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Giulia Sfameni Gasparro

Globalizzazione e localizzazione della religione dall'Ellenismo al tardo Antico. Per la


definizione di una categoria storico-religiosa.

Il tema di cui intendo brevemente discutere si colloca all'interno di una vasta


problematica proposta alla riflessione degli studiosi intervenuti al Congresso della EASR,
svoltosi a Bergen (Norvegia) nel maggio 20031. Esso è un indubbio «segno dei tempi», data
l'urgenza nell'attuale panorama socio-culturale dei problemi connessi ad una globalizzazione
sempre più rapida e pervasiva di tutti i livelli di esistenza, da quelli politici, socio-economici,
militari a quelli culturali2 e appunto religiosi3. Tra tali problemi, come è noto, quello senza
dubbio preminente è costituito dal rapporto tra siffatta globalizzazione, prevalentemente
intesa come spinta spesso forzata verso una uniformità indiscriminata, con imposizione di
alcuni «valori» (o disvalori) a preferenza di altri, e la varietà delle culture umane, ciascuna
fondata su sistemi propri di valori, spesso non assimilabili gli uni agli altri. In tal modo si
configura una tensione ovvero un vero e proprio conflitto tra tendenze «globalizzanti» e
«identità» particolari, quindi fra globalizzazione e localizzazione culturale, percepite spesso
come inconciliabili.

1 European Association for the Study of Religions 3rd Congress and International
Association for the History of Religions Special Conference, "The globalisation and
localisation of Religion", Bergen 8-10 May 2003. Il presente testo è la versione italiana, con
modifiche e aggiunte, della relazione presentata al Congresso con il titolo The Globalisation
and Localisation of Religion: from Hellenism to Late Antiquity. Assessing a Category in the
History of Religions, in corso di stampa in L.H. Martin -P. Pachis (edd.), Hellenisation,
Empire and Globalisation: Lessons from Antiquity. Panel Organized on the Occasion of the
3rd EASR Congress, Bergen 8-10 May 2003, Thessaloniki.
2 Sul problema si è sviluppata ormai una letteratura assai ampia, tra i cui titoli basti ora
ricordare R. Robertson, Globalization: Social Theory and Global Culture, London 1992; D.
Held- A. McGrew, Globalization/Anti-Globalization, Cambridge 2002; A.G. Hopkins (ed.),
Globalisation in World History, London 2002; G. Soros, On Globalisation, New York
2002; J. A. Beckford, Social Theory and Religion, Cambridge 2003.
3 Le implicanze del tema sul piano religioso sono oggetto di numerosi contributi. Cfr. R.
Robertson-J. Chirico, Humanity, Globalization, and Worldwide Religious Resurgence: a
Theoretical Exploration, in Sociological Analysis 46 (1985), pp. 219-242; P. Beyer,
Religion and Globalization, London 1997; ID., The Religious System of Global Society: A
Sociological Look at Contemporary Religion and Religions, in Numen 45 (1998), pp. 1-29;
ID., De-centring Religious Singularity: the Globalization of Christianity as a Case in Point,
in Numen 50 (2003), pp. 357-386; M. P. Fisher, Religion in the Twenty-first Century, London
1999; J. Casanova, Religion, the New Millennium, and Globalization, in Sociology of
Religion 62 (2001), pp. 415-441; I. Wunn, The Evolution of Religion, in Numen 50 (2003),
pp. 387-415.

1
L'assunzione di tale problematica nell'ambito della ricerca storico-religiosa, tuttavia,
suscita una serie di interrogativi di ordine metodologico, il primo dei quali è proprio quello
della legittimità scientifica della nozione stessa di «globalizzazione e localizzazione»
quale «categoria» per l'interpretazione dei fatti religiosi. Lo storico delle religioni deve
pertanto verificare in prima istanza se e a quale titolo quella nozione può essere applicata
alla sfera dei fenomeni religiosi in quanto tale, nel suo intero dispiegarsi nel tempo e nello
spazio, quale è raggiungibile e indagabile con gli strumenti della ricerca positivo-induttiva, e
non soltanto alla loro manifestazione nell'attualità. In altri termini si tratta di vedere se il
fenomeno di una «globalizzazione e localizzazione della religione» sia un dato nuovo, frutto
ed espressione della particolare situazione storico-culturale maturata nella seconda metà
XX sec., operante con un'accellerazione pressoché incontrollabile in questo primo scorcio del
XXI, ovvero se esso non abbia avuto modo di manifestarsi già nel corso della storia umana,
sia pure in espressioni e forme sui generis, in relazione ai diversi contesti e alle varie
situazioni culturali. In questa seconda alternativa la nozione in questione potrà proporsi
legittimamente come una «categoria» interpretativa del fatti religiosi, pur senza alcun
carattere definitorio precostituito e nel pieno rispetto della qualità positiva della ricerca
storica, attenta alle differenze dei diversi contesti insieme e prima che alle affinità e analogie
fra di essi.
Il primo passo nella direzione di una verifica della applicabilità di siffatta categoria a
una serie ampia di fenomeni religiosi, anche del passato, e alle rispettive condizioni
storico-culturali consiste nella proposta di una definizione sufficientemente ampia di essa,
attenta ad una serie di aspetti di quei fenomeni che possano integrare -con maggiore o minore
approssimazione- le nozioni di globalizzazione e localizzazione, piuttosto che intesa a
individuare specifici contenuti. Più in particolare, nel procedere a siffatta verifica in
relazione ad un contesto storico quale è quello del mondo mediterraneo nel periodo che va
dall'età ellenistica all'antichità tardiva mi pare opportuno assumere, come ipotesi di lavoro
priva di pretese rigorosamente definitorie, la nozione di globalizzazione in quanto
applicabile al fattore religioso come tendenza -più o meno forte e impositiva secondo i casi-
di tale fattore a espandersi fuori dal proprio locus storico di origine e a costituire un elemento
a vario titolo importante nella dimensione religiosa di altri ambienti culturali. In pari tempo
esso si rivela capace di fornire, in misura diversa secondo i casi, un impulso a una sorta di
omogeneizzazione religiosa ovvero coagula attorno a sé una somma di valori accolti
nell'intera area geografica in questione o in sezioni abbastanza ampie di essa. Tale tendenza
globalizzante può assumere l'aspetto di una vera e propria «imposizione» nel senso di una
sostituzione da parte di un fenomeno religioso a carattere fortemente diffusivo nei confronti
degli altri fenomeni che incontra sul proprio cammino, come nel caso dei monoteismi a

2
caratterere esclusivista, giudaico e cristiano, rispetto alle tradizioni nazionali dei singoli
popoli dell'oikoumene mediterranea.
La nozione di «localizzazione», da parte sua, in tale indagine viene assunta come
connessione più o meno forte del dato religioso con una realtà individuale, in tutta la possibile
gamma dei suoi significati (in rapporto a nazione, comunità cittadina, gruppo sociale,
comunità religiosa etc.), di cui connota ed esprime l'identità specifica, non assimilabile ad
altra. Sebbene così previamente definite le due nozioni in esame possano apparire
mutuamente esclusive, l'indagine dovrà verificare se e fino a che punto in particolari casi esse
non siano anche dialetticamente connesse, permettendo di definire una peculiarità di certi
fenomeni religiosi a coniugare tendenza globalizzante con mantenimento o addirittura
valorizzazione dell'identità specifica. I risultati di tale indagine, pur limitati al quadro del
mondo mediterraneo antico, possono contribuire ad una eventuale formalizzazione della
nozione di globalizzazione e localizzazione quale ampia categoria interpretativa dei
fenomeri religiosi.
Naturalmente l'ampiezza dell'arco geografico e cronologico in questione e
soprattutto la complessità e varietà delle esperienze religiose che in esso si dispiegano,
impongono una rigorosa selezione dei fatti analizzabili in dettaglio e consigliano piuttosto di
cogliere alcune linee fondamentali di tendenza, atte a esemplificare il tema in esame. A
questo fine appare indispensabile una presa d'atto esplicita di alcune categorie definitorie che,
per quanto convenzionali e storicamente condizionate nel loro uso scientifico, mi sembrano
tuttavia indispensabili strumenti per procedere nell'analisi dei varii fenomeni e nella loro
comparazione storica. Mi riferisco all'uso dei termini politeismo e monoteismo per definire
rispettivamente da una parte i quadri religiosi dei Greci e dei Romani e più ampiamente
quelli delle popolazioni del bacino mediterraneo e del Vicino Oriente a suo modo gravitante
anch'esso su tale bacino, e dall'altra la tradizione degli Ebrei di Palestina nella sua fase matura
di elaborazione della concezione secondo la quale il dio nazionale Iahwé è anche il Dio unico,
personale e creatore di tutta la realtà, a esclusione di qualsiasi altro4. Innestandosi su questa
tradizione, il nuovo messaggio cristiano assume una netta fisionomia monoteistica pur nella
specificità irriducibile del suo credo trinitario, quale si definirà gradualmente sulla base
originaria e fondante della cristologia, alimentata dalla fede in Gesù di Nazareth come
Logos-Figlio di Dio incarnato5.

4 Sulla questione notoriamente dibattuta della formazione storica del monoteismo ebraico,
mi limito qui a segnalare le opere di R.K. Gnuse, No Other Gods. Emergent Monotheism in
Israel, Journal for the Study of the Old Testament, Supplement Series 241, Sheffield 1997
e di N. MacDonald, Deuteronomy and the Meaning of "Monotheism", Tübingen 2003.
5 Riflessioni sul tema delle relazioni fra cristologia e tradizioni giudaiche nei contributi al
volume di C.C. Newman- J.R. Davila- G.S.Lewis (edd.), The Jewish Roots of Christological

3
Non è necessario evocare in questa sede i termini dell'attuale dibattito sull'uso di tali
termini e sui loro contenuti, oggetto anche di un recente Congresso della EASR svoltosi nel
settembre del 2002 a Parigi6. Mi sia permesso soltanto di ribadire che a mio avviso tale uso è
pienamente legittimo in sede storico-religiosa, in quanto assunto senza alcuna connotazione
di «giudizio di valore», ossia senza alcun senso derogatorio attribuito al primo (il politeismo)
né alcuna presunzione di superiorità assiologica del secondo (il monoteismo). Tenuto conto
naturalmente dei condizionamenti culturali che hanno portato alla formazione dei termini e
dei relativi concetti7, questo uso anzi mi sembra indispensabile per circoscrivere e definire la
specifica consistenza storica dei fenomeni in questione, e quindi la non applicabilità di tali
categorie in maniera indiscriminata a fenomeni storicamente diversi, come avviene in un noto
volume edito da P. Athanassiadi e M. Frede, che si intitola Pagan Monotheism (Oxford
1999). Nel caso del politeismo dei Greci8 in primo luogo ma anche in quello dei Romani9
e dei numerosi popoli del mondo antico, infatti, si è in presenza di un orizzonte più o

