autori
Energia
l’argomento
dalle biomasse
Le tecnologie, i vantaggi
per i processi produttivi,
i valori economici
e ambientali
a cura di
24
numero
Lo studio è stato ideato
e coordinato dal
Unione Europea
Obiettivo 2 - FESR Servizio Trasferimento
Tecnologico di
AREA Science Park
Ministero dell’Economia e finanziato con il
e delle Finanze
contributo del
Fondo Europeo per
lo Sviluppo Regionale.
Copyright © 2006 by
Consorzio per l’AREA di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste
AREA Science Park
Padriciano, 99 - 34012 Trieste
Presentazione p. IX
Introduzione p. XI
Capitolo 1
Identità della biomassa p. 1
1.1 Definizioni e classificazione p. 2
1.2 Origine e natura p. 3
1.2.1 Il comparto forestale e agroforestale p. 3
1.2.2 Il comparto agricolo p. 8
1.2.3 Il comparto zootecnico p. 21
1.2.4 I residui delle attività industriali p. 23
1.2.5 I residui urbani p. 27
1.3 Forme commerciali p. 29
1.3.1 Le biomasse combustibili allo stato solido p. 29
1.3.2 Le biomasse combustibili allo stato liquido p. 38
1.3.3 Le biomasse combustibili allo stato gassoso p. 42
Capitolo 2
Applicazioni tecnologiche p. 45
2.1 Metodi e processi di preparazione del combustibile p. 45
2.1.1 Tecniche di condizionamento e di preparazione
delle biomasse lignocellulosiche p. 45
2.1.2 La fermentazione metanica per la produzione di biogas p. 54
V
2.1.3 La fermentazione alcolica da glucidi semplici e complessi p. 66
2.1.4 La conversione chimica degli oli p. 72
2.1.5 La biogenesi dell’idrogeno p. 76
2.2 Metodi e processi termochimici di conversione energetica p. 78
2.2.1 La produzione di energia termica p. 78
2.2.2 La produzione di energia elettrica p. 99
2.2.3 La cogenerazione p. 111
2.2.4 La trigenerazione p. 125
2.2.5 L’utilizzo diretto di oli vegetali nei motori
a combustione interna p. 130
Capitolo 3
Aspetti economici p. 135
3.1 I costi di produzione dei combustibili da biomassa p. 135
3.1.1 L’ottenimento della materia prima p. 135
3.1.2 Le fasi di preparazione del combustibile p. 138
3.2 I prezzi di vendita dei combustibili da biomassa p. 144
3.3 Valutazione economica degli impianti energetici
alimentati a biomassa p. 146
3.4 Principali strumenti d’incentivo p. 148
3.4.1 Gli incentivi alla produzione di biomasse energetiche
da colture dedicate p. 148
3.4.2 Gli incentivi ai biocarburanti p. 150
3.4.3 Gli incentivi alla produzione di energia elettrica:
i certificati verdi p. 152
3.4.4 Altri strumenti: la leva fiscale p. 153
Capitolo 4
Aspetti ambientali p. 155
4.1 La riduzione delle emissioni in atmosfera p. 155
4.1.1 Il bilancio delle emissioni di anidride carbonica (CO2) p. 157
4.1.2 Confronto tra le emissioni inquinanti dei principali
combustibili di origine vegetale e fossile p. 160
4.2 Altri benefici ambientali p. 163
4.3 Il bilancio energetico dei combustibili da biomassa p. 164
VI
Capitolo 5
Esempi applicativi di utilizzo delle biomasse
a fini energetici p. 167
5.1 Centrale termica a cippato di legna a servizio
dell’Istituto Scolastico IPSSC di via Baden Powell,
nel comune di Monfalcone (GO) p. 167
5.1.1 Dimensionamento della caldaia a biomassa p. 168
5.1.2 Caratteristiche costruttive e schema di funzionamento
della caldaia p. 169
5.1.3 Circuiti e dispositivi di sicurezza p. 170
5.1.4 Caratteristiche e dimensionamento del deposito
di cippato p. 171
5.2 Centrale termica a cippato di legna a servizio della sede
della Riserva Naturale Regionale della Foce dell’Isonzo,
nel comune di Staranzano (GO) p. 172
5.2.1 Dimensionamento della caldaia a biomassa p. 173
5.2.2 Caratteristiche costruttive e schema di funzionamento
della caldaia p. 174
5.2.3 Circuiti e dispositivi di sicurezza p. 175
5.2.4 Caratteristiche e dimensionamento del deposito
di cippato p. 176
5.3 Impianto dimostrativo con ciclo ORC integrato ottimizzato
a Lienz (Austria) p. 177
5.4 Teleriscaldamento e cogenerazione da legno cippato
a Fondo – Val di Non (TN) p. 180
5.5 Impianto dimostrativo per lo sfruttamento di energia
e materiali da reflui zootecnici presso l’azienda
“Francesco Ricchieri” di Fiume Veneto (PN) p. 182
5.5.1 Sezioni operative dell’impianto p. 184
Capitolo 6
Allegati p. 187
6.1 Allegato 1: schede colturali delle principali specie a fini
energetici p. 187
6.1.1 Colture da biomassa lignocellulosica p. 187
6.1.2 Colture oleaginose p. 200
6.1.3 Colture alcoligene p. 208
VII
6.2 Allegato 2: composizione chimica media
di alcune biomasse p. 215
6.3 Allegato 3: disponibilità di biomasse a fini energetici
nella regione Friuli Venezia Giulia p. 219
6.3.1 Le biomasse forestali p. 219
6.3.2 Le biomasse agro-forestali p. 221
6.3.3 I residui agricoli p. 222
6.3.4 Le colture oleaginose dedicate p. 224
6.3.5 Le colture alcoligene dedicate p. 225
6.3.6 Il comparto industriale p. 226
6.3.7 I rifiuti p. 228
Glossario p. 229
Bibliografia p. 241
VIII
Presentazione
Luigi Rossi
Direttore Unità Biotecnologie,
Protezione della Salute e degli Ecosistemi
ENEA - Centro Ricerche Casaccia Roma
XII
Principali unità di misura e fattori di conversione
Joule J calore
Wattora Wh energia
kJ kcal kWh
1 kJ 1 0,2388 0,000278
L’UMIDITÀ
L’umidità, riferita allo stato umido, viene definita come segue:
Manidro - Mumido
Uanidro = x100
Manidro
dove Mumido è il peso della biomassa tal quale (umida) e Manidro è il
peso della biomassa allo stato anidro, ovvero della sostanza secca.
1 Zilli, 2002.
5
LA DENSITÀ
La densità si misura come segue:
D = Mumido / Vumido
Composizione
Cellulosa 50% della ss
Emicellulosa 10-30% della ss
Lignina 20-30% della ss
Caratteristiche fisiche ed energetiche
Umidità 25-60% sul t.q.
Densità di massa 800-1.120 kg/m3
p.c.i. (considerando un’umidità del 12-15%) 3.600-3.800 kcal/kg
ss = sostanza secca
I residui agricoli
4 In questa sede non viene trattata la granella da mais per produzione energetica, in quanto considerata
prodotto agricolo principale. Pare comunque opportuno sottolineare che, qualora la presenza di micotos-
sine e aflatossine nella granella sia superiore ai limiti posti dalla regolamentazione UE, si può considerare la
possibilità di utilizzare questo prodotto come biocombustibile (Gubbiani, Lazzari, 2004).
8
3. paglia di riso;
4. sarmenti di potatura della vite;
5. ramaglia di potatura dei fruttiferi;
6. frasche di olivo.
La paglia di riso
Le caratteristiche energetiche della paglia di riso sono buone: la bio-
massa presenta un p.c.i. di 3.700-3.800 kcal/kg di ss e un’umidità alla
raccolta del 20-30%. La produttività media varia da 3 a 5 t/ha anno. La
paglia di riso tuttavia è un residuo agricolo che presenta un recupero
relativamente problematico. La raccolta, che deve avvenire dopo quel-
la del prodotto principale, si effettua infatti nel periodo autunnale, ca-
ratterizzato da un’elevata piovosità, e su terreni con difficoltà di sgron-
do delle acque. Attualmente la paglia di riso viene utilizzata come let-
tiera per animali. Il suo impiego come combustibile avviene general-
mente nell’ambito dello stesso ciclo produttivo del prodotto principale
e, in particolare, in fase di essiccazione dello stesso.
Le colture dedicate
7 ITABIA, 2004.
13
Colture da biomassa lignocellulosica
Le colture lignocellulosiche comprendono specie erbacee o legnose
caratterizzate dalla produzione di biomassa costituita da sostanze
solide composte principalmente da lignina e/o cellulosa. Queste col-
ture possono essere suddivise in tre gruppi.
Colture arboree
Le coltivazioni energetiche legnose sono costituite da specie selezio-
nate per l’elevata resa in biomassa e per la capacità di rapida ricresci-
ta in seguito al taglio. Le specie legnose coltivate a scopi energetici
hanno generalmente turni di ceduazione brevi (2-3 anni) e presenta-
14
no un’elevata densità d’impianto variabile dalle 6.000 alle 14.000
piante/ha. Si parla in questo caso di Short Rotation Forestry (SRF).
Generalmente nelle SRF si utilizzano specifici cloni appositamente
selezionati e la ceduazione delle piante, annuale o biennale, è com-
pletamente meccanizzata mediante l’utilizzo di apposite cippatrici 8.
Tra le colture arboree coltivabili a turno breve sono ritenuti interes-
santi i salici, i pioppi, la robinia, gli eucalitti e la ginestra (arbustiva).
Le specie ritenute più adatte alle condizioni pedoclimatiche della re-
gione Friuli Venezia Giulia sono la robinia e il pioppo.
Colture oleaginose
Le colture oleaginose e le colture alcoligene si differenziano dalle
colture finora trattate poiché non forniscono direttamente il biocom-
bustibile, bensì la materia prima da cui ricavare lo stesso attraverso
trasformazioni chimiche e biochimiche (vedi il paragrafo 3.2).
Tra le colture oleaginose vanno annoverate molte specie, diffuse su
scala mondiale, sia arboree (la palma da cocco), sia erbacee (il giraso-
le, il colza e la soia).
In linea generale le colture oleaginose producono semi caratterizzati
da un elevato contenuto in oli: nel girasole il contenuto in oli è in
media del 48% con punte del 55% mentre nel colza è in media del
41% con picchi del 50%. I semi di soia presentano delle concentrazio-
ni inferiori comprese, in media, tra il 18 e il 21%; per tale motivo, ai
fini della destinazione energetica, questa coltura risulta spesso sfavo-
rita rispetto alle precedenti.
Gli oli grezzi ottenuti dalle colture oleaginose sono caratterizzati da
un elevato potere calorifico inferiore (in media di 9.400 kcal/kg), per
cui possono essere utilizzati come biocarburanti, in sostituzione del
gasolio, per la produzione di energia termica ed elettrica e in cogene-
razione. La loro conversione in biodiesel ne consente l’impiego anche
per l’autotrazione15.
Le rese colturali in termini di disponibilità di biocarburante per ettaro
sono riportate nella tabella 5. Ulteriori dettagli, relativamente alle
esigenze edafiche (del suolo) e climatiche delle colture, sono riportati
nel paragrafo 6.1 (Allegato 1).
Colture alcoligene
Con il termine alcoligene ci si riferisce a quelle colture atte alla pro-
duzione di biomassa dagli elevati contenuti in carboidrati fermente-
scibili che possono essere destinati, mediante un processo di fermen-
tazione, alla produzione di bioetanolo da utilizzarsi quale biocarbu-
rante in sostituzione della benzina o dei composti antidetonanti (ad
esempio MTBE).
La materia prima da avviare alla filiera di produzione del bioetanolo
può essere costituita da zuccheri semplici (in primis saccarosio e glu-
cosio), o da zuccheri complessi (amido) ed è ottenuta, rispettivamen-
te, dalle colture dedicate saccarifere o da quelle amilacee.
Tra le colture saccarifere, quelle ritenute adatte alle condizioni del
terreno e del clima in Italia, sono la barbabietola da zucchero e il
sorgo zuccherino, tra le colture amilacee il frumento tenero, soprat-
tutto nell’Italia meridionale, e il mais, in particolare nell’Italia set-
tentrionale.
Le colture saccarifere presentano un elevato contenuto in zuccheri sem-
plici: l’estratto zuccherino fermentescibile nella barbabietola costituisce
in media il 20% della biomassa secca raccolta, nel sorgo il 18%.
Le colture amilacee contengono l’amido in forma di granuli e i resi-
dui di glucosio che lo compongono possono essere idrolizzati e, suc-
cessivamente, fermentati a bioetanolo: il frumento tenero presenta un
contenuto in amido corrispondente al 70%, il mais pari al 78%.
Le principali caratteristiche delle colture alcoligene saccarifere e ami-
lacee menzionate, in termini di resa in bioetanolo per ettaro di super-
ficie coltivata, sono illustrate nella tabella 6.
16 www.cti2000.it/biodiesel.htm
19
Tabella 6 - Rese produttive delle colture alcoligene in termini di bioetanolo17
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% % sulla ss Nm3/kg SV
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L’industria agroalimentare
25 Assocarta, 2004.
26Direttiva Europea 2000/76 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000 sull’inceneri-
mento dei rifiuti.
27 A.E. (abitante equivalente): unità che genera un carico organico giornaliero di 60 gBOD/giorno.
26
Comparto della macellazione
Industria saccarifera
28 www.federambiente.it
28
1.3 Forme commerciali
Legna da ardere
La legna è generalmente venduta in ciocchi o tronchetti, con pezzatu-
re che vanno dai 50 ai 500 mm, e tenori in umidità inferiori al 50% a
seconda del tempo e della tipologia di stagionatura a cui è sottoposta
la biomassa. L’utilizzo di questa tipologia di biocombustibile, operata
quasi esclusivamente a livello domestico in piccoli impianti alimenta-
ti manualmente, è oramai in declino a favore di forme densificate
quali bricchetti e, soprattutto, pellet. Le caldaie a legna, infatti, oltre e
non offrire possibilità di automazione nel caricamento del combusti-
bile hanno in genere una minore efficienza energetica (50-60% com-
parata con 75-90% per caldaie a chips e pellet legnosi).
Cippato
Per rendere omogenea la composizione dei materiali, legnosi e non, e
renderli quindi adatti anche all’alimentazione automatica degli im-
pianti energetici, si può ricorrere alla cippatura, operazione meccani-
ca che riduce gli assortimenti in scaglie di piccole dimensioni deno-
minate chips, da cui il nome. Tale operazione può essere applicata
indifferentemente alle biomasse legnose e a quelle erbacee.
Figura 3 - A sinistra cippato di coltura erbacea poliennale (Arundo donax); a destra cippato di
biomassa legnosa
29
La geometria dei chips varia con le tecniche di taglio adottate, in fun-
zione delle dimensioni richieste dal tipo di impianto di trasformazione
energetica e, soprattutto, del suo sistema di alimentazione: essi hanno
tipicamente una lunghezza variabile da 15 a 50 mm, una larghezza
pari a circa la metà della lunghezza e uno spessore variabile da un
quinto a un decimo della lunghezza. Una dimensione tipica è
40x20x3mm. L’omogeneità (ottenuta con la calibratura tramite vagli) è
il parametro più importante per i chips destinati alla combustione, da-
to che la presenza di chips di dimensioni disomogenee provoca spesso
fastidiosi bloccaggi dei sistemi d’alimentazione degli impianti.
