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Finzione, ironia e

umorismo
Alberto Voltolini
alberto.voltolini@unito.it
Filosofia della mente
Corso di laurea magistrale in Filosofia, 2016/17
Università di Torino
La distinzione finzione / non finzione
(realtà)
• Intuitivamente parlando, esiste una distinzione tra ciò che è
finzione e ciò che non lo è
• Ma la distinzione sembra essere messa in crisi dal fatto che
siamo circondati da casi che sembrano poter esser
legittimamente considerati in un modo o nell’altro
• Un reality è finzione o realtà?
• Un film pornografico è finzione o realtà?
• Vedere un film via Oculus è assistere a qualcosa di fittizio o
qualcosa di reale?
La distinzione tra opere di finzione / opere
non di finzione (di storia)
• Si potrebbe pensare che, almeno nel campo della letteratura, la
distinzione sussiste; nelle librerie troviamo una suddivisione tra
opere di finzione e opere non di finzione (di storia)
• Ma anche qui, ci sono una varietà di casi paradigmatici e di casi
borderline, e il confine tra casi paradigmatici e casi borderline è
esso stesso sfumato
Opere di finzione ‘storiche’
• Romanzi storici e di attualità (Guerra e pace, Ivanhoe, I promessi
sposi, Gomorra …)
• Romanzi filosofici (L’uomo senza qualità)
• (Auto)biografie romanzate (Vita scritta da esso)
Opere storiche ‘di finzione’
• Storie dell’antichità (Storie, Guerra del Peloponneso, Annali, Storia
dei re di Britannia …)
• Docufiction
• New Journalism (Operazione massacro, A sangue freddo)
• (Auto)biografie letterarie (Se questo è un uomo, Dutch, la biografia di
Kim-il-Jong)
• Trattati scientifici
La classificazione di una stessa opera è
variabile
• I miti sono classici esempi di opere per lungo tempo considerate
storiche, e in seguito ridescritte come fittizie
• Opere a lungo considerate come fittizie (p.es., la corrispondenza
di Erik il Rosso su Vinland) vengono ridescritte come storiche
Criteri sintattico-testuali
• Si può pensare che la demarcazione tra opere di finzione e non
finzione passi attraverso l’uso di particolari tipi di locuzioni (p.es.
l’uso di costruzioni («c’era una volta …»), di tempi verbali
(l’imperfetto, Recanati 2000), o del discorso indiretto libero, in cui i
pensieri/i detti di un personaggio da costui svolti in prima persona
sono descritti in terza persona senza l’uso di operatori di
discorso/credenza (Hamburger 1973), oppure, per converso, l’uso
di particolari strumenti testuali (p.es. l’uso di una voce impersonale,
di note o indici)
Il criterio non è necessario
• Si possono avere opere di finzione che non fanno riferimento a
quel tipo di locuzioni, così come opere storiche che non fanno
ricorso a quegli indicatori testuali
Il criterio non è sufficiente
• Si possono avere opere storiche che fanno uso di quel tipo di
locuzione (p.es., resoconti di polizia all’imperfetto, o narrazioni
storiche che, mettendosi dal punto di vista del protagonista,
narrano gli eventi in discorso indiretto libero, come gli scritti
giornalistici di Hemingway) così come opere di finzione che fanno
ricorso a quegli indicatori testuali (cfr. l’uso delle note in Finzioni o
in Fuoco pallido)
Criteri semantici
• Un’opera di finzione si distingue da un’opera non di finzione
perché godono di differenti proprietà semantiche
A)a differenza che nelle opere storiche, i termini singolari presenti
nelle opere di finzione non hanno riferimento (Cohn 1999)
B)A differenza che nelle opere storiche, gli enunciati presenti nelle
opere di finzione sono falsi (Goodman 1978)
I problemi di A)
• A) non dà condizioni necessarie
• Ci sono opere di finzione che contengono solo termini singolari che
si riferiscono a oggetti concreti ordinari, p.es. certi romanzi storici
(e.g. Wolf Hall)
• A) non dà condizioni sufficienti
• Ci sono opere storiche, p.es. trattati scientifici, che contengono
termini singolari che non si riferiscono ad oggetti concreti ordinari,
p.es. «Vulcano» e «flogisto» come usati rispettivamente da
Leverrier e Stahl
Considerazioni su B)
• B) può essere un criterio migliore di A) perché si può avere falsità
enunciativa anche in presenza di enunciati che vertono su oggetti concreti
ordinari, quindi in piena presenza di riferimento per i termini singolari
coinvolti
• Va ricordato che c’è un senso in cui enunciati, o meglio forse usi enunciativi,
che hanno a che fare con la finzione sono effettivamente veri e si
distinguono da altri enunciati, o usi, del genere che sono effettivamente falsi;
si tratta di quei casi che possono essere parafrasati come enunciati del tipo
«nella storia S, p»
• Questi sono però quegli usi che Kroon-Voltolini 2011 chiamano
metafinzionali interni; gli enunciati di cui parliamo qui sono invece gli
enunciati (o i loro usi) finzionali, cosi come ricorrono all’interno di un
Enunciati (o loro usi) finzionali
Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall'alto delle scale,
portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno
specchio e un rasoio (Joyce, Ulisse)
A lungo, mi sono coricato di buonora (Proust, La ricerca del tempo
perduto)
Nel colmo dell'estate un comune giovanotto partito da Amburgo, sua
città natale, se ne andava a Davos-Platz, nei Grigioni, per un
soggiorno di tre settimane (Mann, La montagna incantata)
Usi di enunciati parafrasabili come
enunciati metafinzionali interni
(Nelle storie di Conan Doyle,) Holmes è un detective che risolve
brillantemente casi difficili (V)
(Nelle storie di Conan Doyle,) Holmes è un pilota di formula 1 (F)
Uso metafinzionale esterno
• Tutti questi enunciati (in tali usi) vanno distinti dagli enunciati
nell’uso metafinzionale esterno, in cui non si parla della finzione
da fuori di essa, come negli usi finzionali interni, ma si parla di
qualcosa che presuppone l’esistenza di finzioni
• Di questo uso non parleremo qui, perché è quello che può
sembrare presupporre l’esistenza di personaggi fittizi, cosa non
richiesta per comprendere la distinzione finzione / non finzione
Esempi
Holmes è il modello del detective letterario
Holmes piace agli adulti
Holmes è stato creato da Conan Doyle
Holmes è un personaggio fittizio
Holmes non esiste
Ma anche B) incappa negli stessi problemi
• B) non dà condizioni necessarie
• È possibile immaginare che un romanzo storico dica solo cose
vere, e in ogni caso è possibile immaginare che un’opera di
finzione sia almeno accidentalmente vera (si pensi se,
all’insaputa di Conan Doyle, fosse esistito nella Londra dell’800
un individuo chiamato «Sherlock Holmes» che fosse stato un
brillante detective, ecc.; Schliemann scopre Troia, e così via)
• B) non dà condizioni sufficienti
• Anche un’opera storica può essere piena di falsità (questo è il
caso p.es. della già ricordata biografia di Kim-il-Jong), e
addirittura essere meno affidabile in relazione al suo soggetto di
un’opera di finzione (si consideri come la storia di Kim è trattata
ne Il signore degli orfani)
Le opere di finzione come opere di
invenzione (Deutsch 1991, 2000, 2013)
• A differenza di un’opera storica, un’opera di finzione è completamente
inventata
• La finzione è infatti il prodotto di un’attività creativa da parte di qualcuno,
dove la nozione di creazione è usata in senso particolare: si tratta di una
stipulazione, sempre soddisfatta, in cui le caratteristiche stipulate nella
finzione coincidono con le caratteristiche di oggetti ad essa preesistenti
• In questo senso, l’articolo pubblicato sul Washington Post nel 1980 da parte
di Janet Cooke, Il mondo di Jimmy, in quanto frutto della sua immaginazione
è un’opera di finzione, non un’opera storica
• Il fatto che Cooke l’abbia pubblicata sul Washington Post è totalmente
irrilevante; avrebbe potuto pubblicarla anche altrove come opera di fiction,
quel che conta è la sua intenzione autoriale di inventare qualcosa
Il criterio soddisfa condizioni necessarie?
• Deutsch: se un racconto contiene oltre a degli elementi storici
anche degli elementi immaginativi, non basta per classificarlo
come un’opera di finzione
• Questo sembrerebbe mettere fuori campo i romanzi storici come
controesempi alle condizioni necessarie; piuttosto
implausibilmente, non si tratterebbe per Deutsch di controesempi
legittimi
• Ma lo fa davvero? Su che cosa si basa la differenza tra inserire
dei meri elementi immaginativi ed inventare totalmente una
storia?
