Sei sulla pagina 1di 110

L´UNZIONE DEGLI INFERMI

E LA LITURGIA DELLA MORTE

1. Introduzione
Gli argomenti centrali del sacramento dell’unzione dicono che sono le imposizioni delle
mani, l’unzione con l’olio e la preghiera, tutto ciò si trova in Gc 5. A mo’ di esempio si
propone di cercare in un modo apparentemente molto primitivo di capire il sacramento
partendo dai testi, soprattutto dal testo in questa preghiera, Gc 5 dice che ci vuole
l’imposizione, unzione della preghiera per il sacramento dopo l’unzione. Allora leggiamo
questa preghiera per vedere che cosa viene fuori.

1.1. Il dilemma dell’unzione degli infermi


Se prendiamo ciò che la chiesa aveva prima di CVII, e così vediamo la preghiera del
sacramento. La preghiera dopo l’unzione si trova a p. 88, è una preghiera dell’ambito
gregoriano dal IX secolo, quindi una preghiera che accompagna…,
Dómine Deus, qui per Apóstolum tuum Jacóbum locútus es1: Infirmátur
quis in vobis? Indúcat presbyteros Ecclésiae, et orent super eum,
ungéntes eum óleo in nomine Dómini: et orátio fidei salvávit infirmum,
et alleviábit eum Dóminus: et si in peccátis sit, remitténtur ei; cura,
quáesumus, Redémtor noster, grátia Sancti Spiritus languóres istíus
infírmi (infírmae), eiusque sana vulnera, et dimitte peccata, atque
dolóres cunctos mentis et córporis ab eo (ea) expélle, plenámque intérius
et exterius sanitátem misericórditer redde, ut ope misericórdiae tuae
restitútus (restitúta), ad prístina reparétur officia: Qui cum Patre et
eódem Spiritu Sancto vivis et regnas Deus, in saécula saeculórum. Amen
Alcune osservazioni al riguardo di questa preghiera:
1) et orátio fidei salvávit infirmum, et alleviábit eum Dóminus: fa riferimento a Gc
5, 15-20. Dunque, cosa fa oratio fidei? La preghiera della fede salva.
2) Dobbiamo chiederci cosa significa salvavit, quindi che cosa significa salvare,
della vita eterna, della malattia corporale o spirituale.
3) Troviamo un altro problema, il testo continua: et alleviábit eum Dóminus, qui si
trova un problema di scrittura e traduzione, il termino grego ἐγερεῖ αὐτὸν ὁ
κύριος, il verbo greco ἐγερεῖ significa, allevare, alleviávit significa alzare o anche
risuscitare, mentre il testo della vulgata della vetus latina al tempo in cui fu
composta questa orazione aveva tradotto il verbo ἐγερεῖ come alethiade, la radice
di questo è lethes, quindi alethiade, significa qualcosa come confortare, quindi
dipende molto di quella “i” e poi nelle traduzioni seguente è stata corretta, se
seguiamo come il rituale del 1614 questa vecchia idea, è il Signore che conforta
il malato, alleggerisce, se però segue l`altra traduzione di Gc 5, 15 vuol dire che

1
Questa è una citazione di Gc 5.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 1


il Signore alza e anche risuscita. Dunque la stessa cosa ha un`altra connotazione,
questo riguardo alla prima problematica, poi troviamo una seconda problematica
et si in peccátis sit, remitténtur ei: perché questo c’è stato il problema grosso in
tutto il medioevo, se i peccati gli saranno rimessi. Il testo ufficiale sacramentale
della chiesa dice in questo momento dice se i peccati li saranno rimessi. Se il 4
sacramento perdona i peccati che senso ha a chiedere subito dopo
dell’amministrazione dell’unzione un'altra volta i perdoni dei peccati? Oppure
riguarda soltanto colui che non si ha potuto confessare prima? Non troviamo in
nessuna fonte nessun legato storico, costituzionale che fa precedere la
celebrazione di un altro sacramento. Forse riguarda soltanto i peccati che uno ha
commesso e in principio muti fa la assoluzione sacramentale? Se sta morendo,
che peccati ancora…? Questi sono i problemi che dovevano affrontare nella
teologia medioevale, per tanto è vero, incontriamo sempre lo stesso procedimento.
Sarà difficile spiegare queste cose soprattutto perché in ordine dei sacramenti il
moribondo era questo: confessione sacramentale, viatico-eucaristia, unzione. Se
uno ha appena ricevuto il viatico con la confessione precedente per ricevere
l’eucaristia bisogna essere in stato di grazia, avendo ricevuto l`eucaristia uno è
intimamente unito con Cristo e non c`è unione più intima che questa, a che cosa
serve dopo la richiesta del perdono dei peccati?
4) Poi in questo testo si chiedono altri effetti: cura, quáesumus, Redémtor noster,
grátia Sancti Spiritus languóres istíus infírmi, rivitalizza la franquezza non per
lp unzione, la traduzione della chiesa insiste in una cosa: l`olio non è un elemento
magico, non è l`unzione che cura e rivitalizza le franquezze, le ferite, ma è la
grazia dello Spirito Santo, però si chiede cura di cuore, poi;
5) eiusque sana vulnera..., vulnera si riferisce alle ferite corporali.
6) Poi un’altra volta et dimitte peccata …, due volte la stessa cosa si in peccátis sit,
remitténtur ei.
7) Continua atque dolóres cunctos mentis et córporis ab eo (ea) expélle, caccia anche
il dolore della mente e del corpo, fisici, psichici,
8) ut ope misericórdiae tuae restitútus (restitúta), ad prístina reparétur officia, si
chiede che sia restituito, ciò che faceva, anche prima della malattia.
Tutto questo sommato non può essere una preghiera recitata su un moribondo altrimenti
non farebbe senso. Vediamo come in latino quando non si capivano si potevano chiedere
tante cose. Quando poi so traducono nelle lingue correnti e la gente inizia a capirle
iniziano i problemi perché uno si chiede che senso ha. Quindi riassumendo possiamo dire
che questa preghiera chiede 8 effetti dell’unzione di cui 5 sono temporali, medicinale, si
chiede la guarigione corporale e solo 3 effetti riguardano allo spirituale, dunque questa
preghiera chiede ed è la preghiera oratio fidei di Gc 5, 15 chiede principalmente la
guarigione temporale non escludendo, anzi includendo anche effetti spirituali.
Guardiamo un altro elemento: la formula che accompagna le unzioni (pag. 87, 8 e
seguenti): Deinde intincto pollice in Oleo sancto, la formula è sempre la stessa: Per ipsam

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 2


sanctam Untionem +, et suam piíssimam misericórdiam, indúlgeat tibi Dóminus quidquid
per visum deliquísti. Amen. quidquid per visum, quidquid per auditum, quidquid per
odoratum…, e così via. Il Signore tiene in mente di quello che hai peccato con gli occhi,
gli orecchi, la bocca…, Quindi una grande richiesta di perdono che gira principalmente
intorno al perdono dei peccati in un ambiente in cui il IV sacramento era appena celebrato,
si unge, si ungono. L’olio è un segno di vita, dello Spirito Santo, questo segno di vita qui
in primo luogo viene applicato e molto significativo al perdono dei peccati. Il terzo
elemento: l’imposizione delle mani. Questa era andata perduta al inizio del II millennio
fino al 1525 esisteva2 imposizione delle mani nel sacramento dell`unzione. Un accenno
pero è rimasto nel testo che precedeva l’unzione (testo del num. 7, pag. 87). La rubrica:
Antequam Parrochus …
In nomine Patris…, vediamo in questa preghiera i tre segni della croce… per
impositiónem mánuum nostrárum …, qui troviamo la allusione all’imposizione delle mani
nel testo ma nella rubrica non c’è più niente, e solo dal 1925 la Congregazione ha fatto
un cambiamento nella rubrica in modo di alzare la mano destra. Ma nella edizione del
1913 la allusione è nel testo non così nella rubrica. Questo testo è del Pontificale della
Curia Romana del XIII. L’imposizione delle mani, il testo originale biblico, è un testo
che conferisce qualche cosa, qui invece exstinguátur in te omnis virtus diáboli…, quindi
l’imposizione che doveva conferire qualcosa da vedere con lo Spirito Santo, cioè è un
gesto di esorcismo. Quando in un rito entra lo Spirito Santo il maligno se ne va
necessariamente.
Riassumendo, avendo letti questi testi ci troviamo davanti a un esorcismo solemme, una
richiesta sacramentale ripetuta di perdoni dei peccati che culmina l’orazione dopo
l’unzione, che culmina nella richiesta della guarigione corporale.
Dal primo capitolo di questo capitolo, a livello di rubriche si possono aggiungere altre
cose3.
Rubrica 5: Debet autem hoc Sacramentum infirmis præberi…, quindi nella prassi solo
una cosa: dare solo al moribondo dopo prima alla fine della vita. E per quanto riguarda
all`ordine dei sacramenti si veda pure il numero 13: et postquam infirmus Viaticum
sumpserit, inungatur a Sacerdote. Fanno senso le preghiere dopo il viatico. Quindi questo
sacramento cos’è? Una preparazione alla morte? È evidenti, per i testi che abbiamo visto,
che l’unzione non è un rimedio magico per la malattia. Si sottolinea sempre che guarisce
lo Spirito Santo, e Oratio fidei non l’unzione, non l’olio, però dall’altra parte per i malati
dicono tante novene, pellegrinaggi e quindi è precisamente l’efficacia della preghiera.
quindi possiamo chiederci se non si dovrebbe sottolineare più questa che preghiera che

2
O non esisteva?
3
Cf. Pag. 83: In quo illud in primis ex generali Ecclesiæ consuetunide observandum est, ut, si tempus, et
infirmi conditio permitat, ante Extremam Unctionem…, questa fino a 1913 ed anche dopo. Dunque c’è
l`ordine sacramentale prima la confessione, poi l`Eucaristia, poi il soggetto si trova in stato di grazia
intimamente unito con Cristo e così ha pure la richiesta dei perdono dei peccati. In quo illud in primis ex
generali Ecclesiæ consuetunide observandum est, cioè è una consuetudine della Chiesa solo quando le
condizioni del infermo è a letto, quindi no è una conditio sine qua non, di piacere la confessione e il viatico,
è una consuetudine, quindi si po`anche cambiare. La problematica viene dopo, perciò aggiungiamo numero
5.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 3


una preghiera sacramentale della Chiesa: sacramento dell’unzione e dei malati. Abbiamo
tanto di pietà popolare per quanto riguarda alla malattia. Poi se tutto ciò si basa su Gc 5,
15 dobbiamo chiederci come capire la lettera di Gc. Dobbiamo chiederci come è l’idea
dell’effetto di un sacramento per un medioevale, quindi: ministro, forma effetto. Secondo
quella teologia medioevale l’effetto del sacramento si ha ex opere operato, quando un
sacramento po`avere quindi un effetto corporale, la guarigione che qui si chiede che qui
significa con l’olio, che significa materia? Guarigione? Pienezza di vita anche corporale?
L’effetto è ex opere operato e se l’effetto fosse la guarigione corporale il sacramento
sarebbe che la prova che il sacramento stesso non funziona perché non abbiamo sempre
questo ex opere operato. Ci aiuterà una teologia sacramentale odierna che non cerca in
primo luogo ministro, forma ed effetto, una teologia che nei sacramenti vede una
celebrazione della chiesa in cui Dio sacramentalmente si rende vicino all’uomo anche
nelle situazioni di crisi, anticipando si po`dire che nei sacramenti si continua la vicinanza
di Cristo al malato. Questo è il senso dei sacramenti: Dio vicino all’uomo, Dio vicino al
malato. La Chiesa continua questo, la chiesa vicina ai malati in modo sacramentale.
Interrogativi che dobbiamo affrontare:
1) Se questo sacramento è la continuazione della cura di Gesù per il malato, e se
questo sacramento è anche la preghiera della chiesa ufficiale per la guarigione,
perché bisogna aspettare al malato fino alla morte? Quindi non è per l’uomo, ma
per il malato?
2) Se il IV sacramento è quello della riconciliazione perché c’è ne vuole un altro?
Questi problemi nascono quando si tenta di guardare un sacramento in sé stesso
si solito.
3) L’unzione ha un rapporto con la morte? Se ha un rapporto con la morte, qual è
questo rapporto? Quindi prima di studiare la teologia bisogna studiare la storia,
come nasce questo rito, come fu celebrato.

1.2. Un legame tra unzione e funerali: la dimensione pasquale


L’impostazione odierna suggerisce che l’unzione sia il preludio dei funerali. Vedremo
come durante tanti secoli era così. Se uno vuole andare in modo cronologico potrebbe
trattare anche prima i funerali, poi l’unzione ritualizzata. Il punto comune tra unzione e
funerale è scatologico, sia l’unzione sia i funerali hanno qualcosa che fare con il Mistero
pasquale di Cristo, è questa è la prova che non soltanto le celebrazioni dei sacramenti
riguardano il mistero pasquale di Cristo, anche i funerali. Se ai sacramenti, sacramentali
e ai funerali mancano questa dimensione escatologica-mistero pasquale di Cristo non
sono più celebrazioni sacramentali né sacramenti. Quindi ogni malattia ci avvicina alla
Pasqua, il passaggio della morte alla vita, quindi dobbiamo sempre attingere alla
dimensione pasquale sia dell’unzione e anche dei funerali.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 4


1.3. 1.3. Bibliografia

2. L’unzione dei malati


CONTETO STORICO: Prima di prendere il punto di vista biblico partiamo di una
domanda che ciascun uomo si fa per la vita, perché l’uomo deve soffrire? Questa è la
domanda da sempre e tocca alla chiesa illuminarla dalla fede e dare una risposta a questa
domanda. Tutte le religioni definiscono delle celebrazioni della penitenza e della morte,
anche il cristianesimo da un’interpretazione della morte. Il nostro punto di partenza nei
tempi antichi e anche nel medioevo la malattia era considerata piuttosto un trauma fisico
dovuto a lesioni di organi, ed era la esperienza comune con le malattie più gravi e la
morte, quindi il legame tra malattia e morte. Nel medioevo si è sottolineato molto la
sofferenza, la vita di qua era una vita di lacrime perciò nel medioevo il giorno di nascita
dell’uomo era giorno di luto, invece il giorno della morte era il giorno della gioia, perché
si passa a vita migliore. L’uomo medioevale questa valle di lacrime, è una preparazione
alla morte, alla vita migliore, mentre nel nostro tempo ti oggi la vita si prolunga davanti
alla esperienza della malattia. Con l’uomo medioevale abbiamo imparato a condividere
con la malattia, oggi malato non significa morte, ma una vita di restrizione, malattia non
significa morte, la malattia è diventata la situazione umana per rivolgersi alla scienza, ma
il problema fondamentale non lo abbiamo risolto: Perché dobbiamo soffrire?
Il sacramento dell’unzione dopo il CVII si inserisce in questa dinamica della malattia e
la sofferenza partendo dalla risposta della fede. Nella Riforma postconciliare il centro del
sacramento è il malato, quindi la risposta al problema della sofferenza -malattia non è una
spiegazione, ma è una azione che sboccia nella celebrazione sacramentale.

2.1. Teologia biblica della malattia

2.1.1. Antico Testamento 



Interessante che AT non parla direttamente della malattia, la considera in quanto della
sofferenza, e questa sofferenza si chiede qual è la causa della sofferenza, e così
s’individuano 2 cause di sofferenze:
a. Sofferenza causata dagli uomini cattivi. Io faccio male a qualcuno e soffre.
b. La malattia, la disgrazia che non si chiedono le cause. Questo secondo tipo
stupisce. Come è possibile che il buon Dio della alleanza, che vuole bene
all’uomo, permetta che l’uomo soffra?
Per AT la sofferenza è sempre fuori di posto, e considerata illegittima, non è opera di Dio
che l’uomo soffra, basterebbe leggere i salmi di lamentazione. Comunque la sofferenza
soltanto è sul livello religioso. Pero L`AT esorta in caso di sofferenza di rivolgersi a Dio
no per evitare il merito, ma per evitare le pratiche magiche, comunque sia la malattia non
è considerata mai un bene, invece la salute è il segno della benedizione di Dio. Allora
nelle risposte al problema troviamo 4 stadi di risposta:
1) Rapporto di causalità tra peccato personale e sofferenza/malattia. Se Dio ha

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 5


creato tutto buono, e adesso non è tutto buono e l’uomo soffre, qualcuno
evidentemente ha fatto irruzione nel piano divino ed è contrario alla azione divina.
L’uomo ha peccato quindi il dolore è la conseguenza al peccato, così il dolore è il
segno del potere del avversario, il dolore è considerato la manifestazione dell’ira
divina dentro di un mondo peccatore. L’esempio per questo stato di riflessione e:

Nm 12, 1.9-13

1 Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della donna etiope che
aveva sposata; infatti aveva sposato una Etiope. 9 L'ira del Signore si
accese contro di loro ed Egli se ne andò; 10 la nuvola si ritirò di sopra
alla tenda ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aronne guardò
Maria ed ecco era lebbrosa.

11 Aronne disse a Mosè: «Signor mio, non addossarci la pena del peccato
che abbiamo stoltamente commesso, 12 essa non sia come il bambino
nato morto, la cui carne è già mezzo consumata quando esce dal seno
della madre». 13 Mosè gridò al Signore: «Guariscila, Dio!».

Qui vediamo la malattia come punizione per il peccato personale, Dio punisce con la
malattia. Poi la riflessione biblica scopre un’altra cosa: ci sono degli uomini cattivi e Dio
no le punisce con la malattia, quindi i giusti soffrono, e qui già ci troviamo nel secondo
stadio:
2) Sofferenza del giusto è prova della sua fedeltà. Troviamo la prova dei grandi
patriarchi, Giobbe, ecc., Dio ci mette alla prova per far crescere la nostra fede, è
un livello di riflessione ma bisogna sempre affidarsi a Dio e ci si apre verso una
realtà altre la morte:
3) Retribuzione oltre la morte. Qui bisogna guardare verso il futuro che ci
annunciano tempi messianici sul male, la sofferenza e la malattia, gli ultimi libri
sapienziale oppure:

2 Mac 7, 9-23

9 Giunto all'ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita


presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci
risusciterà̀ a vita nuova ed eterna».

Qui vediamo chiaramente come ci si riapre verso la vita eterna e la retribuzione della
eternità, un ulteriore paso in qui la guarigione è un compito del Messia:

Is 53, 4

4 Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri


dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.

Questa idea prepara l’ultimo paso:


4) Sofferenza vicaria. Si riferisce al valore espiatorio della sofferenza non solo di se
stesso ma anche degli altri. Mosè che soffre per il popolo, la sua malattia redime

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 6


il popolo. Questo pensiero poi viene ripreso poi da Geremia e culmina nel servo
di Yavhè:

Is 53, 12

12 Perciò̀ io gli darò̀ in premio le moltitudini, dei potenti egli farà̀ bottino,
perché́ ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli
empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori.

Dunque vediamo come in questi stadi di riflessione più semplice diventano sempre più
complessi e finiscono con l’idea del Messia che prende su di sé la sofferenza del mondo
e questa è già la soglia del NT che riprende come sempre alcune cose del AT.

2.1.2. Nuovo Testamento


Gesù nel NT non viene mai presentato come malato, Lui viene presentato come colui che
prende su di sé le malattie del mondo per toglierle, quindi è Lui che realizza la figura del
servo di Yavhè:

Mt 8, 16-17

16 Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli


spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, 17 perché́ si adempisse ciò̀
che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre
infermità̀ e si è addossato le nostre malattie.

Quindi i segni di guarigione in quanto segni di Dio. Gesù viene vestito come medico per
i peccatori non per i santi. Abbiamo moltissimi miracoli e guarigioni nel NT che sono
segni della vittoria sul male, il miracolo non si limita al livello medicinale ma va nel piano
della fede, quindi, la vittoria della malattia completa è la prova della vittoria definitiva
sul male, sul peccato:

Mc 2, 3-12

3 Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. 4 Non


potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il
tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio
su cui giaceva il paralitico. 5 Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico:
«Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».

6 Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: 7 «Perché costui
parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».

8 Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano
tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? 9 Che cosa è più̀
facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il
tuo lettuccio e cammina? 10 Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo
ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, 11 ti ordino - disse al paralitico
- alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua». 12 Quegli si alzò, prese il
suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e
lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 7


Quindi le cose vanno insieme, e tutto insieme significa salvezza, e salvezza definitiva non
è possibile se si rimane nel peccato, nella sofferenza, perciò che viene dopo. Un altro
esempio ci mostra che non c’è la causalità tra peccato personale e malattia:

Gv 9, 1-3

1 Passando vide un uomo cieco dalla nascita 2 e i suoi discepoli lo


interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli
nascesse cieco?». 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori,
ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.

Non c’è rapporto tra peccato personale e malattia, Dio non punisce con la malattia. C’è
però un rapporto tra peccato originale é a sofferenza. Il peccato originale viene descritto
come la causa della sofferenza e in Gesù questo peccato originale è superato. Dunque
importante per noi è considerare che Dio non punisce con la malattia.
Questi miracoli di guarigione sono segni della pasqua, del passaggio della morte alla vita,
quindi confermano l’insegnamento di Gesù e la Parola ci riportano questi insegnamenti,
perciò ci vuole la fede, perché alla fede vengono attribuite le guarigioni:

Lc 8, 43-48

43 Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era
riuscito a guarire, 44 gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del
mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. 45 Gesù̀ disse: «Chi mi ha
toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe
da ogni parte e ti schiaccia». 46 Ma Gesù̀ disse: «Qualcuno mi ha toccato.
Ho sentito che una forza è uscita da me». 47 Allora la donna, vedendo che
non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi
piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e
come era stata subito guarita. 48 Egli le disse: Figlia, la tua fede ti ha
salvata, va’ in « pace!».

Qui la fede indica la vicinanza anche corporale (la donna che tocca il mantello di Gesù),
in senso cristiano è sempre un rapporto personale che indica anche vicinanza, la fede
guarisce e la prova è la parola di Gesù. È questa fede, che Gesù ha il potere di guarire e
perdonare il peccato, si trasforma in due cose:
a. Gesù ha il potere di liberare anche della malattia e il peccato, quindi intercedono
per gli uomini.
b. È una azione. La vicinanza fisica, quindi Gesù guarisce non soltanto con la parola
ma accompagnando con un gesto e questo contesto esprime una vicinanza:

Mc 8, 23

23 Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo
avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese:
«Vedi qualcosa?».

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 8


Non è questione della saliva magica, ma è questione della vicinanza, quindi i nostri
sacramenti sono un segno di vicinanza. La premura di Gesù per il malato non soltanto si
esprime non soltanto nella preghiera o le parole, ma soprattutto nella vicinanza, vicino
all’uomo malato. Inoltre non abbiamo testimonianza che Gesù facessi un usanza con
l`olio.

2.2. L’unzione nell’Antico Testamento



A livello della società l’usanza è conosciuta, nel ambiente mediterraneo soprattutto.
L’usanza la ricordiamo anche con la SS nel ambiente giudaico. L’uso del olio per i primi
cristiani parte da cui, cioè loro hanno fatto soltanto l’usanza conosciuta. Chiediamoci in
primo luogo quale sia il significato dell’olio e partiamo del AT. Tre elementi principali:
a. Uno dei prodotti principali della terra----prosperità, gioia e onore.
b. Profumo, rafforzamento, fonte di luce—consacrazione/Spirito
c. Lenisce le piaghe---cura, guarigione e purificazione.
In genere l’olio faceva parte degli elementi fondamentali: pane, vino e olio, e questi in
abbondanza significano vita e il significato profano dell’olio si può salire anche al
significato simbolico, nel senso principale della terra l’olio significa prosperità. L`olio
viene utilizzato in senso medicinale, ungono i malati, quindi acquisisce il significato non
solo medicinale ma anche simbolico.

L’olio come prodotto principale della terra lo troviamo in:

Dt 7, 13

13 Egli ti amerà̀ , ti benedirà̀ , ti moltiplicherà̀ ; benedirà̀ il frutto del tuo seno


e il frutto del tuo suolo: il tuo frumento, il tuo mosto e il tuo olio, i parti
delle tue vacche e i nati del tuo gregge, nel paese che ha giurato ai tuoi
padri di darti.

Quindi è segno di benedizione, di abbondanza. Dio benedice l’olio perché l’uomo abbia
vita. Significa anche prosperità e vita pacifica, gioia, onore, perciò:
Is 61, 1.3
1 Lo spirito del Signore Dio è su di me perché́ il Signore mi ha consacrato
con l’unzione;
3 per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della
cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un
cuore mesto.
Per questo si unge il capo del ospite, l’olio è un segno di vita. Il secondo gruppo di
significato: l’olio come elemento naturale col profumo, in senso di guarigione a causa di
una ferita:

Ez 16,9

Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 9


Poi abbiamo l’olio come fonte di luce delle lampade, la chiamata ad avere sempre la
lampada accesa:

Es 27,20

Tu ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate


per il candelabro, per tener sempre accesa una lampada.

Quindi profumo, guarigione, fonte di luce e qui si risale il significato spirituale,


consacrazione, l’olio è segno dello Spirito nel senso simbolico, è lo Spirito che da luce,
che illumina, lo Spirito penetra nel corpo come l’olio penetra nel corpo, quindi diventa
segno di consacrazione, si consacra l’individuo per una missione: sacerdoti, re, in senso
metaforico i profeti. Poi il Messia, l’unto per eccellenza, il re, profeta e sacerdote. E così
l’unzione consacra un oggetto attraverso il rito, perciò fino ad oggi nella benedizione del
calice vengono unti, questa è l’idea che proviene già del AT.

Come terzo gruppo: Lenisce le piaghe---cura, guarisce e purificazione:


Is 1, 6
Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è in esso [nel popolo che si è
ribellato contro Dio] una parte illesa, ma ferite e lividure e piaghe
aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né curate con olio.
Quindi l’olio che cura le piaghe e qui si risale al significato spirituale, come cura,
guarigione e purificazione.
Allora dal AT possiamo attendere un triplice significato dell’olio: prosperità,
consacrazione dello Spirito e guarigione. I cristiani prendevano soltanto un’usanza che
già avevano.

2.3. L’unzione dei malati nel Nuovo Testamento


Nel NT l’unzione non si ricorda molto speso, sembra che sia una cosa che non c’è bisogno
di spiegare ogni volta. L’unico testo in cui si parla d’unzione con olio è Mc 6, 7.12-13, il
testo paralleli Mt 10, 1-3 e Lc 9, 1-2, si pronunciano nello stesso modo ma non fanno
allusione all’olio, non ricordano l’olio.

2.3.1. Mc 6,13 (e Mc 16, 18) 


Il contesto di Mc 6, 7 è l’invio dei discepoli:

7 Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due


e diede loro potere sugli spiriti immondi.

12 E partiti, predicavano che la gente si convertisse, 13


scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li
guarivano.

Quindi inviando i discepoli Gesù da un compito: continuare semplicemente ciò che Gesù

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 10


ha fatto: Lui ha predicato il Regno e la sua predicazione e il suo annuncio del Regno l’ha
confermato con i miracoli. Il primo dei miracoli, il miracolo per eccellenza sempre è il
perdono dei peccati e questo perdono venne confermato nella guarigione. Dunque,
annuncio, predicazione del Regno, miracoli, questo è ciò che i discepoli continuano. Ciò
che fanno i discepoli e per conseguenza anche la chiesa non è sostituire. Per noi
importante è i discepoli e la chiesa continuano a far ciò che faceva Gesù: la vicinanza
all’uomo sofferente, in parole e in opere. Le opere sono le guarigioni, queste guarigioni
implicano in primo luogo la vicinanza, il contatto fisico, perciò un sacramento non è
possibile tramite il telefono o mail, ma ci vuole un’azione completa, fisica che implica
contatto fisico, tempo dedicato al malato, ci vuole una comunità di fede comune che legge
la fede del simbolo malato, implica il sostegno vicendevole, la comunità non respinge al
malato. I malati avevano un’altra esperienza, erano esclusi della comunità anche per paura
di contagio.
Questi implicazioni diventano compiti della comunità cristiana4 anche quando celebra il
sacramento dell`unzione, attenzione perché le celebrazioni sacramentali che poi si
sviluppano nella nostra chiesa sono celebrazioni della comunità, non del sacerdote da
solo, soprattutto il sacramento della celebrazione è una celebrazione della comunità e le
radici sono questi e la prima generazione cristiana si comportava in questo modo e questo
si vede in Mc 16, 15-18, questi versetti non sono dell`evangelista, ma una aggiunta della
prima comunità:

15 Gesù̀ disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad


ogni creatura. 16 Chi crederà̀ e sarà̀ battezzato sarà̀ salvo, ma chi non
crederà̀ sarà̀ condannato. 17 E questi saranno i segni che
accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i
demoni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano i serpenti e,
se berranno qualche veleno, non recherà̀ loro danno, imporranno le
mani ai malati e questi guariranno».

Qui il segno che accompagna le guarigioni è l’imposizione delle mani non l`unzione, però
il significato è uguale: Dio vicino al malato. Comunque se andiamo a vedere lo sviluppo
teologico, il Concilio di Trento5 questi testi del Vangelo soprattutto Mc 6, sono testi che
insinuano il sacramento, mentre Gc 5, 14-15 lo promulga (CF. CITAZIONE No. 1):

DH 1695

Questa unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio
sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo.

4
Dunque le guarigioni raccontate implicano:
- Vicinanza e contatto fisici
- Tempo dedicato al malato
- Una comunità sorretta dalla fede comune
- Sostegno vicendevole all’interno della comunità
- Superamento della paura del contagio
5
Trento contro i protestanti voleva affermare la fede cattolica. I protestanti che dicevano ciò che la Chiesa
fa nell’unzione non è ciò che si trova nella Bibbia. Trento vuole affermare esattamente che si ritrovano in
essa.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 11


Accennato da Marco [cf. Mc 6, 13], è stato raccomandato ai fedeli e
promulgato da Giacomo [... Gc 5,14s].

Con queste parole, così come la Chiesa ha imparato dalla tradizione


apostolica, trasmessa di mano in mano (ex apostolica traditione per
manus accepta), egli insegna la materia, la forma, il ministro proprio e
l’effetto di questo salutare sacramento.

DH 1695

Questa unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio
sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù̀ Cristo.
Accennato da Marco [cf. Mc 6, 13], è stato raccomandato ai fedeli e
promulgato da Giacomo [... Gc 5,14s].

Con queste parole, così come la Chiesa ha imparato dalla tradizione


apostolica, trasmessa di mano in mano (ex apostolica traditione per manus
accepta), egli insegna la materia, la forma, il ministro proprio e l’effetto di
questo salutare sacramento.

Qui vediamo i due testi che giustificano il sacramento. Inoltre il sacramento è stato
raccomandato da Gc, quindi non è mai obbligatorio. Dunque il Concilio aggiunge che la
tradizione apostolica, nella quale i testi scritturistici vanno interpretati per trovare il senso
sacramentale. La esegesi da sola non può dare il senso ma ci vuole anche la tradizione
della Chiesa, ma ciò vale per tutti i sacramenti. Poi Trento dice una cosa confortante: tra
materia e forma si trova il ministro proprio, interessante che per gli altri sacramenti del
settenario, tranne il matrimonio, viene affermato il ministro, invece per l’unzione c’è un
ministro proprio. Se c’è un ministro proprio vuol dire che c’è la possibilità di un ministro
non proprio. Se Trento dice che il sacramento viene raccomandato e promulgato da Gc 5,
14 s, dobbiamo esaminare il testo.

2.3.2. Gc 5,13-16 

Il V capitolo della lettera di Gc e i versetti che ci occupano, sono situati verso la fine della
lettera di Gc, alla fine della sua lettera Gc da delle esortazioni per la vita morale, pratica
della comunità, quindi ci troviamo non in contesto dogmatico, ma in un contesto morale.
Il contesto immediato dei versetti 14 e 15 è la preghiera, quindi sembra che l’autore della
lettera di Gc ricorda qualche cosa che è già conosciuta:

(Cf. citazione 2 e 3)

13 Chi tra voi è nel dolore, preghi6 (κακοπαθεῖ τις ἐν ὑµῖν προσευχέσθω);
chi è nella gioia salmeggi (ψαλλέτω). 14 Chi è malato, chiami a sé (ἀσθενεῖ
τις ἐν ὑµῖν, προσκαλεσάσθω7) i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui,

6
Imperativo presente che indica una azione duratera e lo stesso vale per κακοπαθεῖ, una azione duratera.
7
Imperativo del aoristo che indica una azione puntuale in una situazione speciale, e questa azione puntuale
viene fatta da coloro che sono ἀσθενεi, che significa debole, malato, talmente debole, malato che non può
frettarsi un’assemblea con il presbitero, perciò che deve chiamarlo, altrimenti potrebbe andare, invece
sembra che non si può alzare. Questa esegesi viene rafforzata quando si utilizza il versetto 15 dove il malato

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 12


dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. 15 E la preghiera fatta
con fede salverà il malato (τὸν κάµνοντα): il Signore lo rialzerà e se ha
commesso peccati, gli saranno perdonati. 16 Confessate perciò i vostri
peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti.
Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.

