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Can.

Leon Cristiani

LA VERGINE MARIA E GLI


EVANGELI
Studio storico e di psicologia mariana

Nihil obstat
Imprimatur Lugduni, 12 martii 1934
F. Lavallée
V. G. Rector

V.o la traduzione italiana di «La Vergine e i Vangeli » se ne approva la stampa

Vu, corrigé et approuvé par l'Auteur Crepieux-La Pape (Ain) le 28 juni 1947

L. Cristiani

___________________

INDICE

Saluto alla Vergine


Il mio Rosario Prefazione

Capitolo I
Gli addii di Gesù
Un tesoro di Bossuet
«Ecco l'Ancella del Signore ».
Il Vangelo orale
Due prove
Obiezioni
Gli antichi Padri e la Vergine

Capitolo II
Nella casa dell' Apostolo Il quarto Vangelo
Il Vangelo mariano Serenità mariana
Il caso di Caifa
Motivo del lungo silenzio di Giovanni

Capitolo III
Carattere unico del Prologo
La parola: Verbo
La preesistenza di Gesù
Il ricorso alle Scritture Gesù nell'Antico Testamento
La Sapienza
Maria e Gesù
Gesù e la Bibbia
Gesù Maestro di Maria
La doppia missione di Maria e di Giovanni Maria e il Prologo
La firma di Maria

Capitolo IV
Maria e i Vangeli dell'infanzia
Un problema difficile
Ipotesi d'una scelta, fatta da S. Matteo e S. Luca
La consegna di Maria
Da dove vengono «i ricordi» di Giuseppe
Le «memorie» di Maria
Osservazioni preliminari
La Sapienza di Maria
Maria e S. Matteo
Maria: e il Vangelo di S. Luca
Importanza dei documenti di S. Luca.

Capitolo V
Scopo della presente opera
Riassunto dei capitoli precedenti
Sedes sapientiae
Ancella del Signore
Origine del «Magnificat».
Reminiscenze bibliche del Magnificat
L'intelligenza di Maria nel Magnificat
Conclusione

Capitolo IV
Gli eroi
Il voto di verginità
L'oracolo di Isaia
Maria e Giuseppe
Il silenzio di Maria e di Giuseppe
La predizione di Simeone
Una parola di Maria
Maria ai piedi della Croce
Maria, Regina dei Martiri
La Passione secondo la Bibbia
La morte di Gesù

Capitolo VII
La divina carità di Maria
Il Cuore Immacolato della Vergine
L'amore dei piccoli
Maria ed Elisabetta
Maria e gli umili
Maria e i dottori
Maria alle nozze di Cana
Maria e i «fratelli di Gesù».
L'umiltà di Maria
Come Maria parla di sé
L'amore divino in Maria
Commento di Bossuet
L'analogia della vita di Gesù
Piena di grazia.

Capitolo VIII
La morte d'amore: l'Assunzione
Il peccato e la morte
La morte per amore
L'Assunzione

___________________
SALUTO ALLA VERGINE

Presso Maria è un Angelo dei Cieli:


Quale messaggio, Gabriel, ci sveli?
Dacché Adamo peccò, noi siamo maledetti:
che cosa apprenderemo dai tuoi detti?

Confermi tu di morte la condanna,


fai brillar la speme in chi si affanna,
la dolce speme dell'eterna vita
che per Maria verrà ristabilita?

«Ave di grazia piena! In Te è il Signore!


Oh, non temere! Ei viene nel tuo cuore
e lo feconda, immacolato Tempio.

«Dio tutto può! » E il verbo, Eterno amore,


in Te si incarna, verginale Fiore,
frutto del Fiat, prodigio senza esempio!

L’Autore

________

Prefazione

Nella prefazione alla sua «Storia di Cristo», G. Papini ha confermato, con la sua testimonianza,
il dolcissimo fascino che l'immagine della Vergine esercita su tutti coloro che nel Vangelo
leggono i brevi tratti che parlano di Lei.

«Non ho potuto sviluppare - dice - gli episodi dove compare la Vergine Madre per la difficoltaà
di mostrare di passaggio tutto il ricco fondo di religiosa bellezza che c'eà nella figura di Maria».

E facendo una specie di promessa ai lettori aggiunge: «Sarebbe necessario un altro volume e lo
scrittore eà tentato d'arrisicarsi, se Dio gli daraà vita e vista, di «dicer di lei quello che mai non
fue detto d'alcuna».

EÈ questo, certamente, piuà che mai il caso a cui si puoà applicare il, matta dell'Alighieri a
proposito di Beatrice: poicheé alla Madre di Dio, piuà che ad altra donna creata esso conviene.
Ella infatti, ed Ella soltanto, esce decisamente dai limiti umani ed eà posta al di sopra delle
nostre miserie ed infermitaà spirituali.

E tuttavia noi la sentiamo vicina con la sua bontaà ed il suo amore.

Il nome di Maria eà ormai inseparabile da quello di Gesuà . Ed Essa, in modo simile a Lui, eà posta
in un ordine a seé .
Nelle famiglie ordinarie si eà soliti cercare sul volto dei figli i lineamenti fisionomici dei
genitori.

Qui, al contrario, bisogna cercare nell'anima di Maria la rassomiglianza col suo Divin Figlio.

Ella fu, si puoà dire, un preevangelo, ma ebbe anche il tempo e la gioia ineffabile di approfittare
di tutte le le luci evangeliche.

Avviene della sua vita (scritta) cioà che avviene delle prefazioni che si scrivono prima di
incominciare un libro. Esse, adopera compiuta, debbono essere ritoccate, rimaneggiate,
perfezionate poicheé nella composizione del libro si sono scoperti dei prolungamenti inattesi
dell’idea primitiva.

Maria ha vissuto prima della grande rivelazione ma ha anche vissuto dopo.

Da qui, due metodi da seguire per parlare di Lei. Si puoà seguire la linea del tempo prendendo
le pagine del Vangelo secondo l'ordine cronologico. Seguire, cioeà , la vita di Gesuà fermandosi
piuà a lungo sulle scene nelle quali interviene Maria. Un po' come si prende separatamente una
parte d'una carta geografica per ingrandirne la scala e notarne i dettagli.

Ma si puoà anche fare della Vita di Maria un seguito di quella di Gesuà , un complemento del
Vangelo incominciando dagli ultimi anni passati dalla Vergine Madre su questa terra fino a
quando si trovano le sue Memorie servendosi per la redazione, del Vangelo di San Luca.

Questa seconda via sarebbe la piuà interessante se fosse possibile tenerla. Ma saraà possibile?
Bossuet non esita a dire di no.

«Dopo l'Ascensione gloriosa del Salvatore Gesuà al cielo e la discesa tanto promessa e tanto
desiderata dello Spirito di Dio - egli dice - voi non ignorate che la Santissima Vergine dimoroà
ancora lungo tempo sulla terra. E il dire quali siano state le sue occupazioni e i suoi meriti
durante il suo pellegrinaggio credo sia cosa impossibile all'uomo».

Ma questo fu scritto dall'Oratore quand'era ancora giovane. Era il 1651 ed egli non aveva che
24 anni - Dieci anni dopo egli non temette piuà di trattare un simile argomento. E con
l'eloquenza del suo genio.

Anche noi, a nostra volta osiamo incamminarci su questa via oscura e incantevole.

Dopo aver sognato di scrivere un libro intitolato: La Vergine Maria nei Vangeli intraprendiamo
a scriverne uno che ha per titolo: La Vergine Maria e i Vangeli. Si eà cambiata una sola parola ma
l'impostazione dell'argomento eà tutta diversa.

Non si tratta piuà di riprendere e trattare in modo particolareggiato una parte della Vita di Gesuà
da noi scritta e che abbiamo voluto intitolare: Il libro del giubileo ma si vorrebbe offrire
piuttosto una continuazione, un «seguito e fine» dell'opera suddetta. Uno scritto, cioeà ,
destinato a far conoscere l'opera materna di Maria, svolta nel campo spirituale, dopo
l'Ascensione di Gesuà .
Presentiamo subito le nostre scuse per le inevitabili congetture alle quali abbiamo dovuto dar
luogo in un tentativo come il nostro.

Il lettore non condanni subito il lavoro come: antiscientifico. Vi sono congetture che si
accordano talmente con le certezze acquisite da far con esse un corpo solo. Sono cosìà le ipotesi
che abbiamo costantemente seguito qui.

Al lettore giudicare se i risultati non hanno troppo apertamente tradito le nostre intenzioni!

________

CAPITOLO I

Sommario: Gli addii di Gesù. Un tesoro di Bossuet . «Ecco l'Ancella del Signore» . Il
Vangelo orale. Due prove. Obiezioni. Gli antichi Padri e la Vergine. Perché l'umiltà?

***

Gli addii di Gesù. - «Or presso la croce di Gesù stavano sua Madre, la sorella di sua Madre,
Maria di Cleofe e Maria Maddalena. Avendo Gesù veduta sua Madre e lì presente il
discepolo prediletto, disse a sua Madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco
tua Madre. E da quel punto la prese con sé» (Giov. XIX, 25-28). Tali sono le brevi parole di
addio di Gesù agonizzante alla sua Santa Madre. Non le troviamo che in S. Giovanni e
bisogna meditarle a lungo per scoprirne tutta l'intensità e il significato. Non è azzardato il
dire che la scena del Calvario divide la vita di Maria nel senso che essa limita decisamente
una fine ed un principio. Per ogni altra donna, specie se si tratta di una vedova, la morte di
un figlio unico significa il crollo di tutta l'esistenza.

Una madre che conosce una disgrazia simile non può vivere d'altro che del passato. Gesù
aveva incontrato una volta una madre colpita da questo dolore e ne aveva sentito pietà. E
risuscitò il figlio della vedova di Naim.

Ma morendo intende dare a sua Madre un compito nuovo. Dandole un figlio, un altro Se
stesso, Egli non si limita ad offrirle una specie di consolazione. Secondo Bossuet, anzi, le
parole di Gesù esprimono precisamente l'opposto. Si può anche dissentire da questo parere,
ma si ingannerebbe chi non vedesse altro che l'attenzione di un buon figlio, il quale non
vuole abbandonare sua madre senza appoggio, senza risorse e senza affetto sulla terra.
Raccogliamo anzitutto l'interpretazione di Bossuet; si trova nel sermone 1660, per la festa
dell'Assunzione. Bossuet afferma che autore dell'idea è S. Paolino; ma egli deve aver fatto
molte aggiunte al testo dello scrittore patristico.
Il testo di Bossuet. - «Ella perde persino suo Figlio sul Calvario egli dice parlando della
Madonna - e non dico solamente ch'ella lo perde in quanto vede morire questo Figlio
amatissimo di una morte crudele; ma perché Egli cessa in qualche modo d'essere suo Figlio,
sostituendone un altro al suo posto: «Donna - le dice - ecco tuo Figlio».

Meditate questo punto, o cristiani, e se anche tale pensiero può sembrare un poco strano, vi
persuaderete però ch'esso ha il suo buon fondamento. Pare che il Salvatore non la riconosca
più per sua Madre; «Donna - le dice - ecco tuo Figlio ». Non parla in questo modo senza un
motivo misterioso: Egli è in uno stato di umiliazione ed è bene che anche sua Madre gli sia
unita in esso. Gesù ha un Dio per Padre e Maria ha un Dio per Figlio. Il Divin Salvatore ha
perduto, il Padre suo e non lo chiama più ora che «Dio». Bisogna che anche Maria perda il
suo Figlio; difatti Egli la chiama ora col nome di Donna, non le dà il nome di Madre. Ma ciò
che deve essere stato più umiliante per la SS. Vergine è il fatto che Egli le affida un altro
figlio, come se Lui non fosse più tale per Lei, e come se Egli volesse rompere il nodo di una
santa amicizia: «Ecco - dice - vostro Figlio».

Vediamone la ragione.

Durante il periodo della sua vita terrena, Gesù compiva verso sua Madre tutti i doveri e i
servizi d'un figlio. Egli era la Sua consolazione e l'unico appoggio della Sua vecchiaia. Ora
che Egli sta per entrare nella gloria, prenderà dei sentimenti più degni di un Dio: perciò
lascia ad un altro i compiti della pietà umana e naturale. Maria non ha più suo figlio, Gesù;
il suo amatissimo figlio ha ceduto i suoi diritti a S. Giovanni ed essa trascorrerà in questo
triste stato i lunghi anni» (1).

Per quanto grande sia il genio di Bossuet, non oseremo accettare su questo punto tutto il suo
pensiero. Lui stesso - e l'abbiamo notato - lo trovava «un po' strano». E ciò che
principalmente ci scosta da Bossuet è il motivo stesso su cui egli fonda la sua
interpretazione: «Gesù - dice - compiva verso sua Madre i doveri e i servizi d'un figlio». E'
precisamente questo che si deve meditare ed è questo che ci deve aprire gli orizzonti. No,
Gesù non compiva più, dall'inizio della sua vita pubblica, «i doveri e i servizi d'un figlio».
Secondo la cronologia che noi abbiamo adottato erano già due anni e tre mesi ch'Egli non
abitava più con Lei. Gesù aveva lasciato Nazaret verso la fine dell'anno 27 o nei primi
giorni dei 28 e non era ritornato che due sole volte nel villaggio della sua infanzia. Non si
accenna alla presenza di Sua Madre al Suo fianco che alle nozze di Cana, poi al momento
del tentativo del rapimento dei suoi «fratelli» che non credevano in Lui e in seguito sul
Calvario.

Maria quindi era priva di Suo figlio già da molti mesi, e non era vissuta sola durante tutto
questo tempo. Ci sono buone ragioni per credere che Ella si fosse unita a sua cugina Maria,
moglie e, senza dubbio, vedova di Cleofa, i cui numerosi figlioli venivano chiamati «fratelli
di Gesù». Dunque la Madonna viveva nelle vicinanze di questi parenti. Se Gesù, da buon
figliuolo quale era, non avesse avuto che lo scopo di trovarsi un sostituto per circondare
delle cure necessarie gli ultimi giorni della Sua piissima Madre, potremo dire ch'Egli aveva
impiegato troppo tempo per pensarvi. La situazione creata con la sua partenza da Nazaret
due anni prima, non poteva prolungarsi? Se nei confronti di Sua Madre tale situazione non
fosse stata buona, come mai Egli l'aveva fino allora permessa e tollerata? Se all'opposto
fosse stata buona o almeno sufficiente, perché portarvi delle modifiche?

Si potrebbe pensare che Gesù non volesse più lasciare la Madre Sua in un ambiente in cui
non si credeva in Lui. Ma giustamente noi abbiamo la certezza che i suoi «fratelli» erano
ormai dei credenti, cioè, avevano ora fede nella missione di Gesù. Gli Atti degli Apostoli
sono abbastanza espliciti su questa punto. Dopo avere nominato gli Apostoli riuniti nel
Cenacolo dall'Ascensione alla Pentecoste, essi dicono: «Tutti in un medesimo spirito
perseverarono nella preghiera con alcune donne e Maria Madre di Gesù e i suoi fratelli».
Aggiungiamo subito che il testo ora citato contiene l'ultimo degli accenni fatti nei Libri
Santi alla SS. ma Vergine Maria. Vedremo più tardi l'importanza di questa osservazione. Per
ora è sufficiente concludere che non è certo a motivo dell'incredulità dei Suoi «Fratelli» - fra
i quali, due almeno, Giacomo il minore e Giuda, erano Apostoli - che Gesù ha loro tolto la
Madre affidandola a S. Giovanni. Al contrario essa abitava presso di loro proprio nel
periodo della incredulità e li lascia quando sono ormai entrati nel gruppo dei fedeli.

Non ci spieghiamo facilmente perché Gesù, a dire di Bossuet, avrebbe voluto umiliare la
Sua Madre affidandola a S. Giovanni. L'umiliazione sarebbe stata ben più grande
lasciandola nello stato in cui era e, senza affidarle alcuna nuova missione inviarla
implicitamente a Nazaret.

No, Gesù non ha voluto umiliarla. Egli lascerà alla Madre stessa la cura d'umiliarsi in modo
sovrumano. Ci sembra più felice Bossuet quando scrive nello stesso discorso: «Ecco una
creatura che si distingue eccellentemente da tutte le altre; ma la Sua umiltà profondissima la
spoglierà in qualche modo dei Suoi vantaggi meravigliosi. Essa, che è stata innalzata al
disopra di tutti, per la sua dignità di Madre di Dio, si colloca nel ceto comune per la sua
qualità di Ancella » (2).

«Ecco l'Ancella del Signore». - Questa volta possediamo la vera spiegazione.

Gesù ha trattato Maria da Figlio divino che onora e ama sommamente Sua Madre. Ella si è
abbassata volontariamente e non ha voluto essere che «Ancella ». Era il nome che essa s'era
preso fin dal principio. Il messaggio dell'Arcangelo Gabriele pur riempiendola d'una gioia
che nessun linguaggio saprebbe esprimere non le aveva minimamente tolta la sicurezza
delle sue viste spirituali. «Ecco l'Ancella del Signore » aveva detto. Ed un poco più tardi,
nel sublime Suo Magnificat, Ella ripeteva: «Egli ha riguardato la bassezza della sua serva».
Quest'ultimo sostantivo per Maria SS. è una definizione; contiene il programma della Sua
vita dal quale non ha mai deviato. Su questo punto, durante tutta la sua esistenza, c'è una
perfetta unità.
L'umiltà sarà il Suo distintivo attraverso tutte le età. Essa è lontana da quell'orgoglio
farisaico di cui Gesù non cesserà di bollare la pretensione e ne è tanto lontana quando lo si
può essere.

Fra Gesù e Maria l'umiltà è il primo e principale punto di rassomiglianza. «Imparate da me


che sono mite ed umile di cuore»: questa espressione di Gesù mostra tutta la ricchezza delle
virtù dominanti nella Vergine: l'umiltà e la dolcezza. Ne riparleremo più avanti.

Stabilito ben chiaro questo punto di partenza, cerchiamo di scoprire perché l'umile Maria fu
affidata a S. Giovanni anziché ai suoi più prossimi parenti e ai figli di sua cugina.

Se non è per umiliare la Sua santa Madre che Gesù le ha dato un altro figlio, allora è senza
dubbio per affidare a S. Giovanni un compito eletto verso Maria e a Maria verso il discepolo
prediletto. Il dono di Giovanni a Maria fu un dono di amore da parte di Gesù in Croce. E il
dono di Maria a Giovanni fu pure una testimonianza tutta speciale di tenerezza verso il
migliore degli amici di Gesù.

Maria e Giovanni ricevettero ciascuno una missione reciproca. Ecco quanto si può dire di
più verosimile e naturale circa la decisione di Gesù sulla croce.

Qual'era questa missione?

Per scoprirla basta far attenzione alla santità dei personaggi di cui si parla. E' Gesù che li
affida l’una all'altro. Chi potrebbe pensare che in quest'ora suprema Gesù pensi soltanto alle
cure temporali richieste dalla vecchiaia di sua Madre?

Egli sa, l'ha annunciato, ed il fatto sta per provarlo, che la sua morte non consisterà che in
un breve passaggio nella tomba. E non possiamo dubitare che la sua prima visita sia stata
per Sua Madre. Il motivo principale di questa certezza nasce dal considerare l'estensione
completa della Madonna durante le cure della sepoltura all'indomani del sabato che aveva
seguito la morte di Gesù. Mentre le pie donne si affaccendavano, Maria sola rimaneva
inattiva. Essa aveva un proprio motivo. Essa aveva compreso il mistero della crocifissione,
il mistero delle umiliazioni del suo Gesù più d'ogni altro e così, prima d'altri Maria intuiva
la caratteristica inattesa della resurrezione che non mirava «al ristabilimento del regno
d'Israele» come gli Apostoli desideravano e speravano. Perciò Ella taceva sull'apparizione di
cui era stata favorita. Gli Apostoli dovevano credere lentamente e penosamente e non era
conveniente che la parola di Maria in questa circostanza fosse messa in dubbio da loro,
come non conveniva che si dicesse che gli Apostoli avevano creduto sulla parola della
Madre anziché su argomenti tanto personali quanto irresistibili (3).

Tuttavia, fin dalla prima ora, Maria sembra abbia compiuto la missione affidatale da Gesù.
Pure, nel suo silenzio, la serenità del viso parlava, e Giovanni sentiva sciogliersi a contatto
con la Madre i suoi timori e i suoi dubbi. Per questa ragione, quand'egli trovò la tomba
vuota, credette alla risurrezione prima di ogni spiegazione e prima d'ogni altro Apostolo (Gv
20, 8).
Particolare questo che passò probabilmente inosservato. Trascorsi i quaranta giorni, Gesù
salì al Cielo e dieci giorni più tardi lo Spirito di Verità si posava sulla fronte degli Apostoli.
Non ci si dice espressamente che Maria si sia trovata in mezzo ad essi; ma il testo pare
l'accenni, poiché dopo l'enumerazione di tutti coloro che erano riuniti nel Cenacolo, in
numero di circa centoventi, l'Autore degli Atti inizia il racconto della discesa dello Spirito
Santo con queste parole: «Il giorno della Pentecoste spuntato, essi stavano insieme in un
medesimo luogo ».

E subito incomincia la storia della Chiesa di Gesù Cristo. Maria non ritorna a Nazareth,
rimane nella casa del suo secondo figlio, Giovanni, a Gerusalemme. S'indovina che la
missione di Giovanni è di parlare alla Madre del suo Gesù, di soddisfare i segreti desideri
ch'Ella aveva rintuzzato durante tutta la vita pubblica del Figlio. Maria non aveva mai
assistito ai discorsi di Gesù, e non conosceva le frequenti e burrascose discussioni coi
farisei, specialmente nel Tempio, che l'avevano condotto al dramma del Calvario.

La missione di Giovanni era precisamente quella di raccontarle tutti questi fatti ed


inaugurare il suo magnifico compito di evangelista offrendo alla santa curiosità di Maria,
punto per punto, gli episodi più significativi della divina tragedia che si era compiuta sul
Golgota.

Riparleremo di questa collaborazione intima fra Maria e Giovanni circa la nascita del quarto
Vangelo, così concreto, nello stesso tempo cosi mistico, e ci domanderemo fino a qual punto
merita il nome particolare di Vangelo Mariano.

Questo studio ci preparerà a discernere meglio gli elementi d'un problema assai delicato
quale la ricerca d'una possibile influenza di Maria sul Vangelo orale che prese allora da
Gerusalemme il suo volo verso la conquista del mondo redento da Gesù.

Il Vangelo orale. - Le opinioni generali concordano nel ritenere che il Vangelo orale deve
essere quello rimessoci da S. Marco. Questo evangelista era il segretario di Pietro, abitava in
Gerusalemme e come testimonio oculare poteva raccontare un certo numero di fatti
dell'ultimo periodo del ministero di Gesù. Non diciamo che il suo Vangelo sia stato scritto
per primo: la tradizione colloca l'opera di S. Matteo prima della sua. Ma il testo di S. Marco,
meno completo di quello di S. Matteo, è composto soprattutto di notizie vive e pittoresche e,
all'infuori dei discorsi del Maestro, rappresenta lo stadio più primitivo della predicazione
apostolica.

Proprio così Pietro raccontava la storia di Cristo, ed è molto probabile che gli Apostoli
abbiano imitato da lui i propri racconti, confermando con la loro testimonianza tutte le sue
affermazioni. La questione dell'influenza di Maria sulla nascita del Vangelo orale è
relativamente facile da risolvere, ed è certo la più semplice tra quella che esamineremo.
Maria non aveva assistito agli sviluppi della missione del Suo Figlio divino e quindi la sua
testimonianza non poteva aggiungere nulla a quelle degli Apostoli. E non poteva nemmeno
mettersi alla pari con essi perché non aveva visto né sentito quasi nulla di quello che
formava la sostanza della primitiva catechesi.

Non per questo vogliamo dire che Maria non abbia esercitato nessuna influenza nella
preparazione di questa prima forma d'apostolato. Meraviglia invece il fatto che le nozioni
relative all'infanzia siano completamente assenti dal Vangelo di S. Marco, il quale s'inizia
con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto. Non vi si accenna all'annunciazione,
alla nascita in Betlemme, alla vita nascosta di Gesù a Nazaret. Si può credere che soltanto
per puro caso sia passato sotto silenzio tutto ciò che concerne la Madonna, ciò che la può
mettere in evidenza e può far risaltare la sua dignità di Madre di Dio parlando delle sue
eminenti virtù, tutto ciò che in una parola ne può cantare la gloria? Pietro non ebbe alcuna
cura di conoscere chi era Gesù prima che questi iniziasse la divina missione della
redenzione del mondo? Non sarebbe stato l'amico di Gesù, il discepolo leale e fedele per
eccellenza, non sarebbe stato uomo se non avesse tentato d'informarsi intorno alla nascita ed
alla giovinezza del Maestro adorato.

Come prima riga del suo testo S. Marco colloca queste parole: Inizio del Vangelo di Gesù
Cristo Figlio di Dio.

C'è qui la parola più luminosa fra tutte: quella che proclama la divinità di Gesù. Non c'è
alcun dubbio che «il Figlio di Dio » qui deve essere preso in senso letterale. E' l'atto di fede
di Pietro e dopo di lui, di S. Marco (4).

Non possiamo credere che Pietro sia stato indifferente a qualsiasi minimo particolare che
riguardasse il Maestro amatissimo. Né possiamo dubitare che egli non abbia avuto il tempo
d'interrogare la Madonna sui trent'anni della vita nascosta che racchiudevano tanti
insegnamenti per i discepoli di Cristo. E' il caso di ritenere come certo che Maria sia stata
più volte rispettosamente supplicata di manifestare i divini segreti celati nel suo cuore. E da
tutti questi fatti e supposizioni possibili possiamo concludere che l'influenza di Maria sul
primitivo Vangelo orale si sia esercitata nella profondità, incomprensibile alla natura umana,
d'una umiltà senza precedenti.

«Non parlate affatto dell'Ancella! Non distogliete il vostro sguardo dagli insegnamenti del
Maestro. Mirate soltanto alla «buona novella». Le vostre narrazioni proclamino soltanto
senza ritardo la grandezza divina, riferiscano i suoi miracoli, ripetano le sue parole, facciano
conoscere le resistenze colpevoli che gli si opposero, mettano in evidenza le leggi dello
spirito nuovo che Egli ha voluto propagare sulla terra, si diffondano sui grandi fatti
dell'ultima settimana: l'entrata del Messia nella città santa, gli ultimi discorsi, il tradimento,
il processo, la morte, la resurrezione, Lui, sempre Lui e Lui solo»!

Ecco, questa è la consegna data da Maria agli Apostoli mentre si andava formando il
Vangelo orale. Non sapremo comprendere diversamente come il periodo dell'infanzia sia
stato escluso. Se il silenzio non fu volontario, rimane incomprensibile, Ma volontario da
parte di chi? Degli Apostoli? Non si capirebbe perché le notizie dell'infanzia di Gesù siano
narrate nei Vangeli di Matteo e di Luca. Da parte di Maria? E' più naturale e ci sarà più
facile capire perché esse non risultino neppure nel Vangelo di Giovanni.

Due prove. - È naturale che la precedente conclusione sarebbe assai più forte se nello stesso
Vangelo di S. Marco vi fosse qualche segno positivo che la consolida. A noi pare di
riconoscere due segni che corroborano il nostro modo di vedere.

Il primo nella relazione, tutta propria di Marco, della seconda visita di Gesù a Nazareth.

Gli abitanti della cittadina sono malcontenti del loro illustre compatriotta. Aspettano da lui
dei miracoli, e sono gelosi di Cafarnao dove si è mostrata la sua potenza. Gesù intuisce il
risentimento ed indirizza ai Nazareni una velata ammonizione. Ma mentre S. Luca e S.
Matteo mettono in bocca al popolo questa frase irritata: Non è il figlio del falegname? non è
il figlio di Giuseppe? Sua Madre non ha nome Maria? Invece S. Marco fa dire questa
espressione sorprendente: Non è il falegname, il figlio di Maria? Questi ne parla come se
Gesù non avesse Padre. Giuseppe, infatti, non è mai nominato nel Vangelo di Marco. Date le
abitudini dei Giudei che su questo punto non erano per nulla diverse da quelle di Roma, è
poco verosimile che i Nazareni si siano espressi nel secondo modo, e poiché bisogna
scegliere tra i tre Vangeli è preferibile il testo di Matteo e di Luca. Ma perché Marco ha
riportato le recriminazioni sotto termini insoliti? forse perché Giuseppe era morto. Ma un
figlio continuava a portare, nella designazione comune, il nome del padre, anche se la madre
era vedova. Si potrebbe spiegare semplicemente così: Matteo e Luca che hanno raccontato
la nascita miracolosa di Gesù, nel riportare quali erano le parole dei Nazareni non potevano
temere confusioni nello spirito dei loro lettori. Mentre Marco che non ha accennato
all'infanzia di Gesù né alla sua origine soprannaturale, se avesse accennato a Giuseppe
poteva motivare nei lettori un'idea falsa intorno alla nascita del figliuolo di Dio fattosi
uomo. Perciò lo chiama sent'altro: Figlio di Maria e non tradisce per questo la verità storica
poiché egli qui riferisce il senso dell'aspra frase dei Nazareni. Molto significativo è il fatto
che Marco non abbia nominato Giuseppe e che egli abbia evitato in questa circostanza, in
cui logicamente lo doveva fare, di accennarlo come padre legale e apparente di Gesù. Ciò
prova secondo noi, che Pietro era perfettamente informato della miracolosa nascita di Gesù
e che egli vedeva chiaramente la necessità di istruire in proposito i fedeli, o almeno di non
lasciarli in errore, ma che ne era trattenuto dalla cosiddetta «consegna » della Madonna. E'
probabile che risvegliata la curiosità dei cristiani dalle stesse espressioni di cui si serviva S.
Pietro, il Vangelo ufficiale sia stato completato da spiegazioni di carattere più o meno
confidenziale. La verità non soffriva né l'umiltà di Maria poteva essere offesa.

Il Vangelo orale pare abbia preso fin da principio una forma rituale ufficiale e costante. Ma
al di fuori del servizio divino i fedeli dovettero interrogare i testimoni della vita di Gesù.
Dopo la morte della Madonna, Pietro avrebbe potuto modificare nel senso voluto il testo del
suo Vangelo predicato. I racconti dell'infanzia sono innestati senza il minimo inconveniente
in Matteo e Luca e diremo a quale condizione; ma Pietro credette suo dovere restar fedele ai
desideri di Maria, sia per rispetto alla sua memoria, sia per l'alta intelligenza della profonda
umiltà di Lei.

Ed è proprio da questa che si può ricavare il secondo segno o indizio: l'umiltà di Maria, la
sua attenzione a non mettersi in scena per rimanere nell'ombra, la cura costante d'avvolgersi
nel silenzio per far concentrare gli sguardi unicamente su Gesù, noi la ritroviamo anche in
Pietro. Il suo Vangelo evita per partito preso tutto ciò che può riandare a sua gloria. Giunge
persino a tralasciare le parole dell'investitura suprema di cui è fatto oggetto da parte del
Maestro.

In S. Marco non si trova nemmeno uno dei tre testi principali sui quali i teologi fondano con
ragione il motivo del primato di Pietro e del suo successore. I due più espliciti sono in S.
Matteo e in S. Giovanni: (Testo della confessione) (5).

Il terzo è in S. Luca (6).

Il Vangelo orale predicato da Pietro mancava di notizie e ciò si spiega con l'umiltà del capo
della Chiesa; senza dubbio Gesù aveva tanto insistito su tale virtù che Pietro ne praticava
senz'altro le sue lezioni. Sebbene altro è conoscere la dottrina dell'umiltà ed altro saperne
fare l'applicazione. Nel silenzio voluto da Pietro sulle sue prerogative è molto più naturale
riconoscervi l'imitazione della Madonna nel silenzio sui propri privilegi. Bossuet ha dunque
buona ragione di dire che l'umiltà di Maria la spogliò di tutti i suoi vantaggi. Ed ora
possiamo aggiungere che gli Apostoli hanno capito il suo esempio. Maria influisce sulla
formazione del Vangelo orale con questa profonda lezione di umiltà e la predicazione di
Pietro attesta che la lezione non è andata perduta. Quant'è bella la missione di Maria nel
seno della Chiesa primitiva!

Obiezione. - Maria aveva scelto il silenzio e l'ombra, aveva scelto l'umiltà. Il suo esempio
era il più persuasivo ed il più vivo degli insegnamenti. Coloro che l'avvicinavano di più, e
Pietro era nel numero, ne erano più profondamente influenzati. L'umiltà di questo apostolo
ben visibile nella cura da lui posta nell'accentuare le sue mancanze, tacere i suoi privilegi è
certamente per buonissima parte frutto dell'umiltà mariana.

Queste le nostre conclusioni e tutto il libro in seguito lo confermerà. Ma prima di proseguire


ci domandiamo: I fatti descritti sopra come base del nostro ragionamento e delle nostre
deduzioni, non possono spiegarsi in modo diverso?

Su questo punto delicato si potrebbe dire: Il silenzio del primitivo Vangelo, rappresentato
dal testo di S. Marco, sulla Madonna e sull'infanzia di Gesù, può anche essere effetto d'una
certa tattica del Capo degli Apostoli. Doveva predicare la divinità di Gesù, far adorare
Cristo come un Dio: non era il caso di attenersi semplicemente a questo compito già tanto
alto e grave? E poi, soprattutto, dato che occorreva indirizzarsi a dei pagani non era più
abile e più logico allontanare le figure puramente umane dall'immediata vicinanza del
Salvatore? Era opportuno dare a credere ai convertiti dalle mitologie infantili una storia
simile a quella ch'essi trovavano nelle loro assurde favole? Un Dio fattosi carne, una Madre
di Dio, e - se si osasse - una dea? Non era più prudente omettere tutto? E allora perché
giustificare con l'umiltà della Madonna?

Più tardi il culto mariano avrà dei grandi sviluppi. Le critiche non mancheranno al capo del
cattolicesimo e lo si accuserà di far dimenticare la divinità per sviare gli omaggi religiosi su
una semplice creatura. Gli si rimprovererà di sopprimere in pratica la distanza infinita che
necessariamente esiste fra il creato e l'increato, fra Dio e l'opera sua, fra l'infinito e il finito.

Ottima quindi la previdenza della Chiesa di formare il vuoto intorno a Gesù, di non
considerare che Lui e di attirare gli sguardi solo su di Lui e di allontanare dalla sua persona
inaccessibile tutta ciò che poteva diminuirlo al livello delle creature ordinarie. A questa
obiezione noi rispondiamo che la Chiesa primitiva non ha mai pensato nulla di tutto questo
perché nulla è tanto lontano da essa come i timori e i calcoli e coloro che hanno arrossito per
l'umile umanità del Redentore sono stati collocati dalla Chiesa fra gli eretici. È vero che per
quel poco che possiamo conoscere delle dottrine vaghe ed inconsistenti dei Doceti essi
credevano d'ingrandire il Cristo prestandogli un corpo ideale, una semplice apparenza di
umanità e quindi una nascita materiale puramente immaginaria. Ma i Doceti (7) sono stati
combattuti con la più profonda indignazione dai primi cristiani. S. Giovanni provava
un'avversione irresistibile nei loro riguardi e più tardi si raccontava di lui che avendo
incontrato il doceta Cerinto ai bagni pubblici avrebbe gridato: «Fuggiamo tosto il
primogenito di Satana».

Tutto il mistero della: redenzione afferma soprattutto che un Dio s'è fatto Uomo, veramente
e pienamente Uomo morendo per noi, per redimerci. I Vangeli non nascondono nulla
dell'umanità di Gesù nelle sue umiliazioni e sofferenze e della sua reale morte in croce.

D'altra parte se si ammette che S. Pietro abbia tolto dal suo Vangelo il racconto dell'Infanzia
di Gesù per non creare confusione nello spirito dei convertiti dal paganesimo si può
domandarci: Perché Matteo e Luca non ebbero lo stesso timore? Perché la narrazione
dell'infanzia ha trovato subito il suo posto nei loro testi evangelici? L'umiltà di Maria poteva
essere vinta e tenteremo di dire come e perché. Ora se la tattica detta sopra fosse esistita non
c'era motivo perché vi si rinunciasse così presto.

Ma c'è anche di più. E' un errore credere che la Chiesa primitiva trascurasse deliberatamente
il nome di Maria. Ciò che non è accennato nel Vangelo di Pietro si ritrova in documenti
antichissimi. Il nome di Maria fu posto fin dal principio in quella «Regola di fede» di cui
parla Tertulliano e che divenne nel IV secolo il nostro «simbolo degli Apostoli». Ci sono
buone ragioni per credere che la formula più antica di questo simbolo fosse così concepito:
«Io credo in Dio Padre Onnipotente ed in Gesù Cristo suo unico figliuolo nostro Signore
che nacque dallo Spirito Santo e da Maria Vergine, fu crocifisso sotto Ponzio Pilato, fu
seppellito e risuscitò da morte, il terzo giorno salì al cielo, siede alla destra del Padre, donde
verrà a giudicare i vivi e i morti - e nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa, la remissione dei
peccati, la resurrezione della carne».

Tutto il resto sarebbe stato aggiunto in seguito. Ma l'accenno esplicito della «Vergine
Maria» corrispondente a quanto abbiamo detto della frase dei Nazareni in S. Marco si
trovava già nella prima redazione.

Qualche citazione degli antichi Padri finirà di convincerci che il silenzio del Vangelo orale
rappresentato da Marco non può essere attribuito ad alcun timore come quello
sopraccennato.

Gli antichi Padri e la Vergine. - S. Ignazio d'Antiochia è quasi contemporaneo degli


apostoli. Fra la sua morte e quella di Giovanni non vi sono più di 5 o 6 anni di differenza e
difatti la si pone fra il 107 e il 108. Ci è dato di constatare sorprendenti somiglianze fra la
sua maniera di parlare del Cristo e quella di S. Giovanni. Lo si può quindi considerare
discepolo dell'Apostolo. E poiché sull'esempio di Giovanni egli combatte i Doceti, insiste in
ogni circostanza sulla nascita umana di Gesù. Naturalmente nomina Maria. «Il Nostro Dio
Gesù Cristo - scrive - è stato portato da Maria nel suo seno: secondo i decreti della
Provvidenza, dalla stirpe di Davide da una parte e dallo Spirito S. dall'altra. Egli è nato ed è
stato battezzato al fine di purificare l'acqua con la sua passione» (8).

Trent'anni più tardi, verso il 140, S. Aristide scrisse un'apologia del Cristianesimo dedicato
ai pagani. Era proprio il caso di non avvicinare ad un Dio-Uomo il nome di una Madre che i
pagani non potevano non considerare come una dea. Ma S. Aristide non ha la minima idea
di tali scrupoli: crede i suoi avversari abbastanza intelligenti per comprendere la distanza
che separa le invenzioni della mitologia dalla dottrina cristiana. E scrive: «I cristiani
traggono la loro origine da Nostro Signor Gesù Cristo il quale è proclamato Figlio del Dio
Altissimo che nello Spirito Santo discese dal Cielo per la salute degli uomini e generato
senza germe né corruzione da una Vergine santa prese carne e si mostrò agli uomini» (9).

