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Claudia M.

Echeverría Comprensione
claudia@dolcelingua.com.ar

Le bugie

Leggere i due testi e indicare se l’informazione si riferisce al testo A o al testo


B.
Testo A
Che le bugie “bianche” siano il toccasana di tante relazioni sentimentali e
della maggior parte dei rapporti di lavoro è un dato di fatto.
Ma la scienza non si accontenta di queste semplificazioni e il professor Robert
Feldman, docente di psicologia dell’Università del Massachusetts, ha raccolto
25 anni di ricerche accademiche sulla menzogna nel saggio appena
uscito Liar: the truth about lying (Virgin Paperbacks,
2010). Il libro spiega, riportando una serie di studi pratici sulla psiche
umana, che dire la verità non sempre fa bene a noi e a chi ci sta intorno e
che per questo il cervello è portato a mentire, per difendersi e sopravvivere.
Questo procedimento mentale è alla base della nostra evoluzione ed è un
mecanismo atavico, che appartiene anche agli animali e che l’uomo,
progredendo, ha fatto suo. Liberandolo però dagli automatismi che regolano
il comportamento di uccelli e insetti e condendolo di libero arbitrio, creatività,
malizia. In una parola, umanizzandolo. Nell’uomo la menzogna, come lo
stesso Anolli ha scritto nel libro Mentire (Il Mulino, 2003), è intenzionale,
nasce da una necessità di sopravvivenza, e il modo in cui mentiamo varia a
seconda della cultura ed è alla base della conformazione psicologica di
intere società. Secondo Anolli la menzogna è lo strumento più efficace e
rapido per raggiungere determinati obiettivi. Tutto sta a saperla
utilizzare.

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Testo B
Le bugie dei bambini sono segno di intelligenza. Lo rivela uno studio
canadese che ha indagato il comportamento di 1200 ragazzini. I più furbetti
iniziano a dire bugie già a due anni, uno su cinque tira fuori qualche frottola
all’occorrenza.
Sarà di magra consolazione per mamma e papà alle prese con le frottole dei
figli, ma le bugie dei bambini sono segno di intelligenza, indice del
fatto che lo sviluppo cognitivo dei piccoli sta andando a tutta birra. Più si è
piccoli alla prima bugia, più l’intelligenza cresce veloce. Lo rivela uno studio
condotto presso la Toronto University da Kang Lee e riportato online dalla
BBC.
Per dire bugie e farle galoppare senza inciampi nella verità bisogna utilizzare
processi cognitivi complessi, spiega Lee, quindi i piccoli bugiardi
sono intelligentoni che crescono. L’indagine ha coinvolto 1200 bimbi e
ragazzini dai 2 ai 17 anni.
I più furbetti iniziano a dire bugie già a due anni, circa uno su cinque a
questa età tira fuori qualche frottola all’occorrenza. Ma a quattro anni dicono
bugie anche i più “lenti” a prendere questo “vizio”: a questa età è il 90% dei
bambini, infatti, a dirle. Ma niente paura, sostiene Lee, dire bugie da piccoli è
normale e non significa che questi bambini cresceranno come bugiardi
patologici.
Anzi la bugia è segno di sviluppo cognitivo perché per ideare una frottola e
tenerla in piedi serve il ragionamento. Anzi, conclude Lee, i piccolo bugiardi
potrebbero anche finire per fare i
banchieri da grandi.

In quale testo troviamo queste affermazioni

A volte le bugie sono meglio della verità.


2 Dire le bugie può essere un segnale positivo.

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3 Le bugie si dicono come difesa.


4 Quando si è piccoli è naturale dire bugie.
5 Gli uomini non sono i soli a usare la menzogna.
6 Se si mente è perché abbiamo deciso di farlo.
7 Bugie e intelligenza vanno di pari passo.
8 La cultura può influenzare il modo di dire le bugie.
9 Per dire una bugia bisogna far funzionare il cervello.
1 La menzogna ci aiuta a ottenere quello che vogliamo.

Le frustrazioni in ufficio
Anche il più sereno degli uffici, ciascuno può testimoniarlo, finisce per
trasformarsi in un piccolo inferno quotidiano. Soprattutto se gli spazi
vitali, pure quelli beffardamente nominati open space, sono circoscritti
e ridotti di fatto all’essenziale, a minute superfici immobiliari.
Secondo quanto confessato dagli impiegati, a toccare i nervi sono soprattutto
l’eccessiva vicinanza con i colleghi. Lo spazio vitale è talmente percepito
come sotto assedio che quattro dipendenti su dieci hanno confessato di
provare profonda irritazione proprio quando si ritrovano a dovere sopportare
le reiterate invasioni da parte di quei colleghi che non sanno trattenersi, con
carte e documenti, chiacchiere e opinioni, nei “limiti” della propria scrivania.
Gli uffici sono una specie di micromondo che mette a confronto, forse più di
quanto non avvenisse prima, quasi spietatamente, gli uni con gli altri. Sia
perché sono divenuti più ampi e capienti di prima.
Sia per le piccole trasformazioni sociali che hanno portato i colleghi di lavoro
a divenire, per un crescente numero di persone, i nuovi “vicini”. L’ufficio
quasi come l’unica opportunità di contatto sociale,
l’unica occasione per incontrare persone e provare a farsi dei nuovi amici.
Quelli a cui chiedere consigli o favori. Così anche, inesorabilmente, quelli a
cui fare dispetti e per cui provare l’invidia tipica di chi si osserva

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vicendevolmente con un’insistenza che rischia, alle volte, di divenire


ossessiva.
Questa contiguità onnipresente sembra tanto concreta che tra le altre cose
che più danno fastidio, c’è il rumore di fondo formato dal chiacchiericcio e dal
confabulare, al telefono per lo più, dei tanti colleghi sparsi, ma vicinissimi e
non “insonorizzati”, nell’apparentemente ampio open space. E quando
qualcuno si spinge a chiedere di fare più piano o di smetterla con quel caos,
sembra di rivedere le scene di condominio tra vicini di casa.
(www.miojob.repubblica.it)

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