Adesso vediamo i versetti 14 e 15 da vicino, per questo esercizio abbiamo il testo in greco
e in latino della vulgata.
14. ἀσθενεῖ τις ἐν ὑµῖν, προσκαλεσάσθω τοὺς 14. Infirmatur quis in vobis? Inducat
πρεσβυτέρους τῆς ἐκκλησίας καὶ Presbyteros
προσευξάσθωσαν ἐπ’ αὐτὸν Ecclesiae, et
orent super eum, unguentes eum oleo,
ἀλείψαντες ἐλαίῳ ἐν τῷ ὀνόµατι τοῦ κυρίου. in nomine Domini8;

15. καὶ ἡ εὐχὴ τῆς πίστεως σώσει τὸν 15. ea oratio fidei salvabit infirmum et
κάµνοντα καὶ ἐγερεῖ αὐτὸν ὁ κύριος· allevabit eum Dominus; et si in peccatis sit,
κἂν ἁµαρτίας ᾖ πεποιηκώς, ἀφεθήσεται remittentur ei.
αὐτῷ.
13. κακοπαθεῖ τις ἐν ὑµῖν προσευχέσθω· 14. Infirmatur quis in vobis? Inducat
εὐθυµεῖ τις, ψαλλέτω· Presbyteros Ecclesiae, et orent super eum,
unguentes eum oleo, in nomine Domini;
14. ἀσθενεῖ τις ἐν ὑµῖν, προσκαλεσάσθω τοὺς
πρεσβυτέρους τῆς ἐκκλησίας καὶ 15. ea oratio fidei salvabit infirmum et
προσευξάσθωσαν ἐπ’ αὐτὸν allevabit eum Dominus; et si in peccatis sit,
remittentur ei.
ἀλείψαντες ἐλαίῳ ἐν τῷ ὀνόµατι τοῦ κυρίου.

15. καὶ ἡ εὐχὴ τῆς πίστεως σώσει τὸν


κάµνοντα καὶ ἐγερεῖ αὐτὸν ὁ κύριος·
κἂν ἁµαρτίας ᾖ πεποιηκώς, ἀφεθήσεται
αὐτῷ.
13. κακοπαθεῖ τις ἐν ὑµῖν προσευχέσθω· 14. Infirmatur quis in vobis? Inducat
εὐθυµεῖ τις, ψαλλέτω· Presbyteros Ecclesiae, et orent super eum,
unguentes eum oleo, in nomine Domini;
14. ἀσθενεῖ τις ἐν ὑµῖν, προσκαλεσάσθω τοὺς
πρεσβυτέρους τῆς ἐκκλησίας καὶ 15. ea oratio fidei salvabit infirmum9 et
προσευξάσθωσαν ἐπ’ αὐτὸν allevabit eum Dominus; et si in peccatis sit,
remittentur ei10.
ἀλείψαντες ἐλαίῳ

ἐν τῷ ὀνόµατι τοῦ κυρίου.

15. καὶ ἡ εὐχὴ τῆς πίστεως σώσει τὸν


κάµνοντα καὶ ἐγερεῖ αὐτὸν ὁ κύριος·
κἂν ἁµαρτίας ᾖ πεποιηκώς, ἀφεθήσεται
αὐτῷ.

sembra che stia al letto. Non è detto che si tratte di un moribondo, ma al tempo uno che è a letto, o costretto
di essere al letto è vicino alla morte.
8
Qui la traduzione del testo latino è diverso dal testo greco, perchè il testo greco ci dice che viene fato nel
nome del Signore la preghiera, no l’unzione, l`unzione è subordinata.
9
La preghiera della fede fatta dalla Chiesa e dai presbiteri salverà il malato, non l`olio.
10
Il Signore lo rialzerà e si ha commesso peccati li saranno perdonati. Quindi

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 13


Troviamo in questo testo 5 elementi:
1) I presbiteri pregano al malato: Infirmatur quis in vobis? Inducat presbyteros
Ecclesiae,
2) Troviamo l’idea et orent super eum unguentes eum oleo, in nomine Domine, cosa
significa pregare nel nome del Signore? il testo greco, la traduzione latina della
vulgata dice che viene fatta nel nome del Signore la preghiera non l’unzione,
l’unzione è subordinata.

Versetto 15:
3) La preghiera della fede fatta dai presbiteri della chiesa salverà il malato, non
l’olio.
4) Allevabit eum Dominus:lo rialzerà
5) Et si in peccatis sit, remittenentur. (questa anche subordinata) e si ha commesso
peccati li saranno perdonati,
Quindi questi 5 elementi bisogno vederli da vicino:

Elemento 1: Infirmatur quis in vobis? Inducat presbyteros Ecclesiae. I presbiteri e gli


anziani, chi sono? Ovviamente non delle persone carismatiche, ma quelli che avevano un
ruolo, funzione speciale nella comunità. Il punto si trova al interno del discorso sulla
preghiera: pregate in tutte le circostanze, v. 13: κακοπαθεῖ τις ἐν ὑµῖν προσευχέσθω·
εὐθυµεῖ τις, ψαλλέτω· questo riguarda gli stati psichici, la gioia, la aflizione. Comunque
in queste situazione si prega sempre in tutte le circostanze.

Poi nel versetto 14 inizia una situazione speciale con ἀσθενεῖ, non si dice più in afflizione,
non si dice più il dolore psichico, ma una malattia corporale, quindi una situazione
speciale che richiede una azione speciale, perciò l’imperativo in aoristo. La azione
speciale è la preghiera del presbitero (πρεσβυτέρους τῆς ἐκκλησίας ) che viene fatta super
eum. Sul contenuto di questa preghiera non c’è scritto nulla. Soltanto è detto che la
preghiera viene fatta su di lui, molti esegeti vedono l’idea della preghiera accompagnata
dall’imposizione delle mani di sotto fondo c’è Mc 16, 18. Quindi non è un`idea moderna

l`imposizione delle mani11. la preghiera viene fatta ἐπ’ αὐτὸν con l’imposizione delle
mani, come viene fatta la preghiera di ringraziamento sui donni eucaristici, si conferisce
qualcosa tramite preghiera, cambia qualche cosa. Lo Spirito Santo è segno di vicinanza e
comunione, vuol dire, la malattia non è la conseguenza del peccato personale, non esclude
il malato, si tocca il malato, perciò che questo gesto è importante anche oggi, nonostante
la paura e il pericolo di contagio.

11
Riguardo a questo tema è interessante che il rituale postconciliare riacquista l’imposizione delle mani,
che nel rituale precedente di 1925 in poi sarà accompagnata dalla formula del esorcismo. Invece nel rituale
postconciliare l’imposizione delle mani richiede ambe due mani e contatto fisico, quest’imposizione delle
mani col contatto fisico delle mani sulla testa può essere fatta da tutti i presbiteri presenti della celebrazione
dell’unzione, quindi non per caso evoca l’imposizione delle mani durante l’ordinazione presbiterale, è un
gesto che no esprime né anche il primo luogo la preghiera per qualcuno, ma è un gesto che esprime anche
il conferimento dello Spirito Santo.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 14


Elemento 2: et orent super eum unguentes eum oleo, in nomine Domine. Poi questa
preghiera dei presbiteri è fatta nel nome del Signore, l`unzione qui è subordinata
(ἀλείψαντες significa qui avendo, participio aoristo attivo), quindi nel nome del Signore che
fate la preghiera non l’unzione, come suggerisce il testo della vulgata, che significa
preghiera fatta nel nome del Signore, è certamente una preghiera in cui si invoca il nome
del Signore, non tanto la preghiera fatta sul comando del Signore, ma una preghiera in
cui s`invoca il Signore, si appella alla sua potenza, al suo aiuto e s`invoca il Kyrios (ἐν τῷ
ὀνόµατι τοῦ κυρίου.), il Signore risuscitato e poi come continua il v, 15: sarà lui, il Signore
risuscitato che solleverà al malato.
Ma adesso che facciamo con la questione dell´unzione (ἀλείψαντες ἐλαίῳ)? Quest’unzione
è da situare in una dialettica tra guarigione e vita temporale da una parte e anche dall`altre
morte temporale. Già nel AT guarigione e unzione significa incoronazione, ordinazione
del sacerdote. Nel cristianesimo l’unzione post battesimale fa partecipare al sacerdozio di
Cristo. L’unzione significa designazione, guarigione corporale, pero dall’altra parte la
guarigione ricorda la azione di imbalsamare il corpo di un defunto e prepararlo alla vita
eterna, quindi ha una connotazione salvifico-escatologica in Gc 5, 15 ha qualcosa che fare
con salvare con innalzare; Mc 6, 13 all`unzione la mettono nel contesto del potere su gli
spiriti immondi, per i giudei e per conseguenza anche per i giudei cristiani l`atto d`ungere
ricorda anche al di là, i tempi messianici in cui c`è abbondanza di vino e olio, quindi
l’unzione di Gc 5, 14 è da situarsi in questa dialettica, ha qualcosa che fare con la vita
temporale e ha qualcosa che fare con la morte, la morte temporale è preparazione aldilà e
questo non si può escludere, pertanto l`olio mi manda allo stato paradisiaco, senza
malattia e senza peccato. La remissione dei peccati e perciò la condizione per arrivare a
questo status spirituale. Quindi abbiamo:
Guarigione e vita temporale Morte temporale:
AT: Imbalsamazione del corpo
Connotazione salvifico-
Incoronazione re(1Sam9,16) escatologica
Ordinazione sacerdoti (Es 28,41)
(Gc 5: salvare – rialzare)
Cristianesimo: l’unzione post
battesimale fa partecipare al (Mc 6,7.13: legame con il potere
sacerdozio di Cristo (1 Gv. sugli spiriti immondi)
2,20.27; TERT. De bapt. 7, TA
21,6-22) Per giudei e giudeo-cristiani:
Ricorda l’al di là
Designazione profeti (1 Re 19,16)
Guarigione di malati (giudaismo Tempi messianici in cui c’è
tardivo) abbondanza di vino e olio (Os
2,4.7; Am 6,6; Is 26,6; Zac 10,7)

Elemento 3: v. 15: ἡ εὐχὴ τῆς πίστεως σώσει τὸν κάµνοντα la preghiera della fede
salverà il malato, non l’unzione, è una preghiera oratio fidei, fatta nello spirito della fede,
della fede proviene la guarigione, la forza e questo si rispecchia nel significato della fede
nel contesto delle guarigioni del NT. Tante volte nel NT c’è che colui che prega con fede

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 15


ottiene ciò che chiede e siamo qui in questo ambiente. Nei miracoli di guarigione abbiamo
visto come la fede ha la convinzione della guarigione, queste guarigioni sono segni
scatologiche. In Gc 5, 15 la preghiera della fede salva, bisogna chiederci quale senso ha
il verbo σῴζειν , salva il malato in senso di vicinare, guarigione corporale oppure in senso
escatologico?

Nel NT σῴζειν, si trova 29 volte nel senso di guarigione, essere guarito, dunque
guarigione corporale, invece 68 volte nel senso escatologico. Passando alle lettere
apostoliche una sola volta si riferisce a guarigione corporale, invece nella lettera di Gc 5:

1,21: la parola di Dio salva le anime


2,15: la fede senza le opere non può̀ salvare
4,12: uno solo è legislatore e giudice che può salvare. Quindi dal punto di vista
della salvezza eterna.
5,20: chi riconduce un peccatore dalle sua vita di errore salverà la sua anima
(contesto immediato di 5,15), dunque non è probabile che σῴζειν, in Gc 5, 15 ha
un senso medicinale o esplicitamente medicinale. Lo stesso σῴζειν, nei vangeli
che ha adoperato il senso medicinale, c`è guarigione e miracoli fati da Gesù, anche
in questo caso ha una connotazione escatologica, i miracoli hanno l`apertura alla
vita eterna, il perdono dei peccati. Il momento in cui la guarigione che viene di
Dio entra nella persona guarita insieme allo Spirito Santo, perciò fede e salvare si
presentano sempre insieme, la fede è la condizione per essere salvata, questo
σῴζειν, ha una connotazione escatologica che non è mai da escludere.
5,15: la preghiera della fede salva il malato.

Probabilmente σῴζειν, faceva pensare a

Gioele 3,5: Chiunque invocherà̀ il nome del Signore sarà̀ salvato. Questo brano verrà
citato spesso nella Chiesa antica, anche p. es. in: At 2,21-4,12; Rm 10,13. Dunque una
cosa conosciuta, vuol dire:

Conclusione:

Senza negare speranza nella guarigione corporale è ovvio che questo testo Gc 5,
14-15 ha prevalenza della connotazione escatologica, l’uomo si prepara tramite la
preghiera per l’unzione.
Alla salvezza eterna di cui necessariamente fa parte il perdono dei peccati12.
Se la εὐχὴ τῆς πίστεως è ascoltata:

ü non la si fa soltanto in vista della guarigione temporale


ü altrimenti sarebbe la prova, che Dio spesso non la ascolta.

12
Qui il perdono dei peccati è legato alla preghiera d’intercessione, la preghiera della fede non a atti di
penitenza. Questa preghiera non è una invenzione umana, ma proviene dallo Spirito.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 16


Soltanto per ricordare: gli evangeli ci dicono che l`oratio fidei è ascoltare, questa non la
si può vedere in vista solo della guarigione. Oratio fidei ha qualcosa che fare con la
salvezza eterna.
Elemento 4: Allevabit eum Dominus: lo rialzerà: ἐγερεῖ αὐτὸν ὁ κύριος.
Questo rialzare non è l`effetto dell`unzione, ma è attribuito al Kyrios che rialza per la
forza della oratio fidei. Per capire il senso di ἐγείρειν bisogna fare lo stesso tirocinio del
conteggio delle parole. Bisogna chiederci se ἐγείρειν in senso corporale o escatologico?

Nel NT (tranne le lettere apostoliche)


147x in senso profano, corporale
di cui 15x «alzarsi da malattia»
Lettere apostoliche
10x: risurrezione dei morti
48x: risurrezione di Cristo
21x: la nostra risurrezione (nel battesimo, alla fine dei tempi)
Conclusione (Gc5,15):
– l`impiego di ἐγείρειν in Gc 5, 15 significa «essere alzato dal letto della malattia
diventa segno di salvezza escatologica»
– Il κύριος ha il potere di alzare l’uomo dalla malattia ma anche e soprattutto rialzarlo
alla salvezza eterna. Lui ha il potere di sparire lo stato di sofferenza dalla malattia in
assoluto, fa passare l`uomo alla risurrezione e la vita eterna, perciò σῴζειν ed ἐγείρειν in
Gc 5 danno a tutta questa azione malattia il alzarsi, preghiera dei presbiteri, unzione con
l`olio, tutto questo senso da il significato escatologico pasquale, quindi dobbiamo
chiederci in quale modo questo carattere escatologico-pasquale emerge nei riti celebrati
durante la storia fino ad oggi.
Ogni sacramento celebra la pasqua di Cristo. Una volta durante i secoli medioevali si
sottolineava unilateralmente l’aspetto del perdono dei peccati, poi avendo riscoperto
anche la dimensione corporale del sacramento nel CVII, si corre il pericolo di sottolineare
unilateralmente l’aspetto corporale perdendo un po`di vista l’aspetto escatologico,
dunque è la celebrazione del mistero pasquale di Cristo in cui il malato fa parte e lo
prepara al proprio mistero pasquale.

2.4. La tradizione della Chiesa


Nella storia della chiesa, al riguardo del sacramento la possiamo dividere in 3 periodi:
1) Dal sec. III13 all’epoca carolingia: al centro c`è l`uomo malato nella chiesa, come
la comunità dei fedeli. In questo tempo troviamo alcune testimonianze liturgiche.
Troviamo soltanto preghiere di benedizioni del olio. Lo specifico cristiano
dell’unzione che era costume giudaico, mediterraneo comportava non soltanto
portare l’olio, ma olio benedetto.

13
Prima del III secolo abbiamo preso ciò che emerge della SS. Non vuol dire che nel I-III sec. non si
facevano l’unzione dei malati, ma si c’era.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 17


2) Dal sec VIII al CVII: al centro c’è l’applicazione dell`olio, quindi cambiano le
cose. L’uso del olio passa nelle mani dei sacerdoti e appena qualcosa passa nelle
mani dei sacerdoti si sviluppano i riti. Quindi dal VIII secolo in poi troviamo i riti
d’unzione, si sviluppano dell’unzione molto elaborate, alcuni centri non c’è più
l’uomo ma la comunità dei fedeli, il centro adesso sta la applicazione dell’olio. Ci
si chiede qual è l’effetto dell’applicazione dell’olio? E così con questo si arriva al
CVII.
3) Da 1972 in poi: l’uomo malato nella Chiesa. Nel nuovo rituale abbiamo un
cambiamento nella prassi e si sottolinea la celebrazione comunitaria e al centro di
questa celebrazione, al meno dei testi liturgici nuovi, c`è l`uomo malato al interno
della chiesa, quindi si ritorna all`ecclesiologia antica14.
Dunque vediamo da vicino i tre periodi:

2.4.1. Fino all’epoca carolingia (formulari di benedizione dell’olio)

2.4.1.1.I più antichi formulari (sec. III-V)



TRADITIO APOSTOLICA: Una delle prime testimonianze che troviamo in questa
prima epoca è la Traditio
apostolica. L’ambiente di
questo brano è …, siamo
al III o IV secolo,
testimonianze occidentali
non le conosciamo. La
prima cosa che
conosciamo riguardo al
olio è questa preghiera
che si trova nel cap. 5
della TA. La Traditio nel
capitolo precedente
riporta l’esempio di una
preghiera eucaristica in
occasione
dell’ordinazione di un vescovo, poi aggiunge il 5 capitolo questo brano è attestato soltanto
in un manoscritto latino, perciò può essere dell’inizio del IV sec. Questo brano aggiunge
la possibilità che dopo la preghiera sui doni eucaristici di pane e vino si fanno preghiere
sul olio, e poi anche sul formaggio e olivo. Il testo dice:
Ut oleum…, è un esempio di preghiera. La preghiera dice: se qualcuno offre dell’olio, il
vescovo renda grazie come fa l’oblazione del pane e del vino. Si esprima non con le stesse

14
Bisogna fare attenzione con summun pontificum, perchè se il malato chiede questa, il rituale di Pio V,
applica tutta un`altra ecclesiologia. Quindi la questione non è 5 o 7 croci con olio, o 2, preghiera in latino
o in italiano, ma la questione è la teologia-ecclesiologia, che cosa sta al centro: l’uomo, la comunità o la
applicazione di una materia a cui è abbinato un certo effetto. Questo sviluppo lo vedremo con il confronto
dei testi liturgici.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 18


parole, bensì nella stessa virtus (senso) e con la stessa forza dicendo:
questa primo riferimento suscita pochi problemi, dopo la preghiera eucaristica i fedeli
offrivano olio anche formaggio, era una abitudine, un ringraziamento come per il pane e
il vino e come il compilatore della TA nel 4 cap. da un esempio di preghiera di
ringraziamento eucaristico, qui troviamo l’esempio della preghiera di ringraziamento sul
olio. Il testo dice che non bisogna ripetere le stesse parole che furono dette sul pane e sul
vino, ormai siamo in tempi in cui questi testi sono esempi, ciascuno può pregare come
vuole, basta che la sua preghiera sia fruttuosa, tutto questo significa virtus. Quindi la
preghiera sul olio no soltanto sono parole simile ma la stessa virtus vuol dire che
eucaristiza l’olio. L’idea di trovare momenti di consacrazione sono tardivi, in quel secolo
ciò che interessa è la celebrazione, ciò che si fa insieme con i doni eucaristici che
diventano il corpo e sangue di Cristo e con l’olio che diventa segno di grazia per il malato,
quest`è l’idea del tempo che c’è dietro. Poi segue l’esempio di tale preghiera: ut oleum
hoc sanctificans das (Dio mentre santifichi questo olio, a coloro che ne sono unti, che
l’utilizzano, che lo ricevono, questo oleo con cui ha unto il re, sacerdote e il profeta, che
esso sia conforto a coloro che le gustano e salute15 a coloro che ne fanno uso).
L’effetto dell’olio che qui si chiede è la santità, che Dio santifichi l’uomo e che li dia
conforto e salute sia corporale che spirituale. Da questa preghiera non si può dedurre che
l’olio sia visto esclusivamente come medicina. Ciò che è sicuro è che si chiede qualcosa
di spirituale che solo Dio può dare: la santitas. Poi questo olio può essere gustato, usato
e ricevuto. Non si trova l’idea che sia un presbitero a portare l`olio al malato e a far la
prima unzione, l`unzione la fanno i fedeli stessi e perciò portano il nuovo olio alla
celebrazione della eucaristia per farlo benedire e così ciascuno c`è l`ha in casa, lo utilizza
per se stesso e lo porta quando va a trovare al malato.
Per tanto qui troviamo qualche cosa che non è attestato nel NT. I cristiani non soltanto
imitano ciò che trovano nel NT, ma seguono le usanze della loro cultura e le integrano
nella loro fede. Lo specifico cristiano è che l’olio è benedetto, inoltre vediamo qui come
il ringraziamento fatto sul olio sta alla fine della preghiera eucaristica, ancora non vuol
dire che sia proprio inserita nella preghiera eucaristica perché questa non è fissata, ma
comunque la tradizione romana che segue, segue questa idea di benedire l`olio alla fine
del canone eucaristico che ha anche un significato spirituale, i celebra il mistero pasquale
nella eucaristia, perciò l`olio benedetto è cena perché l`unzione fa partecipare l`uomo in
modo speciale nel mistero pasquale di Cristo, perciò ha senso unire la benedizione
dell`olio alla preghiera sui doni eucaristici.
L’usanza romana della tradizione romana si sviluppa con il diffondere della TA in atri
testi anche di ambienti romani. Sulla remissione dei peccati qui non si è detto niente, solo
implicitamente perché si chiede santitas, una santitas senza remissione dei peccati
semplicemente non può essere possibile perciò se ci sono peccati Dio li rimetti.

15
Chavasse fa notare che sanitatem si trova due volte in questo testo e lui dice che probabilmente sia meglio
di omettere. Se si omette il primo riferimento: sanitas ciò che segue: unde…, perciò Botte crede che si tratti
di uno sbaglio di lettura e invece di sanitas si legge sanitatem, quindi la santità viene chiesta, si chiede che
Dio santifichi l’uomo culto e poi che dia anche conforto a quelli che gustano dell`olio.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 19


Altro testo:
TESTAMENTUM DOMINI. Siamo in Siria nel V sec. come la TA anche Testamentum
Domini é un regolamento ecclesiastico. Il testo lo troviamo nella citazione al numero 4.
Questo documento si dichiara se stesso il testamento del Signore prima dell`ascensione,
l`autore non è conosciuto. Per noi è interessante che troviamo una preghiera sul olio: sic
sacerdos…, se il sacerdote consacra l`olio la guarigione… ponendo davanti all`altare dica
a bassa voce16.
Domine Deus, qui concessisti nobis…, qui per illo dono17. Si chiede come effetto:
Ut liberet laborantes…………liberare gli affaticati
Sanet aegrotantes…………….guarire ai malati
Santificet redeuntes………….santifichi coloro che si convertono che sono i
battezzanti.
Quindi un olio che viene utilizzato per gli afflitti, malati e per i catecumeni. Dunque la
guarigione corporale entra tra le opere con cui Dio si manifesta, dopo viene la guarigione
spirituale e corporale, e poi santificare i battezzanti, questa è un’opera di santificazione.
Lo si vede come una richiesta di guarigione corporale trova molto spazio, quindi l’opera
di guarigione entra come l’opera in cui Dio si manifesta, anche qui non è detto niente su
come l’olio viene amministrato o a qui tocca ungere, siamo ancora in un ambiente dove
l’applicazione del olio dipende dalla gente, non al sacerdote. Parallelamente si trovano:
CONSTITUTIONES APOSTOLORUM. Ordinamento ecclesiastico, siamo in Siria,
stesso secolo IV. Le Costituzioni apostoliche ugualmente si trova una benedizione
dell’acqua e del olio inserita di origine sconosciuta. La benedizione dell’acqua e del olio
insieme. (Ver citazione 5).
De acqua autem et olio…, Benedicat episcopus…, in questo testo è interessante per noi
il rapporto tra vescovo, diacono e presbitero, sembra che ci sia un dato interessante: il
primo delegato del vescovo è sempre il diacono, il vescovo delega sempre il diacono. In
tutta la chiesa medioevale l’arcidiacono faceva da vicario generale in assenza del
vescovo. Qui si riflette la stessa mentalità è compito del vescovo benedire l`olio, se però
il vescovo non è presente benedicat presbytero però presente il diacono, è il diacono che
deve stare attento che il presbitero faccia in modo giusto, non è il presbitero che comanda
il diacono, perché il diacono è il delegato del vescovo. Quando autem aderit…, il
presbitero e il diacono sono idonei nella stessa categoria del assistente adsistant
presbyter…, quando non c’è il vescovo si stabiliscono i poteri. Anche qui la gente porta
olio e acqua, quindi la gente offre olio e acqua. Inizia il testo di benedizione:
O Signore Sabaoth…, espelle le malattie: qui non c’è dubbio che si tratta di salute non
solo spirituale ma anche di guarigione corporale, va insieme all’espulsione dei demoni,
perché sono loro che portano la malattia corporale, quindi quando si chiede la guarigione
corporale bisogna anche chiedere scacciare i demoni perché sconfigge le insidie.

16
Ya dalla rubrica mette l`accento sulla guarigione, questa idea viene raforzata con il testo della preghiera.
17
Che hai dato il dono della guarigione a coloro che per il dono della tua grazie sono considerati degni

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 20


Sciccolone vede un accostamento fra malattia e demoni, ma secondo il professore
Tymister l’accostamento viene dall’idea che i demoni portano la malattia. Dunque per
concludere: acqua e olio sono visti come medicine universali, sia corporale sia spirituale.
Pian piano troviamo due formule anche nel così detto:
Eucologicum di Seraphionem a causa di differenze dottrinali che vengono dal
testimonio proprio da celebrare, attribuito a Seraphion, perciò porta il suo nome. Siamo
in ambiente egiziano nel IV-V sec. Questo Eucologium è una raccolta di preghiere e
troviamo una benedizione per l`olio e per l’acqua, e una benedizione sul olio dei malati
e alche sull’acqua.
Il primo, la benedizione sul olio e sull’acqua, citazione 6, troviamo una oratio pro oleis
et aquis oblatis:
Benedicimus per nomen unigeniti tui Iesu Christi has creaturas, nomen nominamus
eius, qui passus est, crucifixus est et resurrexit et sedet in dextera increati, super hanc
aquam et hoc oleum: 2. Largire virtutem curationis in has creaturas, ut omnis febris
et omne daemonium et omnis morbus per potum18 et unctionem19 removeatur, et fiat
remedium curationis et remedium integritatis perceptio harum creaturarum20 in
nomine unigeniti tui Iesu Christi, per quem tibi gloria et imperium in sancto spiritu in
omnia saecula saeculorum, amen.
Quindi si chiede una virtus durationis, una forza della guarigione con questi elementi:
olio e acqua, ut omnis febris et omne daemonium et omnis morbus…, sia allontanata ogni
malattia e anche il demonio può essere chi porta la malattia.
Il secondo testo: citazione 7: benedizione sul olio dei malati e sull’acqua. Il testo stesso
che troviamo qua sembra una benedizione soltanto per l’olio, ma cambiando due o tre
parole si può usare anche per l`acqua.

7) Euchologium Serapionis XXIX, ed. F. X. Funk, Didascalia et Constitutiones Apostolorum, vol 2,


Paderborn 1905, 191-193

Oratio in oleum aegrotorum vel in panem vel in aquam.

1. Invocamus te, qui habes omnem potestatem et virtutem, salvatorem omnium


hominum, patrem domini nostri et salvatoris Iesu Christi, et oramus, ut emittas21 vim
sanationis e caelis unigeniti super hoc oleum, ut eis, qui his tuis creaturis22 unguntur vel
eas percipiunt, fiat in depulsionem omnis languoris et omnis infirmitatis23, in remedium
adversus omne daemonium, in expulsionem omnis spiritus immundi, in segregationem
omnis spiritus nequam, in exstirpationem omnis febris et frigoris et omnis imbecillitatis,
in gratiam bonam et remissionem peccatorum, in remedium vitae et salutis, in sanitatem
et integritatem animae et corporis et spiritus [1 TS 5,23], in valetudinem perfectam. 2.
Timeat, Domine, omnis operatio diabolica, omne daemonium, omnes insidiae

18
Significa l`acqua
19
Significa l`olio
20
Affinché l’applicazione di questi creature diventi un doppio rimedio per la guarigione e rimedio per
l’integrità, quindi ciò che si chiede è una guarigione sia corporale, sia spirituale, anche se il testo mette un
accento molto forte sulla guarigione corporale, però un effetto spirituale non è mai escluso
21
Adesso che possiamo notare che c`è già il verbo emmito.
22
Olio et acqua
23
Questa formula passa al ambiente romano-gallicano, si trova nel GeV 1537.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 21


adversarii, omnis plaga, omne supplicium, omnis dolor, omnis labor vel ictus vel
concussio vel umbra mala nomen tuum sanctum, quod invocamus nunc, et nomen
unigeniti, 3. Et abeant ab internis et externis servorum tuorum horum, ut glorificetur
nomen eius, qui pro nobis crucifixus est et resurrexit et languores nostras et infirmitates
suscepit. Iesu Christi [Is 53,4], et venturus est, iudicare vivos et mortuos, quoniam per
eum tibi gloria et imperium in sancto spiritu et nunc et in omnia saecula saeculorum,
amen.

Qui cosa si chiede? Si chiede un rimedio contro demoni, spiriti immondi (in remedium
adversus omne daemonium, in expulsionem omnis spiritus immundi), tre volte, si chiede
altrettanto tre volte la guarigione di tutte le malate fisiche e mentali (in exstirpationem
omnis febris et frigoris et omnis imbecillitatis). Poi continua: in gratiam bonam et remissionem
peccatorum, l’importante è la salute e integrità del corpo e dello spirito, quindi una salute perfetta.
Quindi l’olio è pensato come qualche cosa di medicina per il corpo e per lo spirito, non dice nulla
su chi, quando e come viene applicato questo olio, dice soltanto unguntur vel eas percipiunt.
Poi importante per noi si chiede: in gratiam bonam et remissionem peccatorum, ci chiediamo
cosa ha che fare l’olio con la remissione dei peccati? Noi abbiamo costruito un sacramento della
remissione dei peccati quasi senza segno sacramentale, l’imposizione delle mani è diventato un
testo giuridico, quindi acquistare un gesto ci sembra difficile, l’olio viene collegato con il processo
della riconciliazione dei penitenti già da Origine, lui è egiziano, quindi viene dello stesso ambiente
che il testo. Origine afferma anche commentando Gc5, 14-15 che l’olio nell’unzione viene
utilizzato per il perdono dei peccati, il significato per noi è molto semplice, perciò abbiamo visto
tutti i testi veterotestamentaria nel suo significato del olio. Nel battessimo abbiamo una unzione
che significa la stessa cosa: spirito, nella riconciliazione viene ristabilito lo stato del uomo
postbatessimale: senza peccato, non si può riutilizzare l’acqua ma si può riutilizzare l`olio.
L`uomo per il perdono dei peccati viene riempito dello Spirito Santo quindi lo spirito maligno se
ne va, peccato non ci possono essere se entra lo Spirito Santo, quindi la consuetudini egiziana è
questa. Interessante per noi è che questa formula del Euchologium sarà ripresa poi in diversi
orazioni occidentali, è presente nel GeV ma anche in altre tante, l’idea è che emittas vim
sanationis o emittas spirito sancto poi viene accolta per l’orazione romana della
benedizione del olio fino ad oggi, e così passiamo ai formulari latini. Fino qua, secolo V,
i formulari latino ancora non esistevano.