Con un altro apologista, S. Giustino, la dottrina mariana riceve il suo primo importante
sviluppo. S. Paolo aveva paragonato Gesù ad Adamo, gli aveva dato il nome di ultimo
Adamo (10). Niente di più naturale che confrontare il compito di Maria con quello di Eva.
Ma non è il caso di temere più qui che in altre circostanze, di accostar troppo una creatura a
Dio? Adamo ed Eva sono al medesimo livello, sono della stessa razza umana, c'è perfetta
uguaglianza tra di loro dal punto di vista della natura nella scala degli esseri. Ma fare di
Maria la «novella Eva» non equivale elevarla allo stesso grado dell'ultimo Adamo? S.
Giustino discutendo con il giudeo Trifone non si sente legato da simili probabili obiezioni e
scrive senza timore: «Leggendo noi nelle Memorie degli Apostoli (11) che il Cristo è il
figlio di Dio, perciò stesso noi lo proclamiamo e comprendiamo come figlio ed è lo stesso
che nel libro dei Profeti è nominato: la Sapienza, il Giorno, l'Oriente, la Spada, la Pietra,
ecc. E' Lui che s'è fatto uomo per opera della Vergine perché la stessa redenzione arrivasse
per lo stesso mezzo con cui era incominciata la ribellione per mezzo del serpente. Eva,
ancora vergine pura, accogliendo le parole del serpente, partorì la disobbedienza e la morte.
All'apposto Maria, la Vergine, avendo accolto dall'Angelo Gabriele la buona novella che lo
Spirito Santo verrebbe su di Lei e la virtù dell'Altissimo la coprirebbe perché il fanciullo
nato da Lei sarà il Figlio di Dio, rispose: Sia fatto di me secondo la tua parola» (12).

Ma la teologia mariana prende il suo slancio soprattutto con la grande opera di S. Ireneo:
«Contro le eresie» che fu lentamente elaborata fra il 150 e il 200. Ireneo, della scuola di
Giovanni attraverso S. Policarpo, non dimentica mai di nominare Maria quando affronta il
grande tema dell'Incarnazione. Egli la chiama talvolta semplicemente «la Vergine» perché
tale nome le appartiene per titolo esclusivo nella storia; e tal altra la chiama «Maria».
Continuando il paragone formulato da Giuseppe tra la Madre di Cristo e la prima Eva ecco
come si esprime Sant'Ireneo: «Come Eva, avendo uno sposo, Adamo, ma essendo ancora
vergine, commise la disobbedienza per cui fu causa di morte per se stessa e per tutto ìl
genere umano, così Maria, avendo uno sposo predestinato e peraltro pure vergine, mediante
l'obbedienza è divenuta per se stessa e per tutto il genere umano causa di salute ... Così il
nodo della disobbedienza d'Eva è stato disciolto dall'obbedienza di Maria. Ciò che Eva
incatenò con la propria incredulità, la Vergine sciolse con la sua fede » (13).

Dopo S. Ireneo le citazioni si fanno innumerevoli e ci provano con sempre maggior


evidenza che il silenzio del primo Vangelo orale primitivo intorno a Maria e alla infanzia di
Gesù non poteva essere il risultato d'una qualunque infantile precauzione o di qualche
prudenza esitante e subito sorpassata dagli avvenimenti.

Solo l'umiltà superiore di Maria può spiegare la scomparsa del suo nome dopo l'accenno che
se ne fa nella Pentecoste e l'ombra assoluta che nasconde ai nostri occhi gli ultimi anni suoi
su questa terra.

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Capitolo II

Sommario: Nella casa dell'Apostolo - Il quarto Vangelo - Il Vangelo Mariano - Serenità


Mariana. Perché il lungo silenzio di Giovanni?
Nella casa dell'Apostolo. - Se le nostre deduzioni sono giuste bisogna pensare che S.
Giovanni, il più vicino a Maria dopo che Gesù gliela ebbe affidata, sia stato colui che ha
meno parlato di Lei anche negli episodi in cui il ricordo della Vergine s'imponeva e ciò
contrariamente alla comune psicologia. Quanto abbiamo esposto nel capitolo precedente
crollerebbe se trovassimo in S. Giovanni un Vangelo dell'infanzia di Gesù più sviluppato
che in San Matteo e in S. Luca.

Questo evangelista che non ha saputo tacere la sua felicità per essergli stata affidata la
Vergine Madre ed essere stato designato come suo secondo Figlio dal Divin Maestro; questo
evangelista che ha assistito Maria nella propria casa per dieci, quindici e forse anche
vent'anni, poiché non conosciamo né la data né il genere di morte della Vergine; questo
apostolo dal carattere vivo, impetuoso, tenero e fedele, fiore di delicata verginità come la
Madonna stessa e Gesù suo Salvatore ed amico, non ha sentito il bisogno di completare gli
insegnamenti tanto brevi lasciati dai predecessori intorno a Maria e ai misteri nei quali Ella
aveva avuto tanta parte. Non è che Giovanni non sia stato attento a colmare le lacune dei
precedenti Vangeli, a corregger lì con discrezione su alcuni punti di secondaria importanza
specie date o luoghi da essi riportati; ma nei riguardi della Vergine egli ha aggiunto soltanto
ciò che non conosceva da Lei, come il racconto delle nozze di Cana in cui parlava da
testimonio. Nel trasmetterci questo episodio prezioso Giovanni ha usato di un suo diritto ed
ha insieme assolto un dovere.

Ma delle sue conversazioni con Maria, di tutto ciò che ha imparato da Lei, dei ricordi che gli
ha confidato, dei pensieri espressi davanti a lui, niente, neppure una riga né una parola. Non
possiamo credere che egli abbia ubbidito alla stessa «consegna» da noi supposta a proposito
del Vangelo di Pietro? Notiamo subito che i due atteggiamenti uguali presso i due grandi
apostoli si comprendono meglio pensando all'unione e al grande affetto che regnava tra loro.
Giovanni, il «figlio del tuono» è diventato talmente umile al contatto della sua «seconda
madre», la Vergine Maria, che pare non voglia più agire da sé ma solo desideri di perdersi
nell'ombra di Pietro, suo capo ed amico.

L'abate Fouard l'ha ben rivelato: «Sul cuore di Gesù e vicino a Maria il «figlio del tuono»
aveva sentito diminuire la foga che più d'una volta il Salvatore aveva dovuto frenare. Tutto
in lui si volgeva ora all'amore, alla contemplazione, a impegnarsi nella carità divina di cui
divenne l'evangelista nel tramonto della sua vita. Nell'umile casa dove alloggiava la Madre
di Gesù, Giovanni aveva preso l'abitudine d'una vita di raccoglimento. Anche quando Maria
lo lasciò e s'addormentò l'ultima volta sotto i suoi sguardi per addormentarsi in cielo, la
predicazione di Giovanni non prese il volo che presagivano l'impetuosità della sua
giovinezza e il suo ardente amore per Gesù. Come i suoi fratelli nell'apostolato Egli
evangelizzò senza dubbio; come loro non visse che per far conoscere ed amare il Salvatore,
ma il suo ministero non ebbe uno slancio simile a quello di Pietro, di Giacomo, di Paolo
soprattutto. La tradizione sempre sobria di dettagli sugli Apostoli, indica almeno però in
quali regioni lavorarono, ma per S. Giovanni essa tace. Durante la vita di Pietro e Paolo essa
non ne parla e si accontenta di ripresentare ai nostri occhi l'attività di Giovanni soltanto
negli ultimi tempi del primo secolo cristiano. Ma allora ce lo mostra in una incomparabile
maestà, dominante la fine dell'età apostolica coi suoi scritti divini e col rispetto unanime di
cui è investito » (14).

«Completo silenzio»: ricordiamo questa affermazione che riassume almeno quarant'anni


della vita apostolica di S. Giovanni. Non crediamo però che Maria abbia cercato e sia
riuscita a «spegnere» gli ardori di Giovanni, anzi, è vero il contrario e ne avremo la prova
quando egli prenderà la penna. Non è certo spento colui che fra gli evangelisti fu potuto
paragonare all'aquila, colui al quale appartengono gli scritti più «brucianti », più entusiasti,
più sublimi, soprattutto ciò che la terra, contiene di sacro.

Vedremo più avanti come il silenzio di Maria fosse un silenzio cantante, un silenzio lirico in
tutta la forza del termine, in una parola un silenzio contemplativo. Così deve essere stato
anche per S. Giovanni: le testimonianze sono d'uria evidenza abbagliante. Basterebbe aver
scritto il prologo per prender quota nei più alti gradi della scala della contemplazione.

E' venuto ora il momento di domandarci in quale misura e in quale modo la Vergine Maria
ha potuto collaborare al più bello ed al più mistico dei nostri Vangeli.

Il quarto Vangelo . - Il quarto Vangelo è l'opera della estrema vecchiaia dell'Apostolo


Giovanni. Secondo la tradizione egli era quasi centenario quando scrisse. Possiamo
collocare la sua composizione sotto il regno di Nerva e di Traiano tra l'anno 96 e 100. Senza
dubbio era più di mezzo secolo che la Vergine Maria aveva abbandonato la terra e non si fa
quindi questione d'una sua precisa collaborazione alla redazione del testo stesso. Ma sarebbe
puerile credere che il Vangelo sia nato nello spirito di Giovanni nel momento stesso in cui
cominciava a redigerlo. S'egli non lo avesse predicato prima di scriverlo come glielo si
poteva chiedere? E se avesse taciuto sessant'anni su quanto conosceva di Gesù e magari non
vi avesse neppur ripensato, che cosa dovremmo dire della sua fedeltà al ricordo del
Maestro?

Il quarto Vangelo non nacque certo per generazione spontanea. Si dovrebbe dire di Giovanni
come di Maria: Egli conosceva tutte queste cose e le viveva nel suo cuore. Ma in realtà non
fu per ambedue la stessa cosa.

Vedremo che secondo supposizioni verosimili fu soltanto negli ultimi giorni della sua vita
terrestre che Maria acconsentì a manifestare per iscritto sotto dettatura i preziosi segreti
della sua memoria. E ci vollero senza dubbio le preghiere dei suoi circostanti, e di S.
Giovanni in prima linea, per ottenere che Ella parlasse. Dietro il suo esempio S. Giovanni
tenne per altro mezzo secolo nascoste nelle più intime pieghe del suo spirito le pagine
immortali di cui si nutriranno le anime mistiche dell'avvenire. Comunque noi terremo prima
per certo che Giovanni predicò il suo Vangelo lungamente prima di scriverlo: in secondo
luogo ch'egli non incominciò a predicarlo che piuttosto tardi poiché non si trova alcuna
traccia d'influenza del particolare contenuto di quella predicazione nella redazione dei tre
sinottici. Per chiarire le due osservazioni dette sopra diciamo che se la redazione del testo di
S. Giovanni si colloca fra il 96 e il 100 d. C. era più d'un quarto di secolo, trent'anni circa,
ch'egli ne esponeva oralmente i commoventi episodi ai suoi uditori privilegiati. Difatti la
redazione dei primi tre Vangeli si pone fra il 60 e il 64. Giovanni abitò a Gerusalemme,
pare, per lungo tempo, fino a quando il soggiorno nella città santa, divenuta città maledetta,
fu possibile. E' là che la casa aveva accolto la Vergine, là ch'Ella ebbe la sua tomba poco
lontana da quella in cui aveva riposato Gesù (15) e perciò egli rimase legato a quel luogo
per dovere oltre che per amore. Se quindi egli avesse predicato il suo Vangelo per una
trentina d'anni, se per di più avesse lasciato capire ch'egli possedeva dei ricordi capaci
d'arricchire il Vangelo orale in circolazione dai primi giorni, non si comprenderebbe come S.
Matteo così piamente avido di tutto ciò che potesse completare le sue note personali e S.
Luca, diligente ricercatore, si siano lasciati sfuggire le notizie di Giovanni e non le abbiano
accennate nei loro testi.

Ripetiamo il ragionamento fatto sopra: si può pensare che Giovanni abbia passato gli anni,
dal trenta al settanta senza meditare sulla vita del suo Gesù, senza pensarvi tutti i giorni,
senza riandare nella sua memoria i suoi discorsi, senza ripassare nel suo cuore ciò che vi
conservava? È verosimile, soprattutto, ch'egli abbia vissuto nella medesima casa con Maria
Vergine e che abbiano avuto fra loro, nei quindici o vent'anni di sopravvivenza della
Madonna, delle innumerevoli conversazioni senza che Gesù sia stato il loro tema ordinario,
se non esclusivo, di tali intimità? Ella era la Madre e lui l'amico. Il loro cuore ardeva
d'amore per Lui solo. I loro pensieri erano pieni di Lui. Gesù morente li aveva donati l'una
all'altro e nelle parole d'un Dio agonizzante c'era ben altro che la preoccupazione d'un figlio
buono che pensa agli estremi giorni di sua Madre.

Noi manteniamo una conclusione: che Gesù nell'unire le due vite col nodo indissolubile
d'una vera filiazione, aveva l'intenzione che Giovanni rivelasse a Maria ciò ch'egli sapeva di
particolare su Gesù e che Maria rivelasse a Giovanni tutto ciò ch'Ella intuiva e ricordava del
suo divin figlio. Con Maria e Giovanni viventi sotto lo stesso tetto ed uniti nel medesimo
grande amore, Gesù morente creava un centro di contemplazione mistica, una specie di
Chiostro senza il nome nel seno della Chiesa nascente. Quelli che ignorano che cosa sia il
chiostro e a che cosa serva nella vita della Chiesa sorrideranno a questo pensiero. Una cosa
qui ci sembra sicura e cioè che il quarto Vangelo prima d'essere un Vangelo mondiale fu un
Vangelo mariano nato dalle conversazioni quotidiane, tenere e commoventi, piene
d'adorazione e di slanci d'amore fra Maria e il suo secondo figlio, l'apostolo Giovanni.

Soltanto così possiamo comprendere il silenzio e l'ombra fitta che ricopre da un lato gli
ultimi anni di Marra quaggiù e dall'altro l'apparente inerzia di Giovanni, il figlio del tuono,
che nulla intraprende, che non predica in alcun posto, non si mostra con Pietro che in due o
tre circostanze fino al giorno in cui la voce di Dio, dopo la morte di Pietro e di Paolo, lo
chiama ad una vita più attiva e lo propone alla venerazione di tutte le Chiese d'Oriente.

Il Vangelo mariano . - Con la parola «Vangelo Mariano » noi intendiamo un Vangelo in tutta
la forza dei termini, cioè una raccolta di narrazioni scrupolosamente esatte e veridiche, di
deposizioni sacre provenienti da un testimonio pronto a versare il suo sangue per
confermare la sua testimonianza.

Intendiamo anche un Vangelo che per lungo tempo non fu predicato ad alcuno, che fu
riservato solo a Maria, che fu composto dalle risposte di Giovanni alle instancabili domande
di Maria e che prese la sua forma e il suo rilievo da questa santa curiosità della Madre.
Infine intendiamo un Vangelo in cui si compendiano le più profonde speculazioni, o meglio
le più ineffabili intuizioni, meditazioni ed aspirazioni della più amante e più santa delle
Madri e del più costante, affettuoso e penetrante degli amici. Abbiamo sentito Bossuet
proibire agli uomini di ricercare «quali erano le occupazioni e i meriti» della Vergine
«durante il suo pellegrinaggio terreno».

Non ci sembra che occorra un grande sforzo d'invenzione per scoprire le occupazioni di
Maria, se non forse per misurare i suoi meriti. Si tratta di occupazioni esteriori? Dovevano
essere le stesse delle donne ebree del tempo: preparazione dei pasti, riordino dell'umile casa,
lavori banali, volgari e fastidiosi a chi non vede che l'esterno, ma che possono e devono
illuminare, abbellire, nobilitare e rendere gioioso ed amato il sentimento della presenza di
Dio e l'obbedienza alla sua volontà.

Si tratta invece di occupazioni spirituali? Non si può dubitare che questo «Chiostro»
esemplare, modello dei secoli futuri, la casa di Giovanni, non abbia riservato ad esse il posto
principale ed ancor meno si dubiterà che tali occupazioni non abbiano avuto Gesù,
costantemente Gesù, solo Gesù e sempre Gesù per centro, punto di partenza e d'arrivo, tema
principale e tema secondario.

- Parlami di Lui, o mio figlio, Giovanni!

- Sì, Mamma, parliamo di Lui, volete che ripetiamo la storia della donna di Samaria?
Oppure ricordiamo la conversazione col ricco e saggio Nicodemo che fu tanto buono
nell'ora della sepoltura?

- Oh, sì, parliamo di Nicodemo e di come Gesù dicesse: Nessuno è salito al Cielo se non
Colui che è disceso dal Cielo, il Figlio dell'Uomo che è nel Cielo.

Desiderate sentire oggi il racconto della guarigione di Betsaida?

- Sì, quanto sono belle le parole del nostro Diletto: Mio Padre agisce sino al presente ed
anch'io agisco (16).
- Per queste parole l'hanno trattato da bestemmiatore. Hanno cominciato ad odiarlo, Lui che
era l'amore, la bontà, la Verità, la Vita!

- E frattanto egli diceva loro: Voi scrutate le Scritture perché in esse credete di trovare la
vita eterna, è sono proprio esse che mi rendono testimonianza, eppure voi non volete venire
a me per avere la vita!

- Ciò che essi non hanno voluto fare noi lo faremo. Scruteremo le Sacre Scritture: sono esse
che ci parlano di Lui.

Volete che vi ripeta le parole pronunciate a Cafarnao quand'Egli promise di dare la sua
Carne in cibo e il suo Sangue in bevanda?

- Non ripeteremo mai abbastanza, figlio mio, le parole tanto commoventi del nostro Gesù:
In verità, in verità vi dico, se non mangiate la Carne del Figlio dell'Uomo e non, bevete il
suo Sangue non possederete la vita in voi. Colui che mangia la mia Carne e beve il mio
Sangue possiede la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultima giorno poiché la mia Carne è
veramente cibo ed il mio Sangue è veramente bevanda. Colui che mangia la mia carne
dimora in Me ed io in lui. Allo stesso modo che il mio Padre vivente mi ha mandato e che io
vivo per il Padre, così colui che, Mi mangia vivrà per Me. Questo è il pane disceso dal
Cielo, non quello che i vostri padri hanno mangiato e non ha loro impedito di morire. Colui
che mangia di questo pane vivrà eternamente.

- Quale felicità è la nostra di ritrovarlo ogni giorno nella frazione del pane, di nutrire le
nostre anime della sua Carne, di sentire il suo Sangue scorrere nel nostro cuore. Pietro aveva
ben ragione di dire quando molti lo abbandonavano: Signore, a chi andremo noi? Tu solo
possiedi parole di vita eterna e noi crediamo che tu sei il Santo di Dio.

Rappresentiamoci Maria seduta, secondo il sistema giudeo, su un semplice cuscino o su una


stuoia, protesa nelle domande all'apostolo ripetendo, dopo di lui, le parole del suo Gesù
come nella sua infanzia ripeteva le parole della Bibbia, imparate dalla sua pia Madre e
ripetute dai Sacerdoti del Tempio (17).

Immaginiamo soprattutto le emozioni di questa santa Madre quando Giovanni ricordava le


violenti dispute di Gesù coi farisei sotto il portico del recinto sacro; quando le richiamava i
loro disegni deicidi ma più ancora quand'egli le raccontava i bellissimi episodi della
guarigione del cieco nato, della risurrezione di Lazzaro, della lavanda dei piedi e le tragiche
peripezie della passione. C'erano episodi che Maria conosceva per essere stata presente o
per averli sentiti da altri ma essa si compiaceva in modo speciale in questi discorsi intimi e
nelle effusioni di tenerezza del dolce Maestro.

Poteva la Madonna ascoltare senza piangere, Lei la Madre, certe parole che toccano i cuori
anche più insensibili dei nostri? Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dona la vita per le
sue pecorelle. Colui che è mercenario e non è pastore e le cui pecorelle non sono proprie,
vede venire il lupo, lascia le pecore e il lupo le rapisce e le disperde perché egli è
mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecorelle e
loro conoscono me come mio Padre mi conosce ed io conosco il Padre. Io offro la mia vita
per le mie pecorelle. Ed ho altre pecorelle che non sono di quest'ovile e bisogna che
conduca anche quelle. Ed esse intenderanno La mia voce. E ci sarà un solo ovile ed un solo
pastore.

Quale magnifico slancio di speranza religiosa, quali fervorose implorazioni dovevano


suscitare nell'animo di Maria e di Giovanni tali accenti e tali visioni dell'avvenire!

Tentiamo di fare una ricerca delle pagine del quarto Vangelo che più colpivano l'attenzione e
la contemplazione della Madonna. Ma come fare una scelta tra tante bellezze? Citeremo i
discorsi dopo la cena, quei quattro capitoli meravigliosi che nessuna letteratura sacra e
profana è mai riuscita ad eguagliare con qualcosa di simile (18).

Oppure preferiremo i racconti ai discorsi? I più commoventi si trovano ancora in S.


Giovanni. Bisognerebbe rivederli tutti, rileggerli attentamente, lentamente, amorosamente,
pensando che la Madonna li ha sentiti per la prima, che i racconti sono stati fatti dapprima
per Lei sola e che i discorsi sono stati ricostruiti per rispondere ai legittimi desideri del suo
cuore. Bisognerebbe soprattutto, meditandoli, tentare di riprodurre in noi le emozioni, i
pensieri; le pie aspirazioni, le intime orazioni e tutti i movimenti d'anima che risvegliavano
in Lei. Si capisce come tutto ciò abbia nutrito il suo spirito, alimentato per degli anni la sua
fede e il suo amore. Ci sono tanti insegnamenti nelle parole e negli esempi del Redentore.
Un'intera giornata era necessaria alla Madonna per raccogliere da frasi come le seguenti
tutto il loro succo: Io sono la Via, la Verità e la Vita. lo sono la Vite e voi i tralci. Rimanete
in Me ed io in voi. Come mio Padre mi ha amato cosi io amo voi. E quale intensità
d'emozione è nascosta in quelle due parole di Giovanni a proposito del sepolcro di Lazzaro:
Gesù pianse.

Parole di questo genere abbondano nel testo dell'apostolo prediletto ed è qui che
giustamente s'indovina la muta cooperazione di Maria in questa potenza di suggestione che
emana dal suo testo, in questo carattere concreto, preciso e minuto della sua redazione. A
differenza degli altri evangelisti diremo che non è mai stanco di dettagliare i tempi, i luoghi,
le circostanze che lo riguardano. Si ha l'impressione che una santa ed infaticabile curiosità
lo perseguiti, lo costringa e lo spinga a non omettere nulla, a ricordarsi dei minuti tratti, a
mettere ordine ed esattezza in tutti i suoi racconti. In una parola c'è Maria presente con lui.
Il figlio deve tener presenti i santi desideri della Madre. E come avrebbe potuto trascurare le
sue legittime esigenze? Non era il caso di soffermarsi a quanto era già di dominio pubblico
per la catechesi comune. Non che Maria fosse indifferente a quelle sorgenti infinitamente
preziose del suo Gesù. Iddio ne scampi. Il quarto Vangelo mostra frequenti ed evidenti
armonie con i precedenti per cui nasce la certezza che Giovanni e Maria li conoscessero a
fondo. Ma Gesù aveva donato Maria a Giovanni e Giovanni a Maria per uno scopo tutto
specifico. Questo scopo era tutta la loro vita e quel che ne è rimasto a noi lontani eredi sia di
Maria che del discepolo è appunto ciò che abbiamo chiamato il Vangelo di Maria.
Serenità mariana. - Se il carattere concreto dettagliato del quarto Vangelo lascia intravedere
il bisogno d'ordine, di precisione e, possiamo dire, anche la sottigliezza dello spirito e del
cuore d'una donna, che cosa dobbiamo dire dell'immensa pace che involge e circonda tutte
queste pagine ammirabili? Senza dubbio il quarto Vangelo non offre nulla di eccezionale
sotto questo aspetto ché i Sinottici sono anch'essi scritti con una meravigliosa serenità di
tono. Ma giustamente siamo portati a credere che tale serenità sia d'origine mariana. Per il
testo di Giovanni non possiamo dubitare e tenteremo di dame subito le prove.

Quando si ricordano le invettive che riempiono le querele religiose del XVI secolo, quando
si ripensa alle ingiurie d'un Lutero, d'un Calvino, d'un Zuinglio o d'un Knox e si evocano i
torrenti fangosi degli oltraggi che costoro si dilettavano di buttare contro i loro avversari:
monaci, teologi, prelati e Pontefici, potremo anche meravigliarci di non incontrare nei nostri
testi evangelici né una parola di condanna, né frasi di esecrazione a carico di Erode,
l'orribile tiranno per la morte dei santi innocenti di Betlemme, né a carico di suo figlio,
l'omicida di Giovanni Battista e neppure a carico di Caifa e di Giuda. Neppure un epiteto
ignominioso a proposito di quei mostri e ciò è tanto più lodevole quando si pensi che il
dolce Gesù aveva detto ad es. di Erode Antipa: Andate a dire a quella volpe ed aveva
pronunciato contro i Farisei due requisitorie estremamente severe (19).

I discepoli dovevano essere fortemente tentati di seguire il suo esempio, ma non hanno
meno fedelmente riportate le parole del Maestro, né si sono mai permessi di pronunciare
delle sentenze contro i loro avversari come Lui aveva fatto. Quale influenza aveva agito nel
senso della dolcezza e del perdono! A parere nostro Qui c'è tutta l'influenza della Vergine. Ci
si permetta di far intendere meglio il nostro pensiero ricorrendo alla forma artificiale sì, ma
comoda e viva del dialogo:

Maria: Figlio mio, che cosa rispose il Signore (20) Quando Pietro gli disse a nome di tutti:

A chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna.

Giovanni: Egli rispose: Non sono io che vi ho scelto tutti e dodici? Eppure uno di voi è un
demonio. Egli parlava del miserabile Giuda ...

Maria: figlio mio, non dire miserabile Giuda, dì Giuda Iscariote senz'altro.

Giovanni: Ma il Signore stesso l'ha chiamato demonio. Egli quindi è maledetto anche per
noi.

Maria: Il Signore è il Re. E Giudice è Lui solo. Lui solo ha il diritto di portare e dare delle
sentenze. A Lui solo appartiene la retribuzione. Non è forse scritto nel libro di Mosè: A me
la vendetta e il premio? (Dt 22, 35) Ricordati di ciò che ha detto il Signore quando volevate
far cadere il fulmine sui Samaritani perché si erano rifiutati di ricevere Lui e voi. Ricordati
come vi ha biasimati per aver impedito d'esorcizzare a colui che cacciava i demoni in suo
nome ma che camminava con voi. Noi non siamo che i servitori, non siamo che i sudditi e
non abbiamo il diritto d'usurpare il suo potere a meno ch'Egli non l'abbia formalmente
delegato.

Giovanni: Come dirò allora parlando di Giuda? Maria: Dì semplicemente: Egli parlava di
Giuda figlio di Simone Iscariote poiché lo doveva tradire, lui, uno dei dodici! Così dirai
tutta la verità e il delitto di Giuda sarà sufficientemente ricordato. Di fatto nessun epiteto per
quanto sforzante può raggiungere la potenza di questa breve formula: lo doveva tradire, lui,
uno dei dodici.

Incontreremo un altro esempio nel racconto dell'infanzia come si trova in S. Matteo a


proposito di frode (21). E si vedrà che anche tale esempio con tutta verosimiglianza si può
far risalire alla Vergine.

Il caso di Caifa . - Il caso di Caifa ci sembra particolarmente sorprendente. Il seguente


dialogo immaginario farà vedere come lo intendiamo.

Maria: fu per il fatto che il Signore aveva reso la vita a Lazzaro che i grandi Sacerdoti lo
condannarono a morte?

Giovanni: Ciò purtroppo è vero. E' il grande Sacerdote Caifa che ha commesso questo
misfatto. Su di lui cadrà la maledizione del cielo.

Maria: Figlio mio, non bisogna soffermarsi alle persone che passano. Bisogna vedere al di
sopra degli uomini la mano dell'Onnipotente. Caifa era grande Sacerdote. Parlando come
fece, egli profetava ...

Giovanni: Segneremo dunque tra i Profeti questo uomo di cui il Signore ha detto a Pilato:
Colui che mi ha mandato a te ha commesso un peccato più grave?

Maria: figlio mio, ti ho detto che il Signore solo scruta le reni e i cuori. Lui solo è giudice
dei peccati degli uomini. Tu sei stato per l'addietro il «figlio del tuono». Da quando Gesù ha
detto, e l'hai sentito tu stesso: Perdonate loro non sanno quel che si fanno, tu devi essere il
figlio della pace e dell'amore. Guardiamo al disopra degli individui. Il Signore ha ripreso i
discepoli sul cammino d'Emmaus perché non comprendevano le scritture: Non era
necessario che il Cristo soffrisse tutto questo e così entrasse nella sua gloria?

Ciò che Caifa ha detto per far decidere la morte del Signore era già previsto e predetto. C'era
nelle sue frasi una cosa che neppure lui comprendeva e che riteneva secondo lo spirito dei
Profeti: Voi non riflettete che è nel vostro interesse che un solo uomo muoia per il popolo.
Ricordiamo questo Caifa ha servito allo spirito da portatore parlando per caso. Egli
l'ignorava ma noi non possiamo ignorarlo, noi, i fedeli servitori che ha redenti col suo
Sangue.
Giovanni: E che diremo dunque di Caifa? Maria: Riporterete le sue precise parole poiché la
verità ha la precedenza su tutto. Ma invece di condannarlo potete aggiungere: Ora egli non
ha detto questo per conto proprio ma essendo Sommo Sacerdote in quell'anno egli profetò
che Gesù doveva morire per il suo popolo e non solamente per esso ma per ricondurre
all'unità i figlioli di Dio che s'erano dispersi. Così bisogna comprendere ciò che il Signore
diceva prima: Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle: ed io ho altre pecore che non
sono di quest'ovile. Ed esse intenderanno la mia voce. E vi sarà un solo ovile sotto un solo
Pastore.

È vero che in questo campo noi siamo in piena ipotesi, non sono cose che si possono
dimostrare come un teorema di geometria o un'analisi di un testo di storia. Ma è umano
pensare che l'interpretazione data da Giovanni al linguaggio di Caifa non può essersi
presentata di primo acchito al suo spirito, poiché vi si sente il frutto di lunghe e sottili
meditazioni in cui si intuisce l'influenza d'uno spirito di donna superiore. Ci si può
domandare con un certo diritto come mai il «figlio del tuono» che si ritrova nella immagine
grandiosa e terrificante dell'Apocalisse, ha potuto addolcirsi fino al punto riscontrato nei
due casi segnalati.

O si ammette che Maria non ha avuto su di lui alcuna influenza - ciò che è affatto
inverosimile - oppure bisogna concludere che tanta serenità e una pace tanto perfetta e
soprannaturale non possono avere che un'origine mariana.

Se si analizza il racconto di Giovanni relativo al «colpo di lancia» dopo la morte di Gesù in


croce, vi si ritrovano le stesse caratteristiche che abbiamo riscontrato nella narrazione del
complotto di Caifa. Nel momento in cui la lancia del soldato incosciente trapassò il sacro
costato del Signore, Giovanni e le pie donne avranno potuto trattenere un grido di terrore e
di riprovazione? non lo possiamo credere. Eppure quando Giovanni riporta il fatto nel
Vangelo non vuol più vedere che il simbolo della meccanica crudeltà di Longino. Non vuol
ricordarsi che dei Profeti che già l'avevano annunciato.

Noi vedremo che tutta la filosofia religiosa di Maria consiste nel riconoscere Dio in tutti gli
avvenimenti, senza arrestarsi agli intermediari umani. Lo studio attento del Magnificat ce ne
fornirà la prova e saremo sul solido terreno dei documenti. Intanto si può affermare che
Maria ha insegnato al suo secondo figlio la propria arte sublime, come pure l'insegna a noi
stessi: non riguardare che Dio in tutte le cose. E' Lui che conduce tutto e nulla accade che
non contenga - felice o poco accetto alla natura una lezione o un richiamo di Dio.

Motivo del lungo silenzio di Giovanni. - Possiamo attribuire ancora alla Madonna il lungo
silenzio di Giovanni, cioè quella riservatezza ch'egli mantenne per lunghi anni circa gli
insegnamenti da lui conosciuti nelle conversazioni con la Madonna: sulla vita e morte di
Gesù.
Abbiamo detto che il quarto Vangelo non è stato predicato apertamente prima della caduta di
Gerusalemme. Se non fosse così non si potrebbe capire come mai non abbia influito sui
Sinottici. D'altra parte se Giovanni non avesse predicato il suo Vangelo prima di scriverlo,
come avrebbero potuto i cristiani supplicarlo di non abbandonare questa terra senza lasciarci
per iscritto la sua testimonianza personale?

Data la sua impetuosità naturale c'è da pensare che Giovanni non avrebbe aspettato tanto
tempo prima d'entrare nella carriera apostolica attiva per predicare ciò che egli aveva sentito
e visto e per completare quell'evangelo orale iniziato da Pietro. Chi l'ha trattenuto? Non può
essere che la Madre a cui Gesù morente l'ha dato per figlio.

Abbiamo detto in precedenza che il suo Vangelo dovette essere lungamente meditato,
ch'esso suppone una gestazione prolungata, parecchi quesiti da parte di Maria e sforzi di
memoria per la ricostruzione verbale da parte di Giovanni. Diciamo ora che quest'opera
comune alla Madre e al figlio non doveva essere affidata tutto ad un tratto alla pubblicità. Il
tatto superiore d'una donna non lo permetteva, ché non conveniva infliggere a Pietro né agli
altri apostoli il biasimo implicito di numerose omissioni e dimenticanze importanti e
recidive. Il Vangelo orale tessuto da Pietro su testimonianze invincibili soddisfaceva
largamente agli inizi dell'evangelizzazione. Se anche gli apostoli non avevano potuto
conservare con tutta precisione molti dei ricchi colloqui che ritroviamo nel Vangelo di
Giovanni non per questo ne sciuparono lo spirito e il profumo.

I primi fedeli ricevevano nei bei racconti trasmessi da Marco una iniziazione abbastanza
completa perché il messaggio di salute fosse perfettamente chiaro. Ci fu dunque fra Maria e
Giovanni una santa cospirazione di silenzio. Prestiamo l'orecchio per un momento a quanto
si diceva nel «chiostro ».

Maria: Figlio mio, non si deve precorrere i disegni dell'Altissimo: in tutte le cose c'è l'ora
segnata da Dio. L'abbiamo notato molte volte durante la vita terrena del Signore. Quando i
suoi nemici volevano fari o morire egli sfuggi, senza timore perché la sua ora non era
ancora arrivata. Ha parlato egli stesso, più volte, della sua ora. Ha atteso per trent'anni a
Nazareth l'ora di incominciare la sua missione di salute. Quando partì per recarsi sulle rive
del Giordano a ricevere il battesimo da Giovanni, volle passare ancora quaranta giorni nel
deserto fra i digiuni e le preghiere prima di presentarsi come Messia. E quando assistemmo
alle nozze di Cana, alla domanda ch'io gli avevo rivolto per quella povera gente che non
aveva più vino, egli rispose: Che importa a te e a me, o Donna? La mia ORA non è ancora
venuta.

Giovanni: E' vero, Madre mia, ma egli fece ugualmente il miracolo.

Maria: Lo fece, era un atto d'infinita bontà per Colei ch'Egli degnava onorare come sua
Madre. Ma la lezione non è stata perduta per me: c'è per ogni cosa un'ora che bisogna saper
attendere fino a quando a Dio piacerà. Quando il Signore m'avrà tolta da questa terra
d'esilio, aspetterai che Egli ti dia un segno della sua volontà. Gesù in questo tempo è
predicato, annunciato a tutte le pecorelle. Ma verrà giorno in cui si sarà felici di raccogliere
dalla tua bocca le testimonianze che hanno formato la nostra gioia in questa casa.

Che tale sia stato il pensiero di Maria cercheremo di provarlo anche nello studio dei racconti
dell'infanzia. Ma prima d'iniziare questa analisi è bene consacrare un capitolo speciale a
quella pagina unica della storia qual è il Prologo di S. Giovanni.

__________

Capitolo III

Sommario: Carattere unico del Prologo. La parola del Verbo. La preesistenza di Gesù. I
ricorsi alle Scritture. Gesù nell' Antico Testamento - La saggezza - Maria e Gesù - Gesù e la
Bibbia. Gesù maestro di Maria. La doppia missione di Maria e di Giovanni. Maria e il
Prologo - La firma di Maria.

***

Carattere unico del Prologo. - Abbiamo denominato il silenzio di Maria e di Giovanni un


silenzio lirico, cantante e, in altre parole, lo abbiamo chiamato un silenzio contemplativo ed
entusiasta.

Quando studieremo il Magnificat sotto questo punto di vista avremo un bell'esempio di


questo genere di silenzio. Maria non taceva quasi non avesse nulla da dire, ma perché ne
aveva troppo; perché si teneva costantemente al cospetto del Signore e parlava sempre a Lui
nel suo cuore: La mia anima glorifica il Signore! Lode che riassume perfettamente tutto il
suo silenzio e ne traduce il senso profondo.

Per Giovanni il Prologo è la più gloriosa manifestazione del silenzio lirico e cantante dì cui
parliamo. E se ci fu qualcuno sensibile al lirismo esso è il grande Bossuet. Non c'è prosa più
lirica della sua. Per questo quando s'avvicina al prologo di S. Giovanni egli si sente costretto
ad usare questo modo lirico. «Dove mi perdo, dice, in quale profondità, in quale abisso?
Gesù Cristo può essere l'oggetto delle nostre conoscenze? Indubbiamente perché proprio a
noi è indirizzato il Vangelo. Andiamo dunque! Camminiamo al seguito dell'aquila degli
Evangelisti, del prediletto fra i discepoli, d'un altro Giovanni come il Battista, di Giovanni
figlio del tuono che non parla affatto un linguaggio umano, che rischiara, tuona, stordisce,
che rovescia ogni spirito creato sotto l'obbedienza della fede quando con rapido volo fende
l'atmosfera, squarcia le nubi, s'eleva al di sopra degli Angeli, delle Virtù, dei Cherubini, dei
Serafini ed intona con queste parole: In principio era il Verbo».

E dopo aver commentata questa frase iniziale di nuovo il grande scrittore si arresta per
gridare la sua grande ammirazione: «Dove sono io? Cosa vedo? Cosa sento? Taci, o mia
ragione e, senza ragione, senza discorsi, senza immagini sensibili, senza le parole sonore,
senza il soccorso di alcun pioniere che batta la strada o d'una immaginazione agitata, senza
turbamenti né sforzi umani diciamo nell'intimo con fede ed intelletto piegato e soggetto: Al
principio ma senza principio; avanti ad ogni principio e al di sopra di tutti i principii era
Colui che è e sussiste sempre: il Verbo, la parola, il pensiero eterno e sostanziale di Dio ». E
quando Bossuet ha tentato nuovamente di tradurre nella sua bella e forte lingua il seguito del
primo versetto del Prologo non ha potuto trattenersi dal prorompere ancora: «Ah, io mi
perdo, non posso, più, non posso più dire che Amen: è così. Il mio cuore dice: E' così. Amen.
Quale silenzio; ammirazione, stupore! Quale nuova luce! Ma quanta ignoranza! Io non vedo
niente e vedo tutto. Io vedo questo Dio che era al principio, che esisteva nel seno di Dio e
non lo vedo affatto. Amen. E' così. Ecco tutto ciò che mi rimane dei discorsi. che sto per
fare: un semplice irrevocabile assenso; per amore alla verità che la fede mi manifesta.
Amen, amen, ameno Ancora una volta: Amen! Per sempre: Amen».

E' così che l'aquila di Meaux ammira il volo dell'aquila di Patmos (22).

Sappiamo fino a qual punto Bossuet era nutrito della tradizione patristica: Si sente quasi
ascoltandolo, la vasta eco di tutti i secoli cristiani (23).

Ed ora oseremo diminuire la gloria di Giovanni?

Gli toglieremo la paternità di questa splendida rivelazione del Verbo? in questi brevi
pensieri in cui ogni età ha intravisto i fremiti d'ala dell'aquila noi ci limiteremo a vedere i
voli di colomba?