Monotheism. Papers from the St. Andrews Conference on the Historical Origins of the
Worship of Jesus, Leiden-Boston-Köln 1999.
6 Ch. Guittard (ed.), Le monothéisme: diversité, exclusivisme ou dialogue?/ Monotheism:
Diversity, Exclusivism or Dialogue?, Congrès de Paris/ Congress in Paris 11-14 September
2003, Atti, in corso di stampa. Sulla problematica in oggetto mi sia permesso rimandare al
contributo presentato a tale riunione scientifica (Dio unico e «monarchia» divina: polemica e
dialogo tra pagani e cristiani (II-V sec. d.C.)) e ad una successiva messa a punto (G. Sfameni
Gasparro, Monoteismo pagano nella Antichità tardiva? Una questione di tipologia
storico-religiosa, Giornata di studio "L' 'Uno' e i 'molti'. Rappresentazioni del divino nella
Tarda Antichità, Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Scienze Religiose,
Milano 9 dicembre 2003, in Annali di Scienze religiose 8 (2003), pp. 1-31, in cui è offerta
la relativa documentazione.
7 Cfr. F. Schmidt, Les polythéismes: dégénérescence ou progrès?, in Id. (ed.), L'Impensable
polythéisme. Études d'historiographie religieuse, Paris 1988, pp. 13-91.
8 Oltre il classico «manuale» di M.P. Nilsson,Geschichte der griechischen Religion, voll. I-II,

München 1953 - 19612, si segnalano soltanto alcune opere generali di diversa impostazione
metodologica: U. Bianchi, La religione greca, Torino 1975; rist. 1989, 1992; W. Burkert,
Griechische Religion der archaischen und klassischen Epoche, Stuttgart 1977, trad. it.
Milano 1984; 2a ed. a cura di G. Arrigoni, Milano 2003; ID., Structure and History in Greek
Mythology and Ritual, Berkeley-Los Angeles 1979; F. Graf, Griechische Mythologie;
München-Zürich 1985, trad.it., Roma-Bari 1987; J. N. Bremmer, Greek Religion, Groningen
1994, trad. it., Cosenza 2002; S. Price, Religions of the Ancient Greeks, Cambridge 1999,
trad. it. Bologna 2002; R. Buxton (ed.), Oxford Readings in Greek Religion, Oxford 2000.
9 K. Latte, Römische Religionsgeschichte, München 1960; M. Le Glay, La religion romaine,

Paris 1971; 19912; H.W.G. Liebeschuetz, Continuity and Change in Roman Religion,
Oxford 1979; J. Scheid, La religione a Roma, Roma-Bari 1983; R. Turcan, Religion romaine.
I: Les dieux. II: Le Culte, Leiden 1988; M. Beard- J. North-S. Price, Religions of Rome,
vol. I History; vol. II A Sourcebook, Cambridge 1998; J. Champeaux, La religion romaine,
Paris 1998, trad. it. Bologna 2002.

4
meno organicamente strutturato di potenze sovrumane con carattere funzionale, ritenute attive
a livello di dipartimenti cosmici e/o di attività umane, e dai tratti personalistici più o meno
accentuati. I monoteismi giudaico e cristiano, da parte loro, si definiscono sotto il profilo
storico e quindi della tipologia storico-religiosa non soltanto per la nozione dell' «unità» del
potere divino ma anche e soprattutto per il carattere personale del Dio che lo detiene e
inoltre per l'esclusivismo a livello di pratica religiosa da parte dell'uomo e della comunità che
ne riconosca l'esistenza. Data tale accezione del termine, convenzionale come ogni altra
formazione linguistica, ma pure pertinente a fenomeni storicamente definiti, esso non pare
applicabile in maniera indiscriminata a quei fenomeni che, pur implicando a vario titolo la
nozione di una «unità» del potere divino, configurino quest'ultima come una sorta di reductio
ad unum di una serie molteplice e funzionalmente differenziata di potenze ovvero
propongano delle strutture teologiche di tipo piramidale, al cui vertice si pone una divinità
dagli attributi cosmici10. In tali strutture, infatti, un principio sommo occupa il vertice di
una graduata molteplicità di entità, ad esso in certa misura subordinate ma dotate ciascuna di
una propria attività e sfera di competenza, necessaria al funzionamento della vita cosmica e
umana.
Tale il caso di molte formulazioni teologiche del mondo antico che in ogni caso, e a
titolo diverso, recuperano proprio in questa struttura piramidale la molteplicità degli dèi dei
politeismi tradizionali11, ritenuti elementi essenziali e non eliminabili della realtà in cui
operano le varie società umane, essendo la dimensione culturale e religiosa di queste ultime
connessa proprio all'esistenza e alle funzioni di tali divinità12. Del resto, l'uso del termine

10 Su questa tematica si vedrà il saggio magistrale di A.-J. Festugière, La révélation


d'Hermès Trismégiste, vol. II, Le dieu cosmique, Paris 19493. Cfr. anche J. Pépin, Théologie
cosmique et théologie chrétienne, Paris 1964.
11 Tra i numerosi esemi di tale «teologia cosmica» a struttura piramidale, intesa a
riaffermare il quadro politeistico tradizionale, segnalo soltanto il testo dello ps. Onata che, in
implicita ma evidente polemica contro il monoteismo giudeo-cristiano, dichiara: «Mi sembra
che non ci sia un solo Dio, ma Uno il più grande e più elevato, il quale domina il tutto, e gli
altri molti sono differenti per potenza. Egli regna su tutti costoro e domina, superiore per
grandezza e virtù. Questo è il dio che abbraccia tutto intero il cosmo», mentre gli altri dèi si
muovono nel cielo secondo il movimento del Tutto, sottoposti al primo dio intellettuale
(Peri; qeou' kai; qeivou in Stobeo 1.1.39 p. 48 Wa.). Una più ampia discussione del tema nel mio
contributo Monoteismo pagano, cit. sopra n. 5.
12 Osservazioni sulla forte connessione dialettica fra strutture religiose politeistiche e i
relativi contesti etnico-culturali nel mondo ellenistico-romano, con relativa documentazione
bibliografica, in G. Sfameni Gasparro, Religion and Community in the Ancient World: A
test-case for the comparative method in historico-religious studies, in EAD. (ed.), Themes
and Problems of the History of Religions in Contemporary Europe, Proceedings of the
International Seminar Messina, 30-31 March 2001, Hierà. Collana di studi storico-religiosi 6,
Cosenza 2002, pp. 263-194.

5
politeismo ha una sua legittimità storica una volta che, a differenza del più recente e
francamente derogatorio termine «pagano» e «paganesimo» per indicare realtà religiose non
giudaiche né cristiane, risalente solo al IV sec. d.C., esso ha radici nello stesso linguaggio
classico greco. Basti ricordare che Eschilo poteva definire e[dra poluqevwn l'altare presso cui
si erano rifugiate le Danaidi quali supplici, nell'omonima tragedia (Suppl. 423 s.). Largamente
usato da Filone Alessandrino nel senso di «veneratore dei molti dèi» in opposizione ai Giudei
che riconoscono un solo Dio13, poluvqeo" entra nell'uso linguistico degli autori cristiani
insieme a poluqei'a e poluqeovth" a partire dal II sec. d.C. per definire l'orizzonte
religioso ricco di presenze divine degli avversari14. Ma anche un autore come Luciano può
mostrare lo stesso Zeus sgomento dinnanzi ad una poluqewtavth...ejkklhsiva15. Non si vede
dunque la ragione per rifiutare una terminologia di tale antichità che, al di là di ogni
possibile accezione derogatoria di origine giudeo-cristiana quale non è certo assunta dallo
storico delle religioni, esprime la struttura articolata di molteplici presenze sovrumane,
insieme potenze funzionali e personalità distinte da nome, attributi e ethos comportamentale
che qualifica l'orizzonte religioso dei Greci e degli altri popoli del bacino mediterraneo.
Naturalmente differenze anche notevoli sussistono tra l'una e l'altra struttura presso le varie
culture e in tempi diversi nell'ambito del medesimo contesto, sicché si parlerà piuttosto di
«politeismi» ciascuno dotato di connotazioni distintive già in relazione a tale ambito
geografico. Ciò vale tanto più quando si considerano fenomeni di periodi e contesti
geografici e culturali più o meno lontani da questo ai quali, sulla base della comparazione
storica, si potrà attribuire -per il principio dell'analogia- la definizione di «politeismo». Il
termine «pagano» preferito in alcune recenti indagini, quale equivalente latino di ellen,
nell'accezione di seguace dei culti politeistici tradizionali, interviene soltanto nella seconda
metà del IV sec. d. C., sempre in autori cristiani16 e finirà per imporsi nel linguaggio comune
occidentale come designazione globale e totalizzante di quanti non partecipano della fede
monoteistica giudaica, cristiana e più tardi anche islamica.

13 De migr. Abr. 69; De op.mundi 171: ...tou;" eijshghta;" th'" poluqevou dovxh"...; Quis
rer.div. her. 169; de dec. 65; de virt. 241; de praem. et poen., de exsecr. 162; Quaest. in Ex.
II, fr.2; De mut. nom. 205: ...oiJ poluqeiva" ejrastai;.
14 Origene, CCels I, 1; I, 36 e III, 73. L'Alessandrino usa anche to; poluvqeon (Exhor.Mart.
31; frag. in Ps. 80, 10), poluvqeo"/ / poluvqeoi (CCels. III, 22; Exhor.Mart. 5; frag. in Ps. 15,
4 e 65, 12) e poluqeiva (Sel. in Lev., P.G. XIII, 397).
15 Iup. trag. 14.
16 Mario Vittorino, Comm. Gal. II, 3 e IV, 3, che propone l'equivalenza graecus id est
paganus. Si veda in proposito la discussione di P. Chuvin, Sur l'origine de l'équatio paganus=
païen, in L. Mary- M. Sot (edd.), Impies et païens entre Antiquité et Moyen Age, Paris 2002,
pp. 2-15 e già Chr. Mohrman, Encore une fois: paganus, in Vig.Chr. 6 (1952), pp. 109-121;
J.J. O’Donnell, 'Paganus', in Classical Folia 31 (1977), pp. 163- 169.