Il tenore di umidità desiderato è tipicamente ottenuto previo stoccag-
gio in cumulo, per un tempo idoneo: le tecnologie disponibili per la
combustione del cippato accettano biomassa con un’umidità massi-
ma del 50%. Importante è anche il tenore di umidità della biomassa
di partenza che deve essere compreso tra il 25% e il 50%: valori al di
sotto o al di sopra di queste soglie possono infatti causare problemi al
funzionamento della cippatrice.
Figura 4 - Pellet
30 Riva, 2004.
31
I VANTAGGI DEL PELLET
Rispetto alle biomasse non densificate, come la segatura, il cippato, le
ramaglie, ecc., il pellet presenta notevoli vantaggi che gli permettono di
essere molto più apprezzato sul mercato, rispetto al materiale di
partenza. Tra i più importanti ricordiamo i seguenti:
Elevata densità apparente (bulk density): questo fattore, che può
variare tra i 650 ed i 780 kg/m3, dipende dalla forma e dalle dimensioni
del materiale, dall’umidità e dalla porosità. Il pellet presenta mediamente
una densità 7 volte superiore alla segatura e 3 volte superiore al
cippato31, e ciò ne ottimizza il trasporto e lo stoccaggio.
Basso contenuto in umidità: le normative austriaca e svedese
prescrivono un limite massimo del 10%. Tale valore è stato preso
come riferimento anche dal Comitato Termotecnico Italiano
(Raccomandazione CTI R04/05) sulla qualità del pellet. Il basso
contenuto idrico migliora il rendimento della combustione e
contribuisce a ridurre i costi di trasporto; un ulteriore vantaggio si ha
nello stoccaggio del combustibile che non rischia di incorrere in
fenomeni fermentativi.
Alto potere calorifico per unità di peso: il potere calorifico del
pellet è determinato dalla composizione e dalla struttura della biomassa
impiegata per la sua fabbricazione. Il pellet di legno ha un p.c.i. di circa
4.000 kcal/kg, valore energetico elevato tra i biocombustibili.
IL DECRETO COMBUSTIBILI
Il “DPCM Combustibili”32, che individua le biomasse combustibili e le
relative condizioni di utilizzo ai fini dell’impiego negli impianti di
combustione civile e industriali, ammette come materia prima per la
produzione di biocombustibili le seguenti fonti:
- coltivazioni dedicate (energetiche);
- trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni non dedicate;
- interventi selvicolturali, da manutenzioni forestali e da potatura;
- lavorazione esclusivamente meccanica di legno vergine e costituito da
corteccia, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine,
granulati e cascami di legno vergine, di sughero vergine, tondelli, non
contaminati da inquinanti, aventi le caratteristiche previste per la
commercializzazione e l’impiego;
- lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti agricoli aventi le
caratteristiche previste per la commercializzazione e l’impiego.
32 Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri – DPCM 8 marzo 2002: “Disciplina delle caratteri-
stiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico, nonché delle
caratteristiche degli impianti di combustione”. (GU n. 154 del 3/7/02)
33
Il Comitato Termotecnico Italiano (CTI), anticipando il legislatore nella
definizione di una specifica normativa di regolamentazione, ha fornito
una raccomandazione per la caratterizzazione del pellet a fini energetici,
che ha la finalità di migliorare le condizioni di commercio di questo ma-
teriale e di migliorare i rapporti tra gli attori del sistema (costruttori di
impianti di pellettizzazione, produttori di pellet, costruttori di impianti
di combustione, commercianti e utenti finali). In tale documento il CTI
fornisce una caratterizzazione del pellet mediante l’individuazione di 4
categorie distinte, definite in funzione della materia prima d’origine e
delle caratteristiche fisiche e chimiche del prodotto finito. Due di queste
categorie (B e C) contemplano anche l’uso di biomassa derivante da col-
ture e residui erbacei, nonché da residui agroindustriali (tabella 10). È da
ricordare che le direttive europee n. 2000/76 e n. 2001/80 CEN/TC 335
contemplano anche l’uso di scarti dell’industria agroalimentare.
A A
B C
senza additivi con additivi
10 ± 0,5 ≤ D ≤ 25
Diametro (D) mm D = 6 ± 0,5 D = 8 ± 0,5 D = 6 ± 0,5 D = 8 ± 0,5 D = 6 ± 0,5 D = 8 ± 0,5
± 1,0
Durabilità
% peso ≥ 97,7 ≥ 97,7 ≥ 95,0 ≥ 90,0
meccanica
33 “Raccomandazione CTI sui biocombustibili solidi: Specifiche e Classificazione”. CTI R03/01, aprile 2003. www.cti2000.it
35
36
(continua)
A A
B C
senza additivi con additivi
Indicare tipologia e
Agenti leganti % peso m.p. Non presenti Indicare tipologia e q.tà (c) Indicare tipologia e q.tà (c)
q.tà (c)
Densità
Kg/m3 620 ≤ BD ≤ 720 620 ≤ BD ≤ 720 600 ≤ BD ≤ 720 ≥ 550
apparente BD
MJ/kg t.q.
≥ 16,9 ≥ 16,9 ≥ 16,2
p.c.i. (kcal/kg Indicare il valore
(≥ 4.039) (≥ 4.039) (≥ 3.870)
t.q.)
(a) Definizioni tratte dalla classificazione CEN per le biomasse; tra le materie prime consentite sono escluse quelle che hanno subito un
trattamento diverso da quello meccanico secondo quanto stabilisce la legislazione vigente.
(b) Vanno indicate le tipologie e le percentuali in peso delle diverse biomasse impiegate.
(c) Sono ammessi soltanto alcuni agenti leganti, come ad esempio amido di mais, olio vegetale grezzo estratto mediante spremitura meccanica ecc.
Gli oli estratti dai semi di colza e girasole sono, a tutti gli effetti e
senza ulteriori modifiche, dei combustibili e, come tali, possono tro-
vare un impiego nel settore energetico analogamente a quanto avvie-
ne per i combustibili liquidi di origine fossile. Le principali caratteri-
stiche energetiche, poste a confronto con quelle del gasolio, sono ri-
portate nella tabella 12.
Tabella 12 - Confronto tra le proprietà come carburanti degli oli combustibili vegetali e del gasolio36
Oli combustibili
Parametri Unità di misura Gasolio
vegetali
p.c.i. kcal/kg 9.000-9.500 10.200
Flashpoint °C 230-290 60
Numero di cetano - 30-40 54
Densità kg/m3 0,915 0,839
Viscosità a 38ºC mm2/s 27-53 2,7
36 www.biodiesel.org
37 www.cti2000.it/biodiesel.htm
38
L’elevata viscosità esclude, allo stato attuale, l’applicazione degli oli
vegetali tal quali per l’autotrazione. In questo caso, infatti, sarebbero
necessarie importanti modifiche nella progettazione dei motori. In
Germania e in Austria, tuttavia, sono in atto alcune esperienze per il
loro utilizzo in mezzi nautici e in flotte vincolate, rese possibili da una
forte politica di defiscalizzazione di tale tipo di biocarburanti.
Il biodiesel
Tabella 13 - Confronto tra le proprietà come carburanti del biodiesel e del gasolio38
Parametri Unità di misura biodiesel Gasolio
p.c.i. kcal/kg 8.900 10.200
Flashpoint °C 85-178 63
Viscosità a 38°C mm2/s 4,78 3,12
Numero di cetano - 48-56 54
Densità kg/m3 885 839
38 www.cti2000.it/biodiesel.htm
39
I principali impieghi del biodiesel come prodotto energetico prevedono
la sostituzione del gasolio per l’autotrazione dei mezzi dotati di motori
diesel e per l’alimentazione delle caldaie e dei gruppi elettrogeni.
L’impiego del biodiesel come carburante per l’autotrazione appare parti-
colarmente interessante sia perché è già teoricamente possibile alimenta-
re i motori diesel attualmente in commercio con una miscela di gasolio e
biodiesel, sia perché vi è attualmente un forte interesse da parte della
Commissione Europea a sviluppare la filiera dei biocarburanti.
39 www.ufop.de
40 www.cti2000.it
40
Il bioetanolo
Tabella 14 - Confronto tra le proprietà come carburanti del bioetanolo e della benzina41
Parametri Unità di misura Bioetanolo Benzina
Flashpoint °C 13 21
L’utilizzo del bioetanolo anidro (con residuo di acqua del 5%) in so-
stituzione alla benzina è attualmente una realtà in Brasile, dove i
motori sono stati predisposti a questo uso già a partire dagli anni
Settanta, quando è emerso in tutta la sua gravità il problema della
sicurezza degli approvvigionamenti. Gli interventi che si rendono
necessari in tale ipotesi di impiego riguardano la regolazione delle
valvole e la sostituzione dei componenti suscettibili di corrosione.
Negli USA e in Canada il bioetanolo anidro è utilizzato invece in mi-
scela con la benzina al 10% in motori non modificati e all’85% in
motori predisposti. Questi ultimi, denominati con la sigla FFV (Flexible
Fuel Vehicles) possono essere alimentati indifferentemente con delle
miscele di benzina e bioetanolo o con la sola benzina, poiché sono
dotati della regolazione automatica dei tempi di iniezione e dei rap-
porti di miscelazione tra l’aria e il carburante42. Alcuni ulteriori studi
41 www.eere.energy.gov; www.visionengineer.com/env/alt_bioethanol_prop.php
42 www.abengoabioenergy.com
41
condotti in Europa e negli USA hanno evidenziato come sia possibile
l’impiego del bioetanolo in miscela fino al 23,5% senza intervenire
sulla componentistica del motore. Allo stato attuale in Europa è con-
sentita la presenza del bioetanolo anidro, ossia privo di acqua resi-
dua, nella benzina in concentrazione fino al 5%.
Quale alternativa all’uso del bioetanolo è possibile impiegare l’ETBE
(Etil Ter Butil Etere), composto da esso derivato, che trova impiego
come antidetonante ad alto numero di ottani. L’ETBE può essere uti-
lizzato in sostituzione del benzene e dell’MTBE (Metil Ter Butil Etere),
entrambi composti che presentano criticità per la salute umana e per
l’ambiente: il benzene infatti è un prodotto con effetti cancerogeni
mentre l’MTBE presenta un’alta capacità inquinante soprattutto a
carico delle acque sotterranee. Rispetto ad essi, l’ETBE presenta un
minore impatto sull’ambiente e sulla salute umana; oltre a ciò ha il
vantaggio di presentare un numero di ottano più elevato (se usato in
miscela con la benzina al 15% conferisce alla stessa un numero di ot-
tano pari a 110, valore più elevato rispetto al 95-98 tipico degli anti-
detonanti tradizionali43).
È stata infine dimostrata la possibilità di impiegare il bioetanolo an-
che in miscela al gasolio: fino a miscele del 15% non è necessaria al-
cuna modifica ai motori diesel.
Il biogas
43 www.visionengineer.com/env/alt_bioethanol_prop.php
42
La composizione media del biogas è rappresentata nella tabella 15.
benzina 0,8 l
alcol etilico 1,3 l
metano 0,7 m3
carbone di legna 1,4 kg
legna 2,7 kg
Prima del suo utilizzo a fini energetici il biogas deve essere sottoposto
a opportuni trattamenti (vedi l’approfondimento al paragrafo 3.3.1)
necessari ad aumentare la percentuale di metano a discapito di quella
degli altri gas al fine di accrescerne il potere calorifico. Infatti il potere
calorifico finale del gas è determinato dalla concentrazione di metano
nella miscela: maggiore è la percentuale di questo gas e maggiore è il
p.c.i.; effetto contrario è determinato dalla presenza di anidride carbo-
nica, azoto e acqua. Il trattamento a cui è sottoposto il biogas ha la
funzione, inoltre, di ridurre la presenza di sostanze che si comportano
da agenti corrosivi, quali ad esempio l’idrogeno solforato, che possono
causare sensibili danni agli impianti di utilizzazione.
Come evidenziato nella tabella 16 la scelta del trattamento o dei trat-
tamenti più opportuni dipende sia dalle caratteristiche di partenza
del biogas sia dalle utilizzazioni previste.
43
Tabella 16 - Trattamento del biogas in funzione dell’utilizzo previsto
BIOMASSE
RESIDUALI COLTURE ENERGETICHE
DISCARICA
(PRE-TRATTAMENTO)
TRASPORTO
VALORIZZAZIONE
PRE-TRATTAMENTO
DENSIFICAZIONE
PELLETS, BRICCHETTE STOCCAGGIO
CONVERSIONE
TERMOCHIMICA, BIOCHIMICA, CHIMICA
GASSOSI
CALORE E/O ELETTRICITÁ BIOPRODOTTI LIQUIDI
SOLIDI
TRAMOGGIA DI ALIMENTAZIONE
MACINAZIONE
MACINATO DI SGROSSATURA
DEFERRIZZATORE
ESSICAZ.
ESSICATORE CALDAIA
MULINO A MARTELLI
CONDIZIONAMENTO
TRAMOGGIA DI ALIMENTAZIONE
CONDIZIONATORE
PELLETTATRICE
RAFFREDD.
IMPIANTO DI VENTILAZIONE
VAGLIATURA
SEPARATORE
49
La prima macinazione della biomassa è prevista nel caso in cui il
materiale da lavorare si presenti in forma grossolana (ad esempio in
tronchetti o ramaglie), in tal caso, mediante l’ausilio di un rotore a
coltelli, la biomassa subisce una riduzione volumetrica in scaglie.
Prima dell’introduzione nel macinatoio, il materiale grezzo viene so-
litamente separato, mediante l’azione di appositi magneti, da even-
tuali elementi ferrosi (deferrizzazione) che, se introdotti nella trafila,
potrebbero causare ingenti danni.
Con le tecnologie più diffuse, il materiale grezzo inoltre non può essere
pressato se presenta un contenuto elevato di umidità: è quindi necessa-
rio, dopo la macinazione primaria, eseguire un’essiccazione attraverso
l’esposizione ad aria calda, vapore e acqua. In questo modo viene con-
ferito al materiale il grado di umidità appropriato e viene data possibi-
lità alla lignina, contenuta nella materia prima, di svolgere il ruolo di
materiale legante. Le tecnologie per l’essiccamento della biomassa pre-
vedono per lo più l’utilizzo di essiccatoi rotativi, nelle varianti in equi-
corrente e controcorrente. Per ciascun tipo di variante il riscaldamento
può essere diretto o indiretto. Negli essiccatoi a riscaldamento diretto il
materiale umido entra in contatto con i gas caldi che possono essere
costituiti dai prodotti della combustione (essiccazione a fumi diretti) o
da aria riscaldata (essiccazione ad aria calda). Il primo metodo più
semplice ed economico, viene adottato quando il materiale può entrare
in contatto con i prodotti della combustione, mentre il secondo viene
adottato nel caso in cui il materiale non debba entrare in contatto con i
prodotti della combustione. Nel caso del riscaldamento indiretto, il
tamburo è montato in una cassa a fuoco rivestita con mattoni refrattari
ed è riscaldato esternamente.
Al termine di questa fase l’umidità raggiunge un valore massimo del
10%, valore che permette di effettuare le fasi successive del trattamento.
