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INDICE

Tavola delle abt?reviazioni e delle sigle 7

INTRODUZIONE

1. Le ragioni di una ricerca 11


2. II problema della "verita di una religione" 13
3. La scelta di san Tommaso come autore di riferimento
per una ricerca sulla religione 16
4. Principale letteratura esistente sui tema della religione in san Tommaso 19
5. Scopo e schema della ricerca 26

CAPITOLO I
LA RELIGIONE COME DIMENSIONE ANTROPOLOGICO-SALVIFICA:
SPUNTI ESSENZIALI DELLA DOITRINA DEL MAGISTERO DELLA CHIESA

1 . Considerazioni preliminari 29

2. Esame dei documenti del Magistero sulla religione e sulle religioni 30


2.1 II Concilio Vaticano II 33
2.2 II Magistero Pontificio 44
2.3 I Catechismi 65
2.4 Altri documenti 72

3. Le linee di tendenza della teologia delle religioni secondo il documento


della Commissione Teologica Intemazionale 84
3.1 La teologia cattolica delle religioni immediatamente precedente
il Concilio Vaticano II 85
3.2 Linee della teologia delle religioni successive al Concilio Vaticano II 86

CAPITOLO II
LA NOZIONE DI RELIGIONE E IL SUO CONTESTO SEMANTICO

1 . La nozione di religione di cui fu "erede" san Tommaso:


religio, pietas e devotio 103
350 ALBERTO STRUMIA

2. San Tommaso di fronte aile religioni a lui contemporanee 107


3. La religione in genere nei testi di san Tommaso 113
3.1 Definizione di religione 1 16
3.2 I caratteri esenziali della religione 120
3.3 Gli atti della religione 135

4. La religione in specie nei testi di san Tommaso 151


4.1 Le dizioni «Christiana religio», «Vera religio», «Omnis religio»,
«[a/sa religio» 151

5. Conclusioni relative al secondo capitola 163

CAPITOLO III
LA VERITA DELLA RELIGIONE

1. La nozione di verita in san Tommaso 165


1.1 La distinzione tra verita ontologica e verita logica nei testi tomisti 167

2. L'azione di Dio, e della Spirito Santo in particolare, in relazione


alla conoscenza della verita 174
2.1 La causa/ita della Spirito Santo in relazione alia verita 176
2.2. La conoscenza umana della verita e l 'azione della grazia 177
2.3 Altri testi sullo Spirito Santo e sui semi di virtu 181

3. La Iegge naturale in san Tommaso 184


3.1 Parallelismo tra conoscenza speculativa e pratica 186
3.2 I contenuti della Iegge naturale conosciuti con Ia sola ragione 190
3.3 I contenuti della Iegge naturale in quanta rivelati nel Decalogo 193

4. Conclusioni relative al terzo capitola 198

CAPITOLO IV
RELIGIONE, FEDE, RIVELAZIONE E SALVEZZA

1. Religione, fede e salvezza 201


1.1 La religione come manifestazione di una fede 201
1.2 Credenza e fede 205
1.3 Fede esplicita e fede implicita: conoscenza della verita e salvezza 231
1.4 L 'infedelta come non conoscenza e come opposizione alia fede 249
lndice 351

2. Religione e rivelazione - Sacra Scrittura e rivelazioni private 250


2.1 La profezia come "modello cognitivo-teologico " della rivelazione ispirata 252
2.2 Rivelazioni private 257

3. Chiesa e religioni non cristiane 260


3.1 II problema del dialogo interreligioso 260
3.2 La questione della tolleranza religiosa 265

4. Conclusioni relative al quarto capitolo 269

CAPITOLO V
CORRUZIONE DELLA RELIGIONE 271

1. La corruzione della razionalita e della nozione di verita 273


1.1 Una prima forma di "corru;ione " della razionalita: La rinuncia
aLia certezza della conoscenza della veritii 275
1.2 Una seconda forma di "corruzione " della razionalita: La rinuncia
ad alcuni principi indispensabili 280

2. La corruzione della autenticita della religione 285


2.1 La corruzione della Legge naturale 285
2.2 I vizi che si oppongono aLia religione 293

3. La corruzione della religione come conseguenza della degenerazione


della fede e della dottrina 305
3.1 La corruzione della religione come conseguenza dell'eresia 306
3.2 Magia e satanismo 310

4. Conclusioni relative al quinto capitolo 314

CONCLUSION! 317

1 . La caratterizzazione (o definizione) della religione 319


1.1 L'irriducibilitii della religione al "senso religioso " 319
1.2 La manifestazione esteriore della religione nel culto e La sua funzione
cognitiva e sociale 320
1.3 L 'aspetto morale e Legale della religione 322

2. La verita della religione e la legge naturale 323


352 ALBERTO STRUMlA

3. Religione, rivelazione, fede e salvezza 324


3.1 La problematica del "semina Verbi " 325
3.2 Fede, verita e salvezza 327

4. La degenerazione della religione 330


4.1 La corruzione della verita e della Legge naturale 330
4.2 I vizi contro La religione 330

BIBLIOGRAFIA 333
102 ALBERTO STRUMIA

11 testa prosegue, pen), precisando che:

Nelle religioni agisce lo stesso Spirito che guida la Chiesa; tuttavia la presenza uni­
versale dello Spirito non si puo equiparare alla sua presenza particolare nella Chiesa
di Cristo. Anche se non si puo escludere il valore salvifico delle religioni, non e detto
che in esse "tutto" sia salvifico: non si puo dimenticare la presenza dello spirito del
male, l'eredita del peccato, l'imperfezione della risposta umana all'azione di Dio, ecc.
(cfr. Dialogo e annuncio, nn. 30 e 31). Soltanto la Chiesa e il corpo di Cristo, e sol­
tanto in essa e data con tutta la sua intensita la presenza dello Spirito: percio non puo
essere affatto indifferente l'appartenenza alia Chiesa di Cristo e la piena partecipazio­
ne ai doni salvifici che si trovano soltanto in essa (Redemptoris missio, n. 55). Le re­
ligioni possono esercitare la funzione di "praeparatio evangelica", possono preparare
i popoli e le culture ad accogliere l'evento salvifico che e gia avvenuto; rna la loro fun­
zione non si puo paragonare a quella dell'Antico Testamento, che fu la preparazione
allo stesso evento di Cristo. [nn. 84-85]

Rimane, in tal modo identificato un problema aperto per Ia ricerca teologica: quel­
lo del valore salvifico delle religioni non cristiane come tali e della modalita in cui tale
dimensione salvifica si puo attuare, come un problema centrale della teologia delle re­
ligioni. Diverse indicazioni in tal sensa sono reperibili nella bibliografia riportata
lungo questa capitola. Nei capitoli successivi saranno ripresi molti dei temi emersi in
questa riepilogo della dottrina del Magistero sulla religione e sulle religioni, rna lo fa­
remo a partire dall'analisi dei testi di Tommaso d' Aquino sulla religione, che resta l'o­
biettivo del nostro lavoro. In particolare avremo modo di evidenziare come nella dot­
trina del Dottore Angelico siano presenti:
- i presupposti di carattere filosofico che si richiedono per elaborare una teologia,
e in particolare una teologia delle religioni, nella quale si offrano alcune risposte a
questioni filosofiche fondamentali come quella di una definizione di religione, dei
caratteri antropologici e culturali della religione e della verita di una religione, del
rapporto tra religione e credenza-fede (cfr. infra, cap. II);
- alcuni elementi utili ad inquadrare il problema della verita della religione e il
suo rapporto con Ia Iegge naturale; il problema dell'illuminazione in relazione ai
semina Verbi (cfr. infra, cap. III e IV);
- gli elementi irrinunciabili, cui fanno piu volte riferimento i documenti che ab­
biamo presentato in questa capitola: oltre all'affermazione dell'unicita della me­
diazione di Cristo salvatore e dell'unita dell'azione della Spirito Santo e di Cristo
redentore, Tommaso permette di chiarire meglio il ruolo della fede esplicita della
Chiesa, attraverso Ia quale e solo attraverso di essa, Ia fede implicita di tutti gli uo­
mini, anche non appartenenti visibilmente ad essa, rna seguaci di una religione non
cristiana, puo ottenere Ia salvezza (cfr. infra, cap. IV);
- molti elementi per un inquadramento e una comprensione dei fenomeni di cor­
ruzione della religione ai piu diversi livelli e dei fattori in gioco in ciascuno di essi
(cfr. infra, cap. V).
CAPITOLO II

LA NOZIONE DI RELIGIONE E IL SUO CONTESTO SEMANTICO

In questo secondo capitolo ci occuperemo principalmente di operare una ricognizio­


ne dei principali testi di san Tommaso sulla religione, nei quali il lemma «religio>> viene
utilizzato espressamente. Nei capitoli successivi entreremo, piu direttamente, nell'esa­
me della dottrina in essi contenuta - che, qui, per ora, ci limitiamo, prevalentemente, ad
enunciare - e prenderemo in considerazione anche altri testi di Tommaso, riguardanti
alcuni temi fondamentali collegati alla religione: a) quello della verita della religione al
quale dedicheremo i1 capitolo III, b) quelli della credenza, della fede, dell' ispirazione,
della rivelazione e della salvezza attraverso la religione, che esamineremo nel capito­
lo IV, c) quello della corruzione della religione al quale dedicheremo il capitolo V.
Premetteremo alla presentazione dei testi tomisti, un breve excursus storico sulla nozio­
ne di religione di cui Tommaso fu erede (§1) e una breve introduzione al problema del
rapporto che egli ebbe con le religioni storiche con cui venne a contatto (§2), che ne
faciliti la collocazione e la comprensione nel loro contesto.

1. La nozione di religione di cui fu "erede" san Tommaso: religio, pietas e devotio

11 concetto di religione non nasce, evidentemente, solo in epoca moderna con i1 dei­
smo, come frutto di un naturalismo che tende a rendere del tutto indipendente la reli­
gione naturale da quella rivelata, in una sorta di secolarizzazione ante litteram, alla
ricerca di un universalismo della ragione che sia capace di darsi un proprio culto pro­
fano, sganciato dalle chiese e dalle istituzioni confessionali.1 La sua storia ha delle
radici molto piu antiche ed a queste che Tommaso ha potuto attingere per trovare una
base di appoggio alla sua sintesi su questo argomento.
L' eredita storica di Tommaso e certamente di matrice occidentale, in quanto non
potevano essergli note molte informazioni provenienti dall'estremo Oriente, tuttavia
egli e stato in grado di cogliere degli elementi di innegabile universalita.2

1 Sui deismo e il prob lema del nat uralismo alia b ase del concett o modemo di religione si veda, ad esempio,

P. BY RNE, Natural Religion and the Nature of Religion. The Legacy of Deism, Rout ledge, London - New Y ork
19 89 .
2 «He was not aware of t he t rib al religions of Africa or of t he major religions of Asia. In t hat respect he is not

impoverished b y eight eent h- cent ury st andards. It can be shown t hat even t he most widely philosophers of religion
in t he t went iet h-cent ury focus on little else ot her t han t he West ern religion. It may also be argued t hat ant hropo­
logical st udies of primit ive religion add little to t he dat a relevant t o t he philosophy of religion>> (J.P. DOUGH ERTY ,
The Logic ofReligion, The Cat holic Universit y of America Press, Washington D.C. 2003, pp. 37-38).
104 ALBERTO STRUMIA

Nell'area occidentale, certamente il termine "religione", e ancor prima, il fenome­


no e il concetto di religione che e precedente alla nascita della parola stessa che lo
denota, connota una pratica rituale esteriore, una forma piu o meno evoluta di culto
diretto alla divinita, intesa monoteisticamente o meno: «gli antichi significati di "reli­
gione" pongono dunque l'accento non su una "esperienza" religiosa soggettiva o su un
"atteggiamento" religioso dell'uomo, [ . . . ] bensi sull'esecuzione esteriore di determi­
nate forme di comportamento, sull'osservanza di preghiere rituali e di precetti».3
Questa concezione e certamente presente anche nel mondo greco prima e in quello
romano poi. Nelle Leggi Platone non esita a proporre anche una legislazione riguar­
dante l' osservanza religiosa, che deve essere regolamentata dalle istituzioni dello
stato. Mentre Aristotele non affronta direttamente questo argomento, rimanendo piut­
tosto ancorato a temi propriamente filosofici e, anche se la sua metafisica sara assai
utile per la teologia di Tommaso e la teodicea apologetica in genere, egli non si occu­
pa di proporre regale rituali. Ma non sono mancati nell'antichita anche pensatori che,
portatori di una concezione che potrebbe sembrare addirittura moderna, come quella
di Epicuro, hanno considerato la religione come una patologia dell'anima, originata
dalla paura degli dei e dell'aldila.4
Ma bisogna arrivare all'epoca romana, al grande Marco Tullio Cicerone per avere
un affronto veramente consistente della religione. E questo non meraviglia, proprio
perche la grande tradizione del diritto romano offriva il contesto culturale piu natura­
le e solido per ospitare, sviluppare e far maturare una concezione della religione lega­
ta ad un insieme di norme che regolamentassero i riti e le funzioni di colora che ne
dovevano essere i responsabili. Cominciano a maturare due elementi legati alla reli­
gione. 11 primo e il suo "ruolo sociale", per cui non e pensabile che uno stato si regga
senza religione, con la quale si ottengono i favori degli dei per l'intera societa e per i
suoi singoli individui e si educano questi ultimi ad una moralita di comportamento nei
rapporti civili. (Nel libro III del De legibus tratta, in primo luogo, dei mezzi dei quali
uno stato deve dotarsi per conquistare il favore degli dei e, in secondo luogo, di come
uno stato che e sotto il favore divino dovrebbe vivere e funzionare) . 11 secondo ele­
mento emerge con il concetto di "rispetto", di "riverenza" verso la divinita, sia che
essa sia riconosciuta come trascendente l'uomo, sia che essa sia attribuita, pur in grado
minore, ad eroi del passato, o ai grandi uomini di stato. Non solo rna si incomincia a
parlare anche di una dimensione interiore che deve accompagnarsi alla religione: «Gli
dei devono essere accostati con rispetto, con purezza di cuore».5

3 W. PANNENB ERG , L 'elevazione religiosa dell'esistenza finita a Dio, in R. Ci PRIANI, G. MuRA (a cura di), II feno·
meno religioso oggi. Tradizione, mutamento, negazione, Urbaniana University Press, Citt a del Vat icano - Roma
2002, p. 29 .
4 Cfr. J.P. DOUGHERT Y, The Logic ofReligion, op. cit ., p. 18-20.
5 «The gods must be approached reverently, in purity of heart >> (ivi, p. 21).
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 105

Non si tratta ora solo di regale rituali o di atteggiamenti esterni di riverenza, come
inchini e prostrazioni rituali o simili, rna di un atteggiamento dell' animo. Questa
passaggio fondamentale, che nella concezione romana si ricollega al concetto di
devotio, 6 verra sviluppato in grande misura da Tommaso, fino a divenire quello prin­
cipale, pur senza perdere di vista la dimensione esteriore che rimane essenziale alla
religione.
Anche alla pietas Tommaso dedica molta attenzione, rna collocandola al di fuori
del trattato sulla religione, in quanta, mentre la religione ha come fine quello di ono­
rare Dio mediante un culto di /atria, che solo a Lui e dovuto, la pietas e piuttosto un
atto di riverente ossequio tributato agli uomini (genitori, parenti, benefattori) o alla
patria, che non puo avere carattere di adorazione, per non degenerare in idolatria. Con
una profondita davvero geniale, Tommaso si trova, pero, anche a raccordare la pietas
con la religio, la dove tratta della pieta non come semplice virtu morale, rna come
«dono dello Spirito Santo, che forma il coronamento divino della virtu di religio­
ne. [ . . . ] Questa muove a prestare il culto a Dio e l'obbedienza non piu come Creatore
e Signore dell'universo, rna come Padre nostro che e nei cieli».7 In questa modo, con
il dono della pieta, si onora non un genitore terreno, rna Dio stesso.8
Un altro aspetto fondamentale che si trova in Cicerone e che Tommaso ricolleghe­
ra alla questione della verita della religione, e il concetto di lex naturae, 9 che in que­
sta autore trova una sua prima formulazione compiuta e con 1' Aquinate diverra cen­
trale non solo in vista della religione, rna per tutta la morale e il diritto.

6 «La not ion de devotio, appart ient au langage religieux de I' Ant iquit e romaine. On lit chez Tit e-Live qu'un

general de Ia famille des Deces s'est " devoue" aux dieux infernaux pour assumer Ia vict oire de son armee.
Lorsqu'il analyse Ia not ion de devotio, Thomas commence par se referee a ce t ext e classique de l'hist orien>>
(G. BERCEVIUE, L 'acte de devotion chez saint Thomas d'Aquin, "La Maison-Dieu," 218 (1999), n. 2, pp. 39-40).
7 T.S. CENT I, Introduzione a! "Tratt ato sulla virt u di religione" in La Somma Teologica, vol. XVIII, Salani, Siena
196 7, p. 12. Anche presso gli antichi pensat ori pre-crist iani si t rova, in qualche caso, Ia nozione di Dio come padre,
a! quale ci si rivolge con un att eggiament o di rispettosa riverenz a assimilab ile alia pietas (cfr. , ad es. il celeb re in no
di Cleant e di Asso) che si ricollega alia religio. Si t ratt a, in quest o caso, di uno di quei semi del Verbo ai quali oggi
si pone part icolare attenzione.
8 Cfr. CG, L. III, c. 1 19, n. 8: <<Hinc et iam est quod religio et iam nomen accipit piet at is. Nam piet as est per quam
honorem deb it um parent ib us impendimus. Unde convenient er quod Deo, parent i omnium, honor exhib eat ur, pie­
t at is esse videt ur. Propt er quod, qui his quae ad Dei cult um pert inent adversant ur, impii dicunt ur»; I-ll, q. 68, a. 4,
ad 2"m : <<Sed nomen piet at is import at reverent iam quam habemus ad pat rem et ad pat riam. Et quia pat er omnium
Deus est , et iam cult us Dei piet as nominatur».
9 Cicerone sost iene <<l' esist enza della Iegge di nat ura, sempiterna, immut ab ile, a t utt i comune, come somma

ragione, immanent e (nata o innata vis), e che cosi descrive: " Quest a Iegge [nat urale] e una Iegge non scritt a rna
nat iva (non scripta, sed nata lex), non appresa [da maest ri], ne ricevut a [per t radizione], ne !ett a [su t est i scritti],
rna da noi sott ratt a alia nat ura st essa (a natura ipsa arripuimus), da essa att int a ed espressa [come spremut a fuori];
Iegge in cui siamo st at i non gia ammaest rat i, rna nat uralment e dispost i, ad essa non educat i, rna di essa impregna­
t i" [Cicerone, Pro Milone, 4,10]» (R.M. PIZZ ORNI , Dirillo, morale, religione. Il fondamento etico-religioso del
dirillo secondo San Tommaso d'Aquino, Urb aniana Universit y Press, Citt a del Vat icano - Roma 2001, p. 92).
106 ALBERTO STRUMlA

Ai fini del nostro discorso merita notare pure il fatto che in Cicerone si trova anche
l'utilizzo della nozione dei "semi" di una virtu che Tommaso, pur non citando a que­
sta proposito Cicerone, sembra in qualche modo avere ereditato da una tradizione cul­
turale, e che utilizza a proposito delle virtu morali presenti in forma incoativa. «Vi
sono quindi in noi come dei segni, "semi" (semina), primi elementi (prima elementa),
"germogli" (germina) o "scintille" (scintillae) o "piccole fiammelle" (parvuli granu­
li) delle virtu naturali, che come "luce naturale" (naturale lumen) illuminano il nostro
cammino morale».10 Avremo modo di riprendere questa tema nel capitola III.
Nei primi secoli cristiani si compie un vero salta qualitativo nel modo di concepire
la religione, non solo da un punta di vista teologico, rna anche da quello filosofico. La
nozione di religione passa decisamente, dal livello esteriore di insieme di regale ritua­
li all' ambito della conoscenza di Dio. Sinteticamente potremmo dire che la nozione di
religione, nata presso i greci per indicare un insieme di regale di culto, evolutasi nel
mondo romano, con Cicerone, fino ad includere l' atto interiore della devozione, sea­
pre di doversi addentrare nella sfera della conoscenza. Valutando questa passaggio con
il senna di poi, cioe secondo una prospettiva tomistica, si puo comprendere la neces­
sita di un simile passaggio: non si puo, infatti onorare e amare se non colui che si inco­
mincia a conoscere, almena mediante similitudini e analogie. L' atto interiore della
devozione, che decide dell'autenticita della religione nel soggetto che compie gli atti
esteriori, presuppone una qualche forma di conoscenza di Dio. E come osserva
Pannenberg: «L'inclusione della conoscenza di Dio o degli dei nel concetto della reli­
gione stessa rimanda ad Agostino. Egli, nella sua opera, De vera religione, del 390
circa, ha messo in evidenza che nella religione la conoscenza e la venerazione di Dio
non possono essere divise» .1 1
Da un punta di vista antropologico e cognitivo potremmo dire che la religione passa
dal livello esteriore dei sensi (livello delle regale rituali), prima a quello interiore della
volonta e degli affetti (livello dell'atto della devozione), poi a quello interiore dell'in­
telletto (livello della conoscenza di Dio). Come ha annotato opportunamente ancora
Pannenbeg: «questa inclusione della conoscenza di Dio [ . . . ] nel concetto di religio­
ne [ . . . ] offriva anche la tesi dell' affinita tra religione e filosofia» .12 Agostino arrivera
addirittura a dire, forzando un po' i concetti: «che la filosofia, cioe l'amore della
sapienza, e la religione sono la stessa cosa».13

0
1 !vi, pp. 9 2-9 3. Nella nota 3 a pie di pagina Pizzomi riporta un testo originale di Cicerone: <<Est enim natura
sic generata vis hominis, ut ad omnem virtutem percipiendam facta videatur, ob eamque causam parvi virtutum
simulacris, quarum in se habent semina, sine doctrina moventur; sunt enim prima elementa naturae, quibus auctis
virtutis quasi germen efficitur>> (Ci CERO NE, De finibus bonorum et malorum, V, 15, 43). Corsivi nostri.
11 W. PANNENB ERG , L 'elevazione religiosa... , op. cit., p. 30 .

. 12 Ibidem.

13 <<Non aliam esse philosophiam, id est sapientiae studium, et aliam religionem>> (De vera religione, V, 8). In
realta Ia filosofia non conosce da sola Ia preghiera e il culto rituale, per cui non possono essere identificate, pur
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 107

Questa area, in qualche modo comune, che e quella della conoscenza di Dio, che
vede legate religione e filosofia, ci sembra particolarmente importante, sia dal punto
di vista storico che epistemologico, in ordine alla dottrina dei semina Verbi. Infatti
questi ultimi riguardano propriamente la conoscenza delle verita su Dio e sull'uomo,
e non i rituali. Si comprende allora come i Padri della Chiesa che hanno impiegato
questa dizione, l'abbiano usata in riferimento alla filosofia piu che alla religione, e nel
contempo, dato questa legame stretto tra religione e filosofia, per quanta riguarda la
conoscenza, si puo comprendere anche come il Magistero recente abbia potuto appli­
care questa dizione anche all'ambito delle religioni autentiche, esportandolo, in certo
modo, dal suo terreno originario che, storicamente, lo vedeva legato prioritariamente
alla filosofia piuttosto che alla religione. Ma se religione e filosofia, come sostiene
Agostino, vivono in uno stretto legame, questa trasposizione appare fondata.

2. San Tommaso di fronte aile religioni a lui contemporanee

Esaminando i testi nei quali san Tommaso d'Aquino (1224/5-1274) considera la


religione, a cominciare dal trattato De religione nella Secunda secundae14 (1271-
1272) della Summa Theologiae (qq. 80-100), il lettore odierno puo rimanere, almena
in un prima momenta, meravigliato per il fatto di trovare ben pochi riferimenti alle
religioni storiche, in rapporto all'ampia trattazione che viene, invece, dedicata alla
religione in generale: un chiaro indizio del fatto che per san Tommaso non si danno
solo "le religioni", rna si puo e si deve parlare, innanzitutto, di "religione" nella sua
caratterizzazione universale. Eppure Tommaso non si trovo certo a vivere in un'epo­
ca della storia d'Europa che non ebbe problemi di convivenza tra culture e religioni
diverse: cristiani, ebrei e musulmani, pagani, e molteplici forme di degenerazione
della religione. 15

avendo in comune Ia conoscenza di Dio, Ia prima mediante Ia ragione, Ia seconda mediante una qualche forma di
fede. Ma qui Agostino e preoccupato di chiarire il fatto che, nella Chiesa, sono i contenuti dottrinali nei quali si
crede a decidere anche sull'ammissione a partecipare ai Sacramenti, cardine del culto cristiano («quorum doctri­
nam non approbamus, nee Sacramenta nobiscum communicant», ibidem).
14 Merita sottolineare, con Weisheipl che <<Per quanto Ia Summa Theologiae fosse stata intrapresa "per i princi­

pianti in teologia" (Pro!.), solo Ia prima pars sembra corrispondere a tale intento; il resto rivela un Tommaso nel
pieno delle sue capacita, alia ricerca di soluzioni per vecchi e nuovi problemi, forte del meglio che Ia sua epoca
gli poteva offrire» (J .A. WEISHEIPL , Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, J aca Book, Milano 199 4, p . 361).
E il trattato De religione rappresenta di certo uno degli esempi piu significativi di questa maturita, capace di rac­
cogliere gli elementi piu antichi e universali della nozione stessa di religione e di leggerli, con gli strumenti della
ragione e in ordine alia fede.
15 Per approfondimenti sui rapporto tra gli ebrei e Tommaso si veda il bell'articolo di A. BROADIE, Medieval
Jewry Through the Eyes of Aquinas, in G. Verbeke and D. Verhelst (edd.), Aquinas and Problems ofHis Time,
Le uven University Press - Martinus Nijhoff, The Hague, Louvain 197 6, pp. 57 -68. Per una collocazione di
Tommaso nel quadro della polemica islamico-cristiana e particolarmente utile Ia panoramica storico- cronologica
sintetica presentata da Van Riel (cfr. S. VAN RI ET , La "Somme contre le Gentils" et la polemique islamo-chrt?tien­
ne, in G. Verbeke and D. Verhelst (edd.), Aquinas and Problel/IS ofHis Time, Leuven University Press - Martin us
108 ALBERTO STRUMIA

Lo stesso sant' Alberto Magno (1200-1280), che fu il suo grande e amato maestro,
«ricevette da Urbano IV l'ordine di predicare la settima crociata in tutta la Germania
e la Boemia (1263-64). Solo nel 1269 egli fu libero di tornare a insegnare e continua­
re a scrivere a Colonia».16
Cia che risulta evidente e che Tommaso - come del resto prima di lui gia Alberto,
del quale Tommaso sembra aver seguito in questo il metodo e l'atteggiamento -
conobbe molto bene la filosofia dei grandi autori ebrei come Mose Maimonide e arabi
come Averroe, Avicenna e diversi altri,17 che vengono citati frequentemente in tutte le
sue opere. Ma il terreno di confronto con costoro fu sempre e solo quello filosofico e
non quello esplicitamente teologico-religioso: dunque un incontro di filosofie, di inter­
pretazioni aristoteliche, rna non di culture, di religioni.18 11 terreno comune per il dia­
logo, il contraddittorio e la confutazione, era Aristotele, cioe la ragione, la filosofia che
offriva un "linguaggio" che i dialoganti riconoscevano tutti e sapevano usare. Questi
uomini erano valutati per la loro filosofia e non per la loro religione: se su questa si
poteva discutere si poteva farlo al livello della razionalita dei suoi presupposti, dei suoi
fondamenti filosofici. E con gli ebrei ci si poteva servire anche dell' Antico
Testamento.
Sara il metodo che Tommaso sviluppera, in modo particolare, nella Summa contra
gentiles (1259- 1264), la sua opera di teologia fondamentale, come oggi potremmo
chiamarla, nella quale si preoccupera bene di mettere in evidenza quali contenuti deb­
bano essere ritenuti di fede e quali siano attingibili con la sola ragione, in maniera, da
aiutare i suoi lettori cristiani a gestire un dialogo con i non cristiani nella maniera cor­
retta e non rischiare errori metodologici nel contraddittorio.19

Nijhoff, The Hague, Louvain 1976, pp. 150-160). Per una comprensione corretta dei criteri con i quali Tommaso
valuto J'lslam rinviamo all'articolo di E. PIAT I I , ll contesto teologico dell'apprezzameflto dell'Islam di
S. Tommaso, in D. LoRENZ, S. SERAFINI (eds.), /stituto San Tommaso. Studi 1995, Roma 1995, pp. 294-307. Ai riti
pagani aile varie forme di superstizione e magia Tommaso dedico, al contrario, una maggiore attenzione collo­
candole nella parte del trattato che riguarda i vizi contro Ia religione e I a sua degradazione ( v. capitolo V). Un feno­
meno che al tempo doveva presentare un notevole rilievo anche presso Ia popolazione cristiana.
16 Cfr. J.A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino. . . , op. cit., p. 53.

17 Per uno studio dettagliato del rapporto tra Tommaso e Mose Maimonide rimandiamo ad es. ad A. WOHLMAN,
Thomas d'Aquin et Maim " onide. Un dialogue exemplaire, Cerf, Paris 1988. Per quanto riguarda Ia conoscenza della
filosofia del mondo arabo-islamico, come osserva L. Garde!: <<Saint Thomas fuit un grand Jecteur d' Avicenne et
d'Averroes; secondairement du Gazzali (Algazel) des Maqasid, et de quelques autres "philosophes arabes",
comme est coutumme de Jes appeler. [ . . . ] Nous assistons ainsi a I a rencontre fructuose de tout une Jigne de pen­
see arabo-musulmane et des elaborations latino-chretiennes de l 'epoque>> ( L. GARDET, La conaissance que Thomas
d'Aquin put avoir du monde islamique, in G. Verbeke and D. Verhelst (edd.), Aquinas and Problems ofHis Time,
Leuven University Press - Martinus Nijhoff, The Hague, Louvai n 1976, p. 139).
18
Come ha a proposito rilevato Garde!: <<ie dialogue engage par saint Thomas le fut avec des philosophes de
haute classe qui se trouvaient etre des philosophes musulmans; ce ne fut point, a vrai dire, un dialogue de culture
a culture>> (ivi, p. 141).
19
<<Secondo Ia Cronaca di Pietro Marsilio, completata nel 13 1 3 , S. Raimondo di Peii afort, un tempo maestro
generale dell'ordine domenicano (123 8-40) , aveva chiesto a Tommaso d' Aquino di "scrivere un'opera contro gli
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 109

Ma, al di Ut del confronto con i grandi, Tommaso, anche ad un livello che oggi chia­
meremmo "pastorale", quello utile ai non addetti agli studi speculativi, non sembra
troppo preoccupato di spendersi nelle polemiche, quanta di garantire ai suoi lettori cri­
stiani i fondamenti delle verita di ragione, come di quelle di fede e di mostrare ai non
cristiani, in prima luogo la "perfetta razionalita" (a cominciare dalla non contradditto­
rieta) dei contenuti della fede cristiana e, in secondo luogo gli elementi di "non razio­
nalita" e di "non credibilita" che fossero presenti in altre religionF0 oltre a quelli, posi­
tivi e valorizzabili. In ogni caso, in Tommaso, non sono del tutto assenti valutazioni
dirette dell' Islam, o indizi motivati di tolleranza nei confronti dei riti ebraici praticati

errori degli infedeli" per i rnissionari dornenicani che predicavano contro i rnusulrnani, gli ebrei e i cristiani ereti­
ci di Spagna (Aragona) e Nordafrica. II risultato fu Ia Summa in quattro libri che si ritiene non abbia uguali nel
suo campo» (J.A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino... , op. cit., p. 359; si tratta evidenternente della Summa contra
gentiles). Contro questa tesi, ripresa da M. Boyges, che e stata a lungo tempo Ia piu accreditata, R.-A. Gauthier,
nella prima delle sue due introduzioni alia Somma contro i gentili, rnostra come essa sia, al contrario, una vera e
propria opera di teologia fondarnentale (contrariarnente a quanto si era ritenuto fino a que! rnornento), scritta per
i teologi delle universita, nella quale si espongono, da un Jato gli argornenti di ragione e quelli che sono stretta­
rnente di fede, e si distinguono le verita cornuni all'Ebraisrno, ali' Islam e al Cristianesirno da quelle proprie del
solo Cristianesirno: <<La Somme contre les Gentils n'est pas un ouvrage rnissionnaire destine aux Juifs et aux
Maures d'Espagne ou d'ailleurs, c'est un traite de theologie destines aux rnai tres en theologie des Universites
d'Occident. Saint Thomas a dit, en termes expres, que s'il distinguait dans son a: uvre deux parties, c'etait parce
qu'il entendait trailer dans I a premiere des verites de foi accessibles a I a raison et dans I a seconde des verites de
foi inaccessibles a Ia raison: i1 y a d'autant rnoins de raison de douter de sa parole qu'il a Ires bien su, quand il l' a
voulu, distinguer les verites communes au Judal sme, a l'Islamisrne et au Christianisrne et les verites propres au
Christianisrne>>. Ad esernpio, infatti <<ie livre IV de Ia Somme contre les Gemils, [ . . . ] traite precisernent d' une des
verites communes au Judai srne, ii l'Islarnisrne et au Christianisrne: Ia resurrection des corps>> (R.-A. GAUTHIER,
Introduction historique, Saint Thomas d' Aquin, Contra Gentiles, Livre premier, P. Lethielleux, Paris 1961,
pp. 100). In una piu recente edizione della Summa contra gelltiles, nell' Appendice all'introduzione, lo stesso
Gauthier parlera di una vera e propria <<iegende qui fait de I a Somme contre le Gentiles un a: uvre "rnissionaire ">>
(R.-A. GAUTHIER, Somme Colltre le Gelllils. IIItroduction, Editions Universitaires, Carnpin, Belgique 1993, p.165).
L'opera citata di Weisheipl, Ia cui edizione originale inglese appare dopo Ia prima introduzione di Gauthier
(J.A. WEISHEIPL, Friar Thomas d'Aquino: His Life, Thought and Work, Doubleday & Co, New Y ork 1974 e 1983)
non sernbra volere entrare nella polemica e si attiene alia tesi "tradizionale" dell'intento rnissionario della Summa
contra gentiles, pur citando I a stessa introduzione di Guthier, rna solo in rnerito al problema della datazione dello
scritto di Tornrnaso (p. 359). Torrell ripercorre i diversi passaggi della polernica finendo per concordare con I a tesi
piu rnoderata, espressa nella piu recente introduzione dello stesso Gauthier: <<La Somme contre le Gentiles a une
"ambition internporelle", cela signifie qu"'elle croit pouvoir etre utile a tout les temps" et pas seulernent au sien.
Son intention n'est pas elle d'un "apostolat immediat et limite, rnais une intention de sagesse ii portee apostoli­
que universelle". On peut etre d'accord avec cette demiere formulation, qui est certainernent plus proche de Ia
rnaniere habituelle de Thomas>> (J:P: TORRELL, Initiation ii Saillt Thomas d'Aquin, Cerf, Paris, Fribourg 1993,
pp. 156).
20 E questi ultirni ernergeranno soprattutto nei giudizi suli'Islam : Ia credibilita di Maornetto come "profeta",

come egli si proclarna, e per Tomrnaso del tutto insostenibile, come vedremo direttarnente su alcuni testi nel capi­
tolo IV. Corne ha rilevato S. Van Riet, Tornrnaso ricalca su questo punto gli argornenti tratti dali'Apologia dello
Pseudo-K indi, autore arabo cristiano, tradotto in I atino e quindi a lui accessibile: <<Le prophete de ! 'Islam aurait
du prouver sa mission par des miracles (signa) et sa venue aurait du etre annoncee par les oracles des prophetes
qui l'ont precede (oracula). Or, dans le cas de Mahomet, il n'y a pas de faits rniraculeux qui ternoingnent vala­
blernent de sa qualite de prophete. Aucune oeuvre visible, en ce qui le conceme, n'a prouve, dit Saint Thomas,
qui'! est "docteur de verite invisiblernent insipire" (doctorem veritatis invisibiliter inspiratum). II n'a pas foumi
des preuves sumaturelles (signa etiam non adhibuit supernaturaliter facta), les seules ii ternoigner cornrne il con-
1 10 ALBERTO STRUMIA

in territorio cristiano,Z1 rna queste non sembrano costituire la sua prima preoccupazio­
ne che dovette essere, piuttosto, quella di dare delle basi razionalmente solide alla teo­
logia cristiana.
Nel trattare il problema della religione Tommaso ricerca prima di tutto le basi razio­
nali della nozione di religione in una prospettiva universale che e ben anteriore al cri­
stianesimo stesso, dal momenta che ha, piuttosto, la funzione di prepararne la strada
nel corso dei tempi.
La sua fonte prima piu autorevole e, non a caso, Cicerone, che, essendo un giurista
oltre che un filosofo, ha una visione della religione che risponde a una definizione uni­
versale (a differenza di quella che potrebbe avere un singolo fondatore non cristiano)
e apre la strada al legame tra religione e "legge naturale", la conformita alla quale ci
sembra sia utile a stabilire il criteria primario di autenticita della religione.
L'inquadramento della religione che Tommaso propane, la colloca tra le virtu, come
parte potenziale della giustizia, che rappresenta, quindi, la virtu cardinale di riferi­
mento per la religione. E naturale, pertanto, un rapporto significativo della religione con
la legge, e quindi anche con il diritto. 11 fatto che il trattato sulla religione (in quanta

vient (testimonium conveniens), en faveur de !'inspiration dvine>> (S. VAN RIET, La "Somme colltre le Gentils"... ,
op. cit., p. 155). Questa critica, tuttavia, si limita a! problema dell'autenticita del fondatore come profeta e non
entra nel merito delle singole tesi che quella religione propone da credere, perche lo stesso Tommaso, molto rigo­
rosamente, ammette di non essere in possesso di molte fonti in lingua latina che gli consentano di conoscerle con
precisione e controbatterle: <<Saint Thomas, au debout de I a Somme colltre le Gentiles, souligne I a difficulte qu'il
y a a refuter un a une les fausses doctrines, parce que, dit-il les affirmations sacrileges de chacun de ceux qui son
tombes dans I' erreur ne lui sont pas assez connues (non ita nobis nota sullt) pour y trouver des arguments qui les
confondent. Dans cette affirmation !'Islam est ind us» (ivi, p. 153). II riferimento a! passo di Tommaso e citato
nella nota 1 1 di questo articolo, e il passo e il seguente: <<Contra singulorum autem errores difficile est procedere,
propter duo. Primo, quia non ita sunt nobis nota singulorum errantium dicta sacrilega ut ex his quae dicunt possi­
mus rationes assumere ad eorum errores destruendos» (CG, L. I, c. 2, n. 3). Tommaso, infatti poteva disporre solo
di poche fonti tradotte dall'arabo in Iatino: <<Ces trois auteurs sont Jen Damascene, l'historien Tbeophane et le
pseudo-K indi» (ivi, p. 152). Tommaso, dunque, si rende conto che questo tipo di critica appare incompleta, rna non
gli e possibile fare di piu per mancanza di documenti originali, e questo attesta una volta di piu il rigore scientifi­
co del suo modo di procedere. Di conseguenza, come osserva E. Platti, gli <<argomenti di S. Tommaso, chiaramente
ispirati a quelli della Risala di al-K indi, procedono tutti [ . . . ] dai criteri cristiani e non hanno mai veramente toc­
cato i musulmani, ne l'eventuale verita dell'Islam» ( E. PLATII, II contesto teologico... , op. cit., p. 305); essi sareb­
bero piu degli argomenti <<intemi» alia prospettiva cristiana, che non argomenti di ragione sui contenuto e I a
coerenza della dottrina. <<Mentre altre discussioni del Dottore Angelico si situano piuttosto a! citato livello della
Saggezza e delle discussioni con i Falasifa, ai quali appartengono certamente Avicenna e Averroe» (ivi, pp. 3 03 -
3 04). Tommaso stesso si e trovato neU e condizioni d i non potere utilizzare il metodo del contraddittorio con i non
cristiani, e in particolare con i musulmani, che indica in CG, L. 1, c. 2, n. 4.
21
Cfr. di A. BROAD IE, Medieval Jewry. . , op. cit., pp. 66-67. L'argomento si ricollega con quello che oggi viene
.

chiamato il problema della "liberi a religiosa". E il caso di segnalare come Tommaso, oltre a dimostrare un note­
vole tolleranza verso i riti ebraici, sia per motivazioni strettamente teologiche che pastorali, si dichiara assoluta­
mente contrario a qualunque forma di costrizione a passare dal giudaismo al cristianesimo, all'amministrazione
del Battesimo ai bambini degli ebrei contro I a volonta dei genitori: <<Aquinas' refusal to tolerate either forcible con­
version of Jews or the baptism of Jewish infants against parents' will receives, though indirectly, further expres­
sion in his explicit willingness to tolerate the rites of the Jews» (ivi, p. 66).
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 111

virtu) sia posto nell' ambito della morale, non deve far pensare, tuttavia, che Tommaso
non ne colga gli aspetti antropologici (non si puo mai dimenticare che i fondamenti
della morale per lui sono sempre l 'antropologia e la metafisica), le sfumature psicolo­
gico-esperienziali (tipiche del sensa religioso come modernamente lo ha inteso anche
la filosofia delle religioni), gli aspetti culturali legati alla manifestazione esterna cul­
tuale e pubblica della religione, cosi come, complementarmente, la dimensione piu
propriamente spirituale (basti pensare all'attenzione che Tommaso dedica alle dimen­
sioni della "pieta" e della "devozione"22). In prospettiva cristiana, poi, la religione e
perfezionata dalla virtu teologale della carita, al punta tale che egli si chiede in che
cosa essa se ne debba distinguere e se non debba essa stessa essere considerata una
virtu teologale.23
Come ha ben documentato M.-Bernard Mailhiot, nel trattato di Tommaso sulla reli­
gione si ritrovano, con una corrispondenza pressocbe diretta/4 gli elementi che la
moderna fenomenologia e filosofia della religione hanna riscontrato, analizzando il
fenomeno della religiosita come esso storicamente si e venuto a presentare nel corso

22
Cfr. ad esempio 11·11, q. 101 dedicata alia pietas e 11-ll, q. 82 dedicata alia devotio. Come ha osservato
G. Berceville, il trattato sulla devozione di san Tommaso non ha avuto, pero, particolare influenza sulla mistica
fino a! secolo XVI (possiamo pensare forse per Ia grande influenza del neoplatonismo sui mistici), neppure nel­
l'ambiente domenicano: «La notion thomasienne de devotion a eu une grande influence sur les theologiens et les
moralistes, mais pas sure les spirituels. [ . . . ] Catherine de Sienne [ . . . ] ne manque pas de celebrer son frere de reli­
gion, le "glorieux Thomas", mais l'enseignement de ce dernier ne parait pas ete une des composantes de sa for­
mation spirituelle. [ . . . ] A partir du XVI' siecle [ . . . ] !'ouvre du dominicain Louis de Granade (1504- 1588) a joue
ici un role sans doute decisif. [ . . . ] Et en grand partie sans doute grace a lui, Ia reflexion sur Ia devotion que nos
avons trouvee dans Ia Somme de theologie impregne desormais l'enseignement communement repandu e bient6t
classique des maitres spirituels» (G. BERCEVIILE, L'acte de devotion .. , op. cit., pp. 47-51).
.