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Poste queste premesse a giustificazione della terminologia utilizzata nella trattazione
del tema proposto, è necessario distinguere, nell'ampio arco cronologico assunto come terreno
di verifica della validità delle categorie in esame, le due grandi fasi del periodo ellenistico,
tradizionalmente aperto dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e concluso dalla
conquista romana dell'Egitto (30 a.C.), e di quello imperiale romano. La progressiva
estensione a tutta l'oikoumene mediterranea del potere politico-militare di Roma e
l'instaurazione di un sistema istituzionale compatto e centralizzato, gradualmente ma sempre
più rigorosamente applicato alle diverse compagini etnico-culturali soggette a quel potere, ha
avuto infatti un'incidenza e un effetto «omogeneizzanti» di rilevanza unica all'interno del
mondo mediterraneo. Essi non sono pertanto commisurabili per ampiezza geografica e durata
nel tempo a quelli esercitati sia dagli antichi «Imperi» del Vicino Oriente sia dal dominio
conquistato da Alessandro Magno, il quale, pur assai esteso e decisivo nell'aprire una
nuova era storica, rimase soggetto ad un potere unico per un tempo troppo breve per poter
procurare effetti analoghi. I regni ellenistici sorti dalla ripartizione di quel dominio, pur
inseriti in un circuito abbastanza omogeneo sotto il profilo culturale e religioso a dominante
cifra ellenica, tuttavia obbedivano ciascuno a proprie strategie politiche che favorivano
spesso contrasti e fratture piuttosto che convergenze e assimilazioni.
Ciò nonostante, tra le due fasi, ellenistica e imperiale, esiste a livello culturale e
religioso una sostanziale continuità di tendenze che, pur nelle mutazioni anche profonde
delle condizioni storiche dall'una all'altra e nella variegata diffenziazione delle singole
realtà locali, permettono di trattare il nostro tema nel quadro di un continuum sostanziale,
connotato dalla specificità dei fenomeni religiosi in esso convergenti, la quale condiziona
anche il significato delle nozioni di «globalizzazione» e di «localizzazione». Tali nozioni
infatti, come già notato, possono assumere una validità categoriale come strumenti
dell'indagine storico-religiosa soltanto se usati in senso analogico, ossia quali strumenti
per la percezione di aspetti più che di contenuti comuni e anche di differenze più o meno
profonde tra i vari fenomeni. Ciò emerge con particolare evidenza nella loro applicazione a
contesti religiosi di tipo politeistico da una parte e a quelli di tipo monoteistico dall'altra,
quale si propone in un'indagine rivolta al mondo antico, dall'ellenismo alla tarda antichità,
che appunto vede operanti, in sinergia oltre che in confronto e talora in conflitto contesti di
entrambi i tipi.
Di fatto, in relazione ai primi si constata la preminente e talora anche esclusiva
operabilità della nozione di «localizzazione» del fattore religioso, in rapporto al carattere
nazionale della facies religiosa in quanto radicata nella vicenda storica dell'ethnos che ne è
portatore e della quale costituisce una componente costitutiva; in pari tempo tale facies è
un'espressione privilegiata dell'identità culturale del popolo in questione, al cui interno
solitamente si pongono anche ulteriori forme di «localizzazione», in rapporto a

7
tradizioni mitico-cultuali di singole comunità o gruppi ancora più ristretti, come nel caso nelle
numerose poleis greche, con i loro culti cittadini e familiari. Tuttavia questa situazione,
tipica delle antiche culture a struttura religiosa politeistica, risulta aperta anche a fenomeni
che possiamo definire -nelle forme analogiche sopra proposte- di «globalizzazione», sul
duplice piano della ideologia e della concreta realizzazione storica.
Sul piano che possiamo definire dei «principi» ossia del fondamento teorico (anche se
certo non teorizzato in maniera sistematica in tali contesti ovvero tale soltanto nell'ambito
degli ambienti colti e filosoficamente interessati alla riflessione sul dato religioso)17 atto a
permettere una apertura dei mondi religiosi a carattere nazionale e a struttura politeistica in
direzione della «globalizzazione», un ruolo importante è assolto proprio dalla nozione
fondamentale di tali mondi. Mi riferisco all'idea, implicita o esplicita secondo i casi, per cui
l'ammissione di una molteplicità articolata di potenze divine a carattere sostanzialmente
funzionale, anche se marcato in senso più o meno decisamente personalistico, permette ai
suoi portatori un atteggiamento di apertura verso le credenze e le prassi religiose di altri
popoli. Si riconosce infatti che, come tali potenze sono strettamente legate al proprio
gruppo etnico (di dimensioni varie secondo i casi: dalla comunità familiare e cittadina alla
nazione a struttura complessa) che le pone a fondamento della propria identità culturale,
soprattutto in quanto oggetto della prassi cultuale e della relativa protezione ottenuta, allo
stesso modo altri popoli e comunità hanno analoghi rapporti con altre potenze sovrumane,
le cui funzioni e prerogative peraltro sono percepite di solito come affini a vario titolo a
quelle dei propri dèi. E' un dato ben noto e chiaramente percepito all'interno delle diverse
tradizioni politeistiche del mondo antico, infatti, che proprio la dimensione funzionale, a
livello cosmico ed esistenziale umano, delle molteplici potenze di un pantheon politeistico
permette di stabilire un sistema più o meno rigoroso di «corrispondenze» fra i diversi quadri
religiosi, secondo un gioco di «identificazioni» che può estendersi dall'uno all'altro come in
una proiezione di immagini in specchi via via più numerosi, senza che peraltro si perda
del tutto il senso della pertinenza specifica di ciascun personaggio ad un particolare contesto
culturale18. Sul versante greco, che storicamente si rivela -anche per la qualità e quantità della

17 Cfr. I. Lana, Tracce di dottrine cosmopolitiche in Grecia prima del cinismo, in Riv. Filol.
e Istr.Clas. n.s. 29 (1951), pp. 193-216; 319-338; J. Moles, Le cosmopolitisme cynique, in Le
Cynisme ancien et ses prolongements, Paris 1993, pp. 259-280.
18 Preferisco non usare in proposito il termine, troppo abusato, di «sincretismo», le cui
accezioni e la cui utilità epistemologica richiedono opportune precisazioni. Per un
approccio al relativo dibattito segnalo soltanto S.S. Hartman, Syncretism. Based on Papers
read at the Symposium on Cultural Contact, Meeting of Religions, Syncretism, held at Abo on
the 8th-10th September 1966, Stokholm 1969; AA.VV., Les syncrétismes dans les religions
grecque et romaine, Colloque de Strasbourg (9-11 Juin 1971), Paris 1973 e in particolare P.
Lévêque, Essai de typologie des syncrétismes, pp.179-187; F. Dunand-P. Lévêque (edd.),

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nostra documentazione- quello più coscientemente attivo in questa operazione, già la
testimonianza erodotea riflette l'efficacia di tale fenomeno nel promuovere un'apertura
sempre maggiore di una cultura verso la comprensione della diversità dell'orizzonte religioso
degli altri popoli e insieme della, pur parziale e condizionata, omogeneità di questo rispetto al
proprio. Tuttavia è soltanto all'inizio del periodo ellenistico che -per specifiche condizioni
storiche- si mette in moto un processo, con accellerazione progressiva nei secoli successivi,
per il quale questa disponibilità teorica ad un superamento della localizzazione del fatto
religioso si trasmuta nella concreta realizzazione di fenomeni di diffusione fuori dai confini
nazionali di complessi mitico-rituali centrati su una o più figure divine19.
In pari tempo si assiste a fenomeni numerosi di una quasi programmatica
identificazione cultuale di figure con prerogative analoghe. Nella prima alternativa i singoli
culti e le relative divinità titolari, pur solitamente sottoposti ad una ellenizzazione più o meno
profonda, mantengono evidenti i tratti della rispettiva identità nazionale, come nel caso
emblematico dell'egiziana Iside e delle divinità della sua cerchia20. Siffatti culti, nel loro

Les syncrétismes dans les religions de l'antiquité, EPRO 46, Leiden 1975; L. Martin, Why
Cecropian Minerva? Hellenistic Religious Syncretism as System, in Numen 30 (1983), pp.
131-145; J. Gort at alii (edd.), Dalogue and Syncretism. An Interdisciplinary Approach,
Grand Rapids 1989; M. Tardieu, Histoire du syncrétisme de la fin de l'Antiquité, in Annuaire
du Collège de France 1990-91, pp. 493-509; 1992-93, pp. 545-555; 1993-94, pp. 581-591; R.
Shaw- C.Steward (edd.), Syncretism/ Antisyncretism. The Politics of Religious Syntesis,
London -New York 1994; C. Bonnet- A. Motte (edd.),Les syncrétismes religieux dans le
monde méditerranéen antique, Actes du Colloque International en l'honneur de Franz
Cumont à l'occasion du cinquantième anniversaire de sa mort. Rome, Academia Belgica,
25-27 septembre 1997, Bruxelles-Brussel-Rome 1999, in particolare F. Dunand, Syncrétisme
ou coesistence: images du religieux dans l'Égypte tardive, pp. 97-116 e A. Motte, La
notion de syncrétisme dans l'oeuvre de Franz Cumont, pp. 21-42; A. Motte- V. Pirenne
Delforge, Du «bon usage» de la notion de syncrétisme, in Kernos 7 (1994), pp. 11-27.
19 Su questa problematica, che trova nell'opera «classica» di Fr. Cumont, Les religions

orientales dans le paganisme romain, Paris 1906, 19294, la sua fondazione scientifica,
esiste ormai una bibliografia assai ampia. Mi limito a ricordare i numerosi titoli della Serie
delle Études Préliminaires aux Religions Orientales dans l'Empire Romaine (EPRO), fondata
e diretta da M.J. Vermaseren e ora continuata, con impostazione parzialmente diversa, dalla
Serie Religions in the Graeco-Roman World (RGRW), entrambe edite da E.J. Brill (Leiden) e
alcuni contributi di carattere generale (U. Bianchi- M.J. Vermaseren, edd., La soteriologia dei
culti orientali nell'Impero romano. Atti del Colloquio Internazionale su La soteriologia dei
culti orientali nell'Impero romano, Roma 24-28 Settembre 1979 (EPRO 92), Leiden 1982; L.
H. Martin, Hellenistic Religions: An Introduction, New York-Oxford 1987; R. Turcan, Les
cultes orientaux dans le monde romain, Paris 1989, 19922; G. Sfameni Gasparro, Le religioni
del mondo ellenistico, in G. Filoramo (cur.), Storia delle religioni, I, Le religioni antiche,
Laterza, Bari 1994, pp. 409-452).
20 Tra i titoli più recenti di una bibliografia assai ricca si segnalano, dopo l'importante
contributo di F. Dunand, Le culte d'Isis dans le Bassin oriental de la Méditerranée, voll. I-III