La risposta di Deutsch e i suoi problemi
• Deutsch 1991, 2000: inventare è registrare descrizioni attributive
della pienezza finzionale, la descrizione inventata seleziona le
caratteristiche proprie di preesistenti e corrispondenti personaggi
fittizi
• Questo non solo rende la teoria ostaggio di una fortuna metafisica –
che cosa garantisce una siffatta corrispondenza? – ma introduce
dentro la finzione un aspetto ontologico – i personaggi fittizi, presi
come entità che inseriamo nel catalogo generale di ciò che c’è –
che di per sé la finzione non richiede (gli individui di cui si fa finta
nella finzione non sono, almeno ordinariamente, personaggi fittizi
entro la finzione)
• Ci possono ben essere personaggi fittizi, ma non per il mero fatto
Il criterio non soddisfa condizioni
sufficienti
• L’invenzione non caratterizza solo la finzione, ma casomai
qualcosa di più ampio della finzione, la faction (Geertz 1998)
• Infatti, cattura semplicemente tutti quei racconti liberamente
narrati che non corrispondono ad alcun fatto reale
Un cambiamento di prospettiva: finzione
come genere (Friend 2008, 2011, 2012)
• Secondo Friend, la ricerca di condizioni necessarie e sufficienti
perché qualcosa sia un’opera di finzione è senza speranza
• Bisogna considerare la finzione come un genere, nello stesso
senso in cui si parla di generi letterari, pittorici, o artistici in
generale
• I generi sono un modo per classificare rappresentazioni con un
occhio al loro apprezzamento estetico
Cont.
• Richiamandosi a Walton (1970), Friend sostiene che
l’appartenenza a un genere è caratterizzata dal fatto che una
certa opera abbia caratteristiche standard del genere (le
caratteristiche prototipiche di quel genere), caratteristiche
nonstandard (quelle caratteristiche che tenderebbero a non
classificare l’opera come un’opera di quel genere) e le
caratteristiche variabili (quelle ininfluenti per la caratterizzazione)
• Ad es., essere piatto è standard per un quadro, presentare un
assolo di chitarra è nonstandard nell’opera musicale cinese,
avere un certo numero di personaggi è variabile per un romanzo
Genere di finzione e genere storico
• La più parte dei nostri romanzi hanno le caratteristiche standard
del genere finzionale (includere certi elementi narrativi, fare ricorso
all’invenzione e all’immaginazione, non contenere asserzioni …)
• I romanzi storici, o quelli di attualità, hanno le caratteristiche
nonstandard dello stesso genere (essere fedeli ai fatti, parlare di
cose e situazioni reali, contenere asserzioni …)
• Le opere di storia contemporanea hanno le caratteristiche
standard del genere storico (essere fedeli ai fatti …)
• Le opere di storia antica hanno le caratteristiche nonstandard del
genere storico (contenere discorso indiretto libero, monologhi …)
Una classificazione contestuale
• Come ammette la stessa Friend, classificare qualcosa come un
caso standard o come un caso nonstandard di genere è qualcosa
di altamente contestuale
• Nell’antichità, si classificavano le narrazioni di Erodoto e Tucidide
come casi standard di genere storico mentre oggi, facendo perno
sulle caratteristiche inventate di tali narrazioni, le si
classificherebbe al più come casi nonstandard
• Se si scoprisse che una certa narrazione del passato è basata su
una storia o una vicenda reale, si direbbe oggi che quella
narrazione, una volta classificata come caso standard di finzione, è
un caso nonstandard
Una classificazione doppiamente
contestuale
• Ma non solo è contestuale se qualcosa ha le caratteristiche
standard o nonstandard per essere un membro di un certo
genere, è anche contestuale se sia membro di uno o dell’altro
genere
• Molti oggi classificherebbero l’epopea di Gilgamesh come
un’opera (forse nonstandard) di finzione, ma una volta era
classificata come opera storica; analogamente per la Storia dei re
di Britannia
• In linea teorica, potremmo avere anche casi dell’altro tipo, come
vedremo subito
Cont.
• Per Friend, le cose devono proprio andare così
• Walton stesso ipotizzava che ciò che oggi classifichiamo come un
dipinto, Guernica, potrebbe in futuro essere caratterizzato come un
caso di guernicas, dove le guernicas sono superfici con le stesse
forme e colori di Guernica, ma che protendono verso l’esterno come
le mappe in rilievo di aree geografiche
• L’assassinio più colto del mondo, la storia dell’incontro tra un direttore
dell’OED e un suo collaboratore, è proprio un caso che classifichiamo
come opera di finzione, ma che potremmo classificare come opera
storica
Problema
• Un siffatto cambiamento è legittimo a fini classificatori se si focalizzano
differenti parametri di similarità con altre opere dello stesso genere;
l’interesse che abbiamo a leggere un’opera come un’opera di un certo tipo ci
guida nel cercare i parametri di similarità rilevanti
• P.es., oggi classifichiamo Guernica come un dipinto perché ci focalizziamo
su quelle caratteristiche che Guernica ha in comune con altri dipinti (il suo
essere violento, vitale e disturbante); se la classificassimo come una
guernica, dice Walton, è perché ci focalizzeremmo su altre caratteristiche
che essa ha in comune con le guernicas (il suo essere freddo, inanimato e
noioso)
• Nello stesso modo, classifichiamo qualcosa come ricadente sotto un
concetto perché ha una certa aria di famiglia con altri membri di quel
concetto (Wittgenstein 1953), ma lo classificheremmo come ricadente sotto
un altro concetto perché ha un’altra aria di famiglia con altri membri di
quell’altro concetto
Cont.
• Ma noi possiamo fare salti classificatori tra opere di finzione e
opere non di finzione anche quando non cambiamo parametro di
similarità; le stesse caratteristiche che ci hanno portato a
classificare qualcosa come un’opera non di finzione potrebbero
portare a classificare qualcosa come un’opera di finzione (questo
potrebbe avvenire p.es. nei cosiddetti miti lucidi di creazione,
ossia miti riconosciuti come tali fin dalla loro origine)
• Se è così, però, l’appartenenza ad un genere è questione troppo
soggettiva: qualcosa è un’opera di finzione o meno a seconda di
come è riguardata
• In effetti, cosa succederebbe se non ci fosse accordo su come
classificare un’opera?
La replica di Friend
• In casi problematici, dobbiamo guardare alle intenzioni autoriali
• Gli Annali di Tacito sono un’opera storica perché Tacito volle così;
analogamente per A sangue freddo (contano le intenzioni di
Capote)
• L’Amleto è un’opera di finzione (anche se alla sua base c’è un
racconto di eventi davvero successi in Danimarca) perché
Shakespeare volle così
Una controreplica
• Fare appello alle intenzioni autoriali non è soddisfacente
• Come la stessa Friend sembra riconoscere, tali intenzioni
possono mancare (chissà cosa volevano scrivere gli autori della
Bibbia), possono essere insoddisfatte (un autore può finire per
scrivere involontariamente la propria autobiografia), possono
essere superate (magari Omero voleva scrivere un’opera storica
nello stendere l’Iliade, ma l’opera è stata recepita come un’opera
di finzione; se Tacito scrivesse oggi gli Annali, sarebbero presi
per un’opera di finzione)
• Se si potesse fare riferimento alle intenzioni autoriali, ciò
presupporrebbe che tali autori avessero già un concetto
indipendente di che cosa è finzione e che cosa non lo è; ma
allora l’analisi di Friend diventa circolare
Una controrisposta di Friend e i suoi
problemi
• Friend: le intenzioni devono accompagnarsi (disgiuntivamente, si può
supporre) a pratiche narrative, se non vere e proprie convenzioni
letterarie
• Ma anche questo può non bastare: che dire quando tali pratiche o
convenzioni sono assenti o sono in tensione tra loro?
• A questo proposito, quanto sono effettivamente rilevanti nella
classificazione gli atteggiamenti valutativi? Difficile che sia l’attenzione
alle qualità letterarie di Cinquanta sfumature di grigio a farlo classificare
come opera di finzione, come può effettivamente essere il caso con
Guerra e pace
Cont.