2.4.1.2. I formulari latini


La prima formula romana si trova nel GeV 382, poi ripresa dal Gr ed entra nel rituale.
Poi nel Gr 334, poi nel Pontificale nel giovedì santo; nel Ordo del 1972 nella benedizione
del olio.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 22


2.4.1.2.1. La formula Emitte

Per adesso vediamo i testi del GeV:

(RUBRICA24). 381. BENEDICTIO OLEI. Ad populum in his uerbis: Istud oleum ad unguendos
infirmos. Ut autem ueneris Nobis quoque peccatoribus famulis tuis et reliqua usque ad Per
Christum Dominum nostrum. Et intras:

(TESTO). 382. Emitte, quaesumus, domine, spiritum sanctum paraclytum de caelis in hac
pinguidine olei, quam de uiride ligno producere dignatus es ad refectionem mentis et corporis. Et
tua sancta benedictio sit omni unguenti, gustanti, tangenti tutamentum corporis animae et spiritus,
ad euacuandos omnes dolores, omnem infirmitatem, omnem egritudinem mentis et corporis, unde
uncxisti sacerdotes reges et prophetas et martyres, chrisma25 tuum perfectum, a te domine,
benedictum, permanens in uisceribus nostris26: in nomine domini nostri Iesu Christi: per quem
haec omnia, domine, semper bona creas. Et cetera.

(Manda, Signore, dal cielo lo Spirito Santo Paraclito, in quest’olio che hai voluto trarre da un
verde albero per ristorare lo spirito e il corpo. La tua santa benedizione diventi, per chiunque ne
sia unto, lo beva o se lo applichi, rimedio del corpo, dell’anima e dello spirito, che scacci ogni
dolore, ogni debolezza, ogni male dello spirito e del corpo; quest’olio con cui hai unto i sacerdoti,
i re e i profeti e i martiri, l’ottimo crisma che tu hai benedetto, Signore, rimanga nelle nostre
viscere, nel nome di Gesù Cristo nostro Signore [...].)

Più concreto diventa il Gr la rubrica 333: Cf. citazione 9:

9) GrH 333-334, ed. J. Deshusses, Fribourg 31992 (77 ORATIO IN CENA DOMINI
AD MISSAM)
333. In hoc ipso die ita conficitur chrisma in ultimo ad missa, antequam dicatur per quem
haec omnia domine semper bona cras, leuantur de ampullis quas offerunt populi, et
benedicat tam domnus papa quam omnes presbyteri.
Qui senza specificare si riutilizza il termine più antico: chrisma. Il testo seguente è più
meno lo stesso:
334. Emitte domine spiritum sanctum tuum paraclytum de caelis, in hanc pinguedinem
oliuae quam de uiridi ligno producere dignatus es ad refectionem corporis ut tua sancta
benedictione sit omni unguenti tangenti tutamentum mentis et corporis ad euacuandos

24
La rubrica specifica di più, a differenza del testo, invece di dire Istud oleum ad unguendos infirmos il
testo conserva la dicitura chrisma tuum perfectum, a te domine, benedictum, permanens in uisceribus
nostris.
25
La parola più usata per l`olio è chrisma. Quindi questa è una indicazione per sapere che il testo proviene
del ambiente romano alla fine del IV sec V.
26
Quindi la benedizione del olio è inserita nel canone dopo il Nobis quoque peccatoribus, prima la formula
per haec omnia. Ma se qualcuno chiede che alla fine del canone, preghiera eucaristica I in per haec omnia
il sacerdote congiunge le mani, la ragione è perché prima di questa formula conclusiva venivano inserite le
diverse benedizioni, importante per noi è se qualcuno adesso dice che l`eucaristia non si può toccare, non
si può inserire niente, ma partendo da questo dato vediamo come si potevano inserire altre preghiere pure
nel canone, quindi le cose non erano stabili come a volte pensiamo, quindi l`utilizzo de la preghiera chrisma,
è una orazione trattabile al inizio del V secolo, verso alla fine del IV.
Andando avanti vediamo che più concreto diventa il Gr.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 23


omnes dolores, omnesque infirmitates, omnem aegritudinem corporis, unde unxisti
sacerdotes, reges, prophetas, et martyres, chrisma tuum perfectum domine a te
benedictum permanens in visceribus nostris, in nomne domini nostri iesu christi. Per
quem haec omnia domine.
Quindi il papa benediceva al altare, mentre i presbiteri benedicevano le altre ampolle nel
presbiterio, quindi il popolo portava l’olio metteva le ampolle sul pavimento del
presbiterio e poi in quel momento verso la fine della preghiera eucaristica i diaconi
prendevano alcune ampolle le leggevano sopra l’altare le altre ampolle venivano messe
sulle ballastre intorno al altare, questo funzionamento si trova descritto molto dettagliato
nel Ordo romanus XXX b, 11-14.
Ordo romanus XXX b: è l`ordo del giovedì santo, una cosa che proviene del VIII sec, si
lavora in Francia, ma si sforza per riprendere la liturgia romana, per noi importanti i
numeri 11-14 che ci descrivono la situazione:
Dum venerit ad finem, siamo alla messa del Giovedì santo che al nord degli Alpi nel
ambiente gallicano era una soltanto. Cf. Analisi del testo.
Quindi per il testo della orazione del Emitte abbiamo due versioni:
a. Quella del GeV. Evidentemente questa è la più vecchia, quindi la più disordinata,
risale a un testo egiziano e li sta a fondo una benedizione del olio per l’unzione
degli sposi di origine egiziano che poi il GrH ha semplificato un po’. Vediamo il
contenuto:
b. Quella del GrH.
Contenuto della orazione nel GeV:
382. Emitte, quaesumus, domine, spiritum sanctum paraclytum27 de caelis in hac pinguidine olei,

27
L`anamnesis c’è già nel canone eucaristico, perciò no aveva bisogno di chiarificare. Così segue bene la
parte d’intercezioni. Questa epiclesi introdottivi è dell’effetto dell`unzione proviene dallo Spirito Santo non
dal loro, poi si vede come prima della benedizione l`olio ha un effetto medicinale al corpo e anche per la
mente: ad refectionem mentis et corporis, prima della benedizione: de uiride ligno producere dignatus es
ad refectionem mentis et corporis.
Quindi effetti mediciali per mente e corpo prima della benedizione dopo l`epiclesi diventa un rimedio per
il corpo e l`anima: tutamentum corporis animae et spiritus. ad euacuandos omnes dolores, omnem
infirmitatem, omnem egritudinem mentis et corporis. Vediamo il documento di Euchologium Serapionis
che menziona anima, corporis et Spiritus, non solo l’idea di fondo, ma il testo di fondo ha molto di più
senso:
Dunque abbiamo:
GeV Gr
382. Emitte, quaesumus, domine, spiritum sanctum 334. Emitte domine spiritum sanctum tuum
paraclytum de caelis in hac pinguidine olei, quam paraclytum de caelis, in hanc pinguedinem oliuae
de uiride ligno producere dignatus es ad quam de uiridi ligno producere dignatus es ad
refectionem mentis et corporis. Et tua sancta refectionem corporis ut tua sancta benedictione sit
benedictio sit omni unguenti, gustanti, tangenti omni unguenti tangenti tutamentum mentis et
tutamentum corporis animae et spiritus, ad corporis ad euacuandos omnes dolores, omnesque
euacuandos omnes dolores, omnem infirmitatem, infirmitates, omnem aegritudinem corporis, unde
omnem egritudinem mentis et corporis, unde unxisti sacerdotes, reges, prophetas, et martyres,
uncxisti sacerdotes reges et prophetas et martyres, chrisma tuum perfectum domine a te benedictum
chrisma tuum perfectum, a te domine, benedictum, permanens in visceribus nostris, in nomne domini
permanens in uisceribus nostris: in nomine domini nostri iesu christi. Per quem haec omnia domine.
nostri Iesu Christi: per quem haec omnia, domine,
semper bona creas. Et cetera.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 24


quam de uiride ligno producere dignatus es ad refectionem mentis et corporis. Et tua sancta
benedictio sit omni unguenti, gustanti, tangenti tutamentum corporis animae et spiritus, ad
euacuandos omnes dolores, omnem infirmitatem, omnem egritudinem mentis et corporis, unde
uncxisti sacerdotes reges et prophetas et martyres, chrisma tuum perfectum, a te domine,
benedictum, permanens in uisceribus nostris: in nomine domini nostri Iesu Christi: per quem
haec omnia, domine, semper bona creas. Et cetera.
(Manda, Signore, dal cielo lo Spirito Santo Paracleto, in quest’olio che hai voluto trarre da un
verde albero per ristorare lo spirito e il corpo. La tua santa benedizione diventi, per chiunque ne
sia unto, lo beva o se lo applichi, rimedio del corpo, dell’anima e dello spirito, che scacci ogni
dolore, ogni debolezza, ogni male dello spirito e del corpo; quest’olio con cui hai unto i sacerdoti,
i re e i profeti e i martiri, l’ottimo crisma che tu hai benedetto, Signore, rimanga nelle nostre
viscere, nel nome di Gesù̀ Cristo nostro Signore [...].).

Particolarità e indicazioni della orazione:


La orazione del GrH semplifica e organizza un po’`, a differenza del GeV.
Nella riga 4 si enumerano effetti corporali: ad euacuandos omnes dolores,
omnem infirmitatem, omnem egritudinem mentis et corporis, ma non si
escludono quelli spirituali.
Nella riga 5 troviamo una terza indicazione: unde uncxisti sacerdotes reges et
prophetas et martyres. Abbiamo visto l’esempio delle unzioni dei sacerdoti e i re
in senso allegorico antico che i profeti vengono anche detti unti anche se non
troviamo la fonte dell’unzione dei profeti nel AT, ma qui il testo aggiunge anche
i martiri, l’origine dell`unzione dei martiri l`abbiamo vista nella TA, che era una
azione simbolica, un unzione che significa guarigione delle ferite, per quanto
riguarda ai martiri. Guarigione delle ferite e poi salvezza eterna perciò in senso
simbolico si dicono unti anche i martiri, è una idea che si riferisce a personaggi
del AT come Susanna e i giovani della fornace che godevano di grande
venerazioni dei cristiani del periodo.
Poi cerchiamo il modo di utilizzare questo olio, nella riga 3 dice il testo: sit omni unguenti,
gustanti, tangenti tutamentum corporis animae et spiritus, quindi ci si poteva ungere
con l’olio, gustare, mangiare di qualche modo, poi tangenti, cioè si può toccare. Se
saltiamo al GrH: sit omni unguenti tangenti…, vediamo che l’idea di gustanti, è stata
tolta. Con l’orazione del GrH o viene dal testo romano in un’epoca tardiva passata al nord
degli Alpi, rimane però speculazione in quale contesto è stato tolto l’idea di degustare, di
mangiare. Questa è stata tolta già a Roma perché è caduta in disuso oppure l’idea di
mangiare è stata tolta in ambiente nord Alpino perché semplicemente non era costume
mangiare olio d’oliva, perché costava molto bisognava portarlo dal Sud quindi si avevano
a disposizioni piccole qualità. Quindi ungere, toccare, in origine nord Alpino anche
mangiare. Questo formulario: Emitte, quaesumus si diffonde grazie alla diffusione di
questi sacramentari, ci sono anteriori al sec VII altri formulari latini di tradizione ispanica,
ambrosiana e tra questi formulari spica una preghiera con titolo In tuo nome che
ritroviamo nel PRG, sezione 99, 296.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 25


2.4.1.2.2. La formula In tuo nomine
È un testo chiaramente di origine gallicano, la storia è un po`enigmatica, molto
probabilmente è un testo che proviene della fine del VII sec e poi si diffonde nel X sec.
la caratteristica di questo testo che riflette anche la caratteristica della mentalità è un lungo
elenco di malattie, importante per noi è leggere le righe 15-23, pag. 80, riporta pure a che
cosa serve l’olio. La preghiera è dettagliata per non dimenticare nulla.
Accanto al effetto medicinale, che è l’effetto primario, bisogna menzionare che anche i
magi perché si credeva che erano loro che provocavano le malattie e perciò se guardiamo
il testo, dopo l’effetto medicinale-corporale ha l’effetto antropofaico (allontanamento del
maligno) e a questo aspetto viene dato altro spazio, riga 23-35 del testo.
Riguardo alla remissione dei peccati la troviamo soltanto in un ordo sott`intesso non
ulteriormente, interessante che in altre preghiere del tempo la remissione dei peccati è
molto presente, qui la troviamo soltanto in una citazione di Gc 5, 15, cf, p. 79, righe 27-
30.
Chi applica l’olio? Troviamo una allusione a p. 80, riga 9: Dederimus…, ma chi unge, in
che modo? In quale contesto? Non è detto, il testo non da riferimento. Quando il testo si
è inserito nel PRG già si sapeva l’orientamento precise per l’unzione.
Conclusioni di questo primo periodo:
Si può affermare che fino al VIII secolo troviamo soltanto formule di benedizione
del olio. La benedizione del olio in origine viene fata dal vescovo nella messa e
poi a Roma si stabilisce nel giovedì santo come giorno della benedizione del olio.
In Oriente poteva essere in assenza del vescovo.
In primo piano questi testi sembrano di essere di effetto medicinale, mai viene
escluso l’effetto escatologico e troviamo poche allusioni alla remissione dei
peccati, sembra essere una cosa sottintesa (bisogna tener presente che ancora un
sistema penitenziale in corso non esiste, perciò non si poteva legare l’unzione alla
remissione dei peccati).
Altra osservazione: la formula classica romana: emitte domini spiritum
sanctum…, sembra avere radici orientali.
L’applicazione dell’olio d’unzione viene fata sia del vescovo/presbiteri ma
soprattutto dei fedeli stessi.
Ancora non ci sono riti per l’unzione, semplicemente si unge come i cristiani
ungevano i malati. Lo specifico cristiano è la benedizione dell’olio e non una
magia attribuita a loro.
È interessante che in questi secoli troviamo in Agostino una prima definizione di
sacramento: accedit verbum ad elementum, et fit Sacramentum. Benedizione della parola,
l’elemento del olio, quindi il sacramento per Agostino sarebbe l’olio. Riguardo all’uso,
con l’olio si poteva ungere, toccare o anche mangiare, solo che il mangiare sembra che
dopo era in disuso. Avvicinandoci alla storia chiediamoci in che modo viene applicato,
qualche in formazione si trova negli scrittori ecclesiastici.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 26


2.4.1.3. Gli scrittori ecclesiastici: La visita agli infermi è l’applicazione
dell’olio
Interessante che sin dal prima del III secolo mancano le testimonianze. Nel terzo secolo
la visita ai malati era raccomandato da quelli che avevano ministero nella comunità,
diaconi, presbiteri e soprattutto il vescovo, interessante che ai presbiteri e ai vescovi era
raccomandato visitare ai malati non la celebrazione della messa quotidiana. Basta leggere:
Policarpo, Ai Filippesi VI, 1 (SChr 10, 210-211) i presbiteri visitino i malati. Poi
nella:
Traditio apostolica. Si vede come compito dei diaconi segnalati dal vescovo i
malati da visitare, cf. citazione 10:

Traditio Apostolica 34, ed. B. Botte, Münster 51989


34. Diaconus uero unusquisque cum subdiaconibus ad episcopum observent. Suggeretur
etiam illi qui infirmantur, ut, si placuerit episcopo, uisitet eos. Ualde enim oblectatur
infirmus cum memor eius fuerit princeps sacerdotum.
Quindi l’importante è la visita, non è detto niente sull’unzione, ma in testimonianze simili
si sente le preghiere sul malato. I testi di benedizione del olio suggeriscono l’unzione
come prasi abituale fata dal malato steso, dai parenti, e dai presbiteri, diacono e vescovi
che andavano a trovare il malato. L’importante per noi tenere in mente che è sempre il
vescovo che benedice l’olio, portare l`olio al malato potevano fare gli altri anche i diaconi
e i laici. Informazione più concreta e precisa la troviamo nella famosa lettera Si instituta
ecclesiastica di Innocenzo I.

2.4.1.3.1. Innocenzo I (402-417)


Si tratta della lettera del vescovo Decenzio a Innocenzo, il vescovo manda la lettera
attraverso il diacono Celestino. Questa lettera di Decenzio a Innocenzo è persa, non
l’abbiamo più, c’è soltanto la risposta di Innocenzo che da alito alle domande di Decenzio.
Anche se Gubbio era lontana da Roma il punto di riferimento per una diocesi di periferia
è il più grande centro del Vescovo, quindi quando un vescovo di periferia non sapeva
esattamente come fare sia obbligo di…, secondo la situazione di Gubbio era il centro più
vicino a Roma, quindi il riferimento per il vescovo di Gubbio era il vescovo di Roma,
quindi chiede al Papa e il Papa risponde.

Citazione 11:
Dalla lettera di Papa Innocenzo I a Decenzio, vescovo di Gubbio (PL XX, 559B-561A; DH
216)

Sane quoniam de hoc, sicuti de coeteris, consulere voluit dilectio tua, adiecit
etiam filius meus Coelestinus diaconus in epistola sua, esse a tua dilectione
positum illud, quod in beati apostoli Jacobi epistola conscriptum est: “Si
infirmus aliquis in vobis est, vocet presbyteros, et orent super eum, ungentes
eum oleo in nomine Domini, et oratio fidei salvabit laborantem et suscitabit
illum dominus, et si peccatum fecit, remittet ei”.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 27


Quod non est dubium de fidelibus aegrotantibus accipi vel intelligi debere, qui
sancto oleo chrismatis perungi possunt, quod ab episcopo confectum, non
solum sacerdotibus, sed et omnibus uti christianis licet, in sua aut in suorum
necessitate unguendum. Caeterum illud superfluum esse videmus adiectum, ut
de episcopo ambigatur, quod presbyteris licere non dubium est. Nam idcirco
“presbyteros” dictum est, quia episcopi occupationibus aliis impediti ad omnes
languidos ire non possunt. Caeterum si episcopus aut potest, aut dignum ducit
aliquem a se visitandum, et benedicere et tangere chrismati sine cunctatione
potest, cuius est chrisma conficere. Nam poenitentibus istud infundi non potest,
quia genus est sacramenti. Nam quibus reliqua sacramenta negantur
quommodo unum genus putatur posse concedi?

(Dato che hai voluto consultarci su ciò come anche su altre cose, mio figlio, il
diacono Celestino ha aggiunto nella sua lettera, che hai messo in questione ciò
che è scritto nella lettera del beato apostolo Giacomo: [Gc 5,14-15].

Non c’è dubbio che ciò28 si debba intendere e comprendere riguardo ai fedeli
malati che possono essere unti con l’olio santo del crisma che è consacrato dal
vescovo ed è permesso usarne non solo ai sacerdoti, ma anche a tutti i cristiani,
per fare l’unzione nelle loro necessità personali, o in quelle dei loro cari. D’altra
parte, quella aggiunta ci sembra superflua: ci si chiede se il vescovo possa ciò
che è certamente permesso ai presbiteri. Infatti il motivo per cui si parla dei
“presbiteri” è che i vescovi, impediti da altre occupazioni, non possono recarsi
presso tutti i malati. Tuttavia, se un vescovo ne ha la possibilità, e se ritiene che
qualcuno meriti di essere visitato da lui, lo può benedire e applicargli il crisma
senza esitazione, colui che fa il crisma. Però, non si può versarlo sui penitenti,
perché appartiene ai sacramenti. Infatti, come pensare che si possa concederne
uno di questa specie a colui al quale si negano gli altri sacramenti?)

Analisi:
Adesso bisogna trovare le domande di Decenzio, altrimenti non si capisce la risposta.
Inseguito alla citazione di Gc , 5, 15: se qualcuno è malato chiami i presbiteri,
Decenzio fa una domanda: chi sono i malati? I fedeli? O anche coloro che erano
anche esclusi del tempio? O forse i catecumeni? Poi chi è malato chiami i
presbiteri? Chiede Decenzio: ah si deve chiamare i presbiteri, quindi sono esclusi
i vescovi.
La risposta di Innocenzo: Non c’è dubbio che ciò29 si debba intendere e comprendere
riguardo ai fedeli malati, quindi i malati di cui parla Gc 5, 15 sono i fedeli non i
catecumeni e non i penitenti pubblici perchè questi sono scomunicati
temporaneamente.
Dice Innocenzo: l’olio appartiene ai sacramenti, il testo latino adesso è
importante: quia genus est sacramenti. In questo contesto il Papa afferma che
possono applicare l’olio i presbiteri e anche tutti i cristiani, i malati stessi e anche

28
Che ha scritto Gc.
29
Che ha scritto Gc.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 28


i parenti del malato.
Poi dice sulla prassi romana: il vescovo benedice l’olio, colui che fa il crisma:
l’olio santo del crisma che è consacrato dal vescovo. Quindi colui che fa il crisma, il
vescovo, anche lui lo può applicare, lui può andare a trovare il malato e ungerlo,
non fa senso negare al vescovo quello che fa il presbitero.
Gc 5, 14-15: dice presbiteri perchè il vescovo spesso non ha tempo, e poi questo
testo ha davanti una certa gerarchia della comunità di Gc, mentre ormai al tempo
di Innocenzo I a Roma la gerarchia è diversa perché ci sono anche delle zone,
quindi secondo Innocenzo I è compito dei presbiteri di aiutare al vescovo in questo
ministero, aiutare a ungere ai malati, non soltanto celebrare la mesa.
Poi nel linguaggio della chiesa antica l’olio e sacramento non l’unzione,
Innocenzo I dice che anche l’eucaristia appartiene ai sacramenti.
Poi importante per noi la conclusione della lettera: i penitenti non possono
ricevere l’olio perché è un sacramento, i penitenti non possono ricevere nemmeno
olio, però non si può trattare i malati moribondi, perché prima della morte tutti
penitenti in qualsiasi momenti potevano riconciliarsi subito e potevano ricevere
l’eucaristia, quindi un moribondo era riconciliato, poteva ricevere sia l’olio sia
l’eucaristia. I fedeli malati di qui si parla non sono moribondi, lui si riferisce ai
malati in genere, senza dire nulla del grado della malattia.
Un’altra testimonianza la troviamo in Beda.

2.4.1.3.2. Beda il Venerabile (+735)



Se con Innocenzo siamo nel V sec, con Beda siamo in ambiente anglosassone al inizio
del VIII sec in un ambiente in cui esistesse un sistema penitenziale molto stabilito, quello
monastico tariffato che i missionari avevano portato. Una prima indicazione la troviamo
in:
Comento di Beda al vangelo di Mc. In Marcum II, 6, 12-13. Commentando
questo brano Beda scrive (cf. citazione 12):
BEDA VENERABILIS, In Marcum II, 6,12-13, ed. D. Hurst (CChr.SL 120), 506
Vnde patet ab ipsis apostolis hunc sanctae ecclesiae morem esse traditum ut energumeni
uel alii quilibet aegroti ungantur oleo pontificali benedictione consecrato.
Beda vuole giustificare l’usanza della sua chiesa locale collegando Mc 6, 12-13 con Gc
5, 14-15. Quindi è tradizione apostolica della chiesa di ungere sia i possessi e tutti gli altri
malati con l’olio benedetto dal vescovo. Interessante che ne in Mc 6 ne in Gc 5, dice che
bisogna ungere i possessi, quindi Beda giustifica l’usanza che conosce, quindi nel
ambiente di Beda si ungono con l’olio benedetto dal vescovo tutti i malati e i possessi
(malati spirituali sicuramente). Non è detto niente su chi applica l’olio. Poi Beda parla
più apertamente su l’unzione nel suo comento alla lettera di Gc.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 29


Una seconda indicazione la troviamo: In Iac 5, 14-15.
BEDA VENERABILIS, In Iac 5, 14-15, ed. M. L. W. Laistner (CChr.SL 121), 221-222
5,14-15. Infirmatur quis in vobis? inducat presbiteros ecclesiae, et orent super eum. Sicut dederat
contristato sic dat et infirmanti consilium qualiter se a murmurationis stultitia tueatur iuxtaque
modum vulneris modum ponit et medellae tristato praecipiens ut ipse pro se oret et psallat
infirmanti autem vel corpore vel fide mandans ut quo maiorem sustinuit plagam plurimorum eo
se adiutorio et hoc seniorum curare meminerit neque ad iuniores minusque doctos causam suae
imbecillitatis referat ne forte quid per eos allocutionis aut consilii nocentis accipiat.
Et orent, inquit, super eum ungentes eum oleo in nomine domini, et oratio fidei salvabit infirmum.
Hoc et apostoli in evangelio fecisse leguntur30, et nunc ecclesiae consuetudo tenet ut infirmi oleo
consecrato ungantur a presbiteris et oratione comitante sanentur31. Nec solum presbiteris sed ut
Innocentius papa scribit etiam omnibus christianis uti licet eodem oleo in suam aut suorum
necessitatem ungendo, quod tamen oleum non nisi ab episcopis licet confici. Nam quod ait, oleo
in nomine domini, significat oleo in nomine domini consecrato vel certe quia etiam cum ungant
infirmum nomen domini super eum invocare pariter debent.
Et si in peccatis sit, dimittentur ei. Multi propter peccata in anima facta infirmitate aut etiam
morte plectuntur corporis. Unde apostolus [Paulus] Corinthiis quia corpus domini indigne
percipere erant solita ait: „Ideo inter vos multi infirmi et imbecilles sunt et dormiunt multi.“ [1
Cor 11,30] Si ergo infirmi in peccatis sint et haec presbiteris ecclesiae confessi fuerint ac perfecto
corde ea relinquere atque emendare satagerint, dimittentur eis; neque enim sine confessione
emendationis peccata queunt dimitti.

Punti importanti:
Il malato è un ammalato corpora-corporalmente, di fede. Ma cosa significa un
malato di fede? Di solito Beda utilizza Fides, per la vita dell’anima, o per la vita
di grazia, quindi il malato di fede può essere semplicemente colui che ha peccato,
dunque si danno dei consigli sia all`infermi sia ai peccatori, ai malati di fede. Che
cosa devono fare questi malati? Devono chiamare gli anziani: quo maiorem
sustinuit plagam plurimorum eo se adiutorio et hoc seniorum, quindi devono chiamare
gli anziani, devono aiutarsi attraverso molti degli anziani (qui si insiste sul
plurale). Poi lui capisce presbiterorum già in senso etimologico: anziani, persona
con più esperienza. Gli anziani non sono presbiteri, quindi si pensa alle persone
che hanno una esperienza perciò aggiunge l’ultima riga: neque enim sine confessione
emendationis peccata queunt dimitti. Devono avere la necessaria esperienza per dare i
consigli, ciò che ai giovani è impossibile.
Nel secondo capo verso Beda cita Innocenzo I che permette l’uso del olio, è
importante soltanto che sia consacrato e benedetto dal vescovo, quindi Beda vuole
che si rispetti Innocenzo, solo questi laici che ungono devono essere gli anziani
quelli che hanno esperienza,
poi interpreta in nomine domini e lo riferisce alla preghiera di benedizione e poi in
secondo luogo ha l’invocazione del nome del Signore sul malato: nomen domini super
eum

30
Mc 6, 12-13.
31
Può ungere un presbitero e questa unzione è accompagnata da una oratio, da una preghiera.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 30


Nel terzo paragrafo: Et si in peccatis sit, dimittentur ei. Prima volta che ci troviamo
il riferimento al perdono dei peccati.
Multi propter…, nell’analisi di questo paragrafo la prima cosa che vediamo è che
Beda vede (im)possibile la causalità tra peccato personale e malattia, la
remissione lui la lega alla confessione, dobbiamo avere presente che il sistema
della penitenza tariffata proveniente dai monasteri andava benissimo, ma queste
è il suo sistema penitenziale. La confessione importante per individuare secondo
il libro tariffario e individuare la penitenza, è Dio che può perdonare soltanto
quando la penitenza è rispettata, perciò Beda non vede altra possibilità, devi
confessare e fare la penitenza altrimenti Dio non ti perdona i peccati, quindi il
monaco inglese conosce soltanto questo sistema.
Quindi abbiamo qui, nel VIII sec un primo collegamento tra unzione e sistema
penitenziale, possibile soltanto negli ambienti dove c’è un sistema penitenziale
fisso. Il sistema penitenziale che veda conosce inoltre è un sistema ripetibile,
reiterabile, perciò non c’è problema di collegare le due cose, l’unzione si può
anche ripetere non è una preparazione alla morte. Quando sul continente qualche
sistema penitenziale canonico che è possibile una volta soltanto, quando questo
sistema penitenziale viene legato con l’unzione il sistema penitenziale spostato
per le ragioni che conosciamo alla fine della vita automaticamente l’unzione viene
spostata alla fine della vita, il problema è il collegamento fra unzione e sistema
penitenziale perciò sul continente poi si sposterà alla fine della vita quindi
vengono i problemi: la penitenza e la riconciliazione ripetibili.
Interessante per noi è il paragrafo seguente: quando Beda commenta Gc 5, 16 che
dice che bisogna confessare i peccati, Beda afferma che ci sono due tipi di peccati:
a. Peccati meno gravi che vengono perdonati tramite la confessione vicendevole.
b. Peccati gravi che bisogna confessare ai presbiteri e bisogna sottomettersi al
processo di riconciliazione e penitenziale.
Conclusione:
a) Nel periodo precarolingio i fedeli portavano olio in chiesa per la benedizione, nel
rito romano la benedizione veniva fata alla fine della preghiera eucaristica nel rito
della messa del giovedì santo. Quando i fedeli non portavano più l’olio non
potevano prendere in chiesa e portarlo a casa.
b) La preghiera di fede in Gc 5, 14-15 è anche una preghiera di consacrazione del
olio.
c) L’unzione è un costume raccomandato, ma non c’è mai un obbligo.
d) Nei paesi nord Alpini tutta la cosa diventa difficile perché l’olio di olivo è costoso,
pe un ambiente che cerca la materia e riflette sul effetto della materia, mentre nel
ambiente mediterraneo l’ungere, l’azione sta nel primo piano, quindi deve essere
benedetto affinché si possa fare qualcosa con l’olio, ungere, anche mangiare.
e) Quando la cosa pasa al nord degli Alpi, in un ambiente in cui ci si interessa del
rito e di ciò che si deve fare, dell’azione, si interessa della cosa e si riflette sul
effetto della cosa. Tutti gli effetti che nel testo appaiono, appaiono come effetti
dello Spirito Santo, adesso vengono attribuito di più alla materia, cioè all’olio e

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 31


diventa una cosa speciale perché non c`è. Poi bisogna enumerare tutti gli effetti,
cf. preghiera in tuo nome, sempre attribuiti allo Spirito: materia: olio e sempre di
più si attribuisce alla materia un effetto magico. Poi vedremo come l’uso del olio
viene vietato alla gente e rimane nelle mani del sacerdote.
2.4.1.4.Le orazioni per la visita agli infermi nel GeV e nel GrH
Prima di passare ai riti di unzione che poi si sviluppano quando l’olio passa alle mani del
sacerdote bisogna dire una parola riguardo alle preghiere. Le preghiere di orazione si
ritrovano nei rituali e non dicono nulla perché son preghiere… così troviamo sia nel GeV
sia nel GrH una sezione con le orazioni da recitare in occasione della visita al infermo.
Siamo ancora in un periodo in cui l’olio era applicato per i laici stessi, presbiteri o
vescovo, ancora non c’è rito dice Beda che in occasione della visita ai malati si applica
l’olio e si fa l’invocazione nel nome del Signore, poi l`invocazione del nome del Signore
era anche la preghiera di benedizione del olio che era il rito importante, ciò che si fa
completamente quando vanno a trovare ai malati che era una cosa molto aperta però qui
troviamo in questi manoscritti (GeV e GrH) che si queste preghiere si trovano nei
sacramentari le preghiere evidentemente sono i sacerdoti a trovare ai malati.
Quindi il GeV conosce le orazioni per la visita agli infermi dal 1535-1543; nel GrH 987-
988. Qui non è detto nulla sull’unzione però possiamo presumere che queste orazioni
erano recitate quando si ungevano i malati, dato che l’unzione era una cosa abituale.
Quindi quando c’era il presbitero o il vescovo a trovare il malato portava anche l`olio e
diceva queste orazioni.
Nel GeV la orazione porta il titolo Oratio super infirmun in domo, i primi tre testi (1535-
1537) evidentemente sono di origine romana, poi 1538 è una aggiunta gallicana.
Nel 1536 si chiede un effetto corporale e anche uno spirituale, non è che uno abbia
la precedenza su altro. Quindi si chiede una guarigione integra.
Nel 1537: formula presa del Euchologium Serapionis, quindi una formula che è
passata a Roma. Alla fine del numero si chiede una guarigione corporale e
guarigione significa nomen sanctum tuum benedicet, quindi benedire in nome
santo di Dio.
Nel 1538: aggiunta gallicana.
Evidentemente le orazioni in occasione alla visita al malato sono orazioni che chiedono
anche e soprattutto la guarigione corporale, se adesso si avvinano questi testi
all`applicazione del olio non diventa chiaro che l`olio nella preghiera intende guarigione
corporale non escludendo anche guarigione spirituale.
Poi si trova la sezione LXX una messa pro infirmun per quelli che non si possono recare
in chiesa. Probabilmente è una messa celebrata in chiesa in cui l`assemblea unita prega
per i malati assenti. Se vediamo il primo testo 1539: omnipotens sempiternae deus…,
questo rendimento di grazie nella chiesa è evidentemente la celebrazione dell’eucaristia,
si chiede guarigione affinché possano rendere grazie a Dio.
La post comunionem, 1542, Deus, infirmitatis…, questa ricorda l`orazione per la
riconciliazione dei peccatori, dei penitenti che chiedono il reingresso nella comunità

