’improvvisazione, al
suono dei flauti e dei tamburi, i dervisci, avvolti in un
mantello nero che li copre fino ai piedi e con un copricapo
bruno, fanno tre volte il giro della sala in senso antiorario. A
questo punto si muove lo sceicco – il capo della danza - che,
accompagnato dal suo aiutante e seguito dai dervisci, dopo degli
inchini reciproci compie altri tre giri, poi si siede su una
pelle di montone, posta in un punto preciso sull’asse che va dal
mihrāb alla porta d’ingresso (1 DIA dello schema). La musica
intanto è variata: c’è un’altra improvvisazione del flauto, poi
un canto accompagnato dai tamburi [Salam]. All’inizio del canto
i dervisci, che si erano fermati ai loro posti, lasciano cadere
il mantello nero e restano con un semplice abito bianco con una
cintura in vita ed il copricapo (1 DIA), poi baciano uno per
volta la mano allo sceicco, chiedendo il permesso di danzare (1
DIA), e iniziano la danza girando su se stessi e seguendo due
orbite distinte: le braccia sono allargate, la mano destra
girata verso l’alto (il cielo) e la sinistra verso il basso (la
terra), il capo inclinato a destra (1 DIA); le ampie gonne degli
abiti, nel movimento, si aprono a campana (1 DIA). Un derviscio
più anziano rimane al centro girando su se stesso (1 DIA). Ci
sono varie interruzioni e riprese, quattro in tutto, dopo di che
i dervisci, tornati ai posti iniziali, reindossano il mantello
nero. C’è poi la lettura di un brano del Corano e varie
preghiere: per il profeta, per i suoi compagni, per il fondatore
(Rūmī) ecc. Viene infine recitata, prima dei saluti scambiati
tra sceicco, dervisci e orchestra e l’uscita definitiva, la
fatiha (la sura “aprente” del Corano) per i morti.32
La presenza della morte, della morte mistica,
dell’annichilimento nell’Amato, è molto forte: la veste bianca
rappresenta il sudario, il copricapo la pietra tombale; le
pietre tombali musulmane, per gli uomini, sono colonnine
verticali con sopra un turbante. Per dirla con le parole di
Mehmet Celebi, grande poeta turco classico, ricordando
incidentalmente che la poesia turca classica è grande debitrice
dei mevlevi:

32
Vedi M. Molé, cit., pp. 229-232.

15
16

...O nobile, ascolta il segreto del terzo


giro! Gli amanti lo chiamano “verità certa”,
e lo chiamano anche “annichilimento completo”
e “morte”, “sparizione completa” e “trapasso”.
Dopo di che Dio dice , nel nome della Pace:
“pace su di voi, o amanti!
Morendo vi siete liberati della morte; con
l’annichilimento avete ritrovato la via verso di
me.”33

Le interpretazioni simboliche del sama’ sono molte, ma qui


volevo semplicemente accennare a quel simbolismo celeste di cui
mi ero reso intuitivamente conto.

[L’interpretazione] più nota al grande


pubblico europeo è quella che vede nella danza dei
dervisci la riproduzione dei movimenti dei pianeti
che, mossi dall’amore, girano attorno alla loro
sorgente comune. Con la mano destra girata verso
l’alto accettano l’emanazione divina, con la
sinistra, girata verso il basso, la trasmettono
alle regioni inferiori.
La spiegazione è fondata sull’idea ellenistica
e neoplatonica, accettata dai filosofi islamici e
dai sufi, degli angeli delle sfere che, spinti
dall’amore per l’Assoluto, fanno ruotare gli astri.
Per quanto riguarda i mevlevi, questa
rappresentazione sembra esser stata corrente già
nell’ambiente stesso del fondatore.34

Ricordando quanto accennavo sopra a proposito della lettera


di Ildegarda ai prelati di Magonza, vale a dire del ricordo
“adamico” e angelico provocato dalla musica, riporterò un passo
molto delicato - tratto da un manoscritto conservato a Leida –
di un autore persiano del XV secolo, che dà anche ragione
dell’analogia con i movimenti delle sfere celesti e del legame
con la morte del sama’. Questo l’antefatto: il profeta,
attorniato dai Compagni, dopo la preghiera si rivolge a dei
dervisci che erano lì ad ascoltarlo e li invita a recitare e poi
a suonare qualcosa per i suoi Compagni.