• In ultimo, la stessa Friend deve ammettere che uno e uno stesso
testo può ammontare tanto ad un’opera di finzione quanto ad
un’opera storica (questo è probabilmente il caso, lei dice, di
alcuni ‘history plays’ skakespeariani, fatti tra l’altro per
popolarizzare la storia inglese ma opportunamente alterati e
romanzati da Shakespeare)
Valutazione
• In ultimo, quello che possiamo ricavare da Friend sono dei test,
pienamente rivedibili, per classificare qualcosa come un’opera di
finzione o non di finzione, ma che funzionano solo se abbiamo
delle nozioni precedentemente stabilite di finzione e realtà
Uno spostamento di prospettiva
• Matravers sostiene in (2014) che la filosofia della finzione dovrebbe
spostare la sua attenzione dalla divisione tra finzione e nonfinzione a
quella tra rappresentazioni e confronti
• Le prime offrono informazioni su ciò che sta avvenendo o è avvenuto in
altri posti, anche non reali, di modo che gli agenti di tali situazioni non
possono modificare ciò che sta avvenendo. Le seconde sono situazioni
collocate in uno spazio egocentrico in cui un’azione di qualche tipo è
possibile
• Ciò che è importante è come ci impegniamo colle rappresentazioni e il
fatto che alcune, le rappresentazioni narrative, offrano resoconti di
eventi che sono accaduti e altri di eventi che non sono accaduti
• Tra questi due tipi di rappresentazione l’immaginazione non fa alcuna
Il problema
• Matravers motiva questo scambio di prospettiva facendo perno sul fatto
che la distinzione tra opere di finzione e opere non di finzione è
indeterminata
• Può darsi, ma come questa nuova prospettiva è illuminante sul tipo di
questioni che qui ci si pone?
Un differente approccio: dall’opera ai
proferimenti di enunciati
• Forse si è sbagliato l’unità di misura, focalizzandosi sulle opere;
le opere sono composte di enunciati, e sono gli enunciati a poter
essere usati in modo finzionale o nonfinzionale
• La distinzione tra opere di finzione e non di finzione è parassitaria
della distinzione tra proferimenti finzionali e proferimenti
nonfinzionali di enunciati
Conseguenze della distinzione
• Uno stesso enunciato può essere usato tanto in modo finzionale
quanto in modo nonfinzionale. Questo è tipico di romanzi storici
(un enunciato dei Promessi Sposi può narrare un pezzo di
geografia lombarda ed essere un pezzo della storia) ma anche
delle storie romanzate (un frammento della Storia dei re di
Britannia, quello in cui si parla di Re Artù, è usabile tanto come
pezzo di finzione tanto come pezzo di storia)
• Se uno stesso enunciato può essere usato tanto in modo
finzionale quanto in modo nonfinzionale, allora ciò sarà vero
anche di un insieme di enunciati, un testo; uno e uno stesso testo
(come voleva Friend) può ammontare ad opere distinte, una di
finzione e una no (questo sarebbe vero, dice Walton 1990, de La
Una ricostruzione pragmatica degli usi
• L’uso finzionale di un enunciato corrisponde ad un proferimento fittizio del
medesimo, e un proferimento fittizio equivale ad un proferimento che
compie un particolare atto linguistico, l’atto di narrare qualcosa, che
fondamentalmente consiste nell’avere un certo intento fittizio, l’intento
apertamente riconosciuto – il parlante intende una certa cosa, e intende che
i suoi interlocutori capiscano quella cosa in virtù del riconoscimento di quella
stessa intenzione (Grice 1957) - che i) l’uditorio di quell’enunciato faccia
finta che p e ii) quanto proferito sia falso, o al più vero solo accidentalmente,
nel senso che la sua verità non dipende controfattualmente dal sussistere
dei fatti reali in questione (per questa interpretazione del testo di Currie
1990, Sainsbury 2009)
Conseguenze
• Gli atti linguistici, la realizzazione di qualcosa in virtù di un certo
proferimento linguistico, sono tipicamente materia di pragmatica:
fissato un certo significato linguistico per un enunciato, differenti
proferimenti di quell’enunciato possono realizzare differenti atti
linguistici nel generale contesto di discorso (contesto ampio)
• Un’opera fittizia sarà il risultato di (uno o più) proferimenti fittizi del
genere
Problemi
• ii) serve a non considerare proferimento fittizio un proferimento che
volesse essere la narrazione corretta di qualcosa di reale
• Ma che dire se un autore che apparentemente vuole scrivere un
romanzo per ragioni recondite scriva invece la propria autobiografia?
Avremmo che l’intento fittizio in questione non è condizione
sufficiente di finzionalità
Un emendamento
• Currie 1990: un proferimento di un enunciato è fittizio (e
corrispondentemente un’opera è fittizia se sono fittizi tutti i
proferimenti degli eunciati che costituiscono il suo testo) sse i)
realizza l’atto di narrare qualcosa che fondamentalmente consiste
nell’avere un certo intento fittizio, l’intento apertamente riconosciuto
che l’uditorio di quell’enunciato faccia finta che p e ii) quanto
proferito è falso, o vero solo accidentalmente
Vantaggi e svantaggi dell’emendamento
• Quest’emendamento esclude il controesempio precedente (la
narrazione in questione non è fittizia perché dominata
dall’intenzione retrostante di raccontare una storia reale)
• Ma i) e ii) non danno ancora condizioni sufficienti di finzionalità
• Poniamo che qualcuno, non riconoscendo che il suo è il racconto
del sogno fatto stanotte, intenda che i suoi ascoltatori prendano
quel racconto per finta; e poniamo altresì che per puro caso quel
racconto sia vero; p.es., il sogno era uno di quei sogni che si
dicono essere sogni premonitori. Preso però come racconto del
suo sogno, quel racconto sarebbe ancora un racconto di
finzione?
Altri svantaggi
• ii) non è una condizione necessaria di finzionalità; lirica in prima
persona, racconti autobiografici e autopornografici (In culo oggi no),
romanzi storici e in generale tutti quelli in cui compare una narrazione
di fatti reali sembrano essere controesempi
• In effetti (Austin 1963), non è affatto detto che per far finta che p, che è
quanto richiesto dall’intento fittizio di Currie, occorra che p sia falso
Altri problemi
• L’intento fittizio non sembra essere una condizione necessaria
• Ci sono molti casi di finzione non intenzionale, p.es. la finzione
che generalmente viene più tardi riconosciuta come tale (il caso
dei miti)
Una replica (Currie 1990)
• I miti non sono un controesempio genuino, perché bisogna fare
una distinzione tra ciò che è finzione e ciò che viene trattato
come finzione, e i miti rientrano nel secondo caso
Una controreplica
• È dubbio che la distinzione tra essere una finzione e essere
trattato come una finzione sia una differenza effettiva
• Ma non è comunque intenzionale anche tutta quella finzione che
deriva da stipulazioni o principi di generazione (Evans 1982,
Walton 1990, Everett 2013) che una volta assunti traghettano
nella finzione molte più cose di quante siano effettivamente
intese come tali
Esempi di stipulazione
• Stipuliamo che in un gioco di finzione certi pezzi di fango contano
come dolci
• Allora, se è realmente vero che ci sono tre pezzi di fango, è
finzionalmente vero che ci sono tre dolci; se è realmente vero
che il pezzo di fango centrale tra i tre è più grande, è
finzionalmente vero che il dolce centrale tra i tre è più grande
Primo principio di generazione, il principio
ricorsivo (Evans 1982)
• Se A1…An è un insieme di verità finte, e il controfattuale “se A1…
An fossero vere, allora B sarebbe vero” è vero, e non c’è alcun
insieme di verità finte A’1 … A’n tali che il seguente controfattuale
“se A’1 … A’n fossero vere, allora B non sarebbe vero” è vero,
allora anche B è vero per finta
Esempio
• È una verità di finzione nei Promessi Sposi
La sventurata rispose
• È realmente vero il controfattuale
Se la sventurata rispondesse, allora avrebbe un apparato fonatorio
• Ma non è una verità di finzione
Una sventurata è un programma di computer
che mobilita il controfattuale vero
Se una sventurata fosse un programma di computer, allora non avrebbe un
apparato fonatorio
• Dunque è anche finzionalmente vero nei Promessi Sposi
La sventurata ha un apparato fonatorio
Secondo principio di generazione, il
principio di incorporazione (Evans 1982)
• Se B è vero, e non c’è alcun insieme di verità finte A1…An tale
che il controfattuale “se A1…An fossero vere, allora B non
sarebbe vero” è vero, allora B è anche vero per finta
Esempio
• Non è vero per finta nei Promessi Sposi
La terra è un disco piatto
tale per cui il seguente è un controfattuale vero
Se la terra fosse un disco piatto, allora non sarebbe rotonda
• Dunque è vero per finta nei Promessi Sposi
La terra è rotonda
Un’alternativa pragmatica
• Come si sa fin dai tempi della controversia Grice/Strawson vs.