9
tipico carattere insieme cosmopolitico ed individualistico, trovano accoglienza innanzitutto in
Grecia e nelle varie regioni del Mediterraneo orientale, in un movimento che gradualmente si
espande verso Occidente, con modalità e intensità diverse secondo le situazioni locali e le
condizioni storico-culturali. Esso trova nel periodo imperiale romano il terreno più adatto alla
sua piena manifestazione, con una moltiplicazione delle figure divine e dei relativi culti, di
origine prevalentemente ma non esclusivamente orientale, che sono attratte in un movimento
di diffusione in Oriente e in Occidente.
Nella seconda alternativa si assiste piuttosto ad un'assunzione di nomi divini greci e
più tardi anche romani da parte di divinità locali sia nelle regioni orientali che in quelle
occidentali. Questo fenomeno, che per l'Oriente ellenizzato è ben evidente fin dalla prima età
ellenistica ma che si intensifica sotto l'Impero, lascia peraltro solitamente trasparire -al di
sotto della nuova identità greca o romana- l'originaria facies locale delle personalità divine in
questione e soprattutto dei rispettivi culti, più refrattari a una completa assimilazione.
Nell'uno e nell'altro caso si può utilizzare la categoria classificatoria di «globalizzazione» in
un senso molto lato e analogico, nella misura in cui da una parte la possibilità di adesione ad
un culto straniero, pur affidata alla libera scelta dell'individuo, per un verso permette ad esso
di entrare in un circuito vasto di relazioni culturali e religiose, a suo modo «ecumenico» (nel
senso storicamente condizionato del termine in rapporto appunto all'oikoumene mediterranea
antica), e per l'altra si situa in una sorta di progetto generale, in quanto il culto in questione si
lega più o meno strettamente al centro del potere che lo protegge, talora ne promuove
l'espansione o comunque a vario titolo risulta ad esso legato. Pertanto l'adesione di individui e
comunità cittadine a tale culto si configura come segno di lealismo nei confronti dello stesso
potere da una parte e dall'altra si inserisce in un ampio circuito internazionale e contribuisce a
rafforzare il sistema socio-culturale generale. In tal senso si può ricordare il culto della Mater
Magna Idaea, la dea frigia Cibele ufficialmente condotta a Roma nel 204 a.C. in seguito alla
grave crisi della seconda guerra punica, come protettrice dei destini di Roma in quanto legata
al troiano Enea, mitico fondatore dell'Urbe21. Nel periodo imperiale si constata di fatto

(EPRO 26), Leiden 1973, L. Bricault (ed.), De Memphis à Rome. Actes du I er Colloque
international sur les études isiaques, Poitiens- Futuroscope, 8-10 avril 1999, Leiden 2000;
Id., Atlas de la diffusion des cultes isiaques (IVe s. av. J.-C.- IVe s. apr. J.-C.), Paris 2001;
Id. (ed.), Isis en Occident. Actes du IIème Colloque international sur les études isiaques, Lyon
III 16-17 mai 2002, Leiden-Boston 2004 ; N. Bonacasa-A.M. Donadoni Roveri-S. Aiosa-P.
Minà (a cura di), Faraoni come dei, Tolemei come Faraoni, Atti del V Congresso
Internazionale Italo-Egiziano Torino, Archivio di Stato- 8-12 dicembre 2001,
Torino-Palermo 2003.
21 Cfr. H. Graillot, Le culte de Cybèle Mère des dieux à Rome et dans l'Empire
romain, Paris 1912; M.J. Vermaseren, Cybele and Attis. The Myth and the Cult , London
1977; Id., Corpus Cultus Cybelae Attidisque (CCCA) (EPRO 50), I-VII, Leiden

10
l'ampia adesione a tale culto da parte delle varie comunità cittadine, soprattutto in Italia e
nelle Provincie occidentali, come espressione di fedeltà allo stato romano e all'Imperatore, per
la cui salus era celebrato il sacrificio del taurobolio22.
Diversa è la situazione che, configurata già a partire dal più antico moto di
colonizzazione greca sulla costa anatolica e in Occidente, assume un'accellerazione sempre
più forte a partire dall'età ellenistica coinvolgendo più tardi anche Roma, la quale implica
non soltanto il radicamento in aree più o meno ampie orientali ed occidentali di culti greci e
poi romani, ma anche l'assunzione da parte di divinità locali dei nomi delle analoghe divinità
greche e romane. E' difficile percepire la parte che in questo processo, di cui inoltre bisogna
considerare le differenze nelle modalità, in relazione ai tempi e alle situazioni storiche, hanno
avuto da una parte la volontà delle popolazioni locali di adeguarsi a dei modelli percepiti
come culturalmente più forti e prestigiosi, anche perchè pertinenti alla tradizione religiosa dei
detentori del potere (siano essi i sovrani ellenistici e, a più forte ragione, gli Imperatori di
Roma), e la parte di imposizione, più o meno programmatica ed esplicita, di questi ultimi nel
promuovere una sorta di omogeneizzazione religiosa delle popolazioni soggette, nel quadro
«globalizzante» della propria sfera di dominio.
Un esempio fra tutti può valere ad illustrare questa complessa situazione, mostrando la
trama densa di fattori convergenti nella configurazione del fatto religioso e l'impossibilità di
appellare a motivazioni univoche atte alla sua interpretazione. Mi riferisco a due fenomeni in
origine distinti, che tuttavia in un preciso momento storico si saldano strettamente e
realizzano una situazione tale che ad essa, a preferenza forse di tutte le altre che
caratterizzano il frastagliato panorama religioso del mondo ellenistico-romano, può convenire
l'attribuzione, congiunta e non alternativa, delle categorie classificatorie di «globalizzazione»
e di «localizzazione». Il primo di tali fenomeni è quello che vede lo Zeus greco e lo Iuppiter
romano proporsi alla venerazione delle popolazioni dell'Oriente ellenizzato e dell'Occidente
latinizzato nella duplice forma della sua identità originaria e dell'assimilazione, più o meno
completa, ad analoghe figure locali. Senza poter entrare nei dettagli di un panorama religioso

1977-1989; Ph. Borgeaud, La Mère des dieux. De Cybèle à la Vierge Marie, Paris 1996; E.N.
Lane (ed.), Cybele, Attis and related cults. Essays in memory of M.J. Vermaseren, (Religions
in the Graeco-Roman World 131), Leiden-New York-Köln 1996; L. E. Roller, In Search of
God the Mother. The Cult of Anatolian Cybele, Berkeley–Los Angeles–London 1999; G.
Sfameni Gasparro, Soteriology and Mystic Aspects in the Cult of Cybele and Attis (EPRO
103), Leiden 1985; EAD., Misteri e teologie. Per la storia dei culti mistici e misterici nel
mondo antico , Hierà. Collana di studi storico-religiosi 5, Cosenza 2003, pp. 249-372.
22 R. Duthoy, The Taurobolium. Its Evolution and Terminology (EPRO 10), Leiden 1969;
Ph. Borgeaud, Taurobolion, in F. Graf (ed.), Ansichten griechischer Rituale. Geburtstags
-Symposium für Walter Burkert Castelen bei Basel 15. bis 18. März 1996, Stuttgart -Leipzig
1998, pp. 183-198.

11
estremamente denso, basti ricordare gli innumerevoli Zeus anatolici23, che negli attributi
rispettivi riflessi negli epiteti cultuali e nella iconografia rivelano netta l'identità etnica, e
quelli siriaci e commagenici quali il Baal di Heliopolis-Baalbek24 o quello di Doliche che
contestualmente assumono il nome del dio nazionale di Roma e si propongono, quali (Zeus/)
Juppiter Heliopolitanus25 e (Zeus/) Juppiter Dolichenus26, all'attenzione dei fedeli nell'intero
bacino mediterraneo, essendo attratti in quell'ampio movimento espansivo che, nella
terminologia cumontiana, si suole definire di diffusione dei «culti orientali» in Occidente. Né

23 I. Schaefer, De Iove apud Cares culto, Halis Saxonum 1911, Diss. Phil. Halle XIX, 4,
pp. 345-477; U. Laffi, I terreni del tempio di Zeus ad Aizanoi, in Athenaeum n.s. 71 (1971),
pp. 3-53; Th. Drew-Bear, Local Cults in Graeco-Roman Phrygie, in GreekRom.Byz.St. 17
(1976), pp. 247-268; S. Sahin, Zeus Bennios, in Sahin A.- Schwertheim E.- Wagner J.
(edd.), Studien zur Religion und Kultur Kleinasiens. Festschrift für Friedrich Karl Dörner
zum 65. Geburtstag am 28. Februar 1976, EPRO 66, Leiden 1978, vol. II, pp. 771-790; L.
Robert, Documents d'Asie Mineure. XVIII. Fleuves et cultes d'Aizanoi, in Bull.Corr.Hell.
105 (1981), pp. 331-360; Id., Documents d'Asie Mineure XXIII- XXVIII, in Bull.Corr.Hell.
107 (1983), pp. 497- 599; L. Boffo, I re ellenistici e i centri religiosi dell'Asia Minore,
Firenze 1985; B. Virgilio, I Katochoi del tempio di Zeus a Baitokaike, in Id. (cur.), Studi
Ellenistici II, Pisa 1987, pp. 193-198; Th. Drew-Bear-Chr. Naour, Divinité de Phrygie, in
H. Temporini- W. Haase (edd.), Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt (ANRW)
II, 18, 3, Berlin -New York 1990, pp. 1907-2144; C. Breytenbach, Zeus und der lebendige
Gott: Anmerkungen zu Apostelgeschichte 14.11-17, in NTS 39 (1993), pp. 396-413; S.
Mitchell, Anatolia, vol. I The Celts and the Impact of Roman Rule; vol. II, The Rise of the
Church, Oxford 1993 (passim); N.P. Milner- M.F. Smith, New Votive Reliefs from
Oinoanda, in AS 44 (1994), pp. 65-76; H. Schwabl, Zum Kult des Zeus in Kleinasien (II). Der
phrygische Zeus Bennios und Werwandtes, in ActAntHung 39 (1999), pp. 345-354; P.
Debord, Sur quelques Zeus cariens: religion et politique, in B. Virgilio (ed.), Studi ellenistici
XIII, Pisa -Roma 2001, pp. 19-37. Larga parte al culto di Zeus in Anatolia è fatta nell'opera
classica di A.B. Cook, Zeus. A Study in Ancient Religion, voll. I-III, Cambridge 1914-1940;
rist. New York 1964-1965.
24 Y. Hajjar, Baalbek, grand centre religieux sous l'Empire suivi d'un appendice:
Supplément II au corpus des documents iconographiques et épigraphiques héliopolitains, in
ANRW II, 18, 4, Berlin- New York 1990, pp. 2458-2508.
25 H. Seyring, La triade Hélipolitaine et le temple de Baalbek, in Syria 13 (1932), pp.
314-356; R. Dussaud, Temples et cultes de la triade Héliopolitaine à Ba'albeck, in Syria 23
(1942-1943), pp. 33-77; Y. Hajjar, La Triade d'Héliopolis-Baalbek. Son culte et sa diffusion à
travers les textes litéraires et les documents iconographiques et épigraphiques, T. I-II, EPRO
59, Leiden 1977.
26 A.H. Kan, Iuppiter Dolichenus. Sammlung der Inschriften und Bildwerke, Leiden 1943; P.
Merlat, Répertoire des inscriptions et monuments figurés du culte de Jupiter Dolichenus,
Paris - Rennes 1951; Id., Jupiter Dolichenus. Essai d’interprétation et de synthèse, Paris
1960; M.P. Speidel,The Religion of Iuppiter Dolichenus in Roman Army, EPRO 63, Leiden
1978; Id., Jupiter Dolichenus. Der Himmelsgott auf dem Stier, Stuttgart 1980; M. Hörig,
Iuppiter Dolichenus, in ANRW II, 17, 4, Berlin-New York 1984, pp. 2136-2179; M. Hörig-
E. Schwertheim, Corpus cultus Iovis Dolicheni (CCID), EPRO 106, Leiden 1987; U. Bianchi,
G.M. Bellelli (edd.), Orientalia sacra Urbis Romae. Dolichena et Heliopolitana, Roma 1997.