Allorché i dervisci ebbero soffiato nel


flauto, il Profeta fu colto dall’estasi. Si alzò
dal suo posto, si mise a battere le mani e a girare
su se stesso per un po’, dopo di che si rimise a
sedere al proprio posto e vi si trattenne. Dopo
un’ora i Compagni dissero: “O Inviato di Dio, che
cosa significa il sama’ e perché lo si chiama
così?” Il Profeta rispose: “Lo si chiama sama’
perché vi si ascolta qualcosa. Il sama’ fece la sua
33
Citato in M. Molé, cit., p.250.
34
M. Molé, cit., pp. 246-247.

16
17

prima comparsa il giorno in cui lo spirito di Adamo


rifiutava di entrare nel suo corpo. Perché non
provasse angoscia, Dio Altissimo ordinò agli angeli
riuniti attorno al suo trono di recarsi tutti al
capezzale di Adamo e di cantare dicendo: “Entra nel
corpo!” (1 DIA Adamo adorato dagli angeli). Come
lo spirito di Adamo è entrato nel corpo con
difficoltà, così ugualmente ne esce con difficoltà
nel momento in cui deve lasciarlo. L’eco del canto
degli angeli del Trono giunse agli angeli dei sette
cieli Arrivarono tutti, e le lodi di Dio
suscitarono in loro uno stato mistico e
un’inquietudine. Così tutti gli angeli dei sette
cieli cominciarono a muoversi. Giravano su se
stessi e nessuno è riuscito a sapere come, su
ordine di Dio Altissimo, lo spirito di Adamo sia
entrato nel suo corpo (1 DIA Adamo attorniato dagli
angeli). Per di più nessuna creatura sa come lo
spirito abbandoni il corpo; si sa soltanto che lo
spirito del tal dei tali ha abbandonato il suo
corpo.35

* * *

Una cosa che forse vale la pena di ricordare è come un tipo


di danza sacra, anche circolare, non fosse ignoto ai cristiani
dei primi tempi. Ne abbiamo diverse testimonianze, in genere –
naturalmente - di detrattori che facevano parte dell’ortodossia,
come padri quali Basilio di Cesarea e Agostino di Tagaste. Il
documento più interessante rimane comunque uno scritto dagli
accentuati caratteri gnostici - per esempio l’idea dell’irrealtà
della passione di Cristo, che è comune ai musulmani - gli Atti
apocrifi di Giovanni. Si parla della danza soprattutto nei
capitoli 92-104 in cui Gesù, prima della passione, ordina ai
discepoli riuniti attorno a lui di disporsi in circolo e di
prendersi per mano: lui canterà e loro risponderanno con un
amen.

Fischierò, danzate tutti la danza, Amen. Mi


lamenterò, lamentatevi tutti, Amen. Cantate con voi
stessi l’ogdoade unica, Amen. La dodicesima cifra
si mette a danzare, Amen. A ciascuno è concesso di
danzare, Amen. Colui che non danzerà ignora ciò che
accade, Amen
[...]
Entrando nel sentimento della mia danza,
vediti in me che parlo e, avendo visto ciò che
faccio, mantieni il silenzio sui miei misteri.
Tu che danzi, renditi conto di ciò che faccio,
che questa Passione dell’Uomo che debbo soffrire è
la tua: tu non avresti assolutamente potuto capire
35
Citato in M. Molé, cit., pp. 215-216.

17
18

la tua sofferenza se io non fossi stato inviato dal


Padre come Parola.
Tu che hai visto ciò che soffro, mi hai visto
come se soffrissi e, avendo visto, non sei rimasto
inerte, ma tutto il tuo essere si è commosso...36

Anche in questo caso, evidentemente, si trattava di


manifestazioni inaccettabili dall’ortodossia, come il gioco
della palla in chiesa, molto diffuso in epoca medioevale, di cui
Jung tratta ampiamente - riportando anche dei testi tratti da
manoscritti medievali - in Dream Analysis, e che accosta,
appunto, anche al testo che ho appena citato.