Consideriamo attentamente il problema che ci si pone dinnanzi: questa pagina porta forse le
tracce dell'influenza mariana? Giovanni ha scoperto la dottrina del Verbo nel momento di
scriverla o la conservava in sé fin dalle lontane conversazioni con Colei che Gesù gli aveva
dato per Madre?

La parola: Verbo. - Ma che cosa intendiamo noi per dottrina del Verbo? facciamo questione
della parola?

La troviamo già nell'Apocalisse che gli specialisti unanimemente collocano per ordine di
tempo prima dell'Evangelo. Giovanni quindi possedeva questa espressione prima di usarla
nel Prologo (Ap 19, 13).
Ma da quanto tempo aveva presa l'abitudine di designare con quel nome solenne il Cristo
Gesù, il suo Maestro amatissimo? Non lo sappiamo né pretendiamo di far salire l'uso di
questo termine al tempo in cui la Vergine abitava a Gerusalemme sotto il suo tetto. Il
«chiostro» dove si svolgevano quelle sublimi conversazioni tra lui e la Madre forse non ha
mai sentito risuonare questa espressione. Ma del resto ciò non ha molta importanza.

Piuttosto, per dottrina del Verbo noi intendiamo essenzialmente il posto dato a Gesù presso
il Padre suo, da tutta l'eternità, l'identificazione del figlio di Dio col pensiero creatore, con
quella grande potenza d'ordine e d'armonia in cui lo spio rito amante rivela la magnificenza
della natura e della grazia, potenza che si definisce: Sapienza divina.

Porre bene il problema fin da principio con termini chiari vuol dire già facilitarne la
soluzione.

Con l'evidenza basata su una certezza psicologica, che non consente alcun dubbio, abbiamo
ammesso finora che Maria e Giovanni non hanno potuto vivere insieme dieci, quindici anni
senza parlare di Gesù. E come conseguenza di questa prima affermazione si pensa che
avranno spesso parlato della sua divinità, della natura profonda della sua persona e della sua
preesistenza. Avranno certamente scrutato, e più d'una volta, le Sacre Scritture che erano per
essi la parola stessa di Dio, per venerare le qualità profetiche del grande Re dei loro cuori ed
unirvi affettuosamente quanto conoscevano della sua vita e del suoi insegnamenti come
adempimento dei sacri oracoli. Fra i suoi miracoli alcuni specialmente saranno stati
l'oggetto della loro attenzione contemplativa, quelli in cui si traduceva la presenza stessa di
Dio Sapienza increata di cui Gesù era per essi la vivente incarnazione.

Ma qui non siamo nel campo delle congetture, o meglio, abbiamo il mezzo e il dovere di
uscirne. Nel quarto Vangelo, come opera comune di Maria e di Giovanni, noi dobbiamo
trovare le tracci e sicure delle questioni che abbiamo enumerate sopra e cioè, se il quarto
Vangelo è più sensibile degli altri alla questione della preesistenza di Gesù; se vi è traccia di
ricorsi alle S. Scritture per verificare i titoli profetici che Giovanni gli dà nel suo testo e
infine se l'identificazione di Gesù con la Sapienza Creatrice si trova, almeno, come spunto
allettatore dei discorsi di Gesù riportati dagli Apostoli.

La preesistenza di Gesù. - Se dubbio vi è su questo primo argomento esso fu sollevato dagli


attacchi fatti, al quarto Vangelo, dai negatori della divinità di Cristo. Tutti i secoli avevano
riconosciuto al Vangelo di Giovanni una preminenza indiscussa e la preferenza la troviamo
anche in Lutero e Calvino. Solo l'epoca delle macchine e del materialismo in nome di una
filosofia degna di lei si è riservata il compito di ridurre tutte le cose ad un meccanismo senza
cuore, di sopprimere in Dio la Sapienza e la Bontà per non vedere in tutto che un fatalismo
inesorabile, di negare il soprannaturale e il miracolo, di nascondere la vita dello spirito nel
cigolante congegno della materia cieca e brutale e di mostrarsi per conseguenza d'una
severità inesorabile verso il Vangelo mistico e spirituale per eccellenza.
Le generazioni future si meraviglieranno, crediamo, dell'orgoglio dogmatico, della puerilità
presuntuosa, delle negazioni ostinate ed infantili di un'epoca ormai giudicata attraverso i
suoi risultati miserabili.

Dalle stesse critiche ingiuriose contro il Vangelo di Giovanni risulta la gloria di Gesù più
clamorosa che negli altri, la sua divina personalità vi è posta in maggior rilievo e le parole in
cui Gesù si è espresso come superiore al tempo e appartenente all'eternità divina vi sono
state più accuratamente raccolte. Senza dubbio i Vangeli Sinottici sono espliciti come
Giovanni nel dire che Gesù fu condannato quale bestemmiatore per essersi dichiarato
pubblicamente - e si potrebbe dire giuridicamente, cioè in pieno tribunale del Sinedrio -
Figlio di Dio. Se anche si sopprimesse il quarto Vangelo, gli increduli non avrebbero meno
da fare per radiare dalla storia i miracoli di Gesù e le prove della sua divinità. I tre primi
Evangelisti hanno narrato tanto bene questi fatti che Giovanni, il quale scriveva
appositamente per stabilire la divinità del Cristo (24) non ha trovato la minima necessità di
riprodurre dichiarazioni così esplicite come la confessione di Pietro, le parole di Gesù sulla
rivelazione del Figlio e del Padre (25), la parabola del cattivo vignaiuolo e soprattutto la
risposta solenne di Gesù a Caifa nel momento della sua condanna a morte. Però Giovanni ha
fatto parecchie aggiunte a quanto era scritto nei Vangeli precedenti ed è in grazia sua che noi
conosciamo l'accusa della bestemmia per cui fu sconfessato dai capi del suo popolo.

Non è necessario riportare tutti i testi di Giovanni relativi alla preesistenza di Gesù per i
quali non è il caso di avere dubbi. Ricordiamo solamente la riflessione fatta a Nicodemo:
Nessuno è salito al Cielo se non Colai che è disceso dal Cielo, il Figlio dell'Uomo che è in
Cielo; la parola detta ai Giudei dopo la guarigione dell'infermo di Betsaida: Mio Padre
opera fino al presente ed io opero; la frase di Cristo a proposito di suo Padre nel tempo della
festa dei Tabernacoli: Io lo conosco perché sono da Lui ed Egli mi ha mandato; e la frase
prodigiosa: In verità in verità vi dico, prima che Abramo fosse nato io sono e infine, alla
dedicazione del Tempio: Io e il Padre siamo una cosa sola. Si rileggano i magnifici discorsi
di Gesù agli Apostoli dopo la Cena, si ricordi l'identificazione ch'Egli stabilisce fra il Padre
e se stesso: Filippo, chi vede me vede mio Padre ... se voi non credete che io sono nel Padre
e che il Padre è in me credete almeno a motivo delle opere.

Si capisce bene l'ardente attrattiva d'una Madre come la Vergine benedetta per tanti ricordi
che Giovanni le riferiva. Più che la teologia astratta la Vergine Madre cercava la persona
stessa del suo divin figlio, si dirigeva direttamente al suo cuore, al suo intimo Essere, alla
sua Essenza Eterna. Si sentiva annientata di fronte alla Divinità uscita dall'infinito per
incarnarsi nel suo seno.

Prima che Abramo fosse io sono. Se non ci fossero che queste parole nel quarto Vangelo
intorno alla preesistenza di Gesù, esse basterebbero a sostenere la nostra tesi. E si intende
anche la ragione profonda dell'umiltà di Maria. Il fiat tremante uscito dalle sue labbra nel
giorno dell'annunciazione, l'umile espressione: Si faccia di me secondo la sua parola,
ritrova la sua sorgente nella visione profonda del tempo in rapporto con l'eternità. Cos'è
stato questo fiat? Una parola buttata sulla linea tortuosa dei secoli. Ma il Figlio di Dio
domina tutti i secoli e non come potenza che è entrata nel fluttuar delle età, ma con la
maestosa immobilità di chi non appartiene al tempo. Maria era ben minima a paragone di
tale maestà e si capisce come la dignità di Madre di Dio non poteva essere accordata ad una
creatura e portata convenientemente da essa se non si fosse inabissata nel sentimento del suo
niente.

Prima che Abramo fosse io sono. Quindi prima che Maria fosse «Egli era». Prima che il
mondo fosse «Egli era!» Fin dove arriveremo noi per sapere da quando Egli era? Andremo
al di là del tempo fino a quel principio che non ha mai cominciato, fino all'eternità e diremo:
Al principio Egli era.

Non c'è dubbio che questi siano stati i frequenti e quotidiani pensieri di Maria. Non sarebbe
stata Colei che Ella era, l'unica creatura in cui l'amore d'una creatura per il suo Dio e l'amore
d'una Madre per il suo Figlio formavano un solo e medesimo amore, s'ella non si fosse
costantemente sentita spingere dal suo amore di creatura ad umiliarsi dinnanzi al suo Dio.

Il ricorso alle Scritture. - Un'ipotesi che prospettiamo senza timore di temerità è che per
poter nutrire il doppio amore che sentiva in sé, il pensiero di Maria deve essersi portato con
predilezione verso le Sacre Scritture invogliandone pure il nuovo figlio, Giovanni.

Gesù si era continuamente appellato alle Scritture; aveva detto ai Giudei: Scrutate le
Scritture, sono proprio esse che mi rendono testimonianza (Gv 5, 39). Esse costituivano
degli argomenti più familiari e più forti e Gesù se ne serviva come di una cattedra preparata
da molti secoli. I profeti erano andati a gara nell'annunziare la missione del Messia. Senza
dubbio i loro oracoli erano stati a poco a poco oscurati dalle passioni nazionalistiche
aggiuntesi ad una precedente materializzazione ed avvilimento del pensiero religioso
giudaico. Ma appunto per questo Gesù era intento a restaurare la vera intelligenza dei testi
sacri. Nel giorno stesso della sua resurrezione sulla strada di Emmaus Egli s'era incaricato di
illuminare con la sua parola tutta la storia messianica contenuta nei libri santi: Non doveva -
dice ai discepoli - Cristo soffrire, per entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè
attraverso tutti i profeti spiega a loro in tutte le Scritture ciò che a Lui si riferiva. Ma
abbiamo noi bisogno di questa prova per pensare che Maria e Giovanni si chinavano
volentieri sulla Bibbia per ritrovarvi il loro caro Gesù?

Quando noi saremo di fronte ai testi che provengono certamente dalla Vergine stessa, non
avremo bisogno di altre prove per persuaderci circa l'ardore instancabile con cui Maria e
Giovanni si curvavano sulla Sacra Scrittura per scrutarla in un tempo in cui Gesù non aveva
ancora raccomandato di farlo. Per la Madonna, come per ogni altra persona religiosa in
Israele, le Sacre Scritture confermavano le sante speranze della tradizione, i lumi che Dio
aveva donato al mondo e rappresentavano le sorgenti insaziabili della salute e le regole
infallibili dell'amore e del servizio di Dio.
Nei passi delle Scritture ricercheremo quello che più interessava alla Vergine e, cioè, non
tanto i dettagli circa la vita di Gesù predetti dai profeti. ma soprattutto la maggior attrattiva
per Lei, serva e Madre del suo Signore: la stessa divina persona di Gesù.

Si poneva o non si poneva il problema del Figliuolo di Dio nell'Antico Testamento? E in


quali termini? Sono i quesiti a cui si deve rispondere.

Gesù nell'Antico Testamento. - Non ricerchiamo ora quello che nell'antico Testamento
riguarda Gesù come Uomo. Maria doveva conoscere meglio di chiunque altro i testi che noi
chiamiamo messianici. Anche se essi provenivano solo dalla bocca dei discepoli d'Emmaus,
possiamo credere che Ella li avrà raccolti con le cure più materne. Vediamo invece in questo
paragrafo l'apporto dell'Antico Testamento alla rivelazione del Figlio di Dio. Gesù stesso
aveva detto: Io sono la Luce. Io sono la Via, la Verità, la Vita. Ci sono nella Bibbia delle
pagine in cui la luce divina è personificata, dove la Verità e la Vita di Dio ci sono
rappresentate come delle persone divine?

La risposta è senz'altro affermativa e non tanto perché si possa insinuare che i Giudei
conoscevano la generazione del Verbo divino e ancor meno il Mistero della SS. Trinità, ma
in quanto si può affermare cogli esegeti cattolici che i testi in questione senza alcun dubbio
sotto l'ispirazione dello Spirito Santo sorpassano l'intelligenza stessa del loro autore storico,
chiunque sia stato, e superano nettamente ogni parallelo e allegoria tendenti a far conoscere
in Dio una filiazione ineffabile. Ed è sorprendente che si incontrino certi passi nei libri che
costituivano per Maria una specie di beni di famiglia, vogliamo dire il Libro dei Proverbi e
quello della Sapienza. Il primo era formalmente attribuito a Salomone, figlio di Davide e
nella genealogia data da S. Matteo, Salomone figura fra gli ascendenti diretti di Gesù.

È naturale, ad ogni modo, che una figlia di Davide, per tradizione familiare si interessi delle
opere illustri d'un antenato immortale. Notevole è il fatto che la liturgia cattolica abbia
usufruito spesso di passi dei libri sapienziali per introdurli negli uffici delle feste mariane.
Sono passi che non si applicano direttamente a Maria ma essa deve averli recitati con
delizia, meditati in estasi e commentati con entusiasmo sia con Gesù come con Giovanni.
Lo notiamo di passaggio come un pensiero che può offrire un alimento di più alla pietà
cristiana.

La Sapienza. - In compagnia della Madonna leggiamo il più eloquente di questi passi. Essa
aveva ripetuto con Giovanni: Il mio Gesù era la Luce, la Verità, la Vita, era comunque la
Sapienza per eccellenza, la Sapienza stessa di Dio. Che cosa doveva pensare, in quali
trasporti di gioia e di alta contemplazione era elevata quando ripeteva lentamente - con
Giovanni accanto, che le faceva eco - dei passi come il seguente: «Il Signore mi ebbe con sé
nel principio delle sue opere prima che alcuna cosa fosse creata. Dall'eternità ebbi io
principio, ab antico, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi ed io ero già
concepita. Non iscaturivano ancora i fonti delle acque, non posavano ancora i monti sulla
gravitante loro mole, prima delle colline io ero partorita. Egli non aveva ancora fatta la terra,
né i fiumi, né i cardini del mondo. Quand'Egli dava ordine ai cieli io era presente; quando
con certa legge e nei loro confini chiudeva gli abissi, quando laggiù stabiliva l'aere e
sospendeva le sorgenti delle acque; quando i suoi confini fissava al mare, dava legge alle
acque perché non oltrepassassero i limiti loro, quando gettava i fondamenti della terra, con
Lui io era, disponendo tutte le cose ed era ogni dì mio diletto scherzare nell'universo: è mia
delizia stare coi figli degli uomini...» (26).

Magnifico tema di commovente meditazione per Maria e per Giovanni! Il loro spirito
assisteva quasi al grazioso spettacolo della creazione, trasportato com'era al di là del tempo
e delle cose. E nella gioia dell'eternità essi percepivano Gesù sorridente nella sua
preesistenza infinita. Prima che Abramo fosse io sono, aveva detto Gesù. Dov'erano le
origini del suo Essere? La chiarezza e il lirismo di questo passo doveva attrarre vivamente
Maria e Giovanni cui la continuazione della lettura offriva nuove e meravigliose
applicazioni al loro Gesù.

Egli aveva detto: Io sono la Vita. Io sono venuto perché abbiano la Vita, e al medesimo
capitolo dei Proverbi si leggeva: «Ora dunque, o figliuoli, ascoltatemi: Beati quelli che
battono la mia via. Udite i miei insegnamenti e siate saggi e non li rigettate. Beato l'uomo
che mi ascolta e veglia ogni dì all'ingresso della mia casa e sta attento sul limitare della mia
porta. Chi mi troverà avrà trovato la vita e dal Signore riceverà la salute. Ma colui che mi
offende ferisce la sua anima e tutti quelli che mi odiano amano la morte ».

Come non ricordare a questo punto l'odio dei grandi d'Israele verso Gesù, la sapienza
divina? Proprio in questi passi Giovanni deve aver intuito le resistenze colpevoli sulle quali
piange in un singhiozzo soffocato il versetto del suo Prologo: Venne in casa sua ed i suoi
non io ricevettero.

Questa descrizione della Sapienza increata non è la sola nei Libri santi. Un altro passo che la
liturgia inserisce nelle festività della Madonna si legge nell'Ecclesiastico. In esso si sfiora
l'espressione stessa che sarà in seguito usata anche da S. Giovanni. La Sapienza dice di se
stessa: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo.

E che cosa esce dalla bocca se non la parola, il discorso, il Verbo?

Leggiamo tutto il passo: la rassomiglianza col Prologo di Giovanni è innegabile.

«Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo e come una nube io copersi la terra. Abitar sulle
altezze più elevate e il mio trono era su una colonna di nubi. Sola io percorsi il firmamento e
passeggiai nelle profondità dell'abisso. Sulle onde del mare e su tutta la terra, in tutti i popoli
e in tutte le nazioni io ho esercitato il mio impero. In tutte le cose cercai dove posarmi e
fisserò la mia dimora nell'eredità del Signore. Allora il creatore di tutte le cose parlò e
ordinò a me; e quegli che mi creò stabili il mio tabernacolo. E mi disse: Abita con Giacobbe
e tuo retaggio sia Israele. Dal principio, prima di tutti i secoli, io sono stata creata e non
cesserò di essere fino all'eternità. Ho esercitato il ministero in sua presenza nel tabernacolo.
Così ferma stanza io ebbi in Sionne ed anche la santa città fu il luogo del mio riposo ed in
Gerusalemme fu la mia reggia. E gettai le mie radici in un popolo glorioso e porzione del
mio Dio la quale è suo retaggio ... Io come la vite gettai fiori di odore soave. E i miei fiori
sono frutti di gloria e di ricchezza ... poiché dolce è il mio spirito più del miele e la mia,
eredità è più dolce del favo del miele ...».

Quali sante emozioni queste righe ispirate dovevano far nascere nel cuore e nello spirito
d'una Madre come Maria! Ogni parola ricopriva dei simbolismi dall'infinita prospettiva ed
Ella si rammentava del suo Gesù, delle sue parole e bontà, della sua sapienza, soprattutto.

La sua sapienza! Per riassumere i trent'anni della sua vita nascosta la Vergine Maria s'è
accontentata di scrivere che il fanciullo cresceva, si fortificava e si riempiva di sapienza. E
mentre per il popolo israelita questa parola: sapienza significava la conoscenza perfetta della
Legge divina, nessun dubbio che per la Vergine significasse il possesso di Dio e della santa
Legge. Ella aveva visto crescere rapidissimamente la scienza sperimentale del suo divin
Figlio.

Esaminiamo ora un'altra ipotesi più ardita e giusta (27).

Maria e Gesù. - Abbiamo supposto finora che Maria, dopo la risurrezione ed ascensione del
Signore, nelle sue conversazioni con Giovanni abbia. ricercato dei passi scritturali che
rischiarassero la «preesistenza eterna » del suo divin figlio. È un'ipotesi, però, troppo timida:
possibile che Maria abbia atteso tanto per vivere nella preghiera e nella contemplazione di
quelle prospettive meravigliose aperte dall'Arcangelo Gabriele nell'annunciazione e di cui i
Libri Santi le fornivano argomento perenne ed inesauribile?

Maria sapeva chi era il suo Gesù! L'Angelo le aveva detto: Egli sarà grande e sarà
chiamato Figlio dell'Altissimo. Il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo Padre ed
Egli regnerà nella casa di Giacobbe per tutti i secoli. Ed il suo regno non avrà fine.

E aveva aggiunto: Lo Spirito Santo verrà su di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà e per


questo il Fanciullo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio.

E Maria non poteva quindi ignorare il carattere, la missione, la divina personalità del
fanciullo annunciato dal Cielo e che Ella doveva possedere per trent'anni. Ella dovette
assistere alla sua crescita meravigliosa, vederLo «riempire di sapienza », leggere e meditare
la Bibbia con Lui. Non sarebbe verosimile pensare ch'Ella abbia avuto bisogno della
compagnia di Giovanni per scoprire nella Bibbia i titoli di suo Figlio.
Gesù e la Bibbia. - Per il fatto che trent'anni della vita di Gesù sono riassunti dalla Madonna
in una sola frase possiamo pensare ch'Egli abbia incominciato la sua vera missione Quando
si portò sulle rive del Giordano dove già predicava il Battista, ma cadremmo anche noi in
Quella strana ingenuità di certi critici secondo i Quali Gesù avrebbe preso coscienza della
sua missione al momento del suo battesimo. Il Vangelo porta le tracce del profondo studio di
Gesù sulla Bibbia. E la sua scienza sperimentale non si è mai arrestata per la presenza di Lui
di due ordini di scienze superiori. Quand'Egli a dodici anni ascoltava i maestri e li
interrogava in modo tale che coloro che l'ascoltavano érano stupiti della sua intelligenza e
delle sue risposte, possiamo essere certi che era la scienza acquistata dalla Bibbia che
suscitava l'ammirazione di tutti. E come l'aveva attinta tale scienza? Ai piedi della sua santa
Madre come ogni fanciullo giudeo. Egli aveva ripetuto parola per parola le parole sacre
ch'Ella Gl'insegnava. Essi avevano percorso insieme, lentamente, assiduamente tutto il ciclo
delle Sacre Scritture. La sua scienza messianica s'era svegliata alle lezioni ed alle
confidenze di Maria che aveva raccontato i misteri della sua annunciazione, della sua
nascita a Betlemme, della fuga in Egitto. Insieme avevano percorso, o meglio, meditati gli
cracoli profetici concernenti il Messia e neppure una minima parola deve essere passata
inosservata alla loro attenzione. Per questo le risposte di Gesù dodicenne riempirono di
stupore i Dottori del Tempio ammirati per la sua dottrina.

In questa circostanza non è il caso di parlare di scienza miracolosa. Il miracolo è


essenzialmente un segno e non era giunta l'ora di provare la sua missione con dei segni né
Egli avrebbe fatto dei miracoli per meravigliare chi l'ascoltava. Piuttosto Gesù donava così a
sua Madre la soddisfazione di rilevare quanto avesse approfittato delle sue lezioni oltre che
indicare uno dei suoi impegni futuri affrontando i superbi dottori che poi nella vita pubblica
avrebbe incontrato continuamente. Dai dodici ai trent'anni molti giorni dovevano poi
trascorrere. Non si suppone che Gesù e Maria abbiano abbandonato le preghiere bibliche e
le meditazioni con cui passavano tutte le ore, ma piuttosto ammetteremo che la
«penetrazione » delle Sacre Scritture sia andata via via crescendo come lo dimostrano le
stesse parole della Vergine in testa al Vangelo di S. Luca quando ripete dopo l'episodio del
Tempio: E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia dinanzi a Dio e agli uomini.

Basta ricordare gli insegnamenti di Gesù durante la sua vita pubblica per constatare la sua
profondità nella scienza biblica, quella che Maria probabilmente chiamava la «sua sapienza
». Durante il digiuno nel deserto egli risponde alle tentazioni del demonio con parole dei
Libri Santi. Più tardi nella sua predicazione si distingue un primo periodo primitivo nel
quale Egli, di sinagoga in sinagoga, interpone l'annuncio della «buona novella» nel
commento che fa alle letture bibliche. A Nazareth, a Cafarnao e in molti altri luoghi Egli
predica così e rileggendo il suo Vangelo si rivela quanto fosse saturato di scienza biblica. Un
accenno basta a dimostrare la divina superiorità di questa scienza di Cristo su quella dei più
illustri dottori della sua stirpe. Egli solo ha compreso la messianicità secondo il volere di
Dio. Ha lottato contro il suo popolo e contro gli Scribi e i Farisei, contro gli Apostoli stessi e
i suoi più ferventi partigiani per far prevalere lo spirito sulla carne nelle concezioni
messianiche. Tutto il dramma del Vangelo s'aggira su questo punto e nulla ha potuto far
deviare Gesù dalla linea di condotta che si era tracciata.

Dopo la sua resurrezione sulla via di Emmaus, Egli, cominciando da Mosè fino ai più
recenti profeti, spiega un seguito di passi nei Quali rivela ai discepoli eletti quella «sapienza
» che non aveva cessato di crescere sotto gli occhi della Vergine dai dodici anni fino
all'inizio della vita pubblica. E infine ricordiamo quel consiglio dato da Gesù ai farisei:
Scrutate le Scritture, sono esse che rendono testimonianza alle mie parole. Gesù lo diceva
perché le aveva scrutate prima di essi: era Colui di cui era stato detto: Egli comincerà a
fare, poi a insegnare. E' da rilevare anche la forza di quelle parole: Scrutate; non si tratta
d'una lettura rapida ma d'una lunga e attenta ricerca. In greco, dopo l'epoca di Omero, il
vocabolo significa: fare delle investigazioni, per seguire uno studio approfondito.

Gesù Maestro di Maria. - Ritornando alla Madonna non dubiteremo più della vastità della
sua scienza biblica attinta alla scuola di Gesù. Quando con l'Apostolo Giovanni ripassava gli
avvenimenti casi pieni e ricchi d'insegnamenti e così tragici della vita di Gesù non aveva
bisogno di enumerare i titoli della sua divinità: li conosceva da tempo attraverso lo studio
fatto col figlio divino. Il quale studio è stato fatto in due modi diversi: una prima volta
aprendo l'intelligenza delle sacre pagine a Gesù fanciullo e una seconda bevendo
avidamente a questa «Sorgente di sapienza» che s'ingrandiva sempre più nell'anima di Gesù
adolescente. Come una mamma intelligente ed istruita guida i primi passi del figliolo nello
studio, lo accompagna fino a quando lo vede disimpegnarsi da sé e finisce di mettersi alla
scuola dell'uomo che Ella stessa ha formato, casi la Vergine dopo di essere stata la maestra
in scienza biblica del suo amato Re, ne è divenuta un giorno la sua prima ed intima
discepola. Maria l'ha visto «crescere in sapienza». Che cosa significa tale pensiero se non
che Ella è stata testimone dei suoi progressi, ha cercato di seguirlo nel suo volo, ha
approfittato delle sue lezioni, ha beneficiato dei suoi lumi divini e si è ricreata, la prima, ai
raggi del sole levante?

Nella nostra «Vita di Gesù» descrivendo gli anni della vita nascosta abbiamo detto che Gesti
aveva avuto tre Madri: la Vergine, la Bibbia, la Natura. Quanto diciamo qui completa il
nostro pensiero.

Maria ha cominciato ad aprire lo spirito del suo Gesù: è il dovere d'una buona madre ed Ella
non poteva mancarvi. Di conseguenza sono dolce visione i lunghi anni di Nazareth, anni di
lavoro umile e faticoso, ma soffusi e ripieni di meditazioni entusiaste, colloqui sublimi;
gioie soprannaturali e carità incomparabile: un paradiso basato sul culto intenso della Legge
divina. Anche Giuseppe ne ritrae gloria nella sua esistenza ignorata e splendida per essere
stato associato in stretta intimità a tanta bellezza e felicità.
La doppia missione di Maria e di Giovanni. - Forse siamo ora in grado di capire la doppia
missione che Gesù morendo affidò a Maria nei riguardi di Giovanni ed a questi Maria
stessa.

A noi sembra che non ci sia più bisogno di dimostrare - perché l'abbiamo fatto
precedentemente - che le parole di Gesù in Croce non significano la semplice cura d'un
buon figliolo che vuol assicurare alla madre una vecchiaia tranquilla e piacevole, e neppure
un dono d'un affetto reciproco, tenero e altissimo ma piuttosto daremo alla «terza parola» di
Gesù crocifisso un senso degno di Lui, della sua SS. Madre: «Donna, ecco tuo figlio»
equivaleva a dire: Signora, Principessa, Regina (28), tutto ciò che tu hai fatto per me nella
solitudine di Nazareth lo farai ora per il mio amato discepolo, per Giovanni. Gli aprirai la
comprensione delle Sacre Scritture e guiderai il suo spirito nelle più alte regioni della
sapienza. Percorrerai con lui per la terza volta il cammino percorso insieme attraverso i
Libri divini ed egli imparerà vicino a te lo spirito stesso del Messia che ha tanto amato ma
che non ha sempre capito. Lo condurrai nelle alte regioni dell'eternità che noi abbiamo tante
volte esplorato insieme. Dove egli non vedeva che l'Amico tu gli additerai il Re. E quando
Gesù indirizzandosi a Giovanni disse: Ecco tua Madre era come se gli dicesse: tu metterai
tutta la confidenza d'un fanciullo docile. Essa è madre più per lo spirito che per la carne. Io
dò il nome di madre a tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc
8, 21). E nessuna persona ha ascoltato meglio la parola di Dio e l'ha messa in pratica più di
Colei che mi ha dato il suo sangue e nutrito del suo latte. Nell'intimità di Nazareth abbiamo
scritto insieme il più bel libro ed abbiamo tessuto il più giusto e ricco commentario alla
parola di Dio. Abbiamo vissuto anche tutte le tappe della mia vita messianica percorrendo i
miracoli divini. Ma c'è un capitolo in cui mia Madre, la Donna secondo il cuore di Dio, la
Donna ideale e perfetta, non ha mai avuto un'intera conoscenza. È quel capitolo che io ho
vissuto lontano da Lei, in pubblico, nel compimento nel mio dovere, l'aspro dovere di
dottore in Israele. Tu, mio apostolo prediletto, ripeterai a Lei fedelmente, a mia Madre, che
ora è tua, tutto ciò che hai capito e ritenuto. Ed Ella ti farà afferrare e gustare meglio gli
insegnamenti stessi che sei incaricato di riportarle. Essa sarà la madre della tua anima, del
tuo cuore, della tua santità.

Lo spirito dell'uomo balbetta nel toccare questi sublimi interessi. In Gesù tutto è semplice,
profondo e grandioso. Nei nostri commenti tutto è confuso, imbarazzato, lungo. Una parola
della sua bocca racchiude un mondo: un discorso nostro non fa che limitare le possibilità
infinite di uno sviluppo ulteriore. Donna ecco tuo Figlio. Non si può dire niente di meglio e
di più eloquente insieme. Ecco tua Madre: brevi parole sufficienti ed orientare tutta la vita
di Giovanni. Gesù fa nascere dalla circostanza un'ultima parola, la più bella e commovente;
Giovanni attraverso ad essa diviene il modello del cristiano che deve circondare Maria della
più filiale tenerezza e la Vergine ci riceve tutti come suoi figliuoli. Essa diviene la Madre del
genere umano redento, la novella Eva, la Donna per eccellenza, cioè Colei che Dio ha eletta
per essere il canale della vita.
Maria e il Prologo. - Le considerazioni precedenti sembrano condurci lontano dal Prologo
di S. Giovanni, ma erano necessarie per la soluzione del problema che ci eravamo posti
dall'inizio. Toglieremo a Giovanni la gloria del suo Prologo? O ridurremo il volo dell'aquila
ad un volo di colomba?

Nessuno ha mai avanzato l'idea che Giovanni abbia scoperto il Prologo con la sola forza del
suo genio d'uomo. S. Ilario vi riconosceva un miracolo superiore a quello della risurrezione
dei morti. Che il miracolo sia stato compiuto per ispirazione diretta dello Spirito Santo e che
la Madonna, istruita dal suo divin figliuolo sul significato delle divine Scritture, abbia
servito di strumento alla Provvidenza per guidarlo nel suo volo immortale, ciò non cambia
nulla alla gloria dell'Apostolo. E se il volo di colomba ha preceduto e diretto quello
dell'aquila dipende dal fatto che Giovanni stesso fu trasportato verso le più alte cime
dall'aquila delle aquile, Gesù Cristo stesso.

Ci sembra cosa sicura che Maria e Giovanni abbiano percorso insieme le pagine bibliche;
che si siano curvati in dolce comunione sulle caratteristiche del loro Santo, incomparabile
Gesù; che abbiano cercato di riannodare quanto conoscevano della sua personalità divina a
quello che le Scritture dicevano di più alto e chiaro. Ci sembra pure di poter affermare che
in questo attento ed affettuoso studio Maria non aveva nulla da imparare da Giovanni perché
essa era stata illuminata dal suo divin figlio ed era in grado di insegnare al discepolo. Infine
quando si consideri il favore che i testi riguardanti la Sapienza increata, nel libro dei
Proverbi, incontrarono fra i primi cristiani e l'uso che ne fece S. Paolo, l'autore dell'Epistola
agli Ebrei, non si può ammettere che la Vergine e Giovanni non abbiano saputo farne
l'applicazione a Cristo (29). Piuttosto che fermarci in tale convinzione preferiamo credere
che proprio dal gruppo intimo di Maria e Giovanni sia partita, per diffondersi nell'ambiente
cristiano, l'identificazione di Gesù con la Sapienza increata che Giovanni doveva riprendere
nel suo ispirato Prologo.

È molto probabile che se Giovanni avesse redatto il suo Vangelo nell'uscire dalla sua
conversazione con la Vergine avrebbe iniziato il Prologo in termini diversi. Forse avrebbe
detto: Al principio era la Sapienza, e la Sapienza era presso Dio e la Sapienza era Dio.

Fu una, trovata linguistica di primo ordine quella parola «Verbo», e soltanto per questo, se
non ci fosse altro nell'opera di Giovanni egli meriterebbe la nostra riconoscenza perpetua.
La parola Sapienza mantiene in sé un certo carattere di astrazione.

La parola greca «sophia» che noi traduciamo per «Sapienza» era già femminile come si è
conservata tra noi e si prestava male ad una interpretazione maschile. La parola «Verbo», in
greco «Logos» è invece al maschile anche nella lingua antica. Di più, il Verbo è il frutto
d'una specie, di eterna generazione del Figlio dal Padre secondo l'ordine dell'infinita
sapienza di Dio. A chi si deve la scoperta della parola «Logos» per personificare il Cristo
eternamente preesistente nel seno del Padre come Dio? A Maria? A Giovanni? Oppure a tutti
e due? Non lo possiamo dire. La parola pare sia stata usata da Filone, il sapiente giudeo
alessandrino, nato circa vent'anni prima dell'èra nostra, cioè pressappoco negli anni stessi
della Madonna. E Filone l'aveva senza dubbio attinta da Platone.

Ma fra il Logos di Filone e quello di S. Giovanni non vi è somiglianza che di sillabe. Fu un


tratto geniale di S. Giovanni illuminato da Maria, ancella dello Spirito Santo, di riconoscervi
quanto egli poteva servirsi di questa nuova espressione.

La firma di Maria. - Risulta, da quanto abbiamo detto, una stretta collaborazione fra la
Vergine e il suo secondo Figlio, l'Apostolo Giovanni, nei riguardi della rivelazione al mondo
cristiano della sublime dottrina del Verbo. Dottrina avente la sua radice sia nelle più belle
pagine dell'Antico Testamento, sia nelle rivelazioni di Gesù sulla propria persona.
Bisognava ritoccare discretamente e con fermezza l'opera stessa di Mosè e dei Profeti
ispirati, lavoro infinitamente delicato che uno scrittore eletto poteva osare d'intraprendere
soltanto con un mandato dall'alto. Maria e Giovanni hanno ripreso la prima parola della
Genesi. Là dove si legge: «Al principio Iddio creò il cielo e la terra la Maria e Giovanni
hanno segnato: «Al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutte
le cose sono state fatte per mezzo di Lui e senza di Lui nessuna delle cose create è stata fatta
...». Ora se noi ammettiamo che Maria ha cooperato alla grande opera, se avanziamo l'idea
che per questa missione unica e divina Gesù morente li aveva affidati l'uno all'altro – come
per associarli alla più audace e sublime impresa non ci sarà difficile scoprire nella
redazione del testo, un indice, sia pur leggero, dell'ispirazione mariana, nella redazione di
Giovanni. In altre parole il Prologo, porta o no la firma di Maria?

Forse con un po' d'audacia noi rispondiamo che la firma c'è, ma vi si trova segnata in calce.
Se Giovanni avesse lavorato a questa pagina solo, egli doveva a se stesso, doveva alla
tradizione profetica e all'uso che stava nascendo nella Chiesa di ricordare la Vergine
divenuta sua Madre. Ma che non l'abbia nominata, lui il figlio, quando tutti gli altri testi
dove era proclamata l'Incarnazione del Verbo la ricordavano, proprio Questo silenzio
equivaleva ad una firma, a quella che chiamiamo un contrassegno a secco.

L'umiltà di Maria: ecco il segno quasi sicuro della sua presenza. Per essa la Vergine ha preso
nel Prologo un ricordo che doveva esservi. E ne concludiamo che Maria ha compiuto l'opera
in comune con Giovanni. Vediamo di portare appoggio alla nostra asserzione. Noi abbiamo
detto che la tradizione profetica dapprima e in seguito l'uso della Chiesa, voleva che la
Vergine fosse ricordata ogni volta che si parlasse della venuta del Verbo in mezzo agli
uomini. Il grande oracolo del passato concernente l'incarnazione era quello di Isaia,
anteriore di circa 700 anni dall'avveramento del grande mistero. Tale oracolo è stato
formalmente inculcato da S. Matteo: «Jeova stesso vi darà un segno: Ecco che la Vergine ha
concepito e partorirà un Figlio. Ed Ella lo chiamerà l'Emmanuele».

L'uso che S. Matteo fa di questo passo è una prova di quanto vogliamo affermare, che cioè,
il fatto dell'incarnazione è legato al ricordo della Vergine predestinata. Ascoltiamo anche S.
Paolo nell'Epistola ai Galati: «Quando venne la pienezza dei tempi Dio inviò suo Figlio
formato da una Donna...» (Gal 4, 4).

Il più antico dei nostri simboli, il simbolo degli Apostoli, portava già in modo esplicito la
formula che è rimasta: «Nostro Signore, nato da Maria Vergine ». Più tardi nel simbolo
solennissimo che noi cantiamo nella Messa domenicale, la formola si trasforma così: «Ed
Egli si incarnò da Maria Vergine per opera dello Spirito S. ».

Abbiamo accennato ai passi degli antichi Padri come: S. Ignazio d'Antiochia, S. Giustino e
S. Ireneo che ebbero cura di nominare Maria ogni volta che parlavano dell'Incarnazione del
Figlio di Dio. Sono tutti della scuola di San Giovanni. S. Giustino il filosofo, si era
convertito ad Efeso dove era vivissimo il ricordo di Giovanni e S. Ireneo, attraverso il suo
maestro S. Policarpo era il discepolo fidato dell'Apostolo. In questa unanimità solo
Giovanni fa eccezione, egli solo può scrivere la frase così eloquente nella sua brevità: «E il
Verbo si è fatto carne ...». Senza aggiungere le tre parole che dovevano bruciare le labbra di
lui, il figlio adottivo della Vergine Maria.

Ed è ancora più sorprendente il suo silenzio se si pensa che una delle sue intenzioni nella
redazione del Vangelo suo è quella di combattere i Doceti, gli eretici la cui audacia
consisteva nel negare la realtà del corpo di Gesù. Probabilmente è per essi che Giovanni usa
la parola «carne» per dire: «ed il Verbo si è fatto carne». Sarebbe stato dunque naturalissimo
nominare la persona umana attraverso alla quale s'era compiuta l'Incarnazione. Gesù era
figlio di Maria, figlio di una Donna: aveva dunque un corpo reale. Era veramente uomo.

D'altra parte Giovanni è il solo fra gli Evangelisti che segnali la presenza di Maria ai piedi
della Croce e quand'egli riporta le commoventi parole con cui Gesù gli aveva affidata sua
Madre, vuoi esprimere la felicità del privilegio insigne che gli è stato accordato. Se
ripassiamo il testo evangelico si sente un fremito di fierezza contenuta, ma profonda in
questa finale: «E da quel punto il discepolo la prese con sé».