Austin/Searle, ad una concezione intenzionalista degli atti
linguistici si affianca una concezione normativista: realizzare un
atto linguistico non è faccenda di intenzioni, è faccenda di
seguire le regole che costituiscono quell’atto (Searle 1969)
• Può dunque ben essere che l’atto di narrare una storia
corrisponda a seguire particolari regole diverse da quelle che
costituiscono un’asserzione; nella finzione non si asserisce che
p, si fa finta che p (Garcia-Carpintero 2013)
• È corretto far finta che p sse i propri interlocutori devono
immaginare p, nell’assunto che essi abbiano i rilevanti desideri e
disposizioni
Una conseguenza problematica
• Se far finta è faccenda di atti linguistici, comunque interpretati,
allora un proferimento fittizio e uno non fittizio dello stesso
enunciato convergono sempre nel loro significato, in particolare
nelle loro condizioni di verità
• Ci sono casi in cui effettivamente le cose stanno così,
tipicamente nei romanzi storici, ma non c’è nessuna ragione che
le cose debbano andare così
Esempio
• Prendiamo
Artù succede a suo padre Uther nel regnare sulla Britannia
dalla Storia dei re di Britannia di Goffredo di Monmouth
• Nel suo proferimento storico, l’enunciato è falso, perché non è
esistito nessuno nella storia di nome Artù. Ma nel suo
proferimento fittizio, l’enunciato dice una verità di finzione
• Dunque i due proferimenti non possono avere lo stesso
significato e divergere soltanto per quanto riguarda l’atto
linguistico con cui vengono proferiti
Fare finta è una modificazione di atti
linguistici
• Ma far finta ammonta ad un atto linguistico sui generis, o è
piuttosto la modificazione di certi atti linguistici (primariamente,
ma non esclusivamente, l’asserzione)?
• Searle 1975: nel far finta di asserire, si esegue una procedura
sempre intenzionale, ma (all’interno di una pratica sempre
caratterizzata da una natura convenzionale) non si seguono le
regole costitutive dell’asserzione
Cont.
• Nella finzione, infatti, non sono rispettate le due principali regole
costitutive che fanno contare un proferimento enunciativo come
l’atto linguistico dell’asserire. Queste sono:
• la condizione preparatoria (solo necessaria), che dice che il
parlante dev’essere in condizione di fornire delle ragioni per la
verità della proposizione asserita
• la condizione essenziale (necessaria e sufficiente) che dice che il
parlante si impegna alla verità della proposizione asserita
Esempio
• Per il fatto di scrivere nei Promessi Sposi
La sventurata rispose
• Manzoni non è certo tenuto a rispondere alla domanda “e come
diavolo lo sai che Gertrude rispose?”, come dovrebbe invece fare
se quella fosse un’asserzione genuina
• Né deve impegnarsi alla sua verità – non ci sarebbe nulla di
strano se Manzoni ci dicesse che la sventurata rispose ma non è
vero, come sarebbe invece se quella fosse un’asserzione
genuina.
Cont. ancora
• Trattasi comunque nel far finta di asserire di una modificazione
dell’asserzione e non di un’altra cosa, in quanto è comunque
rispettata la terza condizione per l’asserire, la condizione di sincerità
(chi asserisce crede a quanto asserisce)
• Nel caso del far finta, il parlante può benissimo non credere a ciò
che sta raccontando, ma, nella misura in cui non si sta impegnando
alla verità di ciò che dice e quindi a fornire ragioni al riguardo, non è
insincero
• Così proferire un enunciato con valore finzionale non equivale a
fingere nel senso di cercare di ingannare i propri interlocutori, cioè
dire qualcosa non solo senza crederlo vero, ma anche intendendo
che gli altri lo credano tale
Un problema
• Si può far finta di compiere un atto linguistico per ogni tipo di ragione
• P.es., posso cercare di imitare il modo in cui qualcuno scrive per farmi
beffa di lui; o posso (Currie 1990) fare dell’ironia, magari estendendola
da un singolo proferimento ad un’opera intera (Swift, Una modesta
proposta)
• Dire che far finta corrisponde a sospendere le norme per l’asserzione
non spiega dunque in che cosa il far finta consiste
Una generalizzazione dell’impostazione
(Walton 1973, 1990)
• Il far finta di asserire (o di compiere altri atti linguistici) è solo un
elemento all’interno delle più generali pratiche, o giochi, di fare
finta
• In generale, far finta che p è prescrivere (all’interno di un
determinato gioco di finzione) di immaginare che p
• Il criterio per Walton è sufficiente ma anche necessario
• Se qualcosa è trattato, nel senso suddetto, come finzione, allora
lo è (questo può accadere anche di crepe naturali nella roccia)
• Le opere in cui tale prescrizione è assente (biografie, libri di testo,
articoli di giornale…) non sono opere di finzione
Cont.
• Il far finta è un’immaginazione vincolata. Nel gioco di finzione si
usano particolari sostegni (props) e le caratteristiche di tali sostegni
vincolano l’immaginazione, nel senso che in dipendenza da tali
caratteristiche, e quindi in dipendenza da determinate verità reali, si
danno nel gioco determinate verità fittizie
• Di conseguenza, ci sono modi corretti e modi scorretti di giocare un
gioco di finzione; nel primo caso, i giochi saranno giochi autorizzati
di finzione
Cont.
• Nei giochi di finzione non letterari, i sostegni sono oggetti reali ordinari
• Nei giochi di finzione letterari, i sostegni sono i testi scritti dagli autori
• Laddove un oggetto reale ha solo la funzione di sostegno, il gioco è
esistenzialmente creativo (Evans 1982), postula oggetti immaginari e loro
caratteristiche che dipendono da quelle dei sostegni
• Laddove invece l’oggetto reale diventa un protagonista del gioco, abbiamo
giochi orientati ai sostegni (Walton 1994), giochi in cui si fa finta, di un certo
oggetto ordinario reale, che abbia certe caratteristiche (che può non avere)
• I giochi orientati ai sostegni sono una sottoclasse dei giochi
esistenzialmente conservativi (Evans 1982), che vertono su oggetti reali
ordinari
Esempi
• Un gioco esistenzialmente creativo è il gioco dei dolci, in cui si fa finta
che ci siano certi dolci con certe caratteristiche, in corrispondenza del
fatto che nella realtà ci sono pezzi di fango con le loro caratteristiche;
nello stesso senso, il gioco in cui si fa finta che ci sia un certo tizio
chiamato Sherlock Holmes che fa certe cose è un gioco che dipende dal
fatto che Conan Doyle ha scritto in un testo certe cose
• Un gioco orientato al sostegno è un gioco in cui si fa finta, di un certo
oggetto reale ordinario direttamente presentato all’attenzione (p.es., dei
pezzi di fango in questione), che abbia certe caratteristiche
• Questo è un gioco esistenzialmente conservativo come tutti i giochi in
cui si fa finta, di un certo oggetto reale ordinario, che abbia certe
caratteristiche (p.es., di Londra si fa finta che a Baker St. ci sia un
Commenti
• Si potrebbe dire che il secondo tipo di gioco esistenzialmente
creativo non è orientato al sostegno, perché non verte sul testo
che fa a Doyle da supporto per l’immaginazione che Londra sia
così e così
• Ma non è molto chiaro in Walton in che senso i testi siano in
generale supporti; sono tali le loro proprietà fisiche e formali? In
tal caso, sembra che queste non abbiano una capacità di
vincolare l’immaginazione; sono tali anche le loro proprietà
semantiche? Ma allora, si finisce di presupporre quello che si
vuole spiegare (qual è il senso dell’enunciato «Holmes è un
detective» anteriore al gioco (esistenzialmente creativo) in cui si
fa finta che un individuo chiamato Holmes sia tale?)
Altri problemi (Friend 2008, 2011, 2012)
• La nozione di far finta di Walton sembra troppo ampia per
catturare l’ordinaria nozione di finzione: è una walt-fiction, non
una finzione. Anche narrative non finzionali (addirittura testi
filosofici come i Dialoghi di Berkeley) ci invitano ad immaginare
che cos’è per qualcuno vivere in luoghi o tempi diversi, fare
esperienze diverse ecc.
• Cfr. la descrizione della residenza del premier britanico Disraeli in
History of Britain: The Fate of Empire 1776-2000 di Schama, in
cui si chiede al lettore di immaginare varie cose
• La nozione di far finta di Walton sembra troppo stretta per
catturare l’ordinaria nozione di finzione: molte narrative finzionali
(romanzi storici in primis ma non solo) ci invitano non solo a far
Una replica (Stock 2011)
• Può darsi il caso che quando si a che fare con un’opera fittizia (e
in primis con un proferimento fittizio), il contenuto che
contrassegna quest’opera sia tanto immaginato quanto creduto,
ma perché quell’opera sia fittizia, occorre che ci sia qualche altro
contenuto connesso al precedente che è immaginato ma non
creduto
• P.es., nei Promessi Sposi immaginiamo e crediamo che il ramo
del lago di Como che volge verso sud ad un certo punto si
contragga nel fiume Adda, ma solo alla suddetta immaginazione
è connessa l’immaginazione che da quella contrazione si
dipartano varie strade ad un bivio delle quali si incontrano Don
Abbondio e i bravi
E una controreplica
• Ma quest’idea non fornisce condizioni sufficienti di finzionalità; anche
opere non fittizie possono bene indurre i loro lettori non solo a
credere, ma anche a meramente immaginare, I loro contenuti (Friend
2011)
• Ad es. leggendo Le mie prigioni ci immaginiamo cosa poteva essere
vivere segregati nella famosa fortezza dello Spielberg a Brno per
Silvio Pellico
• Oppure, un’opera nonfittizia può contenere dei condizionali
controfattuali, in cui si descrive un generale intento a supporre, che se
si facesse una battaglia tra i due eserciti in gioco, le cose andrebbero
così e così
Una linea di risposta (Gibson 2007)
• Non si può al tempo stesso credere che p e immaginare che p, almeno
se si è fissato un certo atteggiamento di valutazione; entro
quell’atteggiamento, o si crede o si immagina una certa cosa
• Ma in che cosa consiste tale atteggiamento, o almeno, qual è il suo
nucleo?