Alcune tecnologie utilizzate per la pellettizzazione non prevedono
l’utilizzo del calore per estrarre l’umidità dalla biomassa: esistono in
commercio macchinari in grado di lavorare con umidità dei materiali
in ingresso variabile dal 10% al 35%, che provvedono all’estrazione
dell’acqua in eccesso per depressione44. La capacità produttiva di
questi macchinari, contraddistinti da un consumo elettrico relativa-
mente ridotto, risulta comunque fortemente influenzata dal contenu-
to iniziale di umidità della biomassa.
44 Grassi, 2004.
50
Nella seconda fase di macinazione, o prima fase di macinazione, se il
materiale in entrata al ciclo produttivo è gia di piccole dimensioni
(trucioli, segatura, chips legnosi o erbacei, ecc.), il materiale viene
triturato per ridurre e uniformarne la grandezza fino a circa 3 mm
(triturazione). Queste dimensioni permettono l’alimentazione alla
pellettatrice di un flusso costante che conferisce al prodotto caratteri-
stiche standardizzate. Spesso in questa fase vengono impiegati muli-
ni a martello.
Il materiale triturato viene quindi avviato alla sezione di condiziona-
mento, dove viene preparato per entrare nella trafila della pellettiz-
zatrice. In questa fase possono anche essere incorporati agenti leganti
o additivi (melasso e grassi). Un sistema molto utilizzato per il condi-
zionamento della biomassa è l’impiego di vapore acqueo secco in
modo da ammorbidire le fibre legnose ed effettuare una parziale ge-
latinizzazione della biomassa. Ciò conferisce al pellet una maggior
compattezza e, al contempo, una maggior lubrificazione alla trafila
nella fase di pellettizzazione.
La pellettizzatrice, che agisce per compressione, ha quali elementi
principali degli stampi perforati (comuni a tutti i processi di estrusio-
ne) cilindrici o piani, detti anche matrici, attraverso i cui fori la bio-
massa condizionata viene spinta ad elevata pressione (fino a 200 at-
mosfere) mediante idonei sistemi a rulli. Negli impianti con matrici
cilindriche l’estrusione generalmente avviene verso l’esterno, ma esi-
stono anche pellettizzatrici con direzione di estrusione opposta. Il
pellet si forma grazie alle trasformazioni che subisce la lignina pre-
sente nella biomassa: tali trasformazioni si verificano nel passaggio
delle fibre attraverso i fori di estrusione quando la temperatura au-
menta sino a 90°C; a queste temperature la lignina fluidifica ed esce
dalle strutture cellulari; ciò consente alle fibre di legarsi tra loro.
L’estruso che fuoriesce dai fori delle matrici, materiale compresso e
bachelizzato in superficie, viene tagliato alla lunghezza voluta da
apposite lame, generalmente fisse.
AMMINOACIDI, ZUCCHERI
ACIDI GRASSI
FERMENTAZIONE
(ACIDOGENESI)
BATTERI FERMENTANTI
ACIDI VOLATILI
ACETATO/IDROGENO
BATTERI METAGENICI
METANOGENESI
CH4 - CO2
Impianti semplificati
Sulla base di un censimento effettuato alla fine del 2004, gli impianti di
tipo semplificato costituivano il 70% degli impianti di digestione
anaerobica presenti in Italia; nel 1999 risultavano il 24%47.
Reattori miscelati
Rappresentano la tipologia di digestore più classica (figura 12). La loro
struttura, in cemento armato o in acciaio, è configurata a forma di silos.
Reattori “plug-flow”
Filtro anaerobico
Gli sviluppi nel trattamento dei rifiuti degli ultimi decenni hanno
determinato l’insorgenza di impianti di codigestione.
I parametri di processo
49 www.epa.org
64
discarica (composizione del rifiuto, umidità, carica batterica, pH, ca-
ratteristiche progettuali, ecc.) e dalle condizioni climatiche esterne.
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Durante la prima fase, che inizia subito dopo lo smaltimento dei ri-
fiuti e che si svolge in condizioni di aerobiosi, viene principalmente
prodotta CO2.
La seconda fase, anossica (cioè in assenza di ossigeno libero, ma ricco
di ossigeno combinato ad altri elementi chimici come ad es. NO3-,
NO2-, SO4=, ecc.), è caratterizzata da una forte diminuzione della con-
centrazione di ossigeno e dalla produzione di CO2, H2 e acidi volatili.
Nella terza fase, anaerobica, inizia la generazione di CH4 associata a
una riduzione della CO2 precedentemente prodotta.
Nella quarta e ultima fase la produzione di biogas raggiunge condi-
zioni di quasi stazionarietà e la composizione del biogas rimane pres-
soché costante (circa il 50% di CH4, circa 50% di CO2 e tracce di altri
gas come ad esempio H2S, mercaptani, ecc.).
Sulla base di monitoraggi effettuati su diverse discariche degli Stati
Uniti, indicativamente vengono riportate produzioni di biogas com-
prese tra 0,05 e 0,40 m3/kg di rifiuto smaltito (Ham, Barlaz, 1989).
La presenza del CH4 nelle discariche di rifiuti deve essere monitorata
65
attentamente a causa delle sue caratteristiche esplosive in ambienti
confinanti, non appena la sua concentrazione risulta essere compresa
tra il 5% e il 15%. Per di più, oltre alla già nota pericolosità del meta-
no come gas a effetto serra, esso risulta dannoso sia per l’uomo (può
provocare asfissia in ambienti chiusi), sia per la vegetazione (a causa
dell’asfissia delle radici se in contatto col gas nel sottosuolo).
Per motivi di sicurezza quindi le discariche controllate sono dotate
di un sistema di collettamento del biogas costituito da una serie di
pozzi verticali, dai quali si dipartono a raggiera delle tubazioni fes-
surate disposte orizzontalmente. Il gas viene raccolto e asportato
grazie alla pressione alla quale è sottoposto all’interno del corpo
della discarica.
Alla semplice soluzione di bruciare il biogas in una torcia di combu-
stione oggi sta sempre di più prendendo piede la possibilità di sfrut-
tare il biogas a fini energetici (figura 18).
50 www.assodistil.it
67
La sezione saccarifera della filiera per la produzione del
bioetanolo
54 Lynd, 1996.
55 Lynd et al., 2002.
71
2.1.4 La conversione chimica degli oli
2. macinazione;
Tra gli oli vegetali esausti di origine alimentare che possono essere
recuperati per la valorizzazione energetica, vanno annoverati quelli
provenienti dalle lavorazioni industriali (da forni e friggitrici) e dalle
utenze domestiche (oli di frittura e oli per la conservazione degli ali-
menti). L’utilizzo alimentare, tuttavia, provoca un parziale deteriora-
mento delle materie prime, che necessitano quindi di una rigenera-
zione a monte della trasformazione in biodiesel.
56 www.cti2000.it
74
La rigenerazione si articola in fasi successive: la rimozione delle im-
purità grossolane mediante le fasi successive di filtrazione, neutraliz-
zazione e disidratazione.
Gli oli vegetali esausti rigenerati possono essere assimilati a quelli
ottenuti dalle colture dedicate e da questo punto in poi seguono la
medesima filiera.
La transesterificazione
Tipologie impiantistiche
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Figura 20 - Caldaia a fiamma inversa per la combustione di legna in ciocchi (fonte AIEL)
Caldaie a cippato
Caldaie a pellet
83
Figura 22 - Caldaia a cippato o a pellet di grande potenza (fonte AIEL)
Tabella 19 - Caratteristiche principali degli impianti a griglia fissa ad alimentazione inferiore per
combustibile secco
Tabella 20 - Caratteristiche principali degli impianti a griglia fissa ad alimentazione inferiore per
combustibile umido
Figura 23 - Camera di combustione ad alimentazione inferiore (fonte: Requisiti tecnici per im-
pianti a cippato superiori a 350 kW, Energia e Ambiente)
Tabella 23 - Valori limite delle emissioni inquinanti in funzione della taglia dell’impianto fissati dal
DPCM 8 marzo 2002 [mg/Nm3]
Oggi nella prevalenza delle città italiane ogni edificio provvede auto-
nomamente al riscaldamento: il calore viene quindi prodotto separa-
tamente dall’elettricità, con notevole spreco di energia (sia dal punto
di vista quantitativo che qualitativo).
Il teleriscaldamento è un servizio energetico urbano mediante il qua-
le il calore per il riscaldamento degli edifici e per altri usi a bassa
temperatura (come l’acqua calda per uso igienico-sanitario) viene di-
stribuito tramite una rete di tubazioni interrate precoibentate che
connettono il generatore termico con le utenze finali attraverso uno
scambiatore. Il distanziamento spaziale permette di utilizzare il com-
bustibile in modo più concentrato e tecnicamente più avanzato (cal-
daie a maggior rendimento, cogenerazione di energia elettrica e calo-
re) con vantaggi sia dal punto di vista energetico che ambientale, at-
traverso un maggiore controllo delle emissioni.
In termini generali, il teleriscaldamento risulta economicamente van-
taggioso, rispetto ad altre soluzioni, laddove i maggiori investimenti
rispetto alla normale metanizzazione (soprattutto per quanto riguar-
da la rete di distribuzione) sono compensati dalla minor spesa per
l’acquisto dei combustibili primari e dalla produzione combinata di
energia elettrica e calore. Sono pertanto da prendere in considerazio-
ne quartieri cittadini ad alta densità di consumi energetici, zone di
sviluppo artigianali e terziario, ospedali, ecc.
Il sistema di regolazione
Un altro aspetto sicuramente di primaria importanza per la realizza-
zione e la gestione di un sistema di teleriscaldamento è quello riguar-
dante la regolazione dello stesso affinché sia garantito l’equilibrio tra
l’energia termica circolante in rete e quella richiesta dall’utenza. Per
fare ciò è necessario operare su diversi livelli e precisamente su:
● regolazione in corrispondenza dell’utenza, che è quella che definisce
la potenza termica necessaria in rete; effettuando la somma delle
richieste di energia che si susseguono nel tempo da parte di tutte
le sottostazioni, si ottengono le curve del carico termico del siste-
ma nel corso della singola giornata e dell’anno; il sistema di rego-
lazione situato in corrispondenza delle sottostazioni è piuttosto
complesso dato che, oltre a dosare il calore prelevato dall’utenza,
97
a seconda delle necessità deve anche garantire la sicurezza del-
l’esercizio e il rispetto dei limiti contrattuali riguardo al prelievo
di potenza termica;
● regolazione della rete di distribuzione, che avviene ricorrendo princi-
palmente a due metodi che comportano, l’uno la variazione della
portata (la portata prelevata nelle varie sottostazioni varia in fun-
zione dei fabbisogni istantanei e questo modifica l’andamento
delle pressioni in rete) e l’altro la variazione della temperatura del
fluido termovettore;
● regolazione dell’impianto di produzione del calore, attraverso la quale
si verifica che la potenza termica prodotta sia in equilibrio con
quella richiesta dalla rete.
Le sottostazioni
Le sottostazioni sono l’insieme dei componenti che servono a prele-
vare il calore proveniente dalle reti di teleriscaldamento e utilizzarlo
per usi sanitari e di riscaldamento.
Gli elementi che sostituiscono una sottostazione sono:
● gli scambiatori a piastre;
● le pompe di circolazione;
● il vaso d’espansione;
● il contabilizzatore del calore;
● gli organi di telecontrollo e di sicurezza.
Figura 30 - A sinistra: sottostazione per medie e grandi utenze. A destra: sottostazione per
utenze domestiche monofamiliari (fonte Intensys APV)
98
LA CONTABILIZZAZIONE E LA RIPARTIZIONE DEL
CALORE TRA LE UTENZE ALLACCIATE
Se la sottostazione è al servizio di più utenze, sussiste il problema della
corretta suddivisione del corrispettivo del calore prelevato; tale
problema può essere risolto nel modo più semplice - ma impreciso -
attraverso la ripartizione in millesimi del volume dell’edifico tra le
singole utenze, tenendo eventualmente conto dell’esposizione dei vari
appartamenti: in questa maniera si toglie però al singolo utente la
possibilità di gestire autonomamente il proprio consumo.
In alternativa è possibile installare un contatore di calore in
corrispondenza di ogni singola utenza, ma ciò è realizzabile solo negli
impianti del tipo “a zone” e non in quelli “a colonne montanti” poiché
in quest’ultimo caso sarebbero necessari un numero elevatissimo di
contatori (in pratica uno per ogni corpo scaldante).
Un altro sistema molto semplice è quello di misurare la portata
d’acqua calda che attraversa l’impianto dell’utenza e da questa
grandezza ricavare l’energia prelevata; il costo dell’apparecchiatura
necessaria a raggiungere lo scopo è in questo caso molto contenuto
ma, per contro, il metodo risulta piuttosto approssimativo.
La gassificazione
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Per l’effetto dello strato limite, la velocità è minore alle pareti, lungo le
quali le particelle ricadono dando luogo a un’ulteriore miscelazione.
I gassificatori CFB differiscono dai gassificatori BFB fondamental-
mente per le seguenti caratteristiche:
● utilizzo per portate di biomassa maggiori di 15 t/h;
● per le basse potenze, costi più elevati rispetto ai gassificatori BFB;
● difficoltà di realizzazione del cracking catalitico dei tars all’interno
del letto.
I gassificatori atmosferici a letto fluido circolante sono adatti ad una
grande varietà di biomasse, con potenze che vanno pochi MWth fino
a 100 MWth. In futuro potranno essere realizzati gassificatori CFB con
potenze anche maggiori. Questa tecnologia sembra essere la più adat-
ta per le applicazioni in larga scala.
106
Gassificatori dual bed per gassificazione pirolitica
La gassificazione non avviene mediante ossidazione parziale, ma attra-
verso riscaldamento indiretto della biomassa (gassificazione pirolitica).
L’impianto è costituito da due reattori a letto fluido: un gassificatore
CFB e un combustore (BFB o CFB). Nel gassificatore il calore necessa-
rio per la decomposizione della biomassa è ceduto dalla sabbia in ricir-
colo nell’impianto, che viene riscaldata nel combustore. Come gas
fluidizzante si utilizza vapore. Il producer gas in uscita dal gassificatore
trascina le particelle di sabbia e char, che vengono separate da un ciclo-
ne e portate al combustore, dove il char viene bruciato. Il calore gene-
rato è assorbito dalla sabbia che viene trascinata all’esterno del combu-
store dai gas di scarico. Un secondo ciclone provvede alla separazione
della sabbia dal gas esausto, permettendone la reintroduzione nel gas-
sificatore dove cede alla biomassa il calore assorbito.
Figura 36 - Schema dell’impianto IGCC di Varnamo in Svezia (fonte: Stahl, Neergaard, 1998)
Figura 37 - Schema del generatore di vapore dell’impianto di Lahti (fonte: Krvela M., Lathi Energia 2002)
2.2.3 La cogenerazione
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Impianti a contropressione
Questa soluzione impiantistica è caratterizzata dal fatto che l’intera
portata di vapore generato viene fatta espandere in turbina finché il
vapore non ha raggiunto le condizioni entalpiche tali da soddisfare la
richiesta di energia termica; attraverso degli scambiatori il calore vie-
ne poi prelevato, provocando la condensazione del fluido operatore.
Successivamente, inviato ad un serbatoio di condensa, il fluido ritor-
na tramite un’apposita pompa al generatore di vapore.