Il suo cuore di figlio gli suggeriva di nominare Maria in una pagina dove era tanto naturale
che la sua missione fosse ricordata. A rigore si potrebbe ancora spiegare questo silenzio
sulla Vergine se nel Prologo Giovanni non avesse introdotto alcun nome umano. Ma fra
l'eternità del Verbo, il grande fatto iniziale della creazione e la misericordiosa incarnazione,
Giovanni nomina un personaggio, uno solo che sembra drizzarsi al di sopra di tutte le
grandezze intermedie: Giovanni Battista.

«Vi fu un uomo, - egli dice, - inviato da Dio. Il suo nome era Giovanni».

Ponendolo al centro dell'immenso quadro che dipingeva l'Apostolo non poteva meglio
glorificare il suo Maestro, colui cui doveva la conoscenza di Gesù. Ma per quanto profonda
la riconoscenza verso il Precursore e per quanto grande la missione del Battista né l'una né
l'altra potevano paragonarsi ai sentimenti nati in Giovanni verso una Madre che Gesù gli
aveva dato né alla sublimità della funzione ch'Ella aveva esercitato nell'incarnazione stessa.
Il silenzio di Giovanni, comunque si esamini, sarebbe il segno d'una dimenticanza ben
strana se non si pensasse ch'esso è stato la conseguenza d'una formale consegna.

Ed è questo stesso silenzio che interpretiamo come il contrassegno sicuro della


collaborazione mariana nella nascita di questa pagina unica. Come Iddio aveva generato il
suo Verbo da tutta l'eternità ora aspettava a Maria, dopo averlo generato secondo la carne e
lo spirito, di generarlo nuovamente, manifestando al mondo con la più meravigliosa delle
formule, la sua eterna preesistenza e la sua sostanziale divinità. Con ciò non togliamo niente
a Giovanni. Egli non avrebbe conosciuti i prodigiosi misteri senza la rivelazione di Gesù.
Non ci sorprenderemo che Maria avesse ricevuto la missione di dare a queste rivelazioni,
nello spirito del più amante ed amato dei discepoli, la loro forma definitiva e nel medesimo
tempo fornire a noi le più luminose luci sul divino segreto della nostra redenzione. Maria
perciò è stata la Madre di S. Giovanni e la nostra col generare nelle nostre intelligenze la
fede esplicita del Verbo incarnato. Le dobbiamo un supplemento di chiarezza sulla verità
delle verità. Non sarà mai troppa la nostra filiale riconoscenza.

____________

CAPITOLO IV

MARIA E I VANGELI DELL'INFANZIA

Sommario: Un problema difficile. Ipotesi d'una scelta fra Matteo e Luca. Ricordi di
Giuseppe. La consegna di Maria. Da dove vengono i «ricordi» di Giuseppe. Le «memorie»
di Maria. Cenni preliminari. La saggezza di Maria. Maria e S. Matteo Maria e il Vangelo di
S. Luca. Importanza per la psicologia e la storia mariana dei due primi capitoli di S. Luca.

***

Un problema difficile . - Siamo pervenuti finora a due conclusioni importanti: a sapere che
l'umiltà profondissima di Maria aveva fatto escludere dal Vangelo orale primitivo i racconti
riguardanti l'infanzia e la nascita verginale di Gesù e che nella preparazione lontana del più
preciso e mistico Vangelo Maria ha assolto un compito che pare sia stato preponderante.
Anche se nelle nostre deduzioni le congetture hanno avuto larga parte, tuttavia crediamo che
esista un legame sufficientemente logico fra ciò che sappiamo degli ultimi anni terreni di
Maria e l'altra missione che ammettiamo le sia stata affidata da Gesù morente. Nulla si
oppone che le cose si siano svolte come le abbiamo supposte e le leggi più elementari della
psicologia ci autorizzano a pensare che realmente dovettero essere così.

Ora affrontiamo una questione più difficile e delicata: quale influenza ha esercitato la
Madonna sulla redazione dei racconti dell'infanzia come si leggono in S. Matteo e in S.
Luca. Sorvolando finora sulla questione abbiamo solo constatato che Matteo ha riprodotto i
ricordi di S. Giuseppe e Luca le memorie di Maria. Un attento esame dei due testi ci
dimostra che in S. Matteo vi sono cose che solo Giuseppe ha potuto dire, come le angosce
precedenti al suo matrimonio colla Vergine, i diversi sogni nei quali riceveva ordini da Dio,
mentre in S. Luca vi sono segreti tutti proprii della Madonna, come le parole dell'Arcangelo
al momento dell'Annunciazione, la visita ad Ain Karin, il testo del Magnificat, ecc.

C'è qualche ombra nella spiegazione di questi due fatti e innanzi tutto, come ha potuto San
Giuseppe trasmettere i suoi ricordi a S. Matteo dato che egli era morto parecchi anni prima
che Matteo divenisse apostolo di Cristo e logicamente molto tempo prima che prendesse la
penna come evangelista? E come mai i ricordi di Giuseppe erano sconosciuti a S. Luca o, se
li conosceva, perché li ha passati sotto silenzio? E infine, in qual modo S. Luca conosceva le
memorie di Maria e perché S. Matteo non ne sapeva nulla oppure sapendole non ne ha fatto
uso?

Sono problemi che si suddividono in vari altri ed occorre un certo coraggio nel tentare di far
luce su problemi quasi impenetrabili e ci si perdonerà se noi inciamperemo in questa nostra
impresa ardita ma insieme rispettosa.

Sgombriamo le ipotesi incerte e improbabili.

Ipotesi d'una scelta, fatta da S. Matteo e S. Luca. - Ci sembra tanto inverosimile che S.
Matteo abbia potuto trascurare le memorie di Maria se egli le conosceva, come è
inammissibile che San Luca abbia deliberatamente scartato i fatti resi da Matteo se il
Vangelo di quest'ultimo era già in circolazione quando Luca redigeva il suo.

In altri termini: non si può immaginare che Matteo e Luca abbiano fatto, ciascuno per
proprio conto, una scelta arbitraria sulla base comune di racconti conosciuti dalla prima
generazione cristiana per finire di darci due testi divergenti in modo da non incontrarsi che
su pochi punti ma nello stesso tempo abbastanza concordi sull'essenziale da poter innestarsi
l'uno nell'altro con relativa facilità.

Sarebbe inutile parlare di libertà di composizione. L'evangelista non è un autore comune.


Non scrive per il piacere di scrivere. Lo Spirito Santo lo guida nel suo compito, egli è mosso
dal fine principale di manifestare le alte verità per il profitto della Chiesa e mira ad essere il
più completo possibile perché in una storia divina anche i minimi dettagli hanno un loro
grande valore. S. Luca proclama in termini precisi d'essersi applicato «a conoscere tutto
esattamente ». frase che riassume mirabilmente lo spirito fondamentale dell'evangelista.
Nessun dubbio che Marco e Matteo non abbiano avuto il medesimo desiderio di essere
completi oltre che scrupolosamente esatti. Dirà alcuno, con certi critici, che Matteo si
proponeva lo scopo determinato di mostrare l'avverarsi delle profezie nella nascita di Gesù e
che scrivendo per i giudei, agli occhi dei quali contava solo il capo, legame della famiglia,
egli si era limitato a ripetere i racconti di Giuseppe? E si aggiungerà forse che Luca,
scrivendo per i pagani, non si era tenuto agli stessi limiti e che si fosse invece preso il
compito di completare i ricordi di Giuseppe con le memoria di Maria? Ma nessuna delle due
asserzioni spiega in qualche modo il problema che ci occupa.

Prendiamo il testo di S. Matteo ricco di reminiscenze bibliche, rivela chiaramente la sua


intenzione di convincere i giudei, suoi lettori immediati, sul carattere messianico di Gesù.
Certo la sua dimostrazione sarebbe stata più concreta se avesse attinto al tesoro dei ricordi
della Madonna. Per esempio non era il caso di accennare all'annunciazione ed alla nascita
del precursore? Si era guardato al Battista come un grande Profeta e si continuava ad
onorarlo come tale, secondo i passi che gli consacra lo storico Giuseppe. Era dunque nel
piano previsto da Matteo di parlarci delle sue origini sacerdotali, delle meraviglie
riguardanti la sua nascita e delle profezie realizzate in Lui. forse che la presentazione al
Tempio con le belle parole del vecchio Simeone fossero senza interesse per lui, per i lettori?
Impossibile che Matteo non le conoscesse e non ne abbia tenuto conto: piuttosto sembra
ormai asso dato ch'egli conobbe solo i ricordi di Giuseppe e noi ci domandiamo per quale
mezzo tali confidenze sono giunte fino a lui.

Le chiamiamo «confidenze» perché uniamo S. Luca nel medesimo ragionamento: è ancor


più sorprendente che Luca scrivendo dopo Matteo abbia rivelato le memorie della Vergine e
non accenni ai ricordi di S. Giuseppe. In realtà tutto avviene come se un personaggio
misterioso, in possesso di tutti i segreti, li avesse distribuiti seguendo una legge oscura,
conosciuta da lui solo e seguendo un sistema che secondo una espressione familiare si
direbbe: «da contagocce». Chi sarebbe questo personaggio? Sono parecchi o uno solo?
Perché non possiamo noi ammettere che S. Luca abbia volontariamente e sistematicamente
omesso quanto conteneva il racconto di S. Matteo, ché egli non scriveva, come farà
Giovanni, più tardi, un Vangelo «completamente»?

Abbiamo visto ch'egli dichiara di essersi «applicato a conoscere tutto»: segue che egli
voleva dire tutto ciò che sapeva. E non ci fu neppure tale intervallo fra il suo Vangelo e
quello di Matteo da supporre ch'egli ritenesse inutile ripetersi, anche perché se era lontano
dal riprodurre quanto avevano detto bene gli altri prima di lui, non si sarebbe servito con
costanza e fedeltà del Vangelo di Marco.

Il silenzio di Luca circa il testo di Matteo non avrebbe avuto il medesimo significato del
silenzio di Giovanni in rapporto ai racconti di chi lo precedette. Giovanni scriveva a
distanza di quarant'anni dai primi e non avanzò mai l'idea di raccontar tutto. Egli non fece
che colmar le lacune dei suoi predecessori rettificandoli, con discrezione, qua e là e ciò che
Giovanni sorpassa nei testi dei Sinottici viene a godere, per lo stesso fatto del silenzio, della
sua imponente autorità di testimnio attento e meravigliosamente informato. Per S. Luca,
invece, niente di simile. Egli riprende dalla base tutti i racconti precedenti; annuncia il suo
programma di non omettere nulla, ma di tutto «scrivere con ordine».

In queste condizioni il solo fatto di passar sotto silenzio le informazioni di S. Matteo


concernenti l'infanzia di Gesù, equivaleva ad una specie di smentita. Ma se Luca non ha
saputo niente di ciò che Matteo aveva scritto, se è ormai positivo per i lettori dei due
evangelisti ch'essi abbiano scritto alla medesima epoca ma in luoghi lontani uno dall'altro -
Luca senza dubbio a Roma dove era apparso il racconto di Marco e Matteo probabilmente a
Gerusalemme - allora le loro divergenze riunite in un racconto essenziale offrono
l'argomento più persuasivo in favore della veridicità di ciascuno di essi (30).

Teniamo per cosa sicura che né Matteo ha conosciuto le «Memorie di Maria» né Luca, ha
avuto fra mano il testo che riportava i «Ricordi» di Giuseppe.

Non si trattava in fondo di documenti accessibili a tutti, ma piuttosto di fonti confidenziali.


L'utilizzazione di tali sorgenti pare sia stata regolata da una volontà ferma alla quale
nessuno certo pensava di poter disubbidire.

La consegna di Maria. - La precedente conclusione è singolarmente interessante per noi. Le


pagine di questo studio non hanno avuto finora che il risultato di prepararci ad ammettere
l'esistenza di una consegna - passateci il termine d'uso militare in mancanza di meglio -
imposta da Maria, al principio dell'evangelizzazione, ai primi redattori del Vangelo orale.
Per effetto di tale consegna non si doveva parlare della vita nascosta di Gesù né di quanto
precedeva la predicazione di Giovanni e il Battesimo di Gesù al Giordano. Ammessa la
necessità di questo primo punto, nasce la necessità di dimostrare tre asserzioni.

1. «I Ricordi» di Giuseppe non poterono essere trasmessi che dalla Madonna.

2. «Le Memorie di Maria» emanarono certamente da Lei e da Lei sola.

3. Allargando, secondo un piano provvidenziale, i rigori della primitiva consegna precedente


giustifica con larghezza il carattere più o meno «confidenziale» delle comunicazioni di
Maria all'uno e all'altro.

È chiaro che se riusciremo a convalidare con probabilità notevoli le tre considerazioni il


nostro punto di partenza ne uscirà fortificato. Esiste una regola nella storia secondo la quale
il valore di una ipotesi è proporzionale al numero delle ombre ch'essa rischiara ed all'aiuto
ch'essa porta per spiegarla.
Da dove vengono ricordi di Giuseppe. - A proposito di questi ricordi un eminente critico
inglese, Plummer, ha avanzato l'idea che essi siano stati trasmessi dall'Apostolo Giacomo,
cugino di Gesù. Ma non possiamo dargli credito per varie difficoltà evidenti e considerevoli.
Per esempio: potremo domandare come mai Giacomo in possesso del meraviglioso segreto
per via di confidenza dello zio S. Giuseppe, abbia lasciato a Pietro la cura di proclamare in
seno al collegio apostolico la grandezza biblica e divina di Gesù Cristo. Se Giacomo era
davvero informato perché non usò della sua influenza sui suoi fratelli e sorelle per
avvicinarli a Gesù quando ne erano lontani al punto da far dire: I suoi fratelli non credevano
in Lui?

Ma sull'ipotesi di Plummer c'è da fare un'altra obiezione più grave. La confidenza familiare
di Giuseppe costituirebbe un'indiscrezione imperdonabile per il padre putativo e una prova
di diffidenza ingiustificata verso Gesù e Maria, i due personaggi più sublimi e più rispettati
da lui, rimasti in terra dopo la sua morte a propagare, se lo volevano e come loro piaceva, la
conoscenza degli ineffabili misteri di cui erano depositari con lui.

E' un'ipotesi quella di Plummer che si può ammettere solo dietro a prove irrefutabili, perché
contraria ad ogni verosimiglianza e, diciamo pure, a tutte le convenienze.

S. Giuseppe, morendo, non aveva motivo di preoccuparsi per la diffusione del segreto
messianico. Gesù aveva scelto di vivere nascosto per un periodo di trent'anni e Giuseppe era
stato testimonio con la Madonna dei suoi costanti progressi nella «Sapienza». Tutto ci fa
credere che anche egli sia stato iniziato all'interpretazione esatta del messianismo che ormai
solo rarissimi in Israele comprendevano ancora (31).

Non aveva ragione di preoccuparsi del resto, degli avvenimenti, né poteva fare a Gesù e a
Maria questa offesa di rivelare ad una terza persona, sia pure in stretta parentela e uomo di
provata fiducia, i tanti misteri a cui la Provvidenza l'aveva associato. -Questa ragione
decisiva non vale solamente per Giacomo. Vale per qualunque altro intermediario fra
Giuseppe e Matteo i quali non hanno potuto conoscersi direttamente. Non è perciò possibile
che i «Ricordi» di Giuseppe siano passati attraverso altri che non siano Maria e Gesù e, data
la poca probabilità che Gesù abbia fatto à Matteo delle rivelazioni su questo punto, rimane
la convinzione che solo Maria abbia potuto dare delle precise informazioni.

Si può obiettare che ci gettiamo in supposizioni inestricabili; perché Maria avrebbe fatto a S.
Matteo delle confidenze rifiutate a S. Luca e viceversa? Non turbiamoci prima del tempo,
siamo attenti, secondo il celebre consiglio di Bossuet: «a tener bene i due estremi della
catena».

Per il momento accontentiamoci di tenerne un capo e cioè sapere che i «Ricordi» di


Giuseppe non erano diffusi nel pubblico cristiano, che Luca, il diligente ricercatore, non li
incontrò sulla sua strada e che Maria sola ne conservava il prezioso segreto.
Ed eccoci all'altro capo: «Le memorie» della Madonna non erano meno conosciute dal
pubblico ed Ella sola poteva, al momento opportuno, introdurre nell'impenetrabile mistero.

Le «memorie» di Maria. - Qui c'è qualche cosa di più delle semplici verosimiglianze; non
siamo costretti a laboriose deduzioni. Oltre il fatto che il soggetto non comporta incertezze e
che è difficile supporre che Maria abbia confidato a chiunque si presentasse il sacro
deposito custodito come un tesoro sotto le volte di un'assoluta e religiosa discrezione, ci
sono anche prove di primo ordine che appoggiano la nostra affermazione: Matteo che
abitava a Gerusalemme e che poteva di conseguenza consultare Maria e Giovanni ogni
qualvolta lo desiderasse, non ha invece saputo nulla dei fatti raccontati da S. Luca. Si vede
perciò che la Vergine Maria non ne parlò a nessuno e che Ella rimase fedele alla consegna
data al principio della evangelizzazione, nei tempi in cui conveniva segnare le grandi linee
del Vangelo orale, di cui S. Marco ci diede gli elementi.

Comunque, tale consegna deve essere stata tolta se noi troviamo in S. Luca le memorie della
Vergine. E perché non sorgesse alcun dubbio il redattore fedele ha introdotto nel suo testo a
due riprese, questo accenno estremamente significativo ed esplicito: Maria conservava in sé
tutte queste cose e le meditava in cuor suo (32).

Questa volta non c'è soltanto un timbro a secco come nel Prologo di S. Giovanni, c'è una
firma autentica e per di più doppia. Ed è talmente strano incontrare due attestazioni di
questo genere che si può essere tentati che Maria abbia esposto le sue memorie in due
riprese.

Nella prima, Ella avrebbe raccontato, col suggello della sua testimonianza, ciò che si
riferiva all'annunciazione di Giovanni Battista e di Gesù, una seconda volta Ella avrebbe
aggiunto ciò che costituisce gli ultimi trentatré versetti dell'Evangelo dell'infanzia di Gesù in
S. Luca, ossia il periodo che va dalla circoncisione alla presentazione al tempio, all'esempio
del dodicesimo anno.

Non ci rimane ora che di rendere conto di questa anomalia: la Madonna manifestò a due
evangelisti, separatamente, degli insegnamenti differenti sull'infanzia di Gesù. Quale motivo
la fece agire così? Perché questa reticenza, queste confidenze parziali emesse in due riprese,
fors'anche mentre, una pia curiosità la consultava?

Osservazioni preliminari. - Prima di affrontare la delicata e spinosa questione facciamo due


osservazioni che non sono senza importanza.

La prima che se anche non trovassimo alcuna soluzione al problema posto, ciò non
toglierebbe nulla alla correttezza e rigorosità delle deduzioni anteriori. Teniamo stretti i due
capi della catena, ripeteva giustamente Bossuet, a proposito d'una questione: quella
dell'accordo tra la prescienza divina e la bontà umana, di cui conosciamo bene le due
estremità, ma non la parte interna. Il fatto certo è che tanto le informazioni riportate da S.
Matteo quanto quelle conservate da S. Luca vengono da Maria e non possono venire che da
Lei.

Che noi possiamo o non possiamo affatto addurre le ragioni per giustificare la sua cernita e
suddivisione dei documenti, non muta nulla delle prime constatazioni.

La seconda osservazione è che se pure fossimo impotenti a rischiarare questo mistero


avremo mo ugualmente ottenuto un risultato apprezzabile designando nettamente la
sorgente comune dei racconti dell'infanzia di Gesù.

Si possono paragonare i due testi di Matteo e di Luca alle due metà d'un medesimo prezzo
d'oro (33).

Vi è infatti una netta distinzione fra i due racconti; eppure i due frammenti si completano nel
modo più felice. I personaggi che vi troviamo hanno i medesimi caratteri; le designazioni
del tempo e dei luoghi concordano perfettamente. Ora, è più facile intuire che il racconto sia
stato diviso in due, volontariamente, da una sola persona piuttosto che immaginare che le
due metà si trovassero in possesso di due persone differenti.

Comunque si è fatto un notevole passo nella conoscenza delle fonti dei nostri Vangeli, con
lo stabilire che i due racconti dell'infanzia di Gesù provengono da una sola persona e che
essa non è che la Vergine Maria.

Si può andare oltre? Possiamo penetrare l'enigma delle intenzioni della Vergine Regina in
possesso delle chiavi di tutto questo mistero?

Con tutto il rispetto tentiamo di farlo, e il lettore giudicherà se siamo riusciti a portare un
poco di luce su un problema ricco d'interesse per i nostri cuori.

La Sapienza di Maria. - Teniamo ora ben vicino a noi le conclusioni già riscontrate e le
minime luci percepite.

Un primo punto da ricordare è che Maria aveva cominciato a trattenere nella memoria e nel
cuore quando sapeva. Ella conservava tutte queste cose e le meditava nel suo cuore. Non ne
parlava e l'autorità stessa di Pietro non influirà sulla sua risoluzione. Il Vangelo di San
Marco non contiene nulla sull'infanzia del Salvatore. Tutt'al più ci lascia capire che Gesù
non era figlio di Giuseppe secondo la carne, ma «figlio di Maria sola».

Abbiamo addotto come primo motivo del silenzio l'umiltà della Vergine. Essa non vuole
essere che l'Ancella. Non c'era posto per Lei nel messaggio redentore del suo Gesù. La
buona novella, cioè il Vangelo di Gesù Cristo cominciava con la predicazione del Battista
nel deserto. E' un'umiltà però che non rappresenta un cieco partito preso d'oblio o
d'annientamento, anzi si ammanta della più alta sapienza. Ciò che importava agli uomini di
sapere era la divinità di Gesù, le prove della sua missione, le incomparabili ricchezze della
sua dottrina, i mezzi di salvezza da Lui apportati al mondo, i segni indimenticabili del suo
amore visibili nella gloriosa morte volontaria per l'espiazione dei nostri peccati.

Tutto ciò si trova nel vangelo orale commentato e sviluppato dalla predicazione apostolica
di cui gli atti degli apostoli e le epistole di S. Paolo rappresentano l'eco.

Se in seguito la curiosità dei fedeli si attaccò alle origine umane del Salvatore era opportuno
attendere che tale curiosità prendesse uri carattere interamente religioso. Necessitava una
certa preparazione ai fedeli della prima generazione cristiana per avvicinarsi ai misteri
commoventi, ma insieme sconcertanti dell'umile nascita di Gesù in una stalla di Betlem.

Abbiamo visto come la Madonna trattenesse le impetuosità di Giovanni, come sapesse


ricordargli, pare, l'importanza dell'ora in tutte le cose. Il suo Gesù le aveva detto a Cana: La
mia ora non è ancora venuta. Non sono queste lezioni che si dimenticano e Maria non era
stata inutilmente alla scuola della Sapienza. Ella stessa al contatto del suo Gesù era divenuta
la creatura più «sapiente» nel significato più forte e profondo che di questa parola il mondo
abbia conosciuto.

Non ci sorprende che la Vergine abbia preso infinite precauzioni per introdurre nella
tradizione cristiana i documenti di cui conservava il segreto intorno alla nascita verginale.
Era un soggetto particolarmente delicato. Maria non dovette lasciar offuscare con alcun
dubbio il carattere soprannaturale della concezione e nascita del Cristo.

Ma per far ciò dovette fornire a spiriti già preparati dall'altra predicazione apostolica le
prove più irresistibili e fornirle in modo semplice, fermo, categorico e senza ombra di
esitazione e di riserva. Ora, c'era stato un uomo, predestinato da Dio, per essere il guardiano,
il testimonio, il garante della virtù soprannaturale di Maria. Quest'uomo era Giuseppe.

E il giorno in cui la Vergine giudicò che l'ora fosse suonata, che era tempo di levare la
consegna pei primi anni e che era necessario parlare per non tradire il deposito confidatole
da Dio, quel giorno Ella trovò ancora il modo di conciliare fra di loro l'umiltà, la sapienza,
la discrezione e il rispetto verso Pietro. Essa aveva limitato al primo apostolo - almeno a
parer nostro - i dettagli che egli desiderava conoscere sui misteri di Betlemme e di Nazareth.
Ed anche manifestandoli a Matteo gli imporrà il segreto per qualche tempo. Non gli aveva
fatto che una confidenza intima (34) e confidò dapprima soltanto ciò che poteva mantenere
Lei in seconda linea e cioè solamente i «ricordi» di Giuseppe.

Ancora una volta Giuseppe faceva da testimonio; era il garante ed il guardiano. Molti dei
lettori di Matteo l'avevano conosciuto, essi potevano sottoscrivere a quelle parole rivelatrici
della grande e santa prudenza di Maria: «Giuseppe, suo marito, essendo giusto e non
volendo esporla al disprezzo pubblico, formò il disegno di ripudiarla segretamente».
Riflettendo si ritrova qui una implicita difesa. Ma tutto è così discreto, così puro ed elevato
da riconoscervi senza fatica la «sapienza » superiore della Vergine stessa. Era come se
dicesse: I nostri Libri Santi contenevano un annuncio che nessuno dei Dottori della legge
aveva compreso (35). Il Messia doveva nascere da una Vergine e al di fuori della legge
comune alla nascita di tutti gli uomini.

Così è nato. Vediamo due prove. Prima: Giuseppe era un uomo giusto. Tutti coloro che
l'hanno conosciuto sono là per testimoniarlo. La sua dignità, la sua pietà, la sua virtù sono
sicure garanzie del suo focolare. Se egli ha sposato Maria l'ha fatto in seguito ad un
avvertimento divino e in questo era sicuro circa la concezione soprannaturale di Gesù. La
seconda prova sta nel fatto che tutto era scritto. Difatti tutto accadeva perché si compisse ciò
che il Signore per mezzo del Profeta aveva annunciato: «Ecco che la Vergine concepirà e
partorirà un figlio che sarà chiamato l'Emmanuele, ciò che vuol dire: Dio è con noi».

Maria e S. Matteo. - Ciò che doveva passare fra la Madonna e S. Matteo ce lo


rappresentiamo pressappoco così: Da dieci, quindici e forse più anni durava il silenzio della
Vergine Maria sulle origini del suo divin figlio. Si predicava ancora soltanto il Vangelo orale
di cui il testo di S. Marco offre le linee essenziali.

In Palestina vicino all'abitazione della Madonna viveva l'apostolo Matteo. Pare che egli da
principio abbia evangelizzato la Galilea. Ora se poniamo la data della sua partenza dalla
Palestina nell'anno 42, ritenuto comunemente come l'anno di separazione degli Apostoli,
possiamo anche ammettere ch'egli abbia fatto delle soste presso la Madonna tanto prima del
42 come dopo in occasione di qualche ritorno in Palestina prima della morte di Maria.
Comunque sia S. Matteo si era proposto di scrivere ciò che andava predicando, in altre
parole di redigere un Vangelo. Possiamo anche credere che egli, vivente Gesù, abbia preso
delle note riassuntive dei discorsi del Maestro e ciò è naturalissimo trattandosi di un uomo
assuefatto alle registrazioni di ufficio. Nel predicare in Galilea egli aveva avuto modo di
ravvivare i suoi ricordi, completarli con le atte stazioni di numerose persone ancora viventi
che erano state testimoni della predicazione di Gesù e dei suoi miracoli. Aveva sentito
parlare di Giuseppe da molti che l'avevano conosciuto e conservavano per lui la più
profonda stima. Però Matteo conosceva soltanto il fatto della nascita verginale ma non
sapeva nulla dell'annunciazione né dell'infanzia del Salvatore. Può anche darsi che egli
abbia raccolto sul posto questa ingenua domanda: «Ci parlate del Profeta, Gesù di Nazareth?
Non era il figlio di Giuseppe, il falegname?»

Deciso a scrivere la storia di Gesù, reso attento ai misteri dell'infanzia del Cristo anche per
le questioni e critiche espresse dai suoi uditori, Matteo avrà sollecitato degli schiarimenti
dalla Vergine stessa. Nel corso delle sue predicazioni si era reso conto della forte influenza
degli argomenti scrittura li sugli uditori Galilei e Giudei. Tutta la vita del Cristo, era
tracciata sulle scritture e parecchi passi rimasti fino allora incompresi e falsati nel loro
significato s'illuminavano di giusta luce di fronte agli avvenimenti della vita di Gesù.

Era di grande importanza il precisare la discendenza davi dica del Maestro. La sua nascita
verginale, conosciuta senza alcuna ombra fin dall'inizio della predicazione cristiana,
proiettava una chiarezza nuova su una celebre pagina di Isaia. Per tutte queste ragioni
Matteo sentiva il bisogno imperioso di ricorrere a Maria.

Ella sola poteva fornire gli elementi sicuri della genealogia paterna di Cristo, dal punto di
vista legale e, soprattutto, Lei sola poteva fornire nei riguardi della nascita reale di Cristo le
informazioni indispensabili a spiegare perché, nato a Betlemme, il Fanciullo divino era
cresciuto a Nazareth. Tutte ragioni di cui Maria dovette rendersi conto. Dovette pensare ad
approvarne la bontà. Non poteva perciò rifiutarsi ai desideri tanto legittimi dell'Evangelista
sebbene esistessero ancora in una certa misura i motivi che l'avevano trattenuta sempre dal
far confidenze. Maria non voleva, mentre si predicava Cristo, essere messa in scena, almeno
fino a tanto ch'Ella rimaneva in questo mondo, ché la vita nascosta di Gesù era diventata il
modello della sua vita quaggiù. Ella acconsentì, dunque, ad aprirsi con S. Matteo ma con la
riserva che soltanto più tardi sarebbero stati rivelati quell'insieme di documenti in cui,
Giuseppe appariva tanto bene in primo piano da poterli denominare i «Ricordi » di
Giuseppe. Matteo difatti non li dovette usare che molto tempo dopo la morte della Madonna
e in attesa di innestarli nel suo Vangelo è facile che non li abbia comunicati ad alcuno.
Anche lui dovette attendere l'ora. Tutti gli uomini debbono saperlo fare, ma più di tutti
coloro che si professano seguaci di Cristo, di Colui il quale di questo grande principio di
condotta umana ha offerto esempio sorprendente.

Così noi spieghiamo come i documenti entrati in possesso di S. Matteo, probabilmente


prima dell'anno 42, non furono messi in circolazione che una ventina di anni più tardi e non
furono prima conosciuti da altri, tolto forse S. Giovanni il quale era legato dallo stesso
segreto e dallo stesso obbligo del silenzio (36).

Maria e il Vangelo di S. Luca. - Fino ad ora ci pare che i critici più accaniti possano
muovere serie obbiezioni alle nostre ipotesi: forse si possono correggere dei dettagli alle
nostre congetture ma non si cambierà gran cosa alle conclusioni. È possibile, per esempio,
che Matteo non abbia ricevuto direttamente da Maria i documenti che egli utilizzava ma da
Giovanni quando la Madonna aveva già lasciato questa terra; possibilità tuttavia, poco
probabile. Sembra invece che Matteo fosse già erudito, se così possiamo dire, quando per
attingere alla medesima sorgente si presentò un medico zelante, convertito dal paganesimo
da S. Paolo e di venuto uno degli assidui compagni del grande apostolo. Il medico, tutti lo
sappiamo, era S. Luca.

Luca era d'Antiochia ed era uomo di alta coltura. Maneggiava il greco a perfezione. Il breve
preambolo ch'egli ha posto all'inizio del suo Vangelo lo rivela come uno scrittore ben sicuro
della sua penna e come uno storico cosciente dei suoi doveri. Egli non aveva conosciuto il
Cristo ma dal giorno della sua conversione s'era fatto un dovere di raccogliere tutti gli
insegnamenti possibili per poter appoggiare sulla roccia della certezza la sua fede e quella
degli altri. Lui stesso ci assicura di questa costante diligenza nelle sue ricerche,
«dall'origine» ossia dall'epoca della sua conversione. Egli interrogò senza posa i testimoni
oculari della vita, degli insegnamenti, dei miracoli di Gesù e il suo Vangelo difatti porta le
tracce della sua assiduità. Luca ha arricchito considerevolmente il Vangelo orale primitivo
che egli prese come base fondamentale del proprio testo dopo averne potuto verificare le
attendibilità delle notizie. Ciò attestava la sua alta stima per il primo Vangelo al quale
aggiunse un buon numero di testimonianze di cui possiamo congetturare le origini: quelle,
per esempio, di Maria di Betania, di Giovanna a Chuzo, di Cleofa, uno dei discepoli di
Emmaus.

Fra tutte queste fonti ve n'è una sola che Luca si è preso cura di segnalare con una
dichiarazione esplicita e cioè, Maria la Madre del Salvatore, che gli fornì un tesoro di
informazioni. Come pervenne alle sue mani tale tesoro? Questione non difficile a risolversi
se non si complicasse con la seguente: Come mai questo tesoro era alleggerito dalle
ricchezze offerte al pubblico cristiano dal Vangelo di Matteo? Ci troviamo di fronte
all'enigma affacciato precedentemente.

Abbiamo usato altra volta il paragone della moneta d'oro spezzata in due. Evidentemente se
si trattasse davvero d'un pezzo d'oro tutto sarebbe facile. Il primo pezzo è stato dato a
Matteo, il secondo a Luca. Ma invece non si tratta che d'un paragone.

Supponendo che Maria avesse di proposito dato a Matteo soltanto ciò che rispondeva
strettamente al suo programma, ci si può domandare perché Luca non fu messo al corrente
di questi fatti già raccontati circa l'infanzia di Gesù, lui che aveva manifestato la lodevole
intenzione di c conoscere tutto esattamente allo scopo di scrivere con ordine»?

Saremo inclinati a credere che S. Luca non abbia conosciuto personalmente la Madonna, per
conseguenza egli avrebbe ricevuto i documenti manifestati nel suo Vangelo attraverso un
intermediario che a sua volta sarebbe stato legato da una consegna formale. La Vergine non
aveva avuto certo il bisogno d'imporre la sua volontà con chiasso e se noi usiamo anche qui
la parola consegna lo facciamo con la coscienza precisa di ciò ch'essa contiene di troppo
imperativo e di duro. Maria era circondata da troppo rispetto perché il minimo desiderio da
Lei espresso non divenisse per i circostanti un dovere dei più sacri.

Seguiamo l'ipotesi dell'intermediario fra Maria e S. Luca.

Chi fu? Viene immediatamente alle labbra il nome di Giovanni, ché Luca alla ricerca dei
documenti necessari alla sua storia non poteva mancare di battere a tale porta. Giovanni non
lasciò Gerusalemme - si crede - che al momento della partenza generale dei cristiani dalla
capitale in decadenza ed in rivolta contro Roma, per ritirarsi a Pella, dunque circa l'anno 66.
Luca probabilmente ebbe occasione di vederlo in più riprese e immaginiamo con quale santa
avidità l'avrà interrogate. Fra i propositi del pio medico c'era un punto che doveva piacere
moltissimo a Giovanni: l'intenzione «di scrivere con ordine». Difatti ciò di cui difettava la
catechesi primitiva, con altre parole, il Vangelo orale, era appunto la cronologia. L'esattezza
dei fatti non ne soffriva. Poiché nei primi tempi della predicazione il Vangelo era
manifestato ai fedeli con frammenti più o meno brevi inseriti nella celebrazione della Cena,
l'ordine cronologico aveva importanza relativa. I nostri Vangeli domenicali cominciano
uniformemente con le parole: In quel tempo ... Non c'erano inconvenienti anche se i racconti
orali degli apostoli erano ogni volta incominciati con formule generiche. Ma dal momento
che la prima generazione cristiana stava per scomparire e necessitava quindi la redazione
d'un testo per le età future, diveniva pure necessario un ordine storico.

Giovanni aveva tanto ben compreso tale opportunità che il suo Vangelo porterà più tardi le
note cronologiche più numerose, più esatte. Ed abbiamo già affermato che l'influenza della
Vergine Maria non deve essere stata estranea a tale pia minuziosità.

S. Giovanni era perfettamente in grado di rendere a Luca i preziosi servizi. C'è da osservare
però che egli mantenne la sua riservatezza in primo luogo, col non svelare nulla di quel
Vangelo «complementare» che portava nel proprio cuore e che aveva elaborato nelle lunghe
e quotidiane meditazioni con la Vergine e, in secondo luogo, col non accennare a Luca dei
documenti trasmessi dalla Madonna e, forse da lui stesso a nome di Lei a S. Matteo. Sono
due considerazioni complementari: la prima ci aiuterà a comprendere meglio la seconda.

Riprendiamo più profondamente le due constatazioni: Giovanni non ha rivelato nulla del
proprio Vangelo. E' un fatto che appare evidente: nel terzo Vangelo non c'è alcuna traccia
delle idee, delle percezioni teologiche, delle discussioni, paragoni ed allegorie e dei discorsi
che si trovano nel quarto Vangelo. Si può dire: Ma Giovanni non doveva stendere tutto il
suo racconto che quarant'anni più tardi. Stendere, sì, ma non inventare. Ciò che Giovanni
scrisse verso l'anno 100 lo conosceva bene anche nel 60. Ricordiamo quanto abbiamo
affermato in precedenza che Egli ha vissuto nell'intimità più filiale verso la Vergine Madre.

Se Maria ha potuto dire che «conservava tutte le parole meditandole in cuor suo» anche
Giovanni poteva dire altrettanto dei propri ricordi. Nessun dubbio che egli abbia nutrito il
suo fedele amore, la sua anima e la sua fede con i ricordi del suo adorato Maestro. E nessun
dubbio che giorno per giorno, d'accordo con Maria e stimolato da Lei, non sia nato un
inventario esatto e completo di ciò che poteva arricchire in futuro i fatti del Vangelo orale
edificato da Pietro e dagli altri testimoni immediati della vita pubblica. Ma ancora una volta
Giovanni attendeva l'ora. Crediamo che non si possa spiegare in altro modo il silenzio
volontario da lui osservato fin dopo la morte di Pietro e Paolo, fino a quel momento che
possiamo chiamare «la sua provvidenziale entrata in scena».

Noi non ci fermiamo neppure al meschino pensiero d'una riserva dettata da una piccola
gloriuzza personale, cioè che il progetto di pubblicare un giorno quanto sapeva sui
particolari della vita del Redentore potesse trattenerlo dal manifestare i documenti ad un
terzo. E' un'insinuazione indegna del carattere di S. Giovanni. E per di più è contraddetta dai
fatti perché se Giovanni. pensava di riservarsi degli «inediti» per usarli in futuro, avrebbe
potuto servirsi anche delle preziose «memorie» di Maria. Non l'ha fatto: ciò prova che egli
era immensamente più alto dei gretti calcoli di una rinomanza letteraria.

Senza inconvenienti e senza ingiustizia non si possono prestare a Giovanni idee tanto
meschine e per giustificare il suo silenzio verso Luca non resta altro che ricorrere alla
spiegazione proposta nel secondo capitolo di questo studio: Maria aveva collaborato nella
formazione del suo futuro Vangelo e gli aveva raccomandato di aspettare l'ora. Aveva
distolto Giovanni da ogni premura. L'una e l'altro sapevano bene che non si deve, come dirà
più tardi S. Vincenzo de' Paoli, «anticipare i tempi alla Provvidenza».

Nel periodo in cui Pietro viveva e dirigeva la Chiesa, e per tutta la durata della prima
generazione cristiana, era buona cosa, giusta e conforme alla volontà di Dio, attenersi alle
forme della predicazione primitiva. Senza alcun dubbio si poté apportare, cominciando dalla
seconda generazione, cioè dieci o vent'anni dopo la morte della Madonna, qualche aggiunta
complementare circa l'infanzia misteriosa del Cristo e la vita nascosta a Nazareth. Ma anche
qui conveniva rispettare il mistero di cui Gesù si era circondato. La vita nascosta doveva
rimanere tale in tutto il corso dei secoli.