Questo jeu de paume aveva un significato


rituale, proprio come il carnevale. Nei monasteri,
durante il carnevale di primavera, c’era l’usanza
di rovesciare la posizione dell’abate e dei giovani
fratelli laici; il più giovane diventava l’abate e
viceversa. C’era anche una festa in cui ci si
scambiavano i ruoli, con l’abate e i monaci più
anziani che servivano i giovani fratelli laici;
veniva anche celebrata una messa da burla, con il
confratello più giovane ad officiarla, in cui
c’erano canti e scherzi osceni, e tutti, non
soltanto il celebrante, bevevano vino; si
verificavano poi orge di ubriacatura e tutti
sciamavano fuori della chiesa per le strade e
mettevano tutto a soqquadro. Il papa nel
tredicesimo secolo mise fine a queste feste e al
jeu de paume perché si arrivava a questi estremi.37

* * *

Nell’Antico Testamento i riferimenti alla musica – usata in


senso spirituale - sono numerosissimi; basti pensare a quanto
diceva Ildegarda nella sua lettera ai prelati di Magonza. Volevo
però ricordare un passo del primo libro di Samuele, perché vi
troviamo un accenno al potere estatico della musica, che fa
“profetizzare”. Si tratta di Samuele che parla a Saul:

Giungerai poi a Gàaba di Dio, dove c’è una


guarnigione di Filistei e mentre entrerai in città,
incontrerai un gruppo di profeti che scenderanno
dall’altura preceduti da arpe, timpani, flauti e
cetre, in atto di profetizzare. Lo spirito del
Signore investirà anche te e ti metterai a
36
Traduco dalla traduzione parziale di Festugière, in La révélation d’Hermès
Trismégiste, IV, 234 s. Ricordo l’interessante conferenza tenuta ad Eranos su
questo difficile testo da Max Pulver, “Jesu Reigen und Kreuzigung nach Johannes-
Akten”, Eranos-Jahrbuch, 1942, pp. 141-177. Traduzione inglese, “Jesus’ Round
Dance and Crucifixion according to the Acts of John”, in The Mysteries (Papers
from the Eranos-Jahrbuch 2), Princeton University Press, Princeton, 1955.
37
C. G. Jung, Dream Analysis, cit., p. 26 e n. 7.

18
19

profetizzare insieme a loro e sarai trasformato in


un altro uomo. Quando questi segni che ti
riguardano saranno accaduti, farai come vorrai,
perché Dio sarà con te.38

O il famoso versetto del secondo libro dei Re, di cui si


sono fatti forti i sostenitori dello stretto rapporto tra musica
e profezia. Dice Eliseo:

“...Ora cercatemi un suonatore di cetra”.


Mentre il suonatore arpeggiava, cantando, la mano
del Signore fu sopra Eliseo.39

Come si vede, la musica è chiaramente collegata all’estasi,


e quindi anche alla capacità di profetizzare, in quanto la
musica ci mette in comunione con Dio. Come diceva Rūmī: “Molte
strade portano a Dio, io ho scelto quella della musica e della
danza.”
Anche in Israele, comunque, esisteva un’opposizione all’uso
religioso o spirituale della musica. “Lontano da me il frastuono
dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo!” 40
esclama indignato il profeta Amos.
Un esempio dell’uso mistico della musica in ambito ebraico
lo troviamo anche in epoca molto più tarda, e precisamente in
Abraham Abulafia, “il grande mistico ebreo del XIII secolo, il
commentatore di Maimonide, il fondatore della forma estatica
della Qabbalah”.41
Com’è naturale per un qabbalista, la musica è anche legata
alla combinazione delle lettere; dice Abulafia:

Sappi che la combinazione [delle lettere] è


come l’ascolto delle orecchie, perché l’orecchio
ascolta e i suoni sono combinati secondo la forma
del tono e della melodia del suono. Ne sono prova
gli (strumenti a corda) kinnör e nevel; i loro
suoni sono armonizzati e con la combinazione dei
suoni le orecchie odono variazioni e scambi nelle
angosce dell’amore.42

L’allusione alle “angosce d’amore” non può non far


ricordare gli struggenti versi del ney che abbiamo ascoltati in
precedenza. Sul rapporto tra musica e profezia vorrei citare un
altro passo di Abulafia, tratto da La chiave del pensiero:

E’ noto che un suono si sente più forte in un


luogo che sia scavato o con delle cavità, per la
purezza dell’aria spirituale che entra in esso,

38
1 Samuele, 10, 5-7.
39
2 Re, 3, 15.
40
Amos, 5, 21.
41
Moshe Idel, L’esperienza mistica in Abulafia, Jaca Book, Milano, 1992, p. 9.
42
Ibidem, pp. 77-78.