Un’alternativa a questo schema, sovente adottata, è quella di colloca-
re a valle della turbina un “condensatore caldo”, in cui il calore viene
ceduto ad un fluido ausiliario (ad esempio acqua surriscaldata) che
alimenta la rete delle utenze termiche.
Questo tipo di configurazione richiede un andamento del carico elet-
trico parallelo al diagramma del carico termico, fatto che risulta for-
temente penalizzante per quelle utenze con andamento temporale
dei carichi molto diverso.
118
Impianti a condensazione e spillamento
Per ovviare alla limitazione che gli impianti a contropressione pre-
sentano nella regolazione dei carichi termico ed elettrico, il ciclo ter-
modinamico può essere modificato permettendo al diagramma del
carico elettrico di avere un andamento diverso da quello termico. La
modifica consiste nell’estrarre dalla turbina una parte del vapore che
si trova a una pressione sufficiente a soddisfare i fabbisogni di ener-
gia termica degli scambiatori di processo; la restante parte viene fatta
espandere fino alla pressione di condensazione.
Poiché la portata del vapore spillato può essere variata (in genere fi-
no a un massimo del 30% della portata totale), si realizza una parzia-
le indipendenza tra le produzioni di energia elettrica e termica. Il si-
stema acquista quindi una maggiore flessibilità di esercizio, a scapito
però di un minor risparmio di combustibile nelle condizioni di carico
parziale.
Figura 39 - Incidenza percentuale dei fluidi operativi sul recupero termico in un motore alter-
nativo a combustione interna
Figura 40 - Campi di applicazione della tecnologia ORC e dei vari sistemi cogenerativi
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2.2.4 La trigenerazione
Cogenerazione e trigenerazione
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Problematiche d’impiego
L’uso degli oli vegetali come carburanti nei motori diesel presenta
alcuni inconvenienti (deposito sugli iniettori, usura delle parti metal-
liche, gelificazione degli oli nei carter, produzione di elevata fumosi-
tà, aumento del consumo nel tempo), che tuttavia possono essere ri-
solti con una messa a punto specifica del motore e un impianto di
alimentazione opportunamente modificato.
L’elevata viscosità dell’olio vegetale rappresenta infatti uno dei pro-
blemi più significativi in merito all’impiego degli SVO (Straight
Vegetable Oil62), poiché può essere causa di una combustione incom-
pleta dovuta all’incapacità degli iniettori ad atomizzare l’olio grezzo.
Le prestazioni del motore non sono pertanto costanti e nel lungo pe-
riodo i componenti più utilizzati, quali gli iniettori, le valvole e le
fasce elastiche, possono essere deteriorati. Si formano normalmente
depositi di carbone nella camera di combustione e l’olio lubrificante
si contamina facilmente.
L’olio vegetale grezzo può dunque essere utilizzato nei motori sia puro
che in miscela con gasolio, ma obbliga ad eseguire alcune modifiche
meccaniche e tecniche a causa della sua elevata viscosità. Esistono al-
cuni motori concepiti per funzionare a olio, ma sono di difficile reperi-
mento sul mercato, quindi allo stato attuale è conveniente:
62 La definizione “olio vegetale non modificato o SVO” (Straight Vegetable Oil), a volte anche citato come olio
vegetale puro PPO (Pure Plant Oil) è, secondo quanto indicato nelle direttive della Commissione Europea,
il termine usato per definire “olio vegetale puro dalle piante oleifere”. Si tratta in effetti di olio vegetale
invariato come l’olio del seme di ravizzone, l’olio di semi della senape, l’olio del seme di girasole, ecc.
132
● utilizzare l’iniezione indiretta e iniettori autopulenti;
● prevedere un sistema di pre-riscaldamento del combustibile per
non ostruire i filtri (attorno ai 60°C);
● favorire l’accensione del motore con gasolio in ambienti freddi;
Aspetti ambientali
63 Montibeller, 2005; Verani, Sperandio, 2005; Spinelli, Nati, Magagnotti, 2003; Pedrolli, 2001; Vettraino, Carlino,
Rosati, 2005; Socris, 2003.
135
Per quanto attiene alla fase di cantiere, sono state trattate distintamente le
filiere produttive relativamente alle diverse fonti di approvvigionamento
in quanto, anche in questo caso, i costi possono variare sensibilmente.
FILIERA Abbattimento e
Esbosco Totale
PRODUTTIVA allestimento
Raccolta e
FILIERA PRODUTTIVA
condizionamento
€/t
Trinciatura stoppie 4-5
Imballatura e carico di rotoballe 10-13,5
Imballatura e carico di balle parallelepipede grandi 4-5
Cippatura (residui di potatura) 6-11
136
Non essendo attualmente sviluppata la preparazione di pellet a par-
tire dai residui colturali non si dispongono di costi relativi a questa
fase.
Tabella 28 - Costo di produzione di alcune colture erbacee annuali nel Nord Italia64
Costo totale Resa Costo a
(€/ha) (t/ha) tonnellata (€/t)
Semi di colza 437 2,4 175
Semi di girasole 377 3,1 122
Radici di barbabietola da zucchero 8387 50,4 17
Granella di frumento tenero 593 4,5 132
Granella di mais 328 10 33
64 INEA, 2004.
137
Tabella 29 - Costo di produzione di alcune colture poliennali (€/ha per anno) considerando un
ciclo decennale65
Canna
Miscanto SRF Pioppo
comune
Tabella 30 - Costo di produzione del pellet in funzione della tipologia di materia prima
Residui legnosi
Acquisto differenti Acquisto
autoprodotti
Tipologia di biomassa tipologie di segatura
(segatura secca
biomassa asciutta
e trucioli)
Frantumazione
Operazioni preliminari necessarie Frantumazione -
Essiccazione
68 Grassi, 2004.
69 Sorlini, Zoni, 2001.
140
esclusivamente energetica in considerazione degli incentivi previsti
dalla PAC nell’ambito del set aside no-food, fino a valori prossimi a 200
€/1.000 litri70.
I costi relativi alla conversione industriale sono stimati in 218 €/1.000
litri di bioetanolo prodotti, con un’incidenza della materia prima
prossima al 50% dell’importo complessivo71 (tabella 31).
Costi
€/1.000 litri
75“Statewide Feasibility Study for a Potential New York State Biodiesel Industry”, Final report of “Renewable
& Indigenous Energy R&D Program” (RFP 734-02).
143
La taglia d’impianto incide sul costo di produzione del biodiesel gra-
zie alla possibilità di godere di alcune economie di scala al crescere
della potenzialità produttiva dell’impianto. Per taglie d’impianto più
piccole (11.500.000 litri/anno), per le diverse filiere produttive, il co-
sto in media può crescere fino a 0,03 €/litri.
La produzione di biodiesel dalle colture dedicate di colza e girasole è
influenzata dal costo per il reperimento della materia prima; esso in-
cide per percentuali variabili tra il 50 e l’80%76 sul costo totale. In li-
nea generale il costo di produzione a partire dal girasole è di poco
inferiore a quello ottenuto impiegando quale materia prima la soia.
76“Statewide Feasibility Study for a Potential New York State Biodiesel Industry”, Final report of “Renewable
& Indigenous Energy R&D Program” (RFP 734-02),
144
burante su mercati esteri dove già attualmente viene venduto sebbe-
ne non siano possibili immediati confronti con il prezzo delle fonti
energetiche nazionali a causa principalmente della diversa struttura
del sistema delle imposte. Sul mercato tedesco, il biodiesel in miscela
con il gasolio è venduto, alla pompa, a un prezzo di 0,740 €/l (prez-
zo aggiornato ad ottobre 2005).
Tabella 35 - Prezzi medi di mercato per unità energetica resa dei principali combustibili
Prezzo
Prezzo medio
udm p.c.i. medio
di mercato77
unitario
Carburanti
Combustibili da biomasse
77I prezzi di riferimento per i prodotti petroliferi sono quelli diffusi dal Ministero delle Attività Produttive e
sono calcolati alla data del 17 ottobre 2005.
145
3.3 Valutazione economica degli impianti energetici
alimentati a biomassa
Tabella 36 - Principali risultati economici stimati per una caldaia alimentata a cippato con una
potenza nominale di 300 kW
22 Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra, 2002.
153
Capitolo 4
Aspetti ambientali
Il bioetanolo
Tabella 39 - Variazioni percentuali di alcune emissioni inquinanti nell’uso del bioetanolo o del-
l’ETBE rispetto alla benzina
Il biodiesel
Riduzione
Inquinante Biodiesel al 100% Biodiesel al 20%
Monossido di carbonio - 42,3% - 12,6%
Particolato - 55,4% - 18,0%
Idrocarburi incombusti - 56,3% - 11,0%
Il biogas
Tabella 41 - Confronto tra le principali emissioni del biogas rispetto ai principali combustibili fossili
SO2 NOx Polveri
[kg/TJ] [kg/TJ] [kg/TJ]
Oli minerali 140 90 20
Gas 3 90 2
Carbone minerale 300 150 20
Biogas 3 50 3
83 www.cti2000.it/biodiesel.htlm
84 US Department of Energy (DOE) - National Renewable Energy Laboratory.
162
4.2 Altri benefici ambientali
85 Se si confronta con un refluo di tipo urbano, un liquame zootecnico genera un refluo molto più concen-
trato; un liquame suinicolo ad esempio produce un inquinamento pari a circa 3 abitanti equivalenti.
164
Tabella 42 - Rapporto tra energia resa ed energia risparmiata nella filiera delle biomasse ener-
getiche
Biomassa legnosa
Tronchetti 8-8,7
Residui agricoli
Legnose 7-9,5
Legnose 3-5
Biocarburanti
Biogas 2-3
165
Capitolo 5
Esempi applicativi di utilizzo delle
biomasse a fini energetici
Descrizione edificio: Edificio risalente agli anni ’70, su due livelli fuori
terra, con tetto piano, vetrate a nastro, pareti in
pannelli prefabbricati in calcestruzzo, tetto piano
I fabbisogni termici dell’edificio sono stati stimati sulla base dei con-
sumi medi annui registrati negli ultimi anni antecedenti l’intervento:
la centrale termica a gasolio negli ultimi tre anni ha registrato consu-
mi medi di gasolio compresi tra 30.000 e 40.000 litri anno, con un
orario di funzionamento di 10 ore al giorno, con punte di 12 ore.
Sulla base del fabbisogno termico stimato la potenza media prelevata
dalla centrale termica è risultata di poco inferiore ai 200 kW mentre
la potenza massima alle condizioni di progetto è stata calcolata in 320
kW, con funzionamento intermittente. Per tale motivo è stato scelto
un generatore di calore di potenza resa nominale da 300 kW, con pos-
sibilità di modulazione della potenza da 80 a 300 kW.
L’eventuale modesto deficit di potenza massima rispetto ai valori
calcolati è gestito eliminando l’intermittenza nei periodi più freddi e
168
mantenendo un bruciatore a gasolio anche con funzioni di sicurezza.
Per limitare ulteriormente i pendolamenti di funzionamento (proble-
mi dovuti allo spegnimento e alla riaccensione del combustibile, mes-
sa a regime della combustione, ecc.), è stato inserito un volano termi-
co costituito da un serbatoio d’accumulo da 3.000 litri che consente di
assorbire il calore prodotto in circa 15 minuti di funzionamento alla
potenza minima.
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178
L’analisi economica di questo tipo di impianto ha suddiviso i costi in
quattro tipologie:
● costi del capitale, basati su costi di investimento aggiuntivi che
considerano solo la spesa maggiore per il sistema cogenerativo
confrontata con un sistema tradizionale di combustione della bio-
massa con caldaia ad acqua calda e la stessa produzione di ener-
gia termica;
● costi di gestione, relativi al costo del personale e ai costi di manu-
tenzione;
● costi imputabili al consumo di combustibile, agli ausiliari, ecc.;
183
5.5.1 Sezioni operative dell’impianto
Digestione anaerobica
HRT 40 giorni
Coibentazione perimetrale
Miscelatore 1 x 10 kW
Compostaggio
Lunghezza tunnel 25 m
Copertura film plastico
Larghezza andana 2m
Altezza andana 1,2 m
Rivoltamenti 2 volte/settimana
Macchina rivoltatrice 15 kW
185
Cogenerazione
Tecnica colturale
Il kenaf è una coltura che si semina in primavera inoltrata ed è rac-
colta a fine autunno o a fine inverno; ne consegue che nell’avvicenda-
mento colturale potrà seguire tanto un cereale autunno-vernino
188
quanto una coltura primaverile estiva quale mais, soia e bietola. Da
evitare, in precessione o in successione, specie suscettibili od ospiti
del nematode galligeno Meloidogine spp.
La lavorazione principale del terreno, e i successivi lavori di prepara-
zione del letto di semina, non differiscono da quelli normalmente
praticati per altre colture da rinnovo seminate nella primavera avan-
zata quali, ad esempio, mais e sorgo.
La scelta dell’epoca di semina varia in funzione della zona di produ-
zione: negli areali settentrionali la semina non va anticipata oltre la
prima decade di maggio. La semina può essere effettuata con semina-
trici da frumento o, preferibilmente, con quelle di pneumatiche di
precisione, con una densità variabile da 20 a 40 piante/m2. La conci-
mazione azotata sembra non influenzare la produttività della pianta.
La coltura del kenaf è generalmente effettuata in asciutto, nelle zone
dove la piovosità naturale è in grado di soddisfare le sue esigenze
idriche.
Per quanto riguarda il diserbo, il kenaf è soggetto a competizione con
le malerbe solo nelle fasi giovanili. In seguito l’ombreggiamento che
riesce ad esercitare risulta efficace nel contenere la maggior parte
delle infestanti a nascita tardiva.
Epoca e modalità di raccolta sono strettamente legate alla destinazio-
ne del prodotto e alle caratteristiche richieste dall’utilizzatore. Nel
caso la coltura sia destinata alla produzione di energia, l’epoca di
raccolta deve essere, compatibilmente con le condizioni ambientali, la
più tardiva possibile per consentire un più elevato livello di produ-
zione di sostanza secca. La raccolta può essere effettuata mediante
una falcia-condizionatrice e successiva rotoimballatura, o mediante
una falcia-trincia-caricatrice a fine inverno, con una umidità inferiore
al 20%.
I livelli produttivi sono estremamente variabili e si va da 7 a 20 t/ha/
anno di sostanza secca.
Il sorgo da fibra appare una coltura di estremo interesse, sia per fini
energetici che cartari, viste le elevate rese che può raggiungere nel
nostro ambiente e per la relativamente semplice tecnica colturale.
Appartenente alla specie Sorghum bicolor (famiglia delle Poaceae), co-
me quello da granella, da zucchero e da scope, il sorgo si adatta alla
coltivazione in zone temperate come coltura a ciclo primaverile-esti-
vo. Nelle varietà da fibra la parte esterna del culmo è fibrosa, mentre
189
la parte centrale appare spugnosa. Dal punto di vista morfologico, tra
sorgo da fibra e sorgo zuccherino non si rilevano differenze sostan-
ziali, tanto che spesso la linea di demarcazione tra l’uno e l’altro è
piuttosto incerta. La composizione analitica della pianta, invece, di-
verge notevolmente tanto da giustificarne il differente impiego, infat-
ti i due tipi estremi mostrano una diversa destinazione del carbonio
organicato durante la fotosintesi: nel tipo da fibra prevale la produ-
zione di carboidrati strutturali, in particolare di cellulosa; nel tipo da
zucchero, invece, almeno il 30% di tutta la sostanza secca accumulata
è costituito da zuccheri semplici (saccarosio, glucosio e fruttosio).