23 Si tratta di un interrogativo che ha aperto un dibattito teologico che e rimasto presente nel corso dei secoli e
ha trovato sostenitori di tesi contrapposte anche nel secolo scorso. Per alcuni autori, infatti, Ia religione dovreb­
be essere essa stessa considerata una virtu teologale a! pari della carita. Secondo Mongillo, che sostiene Ia posi­
zione di Tommaso, a favore del carattere non teologale della religione (in quanto non ha Dio come proprio ogget­
to, rna come destinatario del culto), basandosi su argomentazioni rigorosamente metafisiche, inerenti il carattere
analogico della causalita divina, «alcuni teologi [ . . . ] non tollerano"la riduzione della religione nell'ambito della
virtu della giustizia e difendono il suo preteso carattere di virtu teologale. [ . . . ] Credo che l'equivoco latente in
queste considerazioni dipenda dall'aver posto sullo stesso piano i rapporti tra Dio e l'uomo e quelli inversi tra
l'uomo e Dio. Essi sono invece del tutto diversi. II rapporto tra Ia causa e l'effetto non si identifica con quello che
sussiste tra l'effetto e Ia causa. La causa e partecipata all'effetto, rna nello stesso tempo lo trascende, essa non
dipende dall'effetto, mentre questo dipende radicalmente da essa. [ . . . ] E ben differente l'unione amicale e quel­
la reverenziale con Dio; nell'una l'unione e oggetto specificante !'alto, nell'altra il fine a cui si tende per mezzo
del culto; Ia carita effettua direttamente l'unione, Ia religione vi tende mediante Ia riverenza e Ia sottomissione,
le realta mediante le quali essa onora Dio, ordina l'uomo a lui» (cfr. D. MONGILLO, La virtu di religione secondo
S. Tommaso, Pontificium Athenaeum Angelicum, Romae 1962, pp. 59-62).
24 L'autore del saggio stabilisce addirittura una corrispondenza puntuale, una serie di somiglianze (<<Similari­
ties>>) tra Ia terrninologia di R. Otto e quella di Tommaso: «One who reads St. Thomas' considerations on the sub­
ject of religion after having analyzed the study of Mr. Rudolph Otto is truly surprised to find a similarity in ter­
minology between these two authors. The terminological similarity is so striking that at first sight one would be
tempted to establish relations between the two doctrines and conclude that they are perfectly in conformity. But
112 ALBERTO STRUMlA

dei tempi. Se questo colpisce inizialmente, e subito evidente che, nella trattazione di
Tommaso si trovano anche tutti quegli elementi fondanti e, quindi ben piu profondi dal
punto di vista antropologico e metafisico, che l'analisi fenomenologica non e in grado
di cogliere per i suoi stessi limiti metodologici.
Cio che la fenomenologia ha potuto rilevare, forse inevitabilmente, in misura solo
riduttiva, Tommaso ha potuto cogliere in profondita. Come anche J.P. Dougherty ha
ben puntualizzato i1 punto discriminante sta nel fatto che la religione non e riducibile
a un "sentimento", pur essendo anche accompagnata da questo: essa, per dirla con i1
linguaggio tomista, e un actus humanus e non un semplice actus hominis, coinvolge
tutto l'uomo e, dunque, anche i1 livello intellettuale, implicando, pertanto, un certo
esercizio della razionalita e non solo il livello sensitivo ed emotivo: «Si tratta di una
questione chiave per questo tipo di indagine, e cioe se la religione si fonda nell'uomo
su una spinta irrazionale o se e i1 suo equipaggiamento intellettuale a condurlo a rico­
noscere una dipendenza fondamentale da un essere trascendente. [ . . . ] Coloro che
negano alla religione un fondamento razionale, pur riconoscendone i1 carattere natu­
rale, ne collocano l 'origine al livello emozionale dell'uomo. Come si puo ben com­
prendere le emozioni hanno ovviamente la loro importanza; rna sono una conseguen­
za della percezione o si destano da sole? Si capisce, allora come una teoria della reli­
gione viene a dipendere anche dalla teoria della conoscenza, dell'immaginazione e
dell' emozione».25
Con una formula sintetica e chiara possiamo dire con F. Fiorentino che «per
S. Tommaso dire che la religione risiede essenzialmente nel sentimento e lo stesso che
privare l'atto di religione dei costitutivi formali dell'atto umano: l 'intelletto e la volon­
ta».26 Certamente al tempo di Tommaso i1 problema non si poneva in questi termini,
dettati dal percorso moderno del pensiero filosofico e teologico, per cui queste rifles­
sioni non vanno intese in ordine ad un'esegesi dei testi tomisti in quanto collocati nel
loro contesto storico e culturale, quanto piuttosto in vista di un nostro utilizzo odierno
dei principi filosofico-teologici che da essi possiamo trarre.

we must consider the matter more closely» (cfr. M.-B. MAILHIOT, The Place of Religious Selltiment in Saint
Thomas Aquinas, "The Thomist", 9 (1946), pp. 31-36). L'autore evidenzia, pero, bene anche le differenze di pro­
spettiva, di metodo e di profondita filosofica (ivi, pp. 36 e sgg.).
25 <<This is a key question for exploration, i.e., whether religion stems from non-rational forces in man or whe­

ther man's intellectual equipment leads him to acknowledge a fundamental dependence on a transcendent
being. [ . . . ] Those who deny a rational ground while still acknowledging the naturalness of religion, place the ori­
gins of religion in man's emotional makeup. How one understands the emotions is of obvious importance. Do the
emotions follow perception, or are they initiative of themselves? One's theory of religion is in some sense con­
tingent upon one's theory of knowledge, imagination and emotion>>, (J.P. DouGHERTY, The Logic of Religion, op.
cit., pp. 12-13).
26 F. FIORENTINO, Filosofia e religione in s. Tommaso e Kant, Editrice Domenicana Italiana, Napoli-Bari 1997,
p. 198.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 113

3. L a religione in genere nei testi d i san Tommaso

In questa sezione del capitolo presenteremo, come preannunciato, una rassegna di


testi di san Tommaso che affrontano il tema della religione nella sua generalita (reli­
gio in genere). Questa, come si e detto, viene esaminata da Tommaso dal punto di vista
"filosofico-antropologico" ed "epistemologico",27 piuttosto che da un punto di vista
storico, come accade nella prospettiva moderna, o da un punto di vista primariamente
e specificamente teologico. L'aspetto propriamente teologico sara, invece, maggior­
mente rilevante dal punto di vista della religione in specie, ove si tratta espressamen­
te della christiana religio. Dobbiamo rilevare che non mancano anche importanti con­
siderazioni delle implicanze culturali, specialmente nei passi dove egli si preoccupa di
chiarire la necessita, intrinseca al concetto di religione, di "segni esteriori" di culto, di
elementi "visibili" per manifestarla, data la struttura antropologica dell'uomo che
conosce e si esprime mediante i sensi di cui e dotato il suo corpo.28
Come vedremo, oltre al trattato completo della virtu di religione nella Secunda
secundae della Summa theologiae, si trovano numerosi passi paralleli, anche in altre
opere, tra le quali, principalmente lo Scriptum super libros Sententiarum (1252-1256),
cioe il commento alle Sentenze di Pietro Lombardo (soprattutto nel terzo libro). Si trat­
ta di un'opera giovanile di Tommaso che risponde alla regola del tempo che impone­
va, praticamente ad ogni nuovo baccalaureus, di commentare il Lombardo, come una
sorta di tirocinio ritenuto indispensabile, dopo essersi esercitato nel commentare, come
cursor biblicus, la Sacra Scrittura. Successivamente a questi due gradi si poteva acce­
dere al grado superiore, paragonabile, in certo modo, al nostro dottorato in teologia.
Per inserirla in un trattato completo e correttamente collocato nell'insieme del suo
impianto teologico-filosofico, che segue lo schema originale dell' exitus-reditus, egli
inquadra la religione nella "morale", come una "virtu", che e una parte "potenziale"
della "virtu cardinale" della giustizia. Nella Summa Theologiae, esso viene percio
posto nella Secunda secunade, dalla questione 81 alla questione 100.
Tommaso pone la "religione" tra le parti potenziali della "giustizia": «Tullio, nella
Retorica, pone la religione come una "specie" della giustizia».29 E ancora: «Percio le
questioni della morale sono determinabili mediante la legge, in tanto in quanto riguar­
dano la giustizia, una parte della quale e data dalla religione, come dice Tullio».30 E

27 La verita e inseparabile, per Tommaso, dalla morale e dalla religione: <ifalsitas contra divinam veritatem desi­
gnatur, quae religioni co/llraria est>> (CG, L. 1, c. 1, n. 7).
28 In prospettiva teologica, nella religione cristiana, questi segni avranno Ia !oro realizzazione culminante nei
sacramenti.
29 <<Tullius in rhetorica, ponit religionem speciem justitiae>> (III Sent, d. 9, q. 1, a. 1, sc. 1). Cfr. anche
sant' Agostino, De civitate Dei, XIX, 21.
30 «Et ideo moralia intantum sunt lege determinabilia, inquantum pertinent ad iustitiam, cuius etiam quaedam
pars est religio, ut Tullius dicit>> (I-II, q. 99, a. 5, ad 1"m).
1 14 ALBERTO STRUMiA

questa modo di inquadrare 1' oggetto gia permette di intuire che la religione, nella con­
cezione di Tommaso, non si riconduce al solo fattore psicologico del sentimento, pur
connotato con la qualifica di "religioso", rna riguarda le relazioni con altro da se, per­
che le relazioni con gli altri e le regale che devono governarle, sono oggetto proprio
della giustizia; inoltre si comprende come la religione non potra essere estranea a qual­
che forma di Iegge, in quanta la giustizia e regolata da leggi; e ancora che la religione
non potra essere concepita solamente come un fatto privata e intima di colui che la
pratica, in quanta la giustizia si accompagna, di regola, anche con atti esteriori che la
rendono manifesta e concreta, svelando le intenzioni e gli atteggiamenti interiori.
Secondo il metoda aristotelico-tomista, per pater trattare di un certo "soggetto"
(subiectum), che nel nostro caso e la religio, occorre domandarsi, prima di tutto, se esi­
sta (an sit) almena, e prima di tutto, da un punta logico. Da un punta vista logico-for­
male occorre chiedersi se la sua stessa nozione non sia contraddittoria in se stessa e
con i principi presupposti, e dal punta di vista dei contenuti se le deduzioni e le defi­
nizioni su cui si fondano siano coerenti con l'esperienza e con la dottrina in questio­
ne. Ci si rende subito canto di come l 'analisi che viene condotta dall' Aquinate sia
rigorosamente scientifica e non puramente descrittiva.
San Tommaso parte, preliminarmente, da molto lantana, ponendosi, a monte, addi­
rittura l'interrogativo se sia corretto suddividere la giustizia in diverse "parti", e
rispondendo affermativamente distingue i diversi tipi di parti nelle le quali debba esse­
re suddivisa.3' La suddivisione adottata rispecchia lo schema consueto che distingue le
"parti" di un "tutto" in parti soggettive, (subiectivae), integralP2 (integrates) e poten­
ziali (potentiates). Questa premessa gli servira anche per collocare la religione.
Trattandosi di un "soggetto" non corporeo, rna di una nozione che caratterizza un
"atto umano" (atto volontario) le dizioni «integrates» e «potentiates» vengono prese,
necessariamente, in sensa analogico e quindi precedute da un «quasi>>.33 Occorrera,
dunque, trattare «in prima luogo delle parti "soggettive", che sono le specie della giu­
stizia, cioe la giustizia "distributiva" e la giustizia "commutativa" in secondo luogo
delle parti "quasi integrali" e, in terzo luogo, delle parti "quasi potenziali", cioe delle
virtu ad essa connesse».34 Tommaso procede chiedendosi se vi siano parti potenziali
della giustizia e, avendo riposto affermativamente, passa ad identificarle, ponendo tra

31 Cfr. 11-ll, q. 61; l/l Se11t d. 33, q. 3, a. 4.


32 Traslitterazioni inevitabilmente non del tutto felici dei termini Iatini, dato il significato acquisito modema­
mente di una parola come <<soggettive>>, che va invece intesa nel senso proprio in cui Ia usa Tommaso; o come
"integrali", che, forse, si potrebbe rendere in altemativa con <<integranti>>. In ogni caso, trattandosi di termini tec­
nici si e preferito lasciare Ia forma piu simile a! Iatino.
33 Bisogna sempre tener nota di come san Tommaso inserisca questi <<quasi>> per invitare il lettore a non essere
mai troppo precipitoso neUe attribuzioni univoche dei nomi, soprattutto neUe questioni teologiche piu delicate,
neUe quali l'impiego deU'analogia e d'obbligo.
34 <<Primo, de partibus subiectivis, quae sunt species iustitiae, scilicet distributiva et commutativa; secundo, de

partibus quasi integralibus; tertio, de partibus quasi potentialibus, scilicet de virtutibus adiunctis>> (11-II, q. 61, pr) .
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 1 15

queste anche la virtu di religione. La nozione di religione si colloca, dunque nel terzo
tipo della suddivisione della giustizia.
L'autore ricorda che le parti definite come "quasi potenziali" sono caratterizzate dal
fatto di essere parti, non in sensa "estensivo" o "quantitativa", come in una "partizio­
ne" di un insieme (parti soggettive) ne come "elementi" che appartengono a un insie­
,

me (parti integrali), rna in sensa analogico, in quanta per alcuni aspetti convengono,
mentre per altri si differenziano rispetto alla definizione del tutto di cui sono parti.
Infatti <<nelle virtu connesse a una virtu principale occorre considerare due case: in
prima luogo, il fatto che esse convengano in qualche cosa con la virtu principale; in
secondo luogo, che siano carenti in qualche aspetto rispetto a quella, che e la virtu
completa».35
Applicando questa precisazione alla relazione "tutto-parte" che sussiste nel caso del
rapporto giustizia-religione egli spiega, poi, in che cosa esse convengano e in che cosa
non convengano. 11 motivo per cui la religione rientra tra le virtu annesse alla giustizia
consiste nel fatto che essa comporta un doveroso atto di "restituzione" del dovuto da
parte dell'uomo nei confronti di Dio.36

La giustizia, chiaramente, riguarda "l'altro", come si e detto e tutte le virtu che hanno
a che fare con "l'altro" possono, convenientemente, essere considerate connesse ad
essa. Perche ha ragione di giustizia il rendere adeguatamente all'"altro" cio che gli e
dovuto, come pure si e detto.
[II-II, q. 80, a.u., cop7

Subito dopa spiega cia in cui religione e giustizia non convengono. 11 motivo della
non convenienza consiste nell'impossibilita, per l'uomo, di una "perfetta" restituzione
del dovuto a Dio: a) sia per la "sproporzione infinita" tra il soggetto che restituisce
(l'uomo) nei confronti del destinatario della restituzione (Dio), e quindi tra l'atto
umano di restituzione e l'atto divino che ha data all'altro per prima; b) sia per
l'"oggetto" (l'offerta del culto) che viene restituito dall'uomo a Dio, che non puo esse­
re della stesso valore di quanta e stato data da Dio all'uomo.

Una virtu che riguarda "l'altro" puo essere carente in cio che ha ragione di giustizia in
due modi: in primo luogo in quanto viene meno all"'adeguatezza" di cio che restitui-

35 <<In virtutibus quae adiunguntur alicui principali virtuti duo sunt consideranda, primo quidem, quod virtutes
illae in aliquo cum principali virtute conveniant; secundo, quod in aliquo deficiant a perfecta ratione ipsius>> (II-II,
q. 80, a.u. co).
36 <<Non ex necessitate legis, sed quadam honestate» (III Sent, d. 33, q. 3, a. 4a co). Si tratta, dunque, nel caso
della religione non di una sorta di obbligo coatto, rna di un atto di gratitudine doveroso quanto libero e interior­
mente motivato.
37 <<Quia vero. iustitia ad alterum est, ut ex supradictis patet, omnes virtutes quae ad alterum sunt possunt ratio­
ne convenientiae iustitiae annecti. Ratio vero iustitiae consistit in hoc quod alteri reddatur quod ei debetur secun­
dum aequalitatem, ut ex supradictis pate!>>.
116 ALBERTO STRUMIA

see; in secondo luogo in quanto non ha a che fare con qualcosa di "dovuto" all'altro.
Ci sono, dunque, delle virtu che rendono, si, all'altro qualcosa di dovuto, rna non pos­
sono renderlo alia pari. Ora la religione, in primo luogo rende, si, qualcosa di dovu­
to a Dio, rna non puo farlo alia pari, rna solo come lo puo fare un uomo nei confronti
di Dio, come dice il salmo, Che cosa rendero al Signore in cambio di tutto quello che
mi ha dato ? E in questo senso che la religione e connessa alia giustizia, perche, come
dice Tullio, essa pub offrire al piu, con tutta l'attenzione di cui e capace, delle ceri­
monie e un culto ad un Essere la cui natura e del tutto superiore, e che riconosce come
divina.
[II-II, q. 80, a.u., co]38

3 . 1 . DEFINIZIONE Dl RELIGIONE
La religione, essendo stata inquadrata tra le virtu, in base alla teoria generale delle
virtu come abiti, elaborata da Tommaso nella Prima secundae (qq. 55-67), viene allo­
ra a relazionarsi con la sua antropologia metafisica degli "atti umani", ivi elaborata
(qq. 18-21). Un atto di religione risulta, dunque, essere definito come un "atto umano"
con il quale l'uomo restituisce a Dio il culto di adorazione (/atria) che gli e dovuto,
come segno di riconoscenza per i doni infinitamente superiori che Dio gli fa. Si tratta,
dunque, di un mota dell'uomo verso Dio. Si trova, cosi, un prima elemento comune
tra l'analisi filosofica di Tommaso e quella storico-fenomenologica, ben pili recente,
che prende in considerazione l 'aspetto cultuale, in quanta e esteriore e, quindi, empi­
ricamente rilevabile presso tutti i popoli e le culture, pur nella molteplicita delle sue
forme concrete.
Possiamo notare che per Tommaso non si da religione senza "culto", cioe senza un
atto esteriore, visibile e pubblico. Questa rilievo ci permette di far emergere sia la
distinzione tra la nozione di "religione" e quella, di uso frequente ai nostri giorni, di
"sensa religioso", sia i1 fatto che, essendo i1 culto tendenzialmente un atto di natura
pubblica e sociale, la religione non puo essere, di sua natura, concepita come un fatto
privata. Si deve rilevare come, il sensa religioso sia l 'atteggiamento di colui che si
pone domande sul sensa dell'esistenza ed e alla ricerca di una risposta e, nel contem­
po, l 'atteggiamento di colui che, avendo trovato la risposta, ne verifica l 'adeguatezza
a rispondere pienamente alla domanda. Questa operazione di ricerca-verifica non si
esprime in atti, di per se in atti di culto, rna al pili si traduce in una invocazione indi­
viduate e interiore. Tommaso si occupa ampliamente di questo tipo di ricerca, rna non
la colloca all'interno delle trattazioni sulla religione, quanta piuttosto, nei luoghi dove

38<<Dupliciter igitur aliqua virtus ad alterum existens a ratione iustitiae deficit, uno quidem modo, inquantum
deficit a ratione aequalis; alio modo, inquantum deficit a ratione debiti. Sun! enim quaedam virtutes quae debitum
quidam alteri reddunt, sed non possunt reddere aequale. Et primo quidem, quidquid ab homine Deo redditur, debi­
tum est, non !amen potest esse aequale, ut scilicet tantum ei homo reddat quantum debet; secundum illud psalm.,
quid retribuam domino pro omnibus quae retribuit mihi? Et secundum hoc adiungitur iustitiae religio, quae, ut
Tullius dicit, superioris cuiusdam naturae, quam divinam vocant, curam caeremoniamque vel cultum affert>>.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 117

tratta della ricerca della felicita (de fine ultimo, cfr. ad es. /-//, qq. 1-5) del desiderio
naturale di vedere Dio (naturale desiderium videndi Deum, cfr. ad es. CG, L. III, c. 25,
nn. 1 1-14; c. 50, nn. 1-8: c. 5 1 , n. 1) proprio della creatura razionale.39 E Ia ragione per
cui I' Aquinate non collega tale ricerca e tale desiderio alia religione (come invece Ia
moderna nozione di "sensa religioso" suggerisce) sembra risiedere nella definizione di
religione da lui ereditata dal contesto culturale greco-romano, in base alia quale Ia reli­
gione muove dall'esigenza di "restituire" a Dio qualcosa, piuttosto che dal bisogno di
goderlo come fonte di significato e di felicita. Mentre per i moderni l'appellativo "reli­
gioso" viene attribuito, in certo modo, a tutto cio che ha a che fare con Ia ricerca di
Dio da parte dell' uomo, per Tommaso non e cosi. E questa sembra pater motivare I' as­
senza di riferimenti diretti alia religione, o alia dimensione interiore della religiosita,
nei testi che trattano del fine ultimo e del desiderio naturale di vedere Dio.
Nei passi che seguono troviamo la definizione della religione che san Tommaso trae
da Cicerone e adotta nel suo trattato.
La religione, come lo stesso autore [Tullio] la concepisce, non e altro che adorazio­
ne: perche religione e, per lui, il rendere un culto cerimoniale ad una qualche natu­
ra superiore (che viene detta "divina").
[II/ Sent, d. 9, q. 1, a. 1d, sc. 1 ]40

E in un altro passo:

La religione e il porre attenzione a compiere degli atti cerimoniali rivolti ad una


qualche natura superiore, che viene detta divina; il nome religione, secondo lsidoro
deriva da "relegare" [mettere da parte qualcosa per Dio], mentre secondo Agostino da
"rieleggere" [scegliere nuovamente] Dio che avevamo perduto. Mentre la pieta e quel
diligente atteggiamento di culto che si offre ai genitori, ai parenti, ai benefattori e alia
patria.
[II/ Sent, d. 33, q. 3, a. 4 co ]41

Si possono trovare anche formule definitorie stringatissime, come le seguenti: «La


religione e il rendere a Dio cio che gli e dovuto>>.42 E anche: «La r e l i g i o n e consi­
ste, infatti, nel culto divino».43

39 Sui tema del naturale desiderium videndi Deum si puo trovare un ampio studio, con Ia relativa bibliografia,
in L. FEINGOlD, The Natural Desire to See God according to St. Thomas Aquinas and His Imerpreters, Apollinare
Studi, Roma 2001 (Thesis ad Doctoratum in Theologia totaliter edita).
40 «Religio, secundum quod ipse [Tullius] accipit, est idem quod !atria: quia religio, secundum eum, est quae

superiori cuidam naturae (quam divinam vocant) cultum caeremoniamque affert».


41 <<Religio est quae superiori cuidam naturae, quam divinam vocant, curam caeremoniamque affert; et dicitur
a religando secundum Isidorum, vel secundum Augustinum, a reeligendo Deum quem amiseramus. Pietas vero est
per quam sanguine conjunctis patriaeque benevolis officium et diligens tribuitur cultus>>.
42 <<Religio est per quam redditur debitum Deo>> (I-ll, q. 60, a. 3 co).

43 <<Religio enim in cultu divino consistit>> (CG, L. III, c. 130, n. 6).


118 ALBERTO STRUMIA

Ma 1' Aquinate non si limita a dare sempre solo una definizione cosi asciutta della
religione: nella Summa contra gentiles, troviamo un testo - che pur mantenendo lo
stile essenziale, e di certo mai prolisso, proprio del Dottore Angelico - e molto signi­
ficativo anche da un punto di vista antropologico e psicologico, in quanto caratterizza
la religione, oltre che con la definizione, descrivendola anche per il suo modo di ori­
ginarsi, quasi come una sorta istinto, una inclinazione connaturata con l'essere umano
in quanto e razionale, che si esprime attraverso un atteggiamento di timoroso rispetto
nei confronti di Dio.

Si dice "religione" il culto di Dio: perche consiste in quegli atti con i quali l'uomo si
lega a Dio, in maniera tale da non allontanarsi da Lui. E perche l'uomo si sente obbli­
gato come per un istinto naturale ad offrirgli, come puo, reverenziale ossequio, aven­
do da Lui ricevuto I' esistenza e in quanto e il principio di ogni bene.
[CG, L. III, c. 119, n. 7]44

Si noti bene che si tratta, comunque e sempre, di una tendenza intellettuale che
richiede la conoscenza razionale e la libera volonta che si porta affettivamente sul pro­
prio oggetto, tanto da poter essere suscitato anche dalla grazia. Il termine "istinto" non
e certo inteso in senso meccanicistico, biologico o semplicemente psicologico: e una
tendenza del tutto umana che si traduce in quegli atti umani - che proprio solo in quan­
to umani possono essere moralmente virtuosi - che sono gli atti della religione.45
A proposito della religione, poi, Tommaso si pone una serie di interrogativi a parti­
re dai quali compie un'analisi dettagliata della dimensione religiosa e delle sue espres­
sioni. «Trattando della religione occorre considerare i seguenti tre aspetti: primo, la
religione in se stessa; secondo, i suoi atti; terzo i vizi opposti ad essa».46 Si tratta del
modello usuale secondo il quale egli tratta le virtu. Ma prima di passare a questa ana­
lisi, proponiamo un altro testo di san Tommaso che definisce e caratterizza la religio­
ne. Si tratta di un passo piu ampio e descrittivo che si trova in uno scritto polemico, il
Contra impugnantes Dei cultum et religionem, composto nel 1256, in difesa degli

44 «Dei cultus religio nominatur: quia huiusmodi actibus quodammodo se homo ligat, ut ab eo non evagetur.

Et quia etiam quodam naturali instinctu se obligatum sentit ut Deo suo modo reverentiam impendat, a quo est sui
esse et omnis bani principium». A proposito del concetto di <<reverentia», che esprime un timore e un rispetto reve­
renziale che si prova verso chi e superiore per natura, o per autorita, o per auotorevolezza, si puo vedere l'analisi
terrninologica di Mailhiot (cfr. M.-B. MAILHiar, The Place of Reliogious Selltiment... , op. cit., p. 50), in riferi­
mento proprio a questa testa di Tommaso, e a proposito della spinta verso Dio, come «quasi istinto» (ivi, a p. 53).
Cfr anche sant'Agotino, De civitate Dei, XIV, 28.
45 A proposito dell'interior instinctus in san Tommaso, in merito alia ragione in relazione con l'azione della gra­
zia, soprattutto in ordine alia fede, rimandiamo a J. ALFARO, Supematuralitas fidei iu.xta S. Thomam, in
"Gregorianum", 44 (1963), Pars I, pp. 501-542, e soprattutto Pars II, pp. 731-787.
46 «Circa religionem vera tria consideranda occurrunt, prima quidem, de ipsa religione secundum se; secun­
da, de actibus eius; tertia, de vitiis oppositis>> (//-//, q. 81 pr).
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 119

ordini mendicanti, in risposta al De periculis novissimorum temporum, di Guglielmo


di Saint-Amour:7 e non in un trattato sistematico vera e proprio.
Questa testa e significativo, nella nostra prospettiva d'indagine, per due ragioni: la
prima perche riassume, simultaneamente, anche se meno approfonditamente di quelli
di altre opere di Tommaso, tutti gli elementi essenziali della religione (il legame crea­
turale tra Dio e l'uomo che viene reduplicato con la religione; la nozione di religione
cm;ne culto tributato solo a Dio, nell' adorazione; la nozione di religione come prate­
statio di una forma di fede ); la seconda, che lo rende forse meno interessante per chi
si colloca in una prospettiva morale (che inquadra la religione come virtu inserita nel
trattato sulla virtu della giustizia), rna in certo sensa pili interessante in una prospetti­
va moderna, e proprio il fatto che non tratta la religione come virtu morale, rna sem­
plicemente dal punta di vista antropologico e filosofico. A Tommaso qui serve dare
una definizione cosi generale di religione, da potervi far rientrare anche quel signifi­
cato derivato (o secondario) che e quello della consacrazione al servizio di Dio nella
vita religiosa dei nuovi ordini mendicanti. Questa ultimo aspetto non e interessante per
i nostri scapi, rna lo e, invece, la premessa che egli offre per caratterizzare la religio­
ne nella sua generalita, indipendentemente dalla sua collocazione nell'ambito della
morale.
L'introduzione e, come d'uso, dedicata all'etimologia della parola, a partire dalla
quale si desume subito una considerazione metafisico-teologica:
Per conoscere Ia natura della religione, dobbiamo esaminare per prima cosa l'origine
della parola stessa. II nome "religione", come indica Agostino nel libro La vera reli­
gione, deriva da "relegare". Propriamente "Iegare" si dice di qualcosa che viene stretto
a una cosa in modo da toglierle Ia liberta di volgersi a qualcos'altro. E il "re-legare",
che significa un Iegare di nuovo, indica un Iegare qualcuno a una cosa alia quale era
stato unito in precedenza, e dalla quale aveva incominciato ad distaccarsi. E poiche ogni
creatura incomincia ad esistere prima in Dio che in se stessa, e da Dio procede, e in un
certo modo, incomincia ad allontanarsi da lui, acquistando una propria essenza, in forza
della creazione, all ora occorre che Ia creatura razionale venga legata nuovamente a Dio,
essendogli stata legata per Ia prima volta, prima di esistere [come creatuia], cosi da
ritomare alia sorgente dalla quale nascono tutti i fiumi (cfr. Qo 1,7). Percio Agostino,
nel libro De vera religione, dice la religione ci lega nuovamente all'unico Dio onnipo­
tente. E Ia Glossa riporta commentando Rm 11,36, da Lui e per Lui, ecc.
[Contra imp, ps I]

A questa punta entra in gioco un altro aspetto della religione, che approfondiremo
nel capitola IV, che e quello di quella forma di fede che c'e in ogni religione:
E il primo legame con il quale l'uomo si !ega a Dio e Ia fede, come dice Eb 1 1,6: per
accostarsi a Dio bisogna credere che Egli e. Questa sorta di professione di fede, e l'a­
dorazione, che offre a Dio il culto dovuto, quasi riconoscendo in Lui il principio: per

47 Cfr. J.A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino. . . , op. cit., p. 380.


120 ALBERTO STRUMIA

cui "religione" significa in primo luogo e principalmente quell'adorazione, che offre a


Dio il culto come un atto di professione di fede.
[ibidem]

Viene poi precisato che la religione per essere tale deve avere Dio come destinata­
rio e non un essere qualunque. Si accenna, infine, anche alla dimensione di "servizio",
propria del culto di adorazione. Si tratta di un riferimento che introduce il tema della
devozione, del votarsi a Dio, proprio di colui che, nella vita religiosa «specialiter Deo
servitur vitae abrenuntians saeculari».
E questo e quello che Agostino vuol significare quando, nel libro X de La cittii di Dio,
dice che La religione non e un culto [qualsiasi], ma il culto di Dio. E Tullio definisce
la religione, nella Retorica, dicendo che religione e tributare un culto cerimoniale a
una natura superiore, che viene chiamata divina. E cosi primariamente e principal­
mente sono pertinenti alla vera religione tutte le cose che riguardano una fede integra
e un debito servizio di adorazione.
[ibidem]48

3 .2. I CARATIERI ESSENZIALI DELLA RELIGIONE


Dopo la definizione della religione, Tommaso prosegue, il trattato sulla religione
della Summa, proponendosi, innanzitutto, di chiarire i termini della definizione, spie­
gando la natura della religione nei suoi dettagli caratterizzanti.
A tale proposito nella q. 8 1 della Secunda secundae Tommaso pone otto domande
corrispondenti a ciascuno dei rispettivi articoli:49 se si possa parlare propriamente di
"religione" solo in relazione a "Dio"; se la religione sia una "virtu"; se sia una virtu
"unica" o un insieme di piu virtu; se sia una virtu "speciale"; se sia una virtu "teolo-

48 «Ut autem religionis naturam cognoscere valeamus, huius nominis or\ginem inquirarnus. Nomen igitur reli­
gionis, ut Augustinus in libro De vera religione innuere videtur, a religando sumptum est. Illud autem proprie liga­
ri dicitur quod ita uni adstringitur quod ei ad alia divertendi libertas tollatur. Sed religatio iteratam ligationem
importans, ostendit ad illud aliquem ligari cui primo coniunctus fuerat, et ab eo distare incepit. Et quia omnis crea­
tura prius in Deo extitit quam in se ipsa, et a Deo processit, quodammodo ab eo distare incipiens secundum essen­
tiam per creationem; ideo rationalis creatura ad ipsum Deum religari debet, cui primo coniuncta fuerat etiam ante­
quam esse!, ut sic ad locum unde exeunt flumina revertantur, Eccle. I, 7. Et ideo Augustin us in Lib. de vera reli­
gione dicit: religet 110s religio uni omnipotenti Deo: et habetur in Glossa Rom. XI, 36, super illud, � ipso et per
ipsum et cetera. Prima autem ligatio quo homo Deo ligatur, est per fidem, ut dicitur Hebr. XI, 6: accedentem ad
Deum oportet credere quia est. Huius quidem fidei protestatio, !atria est, quae cultum Deo exhibet, quasi reco­
gnoscens eum esse principium: unde religio primo et principaliter latriarn significat, quae Deo cultum exhibet in
verae fidei protestationem. Et hoc est quod Augustinus dicit, X de civitate Dei, quod religio non quemlibet, sed
Dei cultum significare videtur: et hoc modo Tullius religionem definit in veteri rhetorica, dicens: religio est quae
superiori cuidam naturae, quam divinam vocant, curam caeremoniamque affert. Et sic primo et principaliter ad
veram religionem pertinere noscuntur quaecumque ad fidem integram pertinent, et ad debitam latriae servitutem.
49 <<Circa primum quaeruntur octo. Primo, utrum religio consistat tantum in ordine ad Deum. Secundo, utrum
religio sit virtus. Tertio, utrum religio sit una virtus. Quarto, utrum religio sit specialis virtus. Quinto, utrum
religio sit virtus theologica. Sexto, utrum religio sit praeferenda aliis virtutibus moralibus. Septimo, utrum reli­
gio habeat exteriores actus. Octavo, utrum religio sit eadem sanctitati» (/1-11, q. 81 pr).
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 121

gale"; se sia "la piu elevata" tra le virtu morali; se comporti degli "atti esterni"; se sia
da identificare con la "santita".
Cerchiamo di analizzare gli aspetti che ci paiono fondamentali, almeno in riferi­
mento ai nostri scopi, dei diversi articoli.

3.2.1. Se Ia religione sia solo in rapporto a Dio


La prima domanda che viene posta e se si debba parlare, propriamente di religione
a proposito degli atti di culto verso Dio, o anche, in qualche modo, a proposito di atti
di amore verso il prossimo, o verso altro da Dio.
Partendo, come spesso fa, da una precisa analisi etimologica, 1' Aquinate dimostra
di avere una grande attenzione all'uso del linguaggio, dal quale si possono estrarre le
prime informazioni in merito a cia di cui si deve trattare e precisando il quale si evi­
tano equivoci sia durante la trattazione, sia durante la comunicazione ad altri.
Rifacendosi a Isidoro di Siviglia (universalmente citato come autore dello studio
sulle Etimologie), soprattutto per quanto riguarda l'etimologia del termine religio, e a
Cicerone per i motivi sopra gia detti, Tommaso risponde che la religione riguarda
direttamente solo Dio. Oltre all'etimologia della parola e all'autorita giuridico-filoso­
fica di Cicerone viene in aggiunta quella teologica di Agostino. Di conseguenza non si
puo parlare di religione, nel senso corretto del termine, senza riferirla a Dio: religione
significa ristabilire il legame perduto con Dio. L'argomentazione e basata sulla preci­
sazione del significato letterale del termine religio.50 Non manca la precisazione teo­
logica finale che dichiara che questo legame puo essere effettivamente recuperato solo
attraverso la fede, come per indicare che il puro e semplice impegno umano, senza
l'intervento divino non puo essere salvifico.
Come Isidoro afferma nel libro delle Etimologie, " re ligioso" che, come aveva gia
detto Cicerone, deriva da "religione" - si dice colui che riprende e considera ripe­
tutamente [ri-elegge] le cose che riguardano il culto divino. E cosi, religione sem­
bra derivare da "ri-eleggere" le cose del culto divino, alle quali ci si deve rivolgere fre­
quentemente con il cuore, in accordo con quanto dice Pr 3, in tutte le tue vie pensa a
Lui.
Si puo anche intendere "religione" nel senso che dobbiamo riscegliere Dio, che
avevamo perduto rifiutandolo, come dice Agostino nel libro X de La citta di Dio.
Ancora si puo intendere Ia parola "religione" facendola derivare da "ri-legare"
[Iegare di nuovo], Secondo l 'espressione di Agostino nel libro La vera religione: Ia
religione ci leghi nuovamente all 'unico e onnipotente Dio.
Sia che si intenda " religione" nel senso di frequente attenzione alle cose di Dio, sia
nel senso di rinnovata scelta di Dio che si era perduto, sia di legame con Dio, Ia reli­
gione riguarda l'ordinamento a Dio. Egli e, infatti, Colui a! quale dobbiamo princi-

50 Si noti J'attenzione all'uso delle parole nel loro significato corretto.


122 ALBERTO STRUMIA

palmente legarci, essendo il principio che non viene meno, a Lui la nostra liberta si
deve dirigere costantemente, essendo il fine ultimo; e proprio perche lo avevamo per­
duto rifiutandolo, dobbiamo recuperarlo credendo e dichiarando la nostra fede.
[II-II, q. 81, a. 8 cor

Si tratta di una domanda la risposta alla quale, letta alla luce del contesto odierno,
permette di chiarire in che sensa la religione, da un lato, si distingua da forme aber­
ranti di credulita legate alla superstizione e alla magia e, dall'altro, come essa non vada
confusa con l'amore verso il prossimo, quando non addirittura con la filantropia, o l'u­
manitarismo. Molto interessanti, anche dal punta di vista odierno, sono, poi, le obie­
zioni che Tommaso adduce e le relative risposte. Le obiezioni, infatti, tendono a spa­
stare i1 destinatario primario della religione da Dio verso i1 solo prossimo, svincolan­
dolo in qualche modo da Dio. Le prime tre si rifanno addirittura ad auctoritates cri­
stiane, mentre la quarta ad una auctoritas pagana.
Si dice, infatti, in Gc 1, re ligione pura e senza macchia presso Dio Padre e questa,
visitare gli orfani e le vedove nella foro sofferenza e conservarsi puri da questa
mondo.
Ma visitare gli orfani e le vedove si dice in rapporto al prossimo, e conservarsi puri da
questo mondo si dice dell'uomo in rapporto a se stesso.
Dunque "re ligione" non si dice solo in rapporto a Dio.
[II-II, q. 81, a. 1, ag. 1 ]52

Inoltre Agostino dice nel X libro de La citta di Dio, che nell'uso consueto della lingua
latina, si dice che si deve avere un religioso rispetto nelle relazioni umane e di paren­
tela e in qualunque necessita verso le persone istruite e gli uomini di grande cultura;
non viene evitata, quindi, nell'uso comune di questo vocabolo, l'ambiguita con il rife­
rimento al culto di Dio, per cui possiamo dire tranquillamente che "religione" non si
dice solo per designare il culto di Dio.