Supposto che Maria abbia manifestato il suo segreto a Giovanni - e lo si ammette volentieri
riconoscendo l'uso fatto dall'apostolo nel Prologo dei passi relativi alla Sapienza - deve poi
aver regolato Ella stessa ciò che era il caso di pubblicare a tempo opportuno e ciò che
doveva rimanere per sempre nascosto nell'ombra.

Tentiamo di rendere chiaro il nostro pensiero attraverso un dialogo immaginario.

Giovanni: Madre mia, più d'una volta m'avete parlato della visita dell'Angelo quando
eravate nella vostra casa di Nazareth. Mi avete raccontato la nascita a Betlemme del mio
dolce Maestro. Ho conosciuto, per grazia vostra, le sublimi conversazioni tra voi due
quand'egli cresceva in Sapienza e in grazia dinnanzi a Dio e agli uomini. Quanti dei nostri
fedeli, guadagnati alla luce dagli sforzi di Pietro e degli altri apostoli, sarebbero stati felici di
sapere queste belle cose! Non ci permetterete di dire loro come è nato il Salvatore e quali
erano le promesse del cielo sulla sua culla?

Maria: Sì, figlio mio, essi sapranno un giorno ciò che desidereranno. Ma l'ora non è ancora
venuta; Un prezioso insieme di «ricordi » è già stato manifestato all'apostolo Matteo che
aspetterà per scriverli il momento propizio. Io non ti abbandonerò per raggiungere il Signore
senza averti lasciato il racconto di quello che i discepoli debbono conoscere. Ma ciò che è
stato consegnato a Matteo, col sigillo provvisorio del silenzio, non sarà toccato. Siamo
legati dalla stessa consegna imposta a Lui. Se egli ci domanderà di completare qualche
notizia non ci rifiuteremo e seguiremo in ciò le aspirazioni dell'alto. Se qualche altro
scrittore si presentasse in nome del Signore non potremo riferire ciò che è stato affidato già
a Matteo: sarebbe un fargli offesa. Ma potremo aprire nuovamente il nostro tesoro e
confidare ciò che esso ancora contiene.

È facile individuare ciò che d'arbitrario contiene questo dialogo, ma crediamo che Giovanni;
unico depositario delle «memorie » di Maria, quando essa fu assunta in cielo, si sia sentito
legato dagli impegni resi verso Matteo e non si sia creduto Quindi in diritto di manifestare a
dei terzi le confidenze che solo Matteo aveva ricevuto. Come del resto anche quest'apostolo
- se Luca lo poté incontrare ed interrogare (37) non credette poter rivelare quelli, che
abbiamo chiamato i «ricordi » di Giuseppe. Ciò basta per spiegare il duplice fatto delle
differenze dei racconti sull'infanzia e insieme la perfetta coincidenza su punti essenziali.

Maria avrebbe dunque redatto prima di morire o forse ha dettato ciò che si trova nei primi
due capitoli di S. Luca. S. Giovanni avrebbe avuto in consegna la preziosa redazione e Luca
in cerca di documenti per la storia di Gesù sarebbe stato scelto dalla Provvidenza per portare
quel testo a conoscenza della Chiesa della seconda generazione. Una sapienza superiore
aveva presieduto a queste rivelazioni parziali e successive. I «ricordi » di Giuseppe
dovevano essere conosciuti per primi. Essi presentavano una prima affermazione del dogma
della nascita verginale e donavano al dogma stesso l'appoggio della «giustizia » di Giuseppe
e il fondamento del testo di Isaia divenuto per la prima volta luminoso. Né si potrebbe
pretendere che tutto questo racconto sia stato creato per convalidare un passo - quello di
Isaia - poiché nessuno l'aveva compreso fino allora e perché la divinità di Gesù era ormai
una certezza acquistata indipendentemente dal racconto della sua concezione
soprannaturale. Al contrario le testimonianze indubitabili che la predicazione apostolica
aveva accumulato sui miracoli e gli insegnamenti di Gesù, sulla divina sua missione e suo
diritto al titolo di Figlio di Dio, aprivano le vie, nel pensiero dei primi cristiani, alla fede più
cieca verso le novelle rivelazioni concernenti le sue origini miracolose.

Più si riflette al carattere delicato di queste rivelazioni in cui l'onore della Vergine, e per
conseguenza quello del suo Figlio divino, si trovano impegnati; più si ammira la perfetta
prudenza di Maria in tutto, più si comprende il suo lungo silenzio e più si intende il motivo
delle diverse tappe nella pubblicazione dei racconti dell'infanzia. Non diciamo che tutto sia
stato predisposto come poi in realtà avvenne. Tutti gli avvenimenti di questo mondo
comportano una parte enorme di oscurità per noi. Comunemente le ombre si chiamano
«destino», ma la sapienza cristiana vede dappertutto l'azione della Provvidenza. Gesù aveva
detto con parole profonde: «I capelli stessi del vostro capo son tutti contati».

Il problema esaminato è stato dunque risolto da Maria e Giovanni tenendo conto delle
circostanze in cui essi riconoscevano la volontà divina. Molte di tali circostanze sono ignote
a noi ed è probabile che se le conoscessimo tutto si farebbe più chiaro. Ma non siamo in
pericolo di sbagliare ammettendo come fattori essenziali le due virtù dominanti in Maria: la
sua umiltà e la sua sapienza.
Importanza dei documenti di S. Luca. - Per lungo tempo questa sapienza e questa umiltà
s'erano fuse per privarci degli inapprezzabili documenti racchiusi nei primi due capitoli di S.
Luca. Sembra ormai certo che soltanto alla fine della sua vita, Maria abbia aperto il suo
tesoro alla posterità, pensando unicamente alla gloria del suo divin Figlio.

Questi capitoli del terzo Vangelo appartengono essenzialmente alla storia di Cristo. Ce ne
siamo già serviti nella misura delle nostre forze raccontando l'infanzia del Salvatore (38).

Ma se essi non sono stati pubblicati per sodo disfare a delle semplici curiosità ed ancor
meno per servire da piedestallo postumo alla Madonna, essi non sono meno stupendamente
utili agli storici desiderosi di scrivere intorno alla Madre di Cristo. Senza di quei documenti
non conosceremmo nulla di Lei.

Né il Vangelo di Marco, né quello di Matteo é meno ancora quello di Giovanni forniscono le


basi indispensabili alla più modesta analisi psicologica ed al più breve saggio di storia.

Grazie a S. Luca invece, noi possiamo finalmente uscire dalle semplici congetture. Non
solamente i suoi due capitoli ci parlano di Maria intrattenendoci su Gesù, ma ciò che è di
ben maggiore interesse per noi, essi emanano direttamente da Maria stessa. Essi portano una
impronta armonica che tutti gli studiosi hanno notato. Conservano un carattere nettamente
preevangelico; formano nel terzo Vangelo un tutto a sé. Se l'Evangelista ha posto qua e là la
nota personale del suo stile, come certi critici hanno voluto riconoscere, essi però hanno
conservato sotto una debole vernice superficiale, lo stesso testo con cui erano stati espressi a
Luca. Possiamo dunque inchinarci con tutta fiducia su questi passi. Se bastano poche
espressioni per giudicare un uomo qui abbiamo assai di più del numero desiderato.

Il Vangelo dell'infanzia di Gesù in S. Luca comprende 132 versetti, esclusa la genealogia. È


poco ed è pure una ricchezza inestimabile: vi è in essi una densità straordinaria di fatti e di
pensieri. Esempi e parole: ciò che ci rimane da meditare.

_____________

Capitolo V

Sommario: Scopo della presente opera. Riassunto dei capitoli precedenti. Sede della
Sapienza. Ancella del Signore. Genesi psicologica del Magnificat. Riminiscenze bibliche del
Magnificat. L'intelligenza di Maria nel Magnificat. Conclusione.

***
Scopo della presente opera. - Attraverso le pagine che precedono non abbiamo perduto di
vista il particolare scopo che cerchiamo di raggiungere con l'opera presente. Non ci siamo
affatto proposti la soluzione di qualche spinoso problema di critica storica o di esegesi. Se
tali problemi si sono affacciati e si è tentato di risolverli, è stato però con un interesse
secondario. Noi vorremmo ricostruire la storia degli ultimi anni di Maria. Ma per ora
desideriamo soprattutto contemplare nella lontananza dei tempi un viso di Regina, togliere
dall'ombra in cui si è volontariamente nascosta la più bella figura di donna, di madre, di
vergine e di principessa che la storia conosca.

Avendo scritto una modesta «Vita di Gesù» abbiamo voluto aggiungere un saggio di Maria.
Dicevamo cominciando la prima: «Il Vangelo è un oceano. Ciascuno di noi vi getta la sua
rete; Noi portiamo qui il risultato della nostra pesca ».

Abbiamo tentato di nuovo di pescare in un'acqua profonda. E non ci sembra che i nostri
sforzi siano rimasti senza successo. La prima impressione che si prova nel considerare
l'esistenza terrena della Vergine Immacolata è di sorpresa con una specie di delusione. Non
si trova di fronte a sé che silenzio e buio. La vita nascosta di Gesù è durata trent'anni su
trentatré. Quella di Maria è durata sempre. È grazia se conosciamo attraverso qualche
episodio smagliante di bontà un anno o due della sua lunga carriera quaggiù. Dall'annuncio
di Giovanni Battista e dalle perplessità di Giuseppe al ritorno dall'Egitto, sono trascorsi
forse diciotto o al massimo venti mesi. Ciò avveniva entro il quindicesimo e il
diciassettesimo anno di Maria che ha trascorso su questa terra dai sessantacinque ai
settant'anni. Tolti i racconti dell'infanzia di Gesù, non sappiamo più nulla di Lei se non
attraverso qualche cenno sparso qua e là. Ignoriamo perfino la data della sua morte. I Libri
del Nuovo Testamento non ci dicono nulla dei suoi ultimi anni.

E intanto la devozione a Maria non ha cessato di crescere attraverso i secoli. Ciò che essa
aveva annunziato si è realizzato: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata ». Cos'è
dunque questa attrattiva divina ch'Ella esercita sugli spiriti dal fondo di questa notte dei
secoli? Non c'è da parte nostra un tentativo temerario: quello di dirlo?

Che cosa abbiamo visto finora? Riuniamo in un fascio unico le luci ottenute dagli
accostamenti di qualche fatto preciso che conosciamo.

Riassunto dei capitoli precedenti . - L'indomani della festa di Pentecoste Maria è stata
ospitata nella casa di Giovanni. E vi resta fino alla sua morte. Non pare che Ella abbia mai
lasciato Gerusalemme. Ha fatto forse ancora il viaggio della Galilea e di Nazareth? Non lo
sappiamo. Non sappiamo più niente di Lei, e S. Giovanni stesso «il figlio del tuono» sembra
aver deposto la impetuosità per non cercare che la solitudine.

S. Giovanni rimane più di trent'anni - in apparenza di meno - lontano dall'attività apostolica


comune ai messaggeri di Gesù. Come il suo Maestro egli avrà avuto la sua vita nascosta.
Davanti alla casa di S. Giovanni, profumata dalla presenza di Maria, la parola «Chiostro» si
presenta da sé allo spirito. Negli ultimi anni del secolo XI e nei primi del secolo XII vi fu un
uomo che pare fosse ossessionato dal mistero di questa santa agitazione. Era un
contemplativo e insieme un oratore d'una eloquenza irresistibile. Si lasciava tutto per
seguirlo. Trascinava le folle dietro di sé, nei suoi spostamenti. Il teatro delle sue predicazioni
era la terra d'Angiò e la Bretagna. Si chiamava Roberto d'Abrissel; finì per fondare un
Ordine doppio che si chiamò l'Ordine di Fontevrault (1099). Ciò che vi era di particolare in
Quest'Ordine è che vi si venerava con un culto speciale il ricordo della clausura della
Vergine Maria e di S. Giovanni al punto che era sempre la Badessa di Fontevrault, a
mantenere la direzione effettiva dei due Ordini di Religiose e Religiosi, appunto come
Maria aveva la prima parola nel Chiostro primitivo dove S. Giovanni riceveva le sue
materne lezioni.

Fontevrault è un bellissimo esempio dell'attrattiva esercitata da Maria. Nella solitudine in


cui Ella si nasconde, d'accordo con S. Giovanni, non si fatica ad indovinare le ascensioni
d'una vita intensa. Di fatto abbiamo visto l'azione di Maria tradursi in fatti sensibili in
ciascuno dei quattro gloriosi Vangeli. Quello di Marco ha ricevuto da Lei i limiti a cui
attenersi. Il suo sguardo si è trovato così giusto, la sua prudenza così alta e la saggezza tanto
consumata che non si può per ciò stesso immaginare che le cose avrebbero potuto essere
diverse. Gli elementi più importanti per i quali il primo e il terzo Vangelo differiscono dal
secondo e differiscono fra loro, sono pure, abbiamo detto, per una gran parte, da attribuirsi
all'influenza della Vergine Maria.

Da Lei ci sono pervenuti in S. Matteo i ricordi di Giuseppe, e ancora per suo intervento
leggiamo in S. Luca le deliziose narrazioni che hanno incantato tante anime e le incantano
ancora.

Infine c'è un Vangelo che i contemplativi, hanno sempre preferito agli altri, dove hanno
meglio ricercato l'alimento delle loro attente elevazioni, dove Gesù ci appare più intimo, più
vicino, più amante, e questo Vangelo abbiamo creduto di poterlo chiamare senza alcun
pregiudizio, per la gloria di Giovanni, il Vangelo di Maria per eccellenza. Così
quest'apparente inazione della Vergine valeva ai nostri occhi un'azione in profondità d'una
rara potenza, allo stesso modo che il suo silenzio era un «silenzio lirico», un «silenzio
cantante».

È venuto di verificare le nostre deduzioni, di controllare la nostra ipotesi.

Sebbene abbiamo riscontrato, i passi sicuri ci provengono da Maria stessa - quei due primi
capitoli di S. Luca dove possediamo le «memorie» della Vergine - ci devono dar modo di
ritrovare le grandi linee che tracciano per noi un ritratto psicologico. Senza dubbio una
persona che si vede a cinquant'anni e il cui spirito è sempre stato sveglio e la cui anima non
ha cessato di progredire deve essere assai diversa da quel che era a quindici anni. Se noi
avessimo assistito alle conversazioni fra Gesù e i dottori della legge nel Tempio quando Egli
aveva dodici anni troveremmo forse una grande distanza fra la sua «sapienza» precoce e
quella dell'età matura. Maria stessa ci è garante che Egli era costantemente «cresciuto in
sapienza e in grazia, come in altezza.

Maria pure ha dovuto «crescere». Le sue ascese non hanno mai avuto riposo. Ella ci fa
giustamente conoscere, a proposito dell'episodio che stiamo ricordando, che Ella non
comprese allora ciò che Gesù le aveva risposto. È un modo di farci capire che Ella lo
comprese in seguito. Abbiamo tentato di dire, difatti, ciò che erano stati per Lei i diciotto
anni che durò ancora la vita nascosta del suo Divin figliuolo a Nazareth. Non possiamo
dunque né dobbiamo attenerci a ciò che rivelano le sue «Memorie» dove non si trovano che
alcuni brevi documenti della sua giovinezza. Se ci appoggiamo a questi dobbiamo farlo per
trame lo spunto e svilupparli per quanto è in noi, in quel senso che essi ci indicano.

Intanto però non rientra nel nostro piano di riprendere il racconto dei misteri dell'infanzia di
Gesù. Tale racconto fa parte della vita del Divin Maestro e noi non abbiamo nulla da
aggiungere. Ciò che ci interessa è tutto quanto contribuisce a farci conoscere l'animo di
Maria, come i tratti del suo carattere, la sua fisonomia morale, in una parola la sua santità.

La grande difficoltà del nostro compito consiste nel trovare una cornice al ritratto che
dobbiamo fare. Quando si trovano le cornici ordinarie ci si accorge che sono misere ed
anguste. Si crede comunemente di aver detto tutto intorno a una creatura u'mana quando si è
parlato della sua intelligenza, della sua volontà e del suo cuore. Ma questa triplice divisione,
così comoda negli altri casi, in quello della Vergine appare penosamente artificiale, non c'è
un atto né un disegno in cui non siano impegnati contemporaneamente ed intimamente la
nostra sensibilità, la nostra capacità di comprendere e la nostra potenza di decisione. E se
ciò è vero per tutte le creature umane, a maggior ragione è vero trattandosi di una delle vite
più alte che sia passata sulla terra. Il tutto è nel tutto.

Ma poiché i nostri poveri discorsi non possono contenere la mobile realtà senza piegarsi al
gioco delle divisioni e distinzioni, tenteremo di svolgere la nostra interpretazione di uno
spio rito così grande nelle tre parti che comporta ogni analisi psicologica e parleremo in
questo capitolo dell'intelligenza di Maria, nel seguente della sua volontà e nel terzo del suo
cuore.

Sedes sapientiae. - L'intelligenza di Maria? Si dovrebbe dire la sapienza. Ci siamo già


spiegati sul significato di Questa parola. Evidentemente la sapienza è stato l'ideale terreno di
Maria. Acquistare la sapienza è lo scopo di ogni vita umana. Se ci si domandasse: perché
siamo stati creati, noi potremmo rispondere: per possedere la sapienza. E non si creda che si
tratti solamente dell'idèale della vita presente. Il possesso della sapienza è l'essenza anche
della vita eterna. «La vita eterna - ha detto Gesù parlando al Padre - è che essi conoscano Te,
il solo vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cristo».
Come per un lampo che squarci le nubi, noi percepiamo d'un tratto il motivo e la ragione
ultima dell'intelligenza.

È la capacità di conoscere. Ma che cosa è che dobbiamo necessariamente conoscere? Solo


quello che ci colloca nella linea del nostro immortale destino. Noi veniamo da Dio. Noi
ritorniamo a Dio. L'intelligenza saggia è quella che si attacca a Dio, quella che vede Iddio,
che abbraccia la catena degli affetti risalendo alla Prima Causa che è Dio. Se la vita eterna
consiste nel conoscere Dio e Gesù Cristo, la vita terrena non può avere altro scopo che di
iniziarci a tale conoscenza. E si può dire che un'anima è tanto più intelligente quanto più va
direttamente, fortemente, intimamente a Dio, attraverso tutti gli avvenimenti e tutte le
creature. Certamente siamo ben lontani da certe concezioni della nostra epoca materializzata
ed avvilita. L'intelligenza contemporanea si è chiusa negli effetti fino a diventare cieca
rispetto alla Causa. Essa non ha voluto avere attenzione che per ciò che passa. Gli alberi le
hanno nascosto la foresta. Le onde le sottraggono l'oceano. Ma chiunque pensi al significato
della vita dello spirito, comprende la vanità di tutta quella scienza che guarda alle cose
caduche ed ignora ciò che è eterno.

Chi non vede al contrario che la sapienza definita come conoscenza di Dio e di Cristo è stata
uno dei più eminenti privilegi di Maria? Se rileggiamo le pagine che sappiamo uscite dalla
sua mano o almeno dal suo pensiero - ci riferiamo non al Prologo di Giovanni in cui
abbiamo creduto di trovare il timbro a secco, ma ai primi due capitoli di S. Luca che portano
la sua firma in chiaro - ci stupiremo subito della presenza costante del nome di Dio fin dalle
prime linee.

Maria vede Iddio dappertutto. Maria non pensa che a Dio. Egli è il suo Tutto, il Principio e
la fine di tutte le cose. Ella parla di Lui con la stessa naturalezza con cui respira. Non si
sente nemmeno più la ricerca di Dio in ciò che ella scrive, tanto il pensiero di Dio fa corpo
con la sua anima.

Se vuol fare l'elogio della virtù di Zaccaria e di Elisabetta non ne parla come farebbero i
narratori del nostro tempo. Ella non dice: «c'erano due buoni vecchi, diritti e giusti, viventi
nella pace e nel compimento del loro dovere». Il dovere? E' un'astrazione.

L'intelligenza di Maria vede il concreto, il reale che palpita e vive. Perciò Ella descrive:
«essi erano ambedue giusti dinnanzi a Dio vivendo irreprensibilmente secondo tutti i
precetti e gli ordini del Signore».

In verità un elogio più bello di creature umane non si può fare. Vuoi presentare Zaccaria ,
nell'esercizio delle sue funzioni? Ella non dimentica Colui che deve essere il centro di tutti i
nostri atti: «Or avvenne che mentre Zaccaria esercitava le sue funzioni sacerdotali secondo
il suo turno al servizio di Dio ...».

Un poco più avanti per definire la maestà dell'angelo, noi leggiamo queste parole che per
Maria contengono ogni titolo d'amore: «Io sono Gabriele che sto davanti a Dio». A maggior
ragione la scena dell'annunciazione è tutta penetrata dalla presenza di Dio. Pare che non
fosse necessario dire che Gabriele era mandato da Dio. Veniva da sé. Ma la Vergine precisa
nel suo racconto: «Sei mesi dopo, l'Angelo Gabriele fu mano dato da Dio ...».

E quale sarà la prima parola dell'Angelo? «Salute, o piena di grazia, il Signore è con te».
Egli sapeva che Ella nella sua vita desiderava una cosa sola: possedere Iddio. Il cielo stesso
approva così il suo ideale, canonizza la sua saggezza, incoraggia il procedere ardente del
suo spirito.

«Il Signore è con te!» Non si può dire nulla di più consolante e di più forte ad un'anima, ma
si suppone da parte di quest'anima un costante sentimento della presenza divina. Dio è con
coloro che pensano a Lui. La condizione della sua presenza in noi è l'adesione del nostro
spirito a questa presenza stessa.

Egli è in noi quando lo dimentichiamo, ma non è con noi. È in noi a nostra insaputa. Vi è
come testimonio e come Giudice. Nulla può distogliere la vigilanza di questo testimonio.
Nulla può sfuggire all'autorità di questo Giudice.

Ancella del Signore. - Maria non è che una giovinetta di quindici anni. Vede Iddio in tutte le
cose. L'Angelo Gabriele ci è garante, con le parole stesse del suo saluto, che Dio non
abbandona mai il suo pensiero. Ma non ci ha detto qual'era la sua disposizione interiore
davanti a Dio. È Maria stessa che involontariamente ce lo fa conoscere. Quando l'Angelo le
annuncia il suo divino messaggio, quando ha fatto la rivelazione prodigiosa che Ella
diverrebbe la Madre di Dio, nella luce abbagliante ed improvvisa di tale annuncio, essa
trova la sola parola che può convenire a tale grandezza. E la trova senza sforzo, senza
apparenza di riflessione, come una cosa che va da sé, come un'evidenza speciale: «Ecco
l'Ancella del Signore, sia fatto di me secondo la sua parola».

Non potremo mai abbastanza estasiarci su tale miscuglio di semplicità e profondità. Chi
oserebbe dire che tutto ciò non rientra nella linea più pura di tutto il Vangelo? Chi
pretenderebbe dire che la Madre non abbia trovato in quest'occasione tutto ciò che la
sapienza del Figlio potrà insegnarci più tardi? Gesù dovette dire ai suoi discepoli: «Quando
avete fatto tutto ciò che è comandato dite: siamo servi inutili, non abbiamo fatto che il
nostro dovere» (Lc 17, 10).

Ecco la perfezione, rimanere nel novero dei servitori, capire Dio e se stessi. Maria ha avuto
questa sapienza. Ciò prova la solidità del suo spirito. Ella ha saputo andar diritta
all'essenziale, poiché l'essenziale è di sapere ciò che siamo e ciò che facciamo sulla terra, è
di conoscere Dio e se stessi.

«Conoscere Voi! Conoscere me!» Griderà S. Agostino. In verità tutto sta lì. Ed è per questo
che non c'è una profonda intelligenza senza una profonda religione. Basta riflettere un
momento per vedere la sola parola: «Ecco l'Ancella del Signore» contiene tutto lo spirito
della vera religione, cioè di quella che non è semplice speculazione, una velleità
superficiale, ma una laboriosa realtà. Che cos'è d'altro la religione se non «servire Dio»?
Saper che Dio è il Re, il Maestro, il Sovrano Signore, che noi riceviamo tutto da Lui, che
tutto ciò che è in noi è suo, che tutta la nostra vita deve essere orientata verso di Lui, che
tutto il resto è illusione e menzogna, fumo e nulla; ecco ciò che costituisce lo spirito
religioso e ciò che significa sotto una forma concreta e vivente quella bella parola che fu il
motto araldica di Maria «servire»!

Si dirà forse che Ella non aveva inventato il suo motto, ma l'aveva attinto nelle lezioni di sua
Madre e nella tradizione della Sacra Scrittura del suo popolo.

Certamente! Ma non è l'invenzione sola che qualifica una intelligenza, è prima di tutto una
percezione netta e viva - nell'insieme delle verità che ognuno riceve dal passato, poiché
l'uomo è eminentemente un «essere istruito» secondo Lacordaire - dei principi i
fondamentali, delle certezze dominanti, degli assiomi da cui deriva la condotta dell'anima.
Ora ci sono due cose che sorprendono in quest'incontro dell'Angelo con Maria, che è per noi
la prima rivelazione della sapienza che cerchiamo d'analizzare, e queste due cose sono
precisamente la chiarezza e la vivacità della percezione intellettuale della Figlia di David.

L'apparizione di Gabriele e l'annuncio del suo messaggio devono essere stati estremamente
rapidi. Fu una specie di abbagliamento simile al lampo. Alcuni istanti furono sufficienti per
lo svolgimento di tutta la scena. L'Arcangelo si esprimeva con quella «brevità imperiale» in
cui gli antichi Romani vedevano il segno dell'autorità. Maria non ha detto che due parole.
La prima riguardava il suo voto. Vedremo nel capitolo seguente quali visioni pronte e vaste
conteneva la sua domanda quasi angosciata. Le si domandava in un batter d'occhio tutto un
cambiamento della sua vita senza neppure che Ella avesse il tempo di prevenire il suo santo
fidanzato, Giuseppe, che conosceva il segreto delle sue risoluzioni.

Ma l'Angelo ha ripreso la parola. Istantaneamente Maria intuisce, il suo sguardo si immerge


nell'avvenire. La sua vita è cambiata. Ella si affida a Dio per ciò che riguarda la rivelazione
che Giuseppe deve ricevere. Con fulminea prontezza Maria distrugge le proprie vedute,
annienta le sue concezioni e si inchina davanti alla volontà di Dio. Ma in tutto questo, niente
parole, nessuna esitazione, nessun commento: «Ecco l'Ancella del Signore, si faccia di me
secondo la sua parola».

E' detto tutto. Il mistero dei misteri è compiuto. Dio s'incarna nel suo seno. E' un attimo
questo che non sarà mai sorpassato. Qualunque siano le magnificenze che l'Eterno può far
nascere nei cieli e attraverso i mondi, Egli non farà nulla di più grande di quanto è stato fatto
in questo momento, in questo luogo e in quest'umile dimora per l'umile accettazione d'una
Vergine Immacolata perché non vi è nulla di più grande nei secoli di un Dio fatto uomo. E'
quindi vero che Maria aveva attinto la sua sapienza nella sacra tradizione della sua stirpe,
ma è ugualmente vero che Ella ha fatto di questa tradizione un uso superiore, ne ha scelto
tutto lo splendore, ha ereditato la fede dei Patriarchi, l'entusiasmo civico dei Profeti, ha tolto
dai Libri Santi tutta la sostanza che essi contenevano, meglio ancora Ella ha incorporato, per
così dire, la Sapienza divina che essi traducevano nella lingua dei Giudei, alla sua vita
stessa, alla sua anima, al suo spirito, a tutti i suoi atti, in modo tale che al primo battito, al
primo appello questa giovine Vergine di quindici anni si trova miracolosamente al livello
della più grandiosa dignità che possa essere affidata ad una donna.

Nei capitoli precedenti abbiamo ammesso che Maria aveva una conoscenza personale molto
estesa e profonda della Bibbia; si può dire che Ella pensava Biblicamente e che possedeva
tutto quanto è necessario per divenire, al momento opportuno, la maestra del suo divin
figliuolo in sapienza biblica, come tutte le madri israelite lo dovevano essere dei propri
figliuoli.

E' venuto il momento di provare queste affermazioni per se stesse molto verosimili. Non
diciamo che Maria non si sia servita per le sue contemplazioni di quell'altra Bibbia che si
chiama natura, noi abbiamo dimostrato, parlando degli sviluppi della scienza sperimentale
del Cristo, che Egli aveva preso molti spunti dallo spettacolo della creazione, che Egli aveva
penetrato il simbolo così multiplo ed eloquente che Dio ha diffuso nelle cose, al punto che
tutte le età della creazione si trovano legate da misteriose corrispondenze significanti in
aspetti vari e concordi la sapienza infinita dell'Artista increato (39).

Sarebbe difficile pensare che Maria non abbia avuto, per lo meno in abbozzo, questo dono
della lettura dei simboli materiali che ci è valso da parte di Gesù una gran copia di parabole
ed allegorie immortali.

Ma per ora sorvoliamo su questo argomento. Se anche la Madonna non avesse chiesto nulla
alla contemplazione della natura, le sarebbe bastata la Bibbia. E noi vogliamo
semplicemente far vedere fino a qual punto la Bibbia le era familiare e in qual senso Ella
l'intuiva.

Ci fa da guida un testo. È breve, ma esprime tutta l'anima di Maria. È tutto vibrante della
sua fede biblica. Esso corona le emozioni scatenate in Lei dalla visita dell'Arcangelo. È il
solo testo in cui la sentiamo parlare un po' lungamente. E si capisce subito che esso è il
Magnificat.

Origine del «Magnificat». - Bisogna anzitutto fare la genesi di questo cantico ammirabile.
Non una genesi che tiene conto delle circostanze storiche in cui fu pronunciato, l'abbiamo
già detto nel parlare dell'infanzia di Gesù (40); ma una genesi di natura psicologica. Noi
vorremmo tentare di indovinare come è nato nello spirito della Vergine, quale fu il cammino
del suo alto pensiero dall'istante in cui Gabriele la lasciò fino a quando il Magnificat sgorgò
dalle sue labbra. Per una fortuna quasi insperata possiamo ricostruire, con una probabilità
che si avvicina alla certezza, le associazioni di pensieri che l'hanno condotta a questa
esplosione lirica al momento dell'incontro con Elisabetta.
Tutti sanno che sotto l'effetto d'una viva emozione un flusso di pensieri, di ricordi, di
reminiscenze risale spontaneamente al nostro spirito. Avviene ciò che i filosofi chiamano
associazione di idee. Si direbbe meglio: suggestione di idee oppure: orientamento d'una
corrente di coscienza.

Nulla rivela meglio le qualità d'uno spirito quanto la potenza di suggestione che scaturisce
da una grande emozione e la natura delle idee che trasportano in quell'istante il torrente del
pensiero interiore.

Partiamo dunque dalle ultime parole dell'Angelo. Egli ha detto a Maria: «Ed ecco,
Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia ed è già nel sesto
mese, lei che era detta sterile».

Maria ha risposto col suo Fiat sublime. L'Angelo è risalito in cielo.

La Vergine comprese subito che la rivelazione di Gabriele, nei riguardi di sua cugina,
conteneva una specie di invito di Dio. Ed ella è così sensibile al minimo appello della grazia
che si decide senza ritardi a visitare Elisabetta. Senza dubbio è un viaggio lungo, ma che
importa? Dio ha parlato e Lei parte.

Con tutta naturalezza, senza che nemmeno Ella se, ne accorga, per semplice gioco di
suggestione di idee, il suo spirito si porta ai Libri Sacri che contengono per Lei tutta la
sapienza. La sua memoria, ripiena di ricordi biblici, le presenta un esempio, il più vicino a
quello di Elisabetta, c'era stata nel passato una madre illustre rimasta per lungo tempo
sterile, che aveva pianto per non avere figli e che dopo lunghe insistenze era stata esaudita.
Questa Elisabetta della Bibbia era Anna, moglie di Elcana, madre del profeta Samuele.

Maria, affrettandosi nel suo cammino da Nazareth a Ain- Karin, medita sulla rassomiglianza
tra sua cugina e la madre d'uno dei grandi profeti del passato. Ella ripete interiormente il
cantico di Anna che nella Bibbia letta dai Giudei era nel primo libro di Samuele. Questo
canto contiene espressioni di gratitudine religiosa che convengono anche a Maria tanto che
essa se le appropria. Le stesse frasi di Anna si accalcano nel suo pensiero, riempiono la sua
anima d'una santa esaltazione.

Il mistero dell'Incarnazione compiuto nel suo seno trasporta il suo spirito. Al cantico di
Anna si frammischiano dei versetti dei salmi davidici. Una figlia di David li doveva sapere a
memoria e recitare costantemente e Maria certo non manca a Questo dovere (41). Così
durante i quattro o cinque giorni di cammino, Maria non cessa di benedire interiormente il
suo Signore. La sua cosiddetta «tensione interiore» cresce di minuto in minuto, e quando
Ella finalmente arriva da sua cugina vi è nel suo sguardo, nel suo viso, nelle parole del suo
saluto qualche cosa di talmente soprannaturale, ispirato, rivelatore, che Elisabetta,
illuminata dallo Spirito Santo, indovina lo splendore del mistero. Ella si sente alla presenza
della Madre del suo Messia. E, secondo l'espressione del Vangelo, le «grida» in
quell'incontro, la sua ammirazione! «Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto
del seno tuo. E donde mi è dato che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco infatti
appena l'accento del tuo saluto mi è giunto all'orecchio, il bambino mi è balzato per il
giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché si adempiranno le cose a te predette dal
Signore!»

Questa esplosione di felicità da parte di Elisabetta serve di scintilla allo spirito di Maria.
Nello stesso istante una specie di cristallizzazione psicologica si opera in Lei e il sublime
Magnificat esce dal suo cuore e dalle sue labbra.

Se la nostra analisi è esatta; non dobbiamo aspettarci di trovare in questo campo delle
ricerche d'arte né delle note personali all'infuori dello slancio dell'ispirazione, della fede e
dell'amore che rappresentano l'anima stessa del Magnificat. Difatti esaminandolo da vicino
ci si stupisce nel constatare che esso dal punto di vista letterario non è che una catena di
reminiscenze bibliche.

Per la necessità stessa della nostra dimostrazione tenteremo di rendere la cosa evidente
riproducendo lo stesso testo del caotico e sottolineando i punti che sono stati tolti dalla
Bibbia.

Reminiscenze bibliche del Magnificat. - L'anima mia glorifica il Signore (42), ed il mio
spirito esulta in Dio, mio Salvatore (43), perché Egli ha rivolto lo sguardo alla bassezza
della sua serva, ecco, da questo punto, tutte le generazioni mi chiamano beata; perché grandi
cose mi ha fatto Colui che è potente. Il suo nome è santo (44); la sua misericordia si efonde
di generazione in generazione su coloro che lo temono (45).

Ha operato prodigi col suo braccio; ha disperso i superbi nei disegni del loro cuore (46).

Ha rovesciato dal trono i potenti ed esaltato gli umili (47).

Ha riempito di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi (48).

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (49).

Come parlò ai padri nostri, ad Abramo ed alla sua discendenza per tutti i secoli (50).

Come si vede il cantico di Maria è un tessuto di espressioni tolte dai libri Sacri. «L'Inno di
Maria, dice molto bene il Padre Prat, non è una risposta ad Elisabetta e neppure una
preghiera a Dio. E' un'elevazione e un'estasi. Le reminiscenze bibliche si succedono l'una
all'altra. La maggior parte delle idee porta l'impronta dei Salmi o dei Profeti. Due o tre
espressioni ricordano il grido di riconoscenza di Anna, Madre di Samuele e il grido, di gioia
di Lia, madre adottiva di Aser. Ma quale espressione diversa acquistano le loro parole nella
bocca della Vergine Immacolata!
Da questo esame sintetico risulta subito che il «lirismo» di Maria è un lirismo disciplinato,
diretto, che si mette in una direzione voluta, che si nutre della parola divina con esclusione
di ogni altra, che non ricerca affatto la originalità dell'espressione, ma proietta tutta la sua
forza e il suo slancio attraverso le parole sacre che già cantano nel suo cuore (51).

L'intelligenza di Maria nel Magnificat. - Ciò che soprattutto dobbiamo. domandare al


Magnificat della Vergine sono le indicazioni sullo spirito di questa Madre incomparabile,
sulle qualità e le caratteristiche della sua intelligenza, su ciò che si potrebbe chiamare con
un nome pretensioso di fronte alla sua semplicità, ma espressivo per noi, la sua filosofia
religiosa.

Abbiamo parlato della solidità dell'intelligenza di Maria. Essa va diritto all'essenziale, a ciò
che solo conta, a ciò che dura, vale a dire, a Dio e al suo servizio. Abbiamo ricordato la sua
vivacità, la chiarezza, la prontezza, l'istantaneità delle sue intuizioni che si ritrovano con
tratti più forti e più potenti nelle parole di Gesù, suo figlio divino (52).

Il Magnificat ci permette di intuire altri fatti pure importanti. E anzitutto l'ampiezza della
visione in Maria. Ella abbraccia tutti i tempi, prima e dopo di Lei. Se si tratta del passato
esclama: «Secondo la promessa fatta ai nostri padri ad Abramo ed alla sua discendenza per
tutti i secoli».

Oppure: «E la sua misericordia si estende di generazione in generazione su coloro che lo


temono».

Si potrebbe dire ch'Ella si libra al di sopra delle età, come l'aquila che ha gli occhi fissi nel
sole e sorvola sulle pianure e le vallate.

Se si tratta dell'avvenire: la medesima estensione di veduta profetica. «Tutte le generazioni -


Ella dice - mi chiameranno beata».

Nel passato Ella non vede che Dio e le sue promesse, che per nulla affatto potranno venir
meno. In breve Ella riassume tutta la storia della sua stirpe. Le parole dette ad Abramo sono
così vicine e vive per Lei come se fossero state pronunciate la vigilia e nell'avvenire Ella
contempla in anticipo la gioia della redenzione, la riconoscenza delle anime fedeli, la
fierezza che esse proveranno nell'appartenere alla famiglia di Adamo tanto onorata da Gesù
e da Maria.

Ma in questa visione d’una ampiezza immensa Maria percepisce un ordine, un'armonia, una
regola di giustizia sempre all'opera. Ed è tale percezione che noi abbiamo chiamato la sua
filosofia religiosa. I Greci avevano riassunto la loro sapienza nella dottrina misteriosa della
Nemesi. Ma essi non avevano saputo introdurvi pensieri di una sapienza superiore. La loro
Nemesi - il nome stesso: vendetta, indica ciò che è - appare come una specie di gelosia degli
dèi verso la felicità degli uomini. Quanto è più puro, più alto, più giusto, più penetrante il
pensiero di Maria. Nel suo cantico il mistero dell'incarnazione non è affatto nominato,
eppure è presente in ciascuna parola, dalla prima all'ultima.

Maria vi riconosce nettamente il centro della storia umana. E per lei tale mistero è una
decisiva e brillante applicazione delle principali leggi morali del governo del mondo da
parte di Dio: il castigo riservato, in questa vita e nell'altra, all'orgoglio, alla potenza ingiusta,
alla ricchezza colpevole; la perennità dell'equilibrio mistico dell'universo, la supremazia
della giustizia divina, l'infinità della misericordia celeste: tutte queste certezze e questi
grandi pensieri formano la trama stessa del cantico mariano.

L'anima che ha sentito, pensato, affermato e proclamato tutto ciò, è qualcosa più d'un'anima
geniale, è un'anima di profeta e non è senza motivo che la chiesa l'ha nominata Regina dei
Profeti. Aggiungiamo a quanto Sopra un non so che di agilità, di dolcezza, di freschezza
verginale, una certa ingenuità diffusa su tutto il brano e si capirà bene il perché la devozione
secolare della cristianità ha fatto del Magnificat il cantico rituale e popolare insieme delle
sue gioie, e della sua riconoscenza.