Il sorgo è originario dell’Africa centro-orientale (Sudan, Etiopia) e
attualmente molto diffuso in Africa e negli USA. Poco diffusa in
Europa, la sua coltivazione in Italia è limitata alle Marche, Emilia
Romagna, Toscana e Molise.
Tecnica colturale
La semina del sorgo si effettua da fine aprile a maggio con una semi-
natrice di precisione e con una temperatura del terreno di almeno
15°C. Le densità di investimento ottimali variano tra le 20 e le 30
piante/m2 con una interfila di 45 cm.
Riguardo la scelta varietale i materiali più adatti alla produzione di
fibra ligneo-cellulosica sono ibridi. Da prove sperimentali si rileva
una certa variabilità nella resa in biomassa, compresa mediamente
tra le 15 e oltre le 40 t/ha di sostanza secca. Tra gli ibridi che hanno
fornito le migliori performances vanno citati, oltre all’ABF 20 pro-
dotto da A.Biotec, con una produzione superiore a 40 t/ha di so-
stanza secca, H 173, H 132, H 252, della Protosemences (Francia) e
Abetone della Mycogens (USA). Queste varietà associano alla alta
resa in biomassa un contenuto in sostanza secca alla raccolta di cir-
ca il 30% e una buona resistenza all’allettamento. Nel nostro areale
di coltivazione si prediligono ibridi a ciclo medio-tardivo (periodo
emergenza-fioritura superiore a 90 giorni) capaci di sfruttare tutto il
periodo di vegetazione a loro disposizione e fornire la massima resa
con la presenza della minore quantità di granella al momento della
raccolta.
La raccolta può essere effettuata 10-20 giorni prima della fase di fio-
ritura quando risulta massimo l’accumulo di sostanza secca e cellulo-
sa nel culmo e va eseguita prima delle piogge autunnali al fine di
evitare un innalzamento dell’umidità del prodotto e un precoce dete-
rioramento della qualità della biomassa.
La tecnica di raccolta può essere mediante una rotoimballatura, pre-
via asciugatura a terra della biomassa, o mediante falcia-trincia-cari-
catrice; in tal caso la biomassa presenterà elevati contenuti di umidità
e, non risultando conservabile, andrà utilizzata immediatamente.
191
Canna comune (Arundo donax L.)
Esigenze pedoclimatiche
La canna comune è sensibile alle basse temperature. Queste possono
compromettere anche la vitalità dei rizomi quando sono posti a poca
192
profondità. Non è una pianta acquatica e teme il ristagno idrico.
Relativamente ai terreni, è ampiamente adattabile, preferisce quelli
profondi, sabbiosi, ricchi di sostanza organica con una reazione alca-
lina e ricchi di calcio. Non sono adatti quelli argillosi, superficiali,
impermeabili.
Tecnica colturale
Nel caso in cui il materiale di propagazione sia rappresentato da rizo-
mi, l’impianto è da effettuare tra febbraio e marzo, epoca nella quale le
gemme risultano ancora dormienti e le temperature minime giornalie-
re sono di norma di qualche grado sopra 0°C. Le talee, invece, devono
essere messe a dimora più tardi, cioè al rigonfiamento delle gemme.
In un impianto con rizomi la densità di impianto ottimale è attorno ai
15.000 rizomi/ha, anche per l’elevato costo unitario dei rizomi che non
rende conveniente una densità superiore di impianto. I rizomi vengono
piantati in file, con una distanza di 1,5 m tra le file e 0,5 m sulla fila.
Diverse sperimentazioni su canna comune hanno messo in luce le
potenzialità di questa coltura. Le rese produttive mostrano che a par-
tire dal secondo anno si possono ottenere rese superiori alle 40 t/ha
di sostanza secca. L’effetto dell’apporto idrico risulta apprezzabile
solo in presenza di una falda freatica molto profonda.
La propagazione e l’impianto rappresentano due aspetti della tecnica
agronomica non ancora risolti e che di certo influenzano notevolmen-
te l’economicità della coltura. Sono in corso studi rivolti all’indivi-
duazione di soluzioni adeguate per la raccolta dei rizomi.
La raccolta della biomassa avviene in autunno o in inverno mediante
una macchina falcia-trincia-caricatrice. Nel caso di una raccolta inver-
nale si ha una lieve perdita di sostanza secca, vista la perdita dell’ap-
parato fogliare, potendo contare però su di un contenuto di umidità
inferiore (circa 40%).
Esigenze pedoclimatiche
Il miscanto si è ben adattato ai climi temperati e risulta essere resisten-
te alle basse temperature; i germogli e le foglie possono risultare dan-
neggiati a temperature prossime a 0°C, mentre i rizomi, se ben svilup-
pati, possono rimanere vitali a temperature inferiori a 0°C, anche per
un lungo periodo. Relativamente ai terreni, è ampiamente adattabile,
preferisce quelli profondi, sabbiosi, ricchi di sostanza organica. Il mi-
scanto si avvantaggia notevolmente dell’apporto idrico e quindi estrin-
seca appieno le proprie potenzialità produttive in comprensori irrigui.
Tecnica colturale
L’interesse per questa specie è recente e di conseguenza sono molto
scarsi gli studi relativi alla variabilità genetica sia per i caratteri mor-
fologici che produttivi. Attualmente il genotipo più utilizzato in tutte
le prove sperimentali, non solo in Italia, è il Giganteus. Quest’ultimo
deriva dall’incrocio interspecifico tra un M. sinensis e un M. sacchari-
florus. Le diverse sperimentazioni pluriennali effettuate con tale ge-
194
notipo indicano che le rese medie nel periodo di massimo accumulo
di sostanza secca sono pari a circa 30 t/ha/anno a partire dall’anno
successivo a quello di impianto.
La varietà attualmente più diffusa, la Giganteus, essendo sterile, deve
essere propagata per via vegetativa, utilizzando rizomi o piantine micro-
propagate. A tal riguardo, per effettuare il passaggio alla fase di coltura
estensiva occorre in primo luogo mettere a punto le due diverse tecniche
di propagazione; la scelta, poi, dell’una o dell’altra tecnica deve essere
effettuata sulla base di una attenta valutazione dei costi di produzione
del materiale. La moltiplicazione per rizomi si può realizzare mediante
estirpazione meccanica su piante madri di un anno: esiste la possibilità
di frammentare le ceppaie in rizomi di dimensioni accettabili mediante
una zappatrice rotativa e di poter utilizzare le macchine in commercio,
opportunamente modificate, per la raccolta dei rizomi da terra.
L’epoca di impianto del miscanto è marzo-aprile, con sesti di impian-
to di 0,5 x 0,5 metri, con un investimento di 4 piante per metro qua-
drato. L’irrigazione è indispensabile nell’anno di impianto. Apporti
crescenti di concime azotato non determinano rilevanti incrementi di
biomassa, vista la presenza di un apparato radicale avventizio ben
sviluppato che permette alla coltura di mobilizzare i nutrienti dagli
strati più profondi del suolo.
L’epoca di raccolta ottimale è nel periodo invernale (gennaio, febbraio
e marzo a seconda dell’andamento stagionale), nonostante si verifichi
un calo produttivo dovuto alla perdita di foglie e infiorescenze. Il ta-
glio effettuato in questo periodo offre diversi vantaggi: un ampliamen-
to dell’epoca di raccolta, un migliore utilizzo delle macchine operatrici,
una più precoce ripresa vegetativa della coltura e soprattutto la possi-
bilità di raccogliere un materiale a basso contenuto di umidità. Infatti,
nel corso dell’inverno si verifica una progressiva diminuzione del-
l’umidità della biomassa, fino al 20-30%. Nel caso del miscanto, effet-
tuando la raccolta a marzo, si esclude la necessità di una ulteriore es-
siccazione e ciò consente lo stoccaggio per lunghi periodi.
Esigenze pedoclimatiche
Il panico è una coltura poco esigente, si adattata a resistere in condizioni
di stress idrico e a lunghi periodi di freddo intenso. Riguardo le caratte-
ristiche del terreno, il panico in genere predilige suoli umidi e limosi.
Tecnica colturale
La lavorazione principale del terreno e i successivi lavori di prepara-
zione non differiscono da quelli normalmente praticati per altre col-
ture da rinnovo seminate nella primavera avanzata, quali, ad esem-
pio, mais e sorgo.
L’epoca di semina varia da maggio a metà luglio, con una densità va-
riabile da 200 a 400 piante per metro quadrato. La scelta di una così
elevata densità di semina non va a influenzare la produzione finale di
sostanza secca, ma migliora la densità delle piante e quindi la copertu-
ra del terreno. Il panico richiede una preparazione del letto di semina
ottimale al fine di ottenere una buona emergenza delle piante. Il primo
anno di coltura è necessario il controllo delle malerbe.
La concimazione azotata sembrerebbe non influenzare la produttività
della pianta, altro fattore che mette in evidenza la moderata necessità
di input di questa coltura.
È possibile trovare varietà provenienti dall’America che si adattano alle
condizioni climatiche dei nostri areali. Risulta estremamente importante
la latitudine di origine della varietà al fine di determinare l’adattamento
della coltura: in genere varietà originatesi a basse latitudini possono ave-
re una maggior produzione in sostanza secca, ma possono anche au-
mentare l’eventualità di mancato attecchimento il primo anno e di mo-
strare un calo della produzione negli anni successivi.
196
Il primo anno di coltura sono attesi livelli di produzione in sostanza
secca da 6 a 12 t/ha, mentre negli anni successivi si passa da 14 a 24
t/ha di sostanza secca.
Esigenze pedoclimatiche
I pioppi sono entità eliofile e igrofile, necessitano di una temperatura
media annua compresa tra gli 8,5°C e i 17°C e precipitazioni annue di
almeno 700 mm; temono le siccità estive prolungate e vegetano bene
su terreni non troppo tenaci e con un pH compreso tra 5,5 e 7,5, men-
tre rifuggono da quelli troppo pesanti o sciolti.
Figura 51 - Pioppo in Short Rotation Forestry
197
Tecnica colturale
Nella Short Rotation Forestry (SRF) si utilizzano ibridi di pioppo selezio-
nati per sopportare le elevate densità di impianto e per ottenere accre-
scimenti particolarmente rapidi. La raccolta, che può essere annuale,
biennale, o quadriennale, è completamente meccanizzata, e non preve-
de la rimozione dell’apparato radicale. Nel caso di raccolta biennale,
sono previsti 4-5 raccolti per una durata complessiva dell’impianto di
8-10 anni. Alla fine del ciclo l’eliminazione della ceppaia non presenta
particolare laboriosità essendo sufficiente un passaggio con una parti-
colare fresa sul terreno; non c’è quindi la necessità di scalzare la cep-
paia, con i conseguenti costi onerosi. Le piantagioni hanno una densità
che varia dalle 6.000 alle 14.000 piante/ha. Il materiale può essere di-
sposto in campo su file semplici o su file binate.
I lavori di impianto, così come tutte le altre operazioni, sono comple-
tamente meccanizzati. Vengono messe a dimora talee legnose di circa
22 cm di lunghezza che, in seguito ad opportune cure colturali, nel-
l’arco di una/due stagioni vegetative danno origine a piante pronte
per la trinciatura.
Nel caso di trinciatura annuale si vanno a raccogliere piante alte 4
metri, mentre nel caso di trinciatura biennale le piante hanno rag-
giunto altezze nell’ordine di 7-8 metri. La raccolta si esegue durante
il periodo di riposo vegetativo, da novembre ad aprile. È importante
che le operazioni di raccolta siano eseguite con un terreno in buone
condizioni onde evitare che le macchine operatrici danneggino l’ap-
parato radicale delle piante, compromettendo la futura produzione. I
polloni hanno uno sviluppo molto vigoroso grazie ai robusti appara-
ti radicali delle ceppaie e sono in grado di raggiungere in una sola
stagione vegetativa, in condizioni ottimali, l’altezza di 6-7 metri.
La preparazione del letto di impianto prevede un’aratura a 30 cm e,
nel caso non si abbiano impianti con telo pacciamante biodegradabi-
le, si necessita di un trattamento diserbante antigerminativo in pre-
emergenza. Durante il ciclo vegetativo sono necessari degli interventi
di pulizia dell’interfila mediante erpicatura. Nella concimazione gli
apporti vanno calcolati in base alle asportazioni relative alla raccolta
utile del prodotto e al tipo di terreno.
Diverse sono le problematiche con questi impianti a ciclo breve: si ricorda
che si necessita di cloni che resistano a sesti di impianto fitti, e che presen-
tino resistenza a diversi patogeni fungini e non (Venturia sp., Melamspora
sp., Marssonina sp., necrosi corticale, macchie brune, virus del mosaico).
Importanti risultano anche i trattamenti contro gli insetti dannosi e un
accurato controllo delle infestanti il primo anno di coltura.
198
Diversi sono i cloni disponibili sul mercato al giorno d’oggi, specifi-
catamente selezionati per la loro adattabilità alle diverse condizioni
pedoclimatiche. In generale si tratta di cloni che presentano una spic-
cata dominanza apicale, una elevata tolleranza alle avversità e un
periodo vegetativo che si aggira attorno ai 165 giorni.
La raccolta si effettua a 2-4 anni dall’impianto, quando il diametro al
colletto è al massimo di 10 cm. Si interviene durante il riposo vegeta-
tivo, con due modalità di raccolta: una eseguita con macchine falcia-
trincia-caricatrici che permette l’ottenimento di un prodotto cippato
con alto contenuto in umidità (50-55%) e pertanto facilmente deterio-
rabile; la seconda prevede la raccolta di piante intere con la formazio-
ne di cataste a bordo campo consentendo l’essiccazione naturale al-
l’aria del materiale. La produzione in sostanza secca annualmente si
aggira sulle 10-12 t/ha.
Esigenze pedoclimatiche
È una specie rustica, caratterizzata da una notevole adattabilità pedo-
climatica, nei nostri climi può vegetare dal livello del mare fino ad
oltre 1.000 m di quota. Predilige suoli liberi da calcare, sciolti e ben
drenati, ma si adatta anche a quelli compatti. Nelle prime fasi di svi-
luppo può tollerare un certo grado di ombreggiamento, in seguito
diviene spiccatamente eliofila.
Tecnica colturale
L’impianto prevede l’utilizzo di semenzali di un anno a radice nuda.
La messa a dimora viene effettuata con le comuni trapiantatrici fore-
199
stali o per l’orticoltura. In questo ultimo caso, il materiale deve essere
sottoposto a potatura allo scopo di ridurre a 10 cm l’apparato epigeo
e quello ipogeo. Nelle Short Rotation Forestry (SRF), la densità è di
10.000-15.000 piante per ettaro. Il materiale può essere disposto in
campo su file semplici o su file binate. La specie non necessita di
concimazioni azotate, avvantaggiandosi della fissazione simbiotica
dell’azoto atmosferico ad opera di batteri del genere Rhizobium.
Fosforo e potassio vengono invece somministrati durante i lavori
preparatori del terreno. La lotta alle malerbe si effettua con diserbo
chimico al momento della preparazione del terreno; in seguito, dopo
la messa a dimora delle talee, si interviene con prodotti residuali con
azione antigerminello; nell’interfila vanno eseguite delle sarchiature.