51 <<Respondeo dicendum quod, sicut Isidorus dicit, in libro Etyma/., religiosus, ut ait Cicero, a religione
appellatus, qui retractat et tanquam relegit ea quae ad cultum divinum pertinent. Et sic religio videtur dicta a reli­
gendo ea quae sunt divini cultus, quia huiusmodi sunt frequenter in corde revolvenda, secundum illud Prov. 3, in
omnibus viis tuis cogita ilium. Quamvis etiam possit intelligi religio ex hoc dicta quod Deum reeligere debemus,
quem amiseramus negligentes, sicut Augustinus dicit, X De Civ. Dei. Vel potest intelligi religio a religando dicta,
unde Augustinus dicit, in libro De vera relig., religet nos religio uni omnipotenti Deo. Sive autem religio dica­
tur a frequenti lectione, sive ex iterata electione eius quod negligenter amissum est, sive a religatione, religio pro­
prie importat ordinem ad Deum. Ipse enim est cui principaliter alligari debemus, tanquam indeficienti principio;
ad quem etiam nostra electio assidue dirigi debet, sicut in ultimum finem; quem etiam negligenter peccando amit­
timus, et credendo et fidem protestando recuperare debemus». A proposito del concetto di religione come "ordo
hominis ad Deum" in san Tommaso si veda M. SECKLER, ll concetto teologico di religione, in Corso di Teologia
Fondamelltale, Queriniana, Brescia 1990, vol. I, pp. 203-228, in particolare le pp. 210-214, e in generale l'intero
articolo per un inquadramento della nozione di religione nel constesto teologico fondamentale.
52 <<Dicitur enim lac. 1, religio munda et immaculata apud Deum et patrem haec est, visitare pupillos et viduas
in tribulatione eorum, et immaculatum se custodire ab hoc saeculo. Sed visitare pupillos et viduas dicitur secun­
dum ordinem ad proximum, quod autem dicit immaculatum se custodire ab hoc saeculo, pertinet ad ordinem quo
ordinatur homo in seipso. Ergo religio non solum dicitur in ordine ad Deum». La quinta obiezione riguarda i reli­
giosi in quanto appartenenti ad un ordine religioso e quindi Ia tralasciamo per quanto precisato in precedenza.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 123

Dunque, "re ligione" si dice non solo in rapporto a Dio, rna anche al prossimo.
[IJ-1/, q. 81, a. 1, ag. 2P3

Inoltre, la religione ha a che fare con il culto di "latria", che significa "servizio",
come dice Agostino nel X libro de La citta di Dio. Ma il servizio non si presta solo a
Dio, rna anche al prossimo, secondo Gl 5, servitevi gli uni gli altri con spirito di cari­
ta. Dunque la religione riguarda anche i rapporti con il prossimo.
[II-II, q. 81, a. 1, ag. 3]54

Inoltre Ia religione riguarda il culto. Ma si dice che l'uomo non solo offre un culto a
Dio, rna anche al prossimo, secondo quanto dice Catone: Venera i tuoi genitori.
Dunque, Ia religione ci ordina anche al prossimo e non solo a Dio.
[II-II, q. 81, a. 1, ag. 4]55

Le risposte alle obiezioni precisano che il destinatario principale della religione e


Dio e non il prossimo e che gli atti di amore verso il prossimo sono una conseguenza
delle virtu che accompagnano la religione, rna non sono propri della religione come
tale.
Alia prima obiezione si risponde dicendo che Ia religione comporta due tipi di atti.
Quelli che le sono piu propri, che riguardano direttamente il rapporto dell'uomo con
Dio, come il compiere sacrifici, l'adorare, ecc. E quelli che comporta indirettamente,
facendoli compiere attraverso le altre virtu e ordinandoli con reverenziale ossequio a
Dio. Questo accade perche Ia virtu che riguarda il fine dirige anche le altre che sono
in funzione del fine. E solo in questo senso indiretto, riguardano Ia religione, quegli
atti che essa fa compiere aile altre virtu, come visitare gli orfani e le vedove nelle loro
sofferenze, che e un atto compiuto dalla misericordia, conservarsi puri da questo
mondo, che e un atto compiuto dalla temperanza.
[II-II, q. 81, a. 1, ad 1ump6

53 <<Praeterea, Augustinus dicit, in X De Civ. Dei, quia latina loquendi consuetudine, non imperitorum, verum

etiam doctissimorum, cognationibus humanis atque affinitatibus et quibuscumque necessitudinibus dicitur exhi­
benda religio; non eo vocabulo vitatur ambiguum cum de cultu deitatis vertitur quaestio, ut fidenter dicere valea­
mus religionem non esse nisi cuitum Dei. Ergo religio dicitur non solum in ordine ad Deum, sed etiam in ordi­
ne ad propinquos».
54 «Praeterea, ad religionem videtur !atria pertinere. Latria autem interpretatur servitus, ut Augustinus dicit, in

X De Civ. Dei. Servire autem debemus non solum Deo, sed etiam proximis, secundum illud Gal. 5, per caritatem
spiritus servile invicem. Ergo religio importat etiam ordinem ad proximum».
55 «Praeterea, ad religionem pertinet cultus. Sed homo dicitur non solum colere Deum, sed etiam proximum,

secundum illud Catonis, cole parentes. Ergo etiam religio nos ordinal ad proximum, et non solum ad Deum».
56 «Ad primum ergo dicendum quod religio habet duplices actus. Quosdam quidem proprios et immediatos,

quos elicit, per quos homo ordinatur ad solum Deum, sicut sacrificare, adorare et alia huiusmodi. Alios autem actus
habet quos producit mediantibus virtutibus quibus imperat, ordinans eos in divinam reverentiam, quia scilicet vir­
Ius ad quam pertinet finis, imperat virtutibus ad quas pertinent ea quae sunt ad finem. Et secundum hoc actus reli­
gionis per modum imperii ponitur esse visitare pupillos et viduas in tribulatione eorum, quod est actus elicitus a
misericordia, immaculatum autem custodire se ab hoc saeculo imperative quidem est religionis, elicitive autem
temperantiae vel alicuius huiusmodi virtutis>>.
124 ALBERTO STRUMlA

Quindi si puo parlare di "religione" in relazione all'amore per il prossimo, non in


senso proprio, rna solo in senso lato («extenso nomine»).
Alia seconda obiezione si risponde dicendo che Ia religione si riferisce agli atti che
si compiono nelle relazioni interumane, solo in "senso Jato", non secondo il senso
"proprio" del termine. Per cui Agostino, poche parole prima del passo citato nella
obiezione, premette che religione in senso stretto non significa un culto qualunque,
ma quello di Dio.
[//-//, q. 81, a. 1, ad 2umf7

Non si deve neppure equivocare sul termine "servizio", confondendo il servizio reso
a Dio con il servizio verso il prossimo. Solo a Dio, infatti, si deve quell'atto di sotto­
missione («ServitUS>>) che e adorazione («[atria»).58
II termine "servo" si dice in relazione a! termine "signore", quindi necessariamente il
termine "servizio" viene detto con il significato corrispondente a! tipo di "signoria" di
cui si parla. E chiaro che l'appellativo di "Signore" conviene a Dio in un senso proprio
e unico, perche ha fatto tutte le cose, e ha il supremo governo di tutto. Di conseguen­
za gli e dovuto un tipo di servizio del tutto Speciale. E a questa si dava il nome di
"!atria " presso i greci, che percio riguarda direttamente Ia religione.
[//-//, q. 81, a. 1, ad 3um]59

Abbiamo, dunque, tra l' altro, in questo articolo, come del resto accade frequente­
mente in tutta l'opera di san Tommaso, una esemplificazione di come egli sappia sma­
scherare come erronee delle obiezioni che partono dall'interno di una prospettiva teo­
logica e che si basano su un'interpretazione non corretta della stessa Scrittura o dei
Padri della Chiesa.

3.2.2. Se la religione sia una virtu


La seconda domanda pone l'interrogativo se la religione sia una virtu. La risposta
affermativa a questa domanda permette di collocare la religione in un rapporto non
solo legale, giuridico, esteriore, nei confronti della giustizia, rna di natura profonda­
mente morale, interiore e addirittura spirituale. Essa si basa sull'argomento che si rifa

51 <<Ad secundum dicendum quod religio refertur ad ea quae exhibentur cognationibus humanis, extenso nomi­

ne religionis, non autem secundum quod religio proprie dicitur. Unde Augustinus, parum ante verba inducta,
praemittit, religio distinctius non quernlibet, sed Dei cultum significare videtur».
58 Tale alto, rivolto ad altro da Dio, cioe ad una creatura, diviene idolatria.

59 «Ad tertium dicendum quod cum servus dicatur ad dominum, necesse est quod ubi est propria et specialis

ratio dominii, ibi sit specialis et propria ratio servitutis. Manifestum est autem quod dominium convenit Deo
secundum propriarn et singularem quandam rationem, quia scilicet ipse omnia fecit, et quia summum in omnibus
rebus obtinet principatum. Et ideo specialis ratio servitutis ei debetur. Et talis servitus nomine latriae designatur
apud graecos. Et ideo ad religionem proprie pertinet>>.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 125

alla definizione di virtu, come cio che rende buono il soggetto che la possiede e rende
buoni gli atti di un tale soggetto, applicata all'atto buono del culto della religione/>«1
Difficilmente, infatti, sia per san Tommaso, sia per gli autori dell'antichita, si potreb­
be pensare ad una giustizia e ad una legalita, e quindi ad una societa che possano reg­
gersi ordinatamente senza una educazione dell'uomo ad essere moralmente retto.

Come si e detto in precedenza, Ia virtu e cio che rende buono chi Ia possiede e buon�
le sue azioni. E quindi si deve dire che ogni atto buono ha a che fare con Ia virtu. E
chiaro, poi, che restituire a qualcuno cio che gli e dovuto e cosa buona, per il fatto che,
rendendo a qualcuno il dovuto, ci si pone in maniera giusta nei suoi confronti, si ripri­
stina il giusto ordine [nei rapporti tra le persone]; rna l'ordine e un bene, come modo
e specie, come risulta dal libro sulla Natura del bene di Agostino. E, dal momento che,
alia religione compete il rendere l'onore dovuto a un altro, cioe a Dio, e chiaro che
Ia religione e una virtu.
[II-II, q. 81, a. 2, co] 61

Significativa tra le obiezioni di questa articolo e la prima, che nega "per eccesso" la
natura virtuosa della religione, sostenendo che la religione e piu di una virtu in quan­
ta e un dono della Spirito Santo.62 Questa posizione spiritualista, tende, di fatto e con­
trariamente alle apparenze, a giustificare l'irreligiosita, quasi che la religione fosse
cosa che riguarda solo chi ne ha il dono infuso. Nel contesto odierno essa e tipica di
quell'indifferentismo religioso, che considera la religiosita e la santita come fenome­
ni talmente eccezionali, da non pater riguardare le persone "normali", cha anzi devo­
no tenerle a debita distanza.

La religione ha a che fare con il reverenziale ossequio nei confronti di Dio, rna un
comportamento reverenziale e espressione del timore, che e un dono [dello Spirito
Santo], come si e visto in precedenza. Dunque Ia religione non e una virtu [acquisi­
ta], rna un dono.
[II-II, q. 81, a. 2, ag. 2)63

60 Secondo Ia definizione di Aristotele del II libro deli'Etica a Nicomaco, riportata frequentemente da Tommaso

<<Virtus est quae bonum facit habentem, et opus eius bonum reddit>> e in particolare nel trattato sulla virtu in gene­
re (I-II, q. 56, a. 3 co) .
61 <<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, virtus est quae bonum facit habentem et opus eius bonum
reddit. Et ideo necesse est dicere omnem actum bonum ad virtutem pertinere. Manifestum est autem quod redde­
re debitum alicui habet rationem boni, quia per hoc quod aliquis alteri debitum reddit, etiam constituitur in pro­
portione convenienti respectu ipsius, quasi convenienter ordinatus ad ipsum; ordo autem ad rationem boni perti­
net, sicut et modus et species, ut per Augustinum pate!, in libro de natura boni. Cum igitur ad religionem perti­
neat reddere honorem debitum alicui, scilicet Deo, manifestum est quod religio virtus est>>.
62 Cfr. anche a questo proposito III Sent, q. 9, a. la.

63 <<Ad religionem enim pertinere videtur Deo reverentiam exhibere. Sed revereri est actus timoris, qui est

donum, ut ex supradictis patet. Ergo religio non est virtus, sed donum».
126 ALBERTO STRUMIA

La risposta conferma che, certamente

l'attitudine reverenziale e il dono del timore. Alia religione compete il compiere


degli atti per riverire Dio. Ma da questo non segue che Ia religione si identifichi con
il dono del timore, rna che sia ordinata a quest'ultimo come a qualcosa di piu grande.
Perche i doni sono piu grandi delle virtu, come si e visto in precedenza.
[II-II, q. 81, a. 2, ad. lum)64

3.2.3. Se Ia religione sia un 'unica virtu o un insieme di piu virtu


Stabilita la natura della religione come virtu, si tratta di entrare in ulteriori dettagli.
Anzitutto se si debba parlare della religione come di una singola virtu o piuttosto non
si tratti di un complesso di virtu che vengono qualificate sotto l'appellativo generico
di "religione". Anche questa preoccupazione, presente nel trattato di Tommaso, di sal­
vaguardare l'unita della virtu della religione, e importante dal punto di vista filosofi­
co-teologico, perche ha l'effetto di non consentire di stemperare il fenomeno religio­
so in una miriade di frammenti di esperienze: emotive, psicologiche, intellettuali, tra
loro un po' slegate e transitorie, che possono far degenerare la religione in una sorta di
ginnastica mentale, di esercizio psichico a tempo, da affiancare a quello fisico, per il
recupero delle energie e dell'equilibrio dell'io. La religione non e una tecnica per il
benessere spirituale, anche se il suo effetto e certamente anche questo, quanto una
posizione umana che coinvolge permanentemente l'intera persona.
L'argomento portato a favore dell'unicita della virtu di religione si basa sulla dot­
trina della virtu come "abito" (cfr. I-II, q. 55) e sulla relativa dottrina degli abiti (ivi,
qq. 49-54) nella quale si precisa come gli abiti si distinguono in relazione ai loro
oggetti (ivi, q. 54, a. 2). Per cui un unico oggetto non puo che identificare un unico
abito. Poiche la religione ha un unico oggetto (l'onore a Dio in quanto principia della
creazione e del suo governo), ne consegue l'unicita della religione.

Come si e detto in precedenza, gli abiti si distinguono tra !oro in rapporto all'oggetto.
Alia religione compete offrire un ossequio reverenziale a Dio, per un'unica ragione,
e cioe perche e il principio primo della creazione e del govemo delle cose, come dice
Mi l, Se io sono il padre, dov 'e il mio onore ?. Padre e colui che genera e governa.
Dunque e chiaro che Ia religione e una sola virtu.
[II-II, q. 81, a. 3, co)65

64 <<Ad primum ergo dicendum quod revereri Deum est actus doni timoris. Ad religionem autem pertinet face­
re aliqua propter divinam reverentiam. Unde non sequitur quod religio sit idem quod donum timoris, sed quod
ordinetur ad ipsum sicut ad aliquid principalius. Sunt enim dona principaliora virtutibus moralibus, ut supra habi­
tum est».
65 «Respondeo dicendum quod, sicut supra habitum est, habitus distinguuntur secundum diversam rationem

obiecti. Ad religionem autem pertinet exhibere reverentiam uni Deo secundum unam rationem, inquantum sci­
licet est primum principium creationis et gubemationis rerum, unde ipse dicit, Malach. 1, si ego pater, ubi honor
meus? Patris enim est et producere et gubemare. Et ideo manifestum est quod religio est una virtus>>.
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 127

Le obiezioni che oppongono all'unicita della virtu di religione il fatto che renden­
do culto a Dio si adorano tre persone, si compiono molteplici atti e si venerano nume­
rose immagini, appaiono piuttosto superficiali e di semplice soluzione. Le risposte
sono le seguenti.

Alia prima obiezione si risponde dicendo che le tre persone divine sono un unico prin­
cipia della creazione e del governo delle cose, e quindi con un'unica religione si
offre loro il servizio. Le diverse ragioni degli attributi divini concorrono nell'unica
ragione di primo principia, perche Dio produce e governa ogni cosa con l'unica
sapienza, volonta e potenza della sua bonta. Per questo Ia religione e un'unica virtu.
[II-II, q. 81, a. 3, ad 1um]66

Alia seconda obiezione si risponde dicendo che con un unico atto l'uomo serve Dio e
lo adora, poiche il culto si rivolge a Dio per Ia sua superiorita, alia quale si deve reve­
renziale ossequio, il servizio evidenzia la sottomissione dell'uomo, che per la sua con­
dizione e tenuto a tributare a Dio un reverenziale ossequio. A questi due sono ricon­
ducibili tutti gli atti che si attribuiscono alia religione, perche con tutti l'uomo after­
rna la superiorita divina e la propria sottomissione a Dio, offrendogli qualcosa o acco­
gliendo qualcosa da Lui.
[II-II, q. 81, a. 3, ad 2um]67

Alla terza obiezione si risponde dicendo che aile immagini non si deve un culto di
religione se si considerano in se stesse, come semplici oggetti, rna per il fatto che
come immagini ci portano a pensare al Dio incarnato. Non ci si ferma all'immagine,
rna attraverso di essa si e portati a considerare colui del quale e immagine. Sotto que­
sto aspetto il culto religioso che si porta aile immagini di Cristo non si diversifica
dall'adorazione a Lui, ne dalla virtu di religione.
[II-II, q. 81, a. 3, ad 3um]68

66 «Ad primum ergo dicendum quod tres personae divinae sunt unum principium creationis et gubernationis

rerum, et ideo eis una religione servitur. Diversae autem rationes attributorum concurrunt ad rationem primi prin­
cipii, quia Deus producit omnia et gubernat sapientia, voluntate et potentia bonitatis suae. Et ideo religio est una
virtUS>>.
67 <<Ad secundum dicendurn quod eodem actu homo servit Deo et colit ipsum, nam cultus respicit Dei excel­
lentiam, cui reverentia debetur; servitus autem respicit subiectionem hominis, qui ex sua conditione obligatur ad
exhibendum reverentiam Deo. Et ad haec duo pertinent omnes actus qui religioni attribuuntur, quia pe r omnes
homo protestatur divinam excellentiam et subiectionem sui ad Deum, vel exhibendo aliquid ei, vel iterum assu­
mendo aliquid divinum>>.
68 <<Ad tertium dicendum quod imaginibus non exhibetur religionis cultus secundum quod in seipsis conside­
rantur, quasi res quaedam, sed secundum quod sunt imagines ducentes in Deum incamatum. Mot us autem qui est
in imaginem prout est imago, non sistit in ipsa, sed tendit in id cuius est imago. Et ideo ex hoc quod imaginibus
Christi exhibetur religionis cultus, non diversificatur ratio latriae, nee virtus religioniS>>.
128 ALBERTO STRUMIA

3.2.4. Se Ia religione sia una virtu speciale


Questa articolo completa, in un certo modo la problematica di quello che lo prece­
de. Infatti, se la religione non e frammentabile in una molteplicita di virtu, rna ha una
propria unita, complementarmente ha anche una sua specificita irriducibile; per cui
non puo essere considerata neppure come una "sottospecie" di un'altra virtu. Si
potrebbe, forse essere tentati di considerarla come un "sottocaso" della giustizia, dopa
quanta si e detto, rna Tommaso ha gia chiarito che, in quanta parte potenziale, essa non
conviene in tutto con quella, rna solo in un certo modo; tanto e vera che questa obie­
zione non e neppure presa in considerazione.
Essa e orientata al proprio oggetto (bonum) secondo una propria specificita (ratio)
qualificante. Dio, infatti, e onorato dalla religione in quanta e riconosciuto come "tra­
scendente". 69

Poiche la virtu e ordinata al bene, ogni volta che si da una "ragione" particolare di bene
si da una virtu Speciale. II bene al quale e ordinata la religione e quello di offrire a
Dio l'onore dovuto. Ma l'onore e dovuto a qualcuno in ragione della sua superiorita.
Ora, Dio ha una superiorita assolutamente unica, in quanto trascende infinitamente
tutte le cose sotto ogni aspetto. Per questo gli e dovuto un onore speciale, cosi come
anche neUe cose umane riscontriamo che si tributano gradi di onore diversi a seconda
dei diversi gradi di superiorita delle persone, come al padre, al re, e cosi via. Allora
risulta chiaro che la religione e una virtu speciale.
[JI-ll, q. 81, a. 4 cor0

Le obiezioni tendono a confondere gli atti della religione con gli atti di altre virtu (il
sacrificio, l'agire a gloria a Dio e l'amore del prossimo), come la carita. Nelle risposte
viene precisato il fatto che la religione non si "dissolve" genericamente nelle altre virtu,
rna piuttosto dirige queste ultime quando ne motivi e ne comandi (imperet) gli atti.

Alia prima obiezione si risponde dicendo che un'azione virtuosa si dice "sacrificio" in
quanto e ordinata al reverenziale ossequio di Dio. Ma da questo non segue che la reli­
gione sia una virtu generale, rna che puo dirigere ogni altra virtu, come si e gia detto.
[JI-ll, q. 81, a. 4 ad 1umr'

69 Questa caratteristica e fondamentale per distinguere Ia religione dall'idolatria, dal feticismo, e anche dalle
diverse forme di panteismo, sia cosmologico che pan-psichistico che riaffiorano anche ai nostri giomi.
70 «Respondeo dicendum quod cum virtus ordinetur ad bonum, ubi est specialis ratio boni, ibi oportet esse spe­
cialem virtutem. Bonum autem ad quod ordinatur religio est exhibere Deo debitum honorem. Honor autem debe­
tur alicui ratione excellentiae. Deo autem competit singularis excellentia, inquantum omnia in infinitum transcen­
dit secundum omnimodum excessum. Unde ei debetur specialis honor, sicut in rebus humanis videmus quod diver­
sis excellentiis personarum divers us honor debetur, ali us quidem patri, alius regi, et sic de aliis. Unde manifestum
est quod religio est specialis virtus».
71 <<Ad primum ergo dicendum quod omne opus virtutis dicitur esse sacrificium inquantum ordinatur ad Dei
reverentiam. Unde ex hoc non habetur quod religio sit generalis virtus, sed quod imperet omnibus aliis virtuti­
bus, sicut supra dictum est>>.
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 129

Alla seconda obiezione si risponde dicendo che tutte le cose, quando si fanno a gloria
di Dio, riguardano la religione non come virtu che le attua direttamente, rna come
quella che le fa compiere alle altre virtu. La religione compie direttamente solo quel­
le che rientrano nel suo ambito speciale di atti di ossequio verso Dio.
[II-II, q. 81, a. 4 ad 2um]n

Alla terza obiezione si risponde dicendo che l'oggetto dell'amore e il "bene", mentre
l'oggetto dell'onore e dell'ossequio reverente e cio che e "superiore". Cio che viene
comunicato alla creatura e il bene e non la superioritiL Per cui la carita con la quale
amiamo Dio non e una virtu distinta da quella con cui amiamo il prossimo, mentre la
religione con la quale onoriamo Dio si distingue dalle virtu con le quali onoriamo il
prossimo.
[II-II, q. 81, a. 4 ad 3umf3

3.2.5. Se Ia religione sia una virtu teologale


11 quinto interrogativo pone il problema fondamentale se la religione, generalmente
intesa, sia una virtu "morale" o "teologale" .74 Si tratta di una domanda molto impor­
tante perch€ la risposta permette di decidere, tra l' altro, se l 'atteggiamento religioso
sia da ritenersi una data di natura, nell'uomo (che puo certamente essere sostenuto
anche dalla grazia), o presupponga "necessariamente", "abitualmente" e "ordinaria­
mente" la grazia, e non solo occasionalmente e straordinariamente e, comunque, senza
che cia comporti l 'esercizio di una virtu teologale.75 La risposta di Tommaso, in accor­
do con la Tradizione e la Dottrina della Chiesa, conclude a favore della dimensione
"naturale" o "razionale", quindi morale della virtu di religione, lasciando alle sole
fede, speranza e carita l 'attributo di virtu teologali (theologicae). Cio non toglie che vi
possa essere una dimensione infusa della virtu di religione, come per tutte le altre
virtu morali, che la perfeziona e corregge, oppure un intervento della grazia che intro­
duce quei "semina Verbi" ai quali oggi il Magistero fa frequente riferimento, qualora
ad essi si attribuisca un'origine soprannaturale.
L'argomentazione di Tommaso procede a partire dalla distinzione tra "oggetto"
(materiale) e "fine" di una virtu che consente di distinguere tra virtu teologali e mora­
H. Una virtu "teologale" ha Dio come "oggetto" (materiale)/6 mentre una virtu "mora-

7� <<Ad secundum dicendum quod omnia, secundum quod in gloriam Dei fiunt, pertinent ad religionem non
quasi ad elicientem, sed quasi ad imperantem. Ilia autem pertinent ad religionem elicientem quae secundum
rationem suae speciei pertinent ad reverentiam Dei>>.
73 «Ad tertium dicendum quod obiectum amoris est bonum, obiectum autem honoris vel reverentiae est aliquid
excellens. Bonitas autem Dei communicatur creaturae, non autem excellentia bonitatis eius. Et ideo caritas qua
diligitur Deus non est virtus distincta a caritate qua diligitur proximus, religio autem, qua honoratur Deus, distin­
guitur a virtutibus quibus honoratur proximuS>>.
74 Cfr. anche a questo proposito III Sent, q. 9, a. 1_co.
75 Cfr. a questo proposito, ad es. Lumen gelltium, n. 16.
76 <<In hoc consistat ratio virtutis theologicae quod Deum habeat pro obiectO>> (//-//, q. 17, a. 5 co).
130 ALBERTO STRUMIA

le" ha Dio come "fine", o destinatario.77 Mentre la "fede" ha Dio come oggetto mate­
riale del credere (credere Deum),78 la "speranza" ha Dio come oggetto di futuro godi­
mento (fruire Deum), bene arduo da raggiungere/9 la "carita" ha Dio come oggetto
dell'amore (diligere Deum),80 la "religione" ha Dio come "fine" a cui tendere, desti­
natario degli atti del culto, della restituzione del debito a Lui dovuto (sicut cum credi­
mus Deo) e non direttamente come oggetto.81

Come si e detto, Ia religione e Ia virtu che rende a Dio il culto dovuto. Ora si devo­
no considerare due cose nella religione: una e cio che Ia religione rende a Dio, cioe
il culto e questo fa parte della religione come "materia" e "oggetto"; l'altra e Colui
a! quale viene reso qualcosa, che e Dio stesso. Ora, gli atti con i quali onoriamo Dio,
offrendogli il culto, non lo colgono in quanto atti di culto, come lo colgliamo con !'at­
to del credere, quando crediamo a Dio (per Ia qual cosa abbiamo detto sopra che Dio
e oggetto della fede non solo in quanto crediamo Dio, rna in quanto crediamo a Dio);
rna si offre a Dio il culto dovuto in quanto gli atti, con i quali si onora Dio, vengono
compiuti in reverente ossequio verso di Lui, come le offerte sacrificali e cose simili.
Per cui e chiaro che Dio non si commisura alia virtu di religione come "materia" o
"oggetto", rna come "fine". Per cui la religione non e una virtu teologale, il cui
oggetto e il fine ultimo stesso, rna e una virtu morale, il cui "proprio" e di riguardare
le cose che sono in ordine al fine.
[II-II, q. 81, a. 5 co]82

77 <<Yirtutes morales dirigunt in his quae sun! ad finem, theologicae autem sun! de ipso fine>> (/// Sent. q. 27,

a. 4a, ag. 2).


78 <<Obiectum autem fidei potest tripliciter considerari. Cum enim credere ad intellectum pertineat prout est a
voluntate motus ad assentiendum, ut dictum est, potest obiectum fidei accipi vel ex parte ipsius intellectus, vel ex
parte voluntatis intellectum moventis. Si quidem ex parte intellectus, sic in obiecto fidei duo possunt considerari,
sicut supra dictum est. Quorum unum est materiale obiectum fidei. Et sic ponitur actus fidei credere Deum, quia,
sicut supra dictum est, nihil proponitur nobis ad credendum nisi secundum quod ad deum pertinet. Aliud autem est
formalis ratio obiecti, quod est sicut medium propter quod tali credibili assentitur. Et sic ponitur actus fidei cre­
dere Deo, quia, sicut supra dictum est, formale obiectum fidei est veritas prima, cui inhaeret homo ut propter earn
creditis assentiat. Si vero consideretur tertio modo obiectum fidei, secundum quod intellectus est motus a volun­
tate, sic ponitur actus fidei credere in Deum veritas enim prima ad voluntatern refertur secundum quod habet ratio­
nero finis>> (//-//, q. 2, a. 2 co).
79 <<Spes habet rationem virtutis ex hoc quod attingit supremarn regularn humanorurn actuum; quam attingit et
sicut prirnarn causarn efficientern, inquantum eius auxilio innititur; et sicut ultimarn causam finalern, inquanturn in
eius fruitione beatitudinem expectat. Et sic pate! quod spei, inquanturn est virtus, principale obiecturn est Deus.
Cum igitur in hoc consistat ratio virtutis theologicae quod Deurn habeat pro obiecto, sicut supra dictum est, mani­
festurn est quod spes est virtus theologica>> (//-//, q. 17 , a. 5 co).
80 <<Idem secundum rem est objectum omnium virtuturn theologicarum, sed differt secundum rationem: quia

inquanturn est primum verum, est objectum fidei; inquantum est summum bonum, est objecturn caritatis; inquan­
tum est altissimurn arduum, est objectum spei» (/// Sent. d. 26, q. 2, a. 3a, ad 1 )
um .

81 La lingua latina esprime Ia differenza tra oggetto e fine, o termine dell'atto della virtu, mediante un accusati­
vo (Deum) nel caso delle virtu teologali e mediante un dativo (Deo) nel caso delle virtu rnorali.
82 <<Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, religio est quae Deo debitum culturn affert. Duo igitur in reli­
gione considerantur. Unum quidem quod religio Deo affert, cultus scilicet, et hoc se habet per modum materiae
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 131

Le risposte alle obiezioni, presentate all'inizio dell'articolo, che fanno leva sul fatto
che «Dio si onora con la fede, la speranza e la carita, che sono virtu teologali», che «la
religione ha Dio per oggetto in quanto ordina solo a Dio>>, e «che la religione non
e una virtu intellettuale [ . . . e] non e una virtu morale, [ . . . ] dunque la religione e una
virtu teologale», derivano di conseguenza.
Alla prima obiezione si risponde dicendo che una potenza o virtu che agisce per un
' fine muove, dirigendola, un'altra potenza o virtu attiva che si lascia ordinare verso quel
fine. Le virtu teologali, cioe la fede, la speranza e la carita, si rapportano a Dio come
loro oggetto proprio. E, percio, con il loro atto direttivo, causano l'atto della religio­
ne, che compie i suoi atti in ordine a Dio. E per questa Agostino dice che Dio si onora
con Ia fede, Ia speranza e Ia carita.

[II-II, q. 81, a. 5 ad 1um]83


Alia seconda obiezione si risponde dicendo che Ia religione ordina l'uomo a Dio non
come suo oggetto, rna come suo fine.
[II-II, q. 81, a. 5 ad 2um]84
Alia terza obiezione si risponde dicendo che Ia religione non e una virtu teologale,
ne intellettuale, rna morale, essendo una parte della giustizia. II suo collocarsi a meta
tra l'eccesso e il difetto, in essa non va individuato nell'ambito delle passioni, rna in
un giusto equilibria tra le azioni che si compiono verso Dio.
Dico equilibria non in sensa assoluto, perche a Dio non si puo offrire tutto cio che gli
e veramente dovuto, rna in proporzione aile capacita umane e all'accoglienza divina.
L' eccesso, per quanta riguarda il culto divino, puo pure esserci, rna non rispetto alia
quantita, rna in base ad altre circostanze, come il fatto che si dia culto a qualcuno o
qualcosa a cui non spetta, o in un momenta non appropriato, e altri motivi ancora.
[II-II, q. 81, a. 5 ad 3um]85

et obiecti ad religionem. Aliud autem est id cui affertur, scilicet Deus. Cui cultus exhibetur non quasi actus qui­
bus Deus colitur ipsum Deum attingunt, sicut cum credimus Deo, credendo Deum attingimus (propter quod supra
dictum est quod Deus est fidei obiectum non solum inquantum credimus Deum, sed inquantum credimus Deo),
affertur autem Deo debitus cultus inquantum actus quidam, quibus Deus colitur, in Dei reverentiam fiunt, puta
sacrificiorum oblationes et alia huiusmodi. Unde manifestum est quod Deus non comparatur ad virtutem religio­
nis sicut materia vel obiectum, sed sicut finis. Et ideo religio non est virtus theologica, cuius obiectum est ulti­
mus finis, sed est virtus moralis, cuius est esse circa ea quae sunt ad finem>>.
83 <<Ad primum ergo dicendum quod semper potentia vel virtus quae operatur circa finem, per imperium movet
potentiam vel virtutem operantem ea quae ordinantur in finem ilium. Virtutes autem theologicae, scilicet fides,
spes et caritas, habent actum circa Deum sicut circa proprium obiectum. Et ideo suo imperio causant actum reli­
gionis, quae operatur quaedam in ordine ad Deum. Et ideo Augustinus dicit quod Deus colitur fide, spe et cari­
tate>>.
84 <<Ad secundum dicendum quod religio ordinal hominem in Deum non sicut in obiectum, sed sicut in finem>>.
85 <<Ad tertium dicendum quod religio non est virtus theologica neque intellectualis, sed moralis, cum sit pars
iustitiae. Et medium in ipsa accipitur non quidem inter passiones, sed secundum quandam aequalitatem inter ope­
rationes quae sunt ad Deum. Dico autem aequalitatem non absolute, quia Deo non potest tantum exhiberi quan­
tum ei debetur, sed secundum considerationem humanae facultatis et divinae acceptationis. Superfluum autem in
132 ALBERTO STRUMIA

Come si e gia fatto presente nella Introduzione e nella sezione precedente del pre­
sente capitola (cfr., supra §2), questa problematica e stata a lungo oggetto di dibattito
teologico, tuttavia l'argomentazione di Tommaso appare piuttosto chiara e del tutto
coerente con tutta l 'impostazione del trattato, e una diversa soluzione non sembrereb­
be pensabile senza alterarne l'intera impostazione, sia epistemologica che propria­
mente teologica.86 Sono da ritenersi virtu teologali quelle che hanna come oggetto pro­
prio e immediato Dio stesso, e queste sono esclusivamente la fede, la speranza e la
carita. La religione ha esclusivamente il compito di onorare Dio come destinatario del
culto, di ordinare a Dio come fine gli atti delle altre virtu. Vale la pena notare come,
persino alia luce del trattato tomistico, potrebbe sembrare che anche la religione abbia,
in realta, Dio come oggetto, in quanta essa e inseparabile, dal punta di vista episte­
mologico, da una qualche "forma di fede", essendo una «quaedam fidei protestatio»87
(cfr. infra, §4. 1.3.) - fede che, tuttavia, e la fede teologale solo in rapporto al cristia­
nesimo - rna occorre precisare che, in ogni caso, la religione non si identifica con que­
sta "forma di fede", rna ne e solamente la manifestazione esteriore (protestatio) e, di
conseguenza, non puo essere considerata una virtu teologale.

3.2.6. Se la religione sia la piu elevata tra le virtu morali


La risposta di Tommaso a questo quesito e senz'altro affermativa. La linea dell' ar­
gomentazione e semplice e diretta: le virtu sono da considerarsi tanto piu elevate
(meliores) quanta piu si avvicinano al loro fine; rna il fine delle virtu morali e Dio
quindi le virtu morali sono tanto piu elevate quanta piu si avvicinano a Dio; rna la reli­
gione e la virtu morale che maggiormente si avvicina a Dio; dunque la religione e la
piu elevata tra le virtu morali in quanta e quella che piu si avvicina al fine di ogni virtu,
che e Dio stesso.
Cio che e diretto a un fine riceve Ia sua bonta in base a un criterio di ordine in rela­
zione a! fine, ed e tanto migliore quanto piu si colloca vicino ad esso. Le virtu mora­
li, come si e visto, sono tra cio che e ordinato a Dio, in quanto compiono quelle azio­
ni che direttamente e immediatamente sono ordinate all'onore di Dio. Ma Ia religio­
ne e quella che accede a Dio piu da vicino di tutte le altre virtu morali, in quanto com­
pie quegli atti che in modo diretto e immediato sono ordianati all'onore divino. Quindi
Ia religione e quella che onora Dio nel modo piu eccellente.
[II-II, q. 81, a. 6 co]88

his quae ad divinum cultum pertinent esse potest, non secundum circumstantiam quanti, sed secundum alias cir­
cumstantias, pula quia cultus divinus exhibetur cui non debet exhiberi, vel quando non debet, vel secundum alias
circumstantias prout non debet>>.
86 Si e citata piu volte su questo argomento Ia dettagliata discussione offerta in D. MONGILLO, La virtu di reli­

gione... , op. cit., pp. 59-62, per cui non e qui il caso di ritornarvi.
87 N Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4"m.
88 «Respondeo dicendum quod ea quae sunt ad finem sortiuntur bonitatem ex ordine in finem, et ideo quanto

sunt fini propinquiora, tanto sunt meliora. Virtutes autem morales, ut supra habitum est, sunt circa ea quae ordi-
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 133

3.2. 7. Se Ia religione comporti degli atti esterni


Questa settimo articolo risulta particolarmente interessante, anche in una prospetti­
va moderna, da diversi punti di vista, per l'argomentazione che propane: a) dal punta
di vista del "processo cognitivo", in quanta si fonda sui data fenomenologico secondo
il quale la conoscenza ha la sua origine nell'esperienza sensibile e solo attraverso que­
sta raggiunge il livello intellettuale astratto; b) dal punto di vista "antropologico", in
quanta evidenzia 1' esigenza (conseguente) connaturata all' uomo di vedere, toccare,
sperimentare sensibilmente l'oggetto del suo interesse e del suo amore; c) dal punta di
vista della "fenomenologia" e della "storia delle religioni" che conferma come non vi
sia religione che non si serva di segni visibili e atti esterni per esprimersi ed aiutare
l'esperienza religiosa dei propri seguaci; d) dal punta di vista "teologico", in quanta la
necessita di atti esterni legati al culto e alia religione corrisponde pienamente alia
"logica dell'incarnazione", che si ritrova nella teologia dei sacramenti, della quale essa
appare come una sorta di preparazione al livello della natura stessa dell'uomo.
Anzitutto il respondeo precisa il fatto che la religione non ha come scopo l'aumen­
to della gloria di Dio che non ne necessita, essendo in se stesso gloria plenus, rna la
perfezione - nel linguaggio odierno si amerebbe dire la "realizzazione" - dell'uomo,
che si attua quando la nostra mente, il nostro io, si lascia sommergere (subiicitur) total­
mente da Dio. Dopa tale precisazione l'argomento spiega come questa immersione
(quasi un "mettersi sotto il livello" di Dio) l'uomo, data la sua natura di intelletto
incarnato possa compierla solo se viene condotto per mana (manuductione) dagli atti
sensibili che compie. Questa e il processo tramite il quale si viene condotti alia cono­
scenza, quasi alia visione, delle case invisibili tramite quelle visibili. E gli atti visibili
della religione, quando vengano compiuti con adeguata dignita, possono, cosi, essere
di sprone a compiere anche gli atti interiori.