L’appello ai contesti (Recanati 2000, Voltolini
2006)
• Si può considerare la modificazione che è in gioco nel far finta come
uno slittamento di contesto, dove per contesto non si intende più la
generale situazione di discorso, ma un insieme di determinati parametri,
un contesto in senso stretto
• Un contesto in tal senso è costituito (almeno) da un agente, uno spazio,
un tempo, e un mondo
• Nel caso della finzione, si ha uno slittamento da un contesto stretto che
ha come parametro del mondo il mondo reale a un altro contesto stretto
che differisce da quello precedente almeno per il fatto di avere come
parametro del mondo il mondo finzionale
• Differenti proferimenti di uno stesso enunciato diranno tipicamente cose
diverse nella misura in cui vengono associati a differenti contesti
Contesti stretti come contesti di
interpretazione (Predelli 2005)
• I contesti stretti sono contesti che permettono di associare ad un
enunciato determinate condizioni di verità; generalmente sono, ma non
coincidono con, i contesti di proferimento
• L’enunciato
Io non sono ora qui
registrato sulla propria segreteria telefonica è vero sse l’agente non è in
un certo luogo in un certo momento, che non è il momento del contesto
di proferimento ma un momento successivo ad esso; dunque le
condizioni di verità di un proferimento di tale enunciato dipendono da
un contesto stretto di interpretazione che ha il parametro del tempo
saturato da un momento che non è il momento del proferimento
Esempio (1)
• L’enunciato indicale
Io sono piemontese
dice cose diverse a seconda del contesto stretto cui è associato,
per il cambiamento del parametro dell’agente; se l’indicale «io»
viene interpretato in riferimento al sottoscritto dice una verità, se
viene interpretato in riferimento al presente presidente del
Consiglio dice una falsità
Esempio (2)
• L’enunciato indicale
Effettivamente, l’Italia è la nazione guida nel mondo
dice cose diverse a seconda del contesto stretto cui è associato,
per il cambiamento del parametro del mondo; se viene
interpretato in riferimento al mondo reale dice una falsità, se
viene interpretato in riferimento ad un mondo possibile in cui
l’Italia si è unita come nazione nel Rinascimento e ha scoperto
l’America dice una verità (l’avverbio «effettivamente» si riferisce
rispettivamente ai suddetti mondi diversi)
Esempio (3)
• L’enunciato
Sherlock Holmes è un detective
dice cose diverse a seconda del contesto stretto cui è associato, per il
cambiamento del parametro del mondo; se viene interpretato in
riferimento al mondo reale dice una falsità (o addirittura qualcosa che
non è né vero né falso), per il fatto che in esso il nome «Sherlock
Holmes» non ha riferimento; se viene interpretato in riferimento al
mondo di finzione attivato da un racconto di Conan Doyle in cui il
nome «Sherlock Holmes» si riferisce ad un certo individuo esistente
in quel mondo che risolve brillamente casi complicati, dice una verità
Esempio (4)
• L’enunciato indicale
Io per molto tempo mi sono coricato presto la sera
dice cose diverse a seconda del contesto stretto cui è associato,
per il cambiamento dei parametri dell’agente e del mondo; se
viene interpretato in riferimento a Marcel Proust e al mondo reale
l’enunciato dice una cosa (forse una verità, se Marcel così ha
fatto davvero), se viene interpretato in riferimento al protagonista
del racconto della Recherche e al suo mondo, dice un’altra cosa,
vera in quel mondo
Giochi esistenzialmente creativi e
conservativi
• Nei due casi precedenti sono coinvolti giochi di far finta
esistenzialmente creativi, in cui termini singolari che di fatto non
hanno riferimento si riferiscono a qualcosa esistente nel mondo del
gioco
• Di conseguenza, le condizioni di verità dei differenti proferimenti di
uno stesso enunciato legati a differenti contesti di interpretazione
(reale, finzionale) sono diverse, perché non mobilitano / mobilitano un
individuo
• In un caso di gioco esistenzialmente conservativo, in cui i termini
singolari conservano lo stesso riferimento che hanno fuori dal gioco, i
rilevanti proferimenti enunciativi legati a differenti contesti di
interpretazione (reale, fittizio) sono le stesse, perché mobilitano lo
Esempio
• L’enunciato
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non
interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del
rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e
figura, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il
ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile
all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e
l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi
di nuovo, lascia l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni
dice la stessa cosa tanto nel contesto stretto reale quanto nel contesto
stresso fittizio generato dal racconto dei Promessi Sposi, ed è vero in
entrambi i casi (tanto nel mondo reale quanto nel mondo dei Promessi Sposi
le cose stanno così)
Conseguenze (1)
• Si può asserire e far finta di asserire quanto detto da uno stesso
enunciato, e corrispettivamente si può credere e far finta di credere
alla stessa cosa, come molti esperimenti mostrano
• Nichols 2006: si fa finta di versare il tè in due tazze e se ne
rovescia una. Se si chiede ai bambini quali delle due tazze è vuota,
i bambini indicheranno la tazza rovesciata, che tanto credono
quanto fanno finta sia vuota
Cont.
• La possibilità tanto di far finta quanto di credere che p è legittima
nella misura in cui si distinguono i contesti (reale, fittizio) che
riguardano differimenti proferimenti di uno stesso enunciato
• Nella più parte dei casi, non si crederà che p in relazione al
contesto reale, si crederà che p in relazione al contesto fittizio
• Questa è la soluzione che da ultimo Walton stesso 1997 propone
per la questione delle emozioni nella finzione (secondo lui alla fine,
quando si fa finta di avere paura del mostro cinematografico, si ha
una genuina paura del mostro, non solo una pseudopaura come
aveva detto nel 1978, nella misura in cui questa è una paura nel
contesto fittizio e non nel contesto reale)
• Walton avanza quest’idea per risolvere dal suo punto di vista il
paradosso della finzione
Il paradosso della finzione
• Tre asserti apparentemente inconciliabili (Radford 1975):

i) Spesso proviamo emozioni per entità fittizie che riconosciamo


come tali;
ii) Per provare emozioni per qualcosa occorre credere che quel
qualcosa esista;
iii) Sappiamo che le entità fittizie non esistono

• La soluzione di Walton è rigettare i)


Conseguenze (2)
• La distinzione tra ciò che è fittizio e ciò che non lo è non è più
pragmatica, ma semantica
• I contesti stretti di interpretazione sono contesti che determinano
per un enunciato ciò che quell’enunciato dice, non ciò che
quell’enunciato comunica; le sue condizioni di verità
• La distinzione tra opere di finzione e opere non di finzione è
sempre dipendente dalla distinzione tra proferimenti fittizi e non,
ma la distinzione ora è semantica
• Ciò è conforme con la concezione per cui un’opera è (in quanto
testo interpretato) un’entità semantica
Conseguenze (3)
• È giusto parlare di un atteggiamento di finzione e un
atteggiamento non di finzione che può riguardare gli stessi
enunciati; nel secondo atteggiamento, si è attenti alla conformità
ai fatti di quel che viene detto (non essere conforme ai fatti è un
difetto); nel primo, no
• Ma tale divergenza di atteggiamento non si sviluppa a livello di
opere (Lamarque-Olson 1994), si sviluppa a livello di proferimenti
enunciativi e solo secondariamente a livello di opere (Davies
2007)
Un problema per l’approccio tanto pragmatico
quanto semantico?
• Se un testo può contenere tanto enunciati che sono proferiti in modo fittizio
quanto enunciati che non lo sono, un’opera può essere un patchwork di
finzione e non di finzione, come lo stesso Currie (1990) ammette
• Per Currie, questo è solo un problema di vaghezza, ma questa è una
sottovalutazione del problema se si voleva comunque arrivare a distinguere,
anche se derivativamente, tra opere fittizie e non
• In 2014, Currie sostiene che la differenza tra opere fittizie e non continua ad
essere una dipendenza di grado, dipendente dal profilo intenzionale
dell’opera, che specifica per i proferimenti di ciascun suo enunciato il loro
contenuto, determinando se si tratta di un contenuto da credere o da
immaginare
• Questo può avere il vantaggio che opere a prima vista non di finzione vanno
classificate altrimenti, perché conta appunto il loro profilo intenzionale
Cont.