L’irrigazione della coltura non è economicamente proponibile, sono
previsti interventi di soccorso nelle primavere particolarmente sicci-
tose per favorire l’attecchimento delle talee e dei semenzali.
La raccolta va effettuata a 2-4 anni dall’impianto, quando il diametro
al colletto è al massimo di 10 cm. Si interviene durante il riposo vege-
tativo, con due modalità di raccolta: una eseguita con macchine “fal-
cia-trincia-caricatrici” che permette l’ottenimento di un prodotto cip-
pato con alto contenuto in umidità (50-55%) e pertanto facilmente
deteriorabile; la seconda prevede la raccolta di piante intere con la
formazione di cataste a bordo campo consentendo l’essiccazione na-
turale all’aria del materiale (combustibile più asciutto). Nel caso della
robinia, al termine del ciclo produttivo, quando si effettua la tritura-
zione delle ceppaie, occorre prevedere anche un trattamento con un
disseccante per eliminare il ricaccio dei polloni. La produzione in
sostanza secca si aggira sulle 5 t/ha.
Tecnica colturale
Nonostante il suo apparato radicale abbia struttura fittonante, il gira-
sole non possiede forte capacità penetrativa nel terreno, pertanto ne-
cessita di adeguati interventi preparativi, in particolar modo nei ter-
reni più tenaci. Per quanto riguarda le concimazioni si prevede la
distribuzione di 100 unità/N/ha in un’unica distribuzione di coper-
tura al momento della sarchiatura o, in alternativa, dosi lievemente
superiori in pre-semina; per il fosforo si distribuiscono 50 unità/P/ha
localizzate alla semina o, in alternativa, 70 a pieno campo. È possibile
eliminare del tutto la concimazione fosfatica nei terreni ben dotati
(orientativamente al di sopra di 20 ppm di P Olsen); per il potassio
vale il principio di non concimare i terreni a dotazione medio-buona,
intervenendo solo in quelli carenti con una dose di circa 60 unità per
ettaro, più che compensativa delle reali asportazioni.
L’epoca ottimale per la semina varia dalla fine di marzo ad aprile. La
densità è compresa tra 50.000 e 70.000 piante/ha; si possono impiegare
seminatrici da mais o da barbabietola. La distanza tra le file è quindi
normalmente compresa tra i 45 e i 70 cm. La quantità di seme necessa-
ria varia da 5 a 7 kg/ha. Per quanto riguarda la lotta alle malerbe, il
girasole, grazie alla rapidità del suo sviluppo, ha normalmente effetto
soffocante sulle erbe infestanti; va tuttavia protetto nelle fasi iniziali del
ciclo. La lotta viene effettuata con sarchiature, finché l’altezza delle
piante lo permette (40 cm), e/o con trattamenti chimici.
La raccolta viene fatta quando gli acheni, il cui contenuto in acqua è
inferiore al 10%, si staccano facilmente dalla calatide; ciò avviene cir-
ca 15-20 giorni dopo la maturazione completa che si raggiunge quan-
do la calatide e le foglie si presentano secche e gli steli sono di color
bruno. In Italia il girasole viene raccolto dalla metà di agosto (nelle
202
zone più calde) alla metà di settembre, utilizzando le mietitrebbiatrici
da frumento adattate o con testata da mais dotata di spartitore per
ogni fila.
Come è noto il legislatore comunitario ha posto in essere il Regola-
mento (CE) n. 2461/1999 della Commissione, in data 19/11/1999,
recante modalità d’applicazione del regolamento (CE) n. 1251/1999
sull’uso di superfici ritirate dalla produzione per ottenere materie
prime per la fabbricazione di prodotti non destinati al consumo uma-
no o animale.
Sulla scia di quanto previsto dal legislatore comunitario, l’Agea
(Agenzia per le erogazioni in agricoltura) ha ritenuto opportuno
emanare la Circolare 1 marzo 2004, n. 5 (in G.U. n. 58 del 10/03/2004)
che stabilisce per ogni Provincia italiana le rese preventive da appli-
care ai terreni a riposo e destinati alla trasformazione industriale per
uso non alimentare. Le rese sono considerate rappresentative e appli-
cabili alla campagna 2004/2005 per i contratti delle colture che risul-
tano coltivate su terreni ritirati dalla produzione allo scopo di ottene-
re materiali per la fabbricazione nella Comunità di prodotti non de-
stinati al consumo umano o animale.
Vengono qui di seguito riportate le rese preventive del girasole non
food da applicare ai terreni messi a riposo, nella regione Friuli
Venezia Giulia per la campagna 2004/2005 (tabella 51).
Tabella 51 - Rese preventive per zone omogenee per la coltura del girasole (t/ha)
Biologia
Nel clima italiano il ciclo biologico del colza è autunno-primaverile.
Seminato tra la fine di settembre e i primi di ottobre, emerge dal
terreno dopo 10-15 giorni con le due foglie cotiledonari; successiva-
mente emette nuove foglie che formano una rosetta. È proprio que-
sto lo stadio di massima resistenza al freddo (6-8 foglie, fittone di
15-20 cm e colletto del diametro di 6-7 mm): fino a diversi gradi
sotto zero (-15°C), purché non vi siano ristagni d’acqua.
Nel corso dell’inverno, sotto l’azione delle basse temperature (verna-
lizzazione) avviene il viraggio dell’apice, che cessa di formare foglie
per formare gli abbozzi fiorali. È fondamentale dire che le varietà
autunnali non entrano nella fase riproduttiva se non sono state sotto-
poste a un periodo di vernalizzazione che si realizza con la perma-
nenza, per almeno 40 giorni, a temperature inferiori a 10°C.
La levata inizia nella seconda metà di marzo, quando il fusto è lungo
circa 20 cm ed è già visibile l’infiorescenza principale. Nella prima deca-
de di aprile, nonostante la pianta non abbia terminato la crescita vegeta-
tiva, inizia la fioritura; non è raro osservare sulla stessa infiorescenza la
presenza contemporanea di fiori in boccio, fiori in antesi e silique.
Dopo 30-40 giorni dalla fecondazione i semi cominciano a riempirsi
di materiali di riserva: il contenuto di olio raggiunge il massimo va-
lore dopo circa 60 giorni. Il seme giunge a maturazione dopo 80 gior-
ni dalla fioritura. Alla maturità delle silique la pianta si presenta in
gran parte defogliata e con la parte terminale dello stelo e delle rami-
ficazioni secche.
Esigenze pedoclimatiche
Il colza è una pianta microterma e non necessita quindi di temperatu-
re elevate per svilupparsi. Lo zero di vegetazione è a 6-8°C. Questa
coltura teme periodi siccitosi soprattutto durante le fasi di levata e
fioritura. Il colza predilige climi temperati, umidi, non troppo soleg-
205
giati. La pianta, nel complesso, non è particolarmente esigente: predi-
lige terreni profondi, freschi, fertili e leggeri, si adatta a quelli argillo-
si, calcarei e torbosi, purché ben drenati. Tollera sufficientemente la
salinità e il pH del terreno.
Tecnica colturale
Nelle regioni asciutte del Centro-Nord Italia il colza può avvicendar-
si al frumento. Consegue ottimi risultati dopo leguminose pratensi o
da granella mentre non risulta conveniente la successione a se stesso,
soprattutto quando si verificano attacchi di Phoma lingam, agente fun-
gino responsabile del cancro del fusto delle Brassicaceae.
Particolare attenzione deve essere riservata alla preparazione del let-
to di semina, in quanto i semi sono di dimensioni ridotte. Normalmente
viene eseguita un’aratura di media profondità (25-30 cm). Nel caso in
cui il terreno si presentasse troppo soffice al momento della semina è
necessaria una rullatura.
Il colza ha fabbisogni nutritivi abbastanza contenuti. Alla fine del ciclo
la coltura contribuisce ad arricchire il terreno di sostanza organica e di
elementi nutritivi con l’abbondante massa dei suoi residui colturali. Si
sottolinea anche che, compiendo buona parte del suo ciclo nei mesi
freddi e piovosi, esplora attivamente il terreno, intercettando e assor-
bendo nitrati, contribuendo così a limitare il rischi di lisciviaggio.
Le concimazioni consigliate sono di 80-120 unità N/ha in un’unica
distribuzione alla ripresa vegetativa di fine inverno; di 50 unità P/ha
in pre-semina a pieno campo, o localizzate; è possibile eliminare del
tutto la concimazione fosfatica nei terreni ben dotati (P Olsen oltre 20
ppm). Normalmente non necessita di concimazione con potassio.
Il colza presenta un seme di dimensioni minute che richiede un letto
di semina ben preparato in quanto la profondità di deposizione deve
essere necessariamente minima. Il periodo per la semina varia in fun-
zione dell’ambiente di coltivazione. In linea generale si opera in mo-
do da far raggiungere alla pianta lo stadio di rosetta al sopraggiunge-
re dei primi freddi. Per quanto riguarda le coltivazioni italiane, la
data consigliabile è compresa tra la metà di settembre e quella di ot-
tobre. La semina viene effettuata a file continue, distanti 15-20 cm,
con 10-12 kg/ha di seme, alla profondità di 2-3 cm, adottando una
seminatrice da grano. Con l’impiego di seminatrici pneumatiche di
precisione si può ridurre la quantità di seme a 5-8 kg/ha e adottare
una distanza tra le file fino a 45 cm e 2-2,5 cm sulla fila, in maniera
da consentire la sarchiatura meccanica, particolarmente efficace per il
controllo di infestanti (soprattutto crucifere). Molto importante è assi-
206
curare una densità ottimale alla raccolta intorno alle 40 piante/m2,
tenendo presente che densità elevate predispongono le piante all’al-
lettamento e le rendono più soggette a danni da freddo.
La raccolta viene effettuata quando l’umidità del seme è inferiore al
14%, in tali condizioni le piante sono secche e i semi sono neri. La
data è compresa, al Nord Italia, tra la seconda e la terza decade di
giugno. Si impiegano mietitrebbie con testata per frumento opportu-
namente regolate.
Le attuali produzioni medie sono dell’ordine di 2,6 t/ha, con punte
di oltre 3 t/ha nel Nord Italia. Queste ultime, quindi, sono da ritene-
re un obiettivo fattibile per le superfici a set-aside. A questo proposito
si sottolinea che le rese medie nel Centro-Europa (Francia-Germania)
variano dalle 3 alle 4 t/ha a seconda del clima.
Anche per il colza si riporta la Circolare 1 marzo 2004, n. 5 (in G.U. n.
58 del 10/03/2004) dell’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltu-
ra) riguardante le rese preventive da applicare ai terreni a riposo e
destinati alla trasformazione industriale per uso non alimentare. Le
rese, qui riferite quelle riguardanti la regione Friuli Venezia Giulia
(tabella 52), sono considerate rappresentative e applicabili alla cam-
pagna 2004/2005 per i contratti delle colture che risultano coltivate
su terreni ritirati dalla produzione allo scopo di ottenere materiali per
la fabbricazione nella Comunità di prodotti non destinati al consumo
umano o animale.
Tabella 52 - Rese preventive per zone omogenee per la coltura del colza (t/ha)
Esigenze pedoclimatiche
La coltivazione della barbabietola si avvantaggia particolarmente di
terreni profondi e permeabili, capaci di trattenere elevate quantità
d’acqua, ma ben drenati. La tessitura del terreno influenza il risultato
nelle sue componenti produttive e qualitative, in quanto nei terreni
limoso-sabbiosi si conseguono tenori zuccherini contenuti, ma eleva-
te rese, mentre nei terreni argillosi si verifica un andamento opposto.
Buona tolleranza ai terreni salini.
Riguardo le esigenze climatiche, la temperatura minima di germina-
zione ed emergenza è di 6°C; temperature comprese tra i 10°C e i
20°C e alta intensità luminosa favoriscono l’accumulo dello zucchero
nel fittone.
Tecnica colturale
La preparazione del terreno per la barbabietola viene fatta seguendo
le normali pratiche agricole e in funzione della tipologia di terreno: è
208
da ricordare che il fittone deve poter penetrare in profondità senza
trovare strati che ne limitino lo sviluppo e che la coltura è sensibile ai
ristagni idrici. Si procede quindi a una lavorazione superficiale, unita
a una rippatura, specie in terreni argillosi, al fine di garantire un pro-
filo omogeneo e con buona riserva d’acqua.
La scelta relativa all’epoca di semina è correlata alla natura dei terre-
ni, infatti, nei terreni freddi che presentano inizialmente uno svilup-
po rallentato della vegetazione, risulta opportuno posticipare le semi-
ne alla prima decade di marzo. Negli altri terreni le semine procedo-
no dalla seconda metà di febbraio. La profondità ottimale di semina
è correlata all’epoca di semina: nelle semine più precoci si hanno pro-
fondità pari a 2-3 cm, in quelle tardive 3-4 cm. Gli investimenti hanno
l’obbiettivo finale di 10-12 piante/m2, con una distanza tra le file di
45 cm. L’avvicendamento è essenziale per la barbabietola, infatti, vi-
sto l’elevato numero di parassiti (cercospora e nematodi), la coltura
deve tornare sullo stesso terreno ogni quattro anni e nella rotazione
non si possono prevedere colture come colza o altre crocifere in quan-
to ospiti di nematodi.
Per quanto riguarda la concimazione, la barbabietola necessità di
60-100 unità N/ha distribuite alla semina e ulteriori 40-60 unità N/ha
in copertura se necessario, mentre il fosforo viene distribuito in ma-
niera localizzata alla semina, 70-90 unità P2O5/ha, visto il suo effet-
to starter. In terreni normalmente dotati non si necessita di concima-
zione potassica. In certi areali del Friuli Venezia Giulia si possono
riscontrare carenze di alcuni microelementi, come il boro o il man-
ganese.
La qualità della barbabietola da zucchero è fortemente influenzata
dalle modalità di raccolta delle radici. La tara per terra, le modalità
di scollettatura, le ferite o rotture dei fittoni e la conservazione sono
fattori che influenzano fortemente il prodotto finale. La raccolta si
effettua tra agosto e i primi di settembre, mediante apposite macchi-
ne che provvedono alla scollettatura e defogliazione delle piante,
alla estirpazione e al carico. La produzione in fittoni varia tra le 45
e le 50 t/ha.
Esigenze pedoclimatiche
Il frumento tenero si adatta soprattutto ai terreni ben dotati, di medio
impasto e argillosi, mentre dà produzioni scadenti in suoli sabbiosi,
poveri o a reazione acida. Le varietà a semina invernale coltivate in
Italia sopportano bene i freddi invernali e richiedono a partire dalla
levata, temperature crescenti. In fase di maturazione il frumento si
avvantaggia di un clima caldo e poco piovoso anche se gli eccessi di
temperatura, accompagnati da vento caldo, possono determinare la
formazione di granella striminzita e scarse rese. È una pianta con
medie esigenze idriche, concentrate soprattutto nel periodo tra la le-
vata e le prime fasi di maturazione; teme fortemente, specie nei pe-
riodi freddi, il ristagno di acqua nel terreno a seguito del quale si
verificano sviluppo stentato per asfissia radicale e attacchi parassita-
ri; teme inoltre i forti venti e i temporali primaverili in quanto causa
di allettamento.