12
si trascurerà il fenomeno singolare della diffusa presenza del culto di un dio «Altissimo»
(Hypsistos), spesso appellativo dello stesso Zeus, in cui di volta in volta traluce un'identità
greca ovvero quella di una somma divinità locale o ancora quella dell'ebraico Iahwé. In taluni
contesti, infine, pare ipotizzabile anche una convergenza di tutte le possibilità enunciate
nell'unica figura del dio «Altissimo»27.
Con la vicenda straordinaria di Giulio Cesare, che pone le basi della confluenza in
un'unica figura carismatica di un enorme potere politico-religioso quale è quello ormai
rappresentato da Roma, e la sanzione definitiva di questo processo nella persona di Ottaviano
Augusto, con la creazione dell'Impero a forte carica centripeta, si opera in maniera graduale
ma inarrestabile una forte saldatura tra la figura del sommo fra gli dèi del quadro religioso
romano (ormai sostanzialmente convergente, per il noto processo di ellenizzazione della
cultura romana medesima, con il sovrano olimpico) e il detentore umano di un potere ora
percepito come universale. Tale fenomeno ha naturalmente radici lontane e una storia lunga
di secoli, sia nella tradizione romana in cui si percepisce netta fin dall'età regia e in tutto il
corso della Repubblica una connessione funzionale tra i detentori del potere e Iuppiter28, in
particolare nella sua identità di capo della Triade Capitolina29, sia nella tradizione greca.
Questa fin da Omero pone i basileis sotto l'egida di Zeus e, a partire dall'età ellenistica,
elabora in maniera sistematica una teoria della regalità che -già prefigurata da posizioni
platoniche e aristoteliche- indica in Zeus il modello divino del sovrano, facendo in pari
tempo di quest'ultimo l'«eletto» della divinità per l'esercizio di un potere che, fondato sul
possesso delle virtù, permette ai sudditi di vivere felicemente in abbondanza di beni. E'
superfluo ricordare l'uso di tale «teologia politica» da parte di Alessandro, che appella
addirittura ad una discendenza dal sovrano olimpico, e dei sovrani ellenistici, che volentieri
assumono l'appellativo di Zeus. E' così chiamato in causa un ulteriore ma correlato fenomeno,

27 C. Roberts- T.C. Skeat- A.D. Nock, The Gild of Zeus Hypsistos, in Harv.Theol.Rev. 29
(1936), pp. 39-88; rist. in A.D. Nock, Essays on Religion and the Ancient World, ed. Z.
Stewart, vol. I, Oxford 1972, pp. 414-443; A.T. Kraabel, {Uyisto" and the Synagogue of
Sardis, in Greek Rom.Byz.St. 10 (1969), pp. 81-93; M. Simon, Theos Hypsistos, in Ex Orbe
religionum. Studia Widengren, vol. I, Leiden 1972, pp. 372-385; rist. in Id., Le
christianisme antique et son contexte religieux. Scripta varia, Tübingen 1981, vol. II, pp.
495-508; P. R. Trebilco, Jewish Communities in Asia Minor, Cambridge 1991, pp. 127-144;
St. Mitchell, The Cult of Theos Hypsistos between Pagans, Jews, and Christians, in P.
Athanassiadi- M. Frede (eds.), Pagan Monotheism in Late Antiquity, Oxford 1999, pp. 81-48;
M. Stein, Die Verehrung des Theos Hypsistos: ein allumfassender pagan-jüdischer
Synkretismus?, in Epigraphica Anatolica 33 (2001), pp. 119-125.
28 J.R. Fears, Princeps a Diis electus. The divine election of the Emperor as a Political
concept at Rome, Roma 1977; ID., The Cult of Jupiter and Roman Imperial Ideology, in
ANRW II, 17,1, New York-Berlin 1981, pp. 3-141.
29 U. Bianchi, Disegno storico del culto capitolino nell'Italia romana e nelle provincie
dell'Impero, in Mon.Ant.Linc. S. VIII, 2, 7 (1950), pp. 349-415.

13
quello che si suole definire del «culto del sovrano» 30 che diventerà -con l'affermarsi
dell'Impero romano- «culto imperiale»31. Senza entrare nel merito delle origini e modalità di
tale «culto imperiale» che non è certo un fatto monolitico ma al contrario conosce una varietà
assai ampia di espressioni nel tempo e nello spazio, noteremo soltanto come dato utile ai
nostri fini che quest'ultimo raccoglie e unifica in certo modo le fila diverse della trama sopra
brevemente evocata. Infatti esso trova una delle sue più specifiche espressioni nella solida

30 Sulla questione delle modalità del culto dei sovrani in età ellenistica e della continuità, in
particolare in Egitto, con il culto imperiale, si veda W. Otto, Ptolemaica I, Zum staatlichen
Ptolemäerkult , Sitz.bayer. Akad. Wiss. 1939, Heft 3, München 1939, pp. 5-16; J. L.
Tondriau, Esquisse de l'histoire des cultes royaux ptolémaïques, in Rev.Hist.Rel. 137 (1950),
pp. 207- 235; F. Dunand, Culte royal et culte impérial en Égypte. Continuités et ruptures, in
Das römische-byzantinische Ägyptischen, Akten des internationalen Symposions, 26-30
Septembre 1978 in Trier, Main a.Rhein 1983 (Aegyptiaca Treverensia 2), pp. 48-50; F.W.
Walbank, Könige als Götter. Überlegungen zum Herrscherkult von Alexander bis Augustus ,
in Chiron 17 (1987), pp. 366-382; J.-C. Grenier, L'Empereur et le Pharaon, in ANRW II,
18, 5, Berlin-New York 1995, pp. 3181-3194; H. Heiner, Vorstufen und Anfänge des
Herrscherkultes im römischen Ågypten, in ANRW II, 18, 5, Berlin-New York 1995, pp.
3145-3180; E.G. Huzar, Emperor Worship in Julio-Claudian Egypt, in ANRW II, 18, 5,
1995, pp. 3114-24; P. Van Nuffelen, Le culte des souverains hellénistiques, le gui de la
religion grecque, in AncSoc 29 (1998-1999), pp. 175-189; B. Virgilio, Lancia, diadema e
porpora. Il re e la regalità ellenistica, Pisa-Roma 1999.
31 Tra una bibliografia notoriamente assai ampia (si veda, ad esempio, la rassegna
bibliografica fino all' anno 1975, di P. Herz, Bibliographie zum römischen Kaiserkult
(1955-1975), in ANRW II, 16, 2, Berlin-New York 1978, pp. 834-910), oltre le monografie
fondamentali di L. Ross Taylor, The Divinity of Roman Emperors, American Philological
Association, Middleton 1931; L. Cerfaux-Tondriau, Un concurrent du Christianisme. Le culte
des souverains dans la civilisation gréco-romaine, Paris-Tournai 1957; F. Taeger,
Charisma. Studien zur Geschichte des antiken Herrscherkult, I, Stuttgart 1957, si segnalano
solo alcuni nuovi contributi. Cfr. R. Turcan, Le culte impérial au IIIe siècle, in ANRW II, 16,
2, Berlin-New York 1978, pp. 996-1084; AA.VV., Le culte des souverains dans l'Empire
romain, Entretiens sur l'Antiquité classique publiés par O. Riverdin, T. XIX,
Vandoeuvre-Genève 28 août- 2 september 1972, Genève 1979; S.R.F. Price, Rituals and
Power: The Roman Imperial Cult in Asia Minor, Cambridge 1984; D. Fishwick,The Imperial
Cult in the Latin West: Studies in the Ruler Cult of the Western Provinces of the Roman
Empire, vol. I, 1-I, 2, Leiden 1987-1992, Leiden- New York- Köln 19932; III: Provincial
Cult, Part 1. Institution and Evolution; Part 2. The provincial Priesthood (RGRW 145-146),
Leiden- Boston- Köln 2002; U.-M. Liertz, Kult und Kaiser. Studien zu Kaiserkult und
Kaiserverehrung in den Germanischen Provinzen und in Gallia Belgica zur r ömischen
Kaiserzeit, Acta Instituti Romani Finlandiae, vol. XX, Rom 1998; A.M. Small (ed.), Subject
and Ruler. The Cult of the Ruling Power in Classical Antiquity. Papers presented at a
Conference held in the University of Alberta in April 13-15, 1994, to celebrate the 65th
Anniversary of Duncan Fishwick, JRA Supplement 17, Ann Arbor 1996; I. Gradel,
Emperor Worship and Roman Religion, Oxford 2002.

14
connessione dell'Imperatore con la figura di Juppiter-Zeus32. Per questa via, per un verso si
rivela capace di assumere la forte valenza omogeneizzante del fenomeno della diffusione del
culto del sovrano degli dèi, nella sua facies greca e romana e nella sua capacità di
assimilazione degli innumerevoli culti locali, dei quali lascia persistere in varia misura il
radicamento locale e quindi la capacità di esprimere le singole identità etniche, in Occidente
come in Oriente33.