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 32


eucaristica, solo che il testo del GeV per la riconciliazione invece di dire ope
mosericordiae tuae adiute aecclaesiae…, quindi le orazioni per la guarigione attingono
alle formule di orazione per la riconciliazione e i testi per la riconciliazione attingono alle
formule della guarigione perché anche la riconciliazione è una guarigione. Anche la
guarigione corporale o mentale comprende la riconciliazione, non c’è guarigione senza
riconciliazione perciò è molto facile attingere i concetti da una celebrazione.
Troviamo poi una orazione dopo la guarigione: Oratio pro red`d`ita sanitatem: 1543,
anche questa con testi per la riconciliazione. Dunque come i testi per la riconciliazione
chiedono la reintegrazione alla comunità, al altare, all’eucaristia, lo fanno anche le
orazioni per la guarigione, quindi il pentimento dopo la guarigione. Guarigione in senso
corporale e in senso spirituale, il senso del perdono dei peccati cono concetti molto simile.
Il penitente escluso dal altare per il periodo di penitenza, il malato escluso dal altare
perché non può recarsi in chiesa, non perchè la malattia sia la punizione per i peccati, ma
perché la riconciliazione è una guarigione e anche la riconciliazione.
Passando al GrH troviamo due orazioni Ad visitandum infirmum:
Numero 987: ricorda a Ezechia che annuncia al re che la sua preghiera è stata
ascoltata, cf. Is 38, 1-4:
In quei giorni Ezechia si ammalò gravemente.
Il profeta Isaia figlio di Amoz si recò da lui e gli parlò: «Dice il Signore: Disponi
riguardo alle cose della tua casa, perché́ morirai e non guarirai».
2 Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore. 3 Egli disse:
«Signore, ricordati che ho passato la vita dinanzi a te con fedeltà̀ e con cuore
sincero e ho compiuto ciò̀ che era gradito ai tuoi occhi». Ezechia pianse molto.
4 Allora la parola del Signore fu rivolta a Isaia: 5 «Va' e riferisci a Ezechia: Dice
il Signore Dio di Davide tuo padre: Ho ascoltato la tua preghiera e ho visto le tue
lacrime; ecco io aggiungerò̀ alla tua vita quindici anni».
Questo è il testo del AT è l’esempio per una preghiera esaurita e questo esempio di
preghiera fa parte del testo liturgico anche nel testo biblico viene riferito come Dio ha
ascoltato la preghiera, Dio lo fa adesso con i malati, cf. versetto 5. Così nella preghiera
987 si chiede la guarigione corporale.
Numero 988. Respice domine…, purificata tramite il castigo: qui entra un po`la
vecchia idea della malattia che può essere il castigo per i peccati, in un primo
livello di riflessione del AT. Spesso in questi secoli del cristianesimo troviamo la
stessa cosa de idee veterotestamentarie che ormai erano superate, poi entrano nel
cristianesimo, qui anche l’allusione all’idea della malattia come punizione per il
peccato e la purezza cultuale.
Numero 989, oratio super paenitentem, qualche manoscritto aggiunge infirmum,
quindi un’orazione per il penitente ammalato. L’orazione è una combinazione di
diversi formule e testi della riconciliazione applicate al malato non moribondo
perché evidentemente si chiede il ritorno alla celebrazione dell’eucaristia.
Questi testi percorrono anche i rituali dell’unzione degli infermi del IX e X secolo, è

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 33


interessante che in tutti questi testi l’effetto corporale è sempre in primo piano non
escludendo quello spirituale, come anche la benedizione del olio con effetti corporali poi
aggiunti gli escatologici. La remissione dei peccati entra solo in uno stadio tardivo nelle
orazioni perché nei primi secoli la cosa non fu molto semplice, guarigione comprende
anche remissione dei peccati, solo nei secoli che seguono la situazione diventa più
insicura, quindi bisogna aggiungere esplicitamente testi per riconciliazione, quindi è
diventata insicurissima la situazione dell’unzione fino ad oggi e nell’unzione ci
chiediamo come mai nell`unzioni si possono perdonare i peccati se non precede il
sacramento della confessione, quindi noi viviamo questo stadio insicuro come si riesce a
conciliare queste idee mentre che i primi secoli non hanno nessun problema, Dio guarisce,
Dio perdona. In ogni caso sono testi che chiedono una guarigione corporale e spirituale.
Abbiamo già visto l’importanza che Beda da all’invocazione del Signore nel momento
dell’unzione, bisogna capire che Beda non proviene da una cultura mediterranea dove
sono fortemente radicati all’idea dei magi, perciò qui viene sottolineata l’importanza della
preghiera. La guarigione e il perdono dei peccati l’idea non proviene dalla applicazione
dell’olio ma dalla preghiera. In questo ambiente nord Alpino l’unzione incontra una realtà
diversa perché quando il cristianesimo lascia la cultura mediterranea e inizia a stabilirsi
in altri culture deve adeguare anche i suoi costumi, il problema era che nei primi secoli il
cristianesimo era molto flessibile.
E così verso alla fine del VIII secolo l’uso del olio passa alle mani dei sacerdoti, l`uso nei
ambienti nord Alpini ha un uso speciale e quindi la gente lega al uso di questa materia
speciale…, e così si lega al sacerdozio. la prima avvertenza la troviamo in un capitolare,
cf., citazione 14:
Caroli Magni Capitularia, Capitula e canonibus excerpta (813), ed. A. Boretius
(MGH.Cap 1), Hannover 1883, 174
17. Ut presbiteri sub sigillo custodiant crisma et nulli sub praetextu medicinae vel
maleficii donare praesumant: si fecerint, honore priventur.
Ci troviamo all’inizio del IX secolo, nel 813, quando è stato composto questo excarpsus,
adesso analizziamo il canone 17:
Evidentemente la descrizione del uso del olio ai presbiteri per paura di un uso
magico perché la gente lo chiedeva.
Quindi se l’uso del olio passa nelle mani dei sacerdoti e i vescovi ne seguono
anche i riti, prima non c’erano. Questi rito al inizio sono molteplici e si utilizzano
orazioni già esistenti.
Questi riti si adattano man mano alle circostanze pastorali, poi le autorità
ecclesiastiche ufficiali devono promuovere l’unzione perché siamo nel ambiente
in cui l’uso del olio è sconosciuto, la gente non ne sa molto, i sacerdoti ne sanno
qualche cosa o poco e non vedono la ragione perché utilizzare l`olio. Se non è una
cosa magica a che cosa serve?
Poi c’è una seconda ragione perché l’uso del olio passa alle mani del sacerdote,
perché si inizia a negare l’unzione con la penitenza riconciliazione. Per Beda la

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 34


cosa è abbastanza facile, lui conosce un sistema penitenziale mediterraneo, mentre
subcontinente si conosce un sistema di penitenza riconciliazione che si fa una
volta nella vita e perciò veniva spostato alla fine della vita, se adesso si lega
l`unzione e la penitenza evidentemente l`unzione passa alle mani del sacerdote
perché solo loro possono amministrare la penitenza e riconciliazione, poi secondo
passo la penitenza-riconciliazione è fatta alla fine della vita quindi l`unzione
diventa una cosa che si fa alla fine della vita in preparazione alla morte. Una terza
cosa che entra bisognava muovere l’unzione anche perché costava: nel medioevo
i sacramenti avevano pagamento, tranne il battesimo e l’eucaristia, l’unzione era
il sacramento che costava di più. Cosi dal XII secolo in poi nasce il termine
extrema unctio, non perché era un’unzione che preparava alla morte ma si vedeva
il battesimo come la prima unzione e questa unzione del malato è l’ultima unzione
che la chiesa può dare nella vita nel cristiano.
Così questo sviluppo successivamente viene giustificato dalla teologia in modo di dare
un influsso sulla prassi, interessante che il magistero non dice quasi nulla in questo
periodo, quindi dobbiamo spiegare la cosa in 4 passi:
a. In primo luogo dobbiamo vedere le disposizioni di vescovi e sinodi riguardo
all’unzione.
b. Lo sviluppo dei testi liturgici
c. Lo sviluppo pastorale storico-dogmatico, i teologi che cercano di giustificare
quello che si fa.
d. Che poi viene annunciato dal magistero universale

2.4.2. Da Carlo Magno al Vaticano II


2.4.2.1.Disposizioni di vescovi e sinodi


Quindi nel momento della misura in cui l’uso del olio passa alle mani dei sacerdoti questi
erano per convincere a sollecitare l’uso, perché prima non lo facevano, non avevano
ragioni, perché loro erano nel lavoro sociale, il sacerdote del monastero doveva fare le
preghiere, erano di sollecitare visitare e ungere agli infermi, qualche testimonianza
troviamo nuovamente in una lettera circolare di Carlo Magno, cf. citazione 15, siamo nel
anno 779:
15) Caroli Magni Capitulare Primum (769 o poco dopo), ed. A. Boretius (MGH.Cap
1), Hannover 1883, 45.
10. Ut de incestis et criminosis magnam curam habeant sacerdotes, ne in suis pereant
sceleribus, et animae eorum a districto iudice Christo eis requirantur. Similiter de
infirmis et poenitentibus, ut morientes sine sacrati olei unctione et reconciliatione et
viatico non deficiant.
Si fa allusione alla penitenza canonica spostata al momento della morte sul continente si
fa strada la penitenza tariffata ripetibile, però si manteneva anche l’uso vecchio della
penitenza canonica, quella che viene spostata alla fine della vita, quindi la riconciliazione

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 35


non perché prima non si hanno confessati questi moribondi, ma perché seguivano anche
i sistemi penitenziali, quindi la riconciliazione in articolo mortis, interessante per noi
l’ordine dei tre sacramenti:
a. prima l’unzione,
b. poi la riconciliazione,
c. e alla fine l’eucaristia che prepara al passaggio alla vita eterna
Poco dopo il Capitolare di Carlo Magno nel Sinodo celebrato in Aquisgrana verso la fine
del 802, citazione 16, canone 21:
Caroli Magni capitularia, Synodus Aquisgrani habita, Capitula a sacerdodibus
proposita (fine 802), ed. A. Boretius (MGH.Cap 1), Hannover 1883, 107.
22. Ut secundum definitionem sanctorum patrum, si quis infirmatur, a sacerdotibus oleo
sanctificato cum orationibus diligenter unguatur.
Qui non si tratta di moribondi ma si tratta di qualsiasi malato che è da ungere dal sacerdote
con le preghiere, definizioni del santo padre non esistono a questo riguardo, soltanto si
utilizza l’idea per giustificare ciò che si crede. Altra testimonianza è Teodolfo dove
troviamo delle cose riguardo all’unzione però attenzione perché questi testi che si trovano
nel secondo capitolare di Teodoro32. Questi testi si trovano soltanto in una rielaborazione
del capitolare fata da un certo Ademaro di Chabannes33.

17) TEODOLFO DI ORLEANS (+821), Capitulare II, 10, 21 (solo nella


rielaborazione di Ademaro di Chabannes, quindi intorno al 1000), ed. P. Brommer
(MGH.Capitula Episcoporum 1), Hannover 1984, 178
21. Ammonendi etiam sunt sacerdotes de unctione infirmorum et poenitentia et viatico,
ne aliquis sine viatico moriatur.
Analisi:
La cosa importante è che nessuno deve morire senza il viatico, un obbligo che
fino ad oggi il diritto canoni fa ai parroci.
Importante qui è che per ricevere il viatico ci vuole la penitenza prima
dell’eucaristia (unctio-poenitentia-viatico), quest`è l’idea della celebrazione del
ordo intorno all’anno 1000.
Questi erano esempi perciò c’erano altri testi del tema. Il problema erano i fedeli
che andavano dai magi a farsi curare, così i vescovi cercano di convincere ai
sacerdoti di andare a trovare i malati per ungere, quest’era l’intenzione
fondamentale.
Interessante che nel IX secolo negli Excarpsus scarapsi , nelle raccolte di riti e preghiere
per i parroci di campagna, non si trova niente sull`unzione degli infermi, si trovano

32
Teologo della corte di Carlo Magno, Carlo Magno le aveva affidato la diocesi.
33
Monaco storico francese che ha fatto questa rielaborazione intorno all`anno 1000, quindi 200 anni dopo
Teodoro, quindi si separiamo più meno questi testi siamo intorno all`anno 1000 e troviamo nel canone 21.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 36


soltanto i testi della riconciliazione dei moribondi ma niente sull’ unzione, nel IX-X
secolo ancora non è chiaro se un sacerdote andava da solo per celebrare l`unzione oppure
se si chiede la presenza di più di un sacerdote (Gc 5), quindi intorno ai monasteri poteva
celebrare benissimo, in campagna no perché il sacerdote andava da solo quindi l`uso
arrivava in campagna. In questi libri liturgici dei parroci in cui si trovano i testi tra i
sacramentari per l’uso di parroco in campagna quindi lui non disponeva di un
sacramentario intero ma di un manoscritto dove erano messi insieme tutti testi che li
servivano e qui si trova evidentemente qualche cosa per il moribondo, ma ancora niente
sull’unzione. Si dice che l’unzione era facoltativa.
Altri sinodi si occupavano del sacramento in questo periodo, abbiamo:

18) Statuta Ps.-Bonifatii (800-840), ed. J. P. Migne (PL 89), 281


IV34. Ut presbyteri sine sacro chrismate, et oleo benedicto, et salubri Eucharistie, alicubi
non proficiscantur. Sed ubicunque vel fortuitu requisiti fuerint, ad officium suum statim
inveniantur parati in reddendo debito.
V35. Ut presbyteri sub sigillo custodiant chrisma, et nulli sub praetextu medicinae vel
cujuslibet rei donare praesumant36; genus enim sacramenti est: non ab aliis nisi a
sacerdotibus contingi debet; quod si fecerint, honore priventur37.

Queste Statuta risalgono a un sinodo celebrato in Borgogna, siamo alla prima metà del
IX sec.
In questa citazione è interessante il passaggio del concetto sacramento, Innocenzo I dice
è sacramento, l’olio appartiene ai sacramenti, e perciò non si deve dare ai penitenti,
mentre qui citando Innocenzo I si cambia il concetto perché l’olio è specie di sacramento
nessuno lo deve toccare se non il sacerdote. Quindi per Innocenzo I è chiaro che tutti laici
posso applicare l’olio, mentre un paio di secoli dopo, all’inizio del IX secolo il sacramento
diventa sempre una cosa di più riservata al sacerdote, quindi solo lui lo può utilizzare,
solo lui che lo può applicare. Poi nel tempo che segue la monizione che riguarda
all’unzione degli infermi vengono sempre più collegate con la riconciliazione del
moribondo, per esempio:
19) ERARDO DI TOURS (858), Capitula, ed. J. P. Migne (PL 121), 765-766
XXI. Ut in infirmitate positi absque dilatione reconcilientur, et viaticum viventes
accipiant, et benedictione sacrati olei non careant.
Siamo nel 858, nella seconda metà del IX secolo.
I malati sono da riconciliarsi senza indulgere, e ancora in vita devono ricevere il viatico
e poi anche l’unzione, la cosa importante in questo canone è che devono ricevere il viatico
quando ancora sono in vita, si puntava contro l`uso de mettere l`ostia in bocca del morto,
34
Quindi si un sacerdote va in viaggio deve portare con se l`olio e l`eucaristia.
35
Canone per l’uso del olio.
36
Cita per intero il canone di Carlo Magno (cf. Citazione 14).
37
Questa seconda parte è una citazione a Innocenzo I.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 37


quindi da qui l`insistenza di sottolineare il ricevere i sacramenti ancora in vita e perciò
affinché ancora in vita possa ricevere il viatico prima deve senza indugio essere
riconciliato, riconciliato senza indugio significa l`attenzione di essere riconciliato,
riconciliato senza indugio significa senza periodo precedente di penitenza, poi in un modo
quasi subordinato si può anche ungere e una benedictio.
Continuando con l’analisi troviamo un sinodo tenuto in Normandia nel IX e X sec, cf.
citazione 20, canone 13:
20) Sinodo Normanno (sec. IX o X), (Mansi 18), 433-434
XIII. Ut omnes infirmi, qui in lecto aegritudinis fuerint, presbyteros ad se convocent38,
&(et) suas renovent confessiones, ut conciliari possint39: & ungantur oleo, & ab ipsis
presbyteris ante exitum communionem percipiant40.
Analisi:
Parlando dei malati che stano al letto ormai si pensa a moribondo, anche perché
siamo in una situazione in cui il malato gravemente non può alzarsi spesso.
Prima della morte i due sistemi penitenziali in uso bisogna rifare la confessione
per prendere la riconciliazione canonica (&(et) suas renovent confessiones),
affinché possano essere riconciliati (ut conciliari possint), prima cosa, e si vede
come l’unzione con l’olio viene stata aggiunta alla riconciliazione, dato che c’è
già il sacerdote che è presbitero quando portava l’olio per ungere.
L’unzione si sposta sempre di più verso la fine della vita.
Interessante per noi è che il rito diventa perciò sempre di più preparazione alla
morte ma nei testi utilizzati si mantiene l’idea più antica, cioè quella della
guarigione corporale, poi porta in difficoltà ai teologi medioevali.
Queste raccomandazioni che abbiamo visto, amministrare l’olio al meno in caso
di malattia, sono un altro passo verso la direzione d’interpretare l’unzione come
sacramento della morte, specialmente quando l’unzione viene spostata a dopo il
viatico, in questi caso si trova prima del viatico.

2.4.2.2.I testi liturgici


Quindi dopo di questi disposizioni e indicazioni dei vescovi e sinodi già poi vediamo
come l’unzione viene spostata sempre di più verso la morte dunque bisogna vedere i testi
liturgici. Già verso la fine del VIII secolo a causa di queste disposizioni sinodali nei
sacramentari si percepisce uno sviluppo, alle orazioni per i malati che si trovavano nei

38
ricorda ciò che si deve fare al malato.
39
Quindi si chiamano i presbiteri per rinnovare le confessioni durante tutta la vita si erano confessati
secondo il sistema tariffato e adesso ultima volta prima della morte.
40
Se sottolinea ipsis presbiteris, per due cose:
a Se c’è già il presbitero deve amministrare il viatico
b Fino al IX secolo c’erano i laici che portavano l`olio.
Quindi l’idea del ministro estraordinario della comunione, che porta la comunione al malato non è una
novità dopo il CVII, esiste durante tutto il I millennio, poi le cose passano sempre di più nelle mani dei
sacerdoti come pasa la applicazione del olio nelle mani del sacerdote, quasi contemporaneamente passa
anche l` azione di portare la comunione eucaristica al malato.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 38


sacramentari che abbiamo visto nel GeV, queste orazioni per i malati si riprendono nei
sacramentari successivi e a queste orazioni si aggiungono i testi utili per il perdono, poi
si aggiungono i testi utili per il momento dopo la morte, i funerali, per esempio molto
utile vedere il testo del GeG del VIII secolo nei numeri 2878-2887 i testi conosciuti dal
GeV, poi dal 2888-2920 ci sono le aggiunte, quindi testi della riconciliazione e per dopo
la morte, lo stesso succede nel supplementum al GrH, e così nella riforma liturgica
carolingia nasce il così detto Ordo visitationis infirmorum che è l`ordo di
penitenza/riconciliazione-unzione-viaticum, un ordo continuo.
Un esempio di un tale ordo carolingio, ordo visitationis infirmorum, lo troviamo nel
secondo capitolare di Teodolfo di Orleans.
2.4.2.2.1. Il rito nel secondo capitolare di Teodolfo di Orleans41

Qui bisogna stare attenti, anche se il capitolare stesso è da datare al inizio del IX secolo,
l`Ordo visitationis infirmorum si trova soltanto in un solo ms.: in una rielaborazione del
capitolare, fatta da Ademaro di Chabannes (monaco e storico francese, 989-1034). Quindi
con questo ordo ci troviamo verso l’anno 1000. Qui Ademaro semplicemente utilizza
l’autorità di Teodolfo per mettere un può in ordine la questione dei riti dell’unzione, che
sono riti molteplici e Ademaro ha cercato di dare autorità al suo libro che lui conosce con
l’aiuto dell’autorità di Teodoro, quindi semplicemente trascrive il capitolare e inserisce il
suo rito dell’unzione. Nel testo del capitolare ogni tanto si accenna anche delle orazioni,
queste non si trovano, sono probabilmente quelle che si trovano in alcuni manoscritti del
GrH, quindi si riprendono orazioni già conosciute. Allora andiamo a vedere il rito:
Il rito inizia al numero 21, la collana sinistra ci riporta il testo del rito. Ademaro era monaco,
quindi siamo in ambiente monastico e questi riti d’unzioni sono riti sono riti monastici, in
campagna non esistono, in campagna c’erano l`Excarpsus.

Nel numero 21 inizia con le considerazioni che noi chiameremmo pastorali prima della
descrizione del rito. (cf. analisi nel foglio)
Aggiunta: commotus. La commozione medioevale non corrisponde alla commozione nostra,
l’uomo medioevale con queste espressioni anche corporali, l’espressione del luto, fanno parte
della vita normale, non basta dire la malattia mi commuove, ma anche bisogna piangere, se non
si fa non è commozione perciò che si fanno quest`indicazioni nei testi medioevali.
Si deve aver presente le tre menzioni dei testimoni e la loro funzione.
a. Accompagnare
b. Testimoniare che voleva la penitenza e consci di accettare la penitenza42
c. Chiamare al sacerdote

41
Dal 789 teologo di corte di Carlo Magno, nel 798 Carlo Magno gli affida la diocesi di Orleans.
42
Dobbiamo avere presente che il problema della penitenza non è aspettata durante la vita, la penitenza
tariffata l`idea che anche un altro può aspettare la penitenza, solo che si aspettano questi anni di penitenza
per forza, altrimenti i peccati non vengono perdonati se lui si confessa nel momento della morte riceve
necessariamente altri anni di penitenza, questi anni di penitenza per forza vanno aspettati, quindi beato lui
se aveva questi fideiussoribus, questi testimoni-assistenti, che si davano il conto ad aspettare la penitenza
di lui, se non ci sono deve aspettare questa penitenza dopo della morte, e quindi nasce l`idea del purgatorio.
Quindi il sacerdote indicava la penitenza a questi fideiussoribus.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 39


Numero 22: è un'altra considerazione pastorale legata a un certo grado de malattia, se
non c’è presente il vescovo anche il presbitero lo può fare.
PARTE I: LA PENITENZA
Numero 23: inizia il rituale stesso, prima evidentemente con i riti di penitenza. Rito:
a. Indicare le opere di penitenza
b. Viene lavato, vestito (ablutis vestibus) con vestiti lavati. Interessante che nella
trascrizione che fa Migne nella PL invece di ablutis vestibus scrive albis vestibus,
quindi lascia l`idea che era di vestire con la veste bianca, invece l`originale è
ablutis vestibus.
c. Viene portato in chiesa, ma si può celebrare anche nella cela del malato. Sdraiato
in chiesa porta anche il cilicio.
d. Portetur ibi…, quindi può essere celebrato sia nella chiesa oppure anche nella cela
del malato, evidentemente se ci sono 2 o 3 presbiteri ad incontrare un malato si
può celebrare fuori del monastero.
e. Ut, cum venerit…, quindi dopo l’indicazione della penitenza seguono riti
penitenziali (il cilicio e le ceneri sono riti penitenziali), vengono 2 o 3 presbiteri
con la croce a l’acqua benedetta.
f. Poi indicazione rituale, riga 21, deinde fundat…, questo ci dice chiaramente che
siamo in un ambiente francofono, gallicano, l’idea che fa una funzione quasi
magica l’olio è qualcosa speciale, sono delle idee nord alpine.
g. Dopo le tre antifone, continua in riga 32: et data oratione…, si vede come si
mescolano le cose, presentarsi in silicio e sdraiarsi sulle ceneri è di origine romano
e lo faceva il malto stesso, adesso si aggiungono i riti gallicani che necesariamente
vengono fati dai presbiteri: l’unzione con l`olio e l`aspersione con acqua, imporre
le ceneri e si aggiunge un capitolo o qualcosa, se il sacerdote c``e bisogna
aggiungere una preghiera.
h. Deinde incipiat septem…, con i salmi penitenziali evidentemente c’era qualcuno
che le sapeva cantare, siamo in ambiente monastico. Se la malattia lo permette
assume una posizione di penitente.
PARTE II: L’UNZIONE
Numero 24: inizia altra sezione: il rito dell’unzione. Post laetaniam…, nel monasterio si
davano a fare, cantavano tra salmi e antifone e il presbitero iniziava l’unzione. Et
faciam…, 15 unzioni, poi segue l`spiegazione. Hoc est: la preghiera non è giustificata in
tutti i momenti, importante come dice Beda, quando si unge si prega anche, che cosa si
prega? In quale momento? Ancora non ha molta importanza, si utilizzava quello che
c’era, non è detto che per ogni parte bisognava fare una orazione a parte, ma si facevano
orazione mente si ungeva. Dopo i 15 unzioni segue la spiegazione: il senso è la
santificazione, il resto è simbolo, santificazione tramite il numero, la santificazione e il
senso dell’unzione lo troveranno nella preghiera della benedizione del olio della TA, tutto
significa santificazione. Per l’uomo medioevale nord alpino no basta la parola, non basta
un rito semplice, ci vuole un rito che significhi qualchecosa, quindi 15 significano il
mistero della Trinità in 5 sensi.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 40


Nel numero 25 seguono considerazioni su altri numeri di croci, quindi il numero delle
unzioni non è fissa, è una cosa simbolica per significare santificazione.
Numero 26. Qualcuno dice che non si deve fare l’unzione nella fonte, crisma, battesimo,
qualcuno dice che non si deve fare l’unzione nelle mani del sacerdote. Cf. RICA 12:
itaque nihil opus…, nel momento del battesimo l’unzione c’è stata nella fonte sulla testa,
nel momento della confermazione con il crisma, le mani del sacerdote sono state unte con
l’olio dei catecumeni non con l’olio degl’infermi. Noi siamo già in un ambiente dove si
fa la distinzione dei 3 olii.
Numero 27. Continuano le considerazioni. Si presume che gli apostoli facevano le 3
unzioni, che recitano Gc 5, 15. Riga 28: fanno le tre croci citando Gc 5. Poi segue una
considerazione su che cosa fare con i vestiti: illa autem vestimenta…, la cosa è per una
ragione molto importante: i sacramenti erano pagati, ma non prendevano soldi, ma che
cosa prendevano? I vestiti, dicevano i presbiteri che venivano del monastero che
dovevano essere vestiti lavati, bianchi, nuovi (questi costavano tanto), poi venivano in
contatto con l’olio. Quindi se non moriva il vestito soltanto si lavava per poi riutilizzarsi.
Il rito dell’unzione è semplice 15 croci e recita delle orazioni.
Numero 28: altre considerazioni che riguardano il caso della guarigione, non solum
autem…, non è solo una cosa per il monastero ma anche per uomini e donne.
Numero 29: se il malato aveva uno stato di vita cattolica si amministrava il l’unzione, lo
si può celebrare finche abbia vita.
Numero 30: finche abbia ancora vita si può celebrare, dopo la morte non gli si può
mettere l’ostia nella boca.
Fino qui abbiamo:
Nel rito dell’unzione nel capitolare di Teodolfo, abbiamo visto la distinzione dell’unzione
che è molto semplice, dopo una preghiera si fanno 15 unzioni mentre si recitano salmi o
litanie, poi abbiamo visto le considerazioni di tipo catechetiche e così fino num. 30 che
dice che dopo la morte non si mette l’eucaristia nella bocca. Continuando,
Numero 31: continuano le considerazioni di carattere catechetico: ipsis quoque pueris…,
qui si sottolinea la necessità dell’unzione anche per i fanciulli, durante il tardo medioevo
si arriva a negare l`unzione a quelli che non avevano l`uso della ragione perché non
possono peccare. Quando la idea della ragione cambia all`idea del perdono dei peccati e
della morte l`unzione ai bambini non ha più senso perché possono peccare e insiste nel
valore della guarigione, anche i bambini possono guarire, poi però continua il testo: nam
poenitentia…, il riferimento alla penitenza che è necessaria ai giovani e ai bambini.
Fino qui la II parte di questo rituale dell’unzione.
PARTE III DEL TESTO: IL VIATICO
Numero 33:
a) riferimento al Padre nostro perché è una preghiera di perdono dei peccati e
riconciliazione. A volte si chiede, ma già celebrata la penitenza prima

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 41


dell’unzione? In questi secoli ancora nessuno s’interessava di stabilire un
momento esatto in cui succede il perdono e in quale misura, questo fino alla
teologia scolastica, neoscolastica. Qui si segue un andamento abituale, prima della
comunione eucaristica Padre nostro che era la preghiera per il perdono dei peccati.
b) Poi del Padre nostro abbiamo il simbolo importantissimo nelle regioni nord
alpine,
c) raccomandazione dello spirito e anima, la raccomandazione qui viene fata dal
moribondo stesso, il segno della croce;
d) e il congedo ai viventi e;
Poi continua il testo, tunc sacerdos det…, un altro elemento della preparazione abituale
alla comunione prima della messa, segno saluto di pace prima della comunione
obbligatoria, è una preparazione.
Poi et comunicet eum dicens…, ancora la sottolineatura della remissione dei peccati
nell’eucaristia, evidentemente il viatico fino ad oggi obbligatoriamente sotto le sue
specie. Tunc data…, fine del rito.
In crastino et usque…, per sette giorni la visita regolare accompagnata da preghiere,
perché l’idea è che tra 7 giorni si sa se è morto o se ha sopravvissuto.
Seguono poi delle direttive catechetico-pastorali della penitenza, num 35 in poi,
interessante dare uno sguardo al num 35: sono considerazioni del X secolo: sciat autem…,
non è una cosa modernista dopo CVII, ma già da prima. Solo de vedere in che senso fu
vista la penitenza-riconciliazione in quel secolo.
Conclusione questo qua, il capitolare di Teodolfo, è solo un esempio assai elaborato per
i riti che esistevano, in quei secoli non esisteva uniformità, ma una semplicità , Ademaro
cerca di dare con l`autorità di Teodolfo un po`di ordine ai riti che celebrano e qui si
vedono che i riti si sviluppano evidentemente nel monastero, si insiste nella presenza di
più sacerdoti, l`idea del canto dei salmi mentre si unge, in parrocchia o in casa di un
malato impossibile di cantare, soltanto il sacerdote che unge. Dunque al di fuori dei
monasteri l’unzione si diffonde con fatica, sono questi gli elementi principali che vediamo
nei riti medioevali, quindi troviamo gli elementi principali per i 3 riti:
Nel ambito della penitenza:
l’accusa dei peccati, l`imposizione
delle penitenza-riconciliazione, poi
seguono riti penitenziali (il malato
lavato, vestito, possibilmente
portato in chiesa), si insiste sulla
presenza di più sacerdoti, fuori del
monastero è impossibile, il saluto di
faccia, l`aspersione con l`acqua
benedetta mescolata con olio,
imposizione delle ceneri, si recitano i 7 slami penitenziali e le litanie dei santi, queste
fanno parte sia del battesimo sia della liturgia della morte, rito continuato dalla penitenza

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 42


fino al viatico. Poi segue la seconda parte l’unzione accompagnata con diverse formule
e preghiere, e infine il rito del viatico: Padre nostro, simbolum, comunione eucaristica
(corpo e sangue di Cristo), una forma di congedo, le visite ripetute fino alla morte o la
guarigione, queste accompagnate da la preghiera.
Interessante che spesso all’inizio di queste celebrazioni sta all’inizio l`ingresso e la
guarigione, tutto si svolge intorno al monastero, avevano già sottolineato l`importanza
della vita monastica e perciò questi rito sono molto spesso.
L’imposizione delle mani ogni tanto si trova, ma non sempre, una cosa che si trova
sempre evidentemente sono le unzioni, partendo del modo in cui vengono accompagnate
le unzioni con formule o preghiere, A. Chavasse ha tentato di mettere in ordine questi riti
medioevale e lui ha proposto una classificazione di questi riti, e secondo il parere del
professore, hanno un valore ancora oggi.