Noi non offriamo il nostro reverente ossequio e l'onore a Dio per arricchirlo di qual­
cosa - perche Lui stesso e gia Ia pienezza della gloria, e niente puo essergli aggiunto
da parte di una creatura - rna lo facciamo per noi stessi, perche onorandolo e osse­
quiandolo reverenzialmente, Ia nostra mente si lascia sommergere da Lui e trova cosi
Ia propria perfezione. Ogni cosa, infatti, ha Ia sua perfezione nel fatto di ricevere da
una realta superiore, come il corpo riceve Ia vita dall'anima, e l'aria e illuminata dal
sole. E Ia mente umana, per essere unita a Dio, ha bisogno di esservi come condotta
per mano da cose sensibili, perche le realta invisibili si colgono con l'intelligenza solo
mediante quelle visibili, come dice I' Apostolo ai Romani. Nel culto divino bisogna
servirsi di realta corporee, perche, mediante queste, come da dei segni Ia mente umana
venga spinta ad azioni spirituali, attraverso le quali si unisce a Dio. Percio Ia religione

nantur in Deum sicut in finem. Religio autem magis de propinquo accedit ad Deum quam aliae virtutes morales,
inquantum operatur ea quae directe et immediate ordinantur in honorem divinum. Et ideo religio praeeminet inter
alias virtutes morales>>.
134 ALBERTO STRUMiA

ha degli atti interiori come principali che le sono propri di per se, e degli atti esterio­
ri, in certo modo secondari, ordinati ai primi.
[II-II, q. 81, a. 7 co]89

Le obiezioni riportate nell'articolo seguono una tendenza spiritualista volta a disin­


carnare Ia religione in nome di una sua pretesa maggiore purezza: Ia religione deve
essere solo interiore per essere spiritualmente piu pura, non puo servirsi di oggetti
materiali in quanta sono oggetti inferiori allo spirito e inadatti per essere offerti a Dio,
ecc. Si tratta di una tentazione sempre facile, che tende a riaffiorare nel corso della sto­
ria, anche in ambito cristiano, e che Tommaso corregge con chiarezza gia nel corpo
dell' articolo.

3.2.8. Se Ia religione sia da identificare con Ia santita


Evidentemente san Tommaso mostra qui anche tutta Ia sua preoccupazione didatti­
ca nei confronti dei destinatari primi della Summa, che sono gli studenti di teologia: lo
si vede bene da come chiarisce sempre il significato dei termini che usa. II domandar­
si in che sensa religione e santita siano o non siano Ia stessa cosa sembra essere un
esempio di tale paziente lavoro di chiarificazione.
Dopa un'analisi etimologica del termine sanctitas, secondo le cognizioni del suo
tempo, secondo Ia quale il termine "santita" indica, in prima luogo "purezza" e di­
stacco dalla terra, e in secondo luogo "inviolabilita sancita" a norma di Iegge,
Tommaso spiega che religione e santita sono "essenzialmente" Ia stessa virtu.
Ora, entrambi i significati hanno a che fare con il fatto che la santita sia da attribuir­
si a tutto cia che riguarda il culto divino. Cosi non solo agli uomini, rna anche il tem­
pio, i vasi, e gli altri arredi si dicono santificati per il fatto di essere impiegati nel culto
divino.
La purezza, infatti, e necessaria perche la mente possa applicarsi a Dio. Infatti la mente
umana viene come inquinata a forza di immergersi nelle realta inferiori, come accade
a tutte le cose che si degradano se vengono a mescolarsi con le peggiori, come accade
all'argento con il piombo. Bisogna, dunque che la mente si astragga dalle realta infe­
riori per congiungersi alle realta piu elevate. Per cui la mente non riesce ad applicarsi
a Dio senza purezza. [ . . ].

89 <<Respondeo dicendum quod Deo reverentiam et honorem exhibemus non propter ipsum, qui in seipso est glo­
ria plenus, cui nihil a creatura adiici potest, sed propter nos, quia videlicet per hoc quod Deum reveremur et bono­
ramus, mens nostra ei subiicitur, et in hoc eius perfectio consistit; quaelibet enim res perficitur per hoc quod sub­
ditur suo superiori, sicut corpus per hoc quod vivificatur ab anima, et aer per hoc quod illuminatur a sole. Mens
autem humana indiget ad hoc quod coniungatur Deo, sensibilium manuductione, quia invisibilia per ea quae facta
sunt, intellecta, conspiciuntur, ut Apostol us dicit, ad Rom. Et ideo in divino cultu necesse est aliquibus corporali­
bus uti, ut eis, quasi signis quibusdam, mens hominis excitetur ad spirituales actus, quibus Deo coniungitur. Et ideo
religio habet quidem interiores actus quasi principales et per se ad religionem pertinentes, exteriores vero actus
quasi secundarios, et ad interiores actus ordinatos>>.
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 135

La stabilita pure e necessaria perche Ia mente si applichi a Dio. Essa si applica a Lui,
infatti, come ultimo fine e primo principia, che sono come tali assolutamente stabili.
[II-II, q. 81, a. 8 co]

Religione e santita differiscono per il fatto che Ia religione si esprime in "atti ester­
ni", mentre Ia santita e principalmente una "disposizione interiore" che predispone
anche aile altre virtu.
Cosi, dunque Ia santita non differisce dalla religione nella sua essenza, rna solo nel
modo di essere considerata concettualmente. Infatti si dice "religione" per il fatto
che offre il debito servizio in cio che riguarda in particolare in culto divino, come i
sacrifici, le offerte ecc.
E si dice "santita" per il fatto che l'uomo riferisce a Dio non solo le cose del culto, rna
anche le azioni delle altre virtu, e perche si dispone interiormente con le buone opere
anche al culto divino.
[ibidem]90

3.3. GLI ATII DELLA RELIGIONE


Seguendo l'ordine del trattato, vediamo come, dopo aver parlato della natura della
religione in genere, Tommaso affronta in dettaglio 1' argomento degli atti propri della
religione: a) quelli interiori, che sono i piu importanti in ordine alia morale, sono la
devozione e 1' orazione; b) quelli esteriori, che vengono valutati come "secondari" in
ordine alia morale e che riguardano, propriamente il culto e le espressioni pubbliche
della religione. 91

90 Riportiamo qui l'intero corpo dell'articolo: «Respondeo dicendum quod nomen sanctitatis duo videtur impor­
tare. Uno quidem modo, munditiam, et huic significationi competit nomen graecum, dicitur enim agios quasi sine
terra. Alio modo importat firmitatem, unde apud antiquos sancta dicebantur quae legibus erant munita ut violari
non deberent; unde et dicitur esse aliquid sancitum quia est lege firrnatum. Potest etiam secundum Iatinos hoc
nomen sanctus ad munditiam pertinere, ut intelligatur sanctus quasi sanguine linctus, eo quod antiquitus illi qui
purificari valebant sanguine hostiae tingebantur, ut Isidorus dicit, in libra Etymol. et utraque significatio competit,
ut sanctitas attribuatur his quae divino cultui applicantur, ita quod non solum homines, sed etiam templum et vasa
et alia huiusmodi sanctificari dicantur ex hoc quod cultui divino applicantur. Munditia enim necessaria est ad hoc
quod mens Deo applicetur. Quia mens humana inquinatur ex hoc quod inferioribus rebus immergitur, sicut quae­
libel res ex immixtione peioris sordescit, ut argentum ex immixtione plumbi. Oportet autem quod mens ab infe­
rioribus rebus abstrahatur, ad hoc quod supremae rei possit coniungi. et ideo mens sine munditia Deo applicari non
potest. Unde ad Heb. ult. dicitur, pacem sequimini cum omnibus, et sanctimoniam, sine qua nemo videbit Deum.
Firrnitas etiam exigitur ad hoc quod mens Deo applicetur. Applicatur enim ei sicut ultimo fini et prima principia,
huiusmodi autem oportet maxime immobilia esse. Unde dicebat Apostolus, Rom. 8, certus sum quod 11eque mors
11eque vita separabit me a caritate Dei. Sic igitur sanctitas dicitur per quam mens hominis seipsam et suos actus
applicat Deo. Unde non differ! a religione secundum essentiam, sed solum ratione. Nam religio dicitur secun­
dum quod exhibet Deo debitum famulatum in his quae pertinent specialiter ad cultum divinum, sicut in sacrificiis,
oblationibus et aliis huiusmodi, sanctitas autem dicitur secundum quod homo non solum haec, sed aliarum virtu­
tum opera refert in Deum, vel secundum quod homo se disponit per bona opera ad cultum divinum>>.
91 <<Deinde considerandum est de actibus religionis. Et prima, de actibus interioribus, qui, secundum praedic­
ta, sunt principaliores; secunda, de actibus exterioribus, qui sunt secundarii>> (II-II, q. 82, pr) .
136 ALBERTO STRUMIA

In un'ottica moderna possiamo rilevare come la trattazione dei primi sia ricca, oltre
cha dal punta di vista della morale, anche di informazioni di ordine psicologico ed
esperienziale, in ordine alla descrizione dell'esperienza religiosa del soggetto. I secon­
di contengono elementi rilevanti dal punta di vista fenomenologico, antropologico,
culturale e sociale.

3.3.1. Gli atti interiori della religione: Ia "devozione " e l"'orazione "
1 1 prima atto interiore esaminato nel trattato di Tommaso e , dunque, quello della
"devozione",92 di cui egli tratta nella q. 82 della 11-II•e. Questa questione, dedicata al
prima di quelli che Tommaso considera gli atti piu importanti (principaliores) della
religione, perche sono alla radice della posizione umana del soggetto religioso, costi­
tuisce quasi un piccolo trattato dentro un altro trattato (quello sulla religione), che e a
sua volta dentro il grande trattato sulla giustizia. In esso Tommaso dimostra partico­
larmente di saper fare tesoro dell'eredita della cultura romana antica, giungendo ad
una sintesi del tutto nuova che influenzera la teologia a lui successiva e, attraverso !'o­
pera dei teologi, giungera, un po' alla volta, ad influire sulla vita spirituale di grandi
maestri e santi_93
A proposito della devozione vengono posti quattro interrogativi nei rispettivi arti­
coli della q. 82 della Secunda secundae: se la devozione sia un atto speciale; se sia un
atto di religione; quale ne sia la causa; quali siano i suoi effetti, ciascuno dei quali pun­
tualizza degli aspetti fondamentali che caratterizzano questa atto.

Se la devozione sia un atto speciale


La devozione, in quanta "pronta dedizione", viene qualificata come atto speciale,
indipendentemente dal fatto che ci si dedichi a Dio, agli idoli o a un ideale di qualun­
que natura. Proprio della devozione e, comunque, il fatto di considerare quell'ideale
come divino o trattandolo come se fosse tale, consacrandosi in qualche modo ad esso,
come risulta dal secondo articolo della questione.94

92 Si e gia citato pili volte lo studio sull'atto di devozione in san Tommaso di G. BERCEVILLE, L 'acte de devotion
chez saint Thomas d'Aquin, a! quale senz'altro rimandiamo per approfondimenti sull'argomento.
93 Cfr. ivi, p. 39.
94 <<La devotio se definit d'emblee comme un acte de consecration de soi. Dans Ia Vulgate, le verbe devovere est
utilise a propos des offrandes du naizr (Nm 6,21). On lit encore chez Augustin: "L'homme consacre par le nom de
Dieu (Deo devotus o Deo votus, selon les manuscrits: le terme de devotio est assez peu frequent chez Augusitn),
en tan qu'il meurt au mond pour vivre a Dieu, est un sacrifice" (La Cite de Dieu, 10, 6). Chez Ambroise, Ia devo­
tio est soumisssion totale et fervente a Dieu. Elle ne se limit pas a un acte cultuelle precis, mais correspond au fon­
dament meme de tout le campo rtement chretien. Dans Ia meme ligne, Ia devotion est pensee tres precisement par
Thomas dans Ia Somme comme consistant a vouloir se livrer soi-meme et prontement a ce qui concerne le servi­
ce de Dieu. Cette acception formelle de Ia devotion dans Ia Somme correspond done au sense premier et fort du
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 137

"Devozione" e un termine che deriva da "votarsi", per cui si dicono "devoti" coloro
che, in qualche modo, si votano a Dio, sottomettendosi interamente a Lui. Per cui,
anche un tempo presso i pagani, si chiamavano "devoti" colora che si votavano a morte
agli idoli per Ia propria salvezza, come i due Deci di cui parla Tito Livia. Per cui Ia
devozione non sembra essere altro che Ia pronta volontl1 di dare se stessi per le case
che riguardano il servizio di Dio. Come dice Es 35, che Ia moltitudine dei figli di
Israele offri con animo pronto e devoto le primizie al Signore. E chiaro, allora, che Ia
volonta di mettersi prontamente al servizio di Dio e un atto speciale. Per cui Ia devo­
zione e un atto Speciale della volonta.
[11-11, q. 82, a. 1 cors

Se la devozione sia un atto di religione


La devozione e un atto di religione in quanta si dirige a Dio, direttamente, o ad altre
persone, come ai santi, come intermediarie nei confronti di Dio. Avendo Dio come
proprio fine essa e un atto di religione.

E chiaro che il compiere gli atti del culto e del servizio divino e proprio della reli­
gione, come si e detto. E ad essa compete avere una volonta pronta nell'eseguirli, cioe
essere devoti. E cosi e chiaro che Ia devozione e un atto di religio n e .
[II-II, q . 82, a . 2 cot6

All'obiezione secondo la quale Dio non sarebbe sempre il destinatario della devo­
zione si risponde che, in ogni caso, quando non lo e immediatamente, lo e mediata­
mente.
Inoltre, mediante Ia religione l'uomo viene ordinato solo a Dio, come si e detto. Ma
Ia devozione puo essere rivolta anche agli uomini, dal momenta che si dice che alcu­
ni sono devoti di uomini santi, o dei sudditi che sono devoti ai loro signori, come dice
Papa Leone che i giudei, quasi devoti aile leggi romane, dissero non abbiamo altro re
che Cesare. Quindi Ia devozione non e un atto di religione.
[II-II, q. 82, a. 3, ag. 3t7

mot dans Ia literature antique: une donation de soi a Dieu ou a des puissances superieures. Cette donation ne se
reduit pas a un rite>> (ivi, p. 40).
95 «Respondeo dicendum quod devotio dicitur a devovendo, unde devoti dicuntur qui seipsos quodammodo Deo
devovent, ut ei se totaliter subdant. Propter quod et olim apud gentiles devoti dicebantur qui seipsos idolis devo­
vebant in mortem pro sui salute exercitus, sicut de duobus Deciis Titus Livius narrat. Unde Exod. 35 dicitur quod
multitudo filiorum Israel obtulit mente promptissima atque devota primitias domino. Manifestum est autem quod
voluntas prompte faciendi quod ad Dei servitium pertinet est quidam specialis actus. Unde devotio est specialis
actus voluntatis>>.
96 «Respondeo dicendum quod ad eandem virtutem pertinet velle facere aliquid, et promptam voluntatem habe­

re ad illud faciendum, quia utriusque actus est idem obiectum. Propter quod philosophus dicit, in V Ethic., iustitia
est qua volunt homines et operantur iusta. Manifestum est autem quod operari ea quae pertinent ad divinum cui­
tum seu famulatum pertinet proprie ad religionem, ut ex praedictis pate!. Unde etiam ad earn pertinet habere
promptam voluntatem ad huiusmodi exequenda, quod est esse devotum. Et sic pate! quod devotio est actus reli­
gionis>>.
97 «Praeterea, per religionem homo ordinatur solum ad Deum, ut dictum est. Sed devotio etiam habetur ad
homines, dicuntur enim aliqui esse devoti aliquibus sanctis viris; et etiam subditi dicuntur esse devoti dominis suis,
138 ALBERTO STRUMIA

Alla terza obiezione si risponde dicendo che la devozione verso i santi di Dio, morti o
vivi, non termina in loro, rna attraverso di essi transita fino a Dio, perche nei servitori
di Dio noi veneriamo Dio. La devozione che i sudditi dicono di avere per i loro signo­
ri temporali e di altra natura, cos! come e di altra natura il tipo di servizio che si pre­
sta ai signori temporali da quello che si presta a Dio.
[II-II, q. 82, a. 3, ad 3um]98

Quale sia Ia causa della devozione


Per quanta riguarda il problema di determinare quale sia l'origine della devozione,
Tommaso mette in evidenza due cause che concorrono alia devozione: Ia causa "estrin­
seca", che e Ia causa principale della devozione, e Dio stesso, e Ia causa "intrinseca",
dalla parte umana, che e nella volonta.
Possiamo rilevare, come nostra considerazione, come a partire da questa risposta,
emerga quel misterioso incontro e scambio tra grazia divina e liberta umana che cono­
sce una innumerevole possibilita di gradi e sfumature che vanno: nell'ambito dell'e­
sperienza cristiana, dall'adesione della fede, alia risposta alia vocazione di dedizione
a Dio nelle diverse forme (il matrimonio e Ia famiglia, o Ia verginita e il celibato); e,
nell'ambito della ricerca religiosa che precede Ia fede, il desiderio di un ideale per i1
quale spendere Ia propria esistenza.
Quest'ultimo livello e di una certa rilevanza per Ia teologia della religione, Ia dove,
il sensa religioso, in generale, e una forma di religione in particolare vengono guidati
ad individuare l'esistenza e gli attributi di questa ideale, facendone presentire, ad
esempio, il carattere "personale" (Qualcuno), e "trascendente" (infinitamente piu
grande), e cosi via.
La causa della devozione, estrinseca e principale e Dio; a proposito di questo dice
Ambrogio, nel commento sul Vangelo di Luca, che Dio chiama quelli che vuole, e
rende religiosi quelli che vuole, e se avesse voluto avrebbe reso devoti, da non devo­
ti che erano, anche i samaritani. La causa intrinseca, da parte nostra, occorre che sia la
meditazione o la contemplazione. Si e detto, infatti, che la devozione e un certo atto
della volonta che fa sl che l'uomo si offra prontamente per rendere ossequio a Dio.
[II-II, q. 82, a. 3 co]

La volonta, pen), non viene lasciata a se stessa, quasi fosse un istinto spontaneo
(spontaneismo), rna necessita dell'intelletto perche l'oggetto al quale ci si dedica deve

sicut Leo papa dicit quod iudaei, quasi devoti romanis legibus, dixerunt, non habemus regem nisi Caesarem. Ergo
devotio non est actus religioniS>>.
98 «Ad tertium dicendum quod devotio quae habetur ad sanctos Dei, mortuos vel vivos, non terminatur ad ipsos,

sed transit in Deum, inquantum scilicet in ministris dei deum veneramur. Devotio autem quam subditi dicuntur
habere ad dominos temporales alterius est rationis, sicut et temporalibus dominis famulari differt a famulatu divi­
no».
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 139

essere prima conosciuto per essere scelto. Per questo Tommaso si sofferma ad indica­
re la causa intrinseca della devozione, che e di natura conoscitiva (chiama in causa
l'intelletto), onde evitare, come diremmo noi oggi, ogni possibile riduzione sentimen­
talistica della devozione. E questa e la "meditazione", o "contemplazione". Infatti, egli
spiega,

ogni atto della volonta procede da una qualche considerazione, per il fatto che 1' og­
getto della volonta e un bene conosciuto, come dice Agostino nel libra su La Trinita,
che la volonta scaturisce dalla intelligenza. Per questa e necessaria che la meditazio­
ne sia la causa della devozione, in quanta e attraverso la meditazione che l'uomo con­
cepisce I' idea di dedicarsi a rendere ossequio a Dio. E questa per una duplice valuta­
zione. Una considerando la banta di Dio e i benefici che ne scaturiscono, come dice il
salmo, e bene per me unirmi a Dio e riporre in Lui la mia speranza; e questa consi­
derazione spinge a quella predilezione di Dio che e la causa della devozione. L'altra
considerando i propri limiti umani, che fanno cogliere il bisogno dell'aiuto di Dio,
come dice il salmo, ho alzato gli occhi ai monti, da dove mi verra l'aiuto? Il mio aiuto
viene dal Signore che ha fatto il cielo e la terra. E questa valutazione esclude quella
presunzione che impedisce ad alcuni di sottomettersi ad accogliere l'aiuto di Dio.
[ibidem]99

Quali siano gli effetti della devozione


L' effetto principale della devozione e la "gioia" («laetitia mentis») e, solo seconda­
riamente quella tristezza che, con un termine esistenziale, oggi chiameremmo la
"nostalgia" (nel senso un po' platonizzante di "ricordo" del Creatore lasciato e ora
desiderata, come fine ultimo e beatitudine non ancora posseduta) di quella piena visio­
ne di Dio che ancora ci manca. Anche se il testo dell' articolo non fa uso del termine
"religione", l'argomento e, evidentemente connesso alla religione, intesa come "senso
religioso", nella quale consiste la ricerca del senso ultimo delle cose in Dio per la feli­
cita dell'uomo. Si tratta di un testo molto bello e ricco di una capacita profonda di
descrivere anche l 'aspetto psicologico dell'esperienza religiosa e del senso religioso.
Una complementarita di tristezza, dovuta alla "domanda" di cia che ancora non si pos-

99 «Respondeo dicendum quod causa devotionis extrinseca et principalis Deus est; de quo dicit Ambrosius, super

Luc., quod Deus quos dignatur vocat, et quem vult religiosum facit, et si voluisset, samaritanos ex indevotis
devotos fecisset. Causa autem intrinseca ex parte nostra, oportet quod sit meditatio seu contemplatio. Dictum est
enim quod devotio est quidam voluntatis actus ad hoc quod homo prompte se tradat ad divinum obsequium. Omnis
autem actus voluntatis ex aliqua consideratione procedit, eo quod bonum intellectum est obiectum voluntatis, unde
et Augustinus dicit, in libro De Trill., quod voluntas oritur ex intelligentia. Et ideo necesse est quod meditatio sit
devotionis causa, inquantum scilicet per meditationem homo concipit quod se tradat divino obsequio. Ad quod qui­
dem inducit duplex consideratio. Una quidem quae est ex parte divinae bonitatis et beneficiorum ipsius, secundum
illud psalm., mihi adhaerere Deo bo11um est, po11ere i11 domi11o deo spem meam. Et haec consideratio excitat dilec­
tionem, quae est proxima devotionis causa. Alia vero est ex parte hominis considerantis suos defectus, ex quibus
indiget ut Deo innitatur, secundum illud psalm., levavi oculos meos i11 molltes, u11de veniet auxilium mihi. Auxilium
meum a domi11o, qui fecit caelum et terram. Et haec consideratio excludit praesumptionem, per quam aliquis impe­
ditur ne Deo se subiiciat, dum suae virtuti innititur».
140 ALBERTO STRUMlA

siede, e di gioia dovuta alla "risposta" che consiste nell'esperienza di Dio che gia ci e
data in forma iniziale.

La devozione di per se, principalmente e la causa della gioia spirituale della mente, e
conseguentemente e solo accidentalmente causa tristezza. Si e detto, infatti, che la
devozione procede da una duplice considerazione. Principalmente dalla considerazio­
ne della bonta divina, poiche questa considerazione riguarda come il termine del moto
della volonta che tende a Dio. E da questa segue di per se la gioia, come dice il salmo,
mi sono ricordato di Dio, e mi sono allietato, e solo accidentalmente causa anche una
certa tristezza, per il fatto che non si ha ancora la pienezza dell'esperienza di Dio,
come dice il salmo, la mia anima ha sete del Dio vivo e continua poi, mi vennero lacri­
me di pianto, ecc.
[II-II, q. 82, a. 4 co]

Una sottolineatura che e colta particolarmente bene dalla sensibilita moderna e


quella dell'esperienza del limite ontologico e morale che l'uomo avverte, come una
mancanza di qualcosa di indispensabile per essere felice, che gli causa tristezza pro­
fonda. Questa e la porta che puo aprirsi alla dedizione a Dio.

Questa tristezza deriva secondariamente dalla devozione, come si e detto, per la con­
siderazione dei propri limiti; infatti questa considerazione riguarda il punto di parten­
za dal quale si allontana il moto della volonta devota, nel quale non si ferma, dirigen­
dosi verso Dio per sottometterglisi. Questa considerazione procede in senso inverso
rispetto alia prima. Infatti, sorta per portare di per se tristezza, per la considerazione
dei propri limiti, accidentalmente perviene alia gioia per la speranza riposta nell'aiuto
di Dio. Ed e allora chiaro che alia devozione segue primariamente e di per se la gioia,
e secondariamente e accidentalmente la tristezza.
[ibidemJI00

E un articolo che costituisce un vera gioiello anche dal punta di vista psicologico
moderno, oltre che di teologia spirituale.

100 <<Respondeo dicendum quod devotio per se quidem et principaliter spiritualem laetitiam mentis causal, ex
consequenti autem et per accidens causal tristitiam. Dictum est enim quod devotio ex duplici consideratione pro­
cedi!. Principaliter quidem ex consideratione divinae bonitatis, quia isla consideratio pertinet quasi ad terminum
motus voluntatis tradentis se Deo. Et ex isla consideratione per se quidem sequitur delectatio, secundum illud
psalm., memorfui Dei, et delectatus sum, sed per accidens haec consideratio tristitiam quandam causal in his qui
nondum plene Deo fruuntur, secundum illud psalm., sitivit anima mea ad deum vivum, et postea sequitur, fuerwlt
mihi lacrimae meae etc Secundario vera causatur devotio, ut dictum est, ex consideratione propriorum defec­
..

tuum, nam haec consideratio pertinet ad terminum a quo homo per motum voluntatis devotae recedit, ut scilicet
non in se existat, sed Deo se subdat. Haec autem consideratio e converso se habet ad primam. Nam per se quidem
nata est tristitiam causare, recogitando proprios defectus, per accidens autem laetitiam, scilicet propter spem divi­
nae subventionis. Et sic pate! quod ad devotionem primo et per se consequitur delectatio, secundario autem et per
accidens tristitia quae est secundum Deum».
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 141

Se l'orazione sia un atto conveniente


11 secondo atto interiore della religione e quello dell'orazione, in italiano, piu comu­
nemente detta "preghiera". San Tommaso si pone ben diciassette domande su questa
argomento. Di queste alcune sono inerenti alia preghiera come atto proprio di ogni
forma di religione (se sia conveniente pregare; se l'orazione sia un atto di religione; se
si debba pregare solo Dio; se pregare sia proprio della creatura razionale; se la pre­
ghiefa debba essere espressa con la voce, ecc.); altre sono maggiormente attinenti alia
preghiera cristiana (se dobbiamo pregare per gli altri; se dobbiamo pregare per i nemi­
ci; a proposito delle sette domande del Padre nostro; se i santi in cielo preghino per
noi, ecc.), e questa motiva anche l'ampiezza della trattazione. Non ci occuperemo, in
questa sede, delle domande della seconda categoria, mentre considereremo quelle che
riguardano la religione in generale e che ci sembrano piu utili per la nostra indagine.
In quest'ottica si puo comprendere anche un altro motivo di una cosi ampia trattazio­
ne sull'orazione: la preghiera costituisce, in qualche modo, un atto di "raccordo" tra la
dimensione interiore e quella esteriore della religione. Infatti puo essere, contempora­
neamente, un atto di culto, quindi esteriore (quando viene fatta in pubblico, o comun­
que con parole pronunciate e non solo mentalmente) e un atto interiore che muove l'in­
telligenza e la volonta all'affetto verso Dio che ne e il destinatario. Una preghiera
autentica non puo essere solo un rito, senza amore da parte del soggetto orante.
L' articolo 2 pone l'interrogativo sui sensa e l'utilita della preghiera e snida diversi
errori e luoghi comuni a questa proposito. E notevole rilevare come quelli che vengo­
no riportati come "errori degli antichi" siano anche piuttosto attuali. Ad esempio: le
vicende umane non sono soggette ad alcuna Provvidenza, rna sono a caso, per cui non
ha sensa pregare. 0 al contrario, esse sono soggette a leggi del tutto deterministiche in
sensa meccanicistico, o fatalistico, o astrologico101 per cui non serve pregare. E anco­
ra: la Provvidenza opera "a capriccio" e puo essere cambiata, quasi magicamente, con
preghiere e riti propiziatori.
Gli antichi caddero in tre errori per quanto riguarda l' orazione. Alcuni ritennero che le
vicende umane non siano soggette ad alcuna Provvidenza divina. E quindi e inutile
pregare, e addirittura adorare Dio. Di questi dice Ml 3, hai detto, chi serve Dio fa una
cosa inutile. La seconda opinione errata e stata quella di quanti ritennero che tutte le
cose, comprese le vicende umane, accadano in modo necessario, sia a causa dell'im­
mutabilita di una Provvidenza divina [necessitante], sia per l'influsso [necessitante]
delle stelle, sia per una connessione [determinsitca] delle cause. E anche per questi si
deve escludere l'utilita della orazione. La terza fu l'opinione di quanti ritennero che
alcune cose umane sono rette dalla Provvidenza divina, e che non avvengono per

101 La visione meccanicista oggi non ha piu quel sostegno scientifico che poteva avere nel XVIII-XIX secolo,
mentre ricompaiono con insistenza credenze fatalistiche di tipo magico-astrologico che parevano tramontate.
142 ALBERTO STRUMIA

necessita, e che la Provvidenza divina e mutevole e, quindi che con l'orazione e con
qualche mezzo attinente al culto si puo cambiare la Provvidenza.
[II-II, q. 83, a. 2 co] 102

Tommaso rimanda alla Prima pars della Summa theologiae per la confutazione di
questi argomenti.103 Qui si limita a spiegare che la preghiera non ha come scopo quel­
lo di mutare il corso della Provvidenza, rna quello di compiere cia che la Provvidenza
ha previsto e disposto debba essere richiesto e compiuto attraverso la liberal umana,
compresa la preghiera. Dio agisce non solo mediante cause deterministiche, rna anche
attraverso cause libere, e la liberal umana e una di queste. E questa pua esercitarsi
anche attraverso la preghiera che pua ottenere cia che la Provvidenza ha previsto di
donare quando viene richiesta.

Occorre mostrare che l'orazione e utile in modo tale da evitare di imporre la necessa­
rieta nelle cose umane, soggette alla Provvidenza divina, e anche da evitare di supporre
che la Provvidenza sia mutevole. Per chiarire questo punto bisogna considerare il fatto
che la divina Provvidenza dispone non solo che gli effetti avvengano, rna anche ad
opera di quali cause e secondo quale ordine. Ora, tra le altre cause ci sono anche alcu­
ne cause degli atti umani. Per cui occorre che gli uomini compiano alcuni di questi,
non perche riescano a cambiare le disposizioni divine, rna per compiere determinati
effetti secondo l'ordine che Dio ha disposto. Cosi avviene anche nelle cause naturali.
E cosi anche nell'orazione. Non preghiamo per cambiare la disposizione divina, rna
per ottenere cio che Dio ha disposto che si compia attraverso le preghiere dei santi;
cioe perche gli uomini, chiedendo meritino di accogliere cio che Dio onnipotente,
prima dei secoli, ha disposto di donare loro, come dice Gregorio nel libro dei Dialoghi.
[II-II, q. 83, a. 2 coJI04

Risalta qui la grandezza di san Tommaso nell' aver saputo formulare una metafisica
della causalita capace di includere anche delle cause non determinate ad unum, che si
collocano ad un livello intermedio tra la causalita univoca di tipo deterministico e la
completa casualita delle coincidenze puramente accidentali. Applicata all'antropolo-

102 «Respondeo dicendum quod triplex fuit circa orationem antiquorum error. Quidam enim posuerunt quod res

humanae non reguntur divina Providentia. Ex quo sequitur quod vanum sit orare, et omnino Deum colere. Et de
his dicitur Malach. 3, dixistis, vanus est qui servit Deo. Secunda fuit opinio ponentium omnia, etiam in rebus
humanis, ex necessitate contingere, sive ex immutabilitate divinae Providentiae, sive ex necessitate stellarum,
sive ex connexione causarum. Et secundum hos etiam excluditur orationis utilitas. Tertia fuit opinio ponentium
quidam res humanas divina Providentia regi, et quod res humanae non proveniunt ex necessitate, sed dicebant
similiter dispositionem divinae Providentiae variabilem esse, et quod orationibus et aliis quae ad divinum cultum
pertinent dispositivo divinae Providentiae immutatur. Haec autem omnia in primo libro improbata sun!>>.
103 Cfr. /, q. 22, in particolare a. 4; e anche. qq. 23 e 24.
104 <<Et ideo oportet sic inducere orationis utilitatem ut neque rebus humanis, divinae Providentiae subiectis,

necessitatem imponamus; neque etiam divinam dispositionem mutabilem aestimemus. Ad huius ergo evidentiam,
considerandum est quod ex divina Providentia non solum disponitur qui effectus fiant, sed etiam ex quibus causis
et quo ordine proveniant. Inter alias autem causas sunt etiam quorundam causae actus humani. Unde oportet homi-
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 143

gia e alla teologia, questa teoria della causalita e l'unica che consente di dare spazio
alla liberta dell'uomo, concependo la volonta umana come una forma di causa che non
viene determinata meccanicamente dalla volonta divina e, nel contempo, non sottrae a
quest'ultima il suo ruolo di essere causa della volonta umana stessa, sia come causa
del suo esserci (causa essendi) che come causa prima del suo agire (causa efficiente).
In tempi piu recenti non pochi autori si sono trovati in difficolta ad elaborare una teo­
ria della relazione tra la causalita divina e la liberta umana, rischiando, piu di una
volta, di sottrarre alla volonta divina qualcosa del suo potere causale per lasciare un
margine di autonomia sufficiente alla volonta dell'uomo a garantire la sua liberta.105
Senza una dottrina adeguata della causalita e della liberta diviene assai problematica,
di conseguenza, anche la comprensione del ruolo effettivo della preghiera: essa, infat­
ti, rischia di essere considerata, da un lata, come una semplice operazione psicologica
che rimane confinata nell'animo dell'orante, senza coinvolgere in alcun modo Dio
come effettivo interlocutore; dall'altro, all'opposto, come un intervento umano capa­
ce di mutare la volonta di Dio, piegandola a quella dell'uomo, in una forma pressoche
imprevedibile anche per Dio stesso.

Se l'orazione sia un atto di religione


11 terzo articolo della questione e l'unico nel quale si nomina esplicitamente la reli­
gione per giustificare il fatto, piuttosto ovvio, che l'orazione e un tipico atto di reli­
gione. L' argomentazione conferma che si tratta di un atto di religione in quanta, evi­
dentemente, manifesta riverenza e onore da parte dell'uomo verso Dio, secondo giu­
stizia.

Alia religione compete propriamente I' offrire riverente ossequio e onore a Dio. Per cui
tutto cio che contribuisce all'ossequio di Dio riguarda la religione. Con l'orazione
l'uomo si manifesta a Dio in un atteggiamento reverente, in quanto si sottomette a Lui
e dichiara, pregando, di avere bisogno di Lui come autore dei suoi beni. Per cui e evi­
dente che l'orazione e un atto proprio della religione.
[//-//, q. 83, a. 3 cor06

nes agere aliqua, non ut per suos actus divinam dispositionem immutent, sed ut per actus suos impleant quosdam
effectus secundum ordinem a Deo dispositum. Et idem etiam est in naturalibus causis. Et simile est etiam de ora­
tione. Non enim propter hoc oramus ut divinam dispositionem immutemus, sed ut id impetremus quod Deus dis­
posuit per orationes sanctorum esse implendum; ut scilicet homines postulando mereantur accipere quod eis omni­
potens Deus ante saecula disposuit donare, ut Gregorius dicit, in libro Dialogorum>>.
105
Cfr. ad es., R. RuSSELL, N. MURPHY, A. PEACOCKE (edds), Caos and Complexity. Scientific Perspectives on
Divine Action, Libreria Editrice Vaticana and Center for Theology and The Natural Sciences, Citta del Vaticano -
Berkeley 1995.
106 <<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ad religionem proprie pertinet reverentiam et bono­
rem Deo exhibere. Et ideo omnia ilia per quae Deo reverentia exhibetur pertinent ad religionem. Per orationem
autem homo Deo reverentiam exhibet, inquantum scilicet se ei subiicit, et profitetur orando se eo indigere sicut
auctore suorum bonorum. Unde manifestum est quod oralio est proprie religionis actuS>>.
144 ALBERTO STRUMIA

Tra le obiezioni la piu immediata e quella che considera la preghiera, in quanto


domanda rivolta a Dio per ottenere qualcosa, come contraria alla riverenza e all'ono­
re che gli e dovuto.
La religione riguarda il culto cerimoniale che si offre alia natura divina. Ma l'ora­
zione non sembra costituire un atto di offerta, rna piuttosto un atto di richiesta per otte­
nere da Lui qualcosa. Dunque la religione non e un atto di religione.
[II-II, q. 83, a. 3, ag. 3] 107

A questa obiezione si risponde dicendo che,


pregando, l'uomo consegna a Dio la sua stessa mente, che si sottomente a Lui in un
reverente ossequio e gli si apre innanzi, come risulta chiaramente nella citazione di
Dionigi prima riportata. E percio, cosi come la mente umana e superiore a cio che e
esteriore e aile membra del corpo, e agli atti esteriori del culto di Dio, cosi anche l'o­
razione e superiore agli atti esterni della religione.
[II-II, q. 83, a. 3 ad 3umr08

Se 1' orazione sia 1' atto di una creatura razionale


Questo articolo, pur non nominando direttamente la religione, merita una particola­
re attenzione perche pone il problema del nesso tra la pura e semplice natura raziona­
le dell'uomo e la preghiera. Per cui un essere inferiore all'uomo, non avendo raziona­
lita, non e in grado di pregare. Complementarmente, e questo e pure molto importan­
te per la filosofia della religione, non sembrerebbe indispensabile una natura elevata
dalla grazia per formulare una preghiera, almeno nella forma elementare di domanda
di aiuto ad un Dio del quale non si esclude a priori l'esistenza. In questo senso la pre­
ghiera e, di per se, una manifestazione della religiosita naturale dell'uomo. E di que­
sto sembra si possano reperire, anche scientificamente, delle possibili tracce nei reper­
ti archeologici e paleontologici.
La risposta alia domanda se l'orazione sia un atto che richiede Ia creaturalita e Ia
razionalita del soggetto che lo compie e manifestamente affermativa. L' asciutta argo­
mentazione lascia un po' inappagato il lettore odierno che si aspetterebbe, probabil­
mente, un quadro molto piu ampio di motivazioni. Occorre tuttavia precisare che la
domanda non e «Se sia ragionevole pregare», rna «Se l'atto del pregare richieda Ia
razionalita di un soggetto creato>> che lo compie: un quesito strettamente metafisico­
antropologico e non esistenziale o esperienziale.