Conclusione. - Ed ora concludiamo il capitolo. La sapienza di Maria - nel senso in cui Ella
stessa intendeva questo vocabolo - l'abbiamo vista come un possesso largo e tranquillo di
Dio, come il frutto delle assidue meditazioni sulla parola di Dio, come una conoscenza già
assai profonda, in questa giovane vergine di quindici anni, dei misteri divini! Maria è al
disopra dei suoi simili e delle vedute comuni. Non siamo sorpresi di constatare il rispetto
con cui le parla un Arcangelo. Non possiamo meravigliarci che Ella abbia potuto sostenere il
dialogo con Gabriele. Sono due spiriti della stessa famiglia in due piani diversi di creazione.
fra l'Angelo e la Vergine vi è in fondo una intima somiglianza. I teologi ci assicurano che
l'intelligenza degli Angeli non è discorsiva e ragionatrice come la nostra. Gli Angeli sono
degli intuitivi, mentre noi discutiamo e concludiamo essi vedono. Anche Maria, benché
appartenga alla discendenza di Adamo, è dotata d'intuizione diretta più che di ragionamento.
I grandi contemplativi sono tutti così. E Maria li sorpassa tutti. Se collochiamo l'intensità di
visione della Vergine che conta solo quindici anni, in un domani spirituale, che cosa ci
dovremo aspettare da Lei quando Ella avrà formato il suo Gesù e ricevuto nel suo spirito il
riflesso della sua c sapienza che cresce »?

E quando noi sappiamo che Ella ha vissuto dieci anni e più in compagnia di S. Giovanni,
come una madre presso suo figlio, abbiamo pure motivo di credere che i grandi colpi d'ala
del Magnificat hanno dovuto naturalmente sboccare nei grandi slanci del Prologo di
Giovanni.

Così, attraverso un giro, ritorniamo alle conclusioni dei capitoli precedenti quando sembrava
che noi fossimo in piena congettura, senza trovare in nessun posto dove posare il piede sul
suolo sicuro della storia.
__________

Capitolo VI

Sommario: Gli eroi. Il voto di verginità. L'oracolo d'Isaia. Maria e Giuseppe. Il silenzio di
Maria e Giuseppe. La predizione di Simeone. Una parola di Maria - Maria Regina dei
martiri - La passione secondo la Bibbia - La morte di Gesù.

***

Gli eroi. - La sapienza è per l'intelligenza o facoltà di conoscere ciò che l'eroismo è per la
volontà o facoltà di decidere e di agire. Si riconoscono i sapienti dal vigore del pensiero,
dalla concentrazione interiore del giudizio, dalia visione profonda delle anime e delle cose e
dalla sinteticità d'espressione nel linguaggio. Sì riconoscono gli eroi dall'energia, dalla
costanza e dall'altezza ch'essi spiegano nell'azione. La sapienza è contemplativa. L'eroismo
è fattivo. La vera sapienza è inseparabile dall'eroismo. Socrate insegnava che la scienza
conduce sempre alla virtù, che basta sapere per fare. Avrebbe avuto ragione se egli avesse
potuto parlare d'una sapienza soprannaturale e non d'una scienza superficiale. Aveva torto
perché avrebbe dovuto dire con San Paolo: «Io non faccio ciò che voglio, e faccio il male
che non voglio perché io mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma veggo
un'altra legge nelle mie membra che combatte contro alla legge deila mia mente e mi trae in
cattività sotto la legge del peccato che è nelle mie membra » (Rom 8, 15-23).

Socrate ignorava il peccato originale. La sapienza stessa ch'egli preconizzava e che - ben
compresa - poteva condurre a una certa virtù; non era che una sapienza umana e molto
imperfetta. S. Paolo invece ha posto una legge universale, dalla quale Maria sola per virtù
dei meriti del suo divin figlio fra stata preservata.

Intanto, dato che non facciamo uno studio di teologia sistematica ma un'analisi di psicologia
umana, noi consideriamo gli atti di Maria, almeno per quel poco che conosciamo, sotto la
forma concreta con cui ci si presentano nei testi.

Non cercheremo di distinguere la parte della natura e quella della grazia, come non abbiamo
fatto parlando della sua sapienza nella quale non abbiamo inteso distinguere fra l'impiego
delle sue native facoltà e intervento divino di ispirazione celeste.

Con questa premessa accostiamoci ancora una volta a questa grande anima. Non riflettiamo
più, sui pensieri della Madonna, ma sulle sue decisioni. In un'età in cui la maggior parte
degli esseri non pensa che al piacere di vivere, come mai Ella si era tracciata una sua via
nella vita? Era giovane: la tradizione parla di quindici anni circa. Era l'età del matrimonio
per le giovani giudaiche. Chi le suggeriva quella sapienza precoce che abbiamo ammirato in
lei?

Il voto di verginità. - Maria si è distinta da tutte le sue compagne per una decisione
veramente eroica; ha fatto, giovanissima, il voto di verginità e di verginità nel legame del
matrimonio. E' un fatto che esige una riflessione attenta, perché esso è completamente fuori
dalle norme ordinarie e pone Maria al di sopra delle leggi della psicologia comune. Ci rivela
in Lei una qualità dell'anima per cui ci mancano parole appropriate a definire. Questo voto è
tanto più eloquente quanto più suppone in Lei una scelta difficilissima a farsi. Intendiamoci
bene. Ciò che troviamo di eroico in questa santa risoluzione non è la disciplina che esso
imponeva alla natura. Ora lo sappiamo che Maria non aveva da vincere gl'istinti oscuri e
violenti che si agitavano nel cuore delle altre creature e di cui il freudismo ha preteso di fare
il centro reale di tutta la psicologia. Abbiamo da poco citato un testo di S. Paolo che parla di
questa «legge delle membra che combatte contro la legge della mia mente e mi trae nella
cattività del peccato». Questa legge non pesa affatto sulla futura Madre del Salvatore. Non è
dunque nella materia stessa del voto di verginità che risiede l'eroismo della sua decisione. Si
consideri invece ciò che rappresentava, in seno al suo popolo e specie alla sua dinastia, la
grande attesa del Messia. Tutta la sua nazione sperava e si protendeva verso il giorno della
grande liberazione. Tutte le donne d'Israele, almeno tutte quelle della dinastia di David,
avevano l'ideale d'appartenere in un modo più o meno lontano, alla genealogia messianica.
Senza dubbio le tradizioni relative alla nascita del Messia s'erano qua e là oscurate nel
popolo (53). Ma è permesso credere che almeno la discendenza di Davide conservasse
gelosamente il ricordo del privilegio riservato alla famiglia del gran re.

Quando si pensa alla formazione biblica di Maria, allo slancio religioso che la portava ai
Libri Sacri, si può essere sicuri che l'attesa del Messia era l'anima della sua anima, che Ella
pensava più di ogni altra persona alla venuta del Redentore d'Israele e che tutte le sue
orazioni, riflessioni ed aspirazioni erano in certo modo tese verso il grande giorno. In queste
condizioni fare un voto di verginità diveniva un atto di vero eroismo, una testimonianza di
abnegazione sublime, l'offerta a Dio d'un sacrificio sovrumano. E lo scopo di tale sacrificio
non è difficile ad indovinare. Ella si chiamerà l'Ancella. La parola riassumeva tutta la sua
vita anteriore. «Io rinuncio ad essere la Madre, per essere sempre soltanto l'ancella ». Tale
sembra sia stato il senso del suo voto. Era un atto di rinuncia e di umiltà, un atto di
consacrazione totale al servizio di Dio. Nessuno in Israele aveva avuto fino allora una simile
inspirazione. Era inaudita trovata dell'umiltà mariana e proprio per essa Maria senza saperlo,
inconsapevolmente, si rese degna di ottenere quella dignità che il suo giudizio,
profondamente umiliato dinnanzi alla sovranità di Jehova, si sforzava di allontanare. Per
ammettere questa interpretazione, bisogna porre il principio che la profezia di Isaia che
doveva realizzarsi in Lei, non era stata compresa da nessuno e che neppure Maria non aveva
colto il significato vero. Su questi due punti dobbiamo insistere brevemente.

L'oracolo di Isaia. - Abbiamo già detto ciò che bisogna pensare dell'opinione comune in
Israele circa l'argomento della nascita del Messia. Il silenzio degli autori giudaici sarebbe da
sé solo un motivo molto forte per dimostrare che nessuno di essi pensava a una concezione
verginale per il Messia. Ma si può far valere una prova secondo noi più forte ancora. Se il
testo d'Isaia fosse stato approfondito come lo è stato dopo l'avvenimento, è evidente che
l'interesse per il messianismo avrebbe condotto a un culto nazionale, per così dire, della
verginità.

L'oracolo difatti non portava data. In tutti i periodi di emozione religiosa la spinta delle
aspirazioni verso, il restauratore della gloria d'Israele avrebbe provocato una fioritura di
vergini «candidate» potremmo dire, alla maternità messianica. Se si fosse ritenuto come
cosa sicura o almeno probabile che il Messia doveva nascere da una vergine, le vergini non
sarebbero mancate nella nazione come non mancavano a Roma le vestali per mantenere il
fuoco sacro. Questo motivo ci pare decisivo sopra ogni altro. Noi riteniamo con certezza che
il testo profetico di Isaia era interpretato da tutti nel senso che ogni giovane sposa, ancora
vergine, avrebbe dato nel suo primo nato Colui che la nazione aspettava. La sua nascita non
doveva avere assolutamente nulla di speciale; ci si fermava soprattutto al seguito della
profezia, senza attribuire particolare importanza alla parola Vergine adoperata dal grande
profeta (54). Non meravigliamoci troppo di questa incomprensione. Ve ne furono per
numerosi altri testi messianici. Tutto il dramma del Vangelo giustamente consiste nel fatto
che il messianesimo di Gesù non era quello stesso del suo popolo e che Egli è morto per
dimostrare che le concezioni giudaiche erano divenute estranee alle divine profezie del
passato.

Vi è chi ci conferma nella certezza di questa universale incomprensione: Maria stessa,


Maria, così delicata, così penetrante, così «sapiente » nel senso biblico e profondo della
parola. Maria non aveva ancora intuito nelle frasi di Isaia ciò che esse esprimevano in realtà.
La Madonna non fu illuminata che dalle parole dell'Angelo. Siamo persuasi che essa fu la
prima persona in Israele a conoscere esattamente il senso della pagina inspirata, dove la sua
maternità divina era annunciata con settecento anni di anticipo.

E siamo persuasi che solo per merito suo i primi cristiani hanno imparato a capire questa
pagina gloriosa e che solo alla scuola di Maria S. Matteo può citare la profezia come
compiuta per Lei e in Lei.

Riprendiamo ancora una volta il commovente racconto in cui Maria stessa ci riporta il suo
dialogo con l'Angelo. Noi pensiamo che tale dialogo sarebbe incomprensibile se Maria
avesse saputo che la Madre del Messia doveva essere una vergine rimasta vergine nella
concezione e nel parto stesso.
E l'Angelo le disse: «Non temere, o Maria, poiché tu hai trovato grazia presso Dio. Ecco tu
concepirai e darai alla luce un figlio e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà
chiamato figlio dell'Altissimo. E il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo Padre e
regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe: e il suo regno non avrà mai fine».

Non si poteva parlare più chiaramente. Certo in Israele non si poteva trovare una giovanetta
di quindici anni capace di dubitare sul significato di Queste parole. Una figlia di Davide
come Maria, nutrita delle speranze della sua dinastia, non poteva non comprenderla anche se
Ella non avesse avuto la profonda scienza di Dio che il Magnificat avrebbe presto rivelato.
Tutto il discorso dell'Angelo significava: sei tu eletta da Dio: e da te nascerà il Messia. Se
Maria, unica nel suo popolo avesse intuito per una particolare ispirazione il significato della
profezia di Isaia, se Ella avesse abbracciato la verginità. sempre sotto un impulso celeste,
ma con la cosciente intenzione di mettersi in istato di attuare la grande profezia, non
solamente avrebbe mancato alla sua ingenua virtù e alla spontanea sua umiltà, - ciò che è
dimostrativo per noi - ma la sua risposta all'Arcangelo sarebbe totalmente incomprensibile.

«Come avverrà ciò se io non conosco uomo?» Risposta straordinaria. Se Maria avesse
capito la profezia antica, avrebbe potuto rispondere: «Così sia, poiché io non conosco uomo
». Invece ha detto tutto l'opposto. La sua frase in fondo è molto facile a capirsi. Essa ha uno
stile biblico accentuato. Non vuol dire in conclusione che Ella rinnega il suo fidanzata
Giuseppe o che non lo considera come sposo. Ma piuttosto la sua risposta significa: «Il
Signore sa bene che il mio fidanzato ed io siamo decisi di unirci in matrimonio per
consacrarci unicamente al suo servizio e che abbiamo fatto il voto di vivere in una unione di
anima e di cuore che non sarà unione di sensi e di carne. Quale segno potrò dare a Giuseppe
di questa volontà del cielo, perché conosca, che il nostro voto non è gradito a Dio e che
debbo divenire madre?»

L'Angelo comprende molto bene ciò che Lei vuol lasciargli capire, perché le parole che egli
aggiunge ritornano all'argomento: «Non è da un'unione umana che dovrà nascere il Messia.
Il vostro voto di verginità è stato gradito a Dio, ma pur rimanendo vergine tu diventerai
madre. Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà; per questo il
Santo che nascerà da te, sarà chiamato figlio di Dio ...».

Allora tutto s'illumina per Maria. Ella aveva voluto essere l'ancella e non la madre.
L'Angelo le porta il decreto celeste; Ella si inchina ma si inchina rimanendo nella schiera
già scelta: «Ecco l'ancella del Signore». Ora la profezia di Isaia acquista ormai il suo vero
significato. L'Angelo stesso vi accenna adoperando le medesime parole dello scrittore sacro:
Ecco, tu concepirai e partorirai... E Maria capisce pure che questa nascita verginale ha la
sua ragione d'essere nel mistero stesso che sta per compiersi. Suo figlio sarà un Dio fatto
uomo. Non avrà dunque altro padre che Dio. La sua missione sarà di redimere la razza
umana ed è perciò necessario che l'onda vitale iniziatasi da Adamo sia tagliata e ripresa con
la specie «ricominciamento». Per Iddio che aveva creato in seno alla natura il primo Adamo
non sarà difficile creare nel seno della Vergine il novello Adamo. Comunque l'Angelo ha la
buona attenzione di lasciare un segno a Maria: «Sua cugina Elisabetta ha concepito un figlio
nella vecchiaia, come prova che nulla è impossibile a Dio». Quest'ultima frase doveva però
essere familiare a Maria. Era pure una frase biblica. Chi era in Israele che ignorasse la storia
della nascita di Isacco nato da una madre «fuori d'età»? Chi non ricordava queste parole del
Genesi: «Perché Sara ha riso dicendo: Ed io avrò veramente un figlio, vecchia come sono?
C'è nulla d'impossibile a Jehova?»

Maria e Giuseppe. - Tutto riesce perfettamente chiaro nel racconto dell'Annunciazione. Il


concepimento di Gesù doveva essere miracoloso. Esso possederà una caratteristica che sarà
unica attraverso tutti i secoli, rimaneva però un punto nel quale l'Angelo non aveva risposto
e che pur non rappresentava una preoccupazione infima in Maria: cosa dovrà dire a
Giuseppe per quanto le accade? Il voto di verginità era gradito a Dio. Ma per tutto il tempo
in cui Giuseppe non sarà informato del mistero che secondo le scritture stava per compiersi,
in quale oceano di inquietudine, di tormenti si troverà? Che cosa doveva fare Maria? Dire
tutto al promesso sposo? Ne aveva il diritto? Essa portava il segreto del mondo, il segreto di
Dio. Aveva il diritto di violare tale segreto? Non conveniva piuttosto confidare da un lato
nella provvidenza infinita di Dio e dall'altro nella rettitudine del «giusto » Giuseppe?
Dov'era il più perfetto per Lei? Dov'era la volontà di Dio? Maria scelse la parte eroica: c'era
da aspettare che il cielo parlasse. Ella restò fedele alla regola essenziale della sua vita: il
silenzio, un silenzio lirico, un silenzio ripieno di canto riconoscente e di parole, di
abbandono a Dio solo. Ella era stata eroica nei fare il voto di verginità: lo fu di nuovo
nell'accettare, sia pure per breve tempo, le apparenze dell'infedeltà.

Per intendere bene il momento drammatico di questa situazione e tutta la grandezza d'animo
di Maria in questa occasione bisogna rappresentarci precisa la sua situazione legale. Essa
era promessa a Giuseppe. Aveva avuto sufficiente autorità morale o prestigio di «sapienza»
per fargli accettare il principio d'un matrimonio tutto spirituale (55).

Ella dunque era, ormai legata e in modo tale che solo Giuseppe poteva rompere il legame
per mezzo d'un libello di ripudio. Giustamente il testo di Matteo nel ragguagliarci sulle
angosce di Giuseppe ci indica insieme l'estensione dei diritti conferiti allo sposo con l'atto
del fidanzamento. Ci dice difatti che Giuseppe pensò a «ripudiare Maria segretamente».
Ripudiare? Era dunque già sposo? Sì, perché secondo l'uso giudaico, il fidanzamento
costituiva l'essenza del matrimonio, salvo la coabitazione sotto il tetto del marito. I due
fidanzati potevano usare del loro diritto di sposi se lo volevano. La legge giudaica puniva
con la massima severità la cattiva condotta della giovane e colpiva ugualmente di morte il
delitto di violazione e di seduzione. L'infedeltà d'una fidanzata era punita con lo stesso
rigore in uso per Le donne maritate, ma ciò non impediva affatto le relazioni intime fra
fidanzati, e la nascita d'un bimbo concepito durante il fidanzamento non era considerata
come disonorante. La nostra parola «fidanzamento» non rende con esattezza il termine
corrispondente degli Ebrei. Allo stesso modo che il lavacro o battesimo provvisorio contiene
l'essenza stessa del battesimo e le cerimonie che si aggiungono non rappresentano che un
complemento rituale, così il matrimonio giudaico non faceva che completare l'atto di
fidanzamento con delle cerimonie puramente profane. Questo precisamente significa la
parola «ripudiare » che S. Matteo adopera nei riguardi di S. Giuseppe (56).

La conoscenza della legislazione ci permette pure di dare tutto il suo significato alla parola
della Vergine: Io non conosco uomo. Ella era sposata. Ma era d'accordo col fidanzata sposo
di non usare del matrimonio in virtù d'una promessa fatta a Dio.

Ora Maria, legata a Giuseppe, ha ricevuto la visita dell’Angelo. Ha preso l'eroica decisione
di non parlare allo sposo del grande segreto che era nel suo cuore. E parte da Nazareth, dove
Ella e anche Giuseppe abitavano, per andare ad Ain Karim. Rimane assente tre mesi, tutta
dedita alle caritatevoli cure per la cugina Elisabetta. Quando Maria ritornò al proprio paese i
segni della maternità non tardarono a manifestarsi in Lei. Giuseppe ne è avvertito subito
oppure l'intravede da sé? I suoi amici lo felicitano perché presto sarà padre. Ma mentre le
congratulazioni affluiscono - almeno lo si suppone la lotta più tremenda si scatena nel suo
cuore.

Maria tace sempre. Ma vi è nel suo sguardo, nel suo contegno, in tutto il suo essere un
irraggiamento di candore, di sincerità e di allegrezza celeste. Si sa che fin dal suo arrivo ad
Ain Karim le semplici parole di saluto indirizzate a sua cugina, erano state per questa una
vera rivelazione. Sotto l'ispirazione dello Spirito Santo aveva tutto intuito e la sua gioia era
esplosa in sante esclamazioni. Maria anche là non aveva detto nulla di più. Il suo Magnificat
stesso non conteneva alcun accenno esplicito dell'incarnazione messianica. Anche stavolta,
pure in circostanze più tragiche, Ella pone in Dio tutta la sua confidenza. L'Altissimo saprà
far conoscere tutta la sua volontà. Non sarà essa che intralcerà le sue vie. Frattanto però non
ignora i rigori della legge. Ella sa che Giuseppe ha il diritto di denunciarla come colpevole.
Sa che un'accusa da parte sua può portare alla pena della lapidazione. E vi sono tre cose che
le premono più della morte: l'onore del Figlio che parla nel suo seno, il suo onore stesso e la
tranquillità intima di Giuseppe. Date tali condizioni sembra che una spiegazione leale,
completa e circostanziata da parte di Maria avrebbe messo fine a tutte le perplessità di
Giuseppe, a tutte le angosce che Maria stessa doveva superare a forza di abbandono.

Ogni giovane figliuola avrebbe ragionato in questo modo. L'eroismo consisteva nel tacere,
nell'attendere. una decisione divina. Dopo tutto, lo sposalizio con Giuseppe era sempre nei
disegni di Dio? Maria aveva intuito in un lampo la profezia di Isaia. Essa accennava chiaro
ad una vergine. Si era sempre interpretato l'oracolo nel senso d'una vergine. Ma ora era
manifesto che si trattava d'una vergine nel pieno senso della parola. Quali erano le ulteriori
intenzioni del Signore? Chiarirebbe a tutti gli occhi d'Israele il vero senso della profezia?
Era conveniente che la Vergine Madre vivesse senza lo sposo legale? Le parole della Bibbia
non contenevano alcuna luce a questo riguardo. Vi era la questione della vergine e nulla del
padre del Messia?
Pare che Maria abbia risolto il formidabile e difficile problema nel modo seguente:
Giuseppe è troppo giusto per usare alla leggera una misura scandalosa e Dio è troppo buono
e misericordioso per non consolarlo al momento voluto. La luce verrà. Io non sono che
l'ancella. Spetta al Signore far conoscere la sua santa ed adorabile volontà. E noi che
conosciamo il seguito soffriamo nel cogliere la violenza della lotta intima che dovette
svilupparsi in Lei e tutto il peso delle ansietà di Giuseppe. Ma non rimane dubbio che da
ambedue le parti vi furono delle ore in cui, davanti a Dio, essi chiedono tutta la misura della
loro dirittura d'animo e della loro volontà di obbedienza e di sottomissione. Per tutti gli
uomini la vita è una prova. Iddio domanda a ciascuno che passa chi è, che cosa può portare.
Occorre una prova rara per delle anime eccezionali. Un fatto del genere occorso a Maria non
si è presentato due volte nel corso dei secoli. L'eroismo della Vergine risalta con maggior
evidenza. Nessuna luce umana poteva guidarla. Per i nostri atti migliori noi ci inspiriamo
spesso agli esempi dei grandi cuori che ci siamo scelti a modello. Maria doveva inventare,
rinnovare, creare senz'altro impulso oltre quello della grazia e del proprio cuore.

Essa ha scelto il silenzio. E non si è sbagliata.

Maria aveva prima di tutto contato sul buon Dio ed anche su Giuseppe. La sua fiducia fu
ricompensata. Giuseppe fu in realtà tale quale essa aveva presentito. Abbiamo detto in
precedenza le ragioni per le quali crediamo che i «Ricordi» di Giuseppe come si trovano in
S. Matteo, siano stati trasmessi da Maria stessa. In tutti i modi anche se si supponesse che
Giuseppe abbia lasciato uno scritto ignorato da Maria e raccolto da Matteo all'insaputa della
Vergine ipotesi del resto inverosimile - non potrebbe essere Giuseppe che ci dice di se
stesso: Poiché egli era giusto e non voleva esporla all'infamia, pensò di rimandarla
segretamente ...

Se invece si ammette che la Vergine trasmise i suoi «Ricordi » all'Evangelista le parole:


Poiché egli era giusto costituiscono da parte di Maria un magnifico elogio al suo sposo
venerato ed amato. Ma pronunciando tale elogio qualcosa di esso si rifletteva su di Lei.
Tutte le apparenze le erano contro. La sua assenza di tre mesi rendeva ancor più gravi tali
apparenze. Occorreva una incomparabile dirittura in Giuseppe per escludere qualunque
ombra di dubbio circa la virtù di Maria. Ma era pure necessaria nella Vergine altezza di
carattere, nobiltà d'animo a tutta prova, «sapienza» evidente e sicurissima perché nonostante
i segni esteriori Giuseppe potesse essere capace di allontanare ogni sospetto infamante.
Dobbiamo aggiungere se la profezia di Isaia fosse stata chiara, data la stima straordinaria
che Giuseppe nutriva per la promessa sposa figlia di Davide come lui, egli non avrebbe
esitato ad indovinare la realizzazione in Maria, ma tale profezia non divenne chiara che
attraverso il fatto stesso compiuto. Giuseppe aveva abbracciato la verginità a fianco di Maria
in piena comunione d'anima con Lei. Aveva rinunciato come Lei ad una paternità che lo
poteva collocare nella linea genealogica del Messia atteso. Non poteva dunque
comprendere, senza una speciale rivelazione, il mistero compiutosi in colei alla quale aveva
promesso fedeltà. Il modo con cui fu avvertito dal cielo prova che nello spirito di Giuseppe
si andava delineando un rispettoso timore.
Egli intuiva in Maria l'irraggiamento d'un segreto divino. E nello stesso tempo in cui Le si
chiedeva se lo sposalizio con Giuseppe era nei disegni di Dio, o se la Vergine di Isaia
doveva mantenersi estranea ai legami di nozze, crediamo che anche Giuseppe, presentendo
un intervento divino nella sua fidanzata «temeva » ormai di prenderla in sposa (57).

In questo senso interpretiamo le parole che gli furono indirizzate dall'Angelo del Signore
apparso in sogno: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere teco Maria, la tua
consorte (58) perché ciò che è nato in Lei è dallo Spirito Santo. Partorirà un figlio cui porrai
nome Gesù, perché sarà Lui che salverà il popolo dai suoi peccati ».

Al colmo della gioia Giuseppe venne ad annunciare a Maria l'ordine ricevuto da Dio.
Insieme essi confrontarono le rivelazioni che avevano ricevuto separatamente. Anche alla
Vergine era stato anticipato il nome da dare al Bambino. Bastava questa coincidenza come
prova che risolveva ogni dubbio. Ma il ritorno alla profezia di Isaia, rivelatasi ormai in tutta
la sua chiarezza, dovette apparire loro come la più meravigliosa delle conferme. D'altro lato
l'avvenimento dimostrava l'ottima condotta di Maria nel tacere e come il suo silenzio fosse
stato approvato da Dio. Giuseppe lo comprese e tutti e due posero la regola di non svelare
ad alcuno il mistero ineffabile di cui erano divenuti depositari o meglio gli attori principali,
dopo Dio.

Il silenzio di Maria e di Giuseppe. - Le provvidenziali nozze di Maria e di Giuseppe furono


dunque celebrate. Si capisce che dopo la prova tanto delicata che essi avevano subito si era
accresciuta la stima reciproca tra i due sposi. Giuseppe fu per Maria ancora più che per il
passato, il «giusto» per eccellenza, ciò che nel suo proprio significato voleva dire: «l'uomo
che cammina in tutti i comandamenti e le osservanze del Signore» (59), l'uomo che ha
sempre lo sguardo fisso sulla volontà di Dio, l'uomo probo, integro, diritto ed onesto, l'uomo
riflessivo e profondo.

E Maria, Madre del Salvatore, perché tale è il senso del nome preannunciato di Gesù, non
poteva essere per Giuseppe che l'oggetto della più religiosa tenerezza e del rispetto più
sacro. Maria aveva dato l'esempio del silenzio. L'aveva dato in circostanze che rendevano
pienamente eroica la sua decisione. D'accordo che tale silenzio sarebbe stato osservato verso
tutti senza eccezione e fino alla fine. E lo fu difatti per trent'anni, ché nessun seppe nulla del
mistero della concezione messianica. Durante i trent'anni i parenti più prossimi di Maria e
Giuseppe, i nipoti stessi, che saranno chiamati «i fratelli di Gesù», ignoreranno ogni cosa
circa la sua grandezza divina, la sua missione futura, le confidenze che i membri della santa
famiglia si scambieranno nell'intimità di Nazareth. Nessuno conoscerà gli accenni biblici sul
vero messianismo che Gesù acquistava giorno per giorno in Quegli anni in cui Maria ci dice
che Egli cresceva in «sapienza, età e grazia», espressione che in precedenza abbiamo inteso
cosa voglia significare.
È superfluo rifare qui la storia della nascita di Gesù a Betlemme, della presentazione al
tempio, adorazione dei magi, fuga in Egitto e ritorno a Nazareth. Attraverso tutti questi
avvenimenti, la fede, la sottomissione, l'abbandono totale dei due sposi alla Provvidenza
furono. messi di nuovo e a più riprese alla prova. La forza d'animo di Maria ebbe modo di
svilupparsi costantemente ed Ella non conobbe mai la minima debolezza.

In verità nulla è maestoso come questa costanza, questo allontanarsi da ogni ricerca, questa
docilità ai minimi cenni della volontà divina, questo disprezzo volontario ed immutabile di
tutte le vanità terrestri: della gloria come della fortuna.

Proprio in quest'atmosfera impregnata della presenza divina, il figlio di Dio doveva crescere
fino al giorno della sua entrata nella vita pubblica.

E si dovrebbe pensare che la felicità stessa del Paradiso terrestre fosse stata ritrovata
nell'intimità di Nazareth se la terribile visione dal formidabile compito che l'attendeva non
avesse costantemente gravato su questi anni di raccoglimento e di pace trascorsi nel lavoro e
nella preghiera.

La predizione di Simeone. - Maria e Giuseppe sapevano che la missione del loro Gesù
sarebbe stata circondata dalle più drammatiche difficoltà. Il bambino non aveva che
quaranta giorni quando il vecchio Simeone pronunciò all'indirizzo di sua Madre la profezia
che Ella stessa ci ha trasmesso: «Ecco, Egli è posto a rovina e a risurrezione di molti in
Israele e come segno di contraddizione, anche a te una spada trapasserà l'anima affinché
restino svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 11, 34-35).

Senza dubbio Simeone aveva parlato per il futuro. Ma poteva annunciare una spada per
l'anima di Maria senza conficcarla nel medesimo temo po nel più profondo del suo cuore?
Una madre è sempre chinata sul destino del proprio figliuolo; non pensa che a lui. Egli
rappresenta per lei tutto l'avvenire della vita.

Trattandosi della Madonna i sentimenti comuni alle madri erano trasferiti in un ordine
infinitamente superiore. L'avvenire del suo Gesù non costituiva solo il futuro di lei, ma
l'avvenire stesso della sua gente, del suo paese, dell'universo intero. La profezia di Simeone
dava la nota esatta del vero messianismo di Gesù, un messianismo profondamente diverso
da quello che allora si aspettava in Israele. Non possiamo credere che Maria abbia avuto
bisogno delle parole di Simeone per liberarsi dalle opinioni correnti circa il regno del
Messia; ma tali parole non facevano che confermare il carattere tragicamente arduo del
compito che attendeva suo Figlio. Abbiamo ammesso precedentemente che Maria, penetrata
di spirito biblico, non aveva smesso di meditare sulle pagine dei libri sacri e di farlo
conoscere anche a Gesù fanciullo fino al giorno in cui da Maestra di scienze bibliche - se
così si può dire - si era trasformata a sua volta in allieva nella scuola di Gesù adolescente.
Ora è il caso di aggiungere che questa lettura assidua delle Scritture fu costantemente per
Maria una lettura «trafiggente» nel senso vero della parola. La profezia di Simeone influiva
continuamente sul suo pensiero e nelle sue preghiere. Israele non capiva più le pagine
consacrate al Messia sofferente, nella Legge e nei Profeti. L'uomo ignorante su questo punto
non aveva idee molto diverse da quelle dei più rinomati dottori.

Gli scritti, più o meno, erano tutti ligi alla legge farisaica. Ora i farisei dovevano essere i
peggiori avversari di Cristo. Maria poteva ascoltarli senza presentire i conflitti che più tardi
sarebbero scoppiati fra essi e il suo divin figliuolo? Parlavano bene del Messia. Dicevano di
aspettarlo, come tutto il resto del popolo. Ma essi si erano formati sul suo conto delle idee
conformi ai loro interessi e ai loro pregiudizi settari.

Si rappresentava la sua venuta come smagliante di gloria. Credevano che Egli si


manifestasse in modo improvviso ed inatteso. Il Cristo, Figlio di David, sarebbe un re dalla
maestà irresistibile, un guerriero vittorioso. Egli si metterebbe alla testa dei popoli d'Israele
e li condurrebbe alla conquista del mondo. Gerusalemme diventerebbe la capitale
dell'universo e il Messia, dopo aver vinto tutti i popoli, vi regnerebbe in pace, esercitandovi
il supremo sacerdozio. Senza dubbio una rivolta generale delle nazioni provocherà la fine
del Messia, ma la sua caduta sarà il segnale della fine del mondo (60).

In mezzo a queste aspirazioni nazionali non rimaneva che poco spazio per le cose
dell'anima. L'eterna lotta fra la materia e lo spirito era finita presso i Giudei in un
decadimento generale di tutte le loro speranze religiose. I Farisei mantenevano un rito tutto
esteriore: le preghiere uscivano ancora dalle labbra, ma non scaturivano più dal cuore. Non
vi era nulla di cambiato nella fedeltà materiale al culto tradizionale. Tutte le osservanze
erano più in onore che mai. La carità sola, la carità divina, era sempre più assente, tanto nei
rapporti con Dio come fra gli stessi uomini. La ricerca delle ricchezze e degli onori
divenivano la cura principale dei maestri di Israele.

Alla Madonna bastava leggere i Libri Sacri per comprendere la distanza spaventevole che
separava ormai il pensiero dei suoi concittadini dalla volontà divina.

Una parola di Maria. - Nel raccontare l'episodio del dodicesimo anno della vita di Gesù una
parola ci è apparsa particolarmente rivelatrice (61).

Al lamento di sua Madre Gesù aveva risposto: Perché mi cercate? Non sapevate che io
debbo occuparmi delle cose del Padre mio? E Maria aggiunse questa riflessione: Ed essi
non intesero le parole dette loro da Lui.

Ora che cos'è che essi non compresero? Forse il principio enunciato da Gesù? Ma era
proprio lo stesso principio che Maria gli aveva insegnato ogni giorno, ciò che Lei stessa e
Giuseppe compivano costantemente. Compiere la missione che «il Padre» gli ha dato;
occuparsi senza soste «delle cose del Padre», in quello consiste il programma e il dovere di
tutta la nostra vita, di tutta l'esistenza umana. Maria non poteva ignorarlo. Ciò che essi non
compresero allora, ma che capirono più tardi, senza dubbio, è il modo con cui tale principio
si applicava in quella circostanza.

Maria non l'aveva intravisto in quest'occasione perché le pareva che la scienza del suo Gesù
non avesse nulla da guadagnare a contatto degli orgogliosi dottori della legge. Questa
scienza essa l'aveva vista crescere e doveva vederla aumentare ancora. Aveva dato per di più
a tale scienza un orientamento tutto opposto allo spirito della sapienza corrente. Maria
doveva intendere in segreto che per prepararsi alla propria sacra missione Gesù aveva
bisogno di conoscere per esperienza i metodi di discussione, le opinioni e gli insegnamenti
dei maestri in Israele. Ascoltandoli Egli si occupava dunque delle cose del Padre suo. Ma la
Vergine non ne sapeva nulla. Questo primo incontro fra Gesù e gli scribi non poteva avete i
caratteri degli incontri ulteriori, al tempo della vita pubblica. Anche se le riflessioni del
fanciullo li aveva scossi nel loro pacifismo di dottori abituati agli omaggi degli ignoranti,
non avevano però potuto irritarsene. Piuttosto essi avevano ammirato con aria di
accondiscendenza e senza perdere nulla della loro alterigia imperturbabile, le risposte del
piccolo Nazareno ancora sconosciuto. Ma tutto ciò non aveva avuto nessuna conseguenza
per essi.

Ci piacerebbe conoscere su quale punto della scienza biblica Egli aveva portata la
discussione e se fosse sul messianismo e il suo carattere.

Ma il Vangelo non accenna nulla in proposito.

Comunque, noi possiamo stare sicuri che le idee di Gesù come quelle della sua Santa Madre
e del suo Padre adottivo circa il compito assegnato al Messia delle Sacre Scritture, erano
completamente in contrasto con ciò che pensavano i Farisei e il popolo sul medesimo
soggetto (X).

Il pensiero dell'avvenire non poteva che esser pieno d'angustia per Maria. Immaginare la
vita a Nazareth come una specie d'idillio piacevole e dolce sarebbe forse conforme al nostro
gusto di tranquillità e di riposo. Ma ciò non rientra nello spirito del Vangelo che fu
soprattutto il libro della lotta.

«Io non sono venuto a portare la pace ma la guerra», dovette dire Gesù. Ed è impossibile
credere che la prefazione del libro sia stata troppo estranea al libro stesso. La vita nascosta
non fu che una prefazione; e il Vangelo dovette essere una battaglia continua e finalmente
una tragedia di dolori infiniti. La profezia di Simeone assillò dunque il cuore e il pensiero di
Maria. Una madre che conosce in anticipo quali avversità minaccino il suo figliuolo non può
non pénsarvi in modo costante. Diventa per lei una specie di santa, naturale ossessione e si
crederebbe indegna se tentasse allontanarla. Maria è ben superiore alla più amante delle
madri.
Suo Figlio era più che il fanciullo più delicato per la più tenera delle madri. Egli era il suo
Dio. Era il Messia. Il Salvatore unico e necessario. Essa s'era proclamata non la Madre ma
l'Ancella. Se un Francesco d'Assisi non poteva addormentarsi pensando che il mondo ripaga
Gesù con la indifferenza e l'oblio e si sentiva gridare con profondi sospiri: «L'Amore non è
amato! L'Amore non è amato! », che cosa diremo di Maria? Come dovevano essere grandi
le sue angosce pensando alle ingratitudini degli uomini, alla durezza di cuore riscontrata
intorno a sé, alla rozzezza di spirito cui gli stessi suoi compatrioti ne davano spettacolo e
alla meschinità generale di pensieri e di aspirazioni! Ma la sua vocazione era l'eroismo. E
(62) la Vergine portava coraggiosamente il suo fardello ogni giorno. Lo portava in segreto,
senza lamentarsi. Sapeva che quelle stesse contraddizioni facevano parte della via della
Provvidenza per risollevare la miseria umana.

Noi avanziamo delle ipotesi, senza prove positive, è vero; ma le nostre affermazioni hanno
tutta la verosimiglianza, posto che le pagine bibliche nelle quali vengono descritti i dolori e
le ingiurie del Messia misconosciuto erano senza tregua presenti allo spirito della Vergine e
la profezia del vecchio Simeone le aveva dato di quelle pagine una esauriente spiegazione.

Essa viveva in anticipo la passione del suo Gesù. La vita per Lei, vicina al suo Divin
Figliuolo e nell'intimità col «giusto» Giuseppe, era in sostanza una gioia soprannaturale ed
insieme martirio ineffabile.

Maria ai piedi della Croce. - Giunta l'ora, non siamo sorpresi d'incontrarla ai piedi della
croce su cui spira Gesù. Era stata associata alla preparazione e dovette assistere
all'esecuzione. E pensiamo che non presenziò in maniera che in termini impropri i potrebbe
dirsi passiva, ma collaborò, in uno slancio supremo, al sacrificio redentore del Figlio di Dio.