2.4.2.2.2. La classificazione dei rituali in 3 tipi (secondo A. Chavasse)


Chavasse cerca di distinguere tre riti di unzione medioevale:
1) Tipo I: è quello arcaico in cui si trova:
Þ Una o più̀ formule indicative o una o più orazione che accompagnano le unzioni,
non associata/e a determinate unzioni. Ma l’uso delle formule è libero come l`uso
dell`orazione è libera, quindi non è detto che una certa unzione, o che venga
bagnato di una certa formula, ancora non, si unge e mentre si unge si dice una
preghiera, o una formula o due preghiere, non importa. Se si utilizzano le formule
saranno di tipo indicativo, ungo te…, in questi rituali spesso molto semplici in
primo piano sta la guarigione, sono rituali che si sviluppano nel VIII e IX sec.
Þ Sec. VIII e IX - guarigione
2) Tipo II: in questo secondo tipo:
Þ Ad ogni unzione è associata una determinata formula indicativa: ungo te…, in
questi riti di secondo tipo l’aspetto della guarigione man mano cede il posto a
quello della penitenza-riconciliazione. E così si arriva al terzo tipo.
Þ Questo secondo tipo si trova nel mondo del sec. IX-XIII – guarigione → perdono
peccati
3) Tipo III: questo tipo è quello che viene sanzionato per il concilio di Trento
Þ Gli Unzioni si limitano ai cinque sensi con formule deprecative/optative associate
ad ogni unzione: per ipsum unctionem revitam tibi dominus…, terza persona: Dio
ti perdona tramite questa unzione, quindi non più in prima persona indicativa.
Þ Si sviluppa del sec. XIII in poi – perdono peccati
Se poi andiamo a vedere gli altri riti vediamo come l’aspetto del perdono dei peccati
nel secondo tipo dei rituali è nelle formule viene espresso quando si ungono i sensi,
mentre quando si fanno le altre unzioni, testa, sulle spalle nella parte del corpo dove è più
forte, si chiede guarigione perché solo con i sensi si può peccare, quando poi si limitano
le unzioni ai 5 sensi l’unico aspetto che rimane è quello del perdono dei peccati,
guardando i rituali si vedrà.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 43


Quindi in questi tre tipi si riconosce uno sviluppo, il primo della forma semplice
e meno organizzata alla forma più organizzata e più complessa, è una delle leggi della
liturgia comparata, poi vediamo come nella misura che l’unzione si sposta alla fine della
vita il rito si adatta e pone l`accento sulla remissione dei peccati perché alla fine della vita
non fa più senso chiede in modo esagerato della guarigione, quindi si limita sempre di più
al perdono dei peccati. Qui è molto importante considerare che la spiegazione
teologica verrà dopo.
Il rito di Ademaro e il capitolare di Teodolfo evidentemente dal punto di vista
dell’unzione è un rito di primo tipo, quindi Ademaro nel X-XI secolo cerca di promuovere
un rito per quanto riguarda all’unzione, ma ancora molto arcaico, non ci sono formule per
certe unzioni. Il rito del capitolare di Teodolfo è un esempio come i testi sopravvivono,
nel XIII secolo le cose si mescolano. Un rito del primo tipo chiaramente, che sembra
molto antico, si trova in un ms. della prima metà del IX secolo: codex Vat. Pal. Lat. 485:
f.54.
2.4.2.2.3. Un rito probabilmente antico (ms. Vat. Pal. 485 del sec. IX)
Proviene dalla Abbazia imperiale di Lorsch (fondata nel 764). È una delle più famose
Abbazie carolingie, queste abbazie carolingie-imperiali sono centri di cultura e liturgia
molto importante, la liturgia si sviluppa intorno a queste abbazie. Qui troviamo un codice
ms. che presenta un rito d’unzione assai particolare ed evidentemente molto arcaico. È un
rito di tipo franco e un po`complicato di ritrovarlo nel manoscritto perché si trova in due
posti diversi.
Troviamo un rito oratio et preces super infirmun antequam moriatur, siamo in monastero,
rito continuato, questo rito non inizia però con la penitenza, il rito segue le impostazioni
di Gc 5, 14-15, chiamare il presbitero, orazione, unzione-olio, perdono dei peccati. Siamo
in ambiente franco in cui prevale la struttura della orazione in due parti:
a. Invitatorio
b. Orazione
Quindi il rito inizia con un invitatorio: oremus fratres dominum nostrum pro fratri
nostro…, al invitatorio, liturgia franca, segue l`oratio (spesso detta anche colletta):
Domine sancte…, sembra che i titoli sono stati aggiunti dopo, prima nel manoscritto c`era
soltanto la preghiera, poi si è aggiunto il titolo con le rubriche per mettere in ordine, ogni
tanto è uscito uno. Qui vuole dal punto di vista della liturgia liturgica può trovare il
riferiemnto al mistero pasquale di Cristo.
A questa orazione introduttiva segue il simbolo, il credo in forma franca, liturgia franca.
Prima d`iniziare il testo del simbolo troviamo una specie di abstract in cui vivne
sottolineato ciò che in quel momento è importante: credo in deum patrem
omnipotentem…me rerurgere: queste è l`abstract del credo perché sono questi gli
elementi importanti nel momento in cui si sta per morire e sicuramente se stava per morire
bastava con l`introduzione. Interessante che la rubrica dice cantatur, cose per cantare
ormai siamo in ambiente monastico
Poi segue il credo con il testo proveniente del ambiente franco, sottolinea molto la divinità

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 44


delle tre persone. Nella lotta antiariana questo era molto importante: credo in Dio
padre…, dopo il credo subito l’unzione:
Unges eum oleo sanctificato his orationibus: non è detto niente sul numero delle unzioni.
Interessante che nel ms. un paio di fogli dopo si ripete questo spesso rito dell’unzione con
la aggiunta che si fanno 15 unzioni, però la cosa che rimane è che non troviamo preghiere
associata a nessuna unzione, si unge e si prega: his orationis dice il testo: ungo te oleo
santificato…, un'unica forma accompagna un numero ulteriormente specificato di
unzioni.
Alla conclusione del rito si può dire che nel monastero di Lorsch si facevano 15 o altre
unzione, ma la cosa non sembra di avere tanta importanza, l’importante è che si unge e si
prega. Quindi una forma indicativa non associata a determinate unzione, dunque un rito
secondo la classifica de Chavasse del primo tipo. Dopo prosegue il ms. tunc confitetur…,
quindi confessione dopo l’unzione, ma una cosa molto particolare, originale di questo
rito: si segue l’ordinamento di Gc 5, 14-15. Troviamo il Pater noster, come preghiera di
riconciliazione.
Successivamente troviamo Colletio post remissionem, se ci chiediamo che cosa è la
remissio e il termine colletio nel contesto franco-gallico. La collectio post remissionem è
semplicemente una continuazione dell’ultima petizione del Padre nostro, ciò che oggi si
chiama embolismo, che troviamo anche qui: libera nos domine ab omni…,
Se guardiamo nel manoscritto la cosa si presenta così: inizia ancora peccata, poi il
pubblicatore dopo Padre
nostro ha aggiunto il titolo
Collectio post remissionem,
inseguito si vede come al
Padre nostro segue la
continuazione dell`ultima
petizione: libera nos
Domine…, il pubblicatore si
è accorto, se scrive collectio
è chiaro che il testo che noi
conosciamo in
continuazione dell`ultima
petizione del Padre nostro
sia la collectio post remissionem, il pubblicatore ha cambiato il NOS in ILU, quindi
diventa molto chiaro che il testo della continuazione dell`ultima petizione del Padre
nostro sembrava del ambito franco-gallico un testo conosciuto che è stato adattato per la
situazione del moribondo e così diventa una collectio post remissionem senza problema.
La quantità di testi che si conoscevano era restretto, quindi si riutilizzavano.
Poi, continuando con il foglio, il pubblicatore aggiunge il titolo:
Hic pax datur communicatio, il pubblicatore sapeva che prima della comunione bisogna
dare la pace, quindi lui aggiunge la rubrica: hic pax…, e segue la communicatio la formula

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 45


del viatico. Segue:
Oratio super infirmum che fa riferimento a At 9, 40: Deus qui beatum…, non si utilizza
il testo conosciuto di Gc 5, ma si fa riferimento a AT 9, la guarigione. Ut exorata
medicina…, evidentemente in primo luogo dal punto di vista della celebrazione è
diventata già una preparazione alla morte, se sottolinea l’elemento de la richiesta di
guarigione. Adesso nella trascrizione in un modo che ha molto significato, si trova la
collectio post adsumptionem…, che nel ms non si trova, nel ms segue una oratio super
hominem e poi seguono altri riti per malati moribondi, giovani, testi per la riconciliatio
ad poenitentes ad mortem, poi altre cose di conscendas ereditatem, una oratio ad
preferendas, quindi è stato aggiunto tutto ciò che si poteva utilizzare, poi segue una messa
per i moribondi. Solo dopo nel ms al foglio 58 si ripete il rito del viatico con una collectio
post adsumtionem sacrificii che troviamo qua nella trascrizione subito, agganciata al rito.
Collectio post …, che è stato aggiunto quando si ripete dopo un paio di foglio dopo lo
stesso rito: hagamus deo patri…, quindi una cosa molto generale che chiede vita tramite
l’assunzione dell’eucaristia, si trova poi un’altra orazione nello stile franco-gallico:
invitatorio poi oratio.
Invitatorio: Deus in cuius manu…, si mantiene l’idea della guarigione.
Oratio. Deus qui non vis mortem…, l’idea la conosciamo dal GeV 366, una delle
preghiere della riconciliazione. Si vede come si aggiungeva alla descrizione del
rito i testi essenziali le preghiere che potevano essere utili, quindi qui è una cosa
rimaneggiata.
Nel ms segue in agenda mortuorum…, dal Ordo romanus L, la preparazione alla
sepoltura.
Quindi questo è un rituale per un moribondo vediamo come nei testi si mantiene l’aspetto
più antico della guarigione, del primo I.
Adesso passiamo al PRG, quindi 100 anni dopo:

2.4.2.2.4. Il rito del PRG, composto da diversi rituali
(quindi un rito

misto)
Manoscritto compilato a Magonza verso il 950, poi introdotto a Roma, sembra che sia
stato in uso in tutto il mondo occidentale, però guardando questi testi sottolinea un’altra
volta che il PRG non è un libro per la celebrazione, ma un libro per l’istruzione del clero,
quindi ha un carattere fortemente catechetico per insegnare al clero le cose più importanti,
perciò nel Pontificale non si limita soltanto ai riti per il vescovo e poi ciò che si trova
dentro spesso non è la descrizione di una celebrazione, è una raccolta di possibilità come
si può fare se si vuole fare con o senza, così sono da capire anche le rubriche medioevali,
sono descrizioni di possibilità celebrative, non sono leggi assolute come le rubriche post
tridentine. Quindi colui che è alla base del pontificale istruisce il clero e deve fare delle
scelte perché nel pontificale c’è di tutto. Troviamo qui un Ordo ad unguendum infirmum
nella sezione CXLIII.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 46


Questo rito presuppone la confessione e la riconciliazione, siamo nel ambiente dei due
sistemi penitenziai misti: tariffata e anche i riti di riconciliazione pubblica in articolo
mortis, qui si rispettano tutte due riti. Il rito presuppone che l’infermo non sta a letto, che
si deve inginocchiare, deve stare alla destra del sacerdote e si chiede la presenza di un
sacerdote.
Il PRG per il suo carattere catechetico già nel primo numero è un tentativo di mettere il
rapporto UNZIONE-PENITENZA:
Analisi del PRG CXLIII.
Numero 1. Antequam unguatur…, suo sacerdote: singolare, deve essere il suo sacerdote,
deve essere sacerdote perché solo il sacerdote può utilizzare il libro penitenziale. Segue
una spiegazione del rapporto tra riconciliazione e unzione perché già iniziano a chiedersi
quale senso ha chiedere il perdono dei peccati e l’unzione quando prima aveva già
ricevuto la riconciliatio plenam. Quindi ut, ulceribus…, unctio spirituale: si inizia già il
senso spirituale. L’idea è che la reconciliatio plenam apre le ferite causate dai peccati e
l’unzione pulisce queste ferite, aiuta alla guarigione. È un tentativo di spiegazione che fa
poi da ponte alla celebrazione della riconciliazione della tapa canonica in articolo mortis
all`unctione.
Numero 2: et tunc inprimis…, adesso del singolare cambia al plurale. Facient sacerdotes
aspergi…, tipico nord alpino bisogna mettere acqua e sale dentro dell’aspersione. Et
oratio dicatur unde…, quindi l’andamento è un andamento monastico: salmo 50, e a
questo segue l`oratio: unde supra (forse si riferisce alla sezione precedente, 142, numero
2 in cui troviamo delle orazioni per il malato).
Numero 3: dopo la aspersione segue un’altra orazione ben definita. È l’orazione classica
che dal IX secolo si ritrova spesso nei riti degli infermi e delle unzioni che poi spezzata
in due entra anche nel ordo infirmorum del 1972, il problema che il nuovo rito che
abbiamo adesso ha spezzato in due parti il testo classico dell’orazione:
Domine Deus..., questa prima parte entra nel ordo unctionis infirmorum del 1972 al
numero 239, poi continua il testo, la seconda parte da cura quesumus… fino alla fine,
questa seconda parte la ritroviamo nel ordo unctionis infirmorum di oggi al numero 77.
Dunque spezzato in un modo poco felice.
La seconda parte et …, questo testo proviene dai testi della riconciliazione del GeV,
guarigione sia corporale, sia spirituale, guarigione esterna e interna. Il culmine del testo
e della richiesta è la guarigione corporale, dunque nei testi si conservano gli aspetti
antichi. Quindi l’orazione per la guarigione interiore ed esteriore culmina con la richiesta
della guarigione corporale.
Numero 4: si continua con i riti penitenziali. Tre effetti della celebrazione:
Convetere
Sana
Eripe
Segue il salmo all’antifona Domine…, salmo 6, sempre dei salmi penitenziali, altra

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 47


antifona…, poi abbiamo un invitatorio anche se il testo dice oratio è piuttosto invitatorio.
Questa antifona con il salmo Deus … salmo 49 non appartiene più ai salmi penitenziali,
questa antifona con il salmo fanno da ponte da i riti penitenziali e i riti dell’unzione, man
mano si entra nei riti dell’unzione, questi riti girano intorno all’unzione vengono aperti
dall’imposizione delle mani:
Numero 7: Hic imponant manus…, (e non soltanto i sacerdoti ma anche i ministri), se c’è
il vescovo lui è il primo che impone le mani. Questa imposizione delle mani ha un doppio
senso:
a. Il primo senso viene dato dall’antifona precedente: Dominus locutus est discipulis
suis…, Quindi ha doppio senso sia antropofagico (di allontanare al demonio), sia
di guarigione (Mc 16, l’imposizione delle mani sull’infermo)
b. Il secondo senso viene dato dall`oratio seguente, numero 8: Deus qui non vis
mortem…, GeV (nei testi della riconciliazione).
Quindi l’imposizione delle mani significa sempre conferimento dello Spirito, questo
spirito è lo spirito della guarigione, antifona precedente, ed è anche lo spirito del perdono
dei peccati. Quando un uomo si riempie dello spirito di Dio, va via lo spirito maligno,
vengono estinti i peccati. Se vorremo identificare l’unità rituale, questa sembra andare
dal numero 5-8.
Invitatorio: numero 5
Gli elementi dopo l’invitatorio:
o antifona, salmo e imposizione delle mani e alla fine l`oratio che conclude
l’unità rituale.
Con questa unità rituale finisce i riti di penitenza e apre i riti d’unzione che continuano al
numero 9 con lo schema di solito (antifona-salmo, invitatorio, oratio)
Numero 9: segue lo schema come al solito: Sequitur antiphona. Succurre, domine…, C’è
chiaramente richiesta di guarigione, si fa cantare all’antifona il salmo Ad Dominem e il
salmo 119, siamo al di fuori di un ambiente penitenziale.
Numero 10: Troviamo di nuovo all’invitatorio l`oratio: oremus dominum nostrum…,
chiaramente riferito alla salute corporale.
Numero 11: Oratio: Deus qui humano generi et salutis…, testo del supplemento al GrH,
num. 1389. È un’orazione per la visita del malato.
Dopo questa unità rituale dell’unzione segue il rito dell’unzione:
Qui si trovano più riti d’unzione, uno dopo l’altro, no significa che si celebrava uno dopo
l’altro, ma si raccoglie tutto quello que si è conosciuto e che ha senso, quindi bisogna fare
una scelta.
Numero 12 e 13: è un primo rituale del primo tipo di Chavasse, rituale arcaico. Numero
12: troviamo le 15 unzioni, sembra che l’idea delle 15 unzioni è stata assai diffusa, come
ci spiega Ademaro è un numero simbolico. Nel numero 13 nella orazione si sottolinea
che è Dio che da senso ed effetto all’azione umana, lo spirito santo opera la salute, non

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 48


l’unzione con l’olio o la magia. L’importante è la preghiera, questa è unica associata a
rito arcaico.
Numero 14: inizia un altro rituale di unzione per gli infermi. Un rituale del secondo tipo,
in cui l’accento si sposta della guarigione verso la remissione dei peccati. Questo numero
segue il numero 11 se si vuole celebrare questo secondo rituale. Interessante l’idea: qui
entra l’idea del viaggio dell’anima, l`idea dell`anima che esce dal corpo deve
intraprendere un viaggio pericoloso fino ad arrivare nel seno di Abramo, fino ad arrivare
in paradiso, questo viaggio è pericoloso, ci sono le schiere nemiche che cercano di
impadronirsi dell`anima, perciò l`anima deve essere rafforzata come un soldato alla
guerra. Quest’idea del viaggio dell’anima originalmente non è cristiana, però in questi
secoli entra del paganesimo. Per i popoli nella mentalità al interno degli Alpi, l’unico
modo di immaginarsi ciò che succede dopo la morte era l’idea dualistica: l’uomo
composto da corpo e anima e dopo la morte l’anima esce. La gente si chiedeva: da dove
esce l’anima? Dalla bocca. Tutta la mentalità è bassata sulla guerra, i popoli germanici
non avevano parole che descrivono ciò che il cristianesimo dice cielo, regno di Dio,
paradiso. Il paradiso come il mondo del aldilà era il mondo dei guerrieri che hanno vinto
la guerra, quindi l’unica possibilità di collegare tra i pagani e i cristiani era quello del
viaggio.
In questo secondo tipo di rituale si vede come non è più importante la preghiera, l’importante che
si faccia qualche cosa con l’olio, è questo è il tipo che si fa stabilire nel ambiente nord alpino,
bisogna fare qualcosa con la materia, altrimenti il rito non vale, per esempio per l’eucaristia
diventa importante il corpo e il sangue di Cristo, non l`azione. Il rito dell’unzione non ci si
interessa più della preghiera, la preghiera e il rito viene fato da colui che è deputato al culto, il
prete, per l’uomo importante ciò che fa la materia: l`olio. Il cristianesimo al inizio non ha deputati
al culto, la comunità cristiana era colei che celebra il culto dove ciascuno ha un ruolo speciale,
anche presbitero e vescovo, la società nord alpina con i suoi tre gruppi:
quelli che governano
contadini
pregano. Loro hanno coloro che fano il culto per il beneficio per tutti gli altri,
l’importante che si faccia con l’olio.
Numero 20: orazione divisa in due parti. La seconda parte è riferita alla salute. Le
formule non riferite ai sensi provengono da fonti più arcaiche, quindi mantengono anche
l’idea della guarigione e l’idea della tutela del viaggio pericoloso dell’anima.
Numero 24: si riprendono i sensi.
Numero 26: la seconda parte dell’orazione è uguale a quella del numero 20.
Fino qui il rituale del secondo tipo, l’importante è il passaggio dall’importanza della preghiera,
della celebrazione nel primo tipo all’importanza della ritualità e della materia, in questo passaggio
in questi secoli si può riferire a tutti i sacramenti, in tutte le circostanze, diventa sempre più
importante la materia.

Numero 27: da qui in poi sono stati aggiunti altri rituali d’unzioni diversi, soprattutto del
primo tipo.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 49


In questo numero troviamo una orazione generale mediante la quale si fanno le unzioni
non specificando ulteriormente per quanto riguarda il numero o il quod, però è
interessante vedere come cambia il contenuto in qualche testo, per esempio in questo
numero, la formula indicativa da recitare durante l’unzione: ungo te de oleo sancto…,
Troviamo testimonianze d’inculturazione, siamo in un ambiente che si interessa della
materia non della celebrazione in quanto celebrazione di una comunità, ma si interessa
dell´effetto della materia e quindi alla materia viene attribuita una conseguenza logica,
l’effetto. Il secondo paso è che siamo in un ambiente in cui si vede che in ogni materia,
uomo, cosa, abitano spiriti cattivi, immondi, quindi prima di utilizzare una cosa o fare
qualcosa bisogna fare l’esorcismo: hic spiritus unmundus…, è una questione della
mentalità nord alpina.
Per la liturgia romana nei primi secoli questo non era mai necessario, ma qui si vede come
una usanza mediterranea-romana entrano delle idee della mentalità nord alpina: effetto,
materia e anche l’esorcismo, questo testo qua dell’unzione è chiaramente un esorcismo,
non si chiede più tanto guarigione ma si chiede che se ne vada questo spirito immondo.
Numero 28: troviamo un altro testo per l’unzione del primo tipo. Il relatore ha trovato
altre formule e qui ha raccolto. Sembra che il testo proviene da una tradizione e da una
mentalità che va nella direzione della salute corporale, che poi della salute ciò che si
chiede, l’effetto di quello che si sta per fare viene attribuito allo Spirito Santo, non alla
materia. Questi sono testi che appartengono alla mentalità mediterranea romana. Poi è
stata aggiunta un’ulteriore formula da un ambiente in cui l’unzione viene aquilata alla
richiesta di guarigione, però si sa che il rito sempre di più viene celebrato in vista della
morte e della remissione dei peccati, quindi semplicemente si aggiunge al testo esistente
e si mette in remissionem omnium…, e il testo è adattato alla nuova situazione.
Numero 29: si nota come le tradizioni da dove provengono questi testi sono diversi, il
relatore ha messo insieme tutto quello che li sembrava utile.
Numero 30: chiede salute corporale, dell’anima in ambito morale.
Dopo questi testi segue:
Numero 31: un inno che non è detto che è da cantare in ogni caso. Si trova in un ms
soltanto, nel sacramentario “Fulgense” questo inno è l’inno dell’ufficio, quindi anche
questo è una prova che il relatore semplicemente ha messo insieme i testi utili. Questo
testo è una preghiera che chiede chiaramente salute corporale. Sono testi presi soprattutto
dal suplementum al GrH, del testo dalla visita al malato. Per esempio dal numero 33-36,
troviamo il testo del supplemento.
Numero 34. Questo numero corrisponde al numero 11 dello stesso PRG, l’orazione al
supplemento gregoriano, solo che al numero 11 è un’orazione prima dell’unzione, qui al
numero 34 lo stesso testo è stato adatto al momento rituale dopo l’unzione. In questa
orazione troviamo un inciso agiunto: fugtis infirmitatibus et viribus receptis. Quindi
semplicemente si prendeva un testo conosciuto.
Numero 37: è una rubrica. Siamo in ambiente monastico, quindi l’idea è di portare la

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 50


comunione per 7 giorni, dopo di questo o muore o guarisce. De alio officio: non si sa
esattamente a che cosa si riferisce, se è a ciò che precede l’unzione o ciò che è al numero
41. Lo stesso numero 47 fa recitare Gc 5, 14-15: et suscitabit eum dominus ad salutem…,
Poi troviamo i testi per la comunione:
Numero 38, questa orazione in ambiente romano diventa la formula per il viatico. È
interessante che diventa pure la formula della comunione del sacerdote della messa.
Numero 39: è la formula che corrisponde al Vat. Pal. 485 della Abbazia di Lorsch. Il rito
romano limita poi alla prima di queste due formule.
Numero 40: qualche ms specifica sequitur…, è l’orazione dopo la comunione.
Numero 41: si riferisce probabilmente alla rubrica 37. Siamo in ambiente del monastero,
quindi i vespri e le lodi, l’ufficio, valgono anche per il moribondo. Se non può andare in
chiesa, qualcuno dei monaci viene da lui e con lui recita queste preghiere, sono due cose
quasi uguali in ambiente monastico:
a. si porta l’eucaristia per 7 giorni
b. e si porta la liturgia delle ore per 7 giorni (qui non entriamo nel discordo della
sacramentalità della liturgia delle ore perché è una questione che nel sec X non si
può fare, la cosa importante è che anche il malato-moribondo partecipava alla vita
della comunità).
Poi troviamo altre orazioni che chiedono aiuto divino per il malato, è sempre quasi la
stessa cosa d’interpretazione della salute e la remissione dei peccati.
Numero 44: qui il relatore ha inserito testi importanti per la riconciliazione del peccatore
al momento della morte che qui sec X acquisto man mano il titolo absolutio.
Numero 46: inizia una absolutio in 4 parti (ci sono anche di 3 parti), finisce nella riga 16
pag. 268. Attenzione: Adiuvante eodem domino nostro…essemus et, questa parte è strana
perché la creazione è attribuita a Gesù Cristo, è la stessa cosa che abbiamo trovato nei riti
di riconciliazione. Siamo in un ambiente franco-gallicano, antiariano che deve
sottolineare la divinità di Cristo, l’uguaglianza del Figlio al Padre, quindi questa absolutio
finisce con questa formula.
Numero 47: è un altro testo per l’assoluzione del perdono dei peccati, basta leggere le
prime tre righe. Sottolinea la divinità del Figlio. Il testo proviene del PRG XCIX, 243, la
riconciliazione pubblica del giovedì santo.
Numero 49: testo proveniente dal GeV 362, testi per la riconciliazione di un penitente
che nel GeV non ha nulla che fare con il moribondo.
Numero 52: rubrica: his ita expletis…, e alla fine di queste preghiere la benedizione, si
presente il vescovo se fa lui se è assente si presente ciascuno dei sacerdoti, ancora si
insiste in plurale, dia una benedizione. Tra le forme di benedizione che troviamo è
importante per noi il num: 54.
Numero 54: Benedicat te Deus…, la prima parte dell’orazione entra nel OUI de 1972 al
numero 79.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 51


Poi seguono altre ammonizioni circa la penitenza, interessante per noi il num, 55:
Numero 55: Per la penitenza e riconciliazione del moribondo. Dic illi quod non desperet:
vuole dire che non doveva disperare, il problema era la penitenza tariffata. Il moribondo
si chiedeva se non ha la possibilità di aspettare alla penitenza, che cosa succede?
Et elemosinam et orationem…, se sopravvive deve fare penitenza però nel momento della
morte passa a essere salvo, quindi nel X secolo non c’è altra possibilità per arrivare. Il
vangelo di Lc è chiaro, ancora non c’è l’idea di purgatorio e penitenza tariffata. Qui la
cosa viene applicata alla mentalità del X secolo, se sopravvivi devi pare penitenza, se non
sarai salvo subito.
Et dic, quia per istam…, basta la volontà, non si delineano ancora le idee del purgatorio.
Trovimo un’altra idea, i testimoni nel momento della morte possono fare la penitenza per
il moribondo, e pian piano si delineano le idee dei beni temporali.
Numero 56: et ostende ei modum…, questa sarà la penitenza se può digiunare.
Numero 58: postea communica eum…, confirma43. Tutta la frase significa dopo la
riconciliazione precede la comunione eucaristica sotto ambedue specie.
Dopo questo numero segue un altro ordo poenitentis ad mortem, riconciliazione del
moribondo. Quindi vediamo come la materia nel PRG è composta da diversi rituali e da
diversi riti, si mette insieme tutto quello che esiste. Non era celebrato uno dopo l’altro, la
dinamica era questa: l’idea del relatore che si fanno delle scelte intelligenti, poi sappiamo
che in un periodo tardivo, il PRG in certi regioni e in certi monasteri non era più
compresso come libro per insegnamento, m sempre di più viene compresso come rituale
per celebrare. In certi ambienti si inizia a celebrare questa raccolta di riti, a celebrare
dall`inizio fino alla fine con tutti i riti e unzioni che ci sono, è una dinamica che segue
spesso la storia della liturgia. Dunque quando si capiscono i libri si fanno scelte
intelligenti, quando non si capiscono più le ragioni si inizia a celebrare dalla prima lettera
fino all’ultima e così entrano le definizioni in liturgia, anche nel rito della messa succede
la stessa cosa.
Quindi abbiamo trovato:
rituali del primo tipo che chiedono salute;
rituali con formule antiche del primo tipo adattate alla mentalità nord alpina che
diventano esorcismo,
rituali del secondo tipo che chiedono salute e remissione dei peccati. I questi
rituali del secondo tipo troviamo le formule per le unzioni dei sensi che chiedono
remissione dei peccati che si preparano già il terzo tipo di rituali dell’unzione.
Abbiamo visto già le altre formule dell’unzione che chiedono guarigione, di tipo
antropofagico.
Quando adesso nel passaggio del secondo al terzo tipo di rituali si cerca di snellire il rito

43
Confirmare dopo la comunione si riferisce alla comunione al calice, al sangue di Cristo. Erano i diaconi
che dovevano confermare per dire che il sangue di Cristo o semplicemente il modo di dire dimolti riti
medioevali.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 52


e abbreviare, si limitano alle unzioni dei cinque sensi. Dal punto di vista del testo
rimangono le formule attribuite ai sensi e chiedono la remissione dei peccati e quindi
vengono fuori tralasciando tutte le altre funzioni, ungendo solo i cinque sensi con la
formula della remissione dei peccati e viene fuori un rituale di unzione esclusivamente
destinato all’unzione e alla remissione dei peccati e l’idea della guarigione man mano va
persa. Nella teologia si chiede come mai un rituale della remissione dei peccati dopo la
celebrazione della riconciliazione in articolo mortis.
Quindi che cosa succede adesso? I libri liturgici che seguono il PRG trasmettono il rito
dell’unzione però lo tentano di abbreviare, di metterlo in ordine, qualcuno l’inizia a
celebrare d’inizio alla fine e vede che la cosa non funziona e quindi si cerca di mettere in
ordine. In alcune chiese locali, diocesi fino al Rituale romano di 1614 riemanerà in vigore
il PRG.
2.4.2.2.5. Il PR del sec. XII

Quando il PRG con Gregorio VII nel XI secolo è stato accolto a Roma, anche i riti per
l’unzione degli infermi viene introdotto nel pontificale del XII secolo, generalmente un
posto del rito viene semplificato, i cambiamenti però sono pochi. Si cancella
l’imposizione delle mani, però rimane il testo attribuito all’unzione. Dopo Gregorio VII
il Pontificale del XII sec sono piuttosto i monasteri, soprattutto Cluny e i monasteri
dipendenti, che tentano di abbreviarlo. Si ristringe il numero di unzioni ai sensi.
È sulla base delle consuetudini di Cluny che si sviluppa un rituale più semplificato, già
nel XIII sec si vede che questa cosa non si può celebrare così. E quindi vengono fuori
molti riti adattati, semplificati un esempio è quello compresso nel Rituale di Rheinau.
2.4.2.2.6. Le consuetudini di Cluny44 e il Rituale di Rheinau (sec. XII)
Rheinau (Svizzera, diocesi di Costanza). È un rituale del XII sec di un monastero
dipendente, di tradizione cluniacensi. Il rito che abbiamo del XII dipende delle sue forme
chiaramente di Cluny, quindi per chiarire insicurezze si possono consultare le
consuetudini di Cluny (PL 149, 170-171).
Una cosa bisogna sottolineare prima di affrontare il rito nel rituale. Ricordiamo come
Origine non ha problemi di collegare Gc 5, 14-15 con la riconciliazione dei penitenti, lui
conosce l’unzione dei penitenti, nel momento della riconciliazione, quando agisce lo
Spirito Santo, questa usanza orientale di ungere i penitenti nel momento della
riconciliazione man mano fa ingreso anche nei riti occidentali, questa diventa una ragione
in più di collegare l`unzione e la penitenza, ungere i penitenti e riconciliare, ungere gli
infermi, la riconciliazione si fa in articolo mortis, quindi l`unzione si sposta sempre di più
verso la morte. Troviamo qui un rituale semplificato, alla base sta il PRG pero poi con la
tradizione di Cluny cercano di semplificare e adattare alla celebrazione, abbiamo dunque
in Ordo ad visitandum infirmum, non è solo una visita, ma un rito d’unzione e
riconciliazione. Detto questo affrontiamo il rituale:

44
Cluny fondato nel 910. Rheinau abbazia imperiale fondata nel 778, poi diventerà un monastero
dipendente di Cluny.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 53


ANALISI: Das Rheinauer Rituale, ed. G. Hürlimann (SpicFri 5), Freiburg/ Schw.
1959, 147-152.
L`ordo inizia con una rubrica: Cum unguendus est infirmus, tunc sacerdos…, dal XII sec
in poi si rinuncia ad avere più di un presbitero, basta uno. Si canta il salmo 50, c’è
l’indicazione per la colletta (è una orazione d`apertura, quella classica del IX sec del
PRG): Omnipotens sempiterne deus…,
Dopo questa orazione continua il rito a pag. 148.
I 7 salmi che seguono sono i salmi penitenziali, qui si mescolano penitenza e
unzione, usanza orientale di ungere i penitenti e quindi non hanno problemi di
cantare i salmi penitenziali nel momento dell’unzione. La dinamica è interessante,
nelle antifone si trova piuttosto l’idea di unzione per la guarigione, tranne un caso,
mentre i salmi sono i salmi penitenziali.
Quindi si vede come si intrecciano i riti, unzione per la guarigione, salmi
penitenziale per penitenza-riconciliazione.
I testi antichi spesso mettono i testi e poi la rubrica, invece noi siamo abituati a trovare
prima la rubrica e poi il testo. Qui è il caso di trovare il testo e poi la rubrica:
Testo: Imponuntur…,
Rubrica: interim sacerdos…,
Siamo in ambiente monastico e qui si inizia a fare le due cose insieme, si cantano i salmi
e contemporaneamente si fa la rubrica. Mentre i monaci cantavano i salmi sacerdos hoc
modo unctionem, si mescolano i salmi penitenziale dal rito penitenza-riconciliazione che
nei riti precedenti abbiamo trovati a un elemento assestante, che adesso coprono il rito
dell’unzione, ciò comporta una conseguenza di formule dell’unzione non si sentono più,
i monaci presenti cantano i salmi.
Troviamo un rito del terzo tipo, unzione soltanto dei sensi con la formula deprecativa,
non più ungo te, ma per istam unctionis, quindi abbiamo l’unzione dei 5 sensi, con la
formula esclusivamente che chiede la remissione dei peccati. Il terzo tipo del rituale
dell’unzione che poi viene conservato nel Concilio di Trento.
Salvum: saluto. Dopo di questo saluto entriamo in questa tradizione nella quale
all’orazione precedono i versicoli dei salmi.
Poi una serie di orazioni che conosciamo bene: sono le orazioni per la visita all’infermo.
Le prime due sono dal GrH 987-988, poi seguono le 4 orazioni che troviamo nel
Suplementum45 e nel GeV 1536…, quindi B. Anianne componendo il suplementum ha
messo insieme semplicemente l’orazione per la visita del GrH e poi il conosciuto GeV. E
così dopo il testo 131Domine, sancte pater…, finisce il rituale dell’unzione.
Adesso per vedere bene che cosa si faceva mentre si recitavano queste orazioni una dopo
l`altra, bisogna confrontare le Consuetudini di Cluny,

45
L’orazione per la visita all`infermo 1388.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 54


ANALISI DELLE Consuetudinis de Cluny
Collona 771: se andiamo alla riga 14: lavat manus; et…, Dopo l`unzione si lava le mani,
poi tunc si infirmus…, se l`infermo non vuole comunicare.
Deus, qui famulo tuo…, e così via sono orazioni che si trovano al no. 1226 e ss nel rituale
di Rheinau, poi nel caso se non vuole comunicare il sacerdote, lo stesso, dice tutte queste
orazioni. Se però vuole comunicare, si autem communionem… cooperitur… Quindi tutte
queste orazioni sono da dire da un altro mentre il sacerdote …, troviamo in questo parrafo
i riti della comunione.
Se l’infermo vuole comunicare durante la recita di questi testi, l’ebdomadario v in chiesa
a prender il calice e il vino e il corpo di Cristo, poi si lava la boca all`infermo, si da la
comunione con il corpo di Cristo intinto nel vino (la comunione sotto una specie non
esiste). Intingere il corpo di Cristo nel calice aveva un certo effetto, la santificazione del
vino.
Adesso TORNANDO AL RITUALE DI RHEINAU
L’ebdomadario va a prendere il corpo di Cristo e il calice con il vino, un altro recita tutte
queste collette, num. 126-131. Poi continua il rituale:
Numero 132. Si inserisce una rubrica hic admoneatur dicere confessionem
Importante prima di ricevere la comunione, la confessio, ma qui si riferisce alla confessio
generica46 e poi il rituale fa seguire altre orazioni chiedendo perdono dei peccati.
Inseguito ogni numero corrisponde a un altro del GeV.
Dopo ai numeri 136 e 137: ci sono due testi del GeV per la riconciliazione nel giovedì
santo, del rituale romano primitivo, i numeri sono 356-357.
Segue nel num. 138: il testo del GeV 358 che è il testo gallicano per la riconciliazione ai
penitenti.
Quindi il rituale specifica ciò che è detto nelle Consuetudinis: l’ebdomadario va a
prendere il Corpo di Cristo la chiesa mentre si dicono le orazioni precedenti, poi prima
della comunione la confessione e tutte le orazioni una dopo l’altra per l`imposizione della
penitenza e per la riconciliazione, si prende il materiale della penitenza pubblica spostata
in articolo mortis, semplicemente tutto insieme mercoledì delle ceneri e giovedì santo.
Seguono i riti o le preghiere di comunione:
Numero 139: che non troviamo nelle Consuetudini, queste dicono soltanto segue la
comunione, ma il rituale ci dice con quale testo. Questo primo numero corrisponde al
GeV 1539, nel GeV è la colletta ad messam pro infirmum che qui diventa orazione prima
della comunione e poi si mette la postcommunio ad messam pro infirmum 1542 GeV.
Quindi abbiamo una preghiera prima della comunione, la colletta per la messa infirmun
e una post communio. Questo lo sappiamo perché esistono altri rituali che utilizzano
queste preghiere prima e dopo la comunione semplicemente si riutilizza una vecchia

46
Troviamo un modello nel PRG.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 55


messa, quella della comunione al malato. Interessante che la postcommunio della misa
pro infirmis che non prepara di per sé alla morte. La preghiera è in vista della guarigione,
qui però adoperato per il rituale del viatico, della comunione, poi si aggiungono altri testi.
Poi troviamo tre orazioni con tematiche eucaristiche: 141 =GeV 1543 (qui porta il titolo
pro reddita sanitatem47), se guardiamo le ultime due righe ci accorgiamo.
Nel 142-143 sono testi gelasiani: 364-365, sono testi per la riconciliazione di un singolo
penitente dopo la comunione sono un po`non appropriati, quindi anche qui lo stesso
andamento dei rituali medioevali, prima il rituale e poi alla fine si aggiungono altri testi
importanti che si possono utilizzare.
Interessante per noi è il numero 144 che è una cosa nuova, qui è stata inserita in una
situazione concreta in cui si aspetta la morte: absolve, domine, animam…, qui se delinea
l’idea nuova di questi secolo, che avevamo visto già nei rituali precedente: la separazione
dell’anima del corpo dopo la morte, l’anima che in un certo senso deve affrontare il
passaggio fino ad arrivare al seno di Abramo. In questo passaggio ha bisogno di forza,
quindi qui si chiede l’aiuto dei santi, di Maria e gli apostoli che prendono l’anima, la
tutelano e la conducono al seno di Abramo. Man mano l’idea del viaggio dell’anima si
delinea.
Poi segue nel rituale obsequium circa morientes, unzione e riconciliazione nel momento
della morte, poi i riti della sepoltura.
Per quanto riguarda l’unzione vediamo come le formule diventano optativi, chiedono
esclusivamente la remissione dei peccati, quindi siamo nel ambiente del terzo tipo.
La struttura del rituale di Rheinau è questa:
Tale rituale semplificati e limitati
alle unzioni dei sensi, passati dalle
Consuetudini di Cluny poi si
accolgono in altri libri liturgici,
stano alla base anche del
Pontificale della Curia Romana del
XIII sec. Quindi questo pontificale
adatta il rituale di Cluny al uso della
Curia, a Roma non troviamo più
rituale romano, quindi il rituale
romano dell’unzione è
semplicemente la benedizione dell’olio e la visita fatta dai laici o vescovo, questo è tutto
lo romano che abbiamo, tuti questi rituali che abbiamo son franco-gallici. Ciò che
abbiamo in ambiente nord alpino in torno al rituale di Cluny adeso viene adattato alla
Curia Romana.

47
Ringraziamento della guarigione

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 56


2.4.2.2.7. Il PCR
Nel Pontificale della Curia Romana (PCR) del XIII sec troviamo un ordo dell’unzione
degli infermi inserito dopo la riconciliazione dei penitenti, quindi il pontificale della curia
riflette l`andamento medioevale classico:
riconciliazione dei penitenti
unzione
viatico
Rito per la commendatio animae
Sepoltura
Analisi della sezione XLIX: Ordo compendiosus et consequens ad unguendum
infirmorum.
L’edizione ha due collane:
Sinistra: alfa
Destra: gama
Il Pontificale si può dividere in due recensioni. La recensione contrassegnata con A (alfa)
è la così detta recensione breve, corrisponde all’inizio del XIII sec. poi troviamo la
recensione gama, a destra, detta recensione lunga con data della seconda metà del XIII
secolo.
Numero 1: nella recensione lunga: in primis…,

!¡ A sinistra nella recensione breve i salmi penitenziali, litanie e Padre nostro, le due
orazioni mancano, perché facevano parte già del ordo precedente che si trova nella
recensione breve. Precede l`ordo ad communicandum infirmum è di questo fanno parte i
salmi penitenziali, Padre nostro, le due orazioni, e quindi in questo ordo non li ripetono.
Numero 2: le due orazioni: Omnipotens sempiterne Deus…; Domine Deus, qui per …, è
quella classica del IX sec.
Numero 4: della recensione lunga: c’è un po`di confusione. In 5 manoscritti della
recensione lunga si è mantenuta l’imposizione delle mani accompagnata da questo testo
al numero 5 è di carattere apotropaico, questo testo del numero 5 entra poi nel rituale
romano del 1614, nel testo chiaramente si trova l’idea dell’imposizione delle mani, invece
negli altri manoscritti del PRG è stata tolta l’imposizione delle mani, è rimasto il testo ma
adesso accompagna la preghiera d`unzione della testa. Quindi la recensione breve cerca,
in un modo forse non appropriato, di snellire ancora di più la celebrazione, deputando
l’imposizione delle mani non tanto importante, rimane il testo e si avvina alla prima
funzione: alla testa. Cosi si abbreviano i riti, invece dei far un’imposizione delle mani e
poi l’unzione della testa con la formula, ci si limita a far l’unzione della testa con questa
formula. È così con la recensione breve entra poi nel rituale post tridentino, la formula
rimane ma, l´imposizione delle mani non c’è più.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 57


Numero 6: Continua la recensione lunga, gama, post hoc... in septem vel aliquantis locis,
cioè il numero delle unzioni non è stato mai definito, i cinque sensi diventano 7 unzioni,
quindi il numero è sempre simbolico. Seguono le formule d’unzioni che già conosciamo:
sono del terzo tipo, orazione ottative, deprecative che mettono al primo piano la
remissione dei peccati.
Numero 12: orazione dal PRG che accenna il significato della salvezza eterna.
Numero 13: orazione del PRG del XII sec.
Numero 14: orazione del PRG XII sec.
FINISCE IL RITO DEL`UNZIONE E INIZIA NELLA SEZIONE “L” L`Ordo ad
comunicandum infirmum.
Numero 1: la stessa cosa che abbiamo trovato nelle Consuetudinis di Cluny. Il facere
confessionem è stato aggiunto soltanto nella recensione lunga, la recensione breve
tralascia la confessione. Invece in tutte le recensioni si trova il bacio della croce48.
Numero 2: orazione per la riconciliazione pubblica del PRG che troviamo interamente
così nel pontificale del XII sec per la riconciliazione pubblica del giovedì santo: Dominus
Iesus Christus…,
Numero 3: rubrica per la comunione. Tunc tradat ei sacerdos… intincti vino…, XIII sec
contemporaneo a san Tomasso, le prime riflessioni scolastiche, introduzione nella messa
è l`elevazione del Corpo di Cristo, la gente non faceva più la comunione, quindi poteva
vedere l`ostia, si chiedeva al sacerdote di elevarla. Adesso iniziano i teologi a riflettere:
se iniziano le elevazioni al inizio del prefazio, al inizio del canone forse quest’Ostia
venerata ancora non è corpo di Cristo, ma in quale momento diventa? Quindi la riflessione
che vuole trovare il momento esatto della consacrazione è una conseguenza
dell’elevazione. Quindi siamo nel secolo della scolastica.
Qui ancora, come abbiamo visto nel rituale di Rheinau, in primo luogo stabilire il corpo
di Cristo nel fato di dare ai suoi il pane e il vino, tramite l’intenzione il vino è santificato
e queste viene trasmutato. Questa parte della rubrica già manca in 3 su 21 manoscritti,
poi in 3 manoscritti esisteva ma dopo è stato cancellato. Quindi nasce la riflessione
teologica e sulla base della riflessione si copia il pontificale e qualcuno si accorge della
riflessione. La teologia adesso ci dice che la consacrazione avviene nel momento in cui il
sacerdote pronuncia queste parole, però queste parole su questo vino non sono stare
pronunciate, quindi non possiamo dire che viene trasmutato in sangue di Cristo, quindi
meglio tralasciare questo, oppure se in qualcuno già esiste lo fa cancellare. La spiegazione
teologica viene dopo e ha un influsso su i manoscritti dei libri liturgici.
Questa è una testimonianza dell’interazione tra liturgia e riflessione teologica, ed è una
testimonianza che per 12 secoli, al meno, idee di consacrazione non abbiamo ancora, non
esistevano, l’importante era fare ciò che Cristo ha fato. Nella formula et sanguinis è un

48
il termine adoratio è riservato alla croce, la venerazione si fa per l`eucarestia. Ancora san Tomasso si
esprime in questo modo. Adoratio per la croce, la veneratio per l`eucaristía: tantum ergo sacramentum
veneremur…,

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 58


inciso che è stato messo poi in 7 manoscritti, poi si pensa se si ha cancellato l`idea in
Cristi sanguinem transmutatum bisogna qui cancellare nella formula anche sanguinis
perché non c`è più comunione sotto due specie, siamo nel secolo in cui troviamo le idee
che la comunione eucaristica si può fare sollo una specie soltanto, mentre
contemporaneamente in altre chiese, soprattutto nord alpine, soltanto è possibile in
ambedue specie.
Numero 4: nel testo dell’orazione si mantiene l’idea più antica, questo fino sanguinem
domini nostri Iesu Christi trasmutato tramite l`intinctione del pane.
Poi seguono i riti d’introduzione nel ordo paenitentiae, quindi troviamo benedictio cilicii,
cineris e poi:
Numero 7: è una rubrica dove si vede chiaramente l’ambiente nord alpino, perché rituali
puri non esistono, quindi è un’idea romana con influsso nord alpino. Ponatur infirmus:
l’infermo è finalmente accolto nel ordo poenitentis, poi al infermo viene messo il cilicio,
i ceneri e poi un`altra volta la croce sopra l`infermo, questi sono riti di accoglienza della
penitenza e allo stesso momento ricordano i riti di sepoltura, qui si fanno questi siti sul
moribondo per una certa ragione che troviamo nel versetto della domanda che segue:
placent tibi cinis…, l`infermo accetta ceneri e cilicio, cioè entrare nel ordo poenitentiae,
una cosa che li serve nel momento del giudizio. In quei secolo la gente non può immaginar
una misericordia divina che perdona peccati senza un’opera corrispondente dell`uomo,
perciò che in ogni caso si doveva vedere che quello entrava nell`ordo poenitentiae. La
penitenza poteva farsi da altri, dai testimoni, ma lui doveva essere membro del ordo
poenitentiae.
Riassunto: le cose importanti per noi;
Le unzioni sono state ridoti ai sensi, non hanno più niente a che fare con la
malattia. L`idea più antica è ungere tutto il corpo, ungere anche la parte del corpo
dove è il dolore più forte perché l`olio è medicina. Adesso si riduce ai sensi quindi
si cambia talmente il senso nella formula con la richiesta del perdono dei peccati,
formula ottativa con la orazione: Il Signore ti perdoni.
Seguendo la classifica di Chavasse siamo nel III tipo, che chiede remissione dei
peccati.
La formula ottativa con l’unzione dei 5 sensi, influsso sulla teologia che adesso
segue, la teologia deve spiegare ciò che si sta facendo.
L’imposizione delle mani è rimasta in pochi manoscritti, la preghiera che accenna
l’imposizione delle mani nei più grandi dai manoscritti è stata pregata per
l’unzione della testa.
A Parte dell`unzioni si prega anche per la guarigione corporale, quindi le
preghiere si mantengono con le idee più antiche.
Questo rito del PRC, poi dai francescani viene diffuso in tutta l’Europa, ed entra
nei rituali: Castellani del 1497, nel rituale di… del 1602 che è il predecessore di
quello di 1614 e così è alla base del tridentino (Pio V).
Adesso uno sguardo allo sviluppo “pastorale”

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 59


2.4.2.3.Lo sviluppo pastorale e storico dogmatico49
A livello “pastorale” Ci sono tre cose che ci interessano:
a. L’obbligo di ricevere l’unzione?
b. Pagare l’unzione?
c. L`unzione come consacrazione? Dietro c’è l`idea che non si può ripetere
l`unzione, pure l`idea della consacrazione.
L’obbligo di ricevere l’unzione: già nel alto medioevo si trovano dei solleciti numerosi
fatti ai sacerdoti di visitare ai malati e anche di amministrare l’unzione ai malati, se si
vede nella storia l’andamento di solleciti rivolto ai sacerdoti, vuol dire che i sacerdoti non
lo facevano, l`uso di utilizzare l`olio da parte dai laici è stato vietato nella prima metà del
IX secolo. I sacerdoti nord alpini, non quelli mediterranei, non sentivano né anche
l’obbligo di amministrare ai laici l’unzione che nel luogo non avevano l’obbligo di
ricevere. In molte chiese non c’era l’olio e di solito i sacerdoti non ungevano e se qualcuno
lo chiedeva se andava forse a cercarlo. Qualche riflessione sull’olio è inesistente,
troviamo pure qualche decreto del basso medioevo che dice chiaramente che l’unzione è
a piacimento del malato, abbiamo i cosi detti canones Edgarii di ambiente angolassero
del X sec:
Citazione 21) Canones Edgarii (sec. X), ed. J. P. Migne (PL 138), 504
Canone 65. Docemus etiam, ut quilibet sacerdos confessionem et
poenitentiam doceat eum qui ipsi confitetur, et ad emendationem quoque
adiuvet, et aegroto s. eucharistiam praebeat, cum ei opus est, et ungat illum
quoque, si hoc desideret.
L’obbligo del sacerdote è dare l’eucaristia al malato e poi l’unzione se desidera. Per il
viatico esisteva una legge. Il viatico era una cosa importante. Durante l interdetto, una
regione che stava sotto questo, si amministravano i sacramenti tranne il battesimo e
l`eucaristia, durante l`interdetto l`unzione era vietata, vuol dire che la chiesa non
considerava mai l`unzione come qualcosa di indispensabile nella strada verso la santità,
ogni tanto qualche sinodo regionale cercava di decretare qualche obbligo, ufficialmente
ci sono soltanto raccomandazioni.
Per il sacerdote si cercava al meno di persuaderlo di essere pronto a ungere se qualcuno
lo chiede, quindi appena l`uso dell`olio passa in mani del sacerdote, inizio del IX sec, si
pregava al sacerdote di avere l`olio e se qualcuno chiede deve essere pronto a ungere il
malato, l`obbligo solo il viatico, l`unzione è solo raccomandata. Per esempio troviamo a
Teodolfo di Orleans, citazione 17:
17) TEODOLFO DI ORLEANS (+821), Capitulare II, 10, 21 (solo nella
rielaborazione di Ademaro di Chabannes, quindi intorno al 1000), ed. P.
Brommer (MGH.Capitula Episcoporum 1), Hannover 1984, 178
21. Ammonendi etiam sunt sacerdotes de unctione infirmorum et poenitentia et
viatico, ne aliquis sine viatico moriatur.

49
man mano il magistero agiunge una sua parola al riguardo

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 60


Oppure il Capitolare del vescovo di Garibaldo, citazione 22:
22) GARIBALDO DI LIEGI (+809), Capitulare I, 21, ed. P. Brommer
(MGH.Capitula Episcoporum 1), Hannover 1984, 21
XXI. Ut secundum definitionem sanctorum patrum, si quis infirmatur, a sacerdotibus
oleo sanctificato cum orationibus diligenter unguatur.
L’unzione si raccomanda, i vescovi controllavano se i sacerdoti avevano in chiesa l`olio,
si era pronto a ungere il malato quando lo chiedevano. Per esempio troviamo, citazione
23:
23) HINCMARO DI REIMS (+882), Capitula quibus de rebus magistri et
decani per singulas ecclesias inquirere, et episcopo renuntiare debeant, ed. J. P.
Migne (PL 125), 779
X. Si ipse presbyter visitet infirmos, et inungat oleo sancto, et communicet per se, et
non per quemlibet, et ille ipse communicet populum, nec tradat communionem
cuiquam laico ad deferendum in domum suam causa cujuslibet infirmi.

Quindi il vescovo insiste che il presbitero stesso doveva portare il viatico al infermo, al
moribondo. Vuol dire che spesso non facevano. Dal punto di vista della mentalità siamo
in un ambiente dove la gente s’interessa molto della materia, bisogna avere in casa come
protezione, quindi il pane eucaristico, la comunione eucaristica non era più una cosa da
mangiare, oppure di fare ciò che Cristo ci ha comandato, ma era un rito del presbitero nel
produrre la cosa sacra. La cosa sacra è la cosa che si vuole guardare che si sei fortunato
porti anche a casa. Questa cosa sacra è destinata a essere mangiata. Il Cristiano semplice
diceva: perché devo mangiare la comunione, se la mangio non esiste più. Tali solleciti
durante tutto il medioevo sono mono frequenti, il sacerdote in viaggio dovevano portare
con sé l’eucaristia e dal IX sec anche l’olio. Per esempio, citazione 24:
24) Statuta S. Bonifacii (compilati inizio sec. IX), (Mansi 12), 385
4. Ut presbyteri sine s. chrismate et oleo benedicto et salubri eucharistia alicubi non
proficiscantur. Sed ubicumque vel fortitudo requisiti fuerint, ad officium suum statim
inveniantur parati in reddendo debito.
Quindi se il prete va in viaggio porti con sé l’eucaristia, può capitare che la chiedano. Si
doveva sollecitare pure che l’olio era conservato nelle chiese, il vescovo de Valenzia, per
esempio, nel 1255 scopre che l’olio no è conservato nella maggioranza delle sue chiese,
e perciò molti fedeli muoiono senza l`unzione, i presbiteri semplicemente non vedevano
il senso.
Un Sinodo in Svezia nel1325 in un canone stabilisce che ogni sacerdote che viene chiamato da
qualcuno ad amministrare il battesimo oppure l’unzione e non ci va deve pagare 3 marchi al
vescovo e 3 marchia colui che è malato, quindi la pena è da pagar, vuol dire che i presbiteri spesso
non ci andavano.
Pagare l’unzione? Il sacramento dell’unzione costava troppo. La venta dei sacramenti era sempre
considerata simonia e perciò vietato, ufficialmente era anche vietato di chiedere una specie di
pagamento in vivere, per esempio, IX sec, Garibaldo di Liegi nel suo Capitolare lui minacciava
con la soppressione dei presbiteri che si facciano pagare i sacramenti, cf. citazione 25:

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 61


25) GARIBALDO DI LIEGI (+809), Capitulare c. III, 5, ed. P. Brommer
(MGH.Capitula Episcoporum 1), Hannover 1984, 38
V. Ut nullus presbyter pro baptizandi causa et communionem tribuendi aliquod pretium
exactare faciat nec minimum nec maximum, quia gratis accepimus, gratis dare [Mt 8,10]
debemus, quia nec vendere debent donum et gratiam dei, quia gratis datur. Quod si
fecerint et ad nostram notitiam pervenerit, sciat se post haec a gradu sui ordinis
periclitari.
Il problema è che il proprio vescovo Garibaldo menziona soltanto il battesimo e la
distribuzione della comunione, i presbiteri dovevano sopravvivere, il vescovo lo vedeva
di più dalla parte della grazia. Alcuni sinodi condannano il farsi pagare i sacramenti, non
è una cosa soltanto del basso medioevo. Nel medioevo la maggioranza dei presbiteri
ignorava queste disposizioni, oppure voleva ignorarle e così che nel XI secolo i
sacramenti erano tutti da pagare.
Sul altro lato c’è anche la consapevolezza dei fedeli che i presbiteri devono vivere, quindi
molti fedeli davano volentieri qualche cosa, soprattutto quando vedevano che un
presbitero aveva bisogno. I vescovi permettevano che i presbiteri accettassero questi doni,
fati volontariamente, stessa dinamica nel 1014: i sacramenti non sono pagati in nessun
modo, le offerte che i fedeli intendono dar in forma libera sono un modo per contribuire
alle necessità della chiesa.
Così si sviluppano ciò che nel XII sec in poi si chiama Laudabilis consuetudines (lodevole
costumi) è un costume che per tale sacramento si da soldi o altre cose, questi costumi che
ufficialmente erano offerte volontariamente, nel XII sec la prassi di questi costumi
diventano tasse fiso.
Il Lateranense IV sanziona questa prasi, cf. cit. 26:
26) Conc. Lat. IV (1215), (Mansi 22), 1054
Can. 66. Ad apostolicam audientiam frequenti relatione pervenit, quod quidam clerici
pro exsequiis mortuorum et benedictionibus nubentium et similibus pecuniam exigunt
et extorquent et, si forte eorum cupiditati non fuerit satisfactum, impedimenta fictitia
fraudulenter opponunt. Econtra vero quidam laici laudabilem consuetudinem erga s.
ecclesiam, pia devotione fidelium introductam, ex fermento haereticae pravitatis
nituntur infringere sub praetextu canonicae pietatis. Quapropter super his pravas
exactiones fieri prohibemus et pias consuetudines praecipimus observari, statuentes ut
libere conferantur ecclesiastica sacramenta, sed per episcopum loci veritate cognita
compescantur, qui malitiose nitantur laudabilem consuetudienem immutare.
Si dice che non si doveva chiedere niente prima di dare il sacramento, ma una volta
amministrato il sacramento si ha il diritto di chiedere ciò che è espresso nei lodevoli
costumi, nel tariffario, perciò c’era anche la minaccia della pena se chiedevano tanto.
Questo canone diventa il regolamento per i secoli seguenti, non c’è la differenza nel
chiedere il pagamento per il sacramento, si chiedeva lo stesso per l’unzione, il viatico,
matrimonio, solo l’eucaristia non si faceva pagare. Dal Lateranense IV in poi alla
eucaristia doveva precedere la confessione, quindi pagavano per la confessione. Il
sacramento più costoso era quello dell’unzione perché non si chiedeva solo soldi, ma

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 62


l’uso dei vestiti lavati, le lenzuola che dovevano essere di lino e si come cadeva l’olio lì
i presbiteri portavano con loro per rispetto verso il sacramento. Perciò Ademaro usa
l’autorità di Teodoro e dice che i vestiti si possano lavare e riutilizzare se sopravvive il
malato, lo stesso con le candele, che erano molto costose.
Un sinodo ad Aquisgrana nel 1269 stabilisce che solo l’olio da pagare e per l’eucaristia e
il viatico non si paga niente. Però per portare l’eucaristia al moribondo, in questi secoli,
ci vuole una processione solemme, la gente non può più immaginare di portare l’eucaristia
alla casa senza una certa solennità che aumenta sempre di più.
Solo nella seconda metà del XV sec iniziano le prime riflessione su questa prasi, che però
non riescono a cambiare l`uso.
L’unzione come “consacrazione”. Troviamo i solleciti ripetute da parte della chiesa
ufficiale di amministrare l`unzione al meno al moribondo. Questi solleciti dell’unzione ai
moribondi avevano due conseguenze:
a) Agli altri infermi, ai non moribondi, non si dava. Il sollecito dice: tu devi essere
pronto a guardare al moribondo,
b) I libri liturgici si regolano dalle tasse. Nei rituali l`unzione si trovava inserita tra
ciò che era necessario per il moribondo, riconciliazione, unzione, encomendatio
anime, preghiera dopo la morte e riti funerali. Il rituale viene composto secondo
le necessità, il prete legge il rituale.
E così l’unzione diventa preparazione alla morte. Poi si aggiunge le questione delle cinque
formule dell`unzione nei 5 sensi, anche se Gc 5 i testi delle orazioni non lo insinuano, le
formule per le unzioni sottolineavano soltanto l`aspetto della remissione dei peccati,
questo è un esempio di quando si inizia a considerare un sacramento soltanto dal punto
di vista della formula in cui la teologia poi individua la forma sacramento. Qui nasce un
ulteriore problema connesso alla riconciliazione in articolo mortis, che era un relicto della
penitenza pubblica, la penitenza pubblica spostata a prima della morte a causa del
interdetto (uno che una volta è entrato nel ordo poenitentiae anche dopo la riconciliazione
no può più giurare), perciò penitenza pubblica spostata al momento della morte. Anche
se la penitenza pubblica si celebra nel momento della morte si entra nel ordo, come
abbiamo visto nel PGR, e questi interdetti che una volta erano legati alla penitenza e
riconciliazione pubblica adesso si legano al rito dell’unzione, dopo l’unzione si deve
continuare la vita del penitente in caso che si sopravvive. Quindi dopo l’unzione si deve
rinunciare alla carne, alla vita matrimoniale, quindi ogni tanto prima dell’unzione il
marito oppure la moglie doveva dare il permesso.
Inoltre l’uso dell’olio viene interpretato nel senso di una consacrazione, di una
santificazione e lo vediamo già in Ademaro, il senso è santificazione, nel XIII sec
funziona così, una cosa è santificata e anche rispettata. Si ungono i piedi, le mani. Allora
colui che guariva dopo aver ricevuto l’unzione era come morto per il mondo.
Perciò il sacerdote non può alzare la mano in giuramento (perché è stato unto), il sacerdote
è un uomo santo, santificato quindi non può sparlare, il sacerdote è un uomo santo quindi
con i suoi piedi non può toccare la terra, dunque deve usare le scarpe. La conseguenza, la

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 63


cosa non si sviluppa contemporaneamente, che si preferisce il sacerdote celibe, perché
non ha rapporto matrimoniale, quindi non è impuro, questo è un modo di intendere la
consacrazione. Si preferiscono i sacerdoti che vivono insieme intorno alla cattedrale sotto
la guida di un preposito, si sviluppa il credo diocesano, anche perché il governatore aveva
più influsso su di loro. Il clero sposato di campagna sentivano di essere un può fuori del
influsso del vescovo e del imperatore. Il sacerdote celibe che vive in cattedrale totalmente
dipendente dal vescovo è tutta un'altra cosa, perciò in campagna tutte queste idee esitano,
anche le idee intorno all`unzione. Negli Scarpsus si trova che non c’è ‘l’obbligo.
L’idea di considerare l’unzione come una consacrazione aveva ancora un’altra
conseguenza: non era reiterabile, come la consacrazione, l’ordinazione non si può
ripetere, anche l`unzione degli infermi vista come consacrazione non si può ripetere.
Queste sono delle opinioni radicati fortemente nella gente e anche nel clero. È dato che
erano talmente radicate il sollecito di amministrare l’unzione de almeno ai moribondi
diventa una norma: unzione solo per i moribondi. Quindi diventa una unctio in extremus,
e si sposta anche dopo il viatico. Dato, abbiamo visto già dai sinodi, che i sacerdoti stessi
dovevano portare il viatico ai moribondi e non i laici quest’idea aveva ancora come
conseguenza che si anticipava il viatico. Il sacerdote doveva essere sicuro che il
moribondo abbia il viatico, quindi meglio anticiparlo, e si poi dopo il viatico ancora
sopravvive li si può dare ancora l’assoluzione e l’unzione diventa l’ultimissimo
sacramento. Allo stesso tempo dopo questo spostamento dell´unzione alla fine della vita
andava in contro anche l’uomo. L’uomo medievale aveva desiderio di morire con un
monaco. Nel momento dell’unzione prendeva il silicio oppure l’abito del monaco, quindi
dopo era penitente e si sopravvivevano dovevano vivere di penitenti come monaci, quindi
spostavano l`unzione quando non c`èra più speranza di sopravvivere. Questa è la prassi,
una prassi assai condotta in cui non c’è ordo, ci sono soltanto idee.
Nel XIII, già nel XII nasce poi la sistematizzazione teologica, i teologi devono
sistematizzare questa prassi, quindi devono spiegare questa prassi, dunque arrivano le
prime riflessioni di una sistematica, quindi mettono tutto questo che abbiamo in un
sistema logico ragionevole, però ciò che i teologi del XII secolo devono fare è
sistematizzare la prasi che trovarono, non si conoscevano le fonti. Nella sistematizzazione
teologica, poi nuovamente avrà un influsso sulla prassi, quindi nella sistematizzazione
nascente dei sacramenti, siamo nei secoli dove man mano si stabilisce anche il settenario
dei sacramenti.
Per quando riguarda l`unzione il teologo diceva: l`unctione et sacramento ex et unctium,
quindi abbiamo un sacramento intrantium, il battesimo, e abbiamo un sacramento ex
unctium, quando uno se ne va di questa vita qui in terram verso la vita eterna. Dunque
dovevano mettere in ordine, poi il teologo riconosce e trova subito il parallelismo,
troviamo tre sacramenti che iniziano alla vita cristiana: il battesimo, una unctione post
battesimale chiamata cresima (confermazione) e l’eucaristia, questi tre sacramenti
iniziano alla vita cristiana. In parallelismo si trovano 3 sacramenti che iniziano alla vita
eterna: la penitenza-riconciliazione50, una unzione e l’eucaristia (viatico), questo

50
Che per la Chiesa è considerata un secondo battesimo, perciò si fa una volta soltanto.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 64


parallelismo secondo la mente medioevale è perfetto. Quindi l’unzione serve per
cancellare tutti gli impedimenti alla vita eterna e arriviamo a problema a cui abbiamo
accennato già: valutare la richiesta di guarigione, che tipo di guarigione è? Come salvare
nelle formule la richiesta della remissione dei peccati se prima dell’unzione si celebra
penitenza e riconciliazione? Questo viene fuori e si concentra dopo sulle formule. Poi,
qual è la parola che accompagna la materia? La risposta a questo la danno due scuole
teologiche:
a) Scuola francescana (S. Bonaventura-Duns Scotus)
b) Scuola domenicana (Alberto Magno-S. Tomasso)

Sviluppo dogmatico
Le due scuole si situano nel XIII sec.
Scuola francescana
S. Bonaventura51 riflette sull’effetto dell`unzione, la formula dice:
l`unzione toglie il peccato attuale veniale, abbiamo il peccato originale, mortale, veniale,
il peccato originale è perdonato nel battesimo, il peccato mortale è perdonato nella
penitenza riconciliazione, il peccato veniale è perdonato con le opere buone che faciamo
nella nostra vita.
Ma adesso il moribondo ha un problema, non può fare più opere buone, come riesce a
farsi perdonare? Quindi il peccato veniale non si può, l`unica possibilità è l`unzione,
allora l`unzione perdona il peccato veniale al moribondo che non può più fare altre opere,
però bisogna aspettare fino al momento in qui il moribondo non può più peccare perchè
l`unzione si fa soltanto una volta, perciò conclude Buonaventura: l`unzione è da rifiutare
a qui non sta morendo, poi dopo di lui D. Scotus spiega le conseguenze dicendo: il
sacramento dell`unzione è solo per colui che non può più peccare e quindi deve essere
privo di sensi, la seconda conseguenza di quest`idea: un effetto corporale ad memori…,
si vede che manca un po` di logica, che cosa facciamo con l`effetto corporale? La scuola
francescana non ci da risposta. Un po`più equilibrata è la scuola domenicana.