107 <<Praeterea, ad religionem pertinere videtur ut quis divinae naturae cultum caeremoniamque afferat. Sed
oralio non videtur aliquid Deo afferre, sed magis aliquid obtinendum ab eo petere. Ergo oralio non est religionis
actus>>.
108 «Ad
tertium dicendum quod orando tradit homo mentem suam Deo, quam ei per reverentiam subiicit et quo­
dammodo praesentat, ut patet ex auctoritate Dionysii prius inducta. Et ideo sicut mens humana praeeminet exte­
rioribus vel corporalibus membris, vel exterioribus rebus quae ad Dei servitium applicantur, ita etiam oralio praee­
minet aliis actibus religionis».
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 145

Come e chiaro per quanta detto, I'orazione e un atto della ragione con il quale uno
prega qualcun altro che e superiore a lui, cosi come il comando e un atto della ragio­
ne con il quale uno ordina qualcosa a un altro che gli e sottoposto. Per cui, propria­
mente, e atto all'orazione chi e dotato di ragione e puo, quindi, pregare un superiore.
Tenendo canto poi, da un Jato che niente e superiore aile Persone divine e, dall'altro
che gli animali bruti non hanna Ia ragione, segue che ne aile Persone divine, ne agli
animali bruti e conveniente pregare, rna solo alia creatura razionale.
[//-//, q. 83, a. 10 co ]109

3.3.2. Gli atti esteriori della religione: adorare, offrire e assumere


L'analisi del trattato passa a considerare, poi, gli atti esteriori propri del culto dovu­
to a Dio, espressione esterna della religione, che vengono classificati come: a) atti di
adorazione, in quanta atteggiamenti del corpo, b) atti di offerta di qualcosa di corpo­
reo a Dio, c) atti di accettazione di qualcosa, in quanta ricevuta come proveniente da
Dio. 1 10

L' adorazione
L'adorazione e manifestamente un atto di religione m quanta esprime riverenza
verso Dio, il che e proprio del culto della religione.111
L'adorazione e ordinata al reverente ossequio di colui che e adorato. E chiaro, da quan­
ta si e detto, che e proprio della religione offrire un reverente ossequio a Dio. Per cui
l'adorazione con Ia quale si adora Dio e un atto di religione.
[//-//, q. 84, a. 1 co] 112

L' atteggiamento interiore di devozione verso Dio, bene si esprime in atti esterni del
corpo che lo accompagnano e lo rendono visibile, in conformita con la natura stessa
dell'uomo che e insieme intellettuale e corporea.

109 <<Respondeo dicendum quod, sicut ex supradictis pate!, oralio est actus rationis per quem aliquis superiorem

deprecatur, sicut imperium est actus rationis quo inferior ad aliquid ordinatur. Illi ergo proprie competit orare cui
convenit rationem habere, et superiorem quem deprecari possit. Divinis autem personis nihil est superius, bruta
autem animalia non habent rationem. Unde neque divinis personis neque brutis animalibus convenit orare, sed pro­
prium est rationalis creaturae>>.
110 <<Deinde considerandum est de exterioribus actibus latriae. Et primo, de adoratione, per quam aliquis suum

corpus ad Deum venerandum exhibet; secundo, de illis actibus quibus aliquid de rebus exterioribus Deo offertur;
tertio, de actibus quibus ea quae Dei sunt assumuntur. Circa primum quaeruntur tria. Primo, utrum adoratio sit
actus latriae. Secundo, utrum adoratio importet actum interiorem, vel exteriorem. Tertio, utrum adoratio requirat
determinationem loci».
111 L'articolo, poi, precisa Ia distinzione tra adorazione (/atria) che si deve solo a Dio e Ia venerazione (dulia)

verso i santi, le immagini, ecc. AJ lema dell' adorazione, san Tommaso dedica una trattazione ampia anche nel capi­
tolo 120 della Summa contra gentiles, nel quale non viene fatta pero menzione esplicita della religio, in quanto in
quel luogo si tratta specificamente del cultus e soprattutto degli errori di coloro che sono incorsi nell'idolatria.
11 2 <<Respondeo dicendum quod adoratio ordinatur in reverentiam eius qui adoratur. Manifestum est autem ex

dictis quod religionis proprium est reverentiam Deo exhibere. Unde adoratio qua Deus adoratur est religion is
actus>>.
146 ALBERTO STRUMIA

Come dice il Damasceno, nel IV libro, poiche siamo composti di una duplice natura,
intellettuale e sensibile, offriamo a Dio una duplice adorazione, e cioe una spirituale,
che consiste nella devozione interiore della mente, e una corporale, che consiste nei
gesti riverenti del corpo. E poiche negli atti di culto cio che e esteriore richiama cio
che e interiore, come cosa principale, cosi l'adorazione esteriore si compie per quella
interiore, perche cioe, mediante i gesti riverenti compiuti con il corpo, provochiamo il
nostro affetto ad immergersi in Dio; perche fa parte della nostra natura arrivare aile
realta intelligibili attraverso le cose sensibili.
[II-II, q. 84, a. 2 cojl 13

I segni e gli atteggiamenti visibili sono, quindi un aiuto all'intelletto per disporsi
interiormente a Dio: «Pur non potendo cogliere Dio con i sensi, tuttavia la nostra
mente viene indotta dai segni a tendere a Dio».114
L'adorazione, poi, non e necessariamente vincolata al luogo dove si manifesta, rna
lo e solo secondariamente, per ragioni di decoro.

Nell'adorazione l'elemento principale e Ia devozione della mente, ed e secondario cio


che riguarda gli aspetti esteriori legati a! corpo.
La mente coglie interiormente Dio come svincolato da un luogo, mentre i segni cor­
porei devono avvenire in un luogo e con un certo orientamento.
Quindi Ia fissazione del luogo non e richiesta come elemento principale, quasi fosse
necessario, per l'adorazione, rna per un motivo di decoro, come del resto tutti gli altri
segni corporei.
[II-II, q. 84, a. 3 co]115

La dimensione sacrificale
11 secondo elemento che caratterizza il culto della religione e costituito da�li atti di
"offerta" di qualcosa a Dio. Questa parte della trattazione e quella nella quale
Tommaso si riferisce esplicitamente a quegli aspetti che si ritrovano anche nella
moderna fenomenologia e storia delle religioni e anche nell'approccio antropologico

113 <<Respondeo dicendum quod, sicut Damascenus dicit, in IV libro, quia ex duplici natura compositi sumus,
intellectuali scilicet et sensibili, duplicem adorationem Deo offerimus, scilicet spiritualem, quae consistit in inte­
riori mentis devotione; et corporalem, quae consistit in exteriori corporis humiliatione. Et quia in omnibus actibus
latriae id quod est exterius refertur ad id quod est interius sicut ad principalius, ideo ipsa exterior adoratio fit prop­
ter interiorem, ut videlicet per signa humilitatis quae corporaliter exhibemus, excitetur noster affectus ad subii­
ciendum se Deo; quia connaturale est nobis ut per sensibilia ad intelligibilia procedamus».
1 14
<<Ad tertium dicendum quod etsi per sensum Deum attingere non possumus, per sensibilia tamen signa mens
nostra provocatur ut tendat in Deum>> (Il·Il, q. 84, a. 2 ad 3"m).
115 <<Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, in adoratione principalior est interior devotio mentis, secun­
darium autem est quod pertinet exterius ad corporalia signa. Mens autem interius apprehendit Deum quasi non
comprehensum aliquo loco, sed corporalia signa necesse est quod in determinato loco et situ sint. Et ideo deter­
minatio loci non requiritur ad adorationem principaliter, quasi sit de necessitate ipsius, sed secundum quandam
decentiam, sicut et alia corporalia signa».
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 147

esperienziale alla religione.116 Espressioni religiose come i sacrifici, le offerte, le pri­


mizie, ecc. oltre che nella tradizione vetero-testamentaria, si trovano in varie forme
nelle diverse religioni non cristiane. Tommaso ne identifica sia la radice "antropologi­
ca" rifacendosi alla "struttura" naturale dell'uomo (dotato di una "anima spirituale",
che opera mediante una "intelligenza" che gli fa conoscere e una "volonta" che lo
orienta verso un fine ultimo, e di un "corpo materiale" che opera attraverso i "sensi") ,
sia la il fondamento "legale", che si risiede nella "legge naturale", iscritta nel cuore
dell'uomo e che e comune, anche se non sempre correttamente compresa, a tutti gli
uomini.
Poi bisogna prendere in considerazione gli atti con i quali si offrono a Dio delle cose
esteriori. A questo proposito occorre esaminare due cose. In primo luogo le offerte che
i fedeli fanno a Dio; in secondo luogo i voti che alcuni formulano come promessa. 11
primo punto riguarda i sacrifici, le offerte, le primizie e le decime.
A proposito del sacrificio si pongono quattro quesiti. Primo, se l'offrire un sacrificio
sia secondo la Iegge naturale. Secondo, se solo a Dio si debba offrire il sacrificio.
Terzo, se offrire un sacrificio sia un atto di una virtu speciale. Quarto, se tutti siano
tenuti ad offrire il sacrificio.
[II-II, q. 85 pr) 117

11 fattore di "natura" che Tommaso rileva, mediante l'esperienza dell'uomo, come


comune a tutti gli uomini e quello che oggi chiameremmo di "dipendenza" da un
Essere superiore («quod apud omnes dicitur Deus»), 118 riscontrato esperienzialmente
nelle carenze della propria condizione («defectus quos in seipso sentit») , e quello che
prelude alla presa di coscienza della creaturalita. Su questa fattore antropologico si
fonda anche la radice legale naturale del sacrificio («ideo oblatio sacrificii pertinet ad
ius naturale��).
La ragione naturale porta l'uomo a riconoscersi dipendente da un essere superiore, a
causa dei limiti che egli avverte in se stesso, per i quali ha bisogno di essere aiutato e
guidato da qualcuno che sia superiore a lui.
E qualunque cosa esso sia, e cio che presso tutti viene detto Dio. Cosi come nelle cose
naturali, in modo naturale le inferiori sottostanno aile superiori, cosi anche la ragione

116 Non a caso Tommaso riporta anche riferimenti di tipo fenomenologico, oltre a considerazioni metafisico­
antopologiche. Ad esempio: «In qualibet aetate, et apud quaslibet hominum nationes, semper fuit aliqua sacrifi­
ciorum oblatio. Quod autem est apud omnes, videtur naturale esse. Ergo et oblatio sacrificii est de iure naturali>>
(II-II, q. 85, a. 1 sc).
1 17 «Deinde considerandum est de actibus quibus aliquae res exteriores Deo offeruntur. Circa quos occurrit
duplex consideratio, primo quidem, de his quae Deo a fidelibus dantur; secundo, de votis, quibus ei aliqua pro­
mittuntur. Circa primum, considerandum est de sacrificiis, oblationibus, primitiis et decimis. Circa sacrificio quae­
runtur quatuor. Primo, utrum offerre Deo sacrificium sit de lege naturae. Secundo, utrum soli Deo sit sacrificium
offerendum. Tertio, utrum offerre sacrificium sit specialis actus virtutis. Quarto, utrum omnes teneantur ad sacri­
ficium offerendum».
118 Si tratta del primo fattore antropologico ed esistenziale che sta alia base del senso religioso come anche noi
lo intendiamo.
148 ALBERTO STRUMlA

naturale porta gli uomini, per un'inclinazione naturale, a dimostrare a colui che e supe­
riore all'uomo, soggezione e onore, nel modo in cui e capace di farlo.
E il modo adatto per l'uomo e quello di servirsi di segni sensibili per esprimersi, in
quanto Ia sua conoscenza si forma attraverso le cose sensibili.
E quindi, dalla ragione naturale deriva il fatto che l'uomo si serva di cose sensibili per
offrirle a Dio, in segno della debita soggezione e di onore, similmente a coloro che
offrono ai loro signori alcune cose per riconosceme Ia signoria.
[II-II, q. 85, a. 1 co] 119

Il sacrificio esteriore non e altro che l'espressione dell'esperienza interiore del­


l'uomo.
L' offerta del sacrificio, si compie per significare qualcosa. II sacrificio che viene offer­
to esteriormente vuole significare un sacrificio interiore, spirituale, con il quale e l'a­
nima stessa che si offre a Dio, come dice il salmo, il mio spirito contrito e sacrificio a
Dio, perche, come si e detto, gli atti esteriori della religione sono ordinati a quelli
interiori.
[II-II, q. 85, a. 2 cor20

Analogamente si deve dire del fondamento naturale dell'offerta di primizie, o altro


a Dio, in segno di onore e riverenza.
Riguarda il diritto naturale il fatto che l'uomo, dalle cose ricevute da Dio, tragga qual­
cosa da offrire in suo onore.
Ma, mentre nell' Antico Testamento, il fatto che le offerte venissero portate a determi­
nate persone, che si trattasse delle primizie, in quale quantita, ecc. veniva determinato
per diritto divino, nel Nuovo Testamento viene definito dalle determinazioni della
Chiesa, per cui tutti sono tenuti ad offrire le primizie secondo Ia patria consuetudine e
le necessita dei ministri della Chiesa.
[II-II, q. 86, a. 4 cor21

11 9 «Respondeo dicendum quod naturalis ratio dicta! homini quod alicui superiori subdatur, propter defectus

quos in seipso senti!, in quibus ab aliquo superiori eget adiuvari et dirigi. Et quidquid illud sit, hoc est quod apud
omnes dicitur Deus. Sicut autem in rebus naturalibus naturaliter inferiora superioribus subduntur, ita etiam natu­
ralis ratio dicta! homini secundum naturalem inclinationem ut ei quod est supra hominem subiectionem et hono­
rem exhibeat secundum suum modum. Est autem modus conveniens homini ut sensibilibus signis utatur ad aliqua
exprimenda, quia ex sensibilibus cognitionem accipit. Et ideo ex naturali ratione procedit quod homo quibusdam
sensibilibus rebus utatur offerens eas Deo, in signum debitae subiectionis et honoris, secundum similitudinem
eorum qui dominis suis aliqua offerunt in recognitionem dominii. Hoc autem pertinet ad rationem sacrificii. Et
ideo oblatio sacrificii pertinet ad ius naturale».
120 «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, oblatio sacrificii fit ad aliquid significandum. Significat autem

sacrificium quod offertur exterius, interius spirituale sacrificium, quo anima seipsam offer! Deo secundum illud
psalm., sacrificium Deo spiritus co11tribulatus, quia, sicut supra dictum est, exteriores actus religionis ad inte­
riores ordinantur».
121 <<Pertinet autem ad ius naturale ut homo ex rebus sibi datis a Deo aliquid exhibeat ad eius honorem. Sed quod

talibus personis exhibeatur, aut de primis fructibus, aut in tali quantitate, hoc quidem fuit in veteri lege iure divi­
no determinatum, in nova autem lege definitur per determinationem ecclesiae, ex qua homines obligantur ut pri­
mitias solvant secundum consuetudinem patriae et indigentiam ministrorum ecclesiae>>.
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 149

Tommaso inserisce, a questa punta della trattazione, anche il capitola sul voto, fino
a svilupparne le implicazioni relative alla consacrazione a Dio propria di colora che
appartengono a un ordine religioso. Ci limitiamo a riportare il respondeo dell'artico­
lo 5 della questione 88, nel quale si mostra come il voto sia un atto della virtu di reli­
gione.

Ogni atto virtuoso ha a che fare con la religione in quanto diretto da questa, per il fatto
di essere ordinato ad un riverente ossequio di Dio, che e il fine proprio del culto di ado­
razione. Far compiere degli atti in ordine al proprio fine e proprio della virtu ordinan­
te, non di queUe che vengono ordinate. Percio l'ordinazione degli atti di qualunque
virtu al servizio di Dio e un atto proprio di culto. E chiaro, da quanto abbiamo gia
detto, che il voto e una promessa fatta Dio; e l'adempimento di una promessa non e
altro che un dirigere cio che si e promesso a colui al quale e stato promesso. Quindi il
voto e un ordinare le cose di cui si e fatto voto al culto, cioe al riverente ossequio di
Dio. Quindi e evidente che il voto e un atto di adorazione, cioe di religione.
[//-//, q. 88, a. 5 cor22

Va rilevato il fatto che il voto e un atto di religione non solo per il cristianesimo, rna
anche in altre religioni, cosi come lo si ritrova nell'antichita presso i greci e i romani.

L'assumere
Sotto i termini generici, difficilmente traducibili, di «assumere», «assumptio»,
Tommaso riunisce quegli atti esteriori della religione con i quali l'uomo accoglie da
Dio qualcosa di sacra, o assume Dio stesso come testimone.
Si vengono, in tal modo, a riunire, sotto un'unica qualificazione, l'atto del ricevere
un sacramento, l'atto del giuramento (sia compiuto in prima persona, che richiesto ad
un'altra persona) e gli atti di invocazione (come preghiera e come lode di Dio).123 La
trattazione del sacramento e rinviata alla Tertia pars della Summa theologiae, 124 men-

122
<<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, omne opus virtutis ad religionem seu latriam pertinet
per modum imperii, secundum quod ad divinam reverentiam ordinatur, quod est proprius finis latriae. Ordinare
autem alios actus in suum finem pertinet ad virtutem imperantem, non ad virtutes imperatas manifestum est autem
ex praedictis quod votum est quaedam imperatas. Et ideo ipsa ordinatio actuum cuiuscumque virtutis in servitium
Dei est proprius actus latriae. Manifestum est autem ex praedictis quod votum est quaedam promissio Deo facta,
et quod promissio nihil est aliud quam ordinatio quaedam eius quod promittitur in eum cui promittitur. Unde
votum est ordinatio quaedam eorum quae quis vovet in divinum cultum seu obsequium. Et sic pate! quod vovere
proprie est actus latriae seu religioniS>>.
123 <<Deinde considerandum est de actibus exterioribus latriae quibus aliquid divinum ab hominibus assumitur,
quod est vel sacramentum aliquod, vel ipsum nomen divinum. Sed de sacramenti assumptione locus erit tractandi
in tertia huius operis parte. De assumptione autem nominis divini nunc agendum est. Assumitur autem divinum
nomen ab homine tripliciter, uno modo, per modum iuramenti, ad propria verba confirmanda; alio modo, per
modum adiurationis, ad alios inducendum; tertia modo, per modum invocationis, ad orandum vel laudandum>> (II­
II, q. 89 pr).
124 cfr. III, qq. 60 e sgg.
150 ALBERTO STRUMIA

tre quella del giuramento viene affrontata direttamente nella Secunda secundae alla
q. 89, ponendo al riguardo ben dieci domande.125

Accenniamo qui solo alla quarta domanda che, riguardando direttamente la virtu di
religione, si ricollega direttamente al nostro argomento. 11 giuramento riguarda la virtu
di religione, in quanta chiamare Dio a testimone significa tributargli onore, ricono­
scendo la sua indefettibile veridicita e onniscienza. E tributare onore a Dio e proprio
della religione.

Colui che giura, invoca il testimone divino a conferma di quanto dice.


Ma non si conferma nulla se non con qualcosa di ben certo e degno. Dunque per il fatto
stesso che l'uomo giura per Dio, lo dichiara assai degno, per il fatto che la sua veridi­
cita e indefettibile e la sua conoscenza universale, e cosi gli rende in certo qual modo
onore.
Per cui 1' Apostolo dice, in Eb 6, che gli uomini giurano per chi e /oro superiore. E
Girolamo, nel commento al Vangelo di Matteo, dice che chi giura venera o ama colui
per il quale giura.
Il Filosofo, poi, dice, nel primo libro della Metafisica, che il giuramento e cosa nobi­
lissima. Ma il tributare rispettoso onore a Dio e proprio della religione e del culto.
Quindi e chiaro che il giuramento e un atto di religione.
[II-II, q. 89, a. 4 cojl26

Anche il giuramento e una forma di atto di religione che si trova presso tutte le cul­
ture e le civilta. Tra gli atti esterni di religione il giuramento e la pratica piu stretta­
mente legata alla legge, essendo adottata nei tribunali come impegno solenne di veri­
dicita per il testimone chiamato a deporre. Risulta, quindi, significativo anche per i1
legame che viene a comportare tra religione, legge naturale e legge positiva propria
dell'ordinamento giuridico di un popolo.

125 <<Primo ergo de iuramento agendum est. Circa quod quaeruntur decem. Primo, quid sit iuramentum. Secundo,

utrum sit Iicitum. Tertio, qui sint comites iuramenti. Quarto, cuius virtutis sit actus. Quinto, utrum sit appetendum
et frequentandum, tanquam utile et bonum. Sexto, utrum Iicea! iurare per creaturam. Septimo, utrum iuramentum
sit obligatorium. Octavo, quae sit maior obligatio, utrum iuramenti vel voti. Nono, utrum in iuramento possit dis­
pensari. Decimo, quibus et quando Iicea! iurare» (II-II, q. 89, pr).
126 <<Respondeo dicendum quod, sicut ex dictis patet, ille qui iurat invocat divinum testimonium ad confirman­
dum ea quae dicit. Nihil autem confirmatur nisi per aliquid quod certius est et potius. Et ideo in hoc ipso quod
homo per Deum iura!, profitetur Deum potiorem, utpote cuius veritas est indefectibilis et cognitio universalis, et
sic aliquo modo Deo reverentiam exhibet. Unde et Apostolus dicit, ad Heb. 6, quod homines per maiores se iurant.
Et Hieronymus dicit, super Matth., quod qui iura!, aut veneratur aut diligit eum per quem iura!. Philosophus etiam
dicit, in I Metaphys., quod iuramentum est honorabilissimum. Exhibere autem reverentiam Deo pertinet ad reli­
gionem sive Iatriam. Unde manifestum est quod iuramentum est actus religionis sive Iatriae>>.
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 151

4 . La religione in specie nei testi di san Tommaso

Nell'opera di san Tommaso d'Aquino non troviamo un trattato sulla religione in


specie, ne tanto meno sulle religioni storiche, tuttavia possiamo reperire, nelle diverse
opere delle "specificazioni" che vengono, di volta in volta, affiancate al lemma «reli­
gio» per qualificarlo in maniera particolare. In questa sezione della ricerca ne daremo
un resoconto che, per quanta possibile, possa essere di qualche utilita in vista di una
teologia delle religioni.

4. 1 . LE DIZIONI «CHRISTIANA REL/G/0», « VERA REL/G/0», «OMNIS REL/G/0», «FALSA

REL/G/0»
Tra le dizioni significative che possiamo reperire esamineremo le seguenti: chri­
stiana religio, vera religio, omnis religio, fa/sa religio. Per quanta riguarda le religio­
ni non cristiane sono stati identificati anche diversi termini come significativi, quali:
paganus, gentilis, infidelis, judaeus, mahumetista.
Esamineremo, in questa sottosezione, i testi di san Tommaso che riguardano le quat­
tro dizioni principali che qualificano le religioni, mentre nei prossimi capitoli III e IV
ci occuperemo dei testi nei quali si fa qualche riferimento alle religioni storiche non
cristiane.

4.1.1. La dizione «christiana religio»


La dizione «christiana religio» compare nelle opere autentiche di Tommaso, in
tutto, 59 volte. La loro distribuzione, nelle sole opere principali e la seguente: IV Sent,
10 volte; CG, 4 volte; Summa Theologiae: I pars, 1 volta; II-II, 6 volte; III pars, 6
volte; Qaestiones quodlibetales, I-IX, 2 volte; In Boethii "De Trinitate ", 6 volte; In
"De divinis nomominibus ", 2 volte.
Essa sta ad indicare, manifestamente, il Cristianesimo, o la dottrina cristiana.
Notiamo come, nelle stesse opere, non compare mai la dizione «religio non christia­
na» che potrebbe essere di qualche interesse in vista di un discorso sulle religioni.
Dunque la dizione «christiana» non viene esplicitamente impiegata come una diffe­
renza specifica, che distinguendo le religioni in cristiane e non cristiane, introduca
anche queste ultime ad un'indagine, rna e piuttosto come equivalente a «Vera», nel
senso pili pieno e perfetto, conformemente con Ia tradizione patristica e agostiniana.

4.1.2. La dizione «vera religio»


La dizione «Vera religio» compare, nelle opere autentiche, 57 volte, comprese le
numerose citazioni del De vera religione di sant' Agostino (33 volte) . Se togliamo que­
sti ultimi riferimenti spuri, la dizione compare genuinamente 24 volte. E interessante
osservare come, invece, Ia dizione «fa/sa religio», che si oppone a «Vera religio», si
152 ALBERTO STRUMIA

trova nelle opere autentiche di Tommaso una sola volta, e per di piu in forma indiret­
ta nella Catena aurea, in una citazione di Agostino: «Augustinus in Ioannem: Omnes
autem qui instituerunt alicuius etiam fa lsa e religion is sectam, negare resurrectio­
nem mentium non potuerunt; sed multi carnis resurrectionem negaverunt».127
Nelle opere principali l'espressione «vera religio» compare 16 volte con la seguen­
te ripartizione: IV Sentiarum, 1 volta; Summa Theologiae: II-II, 14 volte; III pars, 1
volta.
Esaminiamo singolarmente questi testi, incominciando, per ragioni di ordine del
contenuto da quelli della Summa.
Nei testi che seguono, tratti dalla Secunda secundae, si precisano gli elementi che
caratterizzano la vera religio, secondo la lex naturae. La dizione «vera religio» sta qui,
principalmente, per «religione autentica» (ontologicamente vera), e secondariamente
anche per «religione con dei contenuti veri» (verita logica) e implicitamente si inten­
de che puo trattarsi anche di una religione pre-cristiana o, comunque non cristiana,
oltre naturalmente al cristianesimo che e la religione vera nella sua pienezza e com­
pletezza.
Numerosi di questi testi, parlando dei vizi contro la religione, mettono in evidenza
per opposizione, gli elementi che caratterizzano la religione vera, mediante la con­
trapposizione con le loro molteplici forme di corruzione. Altri, di maggiore rilievo per
il nostro scopo, trattano in positivo dei caratteri indispensabili ad una religione per
essere considerata vera.
Raccogliendo i vari elementi, il quadro che ne emerge e il seguente: una religione
puo ritenersi "vera" quando e conforme alla lex naturae, in quanta rende onore all'u­
nico vero Dio (monoteismo), mediante un "vero" culto, che si attua sia mediante atti
"esteriori" che si manifestano mediante "segni visibili" e "pubblici" (santificazione
delle feste, ad es.), sia mediante atti "interiori" (preghiera, devozione, ecc.).
Potrebbe anche sembrare che Tommaso riconoscesse ad una tale religio - che e vera
in quanta conforme alla lex naturae - un qualche valore salvifico in se stessa: Essa e,
infatti, per lui, anche una certa forma difides, suscitata nell'uomo «ex interiori Spiritus
Sancti instinctu»128 e quindi e, in qualche misura (piu o meno esplicita) gia una fides
mediatoris e percio sarebbe salvifica.
In realta, come vedremo nel capitola IV, non pare che si possa trarre questa conclu­
sione dai principi tomisti, in quanta questa fede in Cristo, rimane in parte implicita nelle
religioni e attinge la sua eventuale efficacia salvifica non autonomamente, rna sempre
dalla fede della Chiesa, che e una fede esplicita in Cristo mediatore e salvatore. In que-

127
CA in Joannem, c. 51, c. 7.
128
Cfr. l/-1/, q. 122, a. 4 co. Cfr. sulla fede e l'istinto interiore il gia citato articolo di J. Alfaro.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 153

sto modo, non solo, viene riaffermato da san Tommaso il ruolo unico e insostituibile
di Cristo come salvatore, rna anche il ruolo unico della fede della Chiesa, inseparabi­
le da Cristo che ne e il capo, mediatore unico della salvezza.
Ma ora vediamo di percorrere, attraverso i testi, i riferimenti ai caratteri della vera
religione che abbiamo appena anticipato.

11 monoteismo
Secondo i1 breve testo seguente, ad una vera religione si richiede anzitutto il "mono­
teismo". Si tratta di un sed contra, basato su un'autorita scritturistica e, quindi, la
dizione vera religio si riferisce sinonimamente al cristianesimo. La citazione ha piu
valore di autorita che di argomentazione, e si limita a documentare una verita ricono­
sciuta non solo dalla Rivelazione giudeo cristiana, rna anche da altre tradizioni e dalla
teologia razionale. E lascia intendere che ogni religione monoteista ha qualcosa di
vero, mentre le altre religioni, almeno in questo sono false.
Al contrario, si dice in Ef 4, un solo Dio, una sola fede. Ma la vera religione afferma
la fede in un solo Dio. Per cui la religione e una sola virtu.
[//-//, q. 81, a. 3 scJI29

Questo potrebbe far ritenere, un po' superficialmente, che coloro che seguono una
religione primitiva politeista non possono salvarsi. Ma qui in questione non e tanto la
salvezza individuale che puo avvenire anche attraverso vie straordinarie (indipendenti
da un' appartenenza religiosa) che solo Dio conosce e mette in atto come vuole, quan­
ta la salvezza in forza dell'appartenenza a una religione.no

La preghiera quotidiana
La preghiera quotidiana, in secondo luogo, e una pratica propria che caratterizza
una vera religione (e questo viene detto, quasi incidentalmente per chiarire che cio non
va confuso con la superstizione)
Inoltre, Isidoro dice, nel libro delle Etimologie; che Cicerone ha chiamato supersti­
ziosi co/oro che tutti i giorni pregavano e immolavano sacrifici perche i /oro cari tor­
nassero sani e sa/vi.
Ma questo [la pratica della preghiera quotidiana] puo avvenire anche secondo il culto
della [o di una] vera religione .
[//-//, q. 92, a. 1, ag. 2]n1

129
<<Sed contra est quod dicitur Ephes. 4, unus Deus, una fides. Sed vera religio protestatur fidem unius Dei.
Ergo religio est una virtuS>>.
130
A tale propostio si esprime, ad esempio, il documento della Commissione teologica internazionale: <<Tale
questione non dev'essere confusa con quella della salvezza dei singoli, cristiani o no: di tale distinzione non sem­
pre si e tenuto il dovuto conto» (CTI, n. 8).
131
<<Praeterea, Isidorus dicit, in libro Etymol., superstitiosos ait Cicero appellatos qui totos dies precabantur et
154 ALBERTO STRUMIA

Questa testa accenna in maniera del tutto accidentale al fatto che la dimensione
della preghiera quotidiana e un'altra caratteristica della religione autentica, anche se
non basta da sola a qualificarla come vera.
Nei testi successivi si identificano i caratteri prapri della vera religione in opposi­
zione a quelli delle false forme di religione che si qualificano, quindi, come aberra­
zioni.

La vera religione rende culto solo a chi e dovuto e nel modo dovuto
La superstizione presta il culto a chi non e dovuto. Di qui si ha che una religione,
per essere vera, deve prestare i1 culto al vera Dio.
La superstizione e un vizio che si oppone alia religione, per eccesso, non perche offra
un culto eccessivo rispetto alia vera religione, rna perche lo tributa a chi non deve, o
nel modo in cui non deve.
[//-//, q. 92, a. 1 co]l32

L'adorazione, nella vera religione va resa al vera Dio; non basta adorare qualcuno
o qualcosa perche si possa parlare di vera religione. 133
II nome "adorazione" [!atria] si puo dire in due modi. Nel prima modo puo significa­
re l'atto umano pertinente a! culto divino. E, in questa sensa, non cambia il significa­
to di questo nome "adorazione", chiunque ne sia il destinatario, perche il destinatario
non rientra nella sua definizione. In questo modo "adorazione" si dice univocamente
sia riguardo alia vera religione che all'idolatria, cosi come il pagare il tributo si dice
univocamente sia che lo si paghi a! vero re che a uno falso. In un secondo sensa "ado­
razione" si puo intendere come sinonimo di religione. E in tal modo, intendendo con
questa termine Ia virtu [di religione ], per sua definizione si ha che il culto deve essere
tributato solo a colui a! quale spetta. In questa secondo senso, "adorazione" si dice in
modo equivoco dell'adorazione secondo Ia vera religione e secondo l'idolatria, cosi
come "prudenza" si dice in modo equivoco della prudenza come virtu e della pruden­
za che riguarda il desiderio della carne.
[//-//, q. 94, a. 1 ad 2um] 134

immolabant ut sui sibi liberi superstites fierent. Sed hoc etiam fieri potest secundum verae religionis cultum.
Ergo superstitio non est vitium religioni oppositum>>.
132 <<Superstitio est vitium religioni oppositum secundum excessum, non quia plus exhibeat in cultum divinum
quam vera religio, sed quia exhibet cultum divinum vel cui non debet, vel eo modo quo non debet>>.
133 II compito di stabilire quale sia il vero Dio e affidato alia conoscenza razionale che puo conosceme l'esi­
stenza e gli attributi principali (cfr. il trattato De Deo uno, I, qq. 3-14) -e alia Rivelazione. In mezzo si collocano
le religioni con i loro semina Verbi.
134 <<Ad secundum dicendum quod nomen latriae dupliciter accipi potest. Uno modo potest significare humanum
actum ad cultum Dei pertinentem. Et secundum hoc, non variatur significatio huius nominis latria, cuicumque
exhibeatur, quia illud cui exhibetur non cadet, secundum hoc, in eius definitione. Et secundum hoc latria univoce
dicetur secundum quod pertinet ad veram religionem, et secundum quod pertinet ad idololatriam, sicut solutio
tributi univoce dicitur sive exhibeatur vero regi, sive falso. Alio modo accipitur latria prout est idem religioni. Et
sic, cum sit virtus, de ratione eius est quod cultus divinus exhibeatur ei cui debet exhiberi. Et secundum hoc latria
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 155

La vera religione e la legge naturale espressa in forma rivelata nel Decalogo


Veniamo, ora, a testi molto piu ampi e dettagliati dal punto di vista dell'argomenta­
zione. Nei passi che esaminano i comandamenti del Decalogo,135 san Tommaso riper­
cone, in modo molto bello, alcuni degli argomenti che ha gia esposto nel trattato De
religione, che abbiamo esaminato in precedenza (cfr. §2.1), mostrando come il
Decalogo stabilisca una sorta di "saldatura ufficiale" tra la legge naturale e la
Rivelazione. 11 fatto che il primo comandamento sia quello di adorare un solo Dio,
escludendo l'idolatria, sancisce, in questo, una sorta di legame tra la verita della reli­
gione e la legge naturale. San Tommaso, in questo respondeo che intende giustifica­-

re l'opportunita del primo comandamento del Decalogo - illustra la necessita razio­


nale della vera religione come fondamento indispensabile al comportamento umano,
verita che la Rivelazione svela alla ragione illuminando un contenuto che essa gia di
per se e in grado di raggiungere. Come a dire che senza la vera religione e impensabi­
le sia fare leggi buone, sia sperare che gli uomini le seguano per migliorare la convi­
venza civile. Senza il fondamento della vera religione l'uomo peggiora, la societa
diviene invivibile, e le leggi arbitrarie e inefficaci.136
L'argomentazione, seguendo la linea della teoria aristotelica della generazione, si
compone di due parti. Nella prima 1' Aquinate spiega quale sia, in positivo, il compito
di una legge:
La Iegge ha il compito di fare in modo che gli uomini siano buoni. Percio i precetti
della Iegge devono seguire lo stesso ordine della generazione, in modo che, seguen­
dola, l'uomo possa diventare buono. Nell'ordine della generazione si devono seguire
due cose. La prima e che in primo luogo si ponga cio che deve essere al primo posto,
come avviene nell' ordine di generazione degli animali nel quale per primo viene gene­
rato il cuore, e nella costruzione di una casa, dove per prime vengono poste le fonda­
menta. Per la bonta dell'anima la prima cosa e la bonta della volonta, a partire dalla
quale l'uomo usa bene di ogni altro bene. La bonta della volonta e rivolta a! suo ogget­
to che e il fine. E percio in colui che, mediante Ia Iegge, deve essere indirizzato alla
virtu, occorre porre quella sorta di fondamento che e Ia religione, per Ia quale l'uo­
mo e ordinato a Dio, che e !'ultimo fine della volonta.
Nella seconda parte - seguendo i1 realismo della tradizione greca131 e ancor piu quel­
lo della Rivelazione che documenta come l'uomo, a causa del peccato, sia incapace di
riuscire ad essere stabilmente buono senza l'ausilio della grazia - spiega come la legge

aequivoce dicetur de !atria verae religionis, et de idololatria, sicut prudentia aequivoce dicitur de prudentia quae
est virtus, et de prudentia quae est camis».
135 II-II, q. 122. Sulla Iegge divina rivelata agli uomini cfr. anche CG, L. 3, cc. 1 14-121.
136 Questa tesi tomistica e stata ripresa e sostenuta recentemente in R.M. PIZZORNI, Diritto, morale, religio11e,

op. cit. (cfr. supra, Introduzione).


137 Cfr. ad esempio questa illuminata dichiarazione di Platone: <<Occorre che tu abbia ben chiaro che non sba­
glierai dicendo che qualunque cosa [ . . . ] riesca a salvarsi e diventi quale deve essere, deve Ia sua salvezza a un
intervento divino>> (Platone, Repubblica, libro VI, 493).
156 ALBERTO STRUMlA

abbia anche un compito negativo, volta a rimuovere cia che e di impedimenta al fine
che essa si propane:

In Secondo luogo, nell'ordine della generazione bisogna rimuovere cia che le e con­
trario e di impedimento, cosi come fa il contadino che prima ripulisce il campo e poi
semina, come dice Gr 4, rinnovatevi, rinnovatevi e non vogliate seminare sulle spine.
E per quanto riguarda la religione, bisognava per prima cosa indirizzare l'uomo a
rimuovere gli impedimenti alla vera religion e . 11 maggiore impedimenta alla reli­
gione e quello di aderire a un falso dio, come dice Mt 6, non potete servire a Dio e a
Mammona.
Per questo nel primo precetto della Legge si esclude il culto dei falsi dei.
[II-II, q. 122, a. 2 coJ l38

II Decalogo, quindi, dopa aver indicato il fondamento della vera religione, con altri
comandamenti, prevede la rimozione degli ostacoli; in particolare nei confronti della
religione, con i comandamenti della prima Tavola («Bisogna prima rimuovere gli
impedimenti alia vera religione, in colui che deve essere diretto alia virtu, per pater
porre in lui le basi della vera religione» ) . Viene, cosi, riproposta sinteticamente,
seguendo l'esame del Decalogo, quella stessa dottrina circa la superstizione e l 'irreli­
giosita (che tratteremo nel capitola V, dedicato alia corruzione della religione) che e
presentata nel trattato sulla religione.