Tecnica colturale
La pratica più diffusa per la preparazione del letto di semina prevede
una aratura, più o meno profonda, e successive operazioni di affina-
mento. Negli ultimi anni comunque si stanno mettendo in mostra dei
sistemi alternativi, con lavorazioni semplificate del terreno, che van-
no dalla riduzione della profondità dell’aratura tradizionale alla mi-
nima lavorazione, sino ai casi estremi di non lavorazione del terreno,
tecnica conservativa radicale. Ciò al fine di ridurre i costi colturali e
per risolvere alcuni problemi di tipo ambientale e agronomico.
L’epoca di semina, nel Nord Italia, va da ottobre ai primi di novembre
e vengono utilizzati circa 180 kg di seme/ha. La profondità di semina
va dai 3 ai 5 cm per i terreni umidi o sciolti rispettivamente. Riguardo
alla scelta varietale, oltre alle caratteristiche qualitative, vanno conside-
rate per i loro riflessi sulla qualità e sulla difesa, la fertilità della pianta,
la resistenza all’allettamento e la sensibilità ai parassiti, che vanno cor-
relate all’ambiente in cui si opera. Per quanto riguarda le concimazioni,
come per le altre colture si rende necessaria una stima delle asportazio-
ni della coltura. Si consigliano 50-80 unità N/ha in fase di accestimento
della coltura e 70-90 unità N/ha in fase di levata; per quanto riguarda
fosforo e potassio non si effettuano fertilizzazioni in terreni normal-
mente ben dotati, mentre si possono dare alla semina 70 e 60 unità/ha
di fosforo e potassio, rispettivamente, nei rimanenti terreni.
211
La raccolta si esegue a maturazione piena della granella quando
l’umidità della stessa è inferiore a 13,5%, che è il limite massimo per
una buona conservazione. Il periodo di raccolta va da giugno a lu-
glio. Le produzioni medie di granella sono di 8 t/ha (13% umidità).
Da ricordare che, con il miglioramento genetico, è stato modificato
l’harvest index del frumento tanto che oggi è 1:1, ciò a dire che per 1 t
di granella si ha 1 t di paglia, la quale è un’altra importante fonte di
biomassa.
Esigenze pedoclimatiche
Il mais è una pianta a ciclo estivo e viene seminata in primavera per
utilizzare maggiormente la stagione utile; è sensibile al freddo, spe-
cialmente durante i primi stadi di sviluppo. La temperatura minima
di germinazione è di 10°C, mentre quella ottimale di sviluppo varia
tra i 24-30°C, in funzione dello stadio vegetativo della pianta. Per
quanto riguarda le esigenze pedologiche, ottimi sono i terreni profon-
di con pH tra 6 e 6,5.
Tecnica colturale
Il mais è coltura con esigenze idriche elevate, ha taglia grande e un
apparato radicale che raggiunge 1,5-2 m di profondità. La lavorazio-
ne tradizionale si basa sull’aratura a 25 cm per terreni sciolti e a 30-35
cm in terreni pesanti. Dopo l’aratura occorre affinare il terreno con
operazioni di erpicatura. La tendenza è di arare in autunno in modo
che il terreno in primavera sia già in parte preparato.
L’epoca ottimale di semina si ha quando la temperatura media del
suolo raggiunge almeno i 9-10°C, il che avviene normalmente nel
mese di aprile. L’epoca di semina varia anche in funzione della classe
dell’ibrido utilizzato; generalmente per ogni ibrido viene consigliato
l’investimento ottimale: maggiore per gli ibridi precoci (7-8 piante/
m2) rispetto agli ibridi più tardivi (5-6 piante/m2) e per la produzione
di insilato rispetto alla produzione di granella. La semina del mais
viene fatta con una distanza tra le file di 75 cm.
Il mais è una specie molto esigente che necessita orientativamente
200-250 kg/ha di N, 120 kg/ha di P 2O 5 e di 100 kg/ha di K 2O.
L’azoto viene assorbito quasi esclusivamente in forma nitrica. Spesso
la disponibilità idrica risulta uno dei fattori limitanti, dovendo essere
forniti circa 300-400 m3/ha di acqua mediante irrigazione.
Per la raccolta di mais trinciato (silomais) si utilizza una falcia-trincia-
caricatrice e si effettua nella seconda metà di agosto, a seconda della
classe utilizzata, quando sopraggiunge la maturazione cerosa della
granella. Le piante vengono trinciate intere, con una umidità attorno al
65%. Le produzioni in sostanza secca variano da 22 a 26 t/ha.
La raccolta della granella si effettua allo stato umido con una umidità
compresa tra il 21-28%, in genere 10-15 giorni dopo la maturazione
fisiologica. Una ulteriore riduzione di umidità in campo può portare
213
all’insorgenza di problematiche riguardo la presenza di aflatossine e
altre micotossine. La raccolta si effettua con una trebbiatrice da mais.
La produzione media di granella in Regione nel 2004 è stata di 7,7
t/ha, ma altamente variabile in funzione del terreno e degli input
colturali, sino ad arrivare a produzioni di 14-15 t/ha.
Tabella 53 - Valori informativi per biomassa legnosa vergine, senza o con modesta presenza di
corteccia, foglie e aghi88
Conifere Latifoglie
Unità
Parametro Variazione Variazione
di misura Valore tipico Valore tipico
tipica tipica
Ceneri % w/w d 0,3 0,2-0,5 0,3 0,2-0,5
p.c.i. kcal/kg daf 4.600 4.500-4.700 4.500 4.400-4.600
Carbonio, C % w/w daf 51 47-54 49 48-52
Idrogeno, H % w/w daf 6,3 5,6-7,0 6,2 5,9-6,5
Ossigeno, O % w/w daf 42 40-44 44 41-45
Azoto, N % w/w daf 0,1 < 0,1-0,5 0,1 < 0,1-0,5
Zolfo, S % w/w daf 0,02 < 0,01-0,05 0,02 < 0,01-0,05
Cloro, Cl % w/w daf 0,01 < 0,01-0,03 0,01 < 0,01-0,03
Silicio, Si mg/kg d 150 100-200 150 100-200
88 CTI, 2003.
89 CTI, 2003.
215
Tabella 55 - Valori informativi per biomassa legnosa vergine, residui di potatura90
Conifere Latifoglie
Unità di
Parametro Variazione Variazione
misura Valore tipico Valore tipico
tipica tipica
Ceneri % w/w d 2 1-4 1,5 0,8-3
p.c.i. kcal/kg daf 4.800 4.650-4.800 4.500 4.400-4.550
Carbonio, C % w/w daf 52 50-53 52 50-53
Idrogeno, H % w/w daf 6,1 5,9-6,3 6,1 5,9-6,3
Ossigeno, O % w/w daf 41 40-44 41 40-44
Azoto, N % w/w daf 0,5 0,3-0,8 0,5 0,3-0,8
Zolfo, S % w/w daf 0,04 0,01-0,08 0,04 0,01-0,08
Cloro, Cl % w/w daf 0,01 < 0,01-0,05 0,01 < 0,01-0,02
Silicio, Si mg/kg d 3.000 200-10.000 150 75-250
Tabella 56 - Valori informativi per biomassa legnosa vergine, cedui a turno di rotazione breve91
Salice (Salix) Pioppo
Unità di
Parametro Variazione Variazione
misura Valore tipico Valore tipico
tipica tipica
Ceneri % w/w d 2 1,1-4 0,8-3
p.c.i. kcal/kg daf 4.500 4.400-4.600 4.450-4.550
Carbonio, C % w/w daf 49 47-51 47-51
Idrogeno, H % w/w daf 6,2 5,8-6,7 5,8-6,7
Ossigeno, O % w/w daf 44 40-46 40-46
Azoto, N % w/w daf 0,5 0,2-0,8 0,2-0,8
Zolfo, S % w/w daf 0,05 0,02-0,1 0,02-0,1
Cloro, Cl % w/w daf 0,03 < 0,01-0,05 < 0,01-0,05
Silicio, Si mg/kg d - 2-7.200
Tabella 57 - Valori informativi per residui colturali pagliosi, senza o con modesta presenza di granella92
Paglia di grano, segale, orzo Residui colturali del colza
Unità di
Parametro Variazione Variazione
misura Valore tipico Valore tipico
tipica tipica
Ceneri % w/w d 5 2-10 5 2-10
p.c.i. kcal/kg daf 4.400 4.200-4.650 4.400 4.200-4.650
Carbonio, C % w/w daf 49 46-51 50 47-53
Idrogeno, H % w/w daf 6,3 6,0-6,6 6,3 6,0-6,6
Ossigeno, O % w/w daf 43 40-46 43 40-46
Azoto, N % w/w daf 0,5 0,2-1,6 0,8 0,3-1,6
Zolfo, S % w/w daf 0,1 < 0,05-0,2 0,3 < 0,05-0,8
Cloro, Cl % w/w daf 0,4 < 0,1-1,2 0,5 < 0,1-1,2
Silicio, Si mg/kg d 10.000 1.000-20.000 1.000 100-3.000
90 CTI, 2003.
91 CTI. 2003.
92 CTI, 2003.
216
Tabella 58 - Valori informativi per la scagliola arundinacea (Phalaris arundinacea)93
Raccolta estiva Raccolta ritardata
Unità di
Parametro Variazione Variazione
misura Valore tipico Valore tipico
tipica tipica
Ceneri % w/w d 6,4 2,5-10 5,6 2,0-9,5
p.c.i. kcal/kg daf 4.550 4.450
Carbonio, C % w/w daf 49 49
Idrogeno, H % w/w daf 6,1 5,8
Ossigeno, O % w/w daf 43 44
Azoto, N % w/w daf 1,4 0,9
Zolfo, S % w/w daf 0,2 0,1
Cloro, Cl % w/w daf 0,6 0,1
Silicio, Si mg/kg d 12.000 18.000
93 CTI, 2003.
94 CTI, 2003.
95 CTI, 2003.
217
Tabella 61 - Valori informativi per paglia di girasole e ramaglie da potature di vite96
96 CTI, 2003.
97 Miles et al., 1995.
98 Wilén, Moilanen, Kurkula, 1996.
99 Angelini, Ceccarini, Bonari, 1999.
100 http://edv1.vt.tuwien.ac.at/AG_HOFBA/BIOBIB/Biobib.htm (1997).
218
6.3 Allegato 3: disponibilità di biomasse a fini
energetici nella regione Friuli Venezia Giulia
L’estensione dei pioppeti nella regione Friuli Venezia Giulia può esse-
re valutata pari a 6.300 ha, suddivisa tra i territori della Bassa e quel-
la della Media Pianura Friulana dove la tessitura del suolo e la pro-
fondità della falda freatica garantiscono le condizioni ecologiche mi-
gliori per la pioppicoltura. La quantità di biomasse (sostanza fresca)
derivabili possono essere valutate pari a circa 18.950 t/anno da resi-
dui di potatura e circa 11.300 t/anno da ceppaie, per un totale di
30.250 t/anno, corrispondenti a circa 37.500 m3/anno.
Per quanto concerne la biomassa legnosa derivabile da formazioni linea-
ri e piccoli boschetti, localizzata prevalentemente nelle zone di pianura e
collina, si stima che nel Friuli Venezia Giulia l’estensione dei filari (filari
di alberi e siepi) sia pari a circa 4.619 km, dei boschetti pari a circa 380
ha, mentre delle aree rimboscate pari a 908 ha. La maggior parte di que-
sta biomassa (il 60% del totale) viene già attualmente utilizzata come
fonte di approvvigionamento di legna da ardere, principalmente da par-
te delle aziende agricole. La restante parte viene invece utilizzata a soste-
gno delle attività agricole come paleria. Partendo da queste considera-
zioni, la quantità di biomassa retraibile e utilizzabile a fini energetici
viene stimata pari a circa 30.000 t/anno di sostanza fresca corrisponden-
te a 29.500 m3/anno. Per quanto attiene alle piccole superfici boscate a
ceduo, la produttività può essere stimata di 6.000 m3/anno105 con un
volume medio di circa 115 m3/ha (turno di 25 anni).
Tabella 64 - Stima della disponibilità dei residui del comparto agricolo utilizzabili a fini energetici
Figura 58 - Residui di biomasse agricole detraibili, derivanti da legnose (potature di vite, di olivo
e di fruttiferi) su base comunale
223
6.3.4 Le colture oleaginose dedicate
Tabella 65 - Superfici riservate alle colture oleaginose in Friuli Venezia Giulia (ha) 110
Sulla base delle superfici coltivate a girasole e colza nel 2004, anche
se per utilizzo esclusivamente alimentare, e sui dati produttivi medi
ricavati dai dati congiunturali sulle coltivazioni dell’ISTAT per l’anno
2004, è possibile stimare la produzione potenziale di olio combustibi-
le o biodiesel in regione. Tale stima è riportata nella tabella 66.
109 www.sementi.it
110 www.istat.it: dati congiunturali sulle coltivazioni 2001-2005 Friuli Venezia Giulia.
224
Tabella 66 - Stima della produzione potenziale di olio combustibile o biodiesel in Friuli Venezia
Giulia nell’anno 2004
Stima Stima
Produttività Produzione
Superficie produzione olio produzione
media Totale
(ha) combustibile biodiesel
(t/ha) (t)
(t) (t)
Tabella 67 - Superfici destinate alle principali colture alcoligene in Friuli Venezia Giulia (ha) 111
Frumento tenero
3.020 6.040 4.900 5.100 5.507
(ha)
Barbabietola da
4.456 5.811 1.514 4.732 -
zucchero (ha)
111 www.istat.it: dati congiunturali sulle coltivazioni 2001-2005 Friuli Venezia Giulia.
225
Tabella 68 - Stima della produzione potenziale di bioetanolo in Friuli Venezia Giulia nell’anno
2004
Barbabietola
4.732 73,74 348.900 34.890
da zucchero
6.3.7 I rifiuti
Frazione raccolta
Codice CER 20 02 01
(t/anno)
Udine 12.481
Pordenone 9.254
Gorizia 3.568
Trieste 85
115Gruppo di lavoro nazionale APAT-ARPA. Analisi ambientale per comparto produttivo. Comparto cartario.
Giugno 2003. www.apat.gov.it/site/_files/Industria_Cartaria.pdf
116 Dati ARPA FVG – Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Friuli Venezia Giulia.
228
Glossario
A A
Acetogenesi
Produzione di acido acetico (nonché di acido formico, CO2 ed H2),
a partire dai substrati formatisi nel corso della fase di idrolisi e aci-
dificazione (acidi organici volatili, e alcoli) da parte di batteri aceto-
genici.
Acidogenesi
Trasformazione biochimica della sostanza organica idrolizzata in aci-
di organici volatili da parte di batteri acidogeni.
Agenti leganti
Si esprime come la percentuale in peso della massa pressata e si rife-
risce al contenuto di agenti leganti aggiunti alla materia prima, allo
scopo di migliorare la coesione delle particelle di biomassa e di favo-
rire il processo di estrusione migliorando lo scorrimento del materia-
le all’interno della trafila. Sono ammessi come agenti leganti materia-
li come amido di mais, olio vegetale grezzo estratto mediante spremi-
tura meccanica, melasso, ecc.
Anaerobico
Ambiente totalmente privo di ossigeno disciolto.
Anossico
Ambiente privo di ossigeno disciolto, ma ricco di ossigeno combinato
(NO3-, NO2-, SO4=, ecc.).
229
B B
Biocombustibile
Combustibile prodotto direttamente o indirettamente da biomassa.