32 Una rassegna ancora utili delle fonti relative alle assimilazioni o associazioni fra Zeus/
Iuppiter e gli Imperatori in P. Riewald, De Imperatorum romanorum cum certis diis et
comparatione et aequatione, Halis Saxonum 1911, Diss. Phil. Halle XIX, 3, pp. 265-344. In
particolare, sul clima religioso nell'età di Adriano e la sua politica religiosa, a forte carica
ellenica, in cui la figura del sovrano degli dèi olimpici occupa il ruolo centrale, cfr. W. Den
Boer, Religion and Literature in Hadrians' Policy, in Mnemosyne n.s. 8 (1955), pp.
123-144; F. R. Walton, Religious Thought in the Age of Hadrian, in Numen 4 (1957), pp.
165-170; A.E. Benjamins, The Altars of Hadrian in Athens and Hadrianus' Panhellenic
Programm, in Hesperia 32 (1963), pp. 57-86; W. Metcalf, Hadrian, Jovis Olimpius, in
Mnemosyne S. 4, 27 (1974), pp. 59-66; A.J. Spawforth - S. Walker, The World of the
Panhellenion, in Jour.Rom.St. 75 (1985), pp. 78-104; 76 (1986), pp. 88-105; C.P. Jones, The
Panhellenion, in Chiron 26 (1996), pp. 29-56; ID., C.P. Jones, A Decree of Thyatira in Lydia,
in Chiron 29 (1999), pp. 1-21; S. Follet- D. Pappas-Delmouson, Le décret de Thyatira sur les
bienfaits d'Hadrien et le “Panthéon” d'Hadrien à Athènes, in Bull.Corr.Hell. 121 (1997), pp.
291-309; A.J. Spawforth, The Panhellenic Again, in Chiron 29 (1999), pp. 339-352; A.
Karivieri, Just One of the Boys. Hadrian in the Company of Zeus, Dionysus and Theseus, in
E.N. Ostenfeld, Greek Romans and Roman Greeks. Studies in Cultural Interaction, Aahrus
2002, 2002, pp. 40-54.
33 Sulle forme di «resistenza» al processo di ellenizzazione e di romanizzazione da parte
delle diverse compagini etniche si vedano le osservazioni di S. K. Eddy, The King is
Dead: Studies in the Near Eastern Resistance to Hellenism, 334-31 B.C., Lincoln 1961; P.A.
Février, Religion et domination dans l'Afrique romaine, in Dialogues d'Histoire ancienne 2
(1976), pp. 305- 336; F. Millar, Local Cultures in the Roman Empire. Libyan, Punic and
Latin in Roman Africa, in Jour.Rom.St. 58 (1968), pp. 126-134; ID., Empire, Community and
Culture in the Roman Near East: Greek, Syrian, Jews and Arabs, in Journ.Jew.St. 28 (1987),
pp. 143-164; ID., The Roman Near East 31 BC-AD 337, Cambridge-London 1993; E.L.
Bowie, Greeks and their Past in the Second Sophistic, in Past and Present 46 (1970), pp.
3-41; rist. in M.I. Finley (ed.), Studien in Ancient Society, London 1974, pp. 166-209; D.
Frankfurter, Religion in Roman Egypt. Assimilation and Resistance, Princeton 1998. Tra le
varie indagini sulle peculiarità locali nel quadro del mondo mediterraneo dall'ellenismo alla
tarda antichità si segnalano F.R. Trombley, Paganism in the Greek World of the End of
Antiquity. The Case of Rural Anatolia and Greece, in Harv.Theol.Rev. 78 (1985), pp.
327-352; P. Bilde- T. Engberg-Pedersen - L. Hannestaad- J. Zahle (edd.), Ethnicity in
Hellenistic Egypt, Aahrus 1992; G. Woolf, Becoming Roman, staying Greek: Culture,
Identity and the Civilising Process in the Roman East, in Proc.Cambr.Philol.Soc. 40 (1994),
pp. 116-143; P. Desideri, Questioni d'identità greca nell'Impero romano, in Mediterraneo
Antico 1, 1 (1998), pp. 15-22; H.J.W. Drijvers, Syriac Culture in Late Antiquity Hellenism
and Local Traditions, in Mediterraneo Antico 1, 1 (1998), pp. 95-113; D. Frankfurter, Native
Egyptian Religion in its Roman Guise (Rewiew Article), in Numen 45 (1998), pp. 303-315;

15
Per l'altro verso esso si pone in continuità con la tradizione più autenticamente romana e
insieme con quella greca, nella forma matura dei regni ellenistici, relativa alla sanzione
religiosa del potere34. In pari tempo recepisce ed amplifica in una dimensione mai prima
conosciuta tutta quella «teologia» della regalità che aveva trovato voce in una lunga
tradizione filosofica greca35. In questa convergono molteplici elementi, platonici, aristotelici,
cinici36 e pitagorici37 ma sembra prevalere la cifra stoica, ossia il contributo di quella
filosofia che più di ogni altra ha espresso e in pari tempo alimentato le tendenze
individualistiche e cosmopolitiche del primo e del secondo ellenismo. Non è possibile

L. Dirven, The Palmyrenes of Dura -Europos. A Study of Religious Interaction in Roman


Syria, Leiden-Boston-Köln 1999; S. Mitchell, Ethnicity, Acculturation and Empire in
Roman and Late Roman Asia Minor, in S. Mitchell- G. Greatrex (edd.), Ethnicity and Culture
in Late Antiquity, London 2000, pp. 117-150; G.W. Bowersock, Recapturing the Past in late
Antiquity, in Mediterraneo Antico 4, 1 (2001), pp. 1- 15. In particolare sulla specificità della
facies religiosa greca cfr. G. Anderson, Greek Religion in the Roman Empire: Diversities,
Convergences, Uncertainties, in D. Cohn-Sherbok-J.M. Court (edd.), Religious Diversity in
the Graeco-Roman World. A Survey of recent Scholarship, Sheffield 2001, pp. 143-163 e P.
Scarpi, Polythéisme et «globalisation». L'anomalie de la religion grecque antique face au
monde contemporain, in Atala 6 (2003), pp. 89-100, che discute il problema della
applicabilità della nozione di «globalizzazione» a un contesto politeismo come quello greco.
Sul tema della persistenza o della rivendicazione dell'identità greca nel quadro socio-culturale
dell'Impero cfr. P. Veyne, L'identité grecque devant Rome et l'empereur, in Rev.Et.Gr. 112
(1999), pp. 463-484.
34 Cfr. R. Turcan, Culto imperiale e sacralizzazione del potere nell'Impero romano, in
AA.VV., Le civiltà del mediterraneo e il sacro. Trattato di antropologia del sacro diretto da
J. Ries, vol. III, Milano 1992, pp. 309-337; L.H. Martin, Kingship and the Consolidation of
Religio-Political Power during the Hellenistic Period, in Religio. Revue pro religionistiku 8.2
(2000), pp. 151-160; versione riveduta in L. Martin and P. Pachis (edd.), Theoretical
Frameworks for the Study of Graeco-Roman Religions, Thessaloniki: University Studio
Press, 2003, pp. 89-96.
35 E.R. Goodenough, The Political Philosophy of Hellenistic Kingship, in Yal.Cl.St. 1
(1928), pp. 55-102; V. Tcherikover, The Ideology of the Letter of Aristeas, in
Harv.Theol.Rev. 51 (1958), pp. 59-85; Murray, Aristeas and the Ptolemaic Kingship, in
Jour.Theol.St. n.s. 18 (1967), pp. 337-371; ID., Peri; basileiva". Studies in the Justification
of Monarchic Power in the hellenistic World, Diss. Oxford 1970; E.A. Samuel, The
Ptolomies and the Ideology of Kingship, in P. Green, Hellenistic History and Culture,
Berkeley-Los Angeles-London 1993, pp. 168-192.
36 R. Höistad, Cynic Hero and Cynic King. Studies in the Cynic Conception of Man,
Uppsala 1948.
37 Cfr. L. Delatte, Les Traités de la Royauté d'Ecphante, Diotegène et Sthénidas ,
Liège-Paris 1942; L. Bertelli, Perì Basileias: i trattati sulla regalità dal IV secolo a.C. agli
apocrifi pitagorici, in P. Bettiolo- G. Filoramo (cur.), Il dio mortale. teologie politiche tra
antico e contemporaneo, Brescia 2002, pp. 17-61.

16
evocare in questa sede le numerose voci, di filosofi come Seneca38 ed Epitteto39 e di
retori come (lo ps.? ) Elio Aristide40, Dione di Prusa41 e Plinio il Giovane42, fino ai tardi
Panegiristi latini degli Imperatori già cristiani43, che modulano con varietà di toni quella
«teologia» che risulta essere patrimonio non solo delle classi dominanti, per potere politico
e cultura 44 . Proprio in quanto mediata attraverso la parola di quegli esperti della
comunicazione che erano i retori e i sofisti, essa infatti raggiungeva direttamente tutti gli strati

38 Cfr. J.R. Fears, Nero as the Viceregent of the Gods in Seneca's de Clementia, in Hermes
103 (1975), pp. 486-496.
39 Cfr. C.G. Starr, Epictetus and the Tyrant, in Class.Philol. 44 (1949), pp. 20-29.
40 Sul problema dell'attribuzione del trattato Sulla regalità si vedano C.P. Jones, Aelius
Aristides Eij" basileva, in Jour.Rom.St. 62 (1972), pp. 134-152 e D. Librale, L'Eij" basileva
dello pseudo-Aristide e l'ideologia traianea, in ANRW II, 34, 2, 1994, pp. 1271-1313.
41 Per la teoria politica dell'Autore si vedano i contributi V. Valdenberg, La théorie
monarchique de Dion Chrysostome, in Rev.Et.Gr. 40 (1927), pp. 142-162; D. Konstant,
Friendship and Monarchy. Dio of Prusa's Third Oration on Kingship, in Symb.Osl. 72
(1997), pp. 124-143 e la ricca monografia di P. Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale
greco nell'Impero romano, Messina-Firenze 1978.
42 Il Panegirico di Traiano, pronunciato il 1 settembre del 100 d.C., esprime la sostanza
della concezione pliniana del potere imperiale, come frutto di un'investitura divina
accompagnata dalla somma di virtù morali del sovrano. Questa nozione, che percorre l'intero
discorso, è esemplificata efficacemente nelle battute iniziali: «Quale più prezioso o più bel
dono degli dèi di un Imperatore virtuoso, inattaccabile e per tutto simile agli dèi?» (Quod
enim praestabilius est aut pulchrius munus deorum quam castus et sanctus et dis simillimus
princeps?): Plinio il Giovane. Carteggio con Traiano (libro X). Panegirico a Traiano,
Commento di L. Lenaz, traduzione di L. Rusca e di E. Faelli, vol. II, Milano 1994, 20003, pp.
922 s. Cfr. P. Fedeli, Il «Panegirico» di Plinio nella critica moderna, in ANRW II, 33, 1,
1989, pp. 387-514.
43 L.K. Born, The Perfect Prince according to the Latin Panegyrist, in Amer.Journ. of Phil.
55 (1934), pp. 20-35; F. Burdeau, L'empereur d'après les Panégyriques Latins, in F. Burdeau-
N. Charbonnel- M. Humbert, Aspects de l'Empire romain, Paris 1964, pp. 1-33; J. Béranger,
L'expression de la divinité dans les Panégyriques Latins, in Mus.Helv. 27 (1970), pp.
242-254; rist. in Id., Principatus. Études de notion et d'histoire politique dans l'antiquité
gréco-romaine, Genève 1975, pp. 429-444.
44 Tra i numerosi interventi sul tema si segnalano soltanto R. Paribeni, Optimus Princeps,
Messina 1926-1927; M. A. Giua, Clemenza del sovrano e monarchia illuminata in Cassio
Dione 55, 14-22, in Athenaeum N.S. 59 (1981), pp. 317-337; G.W. Bowersock, Greek
Intellectual and the Imperial Cult in the Second century A.D., in AA. VV. 1979, pp. 177-206;
207-212; ID., The imperial Cult: perception and persistence, in B.F.. Meyer-E.P. Sanders
(edd.), Jewish and Christian Self-Definition, vol. III, Self-Definition in Graeco-Roman World,
London 1982, pp. 171-182, 238-241; rist. in ID., Selected Papers on late Antiquity Bari
2000, pp. 43-56; D. P. Orsi, La rappresentazione del sovrano nella Vita di Artaserse
plutarchea, in Ancient Society 19 (1988), pp. 135-160; M.J. Hidalgo de la Vega, La teoria
monarchica e il culto imperiale, in S. Settis (cur.), I Greci. Storia Cultura Arte Società, vol.
II, 3, Torino 1998, pp. 1015-1058.