Scuola domenicana
Anche Alberto Magno parte dalla riflessione sul sacramento ex et unctio, al quale
attribuisce un effetto duplice. Alberto Magno dice:
a. L’unzione può avere un effetto corporale quando giova all’anima, quindi quando
è per bene dell’anima può avere effetto di guarigione corporale;
b. L’unzione toglie le reliquie peccati. Per sapere che cosa sono questi, la risposta
c’è la da san Tomasso.
San Tomasso riprende le idee di Alberto Magno e concretizza, attribuisce anche a lui

51
Dipende di che il rito ufficiale di penitenza e riconciliazione di qualsiasi forma è per il peccato mortale.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 65


all’unzione un duplice effetto dicendo: l’unzione guarisce la malattia del peccato, così
lui salva l’idea di Gc 5 (il significato originale dell’olio come medicina), l’unzione
guarisce ai malati, ma lui aggiunge la malattia del peccato e così salva anche le idee delle
reliquie-peccati di Alberto Magno. Queste sono l´indebolimento dell’anima causato da
qualsiasi tipo di peccato, il peccato si può perdonare, però ogni peccato indebolisce
l’anima, per il viaggio pericoloso che l’anima deve fare fino ad arrivare in paradiso, idea
pagana che è entrata nel cristianesimo, per quel viaggio bisogna avere l’anima forte.
Quindi l’unzione cancella quel indebolimento causato dai peccati e rafforza l’anima in
questo viaggio, idea bella però limita l’effetto della riconciliazione e dell’eucaristia, se
uno riceve l`eucaristia deve essere in stato di grazia e non c’è unione più intima in terra
con Cristo che nella eucaristia. Tomasso afferma anche l’effetto corporale soltanto quanto
serve, giova all’anima. L’Aquinate riflette anche sul destinatario dicendo: extrema unctio
significa ultima unzione, quindi è l’ultimo sacramento che la chiesa può conferire, il
sacramento che prepara immediatamente alla morte. L’unzione può essere amministrata
soltanto ai moribondi, però, secondo Tomasso, è reiterabile, invece Bonaventura nega la
possibilità.
Ambe due scuole vanno d’accordo quando dicono: ai bambini l`unzione da rifiutare
perché non hanno peccato e perché sono incapaci di lottare contro il peccato, quindi non
ha senso.
Un paso più avanti lo da il magistero.

2.4.2.4. Il magistero
Qualche vescovo ci dice qualcosa nel suo capitolare, troviamo la sistematizzazione da
parte dai teologi e il magistero non si mischia tanto. Tra gli enunciati del magistero, forse
il più conosciuto è il decreto pro armenis del Concilio di Firenze. Quindi siamo già nel
XV secolo. Il magistero si mischia soltanto quando si tratta di difendere una prassi della
chiesa contro altre dottrine, il primo caso è il decreto pro armenis in qui si stabilisce che
cosa è cattolico e quelli dal di fuori che vogliono accettare la fede cattolica, questa è la
ragione, in qualche modo dell’unzione.
Il decreto pro armenis non è una definizione dogmatica, ma gode di grande stima nei
tempi seguenti. Il testo è:
Concilio di Firenze (1439)
DH 1324: «Quinto sacramento è l’estrema unzione, la cui materia è l’olio
d’oliva benedetto dal vescovo. Questo sacramento deve essere amministrato
solo a un infermo di cui si teme la morte; egli deve essere unto in queste
parti: sugli occhi per la vista, sulle orecchie per l’udito, sulle narici per
l’odorato, sulla bocca per il gusto e la parola, sulle mani per il tatto, sui
piedi per il movimento, sui reni per il piacere che lì risiede.
La forma del sacramento è questa: ‘Per questa unzione e per la sua piissima
misericordia, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai commesso con la vista’,

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 66


ed espressioni simili si pronunceranno nell’ungere le altre parti.»
DH 1325: «Ministro di questo sacramento è il sacerdote. Effetto è la salute
della mente, e, se giova all’anima, anche quella del corpo.»
Questo decreto va nella direzione di san Tomasso non della direzione dei francescani.
Dopo il Concilio di Firenze non troviamo più niente fino al Concilio di Trento, anche
Trento deve difendere la dottrina contro i protestanti.

2.4.2.4.1. Il concilio di Trento



Al Concilio di Trento l’unzione viene trattata insieme alla penitenza, un’appendice alla
penitenza nella XIV sezione. Trento risponde alle idee dei protestanti52, e prima della
discussione conciliare, la dottrina protestante dei padri conciliari è stata riassunta in tesi.
Le tesi dei protestanti erano (Concilii Tridentini acta, vol. 7/1, 239-240).
a) L’unzione non è sacramento;
b) L’unzione non conferisce né grazia ne remissione dei peccati; ne allevia lo stato
del malato;
c) L’unzione della chiesa non riflette il rito e l’uso di Gc 5;
d) Il ministro non è il sacerdote ordinato ma l’anziano della comunità;
Trento difende l’idea cattolica contro questi tesi, così i 4 canoni del Concilio di Trento
sull’unzione degli infermi seguono l’andamento di questi tesi, si sottolinea:
Þ Nel primo canone la sacramentalità;
Þ Nel 2° si stabiliscono gli effetti; conferimento della grazia, remissione dei peccati,
l’alleviamento (dello stato) dei malati (alleviare infirmos).
Þ Nel 3° canone si afferma che il rito non è in contrasto con Gc 5, 14-15;
Þ Nel 4° canone si afferma che i presbiteri di Gc 5 sono i sacerdoti della chiesa
Trento non ha l’intenzione di scorre la dottrina intera del sacramento, ma solo in quanto
era negato dai protestanti, quindi l’unico scopo era dimostrare la prassi attuale e la
continuità con il pensiero della chiesa. Interessante che in questi canoni non si dice nulla
sullo stato della malattia. questi sono i canoni, adesso dobbiamo dare uno sguardo al testo
dogmatico, ai capitoli sulla dottrina del sacramento.
Dai capitoli sulla dottrina del sacramento dell’estrema unzione si possono individuare 3
dati importanti:
1) Il nome del sacramento. I capitoli dogmatici sulla dottrina del sacramento hanno
il titolo extrema unctio ma il testo si trova anche Unctio infirmorum, per esempio:

52
La loro idea era quella del XVI sec di sottolineare l`interiorità, il contributo proprio, contro un
automatismo.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 67


Cap. 1 (DH 1695: unzione degli infermi)
– «Instituta est autem sacra haec unctio infirmorum [...]53.»,
2) Per quanto riguarda IL SOGGETO, quindi il destinatario, chi riceve il
sacramento, per noi è interessante il cap. 3 sulla dottrina del sacramento, è un testo
che bisogna interpretare sul fondo dello schema preparatorio, interessante vedere
lo schema per vedere cosa c’è occulto. Lo schema preparatorio lo troviamo nella
citazione 27:
27) Schema preparatorio del testo dogmatico del Conc. di Trento sul
sacramento dell’estrema unzione (testo in: C. ORTEMANN, Il
sacramento degli infermi. Storia e significato, Leumann (TO) 1971, 52)

Si dichiara anche (nel testo di Giacomo) che questa unzione non deve essere fatta né
ai malati, né a tutti i malati, come ce lo insegna la Tradizione della chiesa, ma
soltanto a coloro il cui stato è così pericoloso che sembrano giunti al termine della
loro vita. Ecco perché la si chiama, a giusto titolo (merito), l’estrema unzione, e il
sacramento di coloro che se vanno, perché è fatto solo per coloro che sono in agonia,
alle prese con la morte, e per coloro che partono verso il Signore in una ma niera
salutare.

Qui si riprendono le idee di san Tomasso. Tutto ciò che è nello schema è in corsivo, non
è stato approvato dai Padri conciliari, è stato approvato dai vescovi, quindi il Concilio ha
tolto il riferimento al moribondo, ha tolto l’idea che a giusto titolo si chiama estrema
unzione, quindi viene fuori il testo seguente:
28) CONCILIO DI TRENTO, Sessione XIV, 25 nov. 1551, Dottrina sul
sacramento dell’estrema unzione, cap. 3, DH 1698

[...]
Si dichiara anche che questa unzione deve essere fatta ai malati, specialmente
(praesertim) a coloro il cui stato è così pericoloso che sembrano giunti al termine
della loro vita: per questo si chiama il sacramento di coloro che se vanno.
Ma se
guariranno, essi potranno ancora giovarsi dell’aiuto di questo sacramento, quando
versassero un’altra volta in pericolo di vita.
[...]

Nello steso testo manca ciò che nel testo precedente era in corsivo. È stato tolto l’ultima
idea dello schema, è stato fato soltanto per coloro che sono agonia quasi nella morte, ed
è stato agiunto: Ma se guariranno, essi potranno ancora giovarsi dell’aiuto di questo
sacramento…, quindi il Concilio di Trento dichiara ripetibile l’unzione.

3) Il terzo dato importante per noi riguarda al MINISTRO del sacramento. Il


Concilio di Firenze, diceva che il ministro è il sacerdote della Chiesa, adesso
Trento nel 3º capitolo del testo dogmatico, citazione 29:

53
Quindi già il Concilio di Trento non ha problema per chiamare a questo sacrametno unzione degli infermi,

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 68


29) CONCILIO DI TRENTO, Sessione XIV, 25 nov. 1551, Dottrina sul
sacramento dell’estrema unzione, cap. 3, DH 1697

[...]
Nam et ostenditur illic [Gc 5,14-15], proprios huius sacramenti ministros esse
Ecclesiae presbyteros [can. 4], quo nomine eo loco non aetate seniores aut primores
in populo intelligendi veniunt, sed aut episcopi aut sacerdotes ab ipsis rite ordinati
[...].

I presbiteri di Gc 5, 14, non sono anziani, ma vescovi e presbiteri ordinati, questi sono
ministri propri, il Concilio sicuramente aveva una ragione forte per dire propri, per tutti
gli altri sacramenti si parla di ministri per i sacramenti, quindi se ci sono ministri propri,
niente vieta che secondo il giudizio della chiesa ci possono essere anche ministri
estraordinari, per di più, il sacramento più grandi.
Il confezionamento del sacramento dell’unzione dipende della preghiera del vescovo
sull’olio, quindi possibile che un ministro straordinario porta l’olio al malato, non sarebbe
una novità, ma in continuità con la storia, dipende però della decisione della chiesa. Il
Concilio di Trento non ha chiuso questa possibilità, parlando del ministro proprio.
Per quanto riguarda all’effetto del sacramento si ripete san Tomasso:
• Cap. 2 (DH 1696): L’effetto del sacramento è:
Þ La grazia dello Spirito Santo. L`effetto spirituale, non si esclude la possibilità di
guarigione, il sacramento:
• Lava i peccati, se ve ne fossero ancora da espiare
• e toglie ciò̀ che resta del peccato (si salva l`idea dei peccati reliquias
abstergit),
• solleva [alleviat] e rafforza [confirmat] l’anima del malato
• e qualche volta, se ciò può giovare alla salvezza dell’anima, [il malato]
riacquista la salute del corpo.
Quindi se ci sono i peccati, unzione, Dio ti perdona nel sacramento dell’unzione. Quindi
non è necessario di far precedere la confessione sacramentale, l’unzione lava i peccati se
ci sono ancora da espiare.
Concludendo, Trento difende la sacramentalità e l`uso della chiesa contro i protestanti,
però qual era il problema vero dei protestanti? Loro non negavano l`unzione come rito
salutem, Agostino diceva: il sacramento è segno visibile di una realtà invisibile, i
protestanti riconoscono la sacramentalità del rito, il loro problema è: se la chiesa dice:
una celebrazione sacramentum, ciò vuol dire che la celebrazione è soggetto al potere
legislativo della chiesa, e questo potere legislativo della chiesa per secoli c`era, soprattutto
per quanto riguarda al matrimonio. I protestanti in fondo lottavano contro questa
esagerazione di legislazione, le disposizioni, regolamenti sempre di più, quindi il loro
punto di aggancio non è la celebrazione santa, non è il sacramento come segno visibile di
una realtà invisibile, ma la pratica della chiesa che cerca di legiferare sul sacramento.
Trento poi rimani nel ambito delle idee degli effetti spirituali, però con l’idea della

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 69


preparazione alla morte, ed evita di restringere il sacramento al solo moribondo, così si
conferma da un lato lo spostamento di accento di una cosa per i morti, pero allo stesso
momento si apre anche la porta per la rivalorizzazione di una prasi antica, sia per quanto
riguarda al ministro, teoricamente ci può essere un ministro, sia per il destinatario: non
deve essere moribondo e anche per il malato. Purtroppo queste aperture non sono state
percepite né la prassi né nella teologia che segue e tutto rimane apologetico. Solo nel XX
sec apparve il termine unzione degli infermi, il rituale postridentino di 1614 (ver analisi
del testo al inizio del corso), la prassi rimane scarsa, il sacramento dell’unzione era
ritenuto come segno della morte, dagli infermi stessi e dai parenti, quindi la prassi si
riferiva alla celebrazione del sacramento fino quando il malato quasi perdeva i sensi.
Nonostante le esortazioni del catechismo romano tridentino di non aspettare fino
all’ultimo momento, queste disposizioni furono semplicemente ignorati, anche la visita
ai malati erano trascurati dai parroci, per la mancanza di tempo e anche delle conoscenze.
Questa era la situazione della quale arriviamo al CVII, bisogna rendersi conto che ciò che
noi stessi pensiamo riguardo alla situazione prima di CVII, di solito è la situazione della
prima o della seconda metà del XX sec e vediamo nel movimento liturgico del XX sec
man mano si avvertivano i sintomi di un ripensamento dell’unzione, per esempio i rituali.
Il fato che le orazioni dopo l`unzione nel XX sec man mano vengono tradotte nelle lingue
corrente e si percepiva il problema che queste preghiere chiedono la guarigione, quando
si capisce la preghiera uno si chiede che senso ha chiedere la guarigione del malato nel
momento prima della morte quando è privo dei sensi quindi si avverte sempre di più il
problema e ci si aiutava con la aggiunta di un altro testo di preghiera per il moribondo.

2.4.2.4.2. Il Rituale Romanum del 1614


Per questo punto cf. analisi del testo al inizio del corso

2.4.2.4.3. Il Concilio Vaticano II (SC 73-75)


Con tutte queste riflessione si arriva al CVII e prima del concilio nella fase ante-
preparatoria si accoglievano le proposte da parte dei padri del Concilio e i padri delle
facoltà teologiche. Tra le proposte arrivavano parecchie che riguardavano l`unzione degli
infermi.
Tra le proposte:
o Cambiamento del nome del sacramento: extrema unctio si voleva lasciare
a Unzione degli infermi, nome utilizzato già per il Concilio di Trento,
soprattutto per regioni pastorali. Extrema unctio doveva essere l`ultima
unzione di molti unzioni che la chiesa può conferire, però a livello
pastorale il termine era capito come il termine nell`ultimo momento della
vita.
o Permesso di celebrare l’unzione anche nel caso di malattia grave, ma non
necessariamente mortale, e contemporaneamente si utilizza una:
o Discussione sugli effetti, qual è l’effetto del sacramento? Solo la

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 70


remissione dei peccati? Oppure la guarigione? Se è questa si tratta di
guarigione spirituale o corporale?
o Il diacono come ministro straordinario
o Reiterabilità̀ nella stessa malattia
o Riduzione del numero di unzioni. Come abbiamo visto nel ambiente nord
alpino il numero si è aumentato a 15 unzioni anche di più e poi si è limitato
ai cinque sensi, quindi abbiamo prima di CVII 5 unzioni, però con la
malattia non ha niente a che fare.
o Lingua viva
o Orazioni adatte alla situazione del malato
o Celebrazione dell’unzione prima del viatico, così che il viatico
nuovamente diventa l’ultimo sacramento prima della morte.
Seguendo queste indicazioni la sotto commissioni sacramenti sacramentali, la
commissione liturgica preparatoria, ha elaborato i numeri del primo schema di SC che
riguardano all’unzione degli infermi. La sotto commissione elabora poi si manda a
discussione. La commissione nelle discussioni non ha cambiato niente a questa proposta
e quindi il primo schema era presentato ai padri del Concilio. In sostanza quello che
vediamo nei 4 numeri di SC:
Il primo schema presentato ai Padri
o 57. Cambiamento nome in «unzione degli infermi»; da celebrare all’inizio
di malattia grave
o 58. dopo la riconciliazione sacramentale e prima del viatico.
o 59. Numero di unzioni può̀ essere adattato. Le orazioni sono da rivedere e
da adattare alle diverse circostanze.
o 60. Reiterabilità̀ nella stessa malattia se prolungata.
Non si dice nulla sulla questione del ministro e dell’effetto. Così si arriva alla discussione
in aula conciliare, soprattutto nella Congregazione generale XIV ha luogo un intervento
che cambia tutto, si tratta dell’intervento del vescovo Wilhelm Kempf di
Limburg/Germania, lui era al tempo una specie di portavoce dei teologi tedeschi della
Scuola di Francoforte (P. Grillmeier SJ ed altri), lui all’unzione opponeva una opinione
assai senza fondamento. Diceva:
secondo la tradizione classica della chiesa, l’estrema unctio non è il sacramento dei
malati gravi, ma è il sacramento del compimento cristiano, un sacramento che conduce
il cristiano dalla chiesa terrestre alla chiesa celeste, abbiamo visto che i primi VIII e IX
sec la situazione era assai diversa, quindi non si può dire la tradizione classica della
chiesa. Lui afferma come l’unzione conduce il cristiano dalla chiesa terreste alla chiesa
celeste, ma che cosa facciamo con l`eucaristia, con l`importanza del il viatico che
veramente è una tradizione ininterrotta della chiesa, perciò lui chiede che il numero 57
dello schema era da cambiare di senso e l`estrema unctio è il sacramento della speranza
cristiana che ci dispone alla risurrezione e perciò non può essere ripetuto nella stessa
malattia, dato che questa proposta, causava non pochi cambiamenti nella costituzione
conciliare, dopo le discussioni il concilio si votano infine i tre numero di SC

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 71


sull`unzione, num 73-75:
73. Da chiamare anche e meglio «unzione degli infermi»; da celebrare all’inizio
di pericolo di morte
74. Dopo la riconciliazione sacramentale e prima del viatico; un rito continuo è
da comporre.
75. Numero di unzioni sia riveduto tenendo conto delle diverse situazioni. Le
orazioni siano adattate alle diverse condizioni del malato.
(60. Reiterabilità̀ ) cancellato54.
Il testo completo: cf. citazione 30:
30) CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium 73-75
73. L'«estrema unzione», che può̀ essere chiamata anche, e meglio, «unzione degli
infermi», non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita55. Perciò̀ il tempo
opportuno per riceverlo ha certamente già̀ inizio quando il fedele, per indebolimento
fisico o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte56.
74. Oltre i riti distinti dell'unzione degli infermi e del viatico57, si componga anche un
«rito continuato»58, nel quale l'unzione sia conferita al malato dopo la confessione e
prima del viatico.
75. Il numero delle unzioni sia riveduto tenendo conto delle diverse situazioni59, e le
orazioni che accompagnano il rito dell'unzione degli infermi siano adattate in modo da
rispondere alle diverse condizioni dei malati che ricevono il sacramento.

Non troviamo niente riguardo al problema della formula. È la riforma post conciliare che
deve risolvere questo problema, così abbiamo ai lavori preparativi del nuovo rituale.

2.5. Il Rituale del 1972


2.5.1. I lavori preparatori 

Nel 1964 il coetus a studiis 23 è stato incaricato della revisione e si iniziano i lavori nel
1965. La prima necessità avvertita al gruppo di studio era:
il problema della formula. Per il problema della riconciliazione SC al numero 72

54
Il concilio non ha voluto entrare in una discussione teologica.
55
si esprime di un modo negativo dicendo che il sacramento non è…,
56
il primo schema parlava ancora di malati gravi, adesso rispettano si dice: per indebolimento fisico…, la
cosa interessante è che questa metodologia viene subito dopo ignorata.
57
Si utilizza subito il nuovo termino. Quindi SC 73 apre la porta e subito dopo si attraversa con il numero
74.
58
Questo rito continuato nel Rituale romano del 1614 non esisteva, anche se si celebrava la confessione e
le altre funzioni, non esisteva il rito continuato e quindi si doveva ripetere, si celebrava la confessione
dall’inizio alla fine e poi nuovamente l’unzione dall`inizio alla fine e il viatico, quindi si avevano 3 riti
iniziali e 3 riti finali e così via. Qui per la prima volta si riprende ciò che abbiamo visto nel rito medioevale,
si crea del rito continuato.
59
Qui sta dietro pure l’idea che abbiamo trovato nel PRC anche nel Rituale del 1614, di ungere dove il
dolore è più forte, quindi di ungere qualche parte del corpo che ha qualcosa a che fare con la malattia,
quindi si abbandona l`idea di ungere i 5 sensi e si imposta l`azione dell`unzione come unzione di tutto il
corpo e soprattutto li dove il dolore è più grande.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 72


aveva richiesto nuovamente rivedere la formula, doveva rispecchiare la natura
della essenza del sacramento. Qui per quanto riguarda all’unzione si arriva con
questa formula ma non si poteva continuare perché non esprime la natura del
sacramento. Quest’idea di rielaborare la formula era posta soltanto all’adunanza
generale del Consilium poi concessa subito ai lavori.
Nel processo dell’elaborazione del rituale le altre possibilità erano le concessioni
di una celebrazione comunitaria, molti malati che aveva luogo a Lourdes il 10
giugno 1969 (Cf. testo notitiae). L esperienze fate lì sono state accolte nel nuovo
rituale.
Tra le orazioni dopo l`unzione si prendeva l`ultima che proponeva il rituale del
1614 e la si inseriva dopo una preghiera di intercessione, fata in francese e
chiedeva chiaramente la guarigione del malato, poi c`era il problema
dell`imposizione delle mani, a Lourdes si proponeva fare un`estensione delle mani
generica da tutti i presbiteri presenti, pero poi nel nuovo rituale si vuole
sottolineare la necessità del contatto fisico, quindi si sono molti presbiteri presenti
e ci sono molti malati non tutti i presbiteri devono imporre le mani a tutti i malati,
solo a un gruppo di malati, quindi l`imposizione è importante perché è il
conferimento dello Spirito Santo e non una estensione che sarebbe piuttosto un
gesto di benedizione e l`unzione è più di una benedizione. Quindi le prime
esperienze che si facevano influisce nel nuovo rituale e così a novembre de 1969
si presenta all’adunanza generale del Consilium con cinque anni di lavoro il primo
schema di un nuovo rituale, in questo primo schema era da aggiungere ancora il
rito della confermazione in pericolo di morte e la raccomandazione del morente,
però già si trovavano in questo schema un raggruppamento di tutti i riti per il
malato:
la visita al malato
la comunione al malato
l’unzione degli infermi
la benedizione apostolica e l’indulgenza plenaria nel momento della morte
poi si aggiungeva la cresima e la raccomandazione
Questo schema era approvato dalla Congregazione per il Culto divino a novembre di 1970
e con la approvazione di questo schema iniziano i problemi che ritardano la approvazione
del rituale altri due anni, soprattutto per due fattori, due cose erano da chiarire ancora a
livello dogmatico:
1. la reiterabilità del sacramento
2. il soggetto del sacramento
Queste cose erano in esame preso la Congregazione della dottrina della fede. Dopo diversi
solleciti, la Congregazione per la dottrina della fede comunica il risultato di questo esame
a gennaio del 1972. Poi altro problema si entrava tra le Congregazioni che entravano in
un conflitto di penitenza, era la Congregazione per la dottrina della fede che studiava
questa problematica, ma anche la Congregazione dei sacramenti contemporaneamente
aveva studiato questi problemi anche quello del ministro. La Congregazione per i
sacramenti era più svelta mandavano già a osservazioni a giugno di 1971. Lo studio

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 73


dogmatico della Congregazione della dottrina della fede, studio sulla reiterabilità e
soggetto del sacramento:
«Subiectum Sacramenti est fidelis qui propter infirmitatem vel senium periculose
aegrotat. Hoc sacramentum iterari potest si infirmus, post susceptam Unctionem,
convaluerit, vel si, eadem infirmitate perdurante, discrimen gravius fiat.»
(Decisione della Congr. per la dottrina della fede del 12/1/1972 su soggetto e
reiterabilità del sacramento. Cfr. A. Bugnini, La riforma liturgica (BEL.S 30),
Roma 1983, 668.)

Quindi il soggetto è il fedele con la malattia pericolosa, l`idea di pericolo di morte di cui
ancora parla SC è persa. Per quanto riguarda la reiterabilità si può reiterare il sacramento
se il fedele guarisce oppure se questa malattia diventa più grave. Poi ancora un problema
da risolvere: la riforma dell’unzione toccava due cose che si ritengono centrali per la
celebrazione di un sacramento: formula e materia. Si chiedeva l’uso di un altro oleo, non
soltanto di oliva. Dato questo tocca alla sostanza del sacramento la Congregazione per la
dotrina della fede, contemporaneamente disponeva che era da preparare una costituzione
apostolica, cambiamenti di questo genere devono essere spiegati e decretati da una
costituzione apostolica. Questa constituzione e da preparare una commisione mista sotto
la presidenza della Dottrina della fede.
Così dopo tutte queste difficoltà il 17 novembre 1972 si presentava finalmente il rituale,
insieme alla Costituzione apostolica. Questo rituale porta il titolo: Ordo unctionis
infirmorum eorumque pastoralis curæ.