Biodiesel
Combustibile liquido, ottenuto per reazione chimica dagli oli vegeta-
li, estratti dalle colture dedicate oleaginose o recuperati dagli usi ali-
mentari. È caratterizzato da impieghi energetici sovrapponibili a
quelli del gasolio.
Bioetanolo
Combustibile liquido, ottenuto dalla fermentazione dei carboidrati,
derivanti dalle colture dedicate alcoligene, dai residui della produzio-
ne ortofrutticola e della lavorazione agricola e dalla frazione organica
degli RSU. Può essere utilizzato in sostituzione della benzina o con-
vertito in ETBE e impiegato come antidetonante altottanico.
Biogas
Miscela gassosa costituita in prevalenza da anidride carbonica e me-
tano, risultato dei processi di digestione anaerobica.
Biomassa
Rappresenta la forma più sofisticata di accumulo dell’energia solare.
Secondo la direttiva 2001/77/CE si intende la parte biodegradabile
dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (compren-
dente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie
connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e ur-
bani.
Bricchetto
Si intende un biocombustibile densificato, solitamente in forma di
parallelepipedo o cilindro, ottenuto comprimendo la biomassa polve-
rizzata con o senza l’ausilio di additivi di pressatura. In genere, il
bricchetto è ottenuto utilizzando una pressa a pistone.
230
C C
Catalizzatore
Sostanza in grado di aumentare la velocità di una reazione chimica,
agevolandola dal punto di vista termodinamico, in quanto ne abbas-
sa l’energia d’attivazione, apparentemente senza parteciparvi, dato
che al termine della reazione la si ritrova inalterata.
Char
Agglomerato di natura complessa costituito prevalentemente da car-
bonio.
Cippato
Si intende la biomassa, di natura legnosa o erbacea, ridotta in parti-
celle di piccole dimensioni, chips, mediante un’azione meccanica di
taglio (cippatura).
Codigestione
Utilizzo simultaneo di diverse tipologie di substrato (co-substrati) in
diversa proporzione. I co-substrati utilizzabili possono essere liquami
zootecnici, fanghi di depurazione, frazione organica di RSU, residui
agricoli, rifiuti dell’industria agro-alimentare, ecc.
Cogenerazione (CHP)
Si intende la produzione combinata, sequenziale o contemporanea, di
energia elettrica e calore a partire da un’unica fonte energetica (CHP
– Combined Heat and Power production).
Contenuto in ceneri
Si esprime come la percentuale in peso sulla sostanza secca. È uno
dei parametri fondamentali per la classificazione della biomassa: un
elevato contenuto in ceneri crea problemi di gestione soprattutto nei
231
C piccoli impianti; influenza negativamente il contenuto in polveri nei
fumi e quindi le prestazioni ambientali degli impianti.
Contenuto in polveri
Si esprime come percentuale in peso della massa pressata e rappre-
senta la frazione di polveri con diametro inferiore ai 3,15 mm che
vengono generate dalle trafile durante la produzione del pellet. È un
parametro che rivela la qualità del processo produttivo e, come la
durabilità, risulta legato a problemi di sicurezza (es. possibilità di
incendi durante la movimentazione del materiale), di manutenzione/
gestione degli impianti di combustione e di corretto funzionamento
dei sistemi di trasporto e di alimentazione.
D D
Densità apparente
Viene espressa in kg/m3. Rappresenta la massa dell’unità di volume
del biocombustibile. È un parametro importante soprattutto per la
commercializzazione della biomassa. Influisce sul rendimento del-
l’impianto in particolare per i dispositivi di alimentazione a “volu-
me”. Si utilizza per calcolare la densità energetica.
Densità energetica
È il rapporto tra il contenuto energetico della biomassa e il volume
sterico in cui è compreso, che si esprime anche come rapporto tra il
potere calorifico inferiore del volume solido e del volume apparente.
È generalmente espresso in MJ/ms o kWh/ms.
Digestione anaerobica
Processo di fermentazione mediante il quale la sostanza organica vie-
ne trasformata in biogas (o in altro composto organico ridotto come
etanolo, acido lattico, ecc.), in assenza di ossigeno.
Distillazione
È una tecnica di separazione di due o più componenti di una miscela,
che sfrutta le differenze tra le loro temperature di ebollizione. Nel
caso dell’etanolo in soluzione acquosa, porta a una miscela azeotropi-
ca, caratterizzata da una concentrazione di etanolo del 95% in peso e
da un contenuto residuo in acqua del 5% (→ etanolo azeotropico).
232
La distillazione frazionata è eseguita, aggiungendo alla miscela di D
partenza, il benzene, che, avendo una temperatura di ebollizione in-
feriore sia a quella dell’acqua, sia a quella dell’etanolo, consente la
completa disidratazione dell’etanolo stesso (contenuto residuo in ac-
qua pari all’1% in peso).
Durabilità meccanica
Si esprime come la percentuale di combustibile densificato che rima-
ne integro dopo una sollecitazione meccanica. Fornisce una indica-
zione sul grado di pressatura del materiale e sulla resistenza allo
sfaldamento. È strettamente correlato a problemi di sicurezza (es.
possibilità di incendi durante la movimentazione del materiale), di
manutenzione/gestione degli impianti di combustione e di corretto
funzionamento dei sistemi di trasporto e di alimentazione soprattutto
nei piccoli impianti.
E E
Energia
In generale, si misura in J (Joule); viene misurata anche in cal (calo-
rie) e Wh (Wattora).
1 Wh = 3.600 J; 1 cal = 4.186 J; 1 Wh = 860 cal
Feedback
Influenza dei prodotti sull’andamento della reazione che li produce.
È definito positivo, se l’aumento della concentrazione dei prodotti
stimola la reazione della loro sintesi; è detto negativo se l’aumento
della loro concentrazione inibisce la reazione di sintesi.
Fermentazione alcolica
Reazione biochimica tipica degli ambienti microaerobici e anaerobici,
attraverso cui avviene la trasformazione dell’acido piruvico in alcol
etilico (o etanolo) e anidride carbonica. L’organismo ne trae un vantag-
gio energetico, poiché ossida nuovamente a NAD+, il NADH formato-
si nel corso della glicolisi. Nelle vie metaboliche aerobiche questo risul-
tato è conseguito con un’efficienza nettamente superiore attraverso la
fosforilazione ossidativa, che ha come principale attore l’ossigeno.
Flashpoint
È una misura dell’infiammabilità di un carburante, poiché esprime la
temperatura più bassa alla quale può formarsi una miscela infiamma-
bile con aria. A tale temperatura il vapore cessa di bruciare nel mo-
mento in cui la sorgente infiammabile è rimossa. L’unità di misura
utilizzata è il grado centigrado.
Fluido supercritico
Si tratta di gas liquefatti a pressioni elevate e a temperature basse,
utilizzati come solventi nel corso dell’estrazione chimica degli oli
vegetali nella filiera produttiva del biodiesel. Possono essere utilizza-
ti composti, quali l’anidride carbonica, l’ossido di azoto, l’anidride
solforosa, l’etano, il propano, il butano.
Fotosintesi clorofilliana
Si tratta di un processo fotochimico che ha luogo nelle cellule vegeta-
li, grazie alla presenza di clorofilla, e permette la trasformazione
dell’energia luminosa in energia chimica, rendendo così possibile la
sintesi di sostanze organiche complesse, partendo da sostanze inorga-
niche semplici. L’importanza della fotosintesi clorofilliana per tutti gli
esseri viventi è dovuta al fatto di essere il meccanismo fondamentale
in grado di trasformare il carbonio inorganico, inutilizzabile dagli
organismi viventi, in carbonio organico assimilabile.
234
G G
Gassificazione
È il processo di trasformazione di combustibili liquidi o solidi in pro-
dotti gassosi utili sia come combustibili, sia come materia prima per
diversi processi chimici. La gassificazione si può effettuare per piroli-
si (limitatamente ai combustibili liquidi), oppure, secondo diversi tipi
di reazione, con aria, ossigeno, vapor d’acqua in base al tipo di pro-
dotto che si desidera ottenere. Nonostante nel processo di gassifica-
zione vada persa una parte dell’energia del combustibile e a volte sia
addirittura necessario somministrarne dall’esterno, l’operazione ri-
sulta conveniente in quanto la combustione con combustibili gassosi
risulta più controllabile, non porta alla formazione di ceneri e per-
mette il raggiungimento di temperature più elevate.
I I
Idrolisi
Reazione chimica in cui una molecola è scissa in due o più parti per
inserimento di una molecola di acqua. Nella filiera di produzione del
bioetanolo è una fase necessaria ai fini dell’utilizzo dell’amido, della
cellulosa e dell’emicellulosa, per ottenere degli zuccheri più semplici
fermentescibili. Può essere condotta per via chimica (con un cataliz-
zatore chimico) o enzimatica (con enzimi, ossia catalizzatori biologi-
ci) (→ catalizzatore).
M M
Massa sterica
È impiegata per gli ammassi dei combustibili lignocellulosici tal qua-
li (legna da ardere, cippato e pellet) che presentano al loro interno
degli spazi vuoti, più o meno grandi in funzione della pezzatura e
della forma. Si esprime in kg/unità di volume sterico (metro stero
alla rinfusa e metro stero accatastato).
Massa volumica
Si riferisce al peso e al volume del corpo legnoso (corpo poroso) o al
singolo pezzo di combustibile densificato (pellet e bricchetti); compo-
sti da un insieme di sostanze e da vuoti (lumi vascolari, ecc.) riempi-
ti da aria e/o acqua. Si esprime in kg/m3.
235
M Mesofilia
Condizioni in cui la temperatura di reazione è compresa tra 20 e
40°C, valori ottimali per lo sviluppo di microrganismi “mesofili”.
Metanogenesi
Processo mediante il quale la sostanza organica viene trasformata in
metano in assenza di ossigeno; in senso stretto viene indicata la fase
finale del processo di digestione anaerobica in cui i batteri metanige-
ni trasformano acetato, idrogeno e anidride carbonica in metano.
Microanaerobiosi
Ambiente caratterizzato da una bassa pressione parziale di ossigeno,
in cui prevalgono le reazioni biochimiche anaerobiche (ad esempio le
fermentazioni).
N N
Numero di cetano
È un parametro che esprime la qualità dell’infiammabilità di un car-
burante, posta a confronto con il comportamento di un idrocarburo
ritenuto ideale, quale il cetano (C16), a cui è attribuito un numero di
cetano pari a 100. Esso si riflette nel comportamento all’accensione e,
quindi, influenza l’avviamento a freddo, la combustione e la rumoro-
sità del motore. Più è alto il suo valore, maggiore è la prontezza del
combustibile all’accensione. È espresso come numero puro.
Numero di ottano
Grandezza che misura la capacità di un carburante di resistere alla
detonazione. Il numero di ottano si misura con appositi motori a rap-
porto di compressione variabile e numero di giri costante e fornito di
un sistema di rivelazione acustico e di detonazione. Mediante questo
motore si confronta il comportamento del carburante in esame con
quello di un carburante di riferimento, costituito da una miscela di
due idrocarburi a cui si attribuisce un numero di ottano convenziona-
le (n-eptano con un numero di ottano zero, isoottano con un numero
di ottano di 100). Si dice che una benzina ha un numero di ottano
pari a 95 quando il suo comportamento alla detonazione nel suddetto
motore standard equivale a quello di una miscela che contiene il 95%
di isoottano e il 5% di n-eptano.
236
P P
Pellet
Si intende un biocombustibile densificato, normalmente di forma ci-
lindrica, ottenuto comprimendo della biomassa polverizzata con o
senza l’ausilio di agenti leganti di pressatura. In genere il pellet è ot-
tenuto utilizzando un estrusore a trafila.
Pervaporazione
Tecnica di separazione dei componenti presenti in una miscela che
opera, percolando la miscela stessa, portata in fase di vapore, attra-
verso delle membrane di materiale idrofilo selettivo. Nella filiera
della produzione del bioetanolo questa strategia è utilizzata per otte-
nere l’etanolo quasi anidro (97% in peso).
Pirolisi
È il processo di scissione termica impiegato soprattutto nell’industria
del petrolio per ridurre il peso molecolare degli idrocarburi attraver-
so la rottura dei legami carbonio-carbonio della molecola. Viene chia-
mato anche cracking. La pirolisi viene effettuata con metodi puramen-
te termici o termico-catalitici (→ catalizzatore).
Potere calorifico
Esprime la quantità di calore che viene liberato nella combustione
completa dell’unità in peso o in volume di un combustibile. Si distin-
guono un potere calorifico inferiore (p.c.i.) e un potere calorifico su-
periore (p.c.s.), a seconda che l’acqua, formata per combustione del-
l’idrogeno eventualmente presente nel combustibile, si consideri allo
stato di vapore o di liquido. La differenza tra i due tipi di potere ca-
lorifico corrisponde appunto al calore di vaporizzazione dell’acqua
formatasi nella combustione. Nella pratica interessa sempre il potere
calorifico inferiore, perché i fumi vengono sempre scaricati in condi-
zione di temperatura per cui l’acqua è presente sotto forma di vapo-
re. Viene espresso in MJ/kg t.q. e per comodità anche in kcal/kg t.q..
Viene utilizzato per calcolare la densità energetica.
Psicrofilia
Condizioni in cui la temperatura di reazione si mantiene inferiore ai
20°C, valori ottimali per lo sviluppo di microrganismi “psicrofili”.
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R R
Reforming
Processo di trasformazione tendente ad aumentare il numero di otta-
no di benzine mediante isomerizzazione e ciclizzazione degli idrocar-
buri costituenti le stesse.
S S
Saponificazione
Reazione chimica che avviene tra i trigliceridi e l’idrossido di sodio o
di potassio. I saponi che si ottengono sono duri nel caso si utilizzi il
sodio idrossido, molli nel caso si impieghi il potassio idrossido.
Nell’ambito della filiera del biodiesel è utilizzata per ridurre l’acidità
degli oli prima di sottoporli alla trasformazione a biodiesel nella fase
detta di neutralizzazione.
Sonda lambda
È il sensore, detto anche sensore ossigeno, che fornisce informazioni
relative alla quantità di ossigeno presente nei gas di scarico, al fine di
mantenere un’ottimale composizione della miscela aria-benzina.
Sostanza secca
Condizione nella quale il biocombustibile è privo d’acqua.
T T
Tar
Miscela complessa di idrocarburi condensabili.
Termofilia
Condizioni in cui la temperatura di reazione è compresa tra 50-65°C,
valori ottimali per lo sviluppo di microrganismi “termofili”.
Trigenerazione (CHCP)
Si intende il sistema di produzione congiunta di energia elettrica,
termica e frigorifera a partire da un unico combustibile (CHCP –
Cogeneration of Heat, Cooling and Power).
V V
Vacuolo
Organulo cellulare tipico delle cellule vegetali, preposto all’immagaz-
zinamento di alcuni prodotti anabolici, tra cui i grassi, e alla regola-
zione del turgore.
Viscosità cinematica
La viscosità cinematica è una proprietà fisica dei fluidi, che dipende
dalla natura chimica del fluido stesso e dalla temperatura: è tanto
maggiore, quanto più alta è la coesione che si instaura tra le molecole
all’interno del fluido; nei liquidi decresce all’aumentare della tempe-
ratura, nei gas, invece, aumenta. L’unità di misura comunemente
impiegata è mm2/s (cSt = centi Stokes).
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Bibliografia
245
Finito di stampare nel mese di Aprile 2006