17
sociali. La pratica del culto imperiale, nella varietà delle sue forme, il linguaggio iconografico
delle grandi opere monumentali che adornavano tutte le città dell'Impero e quello della
monetazione, efficace veicolo di diffusione dei messaggi del potere centrale e delle singole
comunità cittadine, nel presentare il rapporto privilegiato fra Iuppiter-Zeus e la persona
dell'Imperatore costituivano convergenti strumenti di proposizione ideologica. Tutti questi
fattori operavano pertanto una indubbia pressione finalizzata a creare una omogeneità
fondamentale in tutta l'oikoumene mediterranea attorno a quella persona e alla concezione
religiosa gravitante attorno ad essa. Un'espressione emblematica di tale situazione è offerta da
un decreto onorifico emesso dal koinòn dell'Asia nella città di Pergamo dopo la morte di
Ottaviano Augusto (19 agosto del 14 d.C.)45, in cui proprio questa circostanza permette di
riconoscere ufficialmente la qualità «divina» del personaggio ormai accolto in quella sfera
celeste dalla quale- secondo l'insegnamento di Scipione Africano al nipote Emiliano riferito
nel De republica di Cicerone (VI, 9, 9-26, 28) - i degni governanti provengono e alla quale
con la morte ritornano. La proclamazione delle prerogative eccezionali dell'Imperatore muove
da una dichiarazione di principio che evoca quella teologia della sovranità che fonda la
legittimità socio-politica e soprattutto religiosa di essa, collocandola in una dimensione di
universalismo insieme divino, cosmico e umano. L'istituzione di un culto in onore della dea
Roma 46 e di Augusto 47 è motivata nei seguenti termini: «Poiché la natura eterna e

45 I.B.M. 894; Arch. Zeit. 1859, p. 91 s. cit. in W. Buckler, Augustus, Zeus Patroos, in
Rev.Phil. 9 (1935), pp. 177-188, in particolare pp. 182-188.
46 R. Mellor, QEA RWMH. The Worship of the Goddess Roma in the Greek World,
Hypomnemata 42, Göttingen 1975; C. Fayer, Il culto della dea Roma. Origine e diffusione
nell'Impero, Pescara 1976; M. Le Glay, Le culte de Rome et de Salus à Pergame, ou
l'annonce du culte impérial, in Sahin A.- Schwertheim E.- Wagner J. (edd.), Studien zur
Religion und Kultur Kleinasiens. Festschrift für Friedrich Karl Dörner zum 65. Geburtstag
am 28. Februar 1976, EPRO 66, Leiden 1978, vol. II, pp. 546-564; H. Whittaker, Some
Reflections on the Temple to the Goddess Rome and Augustus on the Acropolis at Athens, in
E.N. Ostenfeld, op. cit., pp. 25-39.
47 Per il problema delle origini e circostanze storiche della divinizzazione di Ottaviano
Augusto e del culto a lui prestato si vedano, oltre M.M. Ward, The Association of August with
Iupiter, in SMSR 9 (1933), pp. 203-224, D. Norberg, La divinité d'Auguste dans la poésie
d'Horace, in Eranos 44 (1946), pp. 388-403, D. Pietrusinski, L'Apothéose d'Octavien Auguste
par le parallèle avec Jupiter dans la poesie d'Horace, in Eos 68 (1980), pp. 103-122 e J.M.
Santero, The “cultores Augusti” and the Private Worship of the Roman Emperor, in
Athenaeum N.S. 61(1983), pp. 111-125, tra gli studi più recenti, M. Hano, A l'origine du
culte impérial : les autels des Lares Augusti. Recherches sur les thèmes iconographiques et
leur signification, in ANRW II, XVI, 3, 1986, pp. 2333-2381; E. Bertrand-Ecavil, Présages
et propagande idéologique: à propos d'une liste concernant Octavien Auguste, MEFRA 106,
2 (1994), pp. 487-531; J. Whitehorne, The Divine Augustus as Qeo;" Kai'sar and Qeo;"
Sebastov", in Analecta Papyrologica 3 (1991), pp. 19-26; Id., Augustus as 'Theos' in
Contemporary Papyri, in Proceedings of the XIXth International Congress of Papyrology,

18
immortale dell'universo, oltre ad immensi benefici, concesse agli uomini la più grande delle
grazie dando vita a Cesare Augusto; poiché nella sua vita beata fra di noi, egli fu insieme
padre della sua propria patria, Roma divina, e Zeus Patrio e salvatore del genere umano tutto
intero»48. In queste linee, cui segue l'esaltazione dei benefici recati da Augusto all'intero
genere umano con la sua opera pacificatrice e protettrice, si colgono tutti i temi sopra
enunciati, espressi nell'immediatezza di una comunicazione che muove da una comunità
locale, in sintonia con un sistema di valori generalemente accettato, ed è diretta a tutti i suoi
membri e contestualmente all'intera umanità riconosciuta come solidale nei benefici ricevuti e
nell'omaggio dovuto al suo benefattore. L'identità di quest'ultimo e del suo potere si definisce
in connessione imprescindibile con un potere divino universale (hJ aijwvnio" kai; ajqavnato" tou;"
panto;" fuvsi") ma in pari tempo mantiene tutto il suo radicamento in una realtà nazionale dal
duplice volto. Augusto infatti è «padre della sua propria patria, Roma divina»,
riconoscendosi così la precisa localizzazione della sua individualità, ed è «Zeus Patroos»,
ossia lo Zeus la cui funzione peculiare era quella di fondare e proteggere l'identità ellenica,
nelle sue innumerevoli manifestazioni locali e nell'intera sua dimensione nazionale. La
convergenza nella persona dell'Imperatore di entrambe queste identità permette quindi
l'allargamento della prospettiva in dimensione globalizzante: egli è infatti swth;r tou' koinou'
tw'n ajnqrwvpwn gevnou".
Rimane ora solo un piccolo spazio per evocare una tematica di ampiezza e complessità
troppo grandi per presumere di affrontarla in maniera adeguata in questa sede. Scopo di
questo intervento, del resto, non è stato certo quello di esaurire una problematica di spessore
così denso quale è quella enunciata ma solo di proporre alcuni possibili percorsi al suo
interno, per verificare la legittimità metodologica delle categorie in esame. Mi riferisco
naturalmente alle altre due componenti costitutive del panorama religioso che muove
dall'Ellenismo per sboccare nell'antichità tardiva, ossia il giudaismo e il cristianesimo, e alla
possibilità di analizzare tali fenomeni religiosi, nella loro specifica dimensione storica
pertinente a tale arco cronologico e al relativo contesto geografico, alla luce di quelle
categorie. A mio parere tale analisi è legittima ed anzi necessaria ed urgente, data
l'importanza decisiva di tali fenomeni nel panorama religioso del mondo antico, in cui essi
risultano collegati a tutti gli altri in un complesso reticolo di influssi reciproci, conflitti e

Cairo 2-9 September 1989, II, Cairo 1992, pp. 421-434; D. Campanile, Ancora sul culto
imperiale in Asia, in Mediterraneo Antico 4, 2 (2001), pp. 473-488; C. Letta, Il culto pubblico
dei Lares Augusti e del Genius Augusti in una dedica metrica di Acerra, in
Riv.Cult.Class.Med. (2002), pp. 35-43.
48 Loc. cit. in Buckler, art. cit., p. 183 s.: ejpei; hJ aijwvnio" kai; ajqavnato" tou' panto;" fuvsi"
to; mevgiston ajgaqo;n pro;" uJperballouvsa" eujergesiva" ajnqrwvpoi" ejcarivsato Kaivsara
to;n Sebasto;n ejvnenkamevnh to;n tw'i kaq hJma'" eujdaivmoni bivwi patevra me;n th'" eJautou'
patrivdo" qea'" JRwvmh", Diva de; Patrw'on kai; swth'ra tou' koinou' tw'n ajnqrwvpwn gevnou...

19
convivenze, e considerato che il cristianesismo si pone come il principale anche se certo non
esclusivo fattore disgregante degli equilibri tradizionali di quel mondo modesimo. Senza dire
naturalmente della loro centralità nello scenario religioso attuale che affonda nel primo le
proprie radici.
Come strumenti utili per tale analisi credo che si possano indicare due aspetti, l'uno
comune ad entrambi i contesti l'altro parzialmente divergente. Da una parte si pone il dato
costitutivo di essi, ossia il monoteismo esclusivista, in quanto fattore potenzialmente
globalizzante, proponendosi come unica scelta religiosa che impone l'abbandono di tutti
quegli elementi che appartengono a diverse (ed eventualmente «localizzanti») forme di
credenza e di culto. Ciò peraltro non esclude che gli stessi fenomeni, giudaico e cristiano,
assumano a loro volta connotazioni differenti, anche notevoli, in rapporto a singoli ambienti e
situazioni storiche. Dall'altra parte un elemento importante di divergenza è rappresentato dalla
forte dimensione «nazionale» del monoteismo giudaico, in particolare nel periodo storico in
questione, in quanto espressione della fisionomia culturale e socio-politica oltre che religiosa
peculiare del popolo di Israele, legato da un patto di alleanza al suo Dio, detentore di una
rivelazione fortemente contessuta alla propria vicenda storica, posto nella necessità spesso
drammatica di proteggere la propria identità e addirittura la propria esistenza da aggressioni
esterne. Ciò peraltro non oscura del tutto il tendenziale carattere universalistico del fenomeno,
strutturalmente connesso al suo fondamento monoteistico, e variamente si coniuga, con
modalità e intensità diverse secondo i periodi e le situazioni, con una apertura verso
l'esterno49, ossia con il noto fenomeno del proselitismo50. In ogni caso, si può riconoscere al
giudaismo una funzione significativa nel mondo antico, nella sua stessa qualità di fenomeno
monoteistico in un panorama di culti politeistici, la cui presenza suscitava reazioni diverse, di

49 Forme di assimilazione più o meno ampia di elementi della cultura ellenica, come è
noto, sono attestate soprattutto a partire dall'età ellenistica. Cfr. M. Hengel, Juden, Griechen
und Barbaren. Aspekte der Hellenisierung des Judentums in vorchristlicher Zeit, Stuttgart
1976; trad. it. Brescia 1981; Id., in collaborazione con / in collaboration with Chr.Markschies,
Zum Problem der 'Hellenisierung' Judeas in I. Jahrhundert nach Christus, Tübingen 1989;
trad. ingl. The 'Hellenization' of Judaea in the First Century after Christ, London 1989; trad.
it. Brescia 1993.
50 Su questo problema, di proporzioni assai complesse, che chiama in causa anche il
controverso significato della designazione dei cosiddetti «timorati di Dio», basti ricordare
soltanto S.J.D. Cohen, Crossing the Boundaries and Becoming a Jew, in HTR 82 (1989), pp.
13-33; Trebilco , op. cit., pp. 145-156; M. Goodman, Mission and Conversion: Proselyting in
the Religious History of the Roman Empire, Oxford 1994; B. Wander, Gottesfürchtige und
Sympathisanten.Studien zum heidnischen Umfeld von Diasporasynagogen, Tübingen
1998, trad. it. Cinisello Balsamo 2002.