Ora ci sono due modi nei quali qualcosa pua opporsi alla vera religione. Un modo,
per eccesso, cioe quando cia che e proprio della religione viene offerto indebita­
mente a qualcos'altro, e questo riguarda la superstizione. L'altro modo, si ha come per
un difetto di ossequio reverenziale, quando si disprezza Dio, e riguarda, come si e gia
detto, l'irreligiosita. La superstizione impedisce la religione per il fatto che non si
assume Dio come oggetto dell'adorazione. Chi, infatti, ha l'animo impegnato in un
culto indebito non pua nello stesso tempo offrire il debito culto a Dio, secondo Is 28,
troppo stretto e il letto, perche un altro possa giacervi - cioe un Dio vero e un dio falso
possano stare nel cuore dell'uomo - e troppo corta Ia coperta perche possa coprire
entrambi. E l'irreligiosita impedisce alla religione di onorare Dio, dopo averlo
appreso. Prima, infatti, bisogna accoglierlo per poterlo poi onorare. Per questo viene

138 «Respondeo dicendum quod ad legem pertinet facere homines bonos. Et ideo oportet praecepta legis ordi­
nari secundum ordinem generationis, qua scilicet homo fit bonus. In ordine autem generationis duo sunt atten­
denda. Quorum primum est quod prima pars primo constituitur, sicut in generatione animalis primo generatur cor,
et in domo primo fit fundamentum. In bonitate autem animae prima pars est bonitas voluntatis, ex qua aliquis
homo bene utitur qualibet alia bonitate. Bonitas autem voluntatis attenditur ad obiectum suum, quod est finis. Et
ideo in eo qui erat per legem instituendus ad virtutem, primo oportuit quasi iacere quoddam fundamentum reli­
gionis, per quam homo debite ordinatur in Deum, qui est ultimus finis humanae voluntatis. Secundo attendendum
est in ordine generationis quod primo contraria et impedimenta tolluntur, sicut agricola primo purgat agrum, et
postea proiicit semina, secundum illud Ierem. 4, novate vobis novale, et nolite serere super spinas. Et ideo circa
religionem primo homo erat instituendus ut impedimenta verae religionis excluderet. Praecipuum autem impe­
dimentum religionis est quod homo falso deo inhaereat, secundum illud Matth. 6, non potestis servire deo et
mammonae. Et ideo in primo praecepto legis excluditur cultus falsorum deorum».
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 157

premesso il comandamento che proibisce Ia superstizione a quello che proibisce l'ir­


religiositil.
[II-II, q. 122, a. 3 cojl39

L 'interiore istinto della Spirito Santo


Dopo aver chiarito che cosa si oppone alla verita della religione, Tornrnaso giunge a
caratterizzare in positivo l'essenza della vera religione, in rapporto alla legge naturale,
espressa nel Decalogo. In conclusione la religione e da ritenersi "vera" quando rende
un onore "vero" al Dio "vero". Nel testo seguente tali caratteri di verita del "vero onore"
vengono ricavati dal Decalogo che, come abbiamo gia evidenziato, sintetizza in una
forma rivelata, il contenuto della stessa la legge naturale: tolti gli impedimenti alla vera
religione, con il primo e il secondo comandamento, con il terzo comandamento viene
dato il fondamento della vera religione, il cui compito e quello di dare il culto a Dio.
Tommaso richiama la necessita antropologica e cognitiva (legata alla sua teoria della
conoscenza), pienamente rispettata anche nel metodo comunicativo della Scrittura, di
far passare la conoscenza delle realta divine invisibili attraverso cose corporee, visibili
e sensibili, e quindi il legame tra religione e culto esteriore:
II compito della religione, infatti, e quello di dare culto a Dio. E, come nella Scrittura
le realta divine ci vengono comunicate attraverso delle similitudini con le cose corpo­
ree, cosi il culto esteriore si offre a Dio mediante un qualche segno visibile.
[II-II, q. 122, a. 4 co]
11 seguito di questo passo e particolarmente importante, anche perche, a differenza
dei precedenti, parla dell'azione dello Spirito Santo, che viene chiamato in causa come
origine degli atti interiori della religione (orazione e devozione). Ed e interessante
anche il terrnine con cui viene indicato il suo modo di agire, che e qualificato come un
«istinto» ( «instinctu»).
E poiche al culto interiore, che consiste nella orazione e nella devozione, l'uomo e
indotto piu da un interiore istinto dello Spirito Santo [che non da un precetto], il
comandamento della Legge e stato dato riguardo al culto esteriore, indicando un segno
tangibile. E dal momenta che i precetti del Decalogo sono un po' come dei principi

139 «Respondeo dicendum quod oportet prius impedimenta verae religion is excludere in eo qui instituitur ad
virtutem, quam eum in vera religione fundare. Opponitur autem verae religioni aliquid dupliciter. Uno modo,
per excessum, quando scilicet id quod est religion is alteri indebite exhibetur, quod pertinet ad superstitionem.
Alio modo, quasi per defectum reverentiae, cum scilicet Deus contemnitur, quod pertinet ad vitium irreligiosita­
tis, ut supra habitum est. Superstitio autem impedit religionem quantum ad hoc, ne suscipiatur Deus ad colen­
dum. llle autem cui us animus implicatus est indebito cultui, non potest simul debitum dei cultum suscipere, secun­
dum illud Isaiae 28, angustatum est stratum, ut alter decidat, scilicet Deus verus vel falsus a corde hominis, et pal­
lium breve utrumque operire non potest. Per irreligiositatem autem impeditur religio quantum ad hoc, ne Deus,
postquam susceptus est, honoretur. Prius autem est Deum suscipere ad colendum quam eum susceptum honorare.
Et ideo praemittitur praeceptum quo prohibetur superstitio secondo praecepto, quo prohibetur periurium, ad irre­
ligiositatem pertinens>>.
158 ALBERTO STRUMIA

primi comuni della Iegge, percio nel terzo comandamento comanda il culto esteriore
di Dio, mediante un segno che sia di beneficio per tutti, che riguarda tutti, rappresen­
tativo dell'opera della creazione del mondo, nella quale, si dice che Dio si riposo il set­
timo giorno. Come segno di questo [riposo di Dio] viene comandato di santificare il
settimo giorno, dedicandolo a! riposo per [onorare] Dio. Per questo, in Es 20, dopo
aver premesso il comandamento della santificazione del sabato, ne assegna Ia ragione:
perche in sei giorni Dio ha fatto if cielo e Ia terra, e nel settimo si riposo.
[ibidem] l40

L'istinto, nel mondo animale, e qualcosa di naturale, per cui parlare di un'azione
soprannaturale come quella dello Spirito Santo, all'origine degli atti interiori della reli­
gione, nella prospettiva di san Tommaso, puo significare due cose: da un lato l'azione
causale naturale (metafisica) degli atti umani di religione, che sono l'orazione e la
devozione; dall'altro l'azione soprannaturale di Dio che donando la grazia muove ad
un atto che e espressione di una fede che e si soprannaturale, rna non in modo del tutto
esplicito.
Questi atti, in entrambi i casi, sono opera del Dio "uno", in quanto operazioni ad
extra, dalla Trinita come un unum verso la creatura, e si attribuiscono allo Spirito
Santo in quanto atti di conoscenza e di amore.

I segni visibili nelle religioni


11 tema della necessita, per una vera religione, di darsi dei segni visibili e materiali,
il cui valore e antropologico-cognitivo (la conoscenza umana va dal sensibile all'im­
materiale e fa conoscere le realtil. spirituali attraverso quelle corporee) e culturale­
sociale (i segni visibili rendono riconoscibili, tra loro e agli altri, i membri di una stes­
sa religione), viene ricollegato dall' Aquinate, anche con la teologia dei sacramenti (la
celebrazione comune di uno stesso sacramento e segno della piena comunione) rifa­ ,

cendosi a sant' Agostino (cfr. III, q. 61, a. 1 sc).141

140 <<Ad religionem autem pertinet cultum Deo exhibere. Sicut autem in scriptura divina traduntur nobis sub
aliquibus corporalium rerum similitudinibus, ita cultus exterior Deo exhibetur per aliquod sensibile signum. Et
quia ad interiorem cultum, qui consistit in oratione et devotione, magis inducitur homo ex interiori Spiritus Sancti
instinctu, praeceptum legis dandum fuit de exteriori cultu secundum aliquod sensibile signum. Et quia praecepta
decalogi sunt quasi quaedam prima et communia legis principia, ideo in tertia praecepto decalogi praecipitur exte­
rior dei cultus sub signa communis beneficii quod pertinet ad omnes, scilicet ad repraesentandum opus creationis
mundi, a quo requievisse dicitur Deus septimo die, in cuius signum, dies septima mandatur sanctificanda, ides!
deputanda ad vacandum Deo. Et ideo Exod. 20, praemisso praecepto de sanctificatione sabbati, assignatur ratio,
quia sex diebus fecit Deus caelum et terram, et in die septimo requievit>>.
141
<<Sed contra est quod Augustinus dicit, XIX Comra Faust., in nullum nomen religionis, seu verum seu fat­
sum, coadunari homines possunt, nisi aliquo signaculorum vel sacramentorum visibilium consortia colligentur.
Sed necessarium est ad humanam salutem homines adunari in unum verae religionis nomen. Ergo sacramenta
sunt necessaria ad humanam salutem>>.
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 159

11 contesto in cui viene introdotto e quello del trattato dei sacramenti in genere dove
si sostiene la necessita dei sacramenti come "segni visibili" e materiali delle realta spi­
rituali che significano cio che operano, come spiega il corpo dell' articolo. Significative
per il nostro oggetto (la religione) sono qui le considerazioni antropologico-filosofi­
che, piu che quella teologica che riguarda propriamente il tema sacramentario. La
necessita di segni corporei, visibili e tangibili e fondata sulla teoria cognitiva di san
Tommaso, che ritiene che ogni conoscenza parta dai sensi e solo per astrazione giun­
ga a cogliere le realta immateriali: la «condizione della natura umana» e tale «che, per
sua caratteristica propria, viene condotta alle realta spirituali e intelligibili attraverso
le cose corporee e sensibili». Per questa anche nell'ambito della religione sono sem­
pre necessari, e di fatto sono presenti, dei segni corporei, esteriori, ben visibili. E il cri­
stianesimo non fa eccezione: e anzi alla motivazione antropologica aggiunge quella
teologica, rappresentata dalla "logica" dell'incarnazione: «la divina Provvidenza prov­
vede a ciascuna cosa secondo le modalita proprie della condizione di quella cosa. E,
dunque, conveniente che la Sapienza divina dia agli uomini gli aiuti per la salvezza,
mediante quei segni visibili e sensibili che chiamiamo sacramenti».
Vi e, poi, una ragione che potremmo qualificare di ordine culturale, o anche psico­
logico-sociale, derivante dall'abitudine ad un certo modo di lavorare degli uomini,
«dalle caratteristiche dell'impegno delle azioni umane che ha a che fare principal­
mente con le cose materiali. Perche non fosse troppo duro per l'uomo il doversi stac­
care del tutto dalle azioni corporee, gli sono stati proposti dei compiti corporei».
Tommaso si riferisce qui espressamente ai sacramenti, rna in certa misura, quanta
affermato, vale anche per gli atti di culto e i riti religiosi in genere, quando siano auten­
tici e non inquinati da «quegli esercizi superstiziosi che consistono nel culto dei demo­
ni e in qualunque altra cosa nociva che viene dal peccato».142

142 Riportiamo, per completezza e chiarezza, l'intero corpo dell'articolo: <<Respondeo dicendum quod sacra­

menta sunt necessaria ad humanam salutem triplici ratione. Quorum prima sumenda est ex conditione humanae
naturae, cuius proprium est ut per corporalia et sensibilia in spiritualia et intelligibilia deducatur. Pertinet autem
ad divinam Providentiam ut unicuique rei provideat secundum modum suae conditionis. Et ideo convenienter divi­
na Sapientia homini auxilia salutis confer! sub quibusdam corporalibus et sensibilibus signis, quae sacramenta
dicuntur. Secunda ratio sumenda est ex statu hominis, qui peccando se subdidit per affectum corporalibus rebus.
Ibi autem debet medicinale remedium homini adhiberi ubi patitur morbum. Et ideo conveniens fuit ut Deus per
quaedam corporalia signa hominibus spiritualem medicinam adhiberet, nam, si spiritualia nuda ei proponerentur,
eius animus applicari non posse!, corporalibus deditus. Tertia ratio sumenda est ex studio actionis humanae, quae
praecipue circa corporalia versatur. Ne igitur esse! homini durum si totaliter a corporalibus actibus abstraheretur,
proposita sunt ei corporalia exercitia in sacramentis, quibus salubriter exerceretur, ad evitanda superstitiosa exer­
citia, quae consistunt in cultu daemonum, vel qualitercumque noxia, quae consistunt in actibus peccatorum. Sic
igitur per sacramentorum institutionem homo convenienter suae naturae eruditur per sensibilia; humiliatur, se cor­
poralibus subiectum recognoscens, dum sibi per corporalia subvenitur; praeservatur etiam a noxiis corporalibus per
salubria exercitia sacramentorum>> (III, q. 61, a. 1 co).
160 ALBERTO STRUMIA

Sembra di poterne trarre in qualche modo, tra 1' altro, anche la conseguenza che
riduzioni eccessivamente spiritualiste, intimiste, sentimentali rendono non "vera",
incompleta la religione anche dal punto di vista puramente antropologico.

La relazione con Cristo in ordine alla salvezza


11 testo del quarto libro del commento alle Sentenze contiene una sottolineatura
estremamente importate in merito al fatto che la salvezza e, comunque essa giunga,
sempre operata da Cristo e dovuta ad una qualche forma di relazione con Lui. E que­
sto suggerisce che non sia pensabile alcun valore salvifico di una religione non cri­
stiana, concepito autonomamente da Gesu Cristo, unico salvatore.
11 contesto in cui questa precisazione emerge, e quello nel quale si tratta del
Battesimo dei bambini, dove Tommaso si chiede se 1' efficacia del Battesimo sia suffi­
ciente, per la salvezza, anche in assenza di un segno di assenso, come avviene invece
nel caso degli adulti. Sono interessanti due osservazioni: a) la prima si trova nell'o­
biezione, nella quale si evidenzia il dato fenomenologico e culturale che, in ogni reli­
gione (vera o falsa), le persone vengono sempre aggregate attorno un "segno visibile",
rifacendosi allo stesso testo agostiniano che abbiamo appena richiamato; 143 b) la secon­
da, di carattere teologico, paragona l'efficacia del Battesimo dei bambini - senza alcun
segno visibile da parte loro, oltre alla fede degli adulti che ne chiedono il Battesimo -
all'efficacia che aveva la fede in Dio per la salvezza, prima della nascita di Cristo (tem­
pore legis naturae), che non si accompagnava ad alcun segno sacramentale.

Cio per cui gli uomini, al tempo della Iegge naturale, venivano aggregati nella vera
religione, non aveva efficacia se non per Ia fede; e percio non era necessaria [alcun
segno] che li facesse conoscere gli uni agli altri, rna questo veniva celebrato come "in
voto".
[N Sent, d. 1, q. 2, a. 6b, ad 1um]144

11 motivo di tale efficacia della fede, al tempo della sola legge naturale, risiede nel
rapporto stabilito (<ifacta relatione») con Cristo, unico salvatore, che attraverso la fede
sincera in Dio viene, in qualche modo, garantito. 11 segno esteriore, quando e presen­
te, ha solo la funzione di manifestare pubblicamente la fede interiore.

143 «Videtur quod fides non suffecerit sine aliquo exteriori signo. Dicit enim Augustinus contra Faustum, quod
in nullum nomen religionis, sive verum, sive falsum, poterant homines sine aliquo signo visibili adunari. Sed per
illud quo originale deletur, homines in religionem verae fidei adunantur: quia oportet hujusmodi remedium esse
intrantium. Ergo oportebat quod fieret aliquo visibili signo» (IV Sent, d. 1 , q. 2, a. 6b, ag. 1).
144 «Ad primum ergo dicendum secundum hoc, quod illud per quod homines tempore legis naturae in veram

religionem congregabantur, non habebat virtutem nisi ex fide; et ideo non erat necessitatis, sed pro voto cele­
brabatur, ut unus alii innotesceret>>.
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 161

II peccato originale e un peccato di natura: rna Ia natura non poteva essere riparata se
non da Cristo; e dunque il peccato originale di nessuno poteva essere rimesso se non
attraverso una relazione, e una certa continuita da parte di colui che doveva essere
curato, con Cristo, Ia quale avveniva tramite Ia fede; perci<) Ia fede del mediatore fu
sempre efficace per sanare il peccato originale: in coloro che avevano l'uso di ragio­
ne, era Ia loro propria fede; negli altri era Ia fede altrui, [prestata] affinche non man­
casse loro del tutto il rimedio divino.
[IV Sent, d. 1, q. 2, a. 6 coJl45

Da questo testo, in particolare, risulta ben chiaro come per Tommaso fosse fuori dis­
cussione il principia, gia esposto nel capitolo precedente, secondo il quale il potere
salvifico e sempre e comunque in rapporto a Cristo che e l'unico soggetto che opera
la salvezza. Ma questo testo ci offre un elemento in piu per cercare di spiegare il
"modo" in cui avviene il "raccordo" tra colui che viene salvato senza conoscere Cristo
e la salvezza operata da Cristo. 11 termine che qui appare decisivo per stabilire il rap­
porto con Cristo che opera la salvezza e «fides». 11 passaggio logico, almeno implici­
to, e il seguente: colui che ha conosciuto Cristo (mediante l'annuncio del Vangelo) si
salva per la "fede" in Cristo mediatore; rna non si danno altri modi di rapporto con
Cristo mediatore al di fuori della "fede"; quindi anche chi non ha conosciuto Cristo,
qualora si salvi, puo salvarsi solo mediante la "fede" in Cristo mediatore.
Ma come puo questa fides mediatoris, per poter essere salvifica, essere efficace
prima di Cristo ed essere data a chi non ha conosciuto Cristo?
In risposta al primo quesito si deve ammettere che questa fede nel mediatore fu sem­
pre salvifica, in quanto efficace in ordine alla restituzione della grazia, perduta dal­
l'uomo con il peccato originate («fides medi<itoris146 semper fuit efficax ad curandum
ab originali»).
In risposta al Secondo quesito, che e quello che qui piu direttamente ci interessa,
viene chiamata in causa quella religio che viene detta vera per rapporto alla lex natu­
rae ( «illud per quod homines tempore legis naturae in veram religionem congrega­
bantur, non habebat virtutern nisi ex fide»). Sembra, dunque, legittimo concludere che
a partire dai principi tomisti: la vera religio che tempore legis naturae, cioe prima di
Cristo, non poteva essere il Cristianesimo visibile nella Chiesa, ha un potere salvifico
e che, comunque, il potere salvifico della vera religio deriva dalla fides mediatoris e
non e in alcun modo indipendente da Cristo.

145 «Respondeo dicendum, quod peccatum originale est peccatum naturae: natura autem reparari non poterat nisi
per Christum; et ideo nunquam poterat remitti peccatum originale alicujus nisi facta relatione, et quadam conti­
nuatione illius qui curari debebat, ad Christum, quod per fidem fiebat; et ideo fides mediatoris semper fuit efficax
ad curandum ab originali: in illis quidem qui usum liberi arbitrii habebant, propria; in aliis vero aliena, ut nee eis
omnino deesset divinum remedium».
146 Si tratta, evidentemente di un genitivo oggettivo, quindi della "fede in Cristo mediatore".
162 ALBERTO STRUMiA

Ma perche cio possa accadere occorre che vi sia una qualche relazione tra la vera
religio e la fides mediatoris. Di questa legame reperiamo un indizio la dove si afferma
che «fides est primum eorum quae ad religionem requiruntur: quia omnis religio, sive
cultus Dei, est quaedam fidei protestatio».147 Ogni religione e, per Tommaso, in qual­
che modo una confessione, una dichiarazione (protestatio) di fede e la vera religio
- quella che anche prima di Cristo e Secondo la lex naturae e capace di attingere, in -

qualche modo, alla fede nel mediatore per pater essere salvifica. Si direbbe che que­
sta fides e qualcosa di piu di una semplice fides implicita, perche quest'ultima coin­
volge l'individuo dalla retta volonta singolarmente preso, indipendentemente dalla sua
appartenenza a una religione. Invece questa fides mediatoris e legata strettamente alla
fede che si richiede per aderire a una vera religio, e anche se solo inconsapevolmente
e in relazione a Cristo. Si direbbe che e una sorta di fides che si attua attraverso la
mediazione di una vera religio (non cristiana) senza la piena consapevolezza del suo
oggetto (Cristo) del quale la religione vera coglie solo alcuni aspetti, e senza sapere
che appartengono a Lui.
Cercheremo di approfondire questa problema e di trovare una risposta, mediante
un'applicazione di quanta proposto nei testi di san Tommaso, nel quarto capitola del
nostro lavoro. Ad approfondire il problema della verita della religione sara dedicato,
invece, i1 prossimo capitola, trattandosi di uno dei punti nodali anche per 1' odierna teo­
logia della religione. Per ora proseguiamo la nostra rassegna dei testi di san Tommaso.

4.1.3. La dizione «omnis religio»


La dizione «omnis religio», a differenza della formula «vera religio», comporta in
se stessa la ammissibilita di una pluralita di religioni, ciascuna delle quali e accomu­
nata ad altre da caratteristiche che permettono di qualificarla come religione. I due
testi significativi in tal sensa sono i seguenti.148

Ogni religione ha dei segni esteriori


11 prima testa e una variante di alcuni precedentemente citati (III, q. 61, a. 1 sc;
IV Sent, d. 1, q. 2, a. 6b, ag. 1).

AI contrario, Agostino dice nel Contra Faustum, che ogni religione ha dei segni este­
riori, per compiere i quali ci si raduna per onorare Dio. Ma nella Chiesa di Dio, dopo
il peccato in questa mondo peregrinante, risiede la verissima religione.

147 Cfr. infra, §4.1.3, a proposito della dizione «Omnis religio».


148 Al solito abbiarno tralasciato gli innumerevoli passi che si riferiscono alia vita religiosa, nei quali omnis reli­
gio significa ciascuna regola, con riferimento ai diversi ordini religiosi.
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 163

Quindi bisogna che in essa vi siano dei segni di questo genere: questi sono i sacra­
menti; per questo di essi abbiamo bisogno.
[N Sent, d. 1, q. 1, a. 2 scjl49

Significativo il superlativo «Verissima» attribuito alla religione cristiana che risiede


nella fede della Chiesa, quasi ad indicare una pienezza e una gradualita che non esclu­
de aspetti di verita, parziali, in altre religioni.

Ogni religione e una manifestazione di una qualche forma di fede


Questo breve testo contiene una dichiarazione davvero importante, dal punto di
vista teologico, per una teologia delle religioni: ogni religione e una manifestazione di
una qualche forma di fede («quaedam fidei protestatio»).
La fede e la prima cosa che si richiede nella religione: perche ogni religione, o culto
di Dio, e una manifestazione di una qualche forma di fede.
[N Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4um] 150

lnfatti una religione propane da credere come vere alcune formule, non preoccu­
pandosi di dimostrarle, come fosse una filosofia o una scienza. E questa fede puo non
essere puramente umana, rna divenire salvifica nella misura in cui si relaziona, anche
implicitamente, con Ia fede in Cristo. Inoltre puo essere rivelativa di verita che non
sono solo razionali, rna soprannaturali, presenti in forma compiuta solo nella
Rivelazione cristiana (semina Verbi).

5. Conclusioni relative al secondo capitolo

AI termine di questo capitola, nel quale abbiamo cercato di presentare una prima
rassegna, commentata, dei principali testi di san Tommaso sulla religione (soprattutto
quelli nei quali il lemma «religio>> viene utilizzato espressamente), possiamo gia trar­
re a}cune conclusioni provvisorie.
a) Nei testi abbiamo anzitutto trovato una definizione di religione di carattere uni­
versale, ben radicata sia nella tradizione filosofico-giuridica greco-romana (soprattut­
to in Cicerone come autore privilegiato di riferimento) e cristiana (avendo come auto­
re di riferimento sant' Agostino) . Per Tommaso non esistono solo le religioni storiche,
sulle quali non si sofferma che incidentalmente, rna Ia "religione" nella sua dimensio-

149 <<Sed contra, Augustinus dicit contra Faustum, quod omnis religio habuit aliqua signa exteriora, in quibus
conveniebant ad Deum colendum. Sed in ecclesia Dei, post peccatum in hoc mundo peregrinante, est verissima
religio. Ergo oportet in ea esse hujusmodi signa: et haec sunt sacramenta; ergo indigemus eis».
150 <<Ad quartum dicendum, quod fides est primum eorum quae ad religionem requiruntur: quia omnis reli­
gio, sive cultus Dei, est quaedam fidei protestatio».
164 ALBERTO STRUMIA

ne universale, ed e di questa che egli da una definizione e un'analisi filosofico-teolo­


gica. Si tratta di una definizione e di un' analisi fondata su dati di carattere fenomeno­
logico e psicologico-esperienziale (e su questa gli studi moderni concordano sostan­
zialmente con i risultati dell'indagine di Tommaso), rna condotta fino a raccordarsi con
l'antropologia, Ia scienza cognitiva, Ia metafisica e Ia teologia dogmatica e morale.
Anche se il contesto di inquadramento e, nella quasi totalita dei testi, nell' ambito della
dottrina morale delle virtu e, in particolare della giustizia, Ia teoria della religione che
egli presenta non e solamente una dottrina morale. L'Aquinate non si accontenta di un
inquadramento puramente descrittivo o convenzionale, rna propane una teoria ogget­
tivamente fondata.
b) La concezione della religione che emerge presenta Ia dimensione religiosa come
qualcosa che si esprime anche con atti esterni di culto pubblico, e non solo a livello
interiore, spirituale, psicologico, intima. La comunita di colora che professano una
religione e radunata intorno a segni-gesti materiali ben visibili, che permettono di rico­
noscersi tra loro e di essere riconosciuti dagli altri nella vita sociale. La religione, dun­
que, e per Tommaso un fattore sociale a carattere pubblico e non un fatto privata e inti­
mistico.
c) A partire dai testi esaminati possiamo gia indicare che, per Tommaso, il criteria
principale e minimale di verita di una religione risiede nella sua non difformita dalla
Iegge naturale, soprattutto per quanta riguarda l'autenticita della religione. E altret­
tanto chiaro che I' Aquinate, immune da ogni relativismo religioso, ritiene che Ia reli­
gione cristiana sia l'unica vera nella sua totalita, pur potendovi essere elementi di veri­
til neUe religioni non cristiane.
d) Nei testi esaminati si affaccia anche I' affermazione, non ancora spiegata, secon­
do Ia quale in ogni religione e presente una forma di fede. AI rapporto fede-ragione, e
al sensa in cui si debba intendere questa forma di fede, della quale ogni religione e una
manifestazione e una professione, sara dedicato il capitola IV, nel quale si fara ricor­
so a numerosi altri passi tomisti.
Anche sulla questione del rapporto tra religione e rivelazione (se in Tommaso siano
presenti elementi riconducibili in qualche misura alia dottrina dei semina Verbi); e sui
problema del valore salvifico delle religioni (se a partire da Tommaso siano reperibili
elementi utili alia formulazione di un modello di tipo inclusivista e quale sia Ia rela­
zione tra Ia Chiesa e le religioni), non siamo per ora, con gli elementi finora indivi­
duati, in grado di dare una risposta.
Nei capitoli che seguono cercheremo di approfondire gli aspetti gia emersi e di
indagare su quelli non ancora affiorati sui quali ci interessa interrogare il Dottore
Angelico.
CAPITOLO III

LA VERITA DELLA RELIGIONE

In questa parte della ricerca viene messa a tema Ia questione della verita della reli­
gione e dei criteri per poterla riconoscere, a partire dalla sintesi filosofico-teologica
di san Tommaso e con gli strumenti che questa autore ci offre.
II capitola e organizzato secondo lo schema seguente. Nel § 1 prenderemo in con­
siderazione alcuni testi fondamentali nei quali Tommaso tratta del problema della
verita in generale, e secondo i suoi diversi aspetti e accezioni, seguendo un approc­
cio propriamente filosofico. II §2 sara dedicato al rapporto tra Ia conoscenza della
verita e l'azione della Spirito Santo, sia per quanta riguarda Ia verita in quanta cono­
scibile e conosciuta dalla ragione naturale che in quanta recepibile solamente
mediante Ia Rivelazione pubblica o una rivelazione privata. Nel §3 esamineremo i
testi fondamentali di san Tommaso sulla Iegge naturale, e Ia sua relazione con Ia veri­
ta secondo I' analogi a che egli stabilisce tra il piano pratico della morale e il piano
speculative della conoscenza. Nel §4 cercheremo di trarre alcune conclusioni in meri­
to al problema della verita della religione a partire dal criteria della sua conformita
alla Iegge naturale.

1. La nozione di verita in san Tommaso

Per pater procedere ad un' analisi di come san Tommaso affronta il problema della
"verita della religione" (in genere) e della "verita di una religione" (in specie), occor­
re esaminare, prima, almena nelle sue linee essenziali, il tema della verita in quanta
tale e nelle diverse accezioni secondo le quali egli impiega i termini veritas e verum,
attraverso i testi fondamentali nei quali 1i chiama in causa.'

1 Sui lema della verita della religione, segnaliamo, nell'ambito delle riviste tomistiche, B. MONDIN, Verita e reli­
gioni, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 271-287; L.K. DUPRE, A Note on the Idea ofReligious Truth in Christian
Tradition, "The Thomist", 52 (1988), pp. 499-512; M.J. ADLER, Truth in Religion. The plurality of Religions and
the Unity of the Truth. An Essay it1 the Philosophy of Religion, Macmillan, New York 1990; L.J. EWERS, La veri­
til delle religioni non-cristiane, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 245-265. Inoltre, tra gli altri srudi:
M.D.G. GNANAPRAKASAM, Religious Truth and the Relation Between Religions, The Christian Literature Society
for India, Madras 1950; E. FRANK, Philosophical Understanding and Religious Truth, Oxford University Press,
-London-New York 1959; S. HOOK (ed.), Religious Experience and Truth, New York University Press, New York
166 ALBERTO STRUMIA

Possiamo evidenziare tre significati principali dei termini "verita" (veritas) e "vero"
(verum): a) una prima accezione corrisponde, in certo modo, a quella che oggi chia­
meremmo "verita ontologica" o "autenticita" di una "cosa"; b) una seconda accezione
corrisponde a quella che oggi chiamiamo "verita logica", in quanto riguarda la "veri­
ta di un giudizio" e quindi dell'enunciato che lo esplicita verbalmente; c) una terza
accezione, infine, riguarda la conoscenza riflessa, o presa di coscienza, della verita di

1961; P. GUERIN, Write et Religion, Presses Universitaires de France, Paris 1962; C. GoossENS, Towards a Theory
ofRelativity of Truth in Morality and Religion, Lampeter 1991; J.S. O'LEARY, Religious Pluralism and Christian
Truth, Edinburgh University Press, Edinburgh 1996; J. BOBII(, Veritas Divina. Aquinas on the Divine Truth. Some
Philosophy of Religion, St. Augustine's Press, South Bend (IN) 2001; J. RATZINGER, Fede, Verita, Tolleranza. Il
cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003. Gli studi sui tema della verita, in generate e nel­
l'opera di san Tommaso, sono assai numerosi. Riportiamo una bibliografia abbastanza ampia, anche se necessa­
riamente incompleta, che copre l'arco temporale degli ultimi quarant'anni circa: B. Rioux, L'etre et la verite chez
Heidegger et Saint Thomas d'Aquin, Presses de l'Universite de Montreal, Montreal 1963; L. FONTANA, Filosofia
della verita. Conoscenza formale della verita e riflessione secondo san Tommaso e i tomisti, Asteria, Torino 1966;
A. DONDAINE, Quaestiones disputatae de veritate: Preface, S. Thomae de Aquino Opera omnia iussu Leonis XIII
P.M. edita, vol. 22/1.2 (Ad Sanctae Sabinae, Romae 1970), III-XVI; A.A. MAURER, St. Thomas and Eternal Truths,
"Mediaeval Studies", 32 (1970), p. 91-107; J. OWENS , Judgment and Truth in Aquinas, "Mediaeval Studies", 32
(1970). pp. 138-158; F.M. GENUYT, Write de l 'etre et affirmation de Dieu. Essai sur la Philosophie de Saint
Thomas, Vrin, Paris 1974; F. INCIARTE, El problema de la verdad en la filosofta actual y en Santo Tomas, in J.J.
RODRIGUEZ ROSADO, P. RODRIGUEZ GARCIA (eds.), Veritas et sapientia. En el VII centenario de Santo Tomas de
Aquino. Colecci6n filos6fica, 20 - Colecci6n teol6gica, 11, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 1975;
0. PEGORARO, Note sur la verite chez saint Thomas et M. Heidegger, "Revue Philosophique de Louvain", 74
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Aquinas 011 Knowledge of Truth and Existence, "The New Scholasticism", 60 (1986). pp. 46-71 ; E. RYDEN,
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J.F. WIPPEL, Truth in Thomas Aquinas [1}, "The Review of Metaphysics", 43 (1989), pp. 295-326; Truth in Thomas
Aquinas [2}, "The Review of Metaphysics", 43 (1990), pp. 543-567; J.A. AERTSEN, Truth as Transcendental in
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1995, pp. 153-168; E.L. KRASEVAC, Aquinas, Veritatis Splendor, and Contemporary Moral Theology, "Listening",
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Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1996; L.J. ELDERS, Il concetto di verita nei commenti biblici di Tommaso,
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Payot, Lausanne 2001; J.A. AERTSEN, Truth in Thomas Aquinas, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 50-54;
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J. O'CALLAGHAN, On Milbank and Pickstock's Truth in Aquinas, "Nova et Vetera" (English Edition), 1 (2003),
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Medieval", 10 (2003), pp. 313-320; M.M. WADDELL, Truth or Transcendentals: What Was St. Thomas's Intention
at De Veritate 1.1 ?, "The Thomist", 67 (2003), pp. 197-219; S.T. BONINO, Avant-propos: Trinitas... a qua omnes
veritates derivantur, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 5-9; C. DE BELLY, La verite de l'agir selon saint Thomas
Capitola III - La verita della religione 167

un giudizio ("verita formale"). A questa terzo livello si viene a collocare anche il pro­
blema dell'assenso alla verita, qualora il giudizio sia proposto come oggetto di fede al
soggetto e non risulti per se evidente dall'esperienza o da una dimostrazione.
Tutti questi tre aspetti della verita interessano, di conseguenza, anche il problema
della verita della religione, in quanta, il prima permette di definire che cosa sia una
religione vera (quindi offre i criteri per riconoscerla) e che cosa sia da considerarsi
come una degenerazione (corruptio) della religione; mentre il secondo riguarda la
verita dei contenuti dottrinali di una religione e, quindi, permette di stabilire il suo
grado di inclusione o meno nella fede della Chiesa. E, infine, il terzo riguarda la capa­
cita di riflessione sui giudizi, quindi di riconoscere e di accettare consapevolmente
come veri i contenuti di una religione da parte di chi ad essa aderisce, o di controbat­
terne la validita da parte di chi ritiene di poterla rifiutare ragionevolmente, eventual­
mente aderendo ad un'altra religione.

1 . 1 . LA DISTINZIONE TRA VERITA ONTOLOGICA E VERITA LOGICA NEI TESTI TOMISTI

I testi principali nei quali Tommaso affronta direttamente il problema della verita,
sono stati individuati da p. Luigi Fontana o.p., in un prezioso studio sulla verita secon­
do san Tommaso,2 nei seguenti otto luoghi:
I Sent, d. 19, q. 5, a. 1 ; De Ver, q. 1 , a. 3; De Ver, q. 1 , a. 9 ; CG, L. 1 , c. 19 ; In Met,
L. 6 , lc. 4; I, q. 16 , a. 2; In De An, L. 3, lc. 1 1 ; In Peri Herm, L. 1 , lc. 3.
Per i nostri scapi sara sufficiente prendere in esame quattro di questi testi e cioe
I Sent, d. 19, q. 5, a. 1;

De Ver, q. 1, a. 3;
De Ver, q. 1, a. 9 ;
I, q. 16 , a. 2.

1.1.1. Se la verita sia l'essenza di una cosa


Nel prima testa (I Sent, d. 19, q. 5, a. 1 ) san Tommaso parte dalla triplice classifi­
cazione degli enti come: a) enti "reali" e autosufficienti, come le "case" sussistenti

d'Aquin, "Revue Thomiste". 104 (2004) 103-125; L. DEWAN, Is Truth a Transcendental for St. Thomas Aquinas?,
"Nova et Vetera" (English Edition), 2 (2004), pp. 1-21; G. EMERY, Le Verbe· Verite et /'Esprit de verite. La doc­
trine trinitaire de Ia verite chez saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 167-204;
Y. FLOUCAT, La verite comme conformite selon saint Thomas d 'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 49-102;
G. NARCISSE, Le Christ verite selon saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 205-218;
F.X. PUTALLAZ, Le desir de verite selon saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), p. 29-48;
M.M. WADDELL, Natural Theology in St. Thomas's Early Doctrine of Truth, in M.M. WADDELL (ed.), Restoring
Nature: Essays in Thomistic Philosophy and Theology, St. Augustine's Press, South Bend (IN) 2004; V. PossENTI
(a cura di), La questione della vertiii. Filosofia, scienze, teologia, Armando, Roma 2003; IDEM, Ragione e veritii.
L'alleanza socratico-mosaica, Armando, Roma 2005.
2 L. FONTANA, Filosofia della veritii, op. cit.
168 ALBERTO STRUMIA

quali sono le sostanze ( «Un uomo o una pietra»), che non necessitano di essere cono­
sciute dall'intelletto umano per poter esistere;3 b) enti "di ragione" o fantastici come
la chimera, che non esistono nella realta esterna alia mente, rna solo come creazione
dell'intelletto umano; c) enti che esistono nell'intelletto "con fondamento reale", in
conseguenza di un'operazione che esso compie a partire da qualcosa che esiste all'e­
sterno.
E al terzo livello che, propriamente, si colloca la nozione di verita come adegua­
zione (adaequatio), cioe corrispondenza tra la cosa e l'intelletto. E viene detto che cio
che e nella cosa, e "causa" della verita che e nell'intelletto.4
In questo passo, del I Sent, d. 19, non troviamo ancora una chiarificazione detta­
gliata della distinzione tra le operazioni dell'intelletto che vengono chiamate in causa
quando si pone il problema della verita. E cioe la simplex apprehensio che astrae dal­
l'essenza della cosa (res) la nozione essenziale di essa (universale) senza composizio­
ne o divisione, e lo iudicium che collega tra loro due nozioni rappresentative di due
enti (compone e divide, affermando o negando), nel quale risiede primariamente la
verita.5 E non troviamo neppure ancora una chiarificazione piena di come una cosa
possa essere detta vera in se stessa, per rapporto ad una definizione che di essa si puo
predicare, mediante un giudizio vero, o all'intelletto divino che la conosce e ne causa
l'esistenza adeguandola a se.
Ne troviamo un affronto della redditio completa per la quale l'intelletto puo cono­
scere la verita del proprio giudizio, a differenza dei sensi che non sanno di essere nella
verita, pur percependo adeguatamente i loro oggetti.
Trattandosi di uno scritto giovanile l'affronto del problema della verita sembra
ancora in fase di elaborazione e nei testi successivi trovera un suo completamento e

3 E cornunque interessante, come si dira in altri testi qui riportati, rilevare che queste cose sono cornunque cono­
sciute da quell'intelletto, in senso analogico, che e l'intelletto divino.
4 San Tornrnaso chiarira, progressivarnente, passando dai testi piu giovanili e quelli piu rnaturi, che cio che l'in­
telletto coglie della cosa puo essere di un duplice tipo (modo di essere): "l'incornplesso", come l'essenza, puo
essere colla dall'intelletto mediante Ia prima operazione (simplex apprehensio), con un processo di "astrazione"
che genera nell'intelletto Ia nozione essenziale che e l'universale; "il cornplesso", cioe l'unione della sostanza
della cosa con una sua proprieta, che viene colto dall'intelletto urnano mediante la.seconda operazione (iudicium)
che giudica di una cosa quello che e (mediante una cornposizione) e quello che non e (mediante una divisione) ed
espresso nel linguaggio con una proposizione o enunciazione (affermativa nel caso della cornposizione, negativa
nel caso della divisione ). L' intelletto ha poi Ia capacita di rifleltere sull 'alto e sui prodolto dell' alto stesso della
conoscenza: rifleltendo sull'universale puo giungere a dare una definizione della cosa, e rifleltendo sui giudizio,
puo conosceme Ia verita o Ia falsita.
s Corn'e nolo esiste anche una terza operazione dell'intellelto (il ragionarnento) di cui parla Tornrnaso (princi­

palrnente nel cornrnento ai Secondi analitici di Aristotele), rna questa non e chiarnata in causa qui, perche del pro­
dolto del suo alto si puo stabilire solo una correltezza formale o un non correltezza rispelto a delle regole di dedu­
zione, e non si puo parlare di verita, se non in rapporto aile enunciazioni che chiarna in causa (verita dell'antece­
dente e del conseguente).
Capitola III - La verita della religione 169

perfezionamento.6 Ai fini del problema della verita della religione il testo in questio­
ne, dato il suo affronto filosofico generale, non suggerisce alcun elemento legato ai
caratteri propri della religione, quanto, piuttosto, dei criteri generali di verita che si
possono applicare alla religione come a qualunque altro soggetto di verita. Se consi­
deriamo la religione come una "cosa" (res) che esiste al di fuori dell'intelletto (in
quanto si realizza mediante i suoi atti esteriorF) che causa una conoscenza di se nel­
l'intelletto (conoscenza che consiste nella "nozione di religione"), allora possiamo
dire che, come ogni altra cosa:

- una religione e vera quando corrisponde a cio che Dio ha stabilito che la reli­
gione debba essere, cioe quando adegua la "natura" di religione voluta dal
Creatore: questo sembra essere il fondamento del criterio di verita della religione
che Tommaso individua nella sua conformita alla legge naturale;
- una religione e vera quando si manifesta, per quello che e e falsa quando ha
alcuni elementi che la fanno apparire come una religione rna non e tale, in quanto
non e conforme alla natura di religione (come l'oricalco che appare come oro rna
non ha la natura dell'oro).8

Questi elementi riguardano la "verita ontologica" della religione, cioe la conformi­


ta della religione alla sua "natura" e, quindi, alla definizione "vera" che caratterizza
tale natura.
Rimane, poi, il problema della "verita logica" dei contenuti, cioe delle affermazio­
ni che una religione propone da credere e della sua relazione con la verita ontologica
di una religione. Puo una religione autentica (cioe ontologicamente vera) proporre da
credere solamente dei contenuti falsi? Certamente la risposta, basata sui principi di san
Tommaso, e negativa, perche come non esiste la privazione assoluta di essere (il nulla
non e un ente!), non si da neppure la privazione assoluta di vero (qualche aspetto di
verita, per quanto mescolato a molti errori e sempre presente: ens et verum conver-

6 Come osserva, in proposito, Fontana: «<n seguito, perc) lo studio del problema lo ha poi condotto a scoprire
che nella seconda operazione dell'intelletto non solo c'e Ia verita, rna c'e pure Ia conoscenza formale di essa. Ed
e su questo punto che si puo parlare di un approfondimento del problema o anche di una evoluzione di pensiero:
nei vari testi, infatti, I' Aquinate descrive in modo diverso Ia presenza della verita nella seconda operazione intel­
lettuale; tuttavia tali descrizioni non sono contraddittorie rna complementari tra di !oro, in quanto ognuna esprime
un aspetto diverso e particolare della realta ricca e complessa del giudizio>> (L. FONTANA, Filosofia della verita,
op. cit., p. 55).
7 Come si e visto nel capitolo precedente Tommaso tratta diffusamente degli atti esteriori della religione, che,
per Ia sua stessa essenza, li richiede.
8 Questo aspetto e di estrema importanza anche ai fini di un esame del problema del diritto alia liberta religio­
sa e dei diritti civili da riconoscere ad una comunita religiosa: non tutto cio che si dichiara come religione e come
comunita religiosa e, per cio stesso tale.
170 ALBERTO STRUMIA

tuntur), ne Ia privazione assoluta di bene. Tuttavia vi sono, certamente alcuni conte­


nuti imprescindibili Ia cui presenza e condizione necessaria per pater dichiarare onto­
logicamente vera una religione. Mancando questi elementi necessari di verita Ia reli­
gione e una parvenza di religione, o una corruzione della religione (ad esempio una
forma di idolatria, di magia, di superstizione ). E questi elementi necessari, come
vedremo, sono in stretta relazione con Ia Iegge naturale.

