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Egli è “rivestito di un telo funerario”.

La situazione è strana: cosa fa questo giovanetto, che segue


Gesù, “rivestito” (il verbo “rivestire” appare soltanto due volte, qui e nella scena della risurrezione
16,5) il termine è sindèn, da cui sindone, che indica sì un lenzuolo, ma un lenzuolo per determinati
usi, col quale si avvolgeva il cadavere. Sarà lo stesso lenzuolo con il quale verrà seppellito Gesù.
Lo stesso evangelista ci mette dei dati abbastanza incongruenti: “tutti fuggirono”, c’era un
giovanetto che lo accompagnava, vestito con un telo funerario “sul corpo nudo e lo prendono” (il
verbo “prendere”, “catturare” è lo stesso che è stato adoperato per la cattura di Gesù).
L’evangelista usa dei dati per far comprendere al lettore di cercare di interpretare bene il suo
messaggio.
E prosegue: “e lo prendono. Ma, avendo abbandonato il telo funerario, fuggì nudo”. Come Gesù,
anche questo giovane viene preso, ma questi abbandona il telo funerario e fugge.
Ecco il significato: Attraverso questo giovane l’evangelista vuole presentare la realtà di Gesù,
che sfugge alla morte, con un’allusione alla sua risurrezione. Il giovane che non è altro che la
figura di Gesù, che viene preso, ma lascia in mano ai suoi catturatori il telo funebre, cioè
lascia il suo corpo mortale, continua a fuggire nudo, ma non resterà nudo. C’è da sottolineare
che col termine “lenzuolo funerario” si indica la condizione mortale di Gesù, la sua vita fisica
che, come qualunque uomo, è destinata a finire. Questo individuo che rappresenta Gesù lascia
in mano ai suoi persecutori, la vita biologica. Però la perdita della vita fisica interromperà la
vita di Gesù.
Nel Nuovo Testamento con bíos si esprime la vita biologica, che ha un inizio, una sua crescita e poi
inizia il declino fino al suo disfacimento, poi c’è la vita interiore che è quella che dura per sempre.
Anche questa ha un inizio, come la vita biologica, anche questa ha una crescita, ma quando
l’altra incomincia il suo declino verso il disfacimento, questa vita interiore continua la sua
crescita, senza fine. Quando arriva il momento della morte biologica, l’altra vita non ne
risente affatto, anzi se ne sente come liberata per fiorire in un maniera completamente nuova.
Quello che associa le due vite è il “nutrire”. La vita biologica per crescere deve essere nutrita, la
vita interiore, quella definitiva, chiamata eterna, per crescere deve nutrire gli altri. C’è quindi questo
equilibrio, dobbiamo essere nutriti per nutrire. Il rischio è per chi vive nutrendo soltanto se stesso
che non favorisce la crescita di quest’altra vita.

Il giovanetto lascia in mano ai suoi catturatori, è la vita mortale, la vita che in qualche maniera va
lasciata. Su questa vita mortale gli uomini possono avere il potere addirittura di arrivare a toglierla,
come hanno fatto con Gesù, ma da questa condizione mortale il giovanetto si spoglia, fugge
nudo, scappando così al dominio della morte.
Il giovanetto però non rimane nudo; lasciato il telo funebre in mano ai persecutori, lo ritroviamo
vestito di una tunica bianca, il colore della risurrezione.
In questo modo l’evangelista, già al momento della cattura di Gesù, prima ancora della sua morte, ci
anticipa già il finale, quello della risurrezione di Gesù.
Questo giovanetto, che era fuggito nudo, lo ritroviamo nella scena finale del Vangelo di Marco,
quella che rimane incompleta. Qui c’è l’annunzio che Gesù è risuscitato, viene dato l’incarico alle
donne di andare ad annunziarlo, “ma loro non dissero niente a nessuno perché…” Il passo finisce
in questo modo incompiuto.
(Mc 14,50-52; Mc 16,1-20) (Maggi, 2009)

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