• Che la distinzione tra proferimenti fittizi e non fittizi sia semantica
piuttosto che pragmatica non sembra evitare il problema; certo ci
saranno casi in cui uno e uno stesso è proferito ora in modo
fittizio ora in modo non fittizio, ma ci saranno anche casi in cui i
proferimenti fittizi riguardano solo una parte del testo,
indipendentemente dal fatto che tutto il testo, o solo la rimanente
parte del testo, sia proferita in modo non fittizio
Una concessione: la distinzione tra opere
e narrazioni (Davies 2012, 2015)
• Una narrazione fittizia mobilita un contenuto fittizio, che dipende
dal far finta che le cose stanno così e così: una forma di far finta
de dicto
• Ma un’opera fittizia può anche contenere, oltre alla parte che
corrisponde ad una narrazione fittizia, parti che rimandano ad
uno scenario reale
• In tali parti, uno semplicemente fa finta, di tale scenario, che sia
così e così: una forma di far finta de re, cui non corrisponde
alcuna forma di far finta de dicto
• Mentre la narrazione è finzionalmente vera in un senso stretto,
queste parti sono finzionalmente vere solo in un senso ampio
Ma la concessione è superflua
• La distinzione tra una forma de dicto e una de re di far finta
corrisponde alla già vista distinzione tra giochi esistenzialmente
creativi e giochi esistenzialmente conservativi di far finta
• Ma abbiamo già visto come si può render conto di quest’ultima
distinzione con un opportuno appello ai contesti stretti
• Ciò rende la distinzione tra narrazioni e opere fittizie superflua
Cont.
• Quando si gioca un gioco esistenzialmente creativo, l’enunciato
in questione si interpreta in relazione ad un contesto stretto fittizio
in maniera tale che le sue condizioni di verità, in quanto oggetto-
dipendenti, differiscono dalle condizioni di verità che l’enunciato
ha fuori dal gioco, quando interpretato in relazione ad un
contesto stretto reale
• Quando si gioca un gioco esistenzialmente conservativo,
l’enunciato in questione si interpreta in relazione ad un contesto
stretto fittizio in maniera tale che le sue condizioni di verità, in
quanto oggetto-dipendenti, sono identiche alle condizioni di verità
che l’enunciato ha fuori dal gioco, quando interpretato in
relazione ad un contesto stretto reale
Esempio
• Si veda la differenza tra
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata
verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don
Abbondio
e il già citato
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene
non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello
sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi

• Il secondo enunciato ha le stesse condizioni di verità tanto nel suo
proferimento fittizio quanto nel suo proferimento non fittizio, il primo
Ma allora come si risolve il problema del
patchwork?
• Tutto dipende dall’ambito del contesto
• In certi casi, l’ambito del contesto di finzione e l’ambito del contesto non
di finzione si estende all’intero testo: due opere vengono generate dallo
stesso testo
• In altri casi, l’ambito del contesto di finzione e l’ambito del contesto non
di finzione riguardano parti diverse dello stesso testo: anche in tali casi,
avremo due opere generate da parti diverse dello stesso testo
• In altri casi ancora, l’ambito di uno dei due contesti si estende all’intero
testo mentre l’ambito del secondo contesto no; si avrà allora un’opera
di un tipo, si tenderà a dire che si ha solo una narrazione dell’altro tipo,
ma volendo anche in tali casi si potrà parlare di due opere
• In nessun caso si avrà un patchwork
Ritorna il problema del marchio di
finzionalità
• Stando alla soluzione appena presentata, la finzionalità di qualcosa
dipende dal suo esser proferita (e asserita, creduta) in un
opportuno contesto di finzione
• Ma la soluzione non è circolare? In che cosa il contesto di finzione
è un contesto di finzione?
• Dire che contiene un mondo di finzione non basta, perché
ripropone il problema: che cosa rende il mondo di finzione un
mondo di finzione?
La vividezza del problema
• Gli enunciati possono essere proferiti in un sogno, e quindi valutati
in relazione al contesto del sogno che contiene un mondo onirico
• Un mondo onirico certamente non è un mondo reale, ma neppure
un mondo di finzione lo è
• Parlare di slittamento di contesto non è dunque una condizione
sufficiente: che cosa fa sì che il mondo non reale del rilevante
contesto stretto di interpretazione sia un mondo di finzione?
Le condizioni presemantiche; la
metarappresentazione finzionale
• Ciò che determina lo slittamento di contesto ad un contesto di
interpretazione che contiene un mondo di finzione è un fattore
presemantico (Perry 1997)
• L’enunciato deve essere intrattenuto all’interno di un particolare
stato mentale, lo stato mentale di far finta
• Questo stato non è uno stato mentale sui generis, come voleva
Currie (1990), per cui ad ogni stato mentale (credenza, desiderio
…) corrisponde il rispettivo stato mentale finto (finta credenza,
finto desiderio …)
• Piuttosto, è uno stato mentale di second’ordine, uno stato
metarappresentazionale
Leslie (1987): il decoupling mechanism
• Verso i diciotto mesi di età, i bambini cominciano a capire la finzione
• Quando un bambino capisce che la mamma (o eventualmente lui stesso) fa
finta che una banana sia un telefono, come fa a non incappare in un abuso
rappresentazionale, usando il simbolo (eventualmente mentale) «banana»
tanto col suo significato ordinario (banana) tanto col suo significato
finzionale (telefono)?
• Ciò dipenda dal fatto che il bambino mette in gioco un meccanismo
scollegante, in cui nel suo significato finzionale una certa rappresentazione
è messa in quarantena, in modo che non abbia effetti sul comportamento
Cont.
• Di per sé, checché ne pensi Leslie, il meccanismo scollegante
non è ancora metarappresentazionale, perché si limita a
‘disattivare’ una rappresentazione nel suo significato finzionale in
presenza di un’altra rappresentazione nel suo significato
ordinario
• Tuttavia, Leslie pensa almeno che una metarappresentazione sia
condizione necessaria del far finta (nel senso di Currie 1998),
nella misura in cui per lui non può darsi finzione senza
(auto)ascrizione della medesima
La struttura metarappresentazionale
• Il meccanismo scollegante comporta una struttura
metarappresentazionale, perché il bambino giudica (qualcosa come) «La
mamma (io) fa(ccio) finta che questo sia un telefono»
• Per Leslie, la struttura presente nel giudizio «La mamma (io) fa(ccio) finta
che questo sia un telefono» è metarappresentazionale perché è la
stessa struttura di quella che ha luogo in un resoconto di stati mentali,
come «La mamma crede che questo sia un telefono» in cui il resoconto
si applica alla credenza, o meglio alla rappresentazione, creduta
• Tanto quel giudizio quanto quel resoconto sono i) violazioni alla
generalizzazione esistenziale ii) non verofunzionali iii) referenzialmente
opachi
Non verofunzionalità
• Il valore di verità di:
La mamma fa finta che questo sia un telefono
È indipendente dal valore di verità di:
Questo è un telefono
Violazione della generalizzazione
esistenziale
• Da
La mamma fa finta che Babbo Natale arriverà domani
non si può inferire
C’è qualcuno che la mamma fa finta che arriverà domani
Opacità referenziale
• Da
La mamma fa finta che questo signore si chiami «Babbo Natale»
sebbene sia vero che
Questo signore è papà
non segue
La mamma fa finta che papà si chiami «Babbo Natale»
Conferme empiriche (Rakoczy et al. 2004,
2006)
• A 22 mesi, i bambini sono in grado di distinguere tra un comportamento di
finzione e un comportamento di tentativi insoddisfacenti, legato agli stessi
atti di uno sperimentatore (p.es., accostare alle labbra un bicchiere vuoto);
nel primo caso, accompagnano il comportamento con sorrisi e applausi,
nel secondo caso, accompagnano il comportamento con manifestazioni di
disappunto e sconcerto
• Prima dei 22 mesi, non sono in grado di compiere questa distinzione
• Tra i 22 e i 27, a riprova che il coglimento di quella distinzione non è una
imitazione del comportamento dello sperimentatore, sono in grado nel
primo caso di portare avanti, o inferire, un differente comportamento in
relazione alla finzione e al tentativo che va oltre i meri atti compiuti dallo
sperimentatore (p.es., far finta di versare del liquido nel bicchiere posato
Una critica all’idea
metarappresentazionalista
• Perner (1991) ha criticato Leslie perché, dice, l’idea del meccanismo