Volendo studiare l'eroismo di Maria, la dobbiamo appunto osservare ai piedi della croce.
Soltanto il Vangelo di Giovanni ci segnala la sua presenza. A lui è stato riservato di
raccontarci la scena commovente in cui divenne il figlio adottivo di Maria. Si dirà che gli
altri evangelisti non hanno voluto entrare in argomento per non usurpare il terreno di altri.
Ma è probabile che essi obbedissero sempre a quella consegna del silenzio che abbiamo
visto imposta da Maria nella predicazione primitiva per tutto ciò che la riguardava. Allo
stesso modo che il Vangelo di Marco non dice nulla dell'infanzia di Gesù ed accenna solo a
Maria, così gli altri evangelisti riferiscono soltanto ciò che è stato loro comunicato sul fatto
dell'infanzia ed hanno omesso tutto il resto. Ma questo ha poca importanza. La
testimonianza di Giovanni, oltre che testimone, attore nella scena dell'addio di Gesù a sua
Madre, ci basta pienamente. In nessun punto la sua deposizione precisa si è trovata
manchevole, anzi dappertutto egli si mostra il più esatto e minuzioso di tutti i nostri testi
evangelici. E non è certo un episodio che gli era particolarmente chiaro ch'egli poteva
ingannarsi e ingannarci. Or, egli dice, presso la croce di Gesù si trovavano sua Madre e la
sorella di sua Madre Maria di Cleofa e Maria Maddalena ...
Tutte le sfumature del passo acquistano un loro valore. Ora è positivo che la parola usata da
S. Giovanni per dire «si trovavano » significa essere diritti. Si potrebbe quindi tradurre:
«presso la croce di Gesù stavano ritte sua Madre ...» ed è sempre così che la tradizione
cristiana l'ha vista ai piedi di Gesù morente. Maria era diritta. In tal modo rimaneva più
vicina al sacro viso del suo divin figlio. Gesù in croce era ad una certa altezza levato dal
suolo; una persona diritta vicino a Lui non raggiungeva il livello del suo cuore.

Maria doveva quindi essere diritta per essere vicina alla bocca divina, da cui erano uscite
tante sublimi parole e dalla quale Ella stessa aveva raccolto tanti memorabili insegnamenti.

Se nonostante la gioia di possederlo, la sua vita a Nazareth era stata un lungo martirio, la sua
vera passione era cominciata con quella del figlio e raggiunse il parossismo della tortura
morale durante l'agonia di Gesù in croce. Allora fu svelato a Maria tutto il senso della
profezia di Simeone nel giorno della presentazione. Erano trentatré anni che Ella portava in
cuore la spada annunciata dal santo vegliardo. Iddio aveva voluto così. Le madri comuni
non sono private delle loro illusioni prima del tempo. Maria aveva conosciuto tutto in
anticipo: privilegio degno della sua forza e del suo eroismo. Ma altro è sapere e altro è
vedere. La conoscenza avuta prima non attenuava l'intensità della sua partecipazione alle
sofferenze di Gesù. Anzi si può dire che la sua vita era stata una preparazione a quest'ora
suprema.

Dal momento in cui Dio si era degnato di affidarle un compito nella redenzione del genere
umano: - Quello ch'Ella aveva costantemente scelto; cioè di Ancella del Signore - Ella non
aveva ormai più avuto che l'unico scopo di eseguire tale compito con tutta la perfezione
possibile, quando l'Ora sarebbe suonata. Fra la sua anima e quella di Gesù era sempre
regnata l'unione più stretta. Nel momento supremo tale unione diviene ancora più intima, se
ciò è possibile. Essi formano in realtà. un'anima sola per soffrire e per espiare. Tutte le
sofferenze di Gesù si riflettono nel cuore di Maria come nello specchio più fedele, ma nel
riflettersi vi scavano un solco e vi fanno sentire il loro morso.

Nonostante tale agonia Maria rimane diritta.

Una forza sovrumana la sostiene. Ella non sarà abbattuta, non la vedremo prostrata per terra,
non la si sentirà gemere, né maledire. E non perderà la minima parte dei dolori benedetti a
Lei riserbati da tutta l'eternità.

Maria, Regina dei Martiri. - Il Vangelo che ci ha tramandato il Magnificat della gioia, non
ha fatto altrettanto per il Magnificat del dolore. Parole umane non potevano avere la forza
necessaria per comporlo.

«A chi ti eguaglierò per consolarti, vergine, figliuola di Sion?

«Perché il tuo pianto è grande come il mare; chi ti medicherà? »


Aveva detto il profeta Geremia nella seconda elegia sulla rovina della città santa (63).

No, niente poteva consolare Maria in quell'ora in cui agonizzava il suo Gesù. Essa si
abbandonava dunque alle sue lacrime unendosi al Figlio amatissimo.

Non possiamo immaginare in Lei un dolore superficiale, solamente sensibile, senza pensieri
e come esaurito nei singhiozzi e nelle lacrime. Tutta la sua vita ci ha invece preparati a
intravvedere il suo spirito orientato verso una crocifissione morale qual è quella a cui andò
incontro. Sappiamo che in tutte le circostanze essa si rivolgeva alla parola di Dio per
attingervi luce e forza. Quest'agonia della Regina dei martiri rimane pienamente cosciente e
si trasforma costantemente in orazione. Fu la contemplazione più sublime e più dolorosa
della sua vita.

Maria conosceva a sufficienza il suo divin figlio per sapere che il suo unico pensiero era il
compimento perfetto di tutte le profezie che il popolo aveva dimenticato e nelle quali erano
predette le umiliazioni e le sofferenze del Messia. Senza dubbio Maria e Gesù avevano
meditato insieme più volte queste pagine immortali e velate agli sguardi comuni. La
sofferenza terrena costituisce per tutti gli uomini un fatto assai misterioso. Se essa non viene
intesa come la più grande testimonianza d'amore del Maestro, se non troviamo che ce la dà
perché sia la preservazione nostra e la nostra corona, è rarissimo che non si ritenga come lo
scandalo più sconcertante, cioè come obbiezione alla bontà e per conseguenza all'esistenza
di Dio stesso. Se però ci si mette ai piedi della croce, se si cerca di interpretare i sacri dolori
del Cristo e di sua Madre, se si vedono da un lato la bassezza umana e dall'altro la maestà di
Dio, se si mettono in bilancio le crudeltà dei carnefici che uccidono Gesù e il sacrificio
volontario di Lui che muore per salvare coloro che lo odiano, non si può non intuire qualche
cosa della bontà morale della sofferenza, al piano dell'economia divina.

Del resto la Vergine non si perde in tali considerazioni meschine. Il suo Gesù ha scelto di
soffrire e di morire per la salute del mondo e per la gloria del Padre. La sofferenza per ciò
stesso diviene sacra ai suoi occhi. Si deve misurare la grandezza delle cose dalla loro utilità
e la loro utilità in quanto attuano la divina volontà. Non si considera un rimedio dalla sua
amarezza, ma solo dalla sua efficacia. Solo i fanciulli allevati nelle mollezze rifiutano la
salute perché la medicina è poco gradevole al gusto.

Ma quanti uomini purtroppo non sono che bimbi viziati quando si incontrano col dolore e
con la morte!

La Passione secondo la Bibbia. - Non facciamo una semplice supposizione quando diciamo
che Maria ha vissuto interiormente tutti i passi biblici riguardanti le umiliazioni del Messia.
Il Vangelo è là se non per provarlo almeno per insinuarlo. Basti pensare che Maria seguiva
sul viso di suo Figlio le minime impressioni che vi poteva cogliere. E' una supposizione
tanto naturale che si può ritenerla una certezza morale. Che cosa facciamo vicino ad un
morente? Cerchiamo di indovinare le sue parole, di cogliere la direzione del suo spirito.
Maria era troppo abituata a leggere nelle espressioni di Gesù, conosceva troppo il suo
carattere e l'inclinazione volontaria data a tutti i suoi pensieri per non accompagnarlo nel
suo lungo viaggio attraverso i secoli della storia profetica del Messia.

Un sublime pellegrinaggio che dura tre ore, tre ore di preghiera, di silenzio, di agonia, di
sacrificio sacerdotale. Possediamo su questo punto le prove più evidenti. Tra la terza parola,
quella dell'addio a sua Madre, e la quarta, occorsero circa tre ore. E quando Gesù parlò di
nuovo, lo fece per indicare chiaramente quali erano stati i suoi pensieri nell'intervallo. Infatti
egli gridò con voce forte il primo versetto del salmo XXII (64).

Il versetto è una rivelazione: ci dice che Gesù ripete interiormente la passione seguendo il
suo antenato Davide. La Vergine dovette trasalire nell'intendere la parola del grande salmista
da cui traeva la propria origine e il suo sangue. Ed è certo che questo salmo saturo di realtà
era stato più volte oggetto delle loro comuni meditazioni a Nazareth. Tutte le sofferenze del
Messia vi erano descritte in anticipo in termini d'una forza irresistibile. Non si trova che in
Isaia una profezia tanto bruciante. Se le prime parole del salmo esprimono una tortura atroce
simile ad una disperazione, il cantico si chiude in uno slancio di confidenza nella certezza
della prossima liberazione. E questo è perfettamente conforme al doppio movimento che
riscontriamo nell'anima di Gesù in croce, il movimento della natura oppressa ed accasciata e
quella dello spirito ardente di sommissione alla volontà del Padre.

Maria ripeteva con Gesù le parole del salmo davidico. Tutta la sua vita era trascorsa in attesa
dell'ora della loro attuazione. Tale ora scoccava in quell'istante. Era più che mai il momento
di ripetere: «Non si faccia la nostra ma la vostra volontà, o Signore! Ecco l'Ancella del
Signore, sia fatto di me secondo la vostra parola!»

La sofferenza della sete è accennata come particolarmente insopportabile nel corso dello
stesso salmo. Per questo la quinta parola di Gesù fu la richiesta commovente: Ho sete, in cui
era palese l'immenso amore di Gesù per le anime, assai più che il lamento d'un agonizzante
sfinito.

E di nuovo la Vergine trasale per una santa compassione. Come intuisce questa sete
soprannaturale di suo Figlio! E come si offre a dividerla! Anch'Ella sente ora una sete
ardente nel più profondo del suo cuore immacolato: è la stessa sete di Gesù. Sete di anime.
In quell'istante la sua maternità si allarga a tutto il mondo. Abbiamo visto come Maria fosse
abituata alle vaste visioni di tempi e di popoli. Essa sa che la morte del suo Gesù è fatta per
tutti gli uomini senza eccezione. E pure per tutti Ella soffre, ed a tutti Ella estende la sua sete
materna.

Ormai il sacrificio si chiude; tutte le prescrizioni rituali sono state compiute, niente è stato
omesso né dimenticato. Le profezie hanno avuto il loro compimento. Un rapido sguardo di
Gesù e di sua Madre sulle Scritture dimostra loro che tutto ciò che era stato detto ora è fatto.
Perciò Gesù pronuncia la sesta parola: Tutto è consumato!
Sì, Madre, tutto è consumato! Il vostro Gesù ha compiuta la sua missione. Voi l'avete
assistito fino alla fine, non avete obliato un istante il pensiero di Lui, non vi siete piegata
sotto il peso, vi siete tenuta sempre diritta vicino alla croce. A Lui tutto è mancato: il suo
popolo l'ha rinnegato, i suoi discepoli l'hanno abbandonato. Ma Egli ha vicino sua Madre e
con Lei l'amico fedele e qualche pia donna. Il mondo non è dunque maledetto: questa terra
ingrata produce ancora dei fiori, grazie al sangue di Gesù. Il più bello ed il più splendido di
questi fiori è il Cuore di Maria!

La morte di Gesù. - Tutto era consumato per il Cristo, ma non per la sua pia Madre. Ella
l'intese gridare con voce forte: «Padre, nelle tue mani io rimetto il mio spirito», come se Egli
volesse attestare che le forze della vita non erano spente in Lui e che moriva per un atto di
volontà, immolandosi per noi, così come l'aveva predetto.

E Maria senza dubbio avrebbe voluto morire con Lui. Quale madre non avrebbe lo stesso
pensiero? Bossuet dice che la vita della Vergine dovette essere, a partire da questo momento,
un miracolo continuo. «Il miracolo continuo - egli dice - era che Maria potesse vivere
separata dal suo unico bene» (65).

Dopo aver analizzato la potenza di volontà della Vergine ed aver trovato numerose prove del
suo prodigioso eroismo fino alla morte del Figlio dobbiamo aggiungere che il resto della sua
esistenza fu un nuovo martirio d'amore, un atto costante della sua eroica volontà per
obbedire alla volontà di Dio. Questo ci fa intravvedere una nuova luce nella missione che il
Cristo le aveva affidato presso S. Giovanni. Dicendole: «Ecco tuo figlio» egli rispondeva in
certo modo a una domanda segreta della sua amatissima Madre: «Figlio mio, Signore Gesù,
non mi chiamerai con te? Mi lascerai su questa terra dove non posso vivere senza di Te? »
«Sì, o Donna, ti lascerò ancora quaggiù. Io sono venuto ad accendere il fuoco sulla terra ...
In attesa che i focolai in seno alla chiesa si illuminino io ti costituisco come braciere
dell'amore celeste col mio amato discepolo Giovanni. Tu hai una nuova missione da
compiere vicino a Lui. La tua ora non è ancora venuta».

E Maria una volta di più mormora: Ecco l’Ancella del Signore. Non dimentichiamo che vi
fu un momento in cui fra la morte di Gesù, l'apostasia di tutto un popolo, la desolazione
invasa d'ombra dagli apostoli, non rimase acceso che un unico lume su questa terra, dinanzi
all'Eterno, non c'era più che un'anima, una sola in cui brillavano la fede, la speranza, la
carità e quest'anima era quella di Maria!

_______________________

CAPITOLO VII
LA DIVINA CARITÀ DI MARIA

Sommario: Il Cuore Immacolato della Vergine. L'amore dei piccoli - Maria ed Elisabetta -
Maria e gli umili - Maria ed Erode - Maria e i Dottori - Maria alle nozze di Cana - Maria e i
«fratelli di Gesù » - L'umiltà di Maria - Come Maria parla di se stessa - L'amore divino in
Maria - Commentari di Bossuet - Analogia della vita di Gesù - «Piena di grazia ».

***

Il Cuore Immacolato della Vergine. - Quando Gesù ha voluto definire se stesso l'ha fatto
riferendosi al suo cuore piuttosto che alla sua potenza e sapienza. È vero ch'Egli ha detto:
«Io sono la Via, la Verità, la Vita », ma ha pure dichiarato: «Ricevete le mie lezioni, poiché
io sono mite ed umile di cuore » (66). S. Tommaso d'Aquino ha detto molto bene a
proposito di queste parole: «con la dolcezza l'uomo è messo nell'ordine riguardo al
prossimo, con l'umiltà è messo nell'ordine rispetto a Dio e a se stesso» (67). In questo
pensiero Gesù ci ha mostrato il segreto del suo cuore divino. Bisogna intendere bene che
cosa si vuol dire parlando del cuore. Non si tratta naturalmente dell'organo materiale il quale
non è che un simbolo, l'emblema della capacità d'amare. Quando si è parlato della sapienza
e dell'eroismo della Vergine non s'è detto della sua potenza d'amore. Parlando della sapienza
si è visto il magnifico espandersi dell'intelligenza nella luce della ragione e della fede.

Per l'eroismo il glorioso spogliarsi della potenza d'azione sotto l'impulso della sapienza e
dell'amore. E' l'amore stesso la base di tutto l'essere. L'ha detto bene S. Paolo parlando della
fede che giustifica che ha definito difatti la fede che opera nella carità. La fede sotto a
questo aspetto corrisponde a ciò che noi chiamiamo sapienza.

Una fede luminosa, piena, nutrita costantemente dalla parola di Dio è appunto ciò che
trasforma l'uomo in un sapiente, non nel senso socratico ma nel senso cristiano. Ma la
sapienza deve manifestarsi in azioni e più queste sono grandi più suppongono una sapienza
profonda. Soltanto che per passare all'azione, per aggiungere l'eroismo alla sapienza,
occorre una sapienza nuova, è necessario l'amore: è questo che noi chiamiamo il cuore.

I nostri catechismi usano una formula che dice la stessa cosa quando ripetono che l'uomo è
creato per conoscere, amare e servire Dio.

Conoscere Dio è la sapienza; servirlo è il destino dell'uomo e verso di esso debbono tendere
tutte le energie del volere. Ma il grande segreto, il grande motore intimo di tutto è l'amore.
Si può dire che avviene della creatura come di Dio stesso. I libri sacri contengono tre
definizioni di Dio le quali corrispondono a tre gradi di religione. Nell'Esodo Dio stesso si
definisce a Mosè: Io sono Colui che è. Dio è l'Essere, è l'Onnipotenza. Tutto proviene da
Lui. Tutto dipende dai suoi decreti. Non si concepisce una religione che non cominci da una
definizione di Dio, riferendosi alla potenza. Ma se si sta alla definizione di potenza in Dio
non si esce dalle religioni inferiori, quelle che fanno tremare l'uomo dinnanzi all'infinito.

Il Prologo di S. Giovanni ha riportato una seconda definizione mostrando il Verbo nel seno
di Dio e dicendo: Ed il Verbo era Dio. Qui alla nozione di Potenza si aggiunge quella di
Sapienza ed Ordine Supremo. I grandi pensatori di tutti i tempi, senza andare fino alla
nozione precisa del Verbo, hanno concepito la divinità come una sapienza ordinatrice. Dopo
Anassagora questo pensiero fu familiare ai filosofi greci. Ma la terza definizione di Dio è
propriamente cristiana. Essa non fu sospettata che vagamente da qualche isolato pensatore.
E' racchiusa tutta in questa parola di Gesù: Padre nostro. E S. Giovanni gli ha dato la sua
formula definitiva dicendo: Dio è amore (1Gv 4, 8).

Per questo bisogna risalire fino al cuore, fino alla divina carità, nel tentativo d'analisi del
carattere della Vergine se vogliamo, sia pure imperfettamente comprenderla.

Il cuore spiega tutto e dà la chiave di tutto il resto. Mentre invece non vi è nulla che spieghi
il cuore perché il cuore è per così dire, la persona e, per lo meno, dà di essa la misura reale e
la sua posizione nella scala dei valori.

Difatti trattandosi di una creatura noi chiamiamo valore il suo grado di bontà e di
partecipazione alla bontà in creata. Ora la bontà tende al dono di sé e si misura dalla potenza
del dono. E tale potenza è il cuore, è l'amore.

L'amore dei piccoli. - Si comprende bene perciò la logica interna della religione di Cristo.
Tale religione ha per fine di farci imitare Iddio. Siate perfetti come è perfetto il padre vostro.
Se dunque l'attributo essenziale di Dio è la Bontà e la Paternità infinita, in una parola
l'Amore, tutto lo sforzo della vera religione deve mirare a produrre l'amore nel cuore degli
uomini. Tutto il progresso dell'amore sulla terra è un progresso di civiltà ed ogni posto nello
spirito d'odio, di rivolta, d'egoismo, e di violenza è un regresso verso le barbarie (68).

Ma la religione non ha altro scopo che generare l'amore. Se Gesù ha riassunto la sua
missione dicendo: Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra, ne consegue direttamente e
immediatamente che vi sono due comandamenti essenziali: l'amore a Dio e quello del
prossimo. In tal modo si è espressa la sapienza infinita del Verbo incarnato, nella famosa
risposta al problema degli scribi: Maestro qual è il primo e il più grande comandamento
della legge? Perciò avremo detto tutto intorno al Cuore immacolato di Maria quando
avremo studiato il suo grande amore al prossimo e a Dio. Gesù stesso ci dà un segno
infallibile per discernere le qualità dell'amore che portiamo al prossimo. Quando fai un
pranzo invita i poveri, gli storpiati, gli zoppi, i ciechi, e tu sarai felice del fatto ch'essi non
sono in grado di contraccambiarti (69).
Ricordiamo il principio che è di una chiarezza senza ombre: Se tu dai perché l'altro ricambi,
questo non è amore, è calcolo. Il vero amore è quello disinteressato; perciò il vero amore
sarà essenzialmente l'amore degli umili e dei piccoli (70).

Gesù ha praticato questo amore degli umili in modo luminoso. Si è dato ai semplici. Ha
richiesto ad essi soltanto il loro amore di cui non aveva alcun bisogno, ma che è però l'unica
condizione della loro salute eterna.

Si è identificato ad essi. È stato il buon Pastore che ricerca le pecorelle smarrite e che dona
la vita per il suo gregge.

Anche il poco che conosciamo della vita della Vergine ci prova ch'ella ebbe l'amore ai
piccoli, agli umili e che il suo amore era spoglio di ogni ricerca personale e di ogni calcolo
egoista.

Maria ed Elisabetta. - Il primo atto di amore del prossimo, in ordine cronologico, che noi
riscontriamo in Maria è la sua visita ad Ain-Karim. Anzitutto è interamente spontaneo:
Maria non è aspettata. Elisabetta, la cugina veneranda, non l'ha avvertita del suo stato, né
Maria ha fatto domande. E' stata informata dall'Arcangelo Gabriele che però non le ha dato
alcun ordine da parte di Dio. Ma non importa: con lo slancio che contrassegna l'amore vero,
Maria parte immediatamente. Il Vangelo usa al riguardo una parola che stupisce. Maria così
saggia, calma, riflessiva, lontana da ogni premura inutile, Maria - ci dice il testo che
proviene da Lei stessa: c Si mise in viaggio per recarsi frettolosamente sulla Montagna».

Notiamo bene la situazione: L'Arcangelo sta per lasciare Maria. Il prodigioso mistero
dell'Incarnazione si è compiuto in Lei. Maria è quindi la Madre di Dio, titolo per il quale
nessuna parola umana vale a rendere la dignità, e lo splendore. La sua anima diventa il
primo Tabernacolo della Vittima Santa ed è inondata di lumi e di grazie. Essa si conosce
regina d'un regno infinitamente superiore a quello di Davide suo antenato. Ma il motto del
suo regno è già quello di Gesù, Ella vuole «servire e non essere servita». Le parole dell'
Arcangelo non contengono per Lei che una breve indicazione. Il Suo cuore immacolato è
stato sensibile ai minimi inviti divini che nell'accenno dell'Angelo vede l'espressione d'un
desiderio di Dio su di Lei. Il suo amore, la sua vita d'unione con Dio, il suo gusto
dell'orazione, non sono affatto qualcosa di teorico, di unicamente contemplativo; non sono
semplici parole. Ella riunisce in sé tutte le bellezze delle due vite che più tardi saranno
simboleggiate in Marta e Maria di Betania.

La frase Evangelica ci mostra Maria che strappandosi alle estasi dell'Incarnazione e della
Maternità Divina, si decide con prontezza, esce dalla Sua abitazione e s'incammina in tutta
fretta verso le strade della montagna della Giudea, dove abita la cugina. Una singolare
impressione di forza di volontà, ma soprattutto di carità scaturisce da questa visione
presentata dal testo sacro. Una carità spontanea, rigorosa, pronta, che è soprattutto una carità
spirituale: lo si rileva dall'effetto prodotto col suo saluto nell'incontrare Elisabetta. Maria
non viene soltanto a portare un aiuto materiale, e per questo alle sue prime parole il
nascituro trasalisce nel seno della cugina. Maria dunque pensa soprattutto al bimbo, prega
per lui, vede la sua futura missione ed offre a Dio per lui e il suo avvenire gli slanci della
sua anima. Se il bimbo di Zaccaria e di Elisabetta è santificato prima di nascere, ciò non
avviene per caso né per un'azione incosciente ed involontaria della Vergine; evidentemente
essa ha influito sulla Bontà di Dio, ha invocato per Lui l'Emmanuele che era propria carne.

E durante i tre mesi del suo soggiorno ad Ain- Karim la Vergine ha mantenuto senza dubbio
l'atmosfera di santa gioia e di entusiasmo soprannaturale che inaugurò all'inizio del
Magnificat.

Maria e gli umili. - Non sappiamo se Zaccaria ed Elisabetta si possano collocare tra i
semplici, cioè fra coloro che nella vita presente non conoscono né onori né fortune, ma
tuttavia abbiamo la prova che Maria dimostra una predilezione spiccata per gli umili del
mondo. Tale predilezione si rivela nel suo stesso cantico. Vi si parla di punizione per i
«superbi » , di atterramento per i «potenti», di spogliazione dei «ricchi». Maria non si
scandalizza per quanto avviene nella storia; Essa sa che il tempo è nulla dinnanzi a Dio e
non vuol vedere che la fine. Dappertutto vede in opera la giustizia di Dio e contempla la sua
misericordia; «Egli ha esaltato gli umili » grida -, «ha saziato di bene gli affamati ». Pare di
sentire Gesù che ai suoi discepoli ripete: «felici coloro che hanno fame e sete di giustizia
perché saranno saziati... » Oppure: «Maledizione a voi, o ricchi... ».

È il caso di rilevare che Maria, unica depositaria dei «Ricordi di Giuseppe» e dei proprii, ha
introdotto il racconto della visita dei Magi che non erano certo dei «piccoli » di questo
mondo ma certamente anime diritte e degne del Vangelo, in quella parte che in S. Matteo
noi abbiamo trovato i «Ricordi di Giuseppe », mentre le proprie «Memorie » pubblicate da
S. Luca riferiscono il fatto commovente dell'adorazione dei pastori. Questi almeno erano
certamente gli umili. Per di più avevano un cattivo nome in Israele. I farisei li ritenevano per
dei maledetti. «Questa razza di uomini - scrive P. Prat riguardo loro - erano assai disprezzati
dagli israeliti devoti. Vivendo nomadi e quasi selvaggi, lontani dal tempio e dalle sinagoghe,
riusciva loro impossibile di conformarsi alle osservanze legali. Abba Gorio aveva l'abitudine
di dire: «Guardatevi dallo scegliere per i vostri figli il mestiere dell'asinaio o del
cammelliere, del barbiere, barcaiolo, merciaiolo e pastore: questi sono mestieri da ladri ».
Soprattutto, i pastori del deserto erano sospettati di non rispettare abbastanza le proprietà
altrui. Un fariseo si sarebbe fatto scrupolo di acquistare la loro lana e latte per timore di
cooperare ad un furto. I pastori erano uguagliati ai pubblicani e la loro testimonianza non
era valevole nei giudizi » (71).

Si trattava dunque di urtare l'opinione comune raccontando che i primi adoratori del
Bambino Gesù non erano stati degli scribi, dei dottori, e dei ricchi personaggi d'Israele; ma i
più diseredati e screditati fra i giudei, i più umili fra gli umili, i piccoli pastori di Betlemme.
Eppure Maria non ha esitato. Non conosceva il rispetto umano e non temeva di affrontare i
suoi giudizi. Mostra altamente l'amore del suo Gesù e di Dio stesso per gli umili e prova,
così, dove si orienta la intima scelta del proprio cuore.

Maria e i dottori. - Non bisogna però aspettarsi di trovare nelle sue «Memorie» delle
invettive personali contro i potenti del giorno e neppure contro quelli da cui ricevette motivi
di sofferenza.

Più tardi Gesù maledirà i Farisei non per spirito di vendetta o di rancore personale, ma
perché ora era necessario smascherare questi gretti settari distruttori di anime e ladri di
stima da parte degli umili da loro stessi ingannati.

Maria non ha le medesime ragioni di Gesù per battere degli avversari. Abbiamo notato al
principio del libro là grande serenità che distingue i nostri racconti evangelici ed abbiamo
creduto di scorgervi l'influenza della pace mariana. Il caso di Erode, dicemmo, è
particolarmente evidente. Erode aveva perseguitato col suo odio il Bambino Gesù. Solo la
fuga in Egitto intrapresa per ordine di Dio aveva salvato il Cristo Re. Erode aveva compiuto
il suo orrendo misfatto col massacro degli innocenti. Crediamo che S. Matteo abbia avuto
tutti i dettagli sul fatto dalla Madonna eppure non si trova un fremito d'indignazione e di
collera nel suo racconto. Le prove della collera divina sono visibili nella fine terrificante del
tiranno eppure non son riportate. Non c'è un epiteto ignominioso a carico del vecchio tigre e
non si può dire se sia per prudenza o per timore di rappresaglia che il Vangelo di Matteo
conserva una tale maestosa, impassibilità. La famiglia di Erode era già da tempo
nell'impossibilità di nuocere quando uscì il primo Vangelo.

Appare difficile spiegare l'immensa pace che emana da tutti questi racconti senza ricorrere
alla grande carità di Maria che rimette a Dio solo il giudizio e non vuol pensare ai colpevoli
se non per benedire la provvidenza, per i doni che ci hanno impedito di cadere nei loro
delitti e nei loro peccati. Che cosa hai tu che non abbia ricevuto? direbbe volentieri con S.
Paolo la Vergine. E se tu hai ricevuto tutto perché te ne glorii come se non avessi ricevuto
nulla?

Quello che diciamo a proposito di Erode può illuminare quanto abbiamo congetturato
intorno ai dottori della legge. Maria non comprese che Gesù chiamò il suo primo contatto
coi maestri del Tempio: occuparsi delle cose del Padre suo. Essa non provava per i dottori
alcuna simpatia e non poteva non tremare pensando ai conflitti inevitabili che essi avrebbero
fatto sorgere al grande restauratore della legge, il Messia, quando l'avessero avuto di fronte.
Conosceva troppo il loro spirito e quello della legge che essi tradivano commentandola; e
intuivano troppo bene quale sarebbe il compito di Cristo quando volesse rimettere in ordine
la casa di Dio. Nonostante tutto questo non le sfugge commento alcuno. Soltanto per
deduzione noi possiamo formulare, nell'episodio del Tempio una insinuazione contro i falsi
sapienti che disonorano la cattedra di Mosè.

Da parte di Maria, sempre il medesimo rispetto per i sovrani diritti di Dio. Egli solo è il
giudice. Egli solo ha il diritto di pronunciare delle sentenze.

Maria alle nozze di Cana. - Non è audacia affermare che il primo miracolo di Gesù è stato
compiuto in favore di povera gente e in seguito alle preghiere di Maria. C'è in esso,
evidentemente, un'attenzione della Provvidenza. Maria si trova fra gli invitati ed è quindi
amica della famiglia: si trova a tutto suo agio fra i «semplici» La venuta del suo Gesù
accompagnato dai suoi primi discepoli può forse essere stata la causa della penuria di vino.
Maria lo intuisce per la prima e la sua sollecitudine si dimostra nello stesso pronto
intervento. È vero si trattava di cosa di poca importanza e soprattutto per Lei che sappiamo
continuamente immersa nei pensieri di eternità. Che importanza aveva infatti la piccola
confusione di questi semplici di fronte ai loro invitati? Del resto è l'appunto che farà Gesù
stesso: O Donna, che cosa importa a me? Quando si vivono i misteri dell'anima questi
meschini dettagli di cucina o di cantina sono qualcosa di così infimo!

Ma la Vergine ha un «debole» per i «piccoli» non può vedere la pena di questa buona gente
senza commuoversi. Conosciamo quanto accadde. Ella non disse che questa parola: Non
hanno più vino. Quanta discrezione in questa preghiera! Quale fede nell'onnipotenza di
Colui che non ha ancora fatto alcun miracolo! Però l’ora non è ancora venuta, Gesù glielo
dice, ma c'è nel suo sguardo e sul suo viso la luce che rassicura Maria: suo Figlio non le
oppone il rifiuto: fate ciò che Egli vi dirà - essa mormora verso i suoi servitori. Il miracolo è
compiuto. L'ora è stata anticipata dalla preghiera di Maria. È stata una scena commovente
per le sue sfumature fini e delicate. Crediamo che Gesù abbia voluto insegnare al mondo
quanto vale la preghiera di Maria e come Egli gradisce l'amore verso gli umili.

Maria e i «fratelli di Gesù». - Oltre l'episodio delle nozze di Cana che il Vangelo orale
primitivo non accenna, in tutta la predicazione d'inizio non si parla della Madonna che a
proposito di un oscuro incidente. Abbiamo raccontato questo incidente al suo posto
cronologico nella «Vita di Gesù» (72). Ritorniamoci brevemente.

I parenti di Gesù erano stati avvertiti di quel che accadeva intorno a Lui. Era talmente
pressato dalla folla che non aveva neppur più il tempo di mangiare. Qualcuno per spirito di
carità o con ironia fece sapere alla sua famiglia: che egli era fuori di sé, che si uccideva,
vivendo in quel modo, senza prendere un istante di riposo. Il dito dei farisei ci entrava
senz'altro nel gioco. I parenti di Gesù s'allarmarono per Lui e stabilirono di venire a
prenderlo per riportarlo con la forza a Nazareth. Prendono dunque con sé la Madonna e si
mettono in cammino arrivando fino a Lui. Ma la folla è talmente fitta che non possono
avvicinarlo e perciò gli fanno dire che gli debbono parlare. Qualcuno allora dice al Maestro:
Ecco là tua Madre e i tuoi fratelli che ti cercano. E Gesù risponde semplicemente: Chi sono
mia Madre e i miei fratelli? E gettato uno sguardo su coloro che gli stanno intorno, Egli
dice: Ecco mia madre e i miei fratelli. Chiunque fa la volontà del Padre mio, costui è mio
fratello, mia sorella e mia madre.

Non commenteremo queste magnifiche parole meravigliose per toccare il cuore a tutti
coloro che non sono della stirpe né della parentela temporale di Gesù. Quello che ci
interessa in questo momento è la ragione della presenza di Maria e la parte che essa ha
rappresentato nell'episodio.

Tre cose appaiono evidenti:

1. I «fratelli» di Gesù, cioè i parenti più prossimi conoscevano la grande influenza di Maria
su Gesù. La chiamano con sé perché la sola sua presenza dà una forza irresistibile alla
commissione che compiono.

2. Maria verso i suoi «nipoti» continua ad osservare il silenzio circa il grande segreto
messianico. Gesù solo poteva autorizzarla a romperlo. Per più di trent'anni il segreto era
stato conservato. I «fratelli» di Gesù l'avevano visto crescere al villaggio senza avere dubbi
sulla sua vera origine e sulla sua identità. Soli Maria e Giuseppe sapevano tutto, ma nulla
era trapelato del divino mistero.

3. Maria accetta di unirsi a loro. Qui la storia non ha un seguito immediato. Gesù non corre
il minimo rischio di essere portato via dai «suoi» perché ad essi basta di venire a vedere per
rinunciare al loro progetto piuttosto ingenuo. Difatti non si sa che essi abbiano fatto un
minimo tentativo né la Madonna riferisce la minima parola di quest'occasione. Tutto è
servito solo ad ottenere una sentenza molto bella e commovente da parte di Gesù. Che cosa
risulta da tutto questo? quale conclusione ne viene per la Madonna? Ci sembra di non
sbagliare pensando che il suo scopo in quest'occasione era di mettere i suoi nipoti in
presenza di Gesù, nella certezza che la sola sua presenza avrebbe dato una impressione
decisiva. Notiamo che l'episodio accade durante l'intervallo delle due visite di Gesù a
Nazareth. La prima volta che Egli vi è venuto non è stato accolto male, nella seconda invece
aveva trovato gli spiriti troppo eccitati contro di Lui.

Non sappiamo tutta la causa di tale cambiamento. È probabile che i farisei c'entrassero per
qualche cosa. Si può immaginare come Maria, messa al corrente dai proprii nipoti di tutto
ciò che si diceva e tramava contro Gesù, seguisse con inquietudine e lacrime i primi segni
dell'offensiva contro il suo Dio. Certo dovette sforzarsi di conquistare almeno i propri
parenti che non credevano in Lui», ma sempre tenuta al segreto sulla nascita soprannaturale
di Gesù, si sarà limitata, con superiore tatto, a fare delle esortazioni.

Li avrà incoraggiati nel tentativo di avvicinarsi a Lui e Lei stessa si sarà offerta per
accompagnarli. Cammin facendo, e ormai sottratti all'influenza del proprio ambiente, la
Madonna avrà loro parlato in termini tali che gli umili popolani, giunti nel luogo dove Gesù
predicava, non avranno più osato manifestare la primitiva intenzione. Si sono accontentati di
domandare un'udienza, mettendo innanzi il nome della Madre per ottenerla. Ma Gesù, che
vede nel fondo dei cuori, ha senza dubbio giudicato che i loro pensieri non erano abbastanza
diritti. Sembra che Egli non abbia gradito la loro preghiera ed essi ricevano una risposta di
cui non comprendono l'importanza.

Quando li ritroviamo mescolati alla folla sia a Nazareth nel tempo della seconda visita di
Gesù, sia nel momento in cui Gesù si prepara a lasciare la Galilea nel periodo della festa dei
Tabernacoli, essi sono ripieni di incredulità. Eppure ne uscirono. A poco poco il prestigio di
Maria si è imposto. Il loro messianismo terra terra si è piegato finalmente dinnanzi al
messianismo tutto spirituale di Gesù. Si sono convertiti dopo la risurrezione nonostante la
smentita che essa dava alle loro inveterate credenze come a quelle degli apostoli.

Gesù non ha cambiato affatto le cose temporali. Ormai si è avverato che il suo regno non è
di questo mondo. Non si è vendicato dei suoi nemici. La sua risurrezione è stata una
manifestazione fra le più inaspettate, mentre il regno d'Israele non è stato restaurato.

Ma i «fratelli» di Gesù sono stati ugualmente conquistati. Da tutto questo si rivela che la
Madre di Dio ha predicato verso di loro la più eccelsa carità, che ha continuamente pregato
per la loro salute finché li ha condotti al Salvatore ed è riuscita finalmente vittoriosa in
questa lotta prolungata dalla fede contro l'incredulità.

È un fatto di cui conosciamo soltanto le grandi linee. I particolari ci sfuggono in massima


parte ma a giudicare dai risultati, siamo invitati a concludere che la Madonna, senza uscire
dalla riservatezza imposta a sé e agli apostoli, per quanto riguardava l'infanzia di Gesù per
tutta la durata della prima generazione cristiana, aveva saputo con la nobiltà della sua vita,
la sua serenità, la sua dolcezza e le sue preghiere agire sui cuori ed esercitare intorno a sé
una potente influenza secondo le intenzioni del suo Gesù.

In ogni modo Ella rimaneva ancora e sempre l'Ancella del Signore.

L'umiltà di Maria. - Con la parola ora scritta: «l'Ancella del Signore» noi raggiungiamo alla
fine dello studio, il punto di partenza: è difatti a questo titolo di Ancella che ci siamo riferiti
costantemente. Ci soffermeremo ora sulla divina carità di Maria verso il suo Figliuolo che
era pure il suo Dio. Avviciniamo per l'ultima volta i due titoli: Madre ed Ancella; titoli nei
quali è racchiuso quanto si può spiegare dell'amore di Maria per Gesù. Ma come si osa dire:
spiegare quando bisognerebbe dire: balbettare? Siamo arrivati al centro.

Tentiamo di entrare nell'intimo del Cuore Sacro, del Cuore immacolato di Maria. Il primo
dovere che si impone è di comprendere la logica possente dei sentimenti di Maria; S.
Tommaso ha detto bene: Attraverso l'umiltà l'uomo è messo nell'ordine in rapporto a se
stesso e in rapporto a Dio. Per questo non esiste amor di Dio né amore in genere senza
l'umiltà. L'orgoglio difatti consiste nel ricondurre tutto a sé, nel rimettersi al di sopra di tutti
o per lo meno fuori dell'ordine che conviene. L'orgoglio è la base dèll'egoismo e niente si
oppone all'amore come la ricerca personale. Il vero amore esige l'oblio di sé. E' quindi
legato all'umiltà ed è la prima condizione della carità. Più ci si distacca da se stessi e più si
può immergersi in Dio solo.

Meno ci si preoccupa dei proprii interessi, delle proprie inclinazioni, gusti e desideri, più ci
si può mettere al servizio di Dio. Il nome di Ancella del Signore implica dunque la più
perfetta definizione dell'umiltà, più necessaria condizione. dell'amore divino.