1.1.2. Se Ia verita si trovi solo nell'intelletto che compone e divide


Questa secondo testa, tratto dal De Ver, q. 1, a. 3,9 entra in maggiore dettaglio nel
chiarire il fatto che Ia verita e una caratteristica propria dell'intelletto, e solo di conse­
guenza lo e delle case. E questa proprio in base alia natura di adaequatio che e pro­
pria della verita. Forse il termine italiano, piu vicino a quello Iatino, che esprime que­
sta concetto e "uguaglianza", non nel sensa di identita "formale" tra due oggetti indi­
stinguibili tra lora ("identici"), rna tra due enti formalmente diversi che vengono messi
a confronto e uguagliati in quanta l'uno e giudicato essere "caratterizzante" l'altro:10
si tratta di un uguaglianza "materiale" e non "formale". E questa giudizio che accosta
i due termini non si trova nella cosa, rna nell'intelletto ed e questa elemento proprio
dell'intelletto che, nella misura in cui adegua (uguaglia) Ia realta della cosa, puo dirsi
vero.11
II passo chiarisce, poi, molto bene, il fatto che anche una cosa (che e nella realta) e
una definizione (che risiede nell' intelletto che conosce Ia nozione essenziale della
cosa) puo dirsi, di conseguenza, vera o falsa e questa per due possibili ragioni: l'una

9 <<Dicendum, quod sicut verum per prius invenitur in intellectu quam in rebus, ita etiam per prius invenitur in
actu intellectus componentis et dividentis quam in actu intellectus quidditatem rerum formantis. Veri enim ratio
consistit in adaequatione rei et intellectus; idem autem non adaequatur sibi ipsi, sed aequalitas diversorum est;
unde ibi primo invenitur ratio veritatis in intellectu ubi primo intellectus incipit aliquid proprium habere quod res
extra animam non habet, sed aliquid ei correspondens, inter quae adaequatio altendi potest. [ . . . ] Sed quando inci­
pit iudicare de re apprehensa, tunc ipsum iudicium intellectus est quoddam proprium ei, quod non invenitur extra
in re. Sed quando adaequatur ei quod est extra in re, dicitur iudicium verum; tunc autem iudicat intellectus de re
apprehensa quando dicit aliquid esse vel non esse, quod est intellectus componentis et dividentis; unde dicit etiam
philosophus in VI Metaph., quod compositio et divisio est in intellectu, et non in rebus. Et inde est quod veritas
per prius invenitur in compositione et divisione intellectus>> (De Ver, q. 1, a. 3).
10 0 perche Ia sua definizione rientra come genere nella definizione dell' altro, o perche rappresenta una sua
caralteristica propria o almeno possibile.
11 Tommaso non sembra essersi, qui, ancora accorto del fatto che per adeguarsi alia realta della cosa il giudizio,
composizione o divisione di due nozioni unite da una copula (e), deve avere una corrispeltiva composizione o divi­
sione tra due enti nella cosa (Ia sostanza e l'accidente o proprieta). Sara nei testi successivi (quelli qui citati rna
non presi in esame, perche amplierebbero molto Ia trattazione al di fuori del nostro oggetto specifico che e Ia veri­
til della religione), quando parlera di corrispondenza (adeguazione) tra complessi e incomplessi presenti nell'in­
telletto (Ia simplex apprehensio e il giudizio come alti dell'intellelto; Ia nozione esenziale e l'enunciazione come
loro prodolti) e nella cosa (Ia sostanza e gli accidenti), che chiarira ulteriormente questi argomenti. E chiarira
come, quando ci si riferisce primariamente all' intellelto, Ia corrispondenza che esiste con Ia cosa viene delta
"vero", mentre quando ci si riferisce primariamente alia cosa viene delta "bene" in quanto altrae Ia volonta.
Capitolo III - La verita della religione 171

e che la cosa e, quindi la sua definizione, e vera in quanto adegua, nella sua natura,
l'intelletto divino; l'altra e che la definizione e "falsa" se e contraddittoria in se. Allora
si deve dire semplicemente che la definizione contraddittoria non identifica alcuna
essenza e quindi nessuna cosa. Per cui e falso il giudizio che la attribuisce a qualun­
que soggetto.
Si deve dire che, se nel passo precedente veniva chiarito ulteriormente il ruolo di
verita dell'intelletto divino, che rende vere le cose esistenti ponendole in essere secon­
do la "natura" corrispondente alla "nozione" che di queste e presente in Esso, qui si
aggiunge, in piu, che le stesse cose, proprio per il fatto di adeguare l'intelletto divino,
adeguano anche quello umano. Questo ad indicare che l'intelletto umano, conoscendo
la verita delle cose (quindi la loro natura) si conforma, in proporzione alla verita cono­
sciuta, anche alla verita divina che e causa di ogni verita partecipata.
Applicando questo risultato al problema della verita ontologica della religione pos­
siamo dire che la natura della "vera religione" e quella conforme alla nozione di reli­
gione presente nell'intelletto divino, e puo essere conosciuta dall'intelletto umano.
Possiamo aggiungere che tale conoscenza, da parte dell'intelletto umano, puo essere
raggiunta esaminando la conformita della religione alla "legge naturale" e, a maggior
ragione, attraverso la Rivelazione, mediante la quale e l'intelletto divino stesso ad
istruire direttamente ed esplicitamente l'intelletto umano anche sulla natura del culto
che deve essergli tributato.

1.1.3. L 'intelletto umano puo conoscere di essere nel vero


11 terzo testo, tratto dalla Summa theologiae (I, q. 16, a. 2),12 approfondisce ulte­
riormente il tema della verita introducendo la questione della conoscenza riflessa che
l'intelletto umano ha della verita del proprio giudizio (redditio completa). Questa ulte-

1 2 <<Respondeo dicendum quod verum, sicut dictum est, secundum sui primam rationem est in intellectu. Cum
autem omnis res sit vera secundum quod habet propriam formam naturae suae, necesse est quod intellectus,
inquantum est cognoscens, sit verus inquantum habet similitudinem rei cognitae, quae est forma eius inquantum
est cognoscens. Et propter hoc per conformitatem intellectus et rei veritas definitur. Unde conformitatem islam
cognoscere, est cognoscere veritatem. Hanc autem nullo modo sensus cognoscit, licet enim visus habeat similitu­
dinem visibilis, non tamen cognoscit comparationem quae est inter rem visam et id quod ipse apprehendit de ea.
intellectus autem conformitatem sui ad rem intelligibilem cognoscere potest, sed tamen non apprehendit earn
secundum quod cognoscit de aliquo quod quid est; sed quando iudicat rem ita se habere sicut est forma quam de
re apprehendit, tunc primo cognoscit et dicit verum. Et hoc facit componendo et dividendo, nam in omni proposi­
tione aliquam formam significatam per praedicatum, vel applicat alicui rei significatae per subiectum, vel remove!
ab ea. Et ideo bene invenitur quod sensus est verus de aliqua re, vel intellectus cognoscendo quod quid est, sed non
quod cognoscat aut dicat verum. Et similiter est de vocibus complexis aut incomplexis. Veritas quidem igitur potest
esse in sensu, vel in intellectu cognoscente quod quid est, ut in quadam re vera, non autem ut cognitum in cogno­
scente, quod importat nomen veri; perfectio enim intellectus est verum ut cognitum. Et ideo, proprie loquendo,
veritas est in intellectu componente et dividente, non autem in sensu, neque in intellectu cognoscente quod quid
est. Et per hoc patet solutio ad obiecta>>.
172 ALBERTO STRUMiA

riore specificazione permette, tra l'altro di "graduare" l'adeguazione del conoscente


alla cosa conosciuta: a) a livello dei sensi che conoscono con verita, rna senza "cono­
scere di conoscere il vero"; b) a livello della prima operazione dell'intelletto che pure
conosce la nozione essenziale secondo verita, rna non puo giudicare di aver conosciu­
to la verita; c) a livello del giudizio "riflesso " sull'atto conoscitivo di semplice appren­
sione o di giudizio che compone e divide, che conosce di conoscere il vero.
Con il nostro attuale linguaggio13 diremmo che i primi due sono livelli di conoscen­
za della verita del "primo ordine" avendo per oggetto qualcosa di esterno all'intellet­
to: una cosa o una relazione tra cose; mentre il terzo livello e una conoscenza della
verita del "secondo ordine", in quanto ha per oggetto non piu le cose esterne, rna cio
che e interno14 all'intelletto: la verita sulle cose, cioe una conoscenza sulle cose, che
viene giudicata come vera. Si e introdotto, in questo modo, tra l'altro, anche il modo
di parlare di una verita dei sensi.
Ai fini dell'applicazione alla questione della verita della religione si puo rilevare
come il problema del "poter giudicare" se si e nella verita e di estrema importanza.
Non solo una religione puo essere autentica ("verita ontologica") rna deve poter esse­
re riconosciuta "consapevolmente" come vera, sia dal punto di vista della verita della
sua natura di religione (autenticita), che da quello della verita dei suoi contenuti.
Comincia, cosi, a fare la sua comparsa piu esplicita anche il problema della "verita
logica", cioe della verita dei giudizi che essa propone da credere.
Sembra, poi, di poter dire anche che la redditio completa offre il fondamento logi­
co-metafisico-antropologico di quella che noi oggi chiamiamo "esperienza esistenzia­
le" della verita, cioe della possibilita di "riconoscere consapevolmente", e quindi
anche di "verificare esistenzialmente" e gustare la verita della religione.
Questa dimensione esperienziale che, per noi, oggi tende a ridursi un po' troppo sul
piano psicologico-emotivo, trova, invece, in Tommaso, il suo fondamento antropolo­
gico-metafisico, che ne garantisce l 'oggettivita e, quindi, in certa misura anche la
comunicabilita, salvandola da un soggettivismo destinato inevitabilmente al relativi­
smo.
La redditio completa e, allora, forse un punto di raccordo tra la prospettiva tomi­
sta e quella moderna, in quanto offre un fondamento oggettivo al soggetto dell'espe­
rienza.
Anche il quarto e ultimo passo, questa volta tratto dal De Ver, q. 1, a. 9,15 sviluppa
il medesimo tema della redditio completa. E particolarmente interessante il confronto

13 Prendendo a prestito una terrninologia tecnica, consueta nella matematica, rna orrnai estrapolata anche ad altri
arnbiti.
14 Una intentio, cioe un illtus-ens, un ente intemo alia mente.
1 5 «Anselmus enim dicit, quod veritas est rectitudo sola mente perceptibilis. Sed sensus non est de natura men­
tis. Ergo veritas non est in sensu. Praeterea, Augustinus probat in libro LXXXIII quaestionum, quod veritas corpo-
Capitola III - La verita della religione 173

che viene descritto tra la redditio non completa dei sensi che, pur percependo di per­
cepire non ha conoscenza della verita del suo atto di percepire secondo verita, e la red­
ditio completa dell'intelletto che conosce la verita del suo atto di conoscere il vero.16
In tema di verita della religione si potrebbe, forse, anche estrapolare la categoria
della redditio, per analogia, secondo uno schema come questo:

.- Le religioni (come i sensi) possono conoscere elementi di verita (semina Verbi)


che esprimono nel loro culto e neUe dottrine che propongono da credere, e anche
far vivere ai loro aderenti una sorta di esperienza vera di Dio (come i sensi perce­
piscono di percepire), rna non possono giudicare di essere nel vero, per quanto
riguarda quei contenuti che eccedono le possibilita della ragione naturale e che
potrebbero anche essere stati rivelati ai loro fondatori, per una sorta di illumina­
zione.
- Mentre la fede della Chiesa (come l'intelletto) giudica che le dottrine che pro­
pone da credere sono vere, in forza del fatto che e Dio stesso che le ha rivelate
nell'Uomo-Dio Gesu Cristo e non un semplice fondatore umano. E la fede in Dio
rivelante che porta a conoscere corrispondenza fra la verita dell'intelletto divino e

reis sensibus non cognoscitur; et rationes eius supra positae sunt. Ergo veritas non est in sensu. Sed contra,
Augustinus, in libro De vera religione, dicit, quod veritas est qua ostenditur id quod est. Sed id quod est, ostendi­
tur non tantum intellectui, sed etiam sensui. Ergo veritas non solum est in intellectu sed etiam in sensu. Responsio.
Dicendum, quod veritas est in intellectu et in sensu, sed non eodem modo. In intellectu enim est sicut consequens
actum intellectus, et sicut cognita per intellectum. Consequitur namque intellectus operationem, secundum quod
iudicium intellectus est de re secundum quod est. Cognoscitur autem ab intellectu secundum quod intellectus
reflectitur supra actum suum, non solum secundum quod cognoscit actum suum, sed secundum quod cognoscit
proportionem eius ad rem: quae quidem cognosci non potest nisi cognita natura ipsius actus; quae cognosci non
potest, nisi natura principii activi cognoscatur, quod est ipse intellectus, in cuius natura est ut rebus conformetur;
unde secundum hoc cognoscit veritatem intellectus quod supra seipsum reflectitur. Sed veritas est in sensu sicut
consequens actum eius; dum scilicet iudicium sensus est ' de re, secundum quod est; sed tamen non est in sensu
sicut cognita a sensu: etsi enim sensus vere iudicat de rebus, non tamen cognoscit veritatem, qua vere iudicat:
quamvis enim sensus cognoscat se sentire, non tamen cognoscit naturam suam, et per consequens nee naturam sui
actus, nee proportionem eius ad res, et ita nee veritatem eius. Cuius ratio est, quia ilia quae sunt perfectissima in
entibus, ut substantiae intellectuales, redeunt ad essentiam suam reditione completa: in hoc enim quod cognoscunt
aliquid extra se positum, quodammodo extra se procedunt; secundum vero quod cognoscunt se cognoscere, iam
ad se redire incipiunt, quia actus cognitionis est medius inter cognoscentem et cognitum. Sed reditus isle comple­
tur secundum quod cognoscunt essentias proprias: unde dicitur in lib. De causis, quod omnis sciens essentiam
suam, est rediens ad essentiam suam reditione completa. Sensus autem, qui inter cetera est propinquior intellec­
tuali substantiae, redire quidem incipit ad essentiam suam, quia non solum cognoscit sensibile, sed etiam cogno­
scit se sentire; non tamen completur eius reditio, quia sensus non cognoscit essentiam suam. Cuius bane rationem
Avicenna assignat, quia sensus nihil cognoscit nisi per organum corporate. Non est autem possibile ut organum
corporate medium cadat inter potentiam sensitivam et seipsam. Sed potentiae insensibiles nullo modo redeunt
super seipsas, quia non cognoscunt se agere, sicut ignis non cognoscit se calefacere. Et ex his patet solutio ad
obiecta».
16
Va detto, a scanso di equivoci, che questa redditio camp/eta, non descrive un lavoro di riflessione ingenuo e
facile. Puo essere estremamente laborioso giungere a dimostrare Ia veritii di un giudizio, a partire da veritii note, e
sara compito della teoria della dimostrazione fornire gli strumenti adeguati a questo scopo, evidenziando anche
quali sono le veritii irrinunciabili (problema dei fondamenti).
174 ALBERTO STRUMIA

quella dell'intelletto umano. Con la fede nella Rivelazione i1 credente conosce la


verita dei giudizi che gli sono proposti da credere, sulla base dell'autorita di Dio
che li ha rivelati.

Non a caso san Tommaso parla di una sorta di "istinto" che muove l'uomo alla religione,
istinto che proviene dallo Spirito Santo. Nella fede della Chiesa, invece, non si ha piu appe­
na un istinto17 (simile alla redditio incompleta dei sensi), quanta piuttosto una vera e propria
consapevolezza, un intelligenza (una redditio completa) che proviene dallo Spirito Santo.

2. Uazione di Dio, e dello Spirito Santo in particolare, in relazione alla conoscen­


za della verita

In tutta la sua opera 1' Aquinate mette frequentemente in relazione l'azione della
Spirito Santo in ordine alla conoscenza della verita, in ogni sua espressione, sia che si
tratti di "verita naturali" che i sensi e la ragione permettono all'uomo di raggiungere,
sia che si tratti di "verita di fede" che solo un intervento soprannaturale puo comuni­
care all'uomo. In entrambi i casi, si tratta di un'azione diretta da Dio alla creatura che
viene attribuita allo Spirito Santo in quanta principia di conoscenza, ovvero, secondo
la formula giovannea allo «Spirito di verita>> (cfr. Gv 14,17; 15,26; 16,13). San
Tommaso, tuttavia, non si limita a riferire la conoscenza del verum a Dio come causa
formale, efficiente ed esemplare di ogni verita, a qualunque livello essa si collochi, rna
la riferisce espressamente allo Spirito Santo, oltre che in forza dell'autorita della
Scrittura, anche perche segue la formula dell'Ambrosiaster, che egli ritiene essere l'au­
tentico sant' Ambrogio, e che cita regolarmente, secondo la quale «omne verum a quo­
cumque dicatur a Spiritu Sancto est» .18 Sara, quindi, il riferirsi di Tommaso a questa
formula a guidare le considerazioni che qui verranno svolte su questa argomento.19 La
sentenza dell'Ambrosiaster viene riportata da Tommaso, nella maggioranza dei casi,
tra le obiezioni che precedono il respondeo di un articolo, rna anche nei sed contra e
talvolta nel corpo dell' articolo e nelle risposte alle obiezioni.

17 <<Dei cultus religio nominatur: quia huiusmodi actibus quodammodo se homo ligat, ut ab eo non evagetur. Et
quia etiam quodam naturali instinctu se obligatum senti! ut Deo suo modo reverentiam impendat, a quo est sui esse
et omnis boni principium>> (CG, L. III, c. 1 19, n. 7); «ad interiorem cultum, qui consistit in oratione et devotione,
magis inducitur homo ex interiori Spiritus Sancti instinctu>> (/I-ll, q. 122, a. 4 co).
18 I luoghi neUe opere di Tommaso neUe quali questa formula, o una sua parafrasi, viene richiamata, sono ben
ventidue distribuiti in diciotto testi. I riferimenti sono i seguenti: I Sent. d. 19, q. 5, a. 2 ad 5; I Sent. d. 46, q. 1,
a. 4-ex; II Sent. d. 28, q. 1, a. 5, arg. 1 ; Ill Sent. d. 36, q. 1, a. 1, arg. 6; IV Sent. d. 49, q. 5, a. 3b, arg. 10; I-II
q. 109, a. 1, arg. 1 e ad 1 ; Il-l! q. 172, a. 6; De Ver. q. 1, a. 8, sc. 1 ; De Pot. q. 1, a. 3a, arg. 6; Cat. Aur. In Matth.
c. 7, I. 9; Sup. Ev. Jo. c. 1, I. 3; Sup. Ev. Jo. c. 7.
1 9 A proposito di questa formula e del suo utilizzo da parte di san Tommaso si riprendono qui e, in parte si svi­
luppano, alcune delle riflessioni che sono state proposte nell'articolo A. STRUMIA, «Omne verum a quocumque
dicatur a Spiritu Saneto est», "Divus Thomas", 34 (2003), pp. 216-227. Cfr. anche G. BIFFI, Liber pastoralis bono­
niensis. Omaggio al Card. Giovanni Colombo nel centenario della sua nascita, Edizioni Dehoniane Bologna,
Bologna 2002, pp. 673-698.
Capitola III La verita della religione
- 175

Anzitutto si deve rilevare come in tutte le citazioni lo Spirito Santo, coerentemente


con la dottrina tomista su Dio creatore, viene identificato con il "Dio uno", soggetto
di un influsso causale ad extra nei confronti della creatura, e in particolare dell'uomo
in quanto soggetto razionale, capace sia di una conoscenza astrattiva e deduttiva
("naturale"), che di una conoscenza di fede ("soprannaturale"), sotto l'azione della
grazia. L'attribuzione di questa azione a Dio come Spirito Santo e manifestamente di
origine scritturistica, come si rileva anche nei testi tratti dai commenti biblici dello
stesso Dottore Angelico.
Tommaso opera sistematicamente una precisa analisi metafisica dell'azione causa­
le di Dio nel confronti dell'uomo. La causalita esercitata da Dio sull'intelletto umano
che conosce il verum puo essere: a) di tipo fisico, cioe formale per rapporto all' essen­
za, alla natura immateriale dell'intelletto umano e materiale degli organi corporei dei
quali si serve per conoscere il vero e alla loro concreta esistenza; o efficiente per rap­
porto agli atti dell'intelletto e dei sensi necessari al conoscere il vero che vengono
posti in essere nel conoscere; o esemplare, in quanto la Verita, che e Dio stesso, rap­
presenta il modello eminente di ogni verita attuata nella creazione e conosciuta dagli
intelletti creati e dall' uomo in particolare; b) soprannaturale ed elevante in quanto
illumina l'intelletto fino a portarlo ad emettere volontariamente un atto di fede teolo­
gale mediante la grazia.
Ma passiamo ora all'esame dei principali testi, incominciando da un passo tratto dal
De veritate, che rappresenta un naturale raccordo con i testi esaminati nel § 1 .
Nell'ottavo articolo ci si domanda se ciascuna singola verita sia distinta dalla verita
prima. E Ia risposta sembrerebbe essere negativa. [ . . . ] AI contrario commentando il
passo della I Cor, Nessuno pub dire, ecc., Ambrogio dice che: ogni verita, da chiun­
que venga detta, viene dallo Spirito Santo.

Nella risposta san Tommaso prende in esame uno per uno i diversi tipi di verita, da
quella che indica l'autenticita di qualcosa in rapporto al'intelletto divino che la fa esi­
stere, e alla sua definizione che esiste nell'intelletto umano, a quella del giudizio for­
mulato dall'intelletto umano, richiamando anche gli elementi fondamentali della sua
teoria cognitiva, concludendo che
tutto questo e da Dio: e Ia forma stessa della cosa con Ia quale viene adeguato l'intel­
letto e da Dio, e il vero in quanto bene dell'intelletto, come si dice nel VI libra
dell'Etica. Perche il bene di qualunque cosa consiste nella sua perfetta operazione.
E non si da perfetta operazione dell'intelletto se non nel conoscere il vero; e quindi e
in questo che consiste, come tale, il suo bene. E dal momenta che ogni bene e da Dio,
cosi come ogni forma, bisogna dire assolutamente che ogni verita e da Dio.
[De Ver, q. 1, a. 8]20

20 <<quod totum est a Deo, quia et ipsa forma rei, per quam adaequatur, a Deo est, et ipsum verum sicut bonum
176 ALBERTO STRUMIA

2.1. LA CAUSALITA DELLO SPIRITO SANTO IN RELAZIONE ALLA VERITA

2.1.1. Tutte le verita traggono Ia "/oro verita " dalla Verita


Nel passo tratto dal I Sent, d. 19, q. 5, a. 2, l'affermazione secondo la quale ogni
verita e una sorta di "partecipazione" della Verita divina si scontra con il quinto argo­
menta in contrario, enunciato prima del corpo dell'articolo, che anche l'esistenza del
male e una "verita" constatabile, e il male non puo essere una partecipazione della
Verita divina: «Che ci sia il male e una verita. Ma nessun male proviene da Dio.
Dunque non sembra che ogni verita provenga dalla Verita increata».21
Tommaso risolve l'obiezione osservando che il male come tale non viene da Dio, e
"l'elemento di verita" che viene chiamato in causa non consiste tanto nel male, quan­
ta nel (ri)conoscerlo come tale mediante l'intelligenza: questa conoscenza e buona e
vera, viene da Dio, e come dice «Ambrogio» viene dallo Spirito Santo.
11 corpo dell'articolo spiega come le verita sono "molteplici", formalmente, in quan­
ta nell'essere non coincidono ne tra di loro ne con la Verita divina, rna sono da questa
causate efficientemente ed esemplarmente ed e su quest'ultimo aspetto che Tommaso
pone particolarmente l'accento in questa testo.
Gli elementi che caratterizzano Ia verita sono due:
- !'uno risiede nell'essere stesso delle cose;
- l'altro in cio che di esse viene appreso da parte della facolta conoscitiva, che si com-
misura all'essere delle cose.
Entrambi questi elementi, come si e detto in d. 8, q. 1, a. 1, si riconducono a Dio come
causa efficiente ed esemplare.
[/ Sent, d. 19, q. 5, a. 2 coj22

intellectus; ut dicitur in VI Ethic. Quia bonum uniuscuiusque rei consistit in perfecta operatione ipsius rei. Non est
autem perfecta operatio intellectus, nisi secundum quod verum cognoscit; unde in hoc consistit eius bonum, in
quantum huiusmodi. Unde, cum omne bonum sit a Deo, et omnis forma, oportet absolute dicere, quod omnis veri­
las sit a Deo>>.
21
<<Mala fieri est verum. Sed nullum malum est a Deo. Ergo videtur quod non omnia vera sint vera Veritate
increata>> (/ Sellt, d. 19, q. 5, a. 2 ag. 5).
22 <<Respondeo dicendum, quod, sicut dictum est, art. antec., ratio veritatis in duobus consistit: in esse rei, et in

apprehensione virtutis cognoscitivae proportionata ad esse rei. Utrumque autem horum quamvis, ut dictum est, dis­
tin. 8, quaest. 1, art. 1, reducatur in Deum sicut in causam efficientem et exemplarem; nihilominus tamen quaeli­
bet res participat s'uum esse creatum, quo formaliter est, et unusquisque intellectus participat lumen per quod recte
de re judicat, quod quidem est exemplatum a lumine increato. Habet etiam intellectus suam operationem in se, ex
qua completur ratio veritatis. Unde dico, quod sicut est unum esse divinum quo omnia sunt, sicut a principia effec­
tivo exemplari, nihilominus tamen in rebus diversis est diversum esse, quo formaliter res est; ita etiam est una
Veritas, scilicet divina, qua omnia vera sunt, sicut principia effectivo exemplari; nihilominus sunt plures veritates
in rebus creatis, quibus dicuntur verae formaliter. [ . . . ) Ad ultimum dicendum, quod quamvis malum non sit
bonum, nee sit a Deo, nihilominus intelligere malum bonum est, et a Deo est; et ideo veritas quae consistit in com­
mensuratione intellectus ad privationem existentem extra animam, bona est, et a Deo; et ideo dicit Ambrosius,
quod omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est>>.
Capitolo III - La verita della religione 177

2.1.2. Non c 'e illuminazione dell'uomo che non venga da Dio


In un altro testa, che troviamo in I Sent, d. 46, q. 1, a. 4, Tommaso riprende ancora
il problema del male sottolineando il fatto che, dal "punto di vista logico", le due pro­
posizioni <<Dio vuole che ci sia il male» e <<Dio vuole che non ci sia il male» non sono
contraddittorie in quanta entrambe sono affermative (<<Dio vuole») rispetto all'azione
(predicato) del loro soggetto (<<lJiO>>) e quindi tra le due si danno delle possibilita
intermedie. Rispetto alla sentenza che stiamo considerando si ha 1' applicazione alla
questione se e come Dio illumina ogni uomo: in questa si fa riferimento all'afferma­
zione pseudo-ambrosiana che puo essere interpretata sia in riferimento alla luce della
grazia che alla luce della ragione naturale. Qui, pero non si dice nulla in merito al tipo
di causalita divina di questa illuminazione, che nel testa precedente viene, invece,
caratterizzata come efficiente e come esemplare. 23
Questi due passi servono a chiarire il fatto che la verita, in ogni sua forma di comu­
nicazione, naturale o soprannaturale, ha sempre origine da Dio. Essi, come tali, non
sono quindi ancora sufficienti, se applicati al problema della teologia delle religioni,
ad offrire alcuna indicazione sulla verita di una religione, su una eventuale origine
soprannaturale dei semina Verbi, e di conseguenza, sull'efficacia salvifica di una reli­
gione storica.

2.2. LA CONOSCENZA UMANA DELLA VERITA E L' AZIONE DELLA GRAZIA

Un altro approccio al problema suscitato dalla formula pseudo-ambrosiana e quel­


lo relativo all'azione della grazia nella conoscenza umana: se ogni conoscenza della
verita e originata da Dio e attribuita ultimamente allo Spirito Santo, allora si deve
dedurre che ogni conoscenza e operata dalla grazia e le sole capacita naturali dell'uo­
mo sono incapaci di conoscere qualunque verita?

2.2.1. L 'uomo puo conoscere delle verita senza Ia grazia


La risposta, per Tommaso, all'interrogativo se l'intelletto umano possa conoscere
delle verita anche senza l'intervento della grazia e affermativa in merito alle cono­
scenze che possono essere dedotte a partire da principi a noi noti; e negativa rispetto
alle conoscenze che non possono essere dedotte se non da principi a noi non noti,
come quelli che richiedono la fede nella Rivelazione, o riguardano i futuri contingen­
ti. Interessante la considerazione sull' intelletto agente che non e ne unico (contra
Averroe) ne una sostanza identificabile con Dio, rna una potenza dell'anima umana

\.._

23 «Quia nisi ab illo [i.e. a Spiritu Sancto] nullus [homo] illuminatur. Hoc intelligitur de Jumine gratiae. Si autem
de lumine 11atura/is intellectus intelligatur, sic absolute omnem hominem illuminat: quia, secundum Ambrosium,
om11e verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est Est enim aliquid quod in se bonum est>> (/ Se11t, d. 46, q. 1,
a. 4 co).
178 ALBERTO STRUMiA

che puo operare anche senza la grazia, rna non senza 1' azione causale di Dio che lo fa
essere quello che e e fa esistere ogni suo atto.
Nel commento alle Sentenze (II Sent, d. 28, q. 1, a. 5, ag.1 }/4 cio che risulta essere
molto interessante, ai fini dell'oggetto da noi considerato, e il riferimento ai doni di
grazia che, come la profezia, sono qualificabili come "carismi" (gratiae gratis datae):
puo essere considerato a questa livello anche il dono di essere fondatore di una reli­
gione che si possa ritenere vera? E. significativo rilevare come anche il dono della fede,
in quanta tale, sia qualificato con lo stesso appellativo di gratia gratis data, espres­
sione che abitualmente traduciamo con il termine "carisma". Sembrerebbe, dunque,
che nei principi tomisti vi possa essere un qualche spazio per non escludere una qual­
che forma di origine soprannaturale anche di una religione vera. Ma questa dovra esse­
re ulteriormente verificato anche attraverso altri testi. E, anche ammesso che tale spa­
zio effettivamente vi sia, questa origine soprannaturale sarebbe attribuibile solo ad una
religione "vera" e non semplicemente a qualsiasi religione storica: rimane, dunque, il
problema di reperire i criteri di verita della religione e la loro applicazione alle singo­
le religioni storiche.

2.2.2. Azioni straordinarie della grazia


In un passo della Summa theologiae (I-ll, q. 109, a. 1 ) , Tommaso aggiunge l'osser­
vazione rilevante, secondo la quale, talvolta miracolosamente alcuni uomini sono stati
istruiti per grazia a possedere conoscenze che altri possono raggiungere anche con la
ragione naturale, come anche conoscenze di ordine soprannaturale. Egli afferma, infat­
ti, che «tuttavia, talvolta, Dio istruisce miracolosamente, con la sua grazia, alcuni
uomini facendo loro conoscere delle cose che possono essere conosciute anche con la

24«Videtur quod sine gratia homo nihil verum scire possit. Primo per id quod dicitur i cor. 12,3: Nemo potest
dicere, "Dominus Jesus", nisi in Spiritu Sancto; ubi dicit Ambrosius quod omne verum, a quocumque dicatur, a
Spiritu Sancto est. Sed Spiritus Sanctus non habitat in nobis nisi per gratiam. Ergo nullum verum dici aut sciri,
sine gratia potest. [ . . . ] Respondeo dicendum, quod verorum quaedam sun! naturali rationi proportionata, quaedam
naturalem rationem excedunt. Ilia naturalem rationem excedunt quae non possunt concludi ex primis principiis per
se notis. Cum enim prima principia sin! sicut instrumenta intellectus agentis, ut Commentator dicit in III De anima,
oportet ea esse proportionata virtuti ejus, sicut organa corporalia sun! proportionata virtuti motivae; unde quae ex
primis principiis concludi non possunt, naturale lumen intellectus excedunt. Hujusmodi autem sun! ea quae fidei
sun!, et futura contingentia, et hujusmodi: et ideo horum verorum cognitio sine lumine gratiae gratis datae haberi
non potest, sicut lumen fidei, et etiam prophetiae, et aliquid hujusmodi. Si autem loquamur de illis veris quae natu­
rali rationi proportionata sun!, sciendum est quod circa hoc est duplex opinio. Quidam enim dicunt, ut supra dic­
tum est, quod intellectus agens est unus omnium, intellectum agentem Deum esse dicentes: et cum intellectus
agens se habeat hoc modo ad intelligibilia sicut lucidum ad visibilia, volunt quod sicut non potest videri aliquid
visibile nisi per ernissionem radii corporalis, ita non possit intelligi aliquid intelligibile sine nova emissione radii
spiritualis, qui est gratia gratis data. Sed haec positio conveniens non est, ut supra dictum est, dist. 17, qu. 2, art.
2. Aliorum vero opinio est, quod intellectus agens sit quaedam potentia animae rationalis; et hanc sustinendo, non
potest rationabiliter poni, quod oporteat ad cognitionem veri, talis de quo loquimur, aliquod aliud lumen superin­
fundi: quia ad hoc verum intelligendum sufficit recipiens speciem intelligibilem, et faciens speciem esse intelligi­
bilem in actu>> (ll Sent, d. 28, q. 1, a. 5).
Capitolo III - La verita della religione 179

ragione naturale, cosi come fa accadere, in modo miracoloso, delle cose che anche la
natura potrebbe realizzare» (corpus articuli).
E, ricollegandosi alle obiezioni, segnala che «alla prima obiezione si risponde
dicendo che ogni veritii, da chiunque venga delta, viene dallo Spirito Santo, come da
Colui che infonde la luce naturale che muove a conoscere e a parlare della verita. Ma
non si tratta di una grazia di inabitazione divina, o di infusione di un dono sopranna­
turale abituale, rna di una forma di conoscenza o di una capacita di loquela occasio­
nale, e specialmente riguardo alle cose di fede alla quali 1' Apostolo si riferisce» (ad
primum).25

2.2.3. Anche i profeti dei demoni possono dire cose vere


Ad evidenziare la grande apertura alla verita oggettiva di Tommaso si puo conside­
rare il testo della II-II, q. 172, a. 6, nel quale egli evidenzia che perfino i profeti dei
demoni possono dire delle verita.26
Cosi come in una cosa esistente non si puo dare privazione totale dell'ente (nulla) ,
anche a livello della conoscenza non si puo dare una privazione assoluta di verita (fal­
sita assoluta) . Quindi puo esserci qualche verita anche in cio che dicono i profeti del
demonio. In tal caso tali verita non provengono dai demoni, rna in quanta verita sono
un bene che viene da Dio. Tali verita possono provenire da Dio per ispirazione, o in
forza della natura razionale che, comunque e creata da Dio e quindi dallo Spirito
Santo.27 L' obiezione alla quale Tommaso deve rispondere sembrerebbe schiacciante,
sia dal punto di vista del contenuto, sia per 1' autorevolezza della auctoritas sulla quale
sembra poggiare («Sembra che i profeti dei demoni non possano mai dire qualcosa di

25 <<Et tarnen quandoque Deus mirac;ulose per suarn K';atiam aliquos instruit de his quae per naturalern rationern
cognosci possunt, sicut et quandoque rniraculose facit,quaedarn quae natura facere potest. [ . . ] Ad prirnurn ergo
.

dicendum quod omne verum, a quocumque dicatur, est a Spiritu Sancto sicut ab infundente naturale lumen, et
rnovente ad intelligendum et loquendurn veritatern. Non autem sicut ab inhabitante per gratiarn gratum facientern,
vel sicut a largiente aliquod habituale donurn naturae superadditum, sed hoc solurn est in quibusdarn veris cogno­
scendis et loquendis; et rnaxirne in illis quae pertinent ad fidem, de quibus apostolus loquebatur» (1-11, q. 109, a. 1).
26 Vale Ia pena ricordare come altrove (/1/ Sent, d. 25, q. 2, a. 2b ad 3"m) Tornrnaso sostiene che non solo i pro­

feti dei dernoni, rna anche a persone comuni, senza l'interferenza dei demoni, lo Spirito Santo puo avere ispirato,
Ia conoscenza di alcune verita soprannaturali che, in via ordinaria, sono state cornunicate agli uornini solo aura­
verso Ia Rivelazione.
27 <<Videtur quod prophetae daernonum nunquam vera praedicant. Dicit enirn Ambrosius quod omne verum, a
quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est. Sed prophetae daemonurn non loquuntur a Spiritu Sancto, quia non est
conventio Christi ad Belial, ut dicitur II ad Cor. 6, Ergo videtur quod tales nunquam vera praenuntiant. [ . . ] .