scollegante si può difendere senza appellarsi ad una nozione
metarappresentazionale di finzione
• Per avere una metarappresentazione, bisogna avere una
rappresentazione di una rappresentazione in quanto
rappresentazione, cioè concettualizzata come tale
• I bambini piccoli mettono in atto sì il meccanismo scollegante, ma
non hanno questa capacità metarappresentazionale, che è presente
solo da quando (ben più tardi) un bambino diviene capace di
ascrivere il far finta a sé e agli altri, quando possiede anche il
concetto stesso di finzione
I modelli rappresentazionali multipli
• Per Perner, per spiegare il meccanismo di scollegamento basta
invocare modelli rappresentazionali multipli
• In un modello, ci si rappresenta la realtà
• In un altro modello, ci si rappresenta uno scenario immaginario
• Stich-Nichols (2003): il secondo modello è tale che può lavorare
offline, cioè senza impatto sul comportamento effettivo di un
soggetto
Esempio
• Nel modello della realtà, ci si rappresenta «Questa è una banana»
• Nel modello dell’immaginazione, ci si rappresenta «Questo è un
telefono»
• Il modello dell’immaginazione lavora off-line, per cui non si traggono
inferenze comportamentali (del tipo, vado a pagare la bolletta per
chiamate fatte al ‘telefono’)
Il pregio dei modelli multipli
• L’esistenza di modelli multipli basta a spiegare perché i contesti
di finzione non sono contesti onirici (e quindi i relativi mondi non
sono mondi onirici)
• In un contesto onirico, si attiva solo il modello rappresentazionale
immaginario, senza alcuna attivazione di quello della realtà
• In un contesto allucinatorio, il modello rappresentazionale
sostituisce quello reale e può avere implicazioni comportamentali
(nelle forme forti della sindrome di Capgras, qualcuno che
allucina di avere a che fare non con la moglie, ma con un
impostore, e per provare che sia così, taglia la testa a quella che
di fatto è la moglie)
Il difetto dei modelli multipli
• L’attivazione di modelli rappresentazionali diversi non basta per il
fare finta; anche in altre situazioni abbiamo l’attivazione di modelli
rappresentazionali diversi, e tuttavia non abbiamo finzione
• Il sonnambulo p.es. è uno che attiva, oltre al modello
rappresentazionale immaginario, un modello rappresentazionale
reale, che è quello che gli permette di schivare gli ostacoli reali;
ma il sonnambulo non fa finta
• Il dissociato, p.es. qualcuno afflitto dall’illusione di Cotard, è uno
che attiva tanto il modello rappresentazionale reale quanto il
modello rappresentazionale immaginario; ma il dissociato non fa
finta
Illusione di Cotard
• Nell’illusione di Cotard, qualcuno crede di essere morto, senza dar
luogo a nessun comportamento mortifero; attiva la
rappresentazione di sé come vivo nel modello della realtà, attiva la
rappresentazione di sé come vivo nel modello dell’immaginazione,
e convive con questi due modelli
• Alcune forme deboli della sindrome di Capgras si possono
ricostruire così (qualcuno convive con la moglie che crede altresì
sia un impostore)
Il difetto dei modelli multipli (cont.)
• Come i casi di dissociazione mostra, la mera attivazione di
modelli multipli non basta a spiegare il funzionamento offline del
modello dell’immaginazione
• Nei casi di dissociazione, un comportamento incoerente
consegue all’attivazione di entrambi i modelli rappresentazionali
(l’uomo che crede che la moglie sia stata rimpiazzata da un
impostore si lamenta per ciò, ma non chiama la polizia e anzi si
comporta in modo amichevole con l’’impostore’)
• Lo stesso Perner (1991) è infine costretto ad ammettere che per
la finzione occorre che i due modelli rappresentazionali siano
integrati in un unico modello onnicomprensivo
Il resoconto metarappresentazionale della
finzione (Meini-Voltolini 2010)
• Ciò che è dunque necessario per far finta, e ciò che dunque
serve per selezionare presemanticamente parlando un contesto
(e un mondo) di finzione, è dunque un resoconto
metarappresentazionale; in temini intuitivi, non c’è finzione senza
consapevolezza della finzione (Lillard 2002 a,b)
• In tale resoconto, non solo si attivano i due modelli
rappresentazionali rivolti l’uno alla realtà e l’altro rivolto al mondo
immaginario, ma si attiva anche una metarappresentazione che
le due rappresentazioni sono attivate in modelli diversi, tra loro
non collegati
• L’esistenza della metarappresentazione spiega perché le
rappresentazioni nel modello immaginario sono offline, non
Metarappresentazioni e giochi creativi
• Quando si fa finta al cinema che un mostro verde stia arrivando
(Walton 1978), si attiva nel modello della realtà la
rappresentazione «Questo è uno schermo cinematografico», nel
modello dell’immaginazione la rappresentazione «Questo è un
mostro verde» e in più la metarappresentazione che la seconda
rappresentazione non ha a che fare con la prima
rappresentazione, sono in modelli separati
• Questa metarappresentazione fa sì che non scappiamo dal
cinema
Metarappresentazioni e giochi
conservativi
• Quando si legge nel racconto dei Promessi Sposi che il lago di
Como finisce nel suo ramo destro nell’Adda, ci si rappresenta
che le cose stanno così nel modello della realtà, ci si rappresenta
che le cose stanno così anche nel modello dell’immaginazione, e
ci si metarappresenta che le due rappresentazioni sono separate
• Questo fa sì che se la rappresentazione in questione dice una
falsità, come nei film storici inaccurati, ci si preoccupa di ciò per
quanto riguarda il modello della realtà, ma non per quanto
riguarda il modello dell’immaginazione
La metarappresentazione è minimale
• Contro Perner, la metarappresentazione coinvolta dalla finzione non
dev’essere una rappresentazione di una rappresentazione in quanto
rappresentazione, ossia la metarappresentazione non deve avere un
contenuto concettuale in cui le rappresentazioni in oggetto sono
comprese come rappresentazioni
• Le rappresentazioni in questione possono ben essere rappresentate
nonconcettualmente, e lo stesso vale della loro separazione modellare
(i modelli rappresentazionali a loro volta non devono essere
rappresentati come modelli); basta che il soggetto si rappresenti che
questa (rappresentazione di un modello) non sta insieme con questa
(la, a volte identica, rappresentazione di un altro modello)
• La metarappresentazione è dunque minimale
Cont.
• Si tratta dunque di metarappresentazioni singolari, nel cui
contenuto figurano solo le rappresentazioni semplici, non i loro
concetti
• Intrattenere una siffatta metarappresentazione non comporta
neppure concettualizzare la metarappresentazione come tale;
questo ha luogo molto più avanti, quando si possiede il concetto
di finzione e si è in grado di compiere (auto)ascrizioni del tipo «S
fa finta che p»
• Il pretend play sociale cooperativo che si gioca tra i 31 e 36 mesi
di età precede il pretend play sociale complesso, in cui si
compiono quelle ascrizioni, che si gioca solo a partire dai 37 mesi
(Howes et al. 1992)
Un’obiezione
• Alcuni autori sostengono che sì, c’è bisogno di una terza
rappresentazione oltre alle due rispettivamente collocate nel modello
della realtà e quello della finzione, ma questa non è una
metarappresentazione (Olson (1993) and particularly Suddendorf
(1999), Suddendorf and Whiten (2001))
• Questa terza rappresentazione rende la mente che fa finta una collating
mind, una mente che lega (le altre rappresentazioni)
• Ma non è chiaro come dovrebbe essere fatta questa terza
rappresentazione
Una risposta
• Si può pensare che si tratti di una mera rappresentazione che
identificasse le cose che sono oggetto delle altre due
rappresentazioni (p.es., «questa banana è un telefono»)
(Suddendorf and Whiten 2001)
• Ma non si capisce come un siffatto collegamento sarebbe inerente
alla finzione; nel gioco in cui si fa finta che la banana sia un
telefono, la banana non è parte del gioco, è solo un suo supporto
• Come abbiamo visto, ci sono poi molti giochi di finzione privi di un
autentico supporto
• Si potrebbe replicare che questi casi non sono casi primitivi di
finzione
• Ma questo è empiricamente dubbio: ci sono giochi di finzione
Un’altra risposta
• Forse proprio questo è il contenuto della rappresentazione
collegante, che si tratterebbe porpio di una rappresentazione che
descrive l’essere un oggetto un sostituto dell’altro (p.es., «questa
banana sta per un telefono») (Olsen 1993)
• Ma ancora una volta, anche questa rappresentazione collegante
mancherebbe in molti casi, tutti i casi privi di autentico supporto
Cont.