19
20

come nel caso del kinnör e di simili strumenti


musicali che producono suono senza carattere
verbale, e così fanno anche le concavità dei piani
alti, le grotte, le montagne, le rovine ecc. il cui
interno è cavo. Nota che da esse viene anche
prodotto un suono simile ad un uomo che parla.
[...] Devi sapere che il corpo umano è pieno di
buchi e cavità, dal che puoi comprendere come la
Shekinah [l’occulta presenza divina nel mondo]
abiti nel corpo, che è bucato e (contiene) cavità e
che produce discorso.43

Questo passo è interessante perché mi fa risuonare – è


proprio il caso di dirlo! – le parole sul vuoto dei taoisti cui
accennavo in precedenza: è soltanto in virtù del suo vuoto, o
dei suoi vuoti, che la presenza di Dio può abitare l’uomo e
farlo quindi profetizzare, renderlo profeta, renderlo strumento
suonato da un soffio non suo ma ben più alto. Per porre
l’accento sull’importanza di questo tema da un punto di vista
psicologico, basta pensare al rapporto Io/Sé, nel quale, se l’Io
- nella sua abituale onnipotenza - non lascia spazi, la voce del
Sé non può risuonare né farsi sentire se non spezzando, a volte
in una tragedia psichica, quella stessa onnipotenza. Nella
speculazione di Abulafia, comunque, è molto presente il corpo,
il che lo accomuna ai nostri spirituali islamici. Ancora una
citazione, tratta dal Libro della vita eterna, con una
bellissima immagine:

Il corpo è come un giardino, che è il vertice


della vegetazione, e l’anima è l’Eden, che è il
vertice delle delizie: e il corpo è piantato in
esso. Il segreto di gan’eden [il giardino
dell’Eden] è ‘ad naggen [suonare] perché la
profezia ha luogo quando ‘eved naggen [il servo
suona?], ad esempio quando il suonatore arpeggiava
[2 Re, 3, 15]come nel caso di Eliseo.44

Mediante un passaggio, tipicamente qabbalistico, basato sul


gioco trasformativo tra le lettere, siamo ritornati al versetto
del secondo libro dei Re, ripetutamente evocato da Abulafia:

E’ noto a coloro che parlano della scienza


della musica che la musica è intermediaria tra lo
spirituale e il materiale, perché fa uscire
l’intelletto dalla sua prigionia, com’è scritto:
“ora cercatemi un suonatore di cetra” [2 Re, 3,
15], e come è scritto: “svegliatevi, arpa e cetra”
[Salmo 57, 9]. La natura trascina l’intelletto, per

43
Ibidem, p. 80.
44
Ibidem, p. 81.

20
21

così dire, a lasciare il [mondo] intellettuale e a


divertirsi con le cose materiali.45

Proprio come Sophia, la sapienza divina dice, nei Proverbi: “...


ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in
ogni istante; dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie
delizie tra i figli dell’uomo.”46

Comclusione

Siamo arrivati alla fine di questo lungo viaggio musicale, o


almeno così mi piace immaginarlo, oppure come un sama’, essendo
stato presente anche l’aspetto visivo. Dalla preistoria, dai
tamburi o dai dischi ronzanti e dai bull-roarers dei primitivi
siamo arrivati alle alte espressioni spirituali delle tre
religioni abramiche. In un momento in cui, almeno tra due di
esse, è in corso un conflitto sanguinoso e fratricida, vorrei
che una delle componenti essenziali della musica – perlomeno
della nostra musica occidentale – potesse ispirare il futuro:
l’armonia, e che ai rumori agghiaccianti della guerra e della
morte in battaglia si potesse sostituire una melodia di vita e
di pace.

Roma e Oleggio, marzo/aprile 2002

Ordine di proiezione delle diapositive (Musica e spiritualità):

1. 1 tamburo sciamanico da collezione Borgia.


2. 2 pittogramma sciamanico da Creation Myths + 1 Pellegrino.
3. 2 graffiti preistorici da Australia-UNESCO e Vialou.
4. 1 incisione Gafurius da Warburg, La rinascita degli dei.
5. 1 incisione Fludd da Alchimia & mistica.
6. 8 capitelli da vari libri.
7. 1 schema note/animali da Pietre che cantano.
8. 1 portale di Moissac da Durliat.
9. 4 schemi chiostri e spartiti (San Cugat e Gerona) da id.
10. 5 4 capitello di Cluny + 1 mozarabico da...
11. 1 capitello della monaca (Ripoll)da Pietre che cantano.
45
Ibidem, p. 92-93.
46
Proverbi, 8, 30-31.