20
ripulsa ma anche di simpatia fino ad eventuali forme di adesione ideologica anche se non
pratica51.
Rimane comunque la notevole divergenza di questa posizione giudaica rispetto al
fenomeno cristiano che pure nasce da essa distinguendosi, in tempi e modi che l'indagine
storica è chiamata ad analizzare, proprio sul terreno della programmatica apertura a ciascun
uomo e a tutta l'umanità, fuori dalle barrriere dell'identità etnica, socio-culturale e
dell'appartenenza religiosa. A quest'ultima, che deve essere anzi previamente abbandonata per
aderire al nuovo messaggio, esso sostituisce una nuova forma di appartenenza e di identità,
che si vuole, almeno in linea di principio, esclusivamente religiosa. Tale atteggiamento, che
fin dalla missione paolina si propone come caratteristico e qualificante dell'euangelion legato
alla persona di Gesù di Nazareth, procura una sorta di «esplosione» delle categorie religiose
del proprio ambiente, scardinando gli equilibri tra localizzazione del fatto religioso, in tutta la
complessa gamma dei suoi significati (da quello geografico ed etnico a quelli socio-culturali e
politici), e tendenze più o meno decise nel senso di quella, sia pur parziale e condizionata
globalizzazione a cui erano disponibili -nelle forme brevemente illustrate- i contesti religiosi
tradizionali52. Per tale via il nuovo fenomeno si distacca anche sempre più decisamente dalla
matrice giudaica53.

51 Per la posizione del giudaismo nell'ambiente contemporaneo in età ellenistico-romana cfr.


M. Stern (ed.), Greek and latin Authors on Jews and Judaism, vol. I-III, Leiden
1974-1984; M. Hadas-Lebel, Le paganisme à travers les sources rabbiniques des IIe et IIIe
siècles. Contribution à l'étude du syncrétisme dans l'empire romain, in ANRW II, 19, 2,
1979, pp. 397-485; ID., M. Hadas-Lebel, L'évolution de l'image de Rome auprès des Juifs en
deux siècles de relations judéo-romaines - 164 à + 70, in ANRW II, 29, 2, Berlin- New York
1987, pp. 717-856; B. Wardy, Jewish _Religion in Pagan Literature during the Late Republic
and Early Empire, in ANRW II, 19, 1, 1979, pp. 592-644; J.J. Collins, Between Athens and
Jerusalem. Jewish Identity in the Hellenistic Diaspora , New York 1983; C.R. Holladay,
Jewish Responses to Hellenistic culture in Early Ptolemaic Egypt, in Bilde-
Engberg-Pedersen - Hannestaad- Zahle 1992, pp. 139-163; L.H. Feldman, Jew and Gentile in
the Ancient World. Attitudes and Interactions from Alexander to Justinian, Princeton 1993,
19964; D.R. Edwards, Religion and Power: Pagans, Jews, and Christians in the Greek East,
New York -Oxford 1996; J.M.G. Barclay, Jews in the Mediterranean Diaspora. From
Alexander to Trajan (323 BCE-117 CE), Edinburgh 1996, 19982; M.H. Williams, The Jews
among the Greek and Romans. A Diaspora Sourcebook, London 1998; L.V. Rutgers, The
Jews in Late Ancient Roma. Evidence of Cultural Interaction in the Roman Diaspora,
Leiden-Boston-Koln 2000; W. Liebeschuetz, The Influence of Judaism among Non-Jews in
the Imperial Period, in Jour.Jud.St. 52 (2000), pp. 235-252.
52 Osservazioni pertinenti sulla diversa qualità dell'«universalismo» cristiano rispetto alle
concezioni greco-romane in R. Turcan, Terminus et l'universalisme heterogene: idées
romaines et chrétiennes, in Popoli e spazio romano fra diritto e profezia, Atti del III
Seminario Internazionale di Studi storici "Da Roma alla terza Roma" 21-23 Aprile 1983,
Roma 1983, pp. 49-62; H. Chadwick, Christian and Roman Universalism in the Fourth

21
Non è possibile percorrere il cammino del cristianesimo nei primi secoli dell'Impero
fino a giungere a quella «svolta costantiniana» del 313 che doveva fare di esso prima una
religio licita e quindi la religione ufficiale dell'Impero54. Indagare e illustrare quali effetti di
globalizzazione tale evento ha avuto sul finire dell'antichità tardiva e quali forme di
radicamento locale e addirittura etnico il cristianesimo ha gradualmente assunto
nell'impiantarsi sulle varie realtà nazionali interne all'Impero ed esterne ad esso55, è compito
proprio, già ampiamente avviato, della ricerca storico-religiosa.

Century, in L.R. Wickham-C.P. Bammel-E.C.D. Hunter (edd.), Christian Faith and Greek
Philosophy in Late Antiquity, Essays in Tribute to George Christopher Stead in Celebrations
of his Eightieth Birthday 9th April 1993, Leiden-New York-Köln 1993, pp. 26-42.
53 Cfr. M. Simon, Verus Israel. Étude sur les relations entre Chrétiens et juifs dans
l'Empire Romain (135- 425), Paris 1948 ; R.Wallace- W.Wynne The Three Worlds of
Paul of Tarsus, London/New York 1998; Chr. Markschies, Between Two Worlds. Structure of
Earliest Christianity, London 1999; G. Filoramo- C. Gianotto (cur.), Verus Israel. Nuove
prospettive sul giudeocristianesimo. Atti del Colloquio di Torino (4-5 novembre 1999),
2001. Per il processo di progressiva diffusione del cristianesimo, dopo l'opera fondamentale
di A. von Harnack, Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei
Jahrhunderten Leipzig , voll. I-II, 19242; trad. it. Cosenza 1986, in ultimo si ricordano
soltanto P. Siniscalco, Il cammino di Cristo nell'Impero romano, Roma-Bari 1987 e F.R.
Trombley, Hellenic Religion and Christianization, c. 370-529, voll. I-II, Leiden- New York
1993-1994.
54 La rassegna bibliografica offerta da E.A. Judge ('Antike und Christentum': Towards a
Definition of the Field. A Bibliographical Survey in ANRW II, 23, 1 Berlin-New York
1979, pp. 3-58), dà la misura dell'ampiezza e varietà delle ricerche sul tema, continuate con
rinnovate strategie metodologiche negli ultimi decenni. Basti qui menzionare gli interventi di
P. Brown, The World of late Antiquity. From Marcus Aurelius to Muhammad, London
1971; New York 19892; London 1995; trad. it. Torino 19742; Id., The Making of Late
Antiquity, Cambridge Mass. 1978; trad. franc. Paris 1983; trad. it. Genesi della tarda
antichità, Torino 2001; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge Mass. 1981;
Id., T.D. Barnes, Early Christianity and the Roman Empire, London 1984; ID., Athanasius
and Constantius. Theology and Politics in the Constantinian Empire , Cambridge-London
1993; Id., From Eusebius to Augustine, Aldershot- Brookfield 1994; F.E. Consolino (cur.),
Pagani e cristiani da Giuliano l'Apostata al sacco di Roma, Atti del Convegno Internazionale
di Studi (Rende, 12/13 novembre 1993), Soveria Mannelli 1995; E. DePalma Digeser,
The Making of a Christian Empire: Lactantius and Rome, Ithaca-London 2000.
55 P. Brown, Christianity and Local Cultures in Late Roman Africa, in Journ.Rom.St. 58
(1968), pp. 85-95; F. Millar, Paul of Samosata, Zenobia and Aurelian: the Church, Local
Culture and Political Allegiance in Third-Century Syria, in Journ.Rom.St. 61 (1971), pp.
1-17; Id., Byzantium, Persia and Islam: the Origins of Imperialist Monotheism, in
Journ.Rom.Arch. 7 (1994), pp. 509-511; Id., Il ruolo delle lingue semitiche nel vicino oriente
tardo-romano (V-VI secolo), in Mediterraneo Antico 1, 1 (1998), pp. 71-94; R. MacMullen,
Conversion; A Historian's View, in SecCent 5 (1983), pp. 67-81; Id., Christianizing the
Roman Empire A.D. 100-400, New Haven-London 1984; trad. it. Roma-Bari 1989; Id.,
Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries, New Haven, NJ and London

22
1997; trad. fr. Paris 1998; R. L. Fox, Pagans and Christians, London 1986, trad. it. Roma-
Bari 1991; G. Bowersock, Hellenism in Late Antiquity, Cambridge 1990; trad. it. Roma-Bari
1992; Id., Polytheism and Monotheism in Arabia and the Three Palestines, in Dumb.Oaks
Pap. 51 (1997), pp. 1-10 rist. in Id., Selected Papers on late Antiquity Bari 2000, pp.
135-147; G. Fowden, Empire to Commonwealth. Consequences of Monotheism in Late
Antiquity, Princeton, NJ 1993; P. Brown, Authority and the Sacred: Aspects of the
Christianization of the Roman World, Cambridge 1995; trad. it. Roma 1995; P. Brown et
alii, SO Debate. The World of Late Antiquity revisited, in Symb.Osl. 72 (1997), pp. 5-90; S.
Calderone, La tarda antichità e l'Oriente, in Mediterraneo Antico 1, 1 (1998), pp. 41-70.

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