• Inoltre, se così fosse la rappresentazione collegante sarebbe a sua
volta una forma di metarappresentazione (rappresenterebbe che un
oggetto è rappresentazione di un altro oggetto)
• Peggio ancora, non sarebbe la metarappresentazione giusta, quella
che non ha che fare con la finzione
• Siffatte metarappresentazioni sono necessarie per comprendere
immagini nel loro valore rappresentazionale, p.es. per comprendere
che un’immagine è un’immagine ambigua (per cui bisogna
comprendere che uno stesso segno ha differente valore
rappresentazionale) (Wimmer & Doherty 2011), ma la capacità di
comprensione del valore rappresentazionale delle immagini segue
quella della finzione (De Loache et al 1979, 1994, 1998, 2003, Voltolini
Immagini ambigue
La comprensione delle immagini precede
quella della finzione
• I bambini piccoli sono in grado di riconoscere qualcosa in
qualcos’altro, che è il marchio della pittorialità, senza (più)
confondere il primo col secondo (prendere il primo per il
secondo), ad un’età variabile tra i 9 e i 15 mesi di età, ma
riescono a riconoscere che qualcosa è immagine di qualcos’altro
solo più tardi, dai 24 mesi di età in avanti, mentre la capacità di
comprendere il far finta è assestata verso i 18 mesi di età
Il resoconto metarappresentazionale della
finzione (cont.)
• Avere questo tipo di metarappresentazione, una metarappresentazione
minimale, è condizione anche sufficiente del far finta; non appena
abbiamo un sistema metarappresentazionale di questo tipo, abbiamo
finzione
• Chiaramente, altre forme di metarappresentazione non sono sufficienti
• Questo è dimostrato p.es. nel caso delle illusioni consapevoli
Illusioni ottiche e
metarappresentazio
ni
• Scoprire che questa rappresentazione
è falsa è sì intrattenere una
metarappresentazione, ma che
semplicemente dice che la
rappresentazione in questione, che
sta nel modello della realtà, è
inaccurata
• Per avere finzione, occorre avere una
rappresentazione nel modello della
realtà («queste linee hanno la stessa
lunghezza»), una nel modello
immaginario («queste linee non hanno
la stessa lunghezza») e la
consapevolezza che queste due
rappresentazioni sono modellarmente
Un altro caso
analogo
• Ci si rappresenta, nel
modello della realtà che
coglie l’immagine come
oggetto del mondo,
«Questa non è una
pipa», mentre ci si
rappresenta, nel modello
dell’immaginazione che
coglie il soggetto che
l’immagine presenta,
«Questa è una pipa», e
si è coscienti di tale
differenza
rappresentazionale
I vantaggi del modello (1)
• Questo resoconto metarappresentazionale rende conto del
problema che Currie ha sollevato nei confronti dell’approccio di
Walton, ossia che quest’ultimo annulla la differenza tra essere
una finzione e essere trattato come una finzione (la differenza tra
finzione e mito)
• Stando al presente resoconto, non è che il mito viene trattato
come una finzione, il mito diventa una finzione da quando viene
ad essere accompagnato dall’opportuno apparato
metarappresentazionale (prima è solo una rappresentazione
falsa della realtà)
• Almeno in senso generale; in senso individuale si può sempre
dire che un singolo individuo non sapeva di stare facendo finta (si
I vantaggi del modello (2)
• Questo resoconto metarappresentazionale spiega perché, come Friend
ha obiettato a Walton, non ogni invito ad immaginare ammonta ad una
finzione
• L’invito pertinente alla finzione è un invito specifico che non è solo
l’invito a immaginare, ma è l’invito a metarappresentare
• Currie 1995: propria della finzione non è l’immaginazione, ma la
simulazione (simulare di essere altri, di leggere resoconti di stati di cose
reali, p.es.)
• Ma questa simulazione o si riduce alla metarappresentazione (come in
Goldman 2006), o altrimenti non è sufficiente a cogliere il far finta (in
particolare, non è la simulazione imitativa e inconscia messa in gioco
eventualmente quando si comprendono le altrui azioni o gli altrui stati
d’animo (Rizzolatti et al. 1998)
Metarappresentazione, non simulazione
• Matravers (2014): ci si può mettere nei panni degli altri anche in
situazioni che non hanno a che fare con la finzione (p.es.,
quando si vuole capire un testo scritto in un differente periodo
storico)
Metarappresentazione, non simulazione
imitativa
• Quest’ultima simulazione è in generale insufficiente a rendere
conto della specificità di molte intenzioni di azione, specialmente
quando queste hanno un contenuto complesso
• Ad es., non si coglierebbe via simulazione imitativa la differenza
tra intendere curare e intendere far del male quando queste
intenzioni si manifestassero attraverso lo stesso comportamento
(a differenti intenzioni antecedenti corrisponderebbe la stessa
intenzione motoria, Jacob-Jeannerod 2005)
• Ma analogamente dunque non si coglierebbe via questa stessa
simulazione la differenza tra le corrispettive due forme di far finta
I vantaggi del modello (3)
• D’altronde, questo invito specifico a metarappresentare è solo condizione
sufficiente ma, contro Walton, non è condizione necessaria della finzione (a
differenza della rappresentazione minimale che è tanto condizione
sufficiente quanto necessaria della finzione)
• I bambini piccoli fanno finta non appena hanno l’opportuno sistema
metarappresentazionale, ma tale far finta non è ancora un far finta corretto o
scorretto
• Questioni di normatività intervengono una volta che si è fatto finta in un
determinato modo, perché quel modo diventa il criterio di correttezza per
tutti i successivi giochi di far finta dello stesso tipo
• Se Manzoni ha scritto «la sventurata rispose» non posso far finta nel gioco
dei Promessi Sposi che Gertrude rimase casta; un siffatto far finta è
scorretto in quel gioco (ovviamente, se cambio gioco è un’altra faccenda)
Un’obiezione teorica
• Ma se il far finta è metarappresentazionale, ciò non ci riporta al
problema visto con l’approccio intenzionalista che molto far finta
non ha a che fare colla mente?
Esempio
• Quando un attore proferisce in scena la famosa frase di Macbeth
Spegniti dunque, ormai, corta candela!
Che cosa deve tenere in mano perché la frase sia finzionalmente
vera? Una candela? Una matita? Una caramella? Nulla del tutto?
Una risposta
• Come abbiamo visto prima, il mito non è più un controesempio,
perché il mito diventa finzionale da quando la sua comprensione
diventa metarappresentazionale
• Per quei (non molti) casi in cui c’è una dipendenza di verità
finzionali da verità reali, questa dipendenza è solo una
condizione necessaria, non sufficiente; occorre un’opportuna
metarappresentazione per stabilire che cosa esattamente si sta
facendo finta
Un’obiezione empirica
• Come può il far finta infantile essere metarappresentazionale se
le attività metarappresentazionali cominciano, com’è stato detto,
a quattro anni, quando i bambini passano il test delle credenze
false?
Il test delle false credenze (Perner-Wimmer
1983)
• Il test si svolge sotto forma di gioco in cui ai soggetti vengono
presentate due bambole: una, Sally, porta un cestino e l'altra,
Ann, ha una scatola. Nella prosecuzione del gioco, Sally esce a
passeggio dopo aver messo una biglia nel proprio cestino e
averlo coperto con un panno. Intanto Ann prende la biglia dal
cestino e la nasconde nella propria scatola. A questo punto Sally
torna con l'intenzione di giocare con la biglia e l'esaminatore
chiede al bambino dove avrebbe guardato Sally per prendere la
biglia.
• A questa domanda se il bambino risponde affermando il dato
reale o di fatto, cioè che Sally l'avrebbe cercata nella scatola di
Ann, si può affermare che il soggetto non è in grado di formulare
E le risposte ad essa
• Leslie 1994: i bambini cominciano a sviluppare attività
metarappresentazionali a 18 mesi, ma poi si attiva un
meccanismo inibitore fino ai 4 anni che blocca quelle attività
• Il test delle credenze false non mostra che i bambini hanno
attività metarappresentazionali solo dopo i 4 anni, mostra solo
che prima di 4 anni non si riesce ad ascrivere agli altri credenze
false, si ascrivono agli altri solo le proprie credenze vere
Una morale
• La distinzione opere di finzione / opere non di finzione dipende
dalla distinzione tra proferimenti fittizi e non fittizi, ma quest’ultima
dipende a sua volta dall’esistenza/assenza di opportune
metarappresentazioni
• Dunque, la distinzione finzione / non finzione (realtà) non è
spiegata nei termini di nessuna delle due prime distinzioni, ma
dell’ultima
• Come abbiamo visto, l’esistenza di una metarappresentazione
minimale del tipo precedentemente esposto è condizione tanto
necessaria quanto sufficiente di finzione
• Così si può capire se e quanta finzionalità c’è nei casi borderline
da cui eravamo partiti

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