21
22

12. 1 del decacordo (da Simbologia gioachimita).


13. 1 Davide che suona da La scultura romanica in Spagna.
14. 1 notazione digitale da Europa anno mille.
15. 1 manoscritto con strumenti id.
16. 2 1 miniatura “Rumi danzante” + 1 manifesto
17. 1 orchestra.
18. 1 copertina libro De Vitray.
19. 1 miniatura “Dervisci danzanti”.
20. 1 schema da Les danses sacrées.
21. 1 dervisci schierati.
22. 1 baciamano allo sceicco.
23. 1 posizione mani e capo.
24. 1 danza.
25. 1 danza con anziano.
26. 1 miniatura “Angeli che adorano Adamo”.
27. 1 miniatura “Adamo tra gli angeli”.

Totale: 44 diapositive.

Ordine di proiezione delle diapositive (opzione ampia):

1. 1 tamburo sciamanico da Collezione Borgia.


2. 3 2 pittogrammi sciamanici da Creation Myths + 1
pellegrino.
3. 9 graffiti preistorici 1 mia + 7 Vialou + 1 Australia-
UNESCO.

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4. 1 incisione Gafurius da Warburg, La rinascita degli dei.


5. 1 incisione Fludd da Alchimia & mistica.
6. 4 chiostro e monastero di San Cugat da vari libri.
7. 3 idem della cattedrale di Gerona da vari libri.
8. 4 idem di Ripoll da vari libri.
9. 8 capitelli da vari libri.
10. 1 schema note/animali da Pietre che cantano.
11. 1 portale di Moissac da Durliat.
12. 4 schemi chiostri e spartiti (San Cugat e Gerona).
13. 5 4 capitello di Cluny + 1 mozarabico da vari libri.
14. 1 capitello della monaca (Ripoll)da Pietre che cantano.
15. 2 del decacordo (Europa anno M e Simbologia gioachimita).
16. 18 Visioni di Ildegarda da vari libri e mie.
17. 1 Davide che suona da La scultura romanica in Spagna
(fascicolo).
18. 1 notazione digitale da Europa anno mille.
19. 1 manoscritto con strumenti id.
20. 1 Ildegarda (particolare) da Immag. della donna nel M.E.
21. 1 Rumi da Rumi, Diwan, Vol. 1.
22. 1 manifesto Turchia
23. 1 miniatura Rumi danzante.
24. 1 orchestra.
25. 1 dervisci a Konya (copertina libro su Rumi).
26. 2 miniature dervisci danzanti.
27. 1 dervisci schierati.
28. 1 baciamano.
29. 2 posizione mani e capo.
30. 3 danza.
31. 3 danza con anziano.
32. 1 angeli che adorano Adamo.
33. 1 angeli attorno ad Adamo.
34. 1 Abulafia. Totale: 90 diapositive.

Libri da cui sono tratte le illustrazioni per “Suono e


spiritualità”

Preistoria: D. Vialou, La preistoria (Il mondo della figura),


Rizzoli (7); 1 da Australia (Unesco).

Sciamanesimo: Creation Myths (1); Collezione Borgia (1).

Medioevo: Pietre che cantano; La Catalogna 1 e 2 (Jaca); La


civiltà dei monasteri (Jaca); Il firmamento dell’arte romanica
(Jaca); I simboli (Jaca); Die Kunst Kataloniens; Hispania
romanica; Gallia romanica; France romane; I regni d’occidente (2
di capitelli di Cluny); Europa anno mille (Finindustria)
(strumenti e notazione musicale digitale + 1 forse); Simbologia
gioachimita (decacordo) (1); La scultura romanica in Spagna
(Maestri della scultura Fabbri); Durliat, L’art roman.

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Ildegarda: Immagine della donna nel Medioevo (Jaca) + mie.

Incisioni: Mano di Dio (Alchimia & mistica) (1); Musica e sfere


(Warburg, La rinascita degli dei) (1).

Sama’: Corbin, Tempio (dervisci danzanti) (1); Rumi et le soufisme


(copertina + varie); Rumi, Rubayiat (copertina) (1); Rumi, Diwan,
Vol. 1 (1).

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