2.5.2. Il contenuto del rituale


Il titolo latino dice una cosa molto imoprtante, abbiamo un unico ordo che è l`Ordo
unctionis infirmorum e contemporaneamente eorumque pastoralis curæ, quindi il rituale
non è un semplice contenitur di libri liturgici, ma porta qualcosa nel piano pastorale: la
cura pastorale dei malati, la cura della chiesa per i malati e così i praenotanda i primi due
capitoli ci indicano che la risposta della chiesa alla malattia consiste in due cose:
Ø la visita al malato
Ø la comunione eucaristica, il sacramento dell’unzione ed eventualmente la
riconciliazione

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 74


Quindi parlando di un Ordo unctionis infirmorum eorumque pastoralis curæ si afferma
che esiste un ministero della chiesa per i malati anche prima e dopo dell’unzione e così
vediamo dal capitolo del rituale che Ordo unctionis infirmorum eorumque pastoralis
curæ inizia con un primo
capitolo De unctione…,
l`unzione soltanto la
troviamo nel secondo
capitolo, perché l`idea del
sacramento dell`unzione è
inserita in un progetto
pastorale molto più grande,
la stessa cosa della visita al
malato poi quando è
necessario anche l`unzione.
Leggiamo dal primo capitolo
del rituale i numeri 42-45.
Numero 42: compito di tutti
i cristiani riguardo ai malati.
Cosa si fa durante la visita al
malato? Cf. numero 45:
compito del sacerdote,
ordinare i testi liturgici,
adattare questi testi per tirare
fuori una breve liturgia della
Parola, ma il compito di tutti
utilizzare questi testi.
Colloquio e liturgia vanno insieme, quindi qui non si iniziano con riti liturgici, ma prima
dei riti liturgici, ma prima di questo si trova qualchecosa con un modo di comportamento.
CAPITOLO II: Ordo unctionis infirmi, ritus ordinarius. Per l’unzione degli infermi
troviamo 3 riti:
a. ritus ordianrius, queste presuppone la presenza di una assemblea, de uno o più
malati, di uno o più sacerdoti, celebrazione comunitaria;
b. Ritus Unctionis intra Missam, questo per prima volta nel rituale
c. de celebrazione Unctionis in magno coetu fidelium, soprattutto per molti infermi,
il prototipo era la celebrazione a Lourdes che era una esperienza di chiesa che si
voleva conservare, certamente non normativo, solo come prototipo.
Dopo CAPITOLO III: l’unzione il sacramento della morte cristiana: il viatico. Il quale
nel primo luogo a celebrare è al interno della missa, poi i secondo extra missam.
CAPITOLO IV. Ci da il rito continuato: Ordo praebendi sacramenta infirmo qui est…,
CAPITOLO V: Rito della Confermazione in pericolo mortis

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 75


CAPITOLO VI: la raccomandazione dell’anima è diventata commendationis morientium
CAPITOLO VII: Textus diversi in ritibus…,
La prima cosa che dobbiamo avere da vicino è la Costituzione apostolica

2.5.2.1. La costituzione apostolica Sacram unctionem infirmorum


Il testo lo troviamo a pag. 7. La Costituzione apre nel primo capoverso con una citazione
di Trento, poi segue un percorso della storia in cui si mettono in rilievo gli elementi più
importanti; si accenna a Innocenzo I e all’orazione “Emitte” che dal GeV è passata al PR
de 1971, nella benedizione dell’olio. L’importante nella teologia dei sacramenti la
sottolineatura che si tratta di una stesa cosa, sin dal inizio dal XX sec, contro quelli che
in un certo periodo di sistemazione sacramentaria dicevano: fino al VIII-IX secolo
abbiamo un sacramentale dell’olio, perché ogni laico portava olio a ungere il malato,
poi quando la cosa pasa nelle mani dei sacerdoti si aggiungono altri riti, finiscono i
sacramentali dell’olio e da inizio al sacramento dell’unzione. Mille anni di sacramentale,
mille anni di sacramento, contro questa idea è la Costituzione apostolica, è sempre la
stessa cosa: unzione degli infermi.
Le nozioni teologiche cambiano, è compito della teologia spiegare, ciò che oggi si dice
sacramento non deve rispondere a ciò che si diceva sacramento nel IV sec con
sant’Agostino, ciò che oggi si dice sacramentale non corrisponde a ciò che si diceva
sacramentale nei secoli scorsi. Non è un dogma, il dogma è che Cristo nella chiesa si fa
vicino al malato. Quindi la Costituzione afferma che si tratta di una tradizione ininterrotta,
mette tutto in una stessa via di tradizione, come si vede nel seguente capo verso:
Decursu autem sæculorum…,
Il paso più importante lo troviamo a pag. 9, Quae omnia oculis…, SC 1: il testo italiano
è:
Tutti questi elementi dovevano esser tenuti ben presenti nella revisione del rito
della Sacra Unzione, al fine di adattar meglio alle odierne circostanze quelli che
erano soggetti a mutamento (cf. SC 1).
[1.] Abbiamo, anzitutto, ritenuto di modificare la formula sacramentale in
maniera tale, che, tenendo presenti le parole di san Giacomo, fossero più
chiaramente espressi gli effetti del Sacramento.
[2.] Dato, poi, che l’olio d’oliva, quale fino ad ora era prescritto per la validità
del Sacramento, in alcune regioni manca del tutto o può essere difficile procurarlo,
abbiamo stabilito, su richiesta di numerosi Vescovi, che possa essere usato in
futuro, secondo le circostanze, anche un olio di altro tipo, che tuttavia sia stato
ricavato da piante, in quanto più somigliante all’olio d’oliva.
[3.] Per ciò che riguarda il numero delle unzioni e le membra da ungere, ci è
sembrato opportuno procedere ad una semplificazione del rito.

Si riordinano materia, forma e numero dell`unzioni. Tutti questi elementi dovevano essere
presenti al momento del rito della santa unzione, alla fine dell’adattamento.
Continua la Costituzione:

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 76


Pertanto, poiché questa revisione tocca in alcune parti anche lo stesso rito sacramentale,
con la Nostra Autorità̀ Apostolica decretiamo (constituimus) che, per l'avvenire, sia
osservato nel Rito Latino quanto segue:
IL SACRAMENTO DELL'UNZIONE DEGLI INFERMI SI CONFERISCE A QUELLI
CHE SONO AMMALATI CON SERIO PERICOLO, UNGENDOLI SULLA
FRONTE E SULLE MANI CON OLIO D'OLIVA, O, SECONDO L'OPPORTUNITÀ,
CON ALTRO OLIO VEGETALE, DEBITAMENTE BENEDETTO E
PRONUNCIANDO, PER UNA VOLTA SOLTANTO, QUESTE PAROLE: «PER
QUESTA SANTA UNZIONE E PER LA SUA MISERICORDIA PIETOSA IL
SIGNORE TI AIUTI CON LA GRAZIA DELLO SPIRITO SANΤΟ E LIBERATO DAI
PECCATI TI SALVI E TI GUARISCA».
Tuttavia, in caso di necessità, è sufficiente compiere un'unica unzione sulla fronte oppure,
a motivo di particolari condizioni dell'infermo, in un'altra parte più adatta del corpo,
pronunciando integralmente la formula anzidetta.
Questo Sacramento può essere ripetuto, qualora l'infermo, dopo aver ricevuto l'Unzione,
si sia ristabilito e sia poi ricaduto nella malattia, oppure se, perdurando la medesima
infermità, il pericolo diviene più grave.

2.5.2.2.La nuova formula



La nuova formula si trova inserito nel rito del rituale al numero 76. La sequenza del rituale
porta il nome Sacra Unctio.
Per istam sanctam Unctionem
et suam piissimam misericordiam,
adiuvet te Dominus gratia Spiritus Sancti;
R/. Amen.
ut a peccatis liberatum
te salvet atque propitius allevet.
R/. Amen.
Formule nelle diverse lingue, cf. foglio
Dato che la tradizione distingue la distingue a materia e forma che come forma si ammete
subito la forma, la preghiera passa in secondo piano, quasi inoservata e così si può
applicare a Dominus l`azione di salvezza in tutte le tradizioni anche si Gc 5 dice che
l`orazione che salva. Per la preghiera del rito bisogna vedere le orazioni dopo l`unzione
della preghiera all`oleo.
Riguardo alla nuova formula è evidente che il sacramento ha effetti sia spirituali sia
corporale e che l`effetto della remissione dei peccati è subordinato. Subordinato non
significa esiste, ma significa semplicemente che se ci sono peccati vengono perdonati.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 77


Il sacramento perciò non è da posticipare al ultimo momento, perché celebrato in vista
del futuro dell`anima ma per alleggerire la fragilità del corpo, quindi tocca il corpo intero,
anima e corpo.

2.5.2.3.I Praenotanda


Schema delle praenotanda:


I. La malattia e il suo significato nel mistero della salvezza60
II. I sacramenti dei malati
III. Uffici e ministeri verso gli infermi
IV. Adattamenti che spettano alle conferenze episcopali
V. Adattamenti che spettano al ministro
Analisi del testo delle praenotanda, in italiano:

Una volta analizzato le praenotanda, diamo uno sguardo al rito ordinario dell’unzione:
2.5.2.4.Il rito ordinario dell’unzione degli infermi (Cap. II, 1)
(pag. 30ss nel
rituale) (praenontanda 64-79).
Nelle praenotanda abbiamo visto le idee teologiche, con tutte le questioni che ci sono,
adesso vediamo come il rituale è riuscito o non a tradurre in prassi queste idee. Lo schema
rituale corrisponde allo schema rituale di tutte le celebrazioni liturgiche:
Ci vogliono riti iniziali che
fanno già ponte prima della
celebrazione alla celebrazione
liturgica, quindi bisogna
vedere in che senso sono riti di
ponte, dalla celebrazione
liturgica alla vita che viene
dopo la celebrazione. Ma la
messa vale per tutte e due
celebrazioni. Se i riti di ponti
sono stati fati male tutta la
celebrazione non funziona,
diventa una omelia con
qualche rito, o una catechesi con l’unzione. Al centro, come in tutte le celebrazioni, si
trova una liturgia della Parola e la liturgia sacramentale, alla fine i riti conclusivi.
Prima di questo capitolo De prae paratione celebrationis, guardiamo il numero 65: ad
infirmi confessionem…, se si vuole confessare e se la confessione è necessaria, prima si
fa, sono due cose diverse, abbiamo visto le ragioni storiche perché l`unzione sta legata
alla celebrazione penitenza-riconciliazione quando diventa il sacramento del moribondo,

60
Rispecchia il percorso biblico del significato nella storia della salvezza.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 78


poi nell`opinione personale, non è più sacramento dei moribondi, questo legame
necessario non esiste più, anzi due celebrazioni diverse. Si vero…, opportune habeatur:
qui si apre la prima problematica, quindi sono due cose diverse, se è necessario fare la
confessione nella celebrazione dell’unzione si fa all’inizio, eccezione, se non si fa, si fa
all’inizio l`atto penitenziale. Il senso dell’atto penitenziale si trova nel rituale al numero
71: nisi confessio…,
Riguardo al colore liturgico del sacramento dell’unzione degli infermi
In qualche rituale, c`è scritto violacea, ma proveniamo di una tradizione di secoli in cui il
sacramento dell`unzione era il sacramento dei perdono dei peccati e quindi nel periodo
post tridentino, prima di Trento non c`erano i colori obbligatori. Il colore liturgico è
obbligatorio solo dopo Trento, c`era l`obbligo soltanto dopo la mesa. Quindi il periodo
postridentino si adottava sempre di più il colore violaceo. Per approfondire cf. numero
68.
Numero 81: il colore liturgico è bianco perché non è un sacramento del perdono dei
peccati, queste esiste ma è subordinato, perché se ci sono peccati vengono perdonati,
anche senza confessione. Perciò il rituale italiano alla fine del numero 67, ha aggiunto le
indicazioni: colore liturgico bianco.
Nella celebrazione dopo l`atto penitenziale si passa alla Liturgia della Parola
Numero 77: dopo l`unzione c`è l`orazione dopo l`unzione che è la seconda metà della
clasica Deus, beati apostoli (PRG 143, 3). LA PRIMA PARTE È DIVENNTATA
invocazione all`inizio, la seconda parte conclude l`orazione stessa, ed è precisamente
quella che abbiamo qui: Cura, quaesumus…,

Sono stati testi nuovi.


Se c’è la comunione eucaristica s’inserisce qui dopo l`orazione, seguendo il rituale della
comunione agli infermi, no. 55-58, se non si fa la comunione eucaristica si conclude con
il Padre nostro e la benedizione. Cf. numero 78.
2.5.2.5.Osservazioni riassuntive: proposta di un piano pastorale per la Chiesa
Se si guarda l’insieme di questo rito bisogna notare le debolezze rituale nei riti iniziali e
nei riti conclusivi, che sono i riti più complicati. Spesso diventano riti di catechesi. Le
parti forti le troviamo nelle orazioni prima dell`unzione e le aperture dell`unzione e poi
anche il lato forte per quanto riguarda il libro intero. Quindi questo rituale stabilisce la
direzione alla quale la chiesa potrà andare nel futuro.
Ci propone un piano pastorale che ha il titolo La chiesa vicina al malato, è facile utilizzare
questo rituale in modo selettivo, per trovare un rito che serve nel momento, però il rituale
è molto più complesso. Quindi c`è molto ancora dentro da scoprire e attuare sul lato
pastorale, vale sia per il rituale dei malati sia per il rituale dei funerali, quindi un rituale
non si danno soltanto le rubriche per un rito, ma ci indica la strada da seguire quando la
chiesa intera celebra il sacramento, di conseguenza non è un libro come il tradizionale
Rituale romano de 1614 per il sacerdote, ma è un libro per tutta la comunità dei cristiani.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 79


Aperture ancora ci sono.
Finita questa parte del corso man mano si avviva verso la morte, l’impostazione è classica
anche se abbiamo visto che l`unzione non è il sacramento della morte. Quindi vediamo la
liturgia della morte che non è solo funerale

3. La morte del cristiano


La liturgia della morte è:
a. Viaticum
b. Commendatio mirientium
c. Exsequiae, funerali
È chiaro che per ogni essere vivente, la morte è un avvenimento unico e decisivo, ogni
essere vivente deve morire, però l`uomo è l`unico essere vivente che sa in anticipo che
deve morire e quindi riflette sulla morte e di conseguenza quando progettare la morte, nel
funerale, l’unico essere vivente che seppellisce i propri seri. L’uomo s`interroga e si
angoscia per la morte, ed è interessante come in tutte le religioni si sono formate
confrontandosi con la morte. È la morte che suscita della religione, ed è compito della
religione di fornire l’interpretazione, l`spiegazione della morte e di non far dimenticare
la morte e preparare l`uomo alla morte. Di solito il tema della morte è un tema che si evita
in certe regioni, soprattutto europee, il cristianesimo fa il contrario, confronta l`uomo con
la morte attraverso della morte di Cristo. Non c’è liturgia in cui la morte non viene
tematizzata, in caso mai il Mistero Pasquale di Cristo. Se una celebrazione liturgica evita
una celebrazione della morte non è liturgia, perché evita una dimensione che è quella
escatologica, quindi la religione menziona la morte, confronta l’uomo con la morte,
l’interpreta e non in primo luogo a livello teologico, ma a un livello pratico celebrativo,
perciò ogni celebrazione è la celebrazione della pasqua di Cristo.
Al meno per il cristianesimo vale è la prima reazione davanti alla morte è di non lasciare
l’uomo da solo. L’uomo non viene lasciato da solo ne nella malattia, ne nella morte,
neanche i moribondi, quindi vivi e morti fanno parte della chiesa, perciò tutte le idee
cristiane su bassano sulla morte di Cristo, Lui che ha conosciuto la sua morte, che l`ha
prevista, annunciata, preparata e morendo nella croce ha cambiato il senso della morte
che per il cristiano diventa passaggio verso la gloria della risurrezione, come dice il primo
prefazio dei defunti.
Così il cristianesimo può dire che la morte è la pasqua dell`uomo, l`incontro con Cristo
nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione, perciò la liturgia cristiana della morte
ha un duplice scopo, non è una liturgia solo per seppellire i defunti, ma la liturgia cristiana
della morte ha lo scopo di aiutare al moribondo, ancora in possesso delle sue facoltà
mentali, nel ansia della morte (questa non la possiamo togliere), e a superare l`ansia della
speranza della risurrezione, basta guadare il rituale degli infermi al numero 139:
Numero 138: siamo al VI capitolo ordo commendationis morientium, teologia e prasi
insieme. Ma quali sono i ministri in questa liturgia della morte? Saltiamo al numero 142.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 80


Numero 142: il cristiano muore nella comunione con la chiesa. Bisogna formare i laici
perché siano capaci di presiedere tale celebrazione liturgica, non si può limitare ai laici
alla recita del rosario. Il problema è che la liturgia della morte proviene dai monasteri
medioevali, è una liturgia ogni giorno dimenticata, la situazione è diversa perché la morte
è prolungata con l’aiuto della medicina, così anche la liturgia della morte, quasi
sconosciuta. Questa liturgia della morte ha tre parte conosciute: viatico, la commendatio
morientium e poi i funerali.
Ciò che una volta nel medioevo era la commendatio animae, che si faceva dopo la morte,
nella liturgia rinnovata dopo CVII è diventata una commendatio morientium che è prima
della morte, che significa dopo il viatico, tra viatico e morte il moribondo non viene
lascito da solo. Il punto ideale sarebbe il tutto accompagnato dalla celebrazione liturgica,
l`origine del rito continuato medioevale, unzione, eucaristia, lettura della passio Christi
fino alla morte. Dunque il primo paso che dobbiamo fare è il viatico.

3.1. Il viatico: la morte come pasqua


Il fondamento biblico del viatico:
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò̀
nell’ultimo giorno.» (Gv 6,54).
Quindi la comunione eucaristica fin dall’inizio del cristianesimo è il sacramento della
morte, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue è stata ritenuta per il cristiano
importante che si segue sempre questa regola di Gv 6, quindi la comunione sotto la forma
del viatico è un segno speciale di partecipazione al mistero pasquale di Cristo. Questo
mistero pasquale si celebra nella messa, l’unzione sempre è legata con la celebrazione
dell’eucaristia, perciò si poteva celebrare nella casa del defunto per associare di modo
speciale al mistero pasquale di Cristo.
Viatico significa comunione prima della morte, sembra che il viatico sia uno degli usi
cristiani più antichi, la legge ecclesiastica dei primi secoli si esprime nel Concilio di
Nicea, il problema di cui parla il Concilio è il problema dell`appostasi, quindi il canone
riguarda agli apostati moribondi.

Citazione 31) CONCILIO DI NICEA (325), can. 13 (DH 129)


Verso i moribondi si osservi ancora l’antica norma per cui in pericolo di morte nessuno
sia privato dell’ultimo, indispensabile viatico. Se poi egli non muore dopo essere stato
perdonato e ammesso alla comunione, sia accolto tra coloro che partecipano alla sola
preghiera (fino a che non sia trascorso il tempo stabilito da questo grande concilio
ecumenico). Come regola generale il vescovo, dopo inchiesta, ammetta all’eucaristia
chiunque si trovi in punto di morte e lo chieda.
Se poi uno non muore dopo aver fatto la confessione deve entrare nel ordo paenitentiae,
vale anche per gli apostati, siamo all’inizio del IV sec. Quindi la regola generale è che
il vescovo ammette.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 81


Quindi il Concilio non vuole creare un nuovo obbligo oppure ricordare un precetto
dimenticato, il Concilio vuole assicurare anche agli apostati (in periodo di persecuzione)
il beneficio del viatico, e questo riguarda una antica norma che è all’inizio del IV secolo:
in pericolo di morte…, cf. supra.
Siamo in un ambiente di penitenza canonica, quindi la regola generale è che il vescovo
ammette chiunque si trovi in pericolo di morte. Quindi si tratta di una norma antica, che
anche i testi patristici, canonici, agiografici testimoniano questa norma del IV fino al VI
secolo. I primi rituali del viatico sono evidentemente tardivi.

3.1.1. I primi rituali del viatico 



Troviamo qualche cosa nel Gel del VIII secolo, nel GeAug. Il rituale testimoniato con il
viatico lo troviamo nel OR XLIX, 1. Il manoscritto è del XI sec, ma Andreu dimostra che
l`ordo stesso è di origine romana e anteriore al VIII secolo.
Numero 1: «Mox ut eum videris ad exitum propinquare, communicandus est de sacrificio
sancto, etiamsi comedisset ipso die, qui communio erit ei defensor et adiutor in
resurrectione iustorum. Ipsa enim resuscitabit eum».
L`importanza del viatico è così grande da sospendere la legge del digiuno eucaristico, poi
dice de comunicare più volte nello stesso giorno, anche se prima già il moribondo ha fato
la comunione eucaristica in articolo di morte, anche altre prescrizioni contemporanea
dimostrano una tale importanza del viatico da sospendere tutte le leggi eclesiastiche, sia
riguardo al digiuno, sia riguardo alla penitenza. Dice il testo che il viatico è il difensore e
aiuto per la risurrezione. Quindi si tratta della provista indispensabile del camino dopo la
morte alla risurrezione. Qui il testo dice communicandus est de saccrifitio altri fonti
dicono corpus et sanguis Christi, per esempio il codice Philips:
«Inde uero antequam [anima] egrediatur a corpore communicet eum sacerdus corpus et
sanguinem illum praeuidentes ut sine uiaticum non exeat.
È la stessa cosa, sacrificio di Christo, corpo e sangue di Christo, sempre ambe due specie,
quindi la stessa cosa. È caratteristico del viatico aspettare fino al momento della morte,
questa è la differenza tra viatico e la comunione portata al infermo. Quando con il rituale
romano del 1614 in vigore fino a 1971, si inverte l’ordine dei sacramenti e sia arriva ad
anticipare il viatico all’unzione degli infermi, il rito del viatico si assimila alla comunione
all’infermo. Che cosa si fa dopo il viatico? La ritualità non la sappiamo, ma al viatico si
legge la lettura della passione di Cristo, ogni tanto nel GeAug inizia già prima del viatico
quindi accompagna tutto il processo del morire, dall’inizio della agonia fino a morire,
quindi il processo accompagnato dalla lettura della passione di Cristo, quindi la pasqua
di Cristo si realizza nel luogo. Se leggiamo il numero 2 dell`ordo: post communione
percepta…,
Così passiamo al nuovo Ordo viatico che si trova nel III cap. del ordo unctionis
infirmorum.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 82


3.1.2. Il rituale postconciliare del viatico 


Sono 4 i punti del nuovo rituale del Viatico:


a) La messa del viatico

o (cfr. OUI 97-99 e GeV 1535-1538)
o Can. 822,4 CIC/1917: divieto della messa al di fuori della chiesa
o PAOLO VI, MP Pastorale Munus 1963: ripristino
b) La comunione sotto le due specie
o Cfr. Gv 6,54
o Cfr. OUI 95

c) La professione di fede
ü OUI 108 (transitus: compimento del battesimo)
d) La formula
ü OUI 112 «Ipse te custodiat et perducat in vitam aeternam.» 

ü Sec. XIV-XVI: «Corpus DNIC sanguine suo tinctum conservet animam tuam
in vitam aeternam.» 

Un cenno alle praenotanda,
Numero 26 del OUI. In transitu ex hac…, viene sottolineato durante tutta la storia e poi
si dimentica un po`dopo la riforma protestante, quando la liturgia diventa apologetica e
qui viene ripristinato l’antico uso del viatico sotto le due specie. Quindi la forma preferita
è la messa del viatico, non soltanto per possibile la comunione sotto le due specie, ma
soprattutto perché la comunione è unita alla messa, il cristiano si unisce in questo
momento al mistero pasquale di Cristo.
Così passiamo al III capitolo, pag. 40. La Messa del viatico
3.1.2.1.La messa del viatico
Anche qui vediamo come la parte di un capitolo tratta del viatico De viatico intra missam
ministrando, questo è il rito preferito, questa messa del viatico si trova già nel GeV 1535-
1538. Questa messa del viatico evidentemente celebrata nella stanza, vicina al letto del
moribondo, nel medioevo progressivamente si vieta fino ad arrivare al divieto canonico
nel codice del diritto canonico 1917, can. 822, che vieta la messa celebrata fuori della
chiesa.
Paolo VI con il motu proprio pastoral munus de 1963 rende nuovamente possibile la
messa del viatico anche nella stanza del moribondo, poi il secondo elemento: la
comunione sotto le due specie:
3.1.2.2.La comunione sotto le due specie
Raccomandata in fedeltà a Gv 6, 54: chi mangia la mia carne e bebe il mio sangue…, poi
dice il num 95: se il malato non può fare la comunione con il pane, è lecita la comunione
sotto la specie del vino: Licet Eucharistiam…, questa è la ragione pratica, ma la ragione
teologica si mette nella partecipazione al calice che il calice dell`alleanza, a livello di
segno celebrativo la partecipazione al calice della alleanza ha un suo significato speciale.
Un ulteriore elemento pratico del viatico è la professione di fede:

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 83


3.1.2.3.La professione di fede
Il rito lo troviamo al no. 108 con il titolo professio fidei bauttismales, una cosa che non
esisteva nel rituale precedente del 1614. A livello celebrativo si vuole legare l`ultimo
momento della vita cristiana al primo momento della vita del cristiano, quindi il viatico
viene legato al battesimo. Nel battessimo si celebra morte e risurrezione di Cristo e anche
nel viatico, poi nella veglia pasquale ogni anno i cristiani celebrano lo speciale transitus
di Cristo al Padre, quindi troviamo qui la stessa forma della professio fidei del battessimo
e della veglia pasquale. Il viatico in questo modo viene presentato come una comunione
solemme in vista del transitus, di Cristo al Padre, questo transito adesso si compie nel
cristiano e si compie ciò che abbiamo celebrato nel battesimo, basta leggere l’orazione
d’inizio del rito al no. 103: Fratres carissimi, Dominus Iesus Christus…, il transito di
Cristo è legato al transito dell’uomo, il viatico è premio della risurrezione come diceva
già il Concilio di Nicea.
Cum fratre nostro…, è un rito della chiesa, pe la chiesa concretizzata nella comunità
locale ed è congiunto nella carità con il moribondo, tutto questo è compito della chiesa
locale non del prete soltanto, il viatico sottolinea che viatico Còrporis et Sanguis quindi
se qualcuno cerca l’interpretazione cristiana della morte si trova qui.

L’ultimo elemento è:
3.1.2.4. La formula del viatico
La formula stessa. siamo al no. 112: Sacerdos ad infirmum accedit, eique, la formula
recitata corrisponde alla formula del sacerdote al interno della messa. Questa formula in
modo diverso si trova in molti fonti nel XIV e XV sec soprattutto nei rituali dell`Italia
settentrionale, la formula recita: Corpus Chisti ipse te…,
Il prossimo passo che dobbiamo fare è:
3.2. La raccomandazione del moribondo
Il rito che prima si chiamava recomendationes aniame, adesso diventa la
raccomandazione del moribondo che si fa prima o durante il processo, non è più
l’affidamento dell’anima a Dio, ma è significa il manifestare del moribondo la solidarietà
della comunità. Cf. OUI 138: caritas erga proximun urget.., questo è anche l
collegamento con il primo capitolo del rituale: la visita al infermo, sia la visita sia la visita
al moribondo sono compiti della comunità cristiana. Se vogliamo parlare di ministri in
questa liturgia dell`ordo commendationes morientium, non sono necessariamente i
sacerdoti o i diaconi, ma la comunità cristiana che si deve occupare del membro che sta
per morire, abbiamo visto già al riguardo il no. 142. Quindi la pasqua del cristiano non è
una pasqua isolata, ma una pasqua celebrata insieme con la comunità cristiana, sono
queste a livello pastorali le indicazioni ampliamente non percepiti, questo dovrebbe
essere centrali a livello di chiesa e al interno dei progetti pastorali.
Scendiamo alla storia per quando riguarda alla racomandatio anime, e quindi troviamo le
prime testimonianze:

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 84


3.2.1. Le prime testimonianze 

La prima testimonianza le troviamo nei sacramentali del VIII secolo: Ge nel codice
Rhenaugiense. Anteriore al VIII sec c’è una esortazione e raccomandazione dell`anima
molto diffusa fino al XIII sec che entra anche nel rituale di 1614 e che abbiamo una forma
abbreviata anche nel OUI, il cosiddetto proficiscere. Il proficiscere è una esortazione e
raccomandazione dell’anima anteriore al VIII sec poi si diffonde largamente, entra nei
rituali. Il testo per analizzare è quello del Ge del VIII sec, codice Rhenaugiense.
Il Rhenaugiense: è un testo diviso in due parti:
a. La prima parte in modo abbreviata si trova nel OUI 146;
b. La seconda parte entra nel OUI 148. È un’invocazione litanica e diversi manoscritti
ricordano in questa seconda parte tra 10 e 18 servi che stano al margine della liberazione.
Anche qui si ricorda la morte e il battesimo. Quindi la seconda parte comincia con Libera
domine animam servi…, Il Pontificale della Curia romana del XIII sec dopo ogni
invocazione aggiunge la acclamazione Amen, in questo modo, nel PRC questa seconda
parte, entra nel OUI al numero 146, solo che invece di dire libera animam servi tui dirà
servi tuo, quindi si tralascia alcuno degli esempi.
Il proficiscere manifesta come la morte compie il battessimo, è testimoniato dal VIII sec però
l’origine sembra essere molto più anteriore, questo nel processo del morire. Che cosa si fa quando
entra la morte?
Abbiamo qualche schema:
Dopo la morte:
ü Ant. (o resp.) Subvenite (OR XLIX, 3 – OUI 151). Dal IX secolo fino ad oggi, subito
dopo la morte i manoscritti degli ordines prevedono il canto e l’antifona Subvenite, gli
ordines medioevali dicono il canto della antifona, quindi si presuppone la presenza di
qualcuno che sa cantare.
ü Ant. Chorus anelorum te suscipiat con sal. 113 (OR XLIX, 3). L’antifona subvenite in
origine era una antifona, dopo diventa responsorio, quindi le cose cambiano. Il testo più
meno rimane lo stesso. Nel Ordo romanus troviamo: Primitus autem…, l`antifona è
presentata come una specie di responsorio e l`antifona la troviamo nel OUI 151. Poi si fa
seguire nel Ordo romaus XLIX il salmo 113: in exitu…, con l`antifona Chorus
angelorum…, Interessante è che il problema nel Ordo XLIX quando l`antifona
Subvenite…, diventa responsorio per il salmo seguente ci vuole un`altra antifona, quindi
ciò che una volta probabilmente fu l`antifona del salmo diventa responsorio, quindi
abbiamo il salmo e si aggiunge un`altra antifona: Chorus angelorum…, poi segue:
ü Orazione Deus, apud quem omnia morientia61 (OR XLIX, 3 «sicut in sacramentorum» =
GeV 1627 e GeRh 1331).
o Nell’OUI, invece, si trova l’or. «Tibi, Domine, commendamus (= GeRh 1341b e
GrS 1415 (post sepulturam)).

61
Questa orazione sembra essere l`unica orazione romana della morte, che conclude anche la celebrazione
della morte. L`idea che qui sta dietro è che la morte viene celebrata come viene celerbato il battesimo,
questa celerbazione della morte segue il responsorio, Subvenite, il salmo e tutto finisce con l`orazione Deus,
apud quem..,

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 85


L’antica (e unica) orazione romana per la morte:

Deus apud quem omnia morientia vivunt, cui non peréunt moriendo corpora nostra,
sed mutantur in melius62, te supplices deprecamur: ut suscipi iubeas animam famuli
tui illius per manus sanctorum angelorum, deducendam in sinu amici tui patriarchae
Abrahae63, resuscitandam in diae novissimi magni iudicii: et si quid de regione mortali
tibi contrarium contraxit fallente diabolo, tua pietate ablue indulgendo. Per. (GeV 1627
– GeRh 1331)
Quindi niente di preoccupazione per la sorte dell’anima, ma l’idea è un’idea della fiducia,
il corpo nostro, il nostro essere è sempre nelle mani di Dio. Di paura non troviamo niente,
l’allusione al perdono dei peccati sembra quasi secondario, se qualche cosa, c`è il peccato
tua pietate ablue, come sicurezza, non ci vuole qualche cosa che l`uomo deve fare dopo
la morte per arrivare il paradiso, ma certamente dopo la morte cristiana viene portato al
paradiso, se qualcosa c`è viene lavato lì, tutte le altre idee del purgatorio, penitenze dopo
la morte, il viaggio dell`anima pericoloso perciò bisogna del rafforzamento, entrano
tardivamente. Dunque questo testo rispecchia un po`l’idea ancora del IV e V secolo che
i cristiani avevano della morte.
Allora cosa ci presenta il rituale del 1972 riguardo a questa celebrazione della morte:

3.2.2. Il rituale del 1972 



L’inizio del VI capitolo, che abbiamo già letto, no. 138 c’è anche un’indicazione molto
importante al no. 139: orationes litaniae, formule iaculatoriae…, l’ansia davanti alla
morte è una cosa naturale, non è una cosa cattiva, ma viene superata al interno della
comunità cristiana. Grande parte del rito è formata della parte biblica: cf. no. 143-144,
troviamo un repertorio di versetti e dittici di lezioni che si possono fare, poi per il
momento della morte, troviamo indicazioni dal numero 146 in poi, il titolo Orationes, lo
troviamo nella prima parte abbreviata del Proficiscere, poi il numero 147, l’orazione
Commendo te omnipotenti Deo…, che proviene del PRC del XIII sec, sezione LI, 4. Al
numero 148 si nasconde la seconda parte del Prodiciscere con la aggiunta della
acclamazione Amen del PRC del XIII sec. sezione LI, 5. È nuova la conclusione a pag.
62 che rispecchia il transito di Cristo e il transito del cristiano.
Poi l’orazione del 149, Commendamus tibi…, proviene dal GeV 1626 e il numero 150:
Potest etiam dici… il canto della Salve regina è un po`strana al interno di questa
celebrazione. Canto di origine medioevale è l’antifona attraverso la quale molti santi e
persone sono morti, si faceva cantare l’antifona e poi arrivando alla fine Iesum… ostende
in questo momento fanno morire il santo. Non vuole dire che i santi sono morti in quel
momento, ma il racconto poi lega alla morte del santo a quel momento dell’antifona,
perché la riga ha una verità di fede, morto si entra nella presenza visibile di Gesù Cristo,
quest`è l’idea che ci sta dietro.

62
Cambia il nostro essere in qualche cosa di migliore
63
Quest`è l`idea originaria romana del cristiano della morte, il passagio portato dalla fiducia, un passagio
a qualcosa che è meglio dello stato nostro.

L’Unzione degli infermi e la liturgia della morte, pag. 86


Questi sono i testi che accompagnano il processo morire, poi continua il rituale, subito
dopo la morte, numero 151:
No. 151 si mette l’antifona tradizionale, le cose non cambiano, qui il Subvenite diventa
una specie di responsorio allungato. Statim post…, dopo l`antifona tradizionale allargata
con i versetti requiem aeternam dona ei…, dopo l`antifona è interessante che non segue
l`antica orazione