L'aver enunciato questi elementari principi è sufficiente per intuire che l'umiltà sola ci dona
il decreto della carità incomparabile della Vergine. Abbiamo constatato il suo amore al
silenzio, la ricerca dell'ombra, l'allontanamento da ogni pubblicità, il desiderio di passare
inosservata, di perdersi interamente nella scia del Signore. Sembra talvolta al comune Buon
senso che tutto ciò non sia esente da qualche esagerazione, che tante precauzioni non
fossero necessarie, che non fosse il caso di ricercare l'oscurità con tale costanza e tenacia
quando la Vergine poteva con tutta la semplicità coprirsi del suo titolo di Madre, poiché
dopo tutto tale titolo era propriamente suo e nessuno poteva contestarglielo.

Ma come si possono proferire i nostri giudizi, le nostre intuizioni alle superiori certezze di
Maria? Chi ha ragione? La Vergine o il buon Senso che invochiamo? Porre la questione è
già risolverla.

In proposito interroghiamo il Vangelo. Ognuno ricorda la risposta di Gesù a quella donna


che gridò dal mezzo della folla: Felice il seno che ti ha portato! Beate le mammelle che hai
succhiato! Ecco il linguaggio spontaneo del comune buon senso. L'ingenua esclamazione
della donna sconosciuta è completamente conforme all'opinione del volgo. Ma che cosa
rispose Gesù? Molto più felici coloro che ascoltano la parola del Signore e la mettono in
pratica!

E con le sue parole voleva dire, come nella risposta riportata sopra ai «fratelli»: non sono i
legami della carne che importano. Nel regno dello spirito c'è una cosa sola che conta ed è il
servizio di Dio. Ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica, ecco ciò che solo vale.
Sarebbe stato dunque nulla essere la Madre del Cristo se nello stesso tempo non fosse stata
l'Ancella del Signore per eccellenza. Il titolo di Madre di Dio dà un solo diritto a Colei che
lo porta, quello di sorpassare ogni altra donna nell'amore e nel servizio di Dio. Più essa è
Madre e più deve essere Ancella, e che Maria l'abbia compreso lo si rivela da tutta la sua
vita.

Tutti i suoi atti ci attestano che il suo titolo di Madre di Dio le è apparso costantemente
come un impegno per servire. Maria sorpasserà dunque tutte le creature nell'amore, perché
le sorpasserà nell'umiltà. Da ciò il suo silenzio, la sua vita nascosta a tutti gli sguardi, la sua
volontà di passare inosservata. Dio solo poteva giudicare se essa portava degnamente la sua
dignità di Madre, poiché per portarla degnamente era necessario spogliarsene senza posa.
Ma poteva dunque ornarsi di un titolo di cui gli uomini avrebbero visto soltanto la gloria
esteriore; ma che bastava considerare un istante solo per sapere fino a qual punto tutte le
creature dovessero sentirsene oppresse.

In questa umiltà della Vergine si riuniscono tutte le osservazioni fatte fin qui sulla sapienza,
l'eroismo e la divina Carità di Maria.

Essere umile, come lo fu la Madonna, è la sapienza suprema, il perfetto eroismo e l'amore


sovrano.

Come Maria parla di sé. - Avremmo torto però se volessimo dare all'umiltà di Maria un
aspetto che la facesse uscire dalla verità. Tale umiltà sarebbe falsa. La grandezza dell'umiltà
scaturisce appunto dal fatto che essa non è che l'espressione del vero. Noi siamo nulla
davanti a Dio. Il niente non conta dinanzi all'infinito. E se noi siamo al di fuori del niente, lo
dobbiamo a Dio solo. L'umiltà ha la sua sorgente nel fatto iniziale della creazione. Maria
stessa, sebbene fosse tutta pura, sebbene nessun peccato alterasse il suo splendore originale,
Maria stessa non era che una creatura. L'umiltà per Lei era il corollario dell'adorazione, il
primo atto di ogni religione che consiste nel riconoscere il sovrano dominio di Dio. Perciò
non doveva fare alcun sforzo per ricercare l'ombra: non vedendo che Dio solo Ella vi si
trovava a tutto suo agio.

Di conseguenza, parlando di sé, il suo linguaggio non si rivestiva di affettazione e non si


esprimeva in formule di volontaria abiezione. L'umiltà affettata non è che una caricatura,
una forma più raffinata dell'orgoglio. Maria, esempio perfetto di umiltà, non conosceva
affettazioni: rimase semplice, giusta, sincera e di una ingenuità meravigliosa.

Se consideriamo l'insieme di quei racconti di S. Luca che abbiamo chiamato «Le sue
memorie» notiamo che Ella non cerca di fare del meraviglioso mistero dell'Annunciazione il
principio di un'era novella. La venuta dell'Arcangelo a Nazareth è posta dopo l'apparizione a
Zaccaria che è presa come punto di partenza della sua cronologia. Difatti essa introduce
l'Annunciazione con queste parole: Ora, al sesto mese ... ciò che per Lei significa: al sesto
mese, dopo la concezione di Giovanni Battista. Eppure Ella sa bene che il concepimento del
figlio di Dio è infinitamente più importante di quello del Precursore. E da esso conveniva
far cominciare un'epoca nuova.

Ma la Vergine non si cura di tali minuzie della storia; segue il piano divino, tale come si è
svolto senza cercare di mettersi al primo piano. E' da queste finezze che si misura l'abisso di
verità in cui si radica l'umiltà del suo cuore senza macchia. Lo stesso avviene quando, si
tratta di raccontare la scena dell'adorazione dei Magi. Maria non esita a dettare nei
«Ricordi» di Giuseppe: «Ed entrati nella capanna essi videro il Fanciullo con Maria sua
Madre». Di Giuseppe non si parla. Evidentemente in questa frase in cui Ella si mette in
scena - se si omette la nostra ipotesi sulla trasmissione di questi «ricordi» - Maria obbedisce
semplicemente al rispetto della verità. Dappertutto e sempre, in lei come in tutti i santi della
storia, umiltà e verità si confondono.

L'amore divino in Maria. - Eccoci quindi al centro. Tutti i veli sono stati scostati e ci appare
il Cuore Immacolato di Maria. La sua umiltà ci conduce direttamente alla sua potenza
d'amore. Più Ella dimentica se stessa, più è capace di donarsi; l'amore non è altro che il
dono di sé. Maria ha vissuto completamente per una missione divina. Quando si pensa alla
sublimità di questo compito, non si spera più di poter abbracciare l'immensità del suo
amore. Siamo costretti a prendere appoggio in constatazioni più accessibili a noi. Succede
delle nostre deduzioni relative alla carità soprannaturale di Maria come dei calcoli usati dai
geometri per misurare, con sommità intermedie, l'altezza d'una cima gigante. Anche noi
vediamo una cosa lontana e ci serviamo di strumenti appropriati alla nostra debolezza.
Cercheremo di eseguire quello che i tecnici chiamano una triangolazione, per mezzo cioè di
visioni successive.

Per valutare sia pure approssimativamente l'altezza dell'amore divino in Maria noi abbiamo
un primo metodo, usato da Bossuet e preso in prestito da un autore più antico. Amedeo di
Losanna, vescovo del XII secolo, aveva scritto: «Per formare l'amore di Maria, due amori si
sono riuniti in uno solo, poiché la Vergine Santa rendeva a suo Figlio l'amore che essa
doveva a un Dio e rendeva al suo Dio l'amore dovuto ad un Figlio».

Tale veduta, veramente penetrante e superiore, è tutta giusta. Lasciamo a Bossuet la parola
di commento: «Se voi intendete bene queste parole, vedrete che non si può pensare nulla di
più grande, di più forte, né di più sublime per esprimere l'amore della Vergine Santa. Poiché
il santo Vescovo vuol dire che la natura e la grazia concorrono insieme per scavare, nel
cuore di Maria, le impressioni più profonde. Nulla più forte, né preme di più dell'amore che
la natura sente per un figlio, né di quello che la grazia dà per Iddio.

Questi due amori sono due abissi, di cui non si può penetrare il fondo, né comprendere
l'immensità. Possiamo dire col Salmista: «Abyssus abyssum invocat». Un abisso chiama un
altro abisso; poiché per formare l'amore della Vergine è stato necessario fondere insieme ciò
che la natura ha di più tenero e la grazia di più efficace. La natura c'era perché l'amore
abbracciava un figlio: la grazia agiva perché l'amore riguardava un Dio».

Eppure Bossuet stesso trova insufficiente questa prima considerazione. L'amore materno è
un abisso insondabile presso le nature migliori. L'amore dei Santi per il loro Dio è un altro
abisso, per usare l'immagine del grande oratore, oppure ritornando alla nostra, questi due
amori sono sommità che si perdono nelle nubi e che la purezza delle nevi eterne ricopre. Ma
quando si tratta di Maria - poiché essa è la Madre, poiché a Lei sola il Cielo ha mormorato
parole che la terra non ha mai sentito, poiché si può dire di Lei: «ciò che non è stato detto
mai di alcun'altra», né si può sperare di sentire più la ricchezza di quel saluto dell'Angelo:
«Salve, piena di grazia, il Signore è con te», allora si sente che è necessario elevarsi da un
lato al di sopra della natura e dall'altro, dalla grazia comune. La nostra prima mira è dunque
troppo corta. Bisogna salire ancora: Come faremo?

L'analogia della vita di Gesù. - Cercheremo un'analogia nell'insieme della vita di Gesù. Da
un po' di tempo i contemplativi ed i teologi hanno fatto un'osservazione che acquista la forza
di una legge: nella storia di Cristo ad ogni passo si ritrova la doppia natura che Egli
possedeva nell'unica persona del Verbo. Vi è un costante parallelismo nei fatti della sua
esistenza terrena. Si vede dappertutto simultaneamente e come una simmetria voluta e
provvidenziale: Dio e l'Uomo.

Ad es. nasce in una povera stalla ma gli angeli annunziano la sua nascita ai pastori ed una
stella guida i Magi. Fugge in Egitto, ma si sottrae per un miracolo all'odio di Erode. Riceve
il battesimo come uomo e i cieli si aprono sul suo capo mentre una voce celeste pronuncia le
parole: «Ecco il mio Figlio prediletto». Egli predica, sopporta la fatica, la fame, la
persecuzione; ma semina i miracoli, apre davanti agli uomini gli orizzonti dell'eternità,
diffonde una dottrina in cui risplende la sapienza di un Dio. Muore sulla croce ma risuscita
il terzo giorno. E sarebbe facile seguire questo dualismo di aspetti fino ai minimi particolari.

Dallo studio dei racconti dell'infanzia noi abbiamo creduto di poter trarre la seguente regola:
«tutte le condizioni spirituali intorno a Gesù sono superiormente perfette; tutte le condizioni
spirituali e terrene sono state volontariamente disdegnate» (73). Si dirà che nell'enorme lotta
fra la carne e lo spirito, lotta che domina tutti i secoli e spiega tutta la storia degli uomini,
Gesù ha voluto che la sua propria vita offrisse, a chiunque vuol riflettere, la chiave di tutti
gli enigmi. La nostra epoca ha scelto la carne. Gesù aveva optato per lo spirito. Nessuna
epoca è stata più anticristiana della nostra. Essa prometteva agli uomini, una felicità ben
diversa da quella di cui parla il Vangelo. E se essa fosse riuscita a darcela avremo mo avuto
nella storia umana lo scandalo degli scandali. Ma ora è chiaro che essa ha fallito e nel modo
più miserabile. L'era del progresso minaccia di sommergersi nell'ignominia. Una volta di più
si dimostra la verità del Vangelo.

Applichiamo la regola accennata sopra al caso unico di cui cerchiamo l'intelligenza. Gesù è
nato da una donna. Ecco il lato umano. Dove troveremo il lato divino dato che la legge del
parallelismo ci comanda di cercarlo? Lo troveremo anzitutto nel fatto che è nato da una
concezione soprannaturale. È nato da una vergine ed è stato concepito dallo Spirito Santo.
La sua nascita è stata un «ricominciare», come già quella di Adamo era stata un «inizio».

Ma proseguiamo il nostro studio. La Vergine Maria è stata spogliata di tutto. La sua dimora
era una grotta più che un palazzo. Aveva per sposo un umile carpentiere. Ha vissuto fra i più
modesti lavori d'una abitazione giudaica. Ecco il lato umano, le condizioni terrene.

Ed ecco ora le condizioni spirituali: Maria aveva la Sapienza, l'Eroismo, l'Amore. E


possedeva queste qualità al punto di essere degna di un Dio.
Degna d'un Dio, ecco la nostra seconda «mira». Questa volta non possiamo andare più alto
né più lontano. Vediamo dinanzi a noi la cima contemplata ad una altezza quasi
incalcolabile. Degna di un Dio... Come intenderemo queste parole? Gabriele aveva detto:
Piena di grazia e noi intenderemo la prima espressione «degna d'un Dio» nel senso d'una
pienezza di grazie, sorpassante ogni altra grazia creata. Impiegandosi a fondo in questa via
così sicura e logica la tradizione cristiana ha intuito la incompatibilità di qualunque macchia
col titolo di Madre di Dio che la Chiesa ha tradotto molto giustamente nel dogma
dell'Immacolata Concezione.

Ma non servirebbe a nulla capire il significato della dignità mariana con l'esenzione da tutti i
peccati e dallo stesso peccato originale, se non si vedesse subito l'applicazione positiva del
medesimo principio: non solo Maria ha avuto un privilegio unico nella esenzione da ogni
macchia, ma l'ha avuto anche nelle ascensioni della sua anima nell'amore divino. Se
pensando alla discendenza degli uomini in Adamo, noi dobbiamo dire di Lei: questa legge
era fatta per tutti, ma non per la Madre di Dio, la stessa cosa e, se possibile, con più forte
ragione, dobbiamo ripetere pensando alla grazia. Le leggi poste da Dio per la distribuzione
delle grazie più sublimi, la scala delle grandezze della santità, la possibilità aperta nel
possesso della grazia e della visione beatifica, tutto ciò serve per il resto delle creature, ma
non per Maria.

Piena di grazia. - Quando parliamo della pienezza di grazia in Maria o, in altre parole, della
pienezza d'amor divino che fu insieme il principio e il frutto di tale grazia (74), noi
dobbiamo pensare a qualche cosa di unico nell'insieme della creazione. E c'è difatti nel
linguaggio dell'Arcangelo Gabriele, il rispetto d'un suddito per una regina.

Possiamo intanto ritornare a Bossuet. Dopo aver ricordato e spiegato la parola di Amedeo di
Losanna sul doppio amore che nel cuore di Maria produce una fiamma immortale, egli
aggiunge: «E' necessario salire più in alto. Permettetemi, o cristiani, di portare oggi i miei
pensieri al disopra della natura e della grazia e di cercare la sorgente di questo amore nel
seno stesso dell'Eterno Padre. Mi sento obbligato per il motivo che il Divin figlio di cui
Maria è Madre è in comune con Dio ». Colui che nascerà da te - Le disse l'Angelo - sarà
chiamato Figlio di Dio. «Così Ella è unita con Dio Padre diventando la Madre del Suo
unico figlio ». «Ch'Ella possiede in comune soltanto col Divin Padre per il modo con cui
l'ha generato».

Ma saliamo ancora: vediamo donde Le viene questo onore e come Ella ha generato il figlio
di Dio. Si capisce a prima vista che non fu per la sua fecondità naturale, con questa avrebbe
potuto generare un uomo; per renderla atta a generare un Dio fu necessario, dice
l'Evangelista, che l'Altissimo la coprisse con la sua virtù, che cioè Le comunicasse la sua
fecondità. Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà (Lc 1,
35). Ed è così che la Vergine fu associata alla generazione eterna. Ma questo Dio che Le
volle donare il suo figlio, comunicarle la sua virtù, dotarla della sua fecondità, dovette anche
far discendere in quel casto petto un raggio o qualche scintilla dell'Amore che Egli porta al
suo figlio unico che è lo splendore della sua gloria e la viva immagine della sua sostanza
(75).

«Di là è scaturito l'amore di Maria; esso s'è effuso dal cuore di Dio nel cuor della Vergine; e
l'amore che ella ha per il suo figliuolo viene dalla stessa sorgente da cui le venne il figliuolo
stesso» .

Vedere in questa pagina soltanto un'amplificazione, vorrebbe dire conoscere male Bossuet e
il soggetto che egli tratta. Cresciuto alla scuola dei Padri antichi, Bossuet sapeva che la
verità si serve con l'esattezza e la causa di Gesù Cristo con la probità scientifica. Ma la
ragione ch'egli pone qui è di una forza irresistibile. O bisogna rinunciare a capire anche solo
elementarmente i disegni di Dio, o bisogna riconoscere una sapienza superiore in tutto ciò
che Egli fa. Non sappiamo supporre neppure un istante che Iddio abbia deciso di dare una
Madre al suo Figliolo senza che tale Madre ricevesse tutti i doni che caratterizzano le madri:
una potenza di generosità e di devozione e una capacità d'amore superiore a tutto quanto la
terra conosce. E Iddio ponendo questa meraviglia dell'amore materno alla culla del Verbo
incarnato, non poteva metterglielo che in uno stato di perfezione superiore a quanto lo
spirito creato può concepire.

In una parola la Vergine senza amore non sarebbe stata madre e non avrebbe potuto essere
madre di un Dio senza un amore dato al Dio fatto uomo. Questa considerazione ci trasporta
al di sopra di tutte le altezze. Una madre come Maria non poteva essere che una santa senza
alcun confronto con le altre santità, e poiché la santità si misura dal grado d'amore,
ripensiamo ad un amore che sorpassa ogni altro. Dal cuore di Dio stesso sono scese nel
cuore immacolato di Maria delle fiamme che la rendono degna del cuore di Gesù e la
uniscono eternamente a Lui.

____________

CAPITOLO VIII

LA MORTE D'AMORE: L'ASSUNZIONE

Sommario: Il peccato e la morte - La morte per amore - L'assunzione.


***

Il peccato e la morte. - Eccoci alla fine delle nostre analisi. Non è soltanto uno studio
psicologico che abbiamo voluto tracciare, ma anche una storia mariana. Una storia che
differisce da tutte le biografie comuni perché i fatti che abbiamo raccolti sono tutti interiori,
per così dire. Quegli stessi che furono esteriori non possono essere compresi che
guardandoli interiormente. Così è un fatto storico che Gesù è nato da Maria; ma la maternità
del la Vergine non può essere valutata che spiritualmente. Essa fu molto più Madre per il
suo amore invisibile che per il pianto visibile. «Ella concepì con lo spirito prima di
concepire con la carne» (76).

Dal punto di vista biografico non sappiamo nulla di Lei e si può dire che non conosciamo
neppure i particolari della sua vita. Questa nostra ignoranza in proposito è stata voluta da
Lei, dagli apostoli e da Dio stesso. Perché tutta la sua gloria è interiore. Il nome stesso dei
suoi genitori è giunto a noi attraverso tradizioni non canoniche. - Ma a che cosa ci
servirebbe conoscere il luogo della sua nascita e della sua morte? Siamo meglio informati
sulla sua concezione senza macchia e sulla sua morte d'eccezione attraverso il ragionamento
e la meditazione più che non lo potremmo essere per le testimonianze contemporanee. Tali
testimonianze non potrebbero fornirci che l'esteriore e il solo titolo di Madre di Dio ci ha
manifestato più notizie che gli stessi libri sacri i quali, senza quel titolo, prenderebbero tutto
un altro senso (77).

E poiché non conosciamo alcuna delle circostanze che accompagnarono la morte della
Vergine, ricorriamo ancora al titolo di Madre di Dio per avere lumi su questo punto.

Abbiamo visto precedentemente che il magistero della Chiesa ha solennemente confermato


il giudizio del senso cristiano per il quale il peccato è incompatibile con la maternità divina.
Perciò il dogma dell'Immacolata Concezione è implicitamente rivelato in quello della divina
maternità della Vergine.

Ma la morte è il castigo del peccato originale. Non è questo il momento per dimostrarlo e
noi supponiamo che tale principio sia bene conosciuto dai nostri lettori (78).

Esente dal peccato originale Maria avrebbe dunque potuto essere esente dalla morte. Ma noi
l'abbiamo contemplata ai piedi della Croce. Con Bossuet abbiamo detto: questa
incomparabile madre avrebbe voluto morire col suo Divin Figliolo. Da allora la sua vita
diventa una specie di miracolo, di eroismo. Essa vive per obbedienza e per amore. Ma
ricevuta una missione da Gesù agonizzante, compirà tale missione fino alla fine. Ma quando
il suo compito sarà finito, quando finalmente l'ora sarà suonata, il miracolo cesserà da sé.
Avendo sopravvissuto per amore, non potrà morire che per amore, onde imitare il suo Gesù
anche nella morte.
La morte per amore. - «Voi pretendete - ha detto ancora Bossuet - di capire l'unione di
Maria con Gesù Cristo? Se non siete capaci di intendere la sua forza e veemenza credete di
potervi immaginare i suoi movimenti e slanci? Cristiani, tutto ciò che noi possiamo capire è
questo: che non vi fu al mondo uno sforzo superiore a quello fatto da Maria per riunirsi al
suo Gesù, né una violenza simile a quella che Maria sopportò per questo distacco. Se voi
siete del mio parere, o anime sante, non avrete bisogno di ricercare altre cause della sua
morte. Questo amore era così ardente, forte ed infuocato che non poteva trarre un respiro
senza rompere i legami del suo corpo mortale, non poteva formulare un desiderio per il cielo
senza attirare con esso anche l'anima di Maria» (79).

L'Assunzione. - Potremo fermarci a questo punto. Maria ha avuto la più bella delle morti.
Non le rincresceva nulla della terra: aveva vissuto nell'eterno prima d'essere madre d'un Dio.
La sua divina maternità l'aveva elevata ancor più al disopra delle contingenze terrene. Dopo
la morte, resurrezione ed ascensione del suo Gesù, la sua esistenza si può concepire solo
come un esilio eroicamente accettato. La morte fu per lei la grande liberazione poiché
andava a raggiungere suo figlio e il suo Dio. Essa non pensava affatto al suo premio, ma Dio
vi pensava per lei. E la corona proporzionata al suo amore dovette essere incomparabile.

Si potrebbe credere di avere detto tutto su di Lei quando la si mostra in atto di prendere in
cielo il suo posto di regina, a fianco di Cristo-Re. Invece la tradizione cristiana ha voluto per
Lei un segno particolare. Se essa ha subito la morte per assomigliare a suo figlio, non poteva
però subire la corruzione della tomba. La somiglianza con suo figlio giunge fino alla morte,
ma le impedisce la dissoluzione ... S. Giovanni Damasceno citava nell'VIII secolo il passo
d'uno storico nel 5° secolo nel quale era riportata la testimonianza del patriarca Giovenale
del medesimo tempo (80). Questi affermava che «un'antica e molto vera tradizione»
assicurava che il corpo di Maria, deposto al Getsemani in una tomba che fu venerata per
lungo tempo, non vi era rimasto che tre giorni (come quello di Cristo) e che gli apostoli, non
trovandola più nel sepolcro non poterono pensare che così «allo stesso modo ch'era piaciuto
al Verbo e Signore della gloria d'incarnarsi in Lei e divenire uomo, come aveva voluto
conservare tutta pura la sua verginità, così gli era ugualmente piaciuto, quando Ella ebbe
lasciato questo mondo, di onorare il suo corpo intatto e immacolato con l'incorruttibilità e la
assunzione al Cielo prima della risurrezione universale e comune ».

Questa antica e molto vera tradizione può contenere degli elementi leggendari. Se un giorno
il fatto dell'Assunzione sarà eretto a dogma, esso non si fonderà solo su questa tradizione ma
anche e principalmente sul titolo di Madre di Dio e sul dogma dell'Immacolata Concezione.

Se Maria ha dovuto sottostare alla morte ciò non avvenne per un debito personale.
Preservata da ogni macchia, ebbe la morte che doveva avere: Maria Santissima morì
d'amore e il suo corpo verginale fu portato in Paradiso dagli Angeli!
______________

Note

1 Opera oratoria, Edizioni Labarq, III, 459-496

2 Opera oratoria, Edizioni Labarq, III, p. 495.

3 Su tutto questo vedi:«Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore », III, 335 e segg.

4 Sul significato di questo primo versetto vedere: «Il Vangelo secondo San Marco di
Lagrange, Parigi, Gabalda 1920, pag. 3. La parola Vangelo in questo libro non significa il
libro del Vangelo, ma piuttosto messaggio redentore di «Gesù ».

5 Testo sugli Agnelli di cui sarà il Pastore supremo, nell'apparizione sulle rive del lago di
Tiberiade, in S. Giovanni XXI, 15. Vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore » II, 82 e II-
III 360 e segg.

6 Luca XXII, 31-32. «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore » III, 167.

7 I Doceti credevano che il Logos o Verbo Divino avrebbe subito una corruzione nell'unione
colla materia o carne che essi ritenevano la fonte di tutti i mali. Questa eresia apparve nel
primo secolo. Essa è stata confutata da Giovanni e dalla sua scuola: Ignazio d'Antiochia,
Policarpo, Ireneo.

8 Epistola ai Cristiani di Efeso, XVIII, 2.

9 Apologia di Aristide, XV.

10 Ai Corinti, XV, 45.

11 Si osservi questa espressione: Si riferisce ai Vangeli che Giustino verso l'anno 150
chiama le Memorie degli Apostoli indicando in una parola l'incomparabile valore storico
ch'egli conosceva ad essi.

12 Dialogo con Trifone.

13 Contro haereses, III, 22-4

14 Fouard, S. Giovanni, 95-96.

15 Secondo il parere del P. de la Broise, di M. Fouard e di molti altri noi rigettiamo fa


tradizione poco fondata che fa vivere e morire la Vergine ad Efeso o nei suoi dintorni. La
tradizione è molto più sicura in favore di Gerusalemme. La tomba della Madonna era verso
il giardino del Getsemani.
16 Vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », II, 30 e segg.

17 Sappiamo che presso i Giudei le fanciulle non erano inviate alla scuola. La loro
educazione si faceva ai piedi della madre, al focolare domestico. La fanciulla ripeteva frase
per frase le pagine della Bibbia, seguendo la Madre.

18 Vedere questi capitoli nel Libro del Giubileo; III, 165 e segg.

19 Su Erode Antipa vedere Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, II, 331 e segg. Sui Farisei
soprattutto il III, 63 e segg.

20 Non ci meraviglierà se mettiamo questa espressione sulle labbra di Maria parlando del
suo Gesù. Nell'ordine puramente naturale le formule del rispetto sono strettamente
obbligatorie anche da parte della Regina Madre quando si tratta del Re. Si pensi alla
deferenza della Regina Claudia di Francia per suo figlio Francesco. Maria era una figlia di
re, meglio ancora Egli era Dio. Ella non voleva essere che l'umile ancella.

21 Su Erode Antipa vedere «Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore », II, 331 e segg. Sui Farisei
soprattutto il III, 63 e segg.

22 Elevazione sui Misteri, VII elev.

23 Abbiamo citato anche noi commentando il glorioso Prologo, la frase in cui S. Ilario
paragona la scienza soprannaturale di Giovanni ai più grandi miracoli di Cristo. Vedere
«Gesù Cristo» I, Pag. 4. Là abbiamo tentato una spiegazione completa di questa pagina
sublime, qui cerchiamo timidamente dare la spiegazione storica delle sue origini.

24 Giov. XX, 31: «Questo è stato scritto affinché crediate che Gesù è il Cristo Figlio di Dio.

25 Alludiamo al passo di Luca X, 21 e Matteo XV, 85. Vedi «Gesù Cristo … » II, 236 e seg.

26 Proverbi di Salomone VII, 22-32. Il versetto: «Era presso di lui come un fanciullo »
talvolta è tradotto così: «Io ero all'opera presso di Lui ». Noi adoperiamo da questo punto la
traduzione del P. Lebreton. Dopo di questo passo la nostra Volgata segna la seguente frase la
cui autenticità è dubbia: «E trovando la mia delizia fra i figlioli degli uomini». I fedeli
possono leggere questa pagina dei Proverbi nella liturgia della festa dell'Immacolata e in
quella del S. Rosario.

27 Vedere per questo dove abbiamo trattato della vita nascosta di Gesù nel «Gesù Cristo» I,
92 e segg.

28 Siamo del parere che la parola «Donna » rivolta da Cristo a sua Madre è il più grande dei
titoli onorifici. Come Egli aveva scelto per sé il nome di Figlio dell'Uomo che significava
semplicemente l'Uomo più grande, il nuovo Adamo in opposizione al vecchio Adamo, come
S. Paolo aveva ben intuito. Così Egli dava a Maria il nome di Donna cioè di novella Eva
come i Padri della scuola di S. Giovanni, S. Giustino e S. Ireneo la chiamarono subito.
29 S. Paolo, Epistola ai Colossesi 1, 16-19 - Epistola agli Ebrei 1, 1 e segg.

30 Si possono trovare tracce dell'influenza di Matteo nella prefazione di S. Luca, ma sono


poco numerose e si spiegano facilmente, vedremo più avanti come.

31 Alludiamo a Zaccaria, alla sua sposa Elisabetta, a Giovanni Battista, alla profetessa Anna
ed al vecchio Simeone. Ma queste erano anime ispirate e per di più perfettamente isolate da
Israele.

32 La prima volta: Luca II, 19 - la seconda in termini quasi identici, Lura II, 51: e «sua
Madre conservava tutte queste cose in cuor suo».

33 Vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio » I, p. 60.

34 Diciamo confidenze intime in quanto Luca interrogando Matteo pare abbia ricevuto da
Lui soltanto delle note sui discorsi di Gesù, ma nessun insegnamento sulla sua infanzia
mentre Matteo ne era già in possesso.

35 Siamo sicuri che la nascita verginale di Gesù, come il profeta Isaia l'aveva annunciata,
non era stata capita da alcuno, nemmeno da Maria prima dell'annunciazione. Da un lato è
vero che non si trova alcuna traccia di questa generazione verginale del Messia negli scritti
dei Giudei ma d'altra parte se Maria avesse conosciuto tale oracolo nel suo significato vero
si sarebbe posta nella possibilità di divenire Madre del Messia facendo voto di verginità e la
sua risposta all'Angelo: «come avverrà questo se io non conosco uomo»? sarebbe stata
almeno un controsenso.

36 Non dimentichiamo che S. Luca non dovette conoscere da S. Matteo i racconti


dell'infanzia di Gesù; egli prese da Matteo soltanto i discorsi che nel suo Vangelo non sono
posti nello stesso ordine usato da Matteo. E' questo che ci fa collocare il Vangelo di
quest'ultimo ad una data poco anteriore a quella di Luca e in una zona lontana da quella in
cui scrisse Luca.

37 Sembrerebbe in verità che Luca abbia conosciuto le note di Matteo da Lui - pare -
utilizzate in certe pagine simili a quelle del suo predecessore. Ma forse la conoscenza
avvenne attraverso un intermediario a noi ignoto.

38 L'autore si riferisce alla sua opera «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore »

39 Vedi «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, 98 e segg.

40 Vedi «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, 34 e segg.

41 Abbiamo già accennato come tale pensiero sia consolante per il Sacerdote o il Monaco
che recitano l'ufficio divino.

42 Cantico di Anna:
- Il cuor mio giubila nel Signore:
Il mio corno è innalzato per lo Signore
La mia bocca è allargata contro ai miei nemici Perciocchè, o Signore, io mi son rallegrata
nella tua salute.

43 Salmo 113 (Volgata 112) Il Signore è eccelso sopra tutte le nazioni La sua gloria è sopra i
cieli Che riguarda a basso cielo e terra.

44 - Salmo 111 (Volgata 110) Il tuo nome è santo e tremendo


Il principio della sapienza è il timor del Signore.

45 - Genesi XXX, 13 - Grido di Lia alla nascita di Aser:


Le figlie mi chiameranno felice.
Salmo 103 - (Volg. 102):
Come un padre ha compassione dei suoi figli cosi Egli è pietoso con coloro che lo temono.

46 Vedere ciò che è stato detto nella parabola del buon Samaritano in: «Gesù Cristo » ecc. -
II. - 244.
Salmo 89 (Volg. 88):
Sei tu … che disperdi i tuoi nemici con la forza delle tue braccia.
Altro canto di Davide riportato al secondo Libro di Samuele XXII, 28:
Tu salvi gli umili in mezzo al popolo.
E col tuo sguardo abbassi gli orgogliosi.

47 Cantico di Anna:
Iehova fa morire e vivere, fa discendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire. Iehova
impoverisce e arricchisce, abbassa ed eleva.
Salmo 147 (Volg. 146):
Jheova viene in aiuto ai piccoli ed abbassa i cattivi fino a terra.
2 Giobbe V, II
Rovescia i potenti,
Esalta quelli che sono abbassati.

48 Cantico di Anna:
Quelli che erano saziati si sono allogati per aver del pane e quelli che erano affamati non
hanno più fame.
Salmo 34 (Volg. 3):
Non c'è povertà per coloro che la temono … Coloro che cercano Iehova non sono privati di
alcun bene ...
Salmo 107 (Volg. 106)
Ed egli ha dissetato l'anima divorata dalla sete ed ha colmato di beni l'anima sossata dalla
fame.

49 Isaia XLI, 8-9:


Tu, Israele, mio servitore ...
Tu, che io ho preso per mano all'estremità della terra.
Salmo 98 (Volg. 97):
Egli si è ricordato della sua bontà e della sua fedeltà verso la casa d'Israele ...

50 Genesi, XVII, 7: «Stabilii la mia alleanza, un'alleanza perpetua, con te e i tuoi


discendenti dopo di te, di età in età, per essere il tuo Dio e il Dio dei tuoi discendenti».
Genesi XVIII, 18: «Iehova disse: nasconderò io ad Abramo ciò che sto per fare? Poiché
Abramo deve divenire una nazione grande e forte e tulle le nazioni della terra saranno
benedette in lui».
Genesi XXII, 17: «Io ti benedirò e ti darò una posterità numerosa come le stelle del cielo e
coma i granelli di sabbia in riva al mare … E nella tua posterità saranno benedette tutte le
nazioni della terra....
Michea. VII, 20: «Voi farete vedere a Giacobbe la vostra fedeltà, ad Abramo la misericordia
che avete giurato ai nostri padri nei giorni antichi».

51 Accenniamo di passaggio che i tre cantici contenuti nel nuovo Testamento si trovano nei
«Ricordi » di Maria. Sotto un aspetto essa è l'unico salmista della Nuova Legge. Senza
dubbio Ella è autrice soltanto del Magnificat ma è Lei che ci ha trasmesso il Benedictus e il
Nunc dimictis. Lei che aveva un'altitudine spiccata per i canti religiosi. Li ricordava, li
«conteneva nel suo cuore » per parlare come Lei. Un confronto attento fra i tre cantici
dimostra che essi hanno conservato nella sua memoria il carattere proprio a ciascuno o, per
meglio dire, il loro sapore d'origine. Zaccaria non canta come Simeone, né Simeone come
Maria.
La memoria di Maria era fedele ed essa era troppo scrupolosamente attaccata alla verità e
all'esattezza per modificare sia pure il minimo di quanto ripeteva. Ci ritorneremo su questo
pensiero. Consideriamo come cosa certa che Maria, nell'intervallo che separa gli
avvenimenti della nascita di Gesù e la redazione dei suoi «Ricordi » avrà ripetuto nel suo
cuore e forse anche a viva voce, i tre cantici ripieni di tanti e cari ricordi per Lei.

52 Vedere ciò che si è detto della parabola del buon Samaritano in «Gesù Cristo Figlio di
Dio Salvatore ». II, 244.

53 Vedere le note 19 e 20.

54 Noi non facciamo caso del senso reale della parola ebraica che la Volgata ha tradotto per
Vergine. E' affare di filologia. Noi constatiamo semplicemente che nessuno in Israele aveva
intuito in questo passo un annuncio di maternità verginale messianica. Ci sembra evidente
invece, e il fatto lo dimostra, che lo Spirito Santo, inspirato il testo, aveva in mira la
concezione verginale del Cristo.

55 Ciò non impediva affatto al matrimonio d'essere un vero matrimonio. Poiché esso
sostanzialmente è il dono reciproco degli sposi l'uno all'altro. Questo dono conferisce a
ciascuno di essi un diritto sul proprio congiunto, un diritto esclusivo.
Il voto di verginità consisteva in questo caso non nel distruggere il diritto ma nel
sospenderne l'uso. Va da sé che tale voto rendeva doppiamente colpevole ogni infedeltà che
oltre violare il voto sarebbe andato contro il diritto del coniuge.

56 Leggi concernenti il matrimonio nel Deuteronomio, XXII e seg.

57 Certi autori hanno ammesso che Giuseppe «temeva » soprattutto di associarsi ad un atto
delittuoso prendendo per sposa una fidanzata forse infedele. Me se egli avesse avuto il
minimo sospetto non doveva o provocare spiegazioni o denunciare Maria? Non era questo
che un uomo «giusto » doveva fare? Dal momento che «poiché egli era giusto » non voleva
esporre Maria all'infamia pubblica è segno che non aveva alcun dubbio sulle sue virtù. Da
ciò si intuisce che egli poteva temere di prenderla in isposa in quanto ignorava se tali nozze
erano conformi alla volontà di Dio.

58 Sottolineiamo questa espressione la quale prova chiaramente che Maria, fidanzata a


Giuseppe, è già legalmente la sua donna. Perché essa sia considerata come donna maritata
non le rimane che di entrare nell'abitazione del marito.

59 È Maria stessa che dà queste definizioni della giustizia a proposito di Zaccaria ed


Elisabetta. (Luca, I, 6).

60 Lagrange: Il Messianismo presso i Giudei, p. 263.

61 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p.102 e segg.

62 La frase dolorosa di Giovanni: «E i suoi non lo ricevettero» non sarebbe una eco del
martirio della Vergine?

63 Lamentazioni di Geremia, II, 13.

64 Su questo punto vedere «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore», III, p. 294.

65 Opere oratorio, Edizioni Labarq, III, p. 448.

66 Matteo XI, 29. Noi traduciamo questo come il Lagrange non come si traduce
generalmente: «Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore ».

67 Citate dal lagrange, Matteo, 230.

68 Si giudichi da questo il pericolo che corre la civilizzazione nell'ora attuale!

69 Vedere Gesù Cristo, etc. II, 336-337.

70 Quando gli umili e i semplici dispongono d'una cosa che si desidera da essi, come ad es.
il loro voto elettorale, può essere che si ostenti per essi un grande amore. Ma è disinteressato
tale amore?

71 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p. 88.


72 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p. 358.

73 «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore », I, p. 96.

74 Insieme principio e frutto in quanto la grazia precede il nostro amore, ma il nostro amore
attira e merita una nuova grazia. E' un'ascensione continua.

75 Sono termini usati nell'Epistola agli Ebrei (II, 3) richiamiamo le espressioni già studiate a
proposito della Sapienza Increata (Proverbi, 8)

76 Abbiamo già citato queste parole di Leone il Grande, in «Gesù Cristo», ecc. I, 96.

77 È chiaro che le parole dell'Angelo «piena di grazia » indirizzate a un'altra persona che
non fosse Maria, non significherebbero una pienezza pari alla sua. Essa ha ricevuto la
pienezza che conveniva alla Madre di un Dio.

78 «Per un solo uomo (Adamo) il peccato è entrato nel mondo e col peccato la morte ».
Vedere questo passo nell'Epistola di S. Paolo ai Romani V, 11.

79 Questa citazione e quella del capitolo precedente sono tolte dal medesimo discorso di
Bossuet, per la festa dell'Assunta «Opere Oratorio» Edizione Lebarq, III, 485-488.

80 Questo passo di S. Giovanni Damasceno riportato nel Breviario romano, nella festa
dell'Assunzione è riguardato oggi come un'interpolazione. Ma non vi è attestazione così
antica come la credenza nell'Assunzione di Maria.

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