Respondeo dicendurn quod sicut se habet bonum in rebus, ita verurn in cognitione. Irnpossibile est autem inveni­
ri aliquid in rebus quod totaliter bono privetur. Unde etiarn irnpossibile est esse aliquarn cognitionem quae totali­
ter sit falsa, absque adrnixtione alicuius veritatis. Unde et Beda dicit quod nulla falsa est doctrina quae non ali­
quando aliqua vera falsis intermisceat. Unde et ipsa doctrina daernonurn, qua suos prophetas instruunt, aliqua vera
continet, per quae receptibilis redditur, sic enirn intellectus ad falsurn deducitur per apparentiarn veritatis, sicut
voluntas ad malum per apparentiam bonitatis. Unde et Chrysostornus dicit, super Matth., concessum est diabolo
180 ALBERTO STRUMIA

vero. Infatti Ambrogio dice che ogni verita, da chiunque venga detta, viene dallo
Spirito Santo. Ma i profeti dei demoni non parlano da parte dello Spirito Santo, per­
che non c'e accordo tra Cristo e Belial, come si dice in II Cor 6. Per cui sembra che
costoro non possano mai profetizzare alcuna cosa vera»). Per rispondere egli si basa
sui principio metafisico in base al quale

Ia verita si rapporta alia conoscenza come il bene in relazione aile cose. Come e impos­
sibile trovare tra le cose qualcuna che sia totalmente priva di bene, cosi e impossibile
trovare tra le conoscenze qualcuna che sia del tutto falsa, priva di qualche elemento di
verita.
[II-II, q. 172, a. 6, co]

Molto coraggiosamente, rna coerentemente con questo principio, Tommaso ne


deduce che

anche Ia dottrina dei demoni, appresa dai suoi profeti, contiene qualche elemento di
verita che Ia rende attrattiva e in forza del quale l'intelletto viene tratto ad accogliere
anche le falsita, fatte apparire come vere, cosi come Ia volonta viene tratta al male fatto
apparire come bene.
[ibidem]

Per la coerenza interna di tutto il discorso rispetto ai principi sui quali si sostiene,
egli deve ammettere, allora, che
i profeti dei demoni non parlano sempre in forza di una rivelazione fatta dai demoni,
rna qualche volta possono parlare per ispirazione divina. [ . . . ] Per cui anche attraverso
i profeti dei demoni puo preannunciare cose vere, per rendere piu credibile Ia verita
mettendola perfino sulla bocca degli avversari. In questo modo, gli uomini credendo a
loro, vengono portati in qualche modo a riconoscere delle cose vere. E cosi che anche
le sibille preannunciarono molte cose vere su Cristo.
[ibidem]

E si spinge ancora piu in la dicendo che


anche quando i profeti dei demoni vengono istruiti dai demoni stessi possono predire
qualcosa di vero

interdum vera dicere, ut mendacium suum rara veritate commendet. [ . . ] Ad primum ergo dicendum quod pro­
.

phetae daemonum 11011 semper loquuntur ex daemonum revelatione, sed interdum ex inspiratione divina, sicut
manifeste legitur de Balaam, cui dicitur Dominus esse loculus, Num. 22, licet esset propheta daemonum. Quia
Deus utitur etiam malis ad utilitatem bonorum. Unde et per prophetas daemonum aliqua vera praenuntiat, tum ut
credibilior fiat veritas, quae etiam ex adversariis testimonium habet; tum etiam quia, dum homines talibus credunt,
per eorum dicta magis ad veritatem inducuntur. Unde etiam sibyllae multa vera praedixerunt de Christo. ( . . . ] Sed
et quando prophetae daemonum a daemonibus instruuntur, aliqua vera praedicunt, quandoque quidem virtute pro­
priae naturae, cuius auctor est Spiritus Sanctus; quandoque etiam revelatione bonorum spirituum, ut patet per
Augustinum, XII super Gen. ad litt.. Et sic etiam illud verum quod daemones enuntiant, a Spiritu Sancto est>>.
Capitola III La verita della religione
- 181

- talvolta in forza della loro natura [di esseri intelligenti], il cui autore e lo Spirito
Santo
- altre volte per qualche rivelazione degli spiriti buoni, come si Iegge in Agostino nel
libro XII Sulla Genesi alia lettera.
Quindi anche cio che di vero viene detto dai demoni proviene dallo Spirito Santo.
[II-II, q. 172, a. 6, ad 1]

Tali considerazioni sono di interesse anche per il nostro oggetto in quanta trattano,
tra l'altro, della possibilita di un intervento soprannaturale in merito a conoscenze sia
alla portata della ragione naturale che eccedenti le possibilita conoscitive della ragio­
ne. In particolare questa testa della II-II, q. 172, a. 6, nel quale si motiva la possibili­
ta di una rivelazione di alcuni contenuti veri, pur coesistenti con altri contenuti erro­
nei. Sembra legittimo ritenere che, se perfino i profeti dei demoni e le sibille hanna
profetizzato cose vere anche riguardo a Cristo, anche, e a maggior ragione, i fondato­
ri di una religione vera - rna anche di una religione falsa (!) - possano avere detto alcu­
ne cose vere su Dio e Cristo, che rientrerebbero pertanto, anch'esse, nella categoria dei
semina Verbi.
Sulla base di questi principi tomisti, tuttavia risulta chiaro che, se cosi fosse, basan­
dosi solo sulla base di questi elementi, non si potrebbe concludere ne che la religione
di cui si parla sia una vera religio; ne tanto meno che, anche nel caso si tratti di una
religione "vera", tutti i suoi contenuti siano percio stesso accettabili come veri ed esen­
ti, quindi, da errore; ne, ancora, che quella religione "vera" sia automaticamente anche
"salvifica" in forza di alcuni contenuti veri.

2.3. ALTRI TESTI SULLO SPIRITO SANTO E SUI SEMI DI VIRTU


2.3.1. Lo Spirito di Verita
Commentando il cap. 14 del Vangelo di Giovanni, a proposito della Spirito Santo
che e Spirito di Verita, Tommaso offre degli splendidi passaggi, che uniscono all'ana­
lisi scientificamente teologico-metafisica dei testi precedenti anche i1 carattere medi­
tativo spirituale proprio di un commento alla Scrittura. In questa testa, poi, Tommaso
va al di Ia dell'analisi metafisica sulla causalita efficiente ed esemplare che vede il Dio
uno nella Spirito Santo, indicando i motivi di convenienza per i quali risulta essere
appropriato il riferimento alla persona della Spirito Santo in quanta e 1' Amore, ed e
proprio dell'amore svelare le case piu intime e segrete alle persone piu care.

Questa Spirito e Colui che guida alia corroscenza della verita, perche procede dalla
Verita, come viene detto sopra: Io sono Ia via e Ia verita e Ia vita. Ora, cosi come anche
in noi dalla verita, concepita e considerata, segue l'amore della verita stessa, cosi in
Dio, concepita la Verita, che e il Figlio, procede 1' Amore. E procedendo dalla Verita
conduce alia piena conoscenza di Lui. [ . . . ] Percio Ambrogio dice: ogni verita, da
chiunque venga detta, viene dallo Spirito Santo. [ . . . ] Perche manifestare la verita con-
182 ALBERTO STRUMIA

viene propriamente allo Spirito Santo, che e I' Amore che compie Ia rivelazione dei
segreti.
[Sup Johan, c. 14, lc. 4]28

2.3.2. I semi di una virtu


Vale la pena anche considerare alcuni testi, assai interessanti, nei quali Tommaso
espone l'idea della possibilita che una virtu sia posseduta non in forma esplicita e
piena, ma solo "germinale", o come in un "seme" non ancora maturo.29 L' origine
remota a questa approccio si trova anche in Cicerone, rna non e chiaro se Tommaso si
sia rifatto a questa autore, che non viene da lui citato a questa proposito; tuttavia, pro­
babilmente, egli si e rifatto ad una dottrina che non era inconsueta, grazie all'eredita
culturale e filosofica che derivava da questa autore.30
Anche se in III Sent, d. 36. q. 1 . a. 1, il contesto del discorso e quello delle "virtu
politiche" che si collegano alle virtu cardinali e non e quello della fede teologale, una
certa analogia fra i semina virtutum e i semina Verbi sembrerebbe consentirci di col­
legare questa idea di una forma germinale della virtu, alla possibilita che la stessa
"fede" possa essere "passeduta germinalmente", attraverso i semina Verbi, sebbene
Tommaso non lo dica esplicitamente. Non si tratterebbe, in questa caso, della fede
implicita in Cristo mediatore, quanta di una conoscenza esplicita, rna limitata a qual­
che isolato elemento di verita, ricevuta per una particolare illuminazione della Spirito
Santo.
Questa ipotesi parrebbe, in qualche modo, avvalorata dal fatto che come per le virtu
cardinali il possesso germinale di una virtu puo coesistere con dei vizi che si oppon-

28 <<Sed iste Spiritus ducit ad cognitionem veritatis, quia procedit a Veritate, quae dicit supra eodem: Ego sum
via, et veritas, et vita. Nam, sicut in nobis ex veritate concepta et considerata sequitur amor ipsius veritatis, ita in
Deo concepta Veritate, quae est Filius, procedit Amor. Et sicut ab ipsa procedit, ita in eius cognitionem ducit; infra
c. 14,14: /lie me clarificabit, quia de meo accipiet etc. Et ideo dicit Ambrosius, quod omne verum a quocumque
dicatur a Spiritu Sancto est. I Cor. 12,3: Nemo potest dicere, "Dominus Jesus ", nisi in Spiritu Sancto; infra 15,26:
Cum venerit Paraclitus, quem ego mittam vobis Spiritum veritatis. Manifestare autem veritatem convenit proprie­
tati Spiritus Sancti. Est enim Amor qui facit secretorum revelationem; infra 15,15: vos autem dixi amicos, quia
omnia quaecumque audivi a patre meo, nota feci vobis; lob c. 34,33: Annuntiat de ea (scilicet veritate) amico suo.
Recipiunt autem Spiritum Sanctum credentes, et quantum ad hoc dicit quem mundus non potest accipere, et primo
ostendit qui sun! quibus non datur; secundo ostendit quibus datur, ibi vos autem cognoscetis etc. [ . . . ] Datur autem
fidelibus: unde dicit: vos autem, qui movemini a Spiritu Sancto, cognoscetis eum>>.
29 Questo lema dei semi della virtu (oltre a quello dei semi della scienza e della sapienza) e trattato diffusamente

da san Tommaso a proposito delle virtu cardinali e di quelle ad esse collegate soprattutto nel III Sent, che in II-II;
quello che abbiamo riportato qui e pero l'unico in cui si cita anche Ia formula deii'Ambrosiaster. Un riferimento
ai "semi della fede" (seminaria fidei) si trova solo in CA in Mt (c. 28, !c. 2) in riferimento alia missione di getta­
re il "seme della fede", e nella Pastil/a in librum Geneseos, che pero non e opera autentica di Tommaso, e nella
quale si fa un riferimento significativo alia nascita del culto della religione e dei germi della fede a! tempo della
Legge mosaica: <<in initio enim legis per mensem decimum propter praeceptorum decalogum designatae apparue­
runt prima elementa divini cultus et prima seminaria fidei».
30 R.M. PIZZORNI, II diritto naturale . . , op. cit., p. 92-93.
.
Capitolo III La verita della religione
- 183

gono alle altre virtu, cosl la presenza di una fede germinate che riconosce solo alcune
verita (semi del Verbo) puo coesistere con molti altri errori al riguardo di altre verita
di fede, errori che non possono esservi quando Ia fede teologale e esplicita e piena
come Ia fede della Chiesa. Dice Tommaso: «La virtu si puo considerare sotto un dupli­
ce riguardo. Nel primo modo, nel suo stadio iniziale ancora imperfetto, come un seme
di virtu posseduto per natura: in questo senso per virtu si intende una inclinazione
na,turale verso l'atto virtuoso; in questo senso una virtu puo esservi anche senza le
altre. Alcuni, infatti, sono naturalmente inclini alla liberalita e insieme alla lussuria per
Ia loro costituzione fisica, e altri casi simili».31
In altri luoghi san Tommaso tratta del medesimo argomento senza far uso della
dizione «seminaria virtutum», rna utilizzando, in altemativa, Ia formula «inchoatio
virtutis» o una sua variante. Tale utilizzo viene collocato sempre nell'ambito delle
r virtu cardinali, paragonando a volte l'abito virtuoso all'abito conoscitivo, tramite il
quale si acquisisce una scienza, quindi in rapporto alla conoscenza della verita. Egli
afferma che: «Ia naturale inclinazione al bene di una virtu e una sorta di inizio (inchoa­
tio) di quella virtu, pur non essendo Ia virtu perfetta».32
Riferendosi alla dottrina etica aristotelica, secondo Ia quale «gli abiti delle virtu
preesistono in noi, prima della loro attuazione, nelle inclinazioni naturali, che sono
come degli inizi (inchoationes) delle virtu, e solo in seguito, mediante l'esercizio delle
opere, giungono alia piena attuazione», Tommaso aggiunge: «A somiglianza di quan­
to si verifica per l'acquisizione della scienza: in noi preesistono come i semi della
scienza, cioe i primi concetti dell'intelletto che, vengono conosciuti mediante le "spe­
cie" astratte dalle cose sensibili dal lume dell'intelletto agente, sia che siano comples­
se come i principi primi (dignitates), sia che siano incomplesse, come le nozioni di
"ente", di "uno", ecc., che l'intelletto coglie immediatamente. In questi principi uni­
versali sono presenti le verita successive come in delle ragioni serninali».33
In un terzo ed ultimo testo Tommaso precisa che «c'e un inizio (inchoatio) della

l
31 <<Virtus dupliciter potest �oqs derari. Uno modo secundum esse ipsius imperfectum, secundum quod semina­
ria virtutum insunt nobis a natura; et sic virtus dicitur quaedam naturalis inclinatio ad virtutis actum; et hoc modo
una virtus potest haberi sine alia. Quidam enim sunt naturaliter apti ad liberalitatem, quidam sunt proni ad luxu­
riam ex natura suae complexionis, et sic etiam contingit in aliis» (III Se111, d. 36. q. 1. a. 1 co).
32 <<Ad tertium dicendum quod naturalis inclinatio ad bonum virtutis, est quaedam inchoatio virtutis, non autem
est virtus perfecta» (I-II, q. 58, a. 4, ad 3wn).
33<<Similiter etiam secundum ipsius sententiam in VI Ethicorum, virtutum habitus ante earum consummationem
praeexistunt in nobis in quibusdam naturalibus inclinationibus, quae sunt quaedam virtutum inchoationes, sed
postea per exercitium operum adducuntur in debitam consummationem. Similiter etiam dicendum est de scientiae
acquisitione; quod praeexistunt in nobis quaedam scientiarum semina, ·scilicet primae conceptiones intellectus,
quae statim lumine intellectus agentis cognoscuntur per species a sensibilibus abstractas, sive sint complexa, sicut
dignitates, sive incomplexa, sicut ratio entis, et unius, et huiusmodi, quae statim intellectus apprehendit. In istis
autem principiis universalibus omnia sequentia includuntur, sicut in quibusdam rationibus seminalibus» (De Ver,
q. 11, a. 1 co).
184 ALBERTO STRUMIA

virtu che e legato alla natura dell'individuo, per il fatto che un uomo per la sua strut­
tura psicofisica o per un influsso celeste e orientato all'atto di una certa virtu. Questa
inclinazione e come un inizio di quella virtu, rna non e la virtu perfetta».34
Estrapolando queste considerazioni - per quanto sia possibile farlo, in quanto in
san Tommaso questo ulteriore passaggio non si trova - all' ambito delle virtu teologa­
li, e della fede in particolare, si potrebbe dire che questi semi di verita, in quanto sug­
geriti soprannaturalmente, per essere portati alla piena conoscenza della verita e alla
virtu perfetta della fede richiedono 1' Annuncio completo del Vangelo di Cristo e la
corrispondente adesione da parte di chi lo riceve, che lo riconosce come l'esplicito
compimento di quanto, implicitamente, attendeva. E questo e un'ulteriore conferma
della necessaria missionarieta della Chiesa, come e stato ribadito piu volte dal
Magistero (cfr. Evangelii nuntiandi, n. 53; Redemptoris missio, nn. 28-29).

3. La Iegge naturale in san Tommaso

La nozione di "legge naturale" e oggi in larga misura abbandonata in quanto appa­


re teoreticamente poco fondata, al pari e in conseguenza della perdita della nozione di
verita, a favore di un soggettivismo relativista, e sara verosimilmente recuperata solo
quando lo sara quest'ultima. Si potrebbe dire che il relativismo epistemologico dei
nostri giorni trova il suo corrispettivo etico-giuridico nel relativismo della morale e del
diritto, in base al quale la legge puo essere solo positiva, senz'altro fondamento che la
convenzione e, quindi, in ultima istanza il consenso o la volonta collettiva.
Leggendo quanto Tommaso scrive sulla legge naturale, e la legge in generale, risul­
ta evidente come, al contrario, gli sia del tutto estraneo quell'estrinsecismo tipico del
formalismo etico della modernita (bonum quia praeceptum). La legge non e, per lui,
una sorta di "corpo estraneo" che viene imposto convenzionalmente, e quindi arbitra­
riamente, quanto, piuttosto, una "regola interna" all'essere, che garantisce il suo "buon
funzionamento" (praeceptum quia bonum), e quindi i1 conseguimento del suo fine ulti­
moY Essa somiglia piu ad una legge fisica, come oggi noi la intendiamo, che ad una
obbligazione coercitiva. A differenza delle leggi fisiche che governano i corpi mate-

34 «Est autem aliqua inchoatio virtutis, quae consequitur naturam individui, secundum quod aliquis homo ex

naturali complexione vel caelesti impressione inclinatur ad actum alicuius virtutis. Et haec quidem inclinatio est
quaedam virtutis inchoatio; non tamen est virtus perfecta» (De Virt., q. 1, a. 8 co).
35 La letteratura sulla Iegge naturale in Tommaso e vastissima. Qui ci limiteremo a riportare alcuni fra gli studi
principali: A.H. CHROUST, The Philosophy of Law from St. Augustine to Thomas Aquinas, "The New
Scholasticism", 20 (1946), pp. 26-71; W. FARRELL, Law in Aristotle and St. Thomas, "The New Scholasticism", 24
(1950), pp. 439-444; P.M. FARRELL, Sources of St. Thomas' Concept of Natural Law, The Thomist 20 (1957),
pp. 237-294; R.A. ARMSTRONG, Primary and Secondary Precepts in Thomistic Natural Law Teaching, M. Nijhoff,
The Hague 1966; D.J. O'CONNOR, Aquinas and Natural Law, New Studies in Ethics: Macmillan, London -
Melbourne 1967; J. DE FINANCE, La nozione di Legge naturale, "Rivista di filosofia neo-scolastica", 61 (1969),
Capitolo III - La verita della religione 185

riali e delle leggi biologiche che guidano l'istinto dei viventi, pen), la "legge naturale"
che orienta l'uomo si offre alla sua ragione e alla sua libera volonta per essere segui­
ta e non viene, come tale, eseguita automaticamente. Percio la legge e "originaria­
mente naturale": e una legge ontologica che fonda l'etica: «la legge naturale e cosi la
Iegge interiore della nostra natura razionale e non qualcosa di imposto all'uomo dal­
l'esterno, sia pure da una particolare disposizione divina, rna e posta nel suo intimo

IV-V, pp. 365-386; L.J. Roos, Natural Law and Natural Right in Thomas Aquinas and Aristotle, Dissertatio doc­
toralis: University of Chicago, Chicago 1971; W.E. M AY , The Meaning and Nature of the Natural Law in Thomas
Aquinas, "American Journal of Jurisprudence", 22 (1977), pp. 168-189; E.A. GOERNER, On Thomistic Natural
Law: The Bad Man 's View of Thomistic Natural Right, "Political Theory", 7 (1979), pp. 101-122; E. ANDUJAR, La
loi et le Droit nature/ chez saint Thomas: une bibliographie, "De Philosophia", 3 (1982), pp. 10-32; D.A. DEGNAN
JR., Two Models ofPositive Law in Aquinas: A Study of the Relationship ofPositive Law and Natural Law, "The
Thomist", 46 (1982), pp. 1-32; A. ScoLA, La fondazione teologica della Iegge naturale nello "Scriptum super
Sententiis " di San Tommaso d'Aquino, "Studia Friburgensia," 60, "Kanonistische Abteilung", 2,
Universitiitsverlag, Freiburg (Schweiz) 1982; G. ABBA, Lex et virtus. Studi sull'evoluzione della dottrina morale
di san Tommaso d'Aquino, Las-Roma 1983; V. POSSENTI, Philosophie du Droit et loi naturelle selon Jacques
Maritain, "Revue Thomiste", 83 (1983), pp. 598-608; J. MARJTAJN, Nove lezioni sulla Iegge naturale, Jaca Book,
Milano 1985; T.M. SEEBOHM, Isidore of Seville versus Aristotle in the Questions on Human Law and Right in the
Summa Theologiae of Thomas Aquinas, "Graduate Faculty Philosophy Journal", 1 1 (1986), pp. 83-105;
T.G. BELMANS, L'immutabilite de Ia loi naturelle selon s. Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 87 (1987), pp. 23-
44; L.J. ELDERS, K. HEDWIG (eds. ), Lex et libertas: Freedom and Law According to St. Thomas Aquinas:
Proceedings of the Fourth Symposium on St. Thomas Aquinas' Philosophy, Rolduc, November 8 and 9, 1986,
"Studi tomistici", 30, Libreria Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1987; T. FuLLER, Compatibilities on the Idea
ofLaw in Thomas Aquinas and Thomas Hobbes, Hobbes Studies (1990), pp. 112-134; J.P. REILLY, Saint Thomas
on Law, "The Etienne Gilson Series", 12, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990;
M. RHONHEIMER, Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell'autonomia morale, Armando, Roma
2001; J. MARITAJN, I diritti dell'uomo e Ia Iegge naturale, Vita e Pensiero, Milano 1991; J. FIESER, The Logic of
Natural Law in Aquinas's Treatise on Law, "Journal of Philosophical Research", 1 7 (1992), pp. 155-172;
J.P. RENTTO, Thomasian Natural Law and the Is-Ought Question, "Vera Lex", 14 (1994), pp. 41-46;
A. VENDEMIATI, La Iegge naturale nella Summa Theologiae di San Tommaso d 'Aquino, Dehoniane, Roma 1995;
M. CARL, Law, Virtue, and Happiness in Aquinas's Moral Theory, "The Thomist", 61 (1997), pp. 425-447;
E.F. ROGERS, The Narrative of Natural Law in Aquinas's Commentary on Romans I, "Theological Studies", 59
(1998), pp. 254-276; P.C. WESTERMAN, The Disintegration of Natural Law Theory: Aquinas to Finnis, "Brill's
Studies in Intellectual Historyj', 84, E.J. Brill, Leiden - New York 1998; S.J. CASSELLI, The Threefold Division of
the Law in the Thought ofAquinas, "Westminster Theological Journal", 61 (1999), pp. 175-207; F. DI BLASI, Dio
e Ia Legge naturale. Una rdettura di Tommaso d'Aquino, Journal of Law and Religion - ETS, Pisa 1999;
J. PETERSON, Natural Law, End� and Virtue in Aquinas, "Journal of Philosophical Research", 24 (1999), pp. 397-
413; J. PORTER, Natural and Divine Law: Reclaiming the Tradition for Christian Ethics, Saint Paul University
Series in Ethics: Novalis - W.B. Eerdmans, Ottawa - Grand Rapids 1999; P.P. CvEK, ThomasAquinas, Natural Law,
and Environmental Ethics, "Vera Lex", 1 (2000), pp. 5-18; D. SULLIVAN, Disagreement and Objectivity in Ethics:
Aquinas on the Common Precepts of the Natural Law, "American Catholic Philosophical Quarterly", 74,
Supplement (2000), pp. 231-244; S. DAVIS, Doing What Comes Naturally: Recent Work on Thomas Aquinas and
the New Natural Law Theory, "Religion", 31 (2001), p. 407-433; R.M. PIZWRNI, Il diritto naturale dalle origini
a S. Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2000; IDEM, Diritto, morale, religione. Il fonda­
menlo etico-religioso del diritto secondo San Tommaso d'Aquino, Urbaniana University Press, Citta del Vaticano -
Roma 2001 ; D.M. VAN DRUNEN, Law and Custom: The Thought of Thomas Aquinas and the Future of the
Common Law, P. Lang, New York 2003; J. GOYETTE, M.S. LATKOVIC, R.S. MYERS (EDS.), St. Thomas Aquinas and
the Natural Law Tradition: Contemporary Perspectives, Catholic University of America Press, Washington 2004.
186 ALBERTO STRUMIA

(a natura), e seguendola egli realizza se stesso, la sua umanita, la sua finalita, la sua
perfezione, la sua felicita».36 E questo libera l'etica tomista da qualunque forma di
moralismo. Su questo fondamento originario si devono innestare, poi, anche le leggi
positive, scritte e promulgate dagli uomini per poter conseguire il fine di migliorare le
condizioni della vita individuate e sociale orientandola al conseguimento del bene
comune.37
E proprio per questa sua caratteristica di poter essere assecondata solo attraverso la
liberta, non essendo coercitiva, che la legge naturale puo apparire, in certi periodi della
storia, come quello presente, non oggettivamente fondata, non valida per tutti, addirit­
tura inesistente. Ma la sua oggettiva fondatezza, anche quando non sia stata conosciu­
ta intellettualmente, a causa di un indebolimento di lucidita della razionalita, si evi­
denzia sulla base dell'esperienza, nella scala dei "tempi lunghi" della vita di una socie­
ta civile: <<La rinascita del diritto naturale s'impone, dunque, per necessita di vita».38
11 progressivo offuscamento della coscienza individuate e sociale genera un progressi­
vo disagio al livello del grado di vivibilita della societa: e questo rappresenta il primo
indizio fenomenologico di un errore teoretico, quello di aver rifiutato le leggi della
conoscenza oggettiva e della morale oggettiva. Alla fine tutto si riconduce sempre ai
fondamenti ontologici dell'essere, della conoscenza e dell'agire.
Qui ci limiteremo, necessariamente, a considerare quegli aspetti fondamentali del
modo in cui san Tommaso tratta i1 problema della legge naturale, che ci sembrano di,
rilievo in rapporto ad una riflessione sulla religione, sia dal punto di vista strettamen­
te filosofico che teologico. I nodi teoretici in questione riguardano: a) il parallelismo
tra la conoscenza speculativa e pratica: primi principi e legge naturale, b) i contenuti
della legge naturale comuni a tutti gli uomini, conosciuti con la sola ragione, c) i con­
tenuti della legge naturale in quanto rivelati nel Decalogo.

3.1. PARALLELISMO TRA CONOSCENZA SPECULATIVA E PRATICA

Esiste un preciso rapporto, nella visione tomista, tra la conoscenza speculativa e la


conoscenza pratica e, quindi, tra la nozione di "verita" e quella di "legge". Si tratta,
pero di una relazione di analogia39 e non di un parallelismo di semplici corrisponden­
ze, in quanto la verita scientificamente conosciuta, tratta di leggi universali e necessa­
rie, mentre la morale deve calare i principi generali fino al livello delle scelte singola-

36 R.M. PIZZORNI, ll diritto naturale... , op. cit., p. 536.


37 Cfr. 1-11, q. 90, a. 3 co («Lex, proprie, primo et principaliter respicit ordinem ad bonum commune»).
38 R.M. PIZZORNI, Diritto, morale, religione .. , op. cit., p. 378.
.

39 Si tratta di un' analogia di proporzionalita propria: Ia ragione speculativa sta alia ragione pratica come Ia
nozione di verita sta alia nozione di Iegge, come i principi primi della ragione speculativa stanno alia Iegge natu­
rale, ecc.
Capitolo III - La verita della religione 187

ri e contingenti. In questo sta la principale differenza tra il piano speculativo e quello


pratico. Come spiega san Tommaso:
La ragione speculativa e Ia ragione pratica, in questo si differenziano. Perche, infatti,
Ia ragione speculativa tratta principalmente di cio che e necessaria e che non puo esse­
re diversamente e deduce, senza errore, conclusioni vere quanto lo sono i principi
comuni.
Mentre Ia ragione pratica tratta di cose contingenti, che hanno a che fare con le attivi­
ta degli uomini. Percio, anche se nei principi comuni vi e un certo grado di necessa­
rieta, quanto piu si scende nel particolare, tanto piu emergono gli errori.
[I-II, q. 94, a. 4]40

Ma, non ostante questa differenza non secondaria, si riscontra come i caratteri di
entrambi i modi di procedere ("speculativo" e "pratico") riflettano, su due piani diver­
si (quello del verum e quello del bonum), una medesima struttura ontologica (quella
dell' ens), e come tutti e tre i piani abbiano in Dio la loro causa (in senso analogico)
efficiente, finale ed esemplare.
Nell'ambito della conoscenza speculativa, la "verita", nota all'Intelletto divino,
viene partecipata all'intelletto umano attraverso la conoscenza delle cose da essa infor­
mate e attraverso la conoscenza della verita dell'atto del giudizio. Nell'ambito della
conoscenza pratica e dell'agire, la "legge eterna", nota alla Provvidenza divina, viene
partecipata strutturalmente alla natura umana attraverso la legge naturale, perche prov-
- veda, secondo la debita misura, a se e alle altre creature. Si noti che "verita divina" e
"legge eterna" sono distinguibili solo quoad nos, in quanto, in se stesse, coincidono
con l'essenza "semplicissima" di Dio nel quale non vi e alcuna composizione. Per cui
si puo dire indifferentemente che ogni conoscenza della verita e "partecipazione della
verita divina", ovvero e "partecipazione della legge eterna" .41
Nel testo che segue, tratto dalla I-II, q. 91, a. 2, viene definita la nozione di legge
naturale.

40 <<Aliter !amen circa hoc se habet ratio speculativa, et aliter ratio practica. Quia enim ratio speculativa praeci­

pue negotiatur circa necessaria, quae impossibile est aliter se habere, absque aliquo defectu invenitur veritas in
conclusionibus propriis, sicut et in principiis communibus. Sed ratio practica negotiatur circa contingentia, in qui­
bus sun! operationes humanae, et ideo, etsi in communibus sit aliqua necessitas, quanta magis ad propria descen­
ditur, tanto magis invenitur defectuS>>.
41 «Omins enim cognitio veritatis est quaedam irradiatio et participatio legis aetemae, que est veritas incommu­
tabilis>> (1-11, q. 93, a. 2 co). E. Gilson descrive'molto efficacemente questi rapporti di analogia-partecipazione tra
Legge etema/legge naturale, Essere divino/essere creato, Ragione divina/ragione creata, nel modo seguente: «La
Iegge eterna fa una cosa sola colla Sapienza di Dio, che muove e dirige al loro fine tulle le �se che ha creato. [ . . . ]
La Iegge naturale sta alia Iegge eterha come l'essere sta all'Essere, e il pricnipio vale per ogni ordine di creature
indistintamente. ( . . . ] Se Ia ragione e Ia regola che misura Ia banta o Ia malvagita del nostro volere, essa lo deve a
questa regola suprema, che non e essa stessa se non Ia ragione divina splendente in noi per via di partecipazione>>
(E. GILSON, Lo spirito della filosofia medievale, Morcelliana, Brescia 1 96�, pp. 401-402). Per un excursus sui
lema della Iegge etema rimandiamo a R.M. PIZZORNI, Diritto, morale, religione. . . , op. cit., cap. 2.
188 ALBERTO STRUMlA

La legge, essendo regola e misura, puo trovarsi in un soggetto secondo due diverse
modalita:
- nel primo modo come in colui che regola e misura e
- nel secondo come in colui che e regolato e misurato da essa, perche partecipa di
quella regola e misura.
Per cui, dal momento che tutte le cose sono govemate dalla Provvidenza divina, sono
regolate e misurate dalla Legge etema, come si e detto, che ne orienta strutturalmente
i comportamenti e i fini.
Tra tutte, la creatura razionale e govemata dalla Provvidenza divina nel modo piii ele­
vato, in quanto diviene essa stessa partecipe del compito di provvedere a se stessa e
agli altri. Per cui in lei viene partecipata la Ragione etema in forza della quale ha una
naturale inclinazione al debito modo di agire e al debito fine. Questa partecipazione
della Legge etema nella creatura razionale si dice legge naturale.
[I-II, q. 91, a. 2 co]42

L' analogia tra il processo speculativo e quello pratico viene dettagliata nel succes­
sivo articolo della stessa questione, a conclusione del quale viene fatto anche un rapi­
do accenno alla religione che, fondandosi essa stessa sulla legge naturale, non puo che
confermare le consuetudini che si sono consolidate a partire dalla medesima legge
naturale. Si comprende bene, con l'aiuto del parallelismo dei procedimenti della ragio­
ne speculativa e pratica qui istituito, come la perdita di riferimento ai principi della
ragione pratica (legge naturale) sia una conseguenza diretta della perdita di riferimen­
to ai principi della ragione speculativa (realismo, verita) e come il relativismo religio­
so sia una conseguenza inevitabile del relativismo epistemologico ed etico.
C' e una somiglianza nel modo di procedere della ragione pratica e della ragione spe­
culativa. Entrambe, infatti, si fondano su dei principi per giungere a delle conclusioni,
come si e visto in precedenza.
- In base a cio si deve dire che, come con la ragione speculativa si giunge alle con­
clusioni delle diverse scienze - che non sarebbero a noi naturalmente note, rna sono
state trovate dal laborioso esercizio della ragione - a partire da principi indimostrabi­
li "noti strutturalmente" [all'intelletto],
- cosi anche a partire dai precetti della legge naturale, come da principi comuni e indi­
mostrabili, bisogna che la ragione umana proceda ad altri che possano essere impie­
gati piii in particolare. E queste disposizioni particolari, elaborate dalla ragione umana,
si dicono leggi umane.

42 <<Lex, cum sit regula et mensura, dupliciter potest esse in aliquo, uno modo, sicut in regulante et mensurante;
alio modo, sicut in regulato et mensurato, quia inquantum participat aliquid de regula vel mensura, sic regulatur
vel mensuratur. Unde cum omnia quae divinae providentiae subduntur, a Lege aeterna regulentur et mensurentur,
ut ex dictis pate!; manifestum est quod omnia participant aliqualiter Legem aeternam, inquantum scilicet ex
impressione eius habent inclinationes in proprios actus et fines. Inter cetera autem rationalis creatura excellentio­
ri quodam modo divinae Providentiae subiacet, inquantum et ipsa fit Providentiae particeps, sibi ipsi et aliis pro­
videns. Unde et in ipsa participatur Ratio aeterna, per quam habet naturalem inclinationem ad debitum actum et
finem. Et talis participatio Legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur».
Capitolo III La verita della religione
- 189

[. . .]
Per questo anche Tullio, nella Retorica dice che l'inizio del diritto muove dalla natu­
ra, poi si sono aggiunti elementi di consuetudine e ragionevolezza e, dopo ancora,
quanto era fondato sulla natura e verificato nella consuetudine e stato sancito da un
timore rispettoso delle leggi e dalla religione.
[I-II, q. 91, a. 3 co]43

La religione stessa, nasce come risposta ad un "dovere di giustizia" suscitato nel


cuore dell'uomo proprio dalla "legge naturale", che lo muove a rendere il debito culto
a Dio, pur nella consapevolezza che l'uomo ha dell'inadeguatezza dei propri atti fini­
ti nei confronti dell'infinita dignita di Colui che viene onorato. Non a caso, definendo
la religione, Tommaso premette, alla considerazione della sproporzione tra la restitu­
zione attuata dal debitore (che nel caso della virtu di religione e l'uomo) e il debito
verso il creditore (cioe Dio), la clausola «ex obligatione legis», ad indicare che la reli­
gione, in quanto parte potenziale della giustizia, ha un "fondamento legale". E la legge
che la fonda e, anzitutto, la legge naturale e, di conseguenza, anche la legge positiva:
«La religione, che e verso Dio, e la pieta che e verso i genitori, i parenti e la patria,
[ . . . ] rendono il dovuto, rna non adeguatamente, percbe sarebbe impossibile, e lo fanno
in forza di un obbligo della legge».44 In questo senso le leggi positive confermano la
legge naturale che orienta a riconoscere la condizione creaturale dell'uomo in forza
della quale egli ha un debito nei confronti di Dio. Questo legame tra religione e legge
naturale apparira esplicitamente nei passi che si riferiscono al Decalogo.

Se ne trae, dunque, la conseguenza che


- una espressione religiosa che contrasti la legge naturale non e propria di una
religione autentica,

43 «Similis autem processus esse invenitur rationis practicae et speculativae. Utraque enim ex quibusdam prin­
cipiis ad quasdam conclusiones procedit, ut superius habitum est. Secundum hoc ergo dicendum est quod, sicut in
ratione speculativa ex principiis indemonstrabilibus naturaliter cognitis producuntur conclusiones diversarum
scientiarum, quarum cognitio non est nobis naturaliter indita, sed per industriam rationis inventa; ita etiam ex prae­
ceptis legis naturalis, quasi ex quibusdam principiis communibus et indemonstrabilibus, necesse est quod ratio
humana procedat ad aliqua magis particulariter disponenda. Et istae particulares dispositiones adinventae secun­
dum rationem humanam, dicuntur leges humanae. [ . . . ] Unde et Tullius dicit, in sua Rhetor., quod initium iuris est
a natura profectum; deinde quaedam in consuetudinem ex utilitate rationis venerunt; postea res et a natura profec­
tas et a consuetudine probatas legum metus et religio sanxil>>. II riferimento a Cicerone sulla conferma da parte
della religione delle consuetudini fondate sulla Iegge naturale e codificate dalla Iegge umana, si trova anche in
N Sent, d. 33, q. 1, a. 1, ad 2um; 1-I/, q. 95, a. 2 sc.
44 <<Religio autem quae est ad Deum, et pietas quae est ad parentes et conjunctos sanguine vel patria, [ . . . ] red­
dun! quod debent, et ex obligatione legis, sed non quantum; quia impossibile est>> (III Sem, d. 33, q. 3, a. 4 co).
190 ALBERTO STRUMIA

- e qualunque enunciazione contrastante la legge naturale che essa proponga da


credere ai suoi aderenti, incrina anche la sua autenticita.45

Nel prima caso viene chiamata in causa direttamente la "verita ontologica" (auten­
ticita) , nel secondo e la "verita logica" ad essere direttamente compromessa e, come
conseguenza, anche la verita ontologica. E questa seconda circostanza si presenta
quando !'errore "logico", che compromette direttamente la verita logica della reli­
gione con un contenuto erroneo, coinvolge delle affermazioni che contrastano con la
"definizione" stessa di religione, o con le sue dirette conseguenze. Per cui un tale tipo
di errore compromette anche la verita ontologica di quella religione che ne e porta­
trice.46

3.2. I CONTENUTI DELLA LEGGE NATURALE CONOSCIUTI CON LA SOLA RAGIONE

Nell'art. 2 della q. 94 della /-//"', san Tommaso, dopa un'introduzione che riprende
il tema del parallelismo tra conoscenza speculativa e pratica, arricchendolo con qual­
che esempio, entra in maggior dettaglio al riguardo dei contenuti propri della legge
naturale.47

I precetti della Iegge naturale stanno alla ragione pratica come i principi della dimo­
strazione stanno alla ragione speculativa, in quanto sia gli uni che gli altri sono dei
principi per se noti.
[I-II, q. 94, a. 2 co]

Tommaso deve chiarire in che sensa gli uni come gli altri debbano intendersi noti
in se stessi, quali siano le somiglianze e quali le differenze.

45 Ad esempio una "religione" che proponesse di credere che Dio non ama tutti gli uomini.
46 Per fare un esempio che prendiamo a prestito dalla geometria. Se si dicesse che <<questo triangolo e equilate­
ro e scaleno>> si incorrerebbe in un errore che compromette solo Ia verita "logica" in quanto il predicato <<equila­
tero e scaleno» e contraddittorio, rna non si intaccherebbe Ia verita "ontologica" del triangolo (perche sia l'equi­
latero che lo scaleno sono autentici triangoli). Se, invece, si dicesse <<questo triangolo equilatero ha quattro !ali>> si
incorrerebbe in un errore che compromette sia Ia verita logica, perche l'afferrnazione e falsa, rna anche quella onto­
logica, in quanto il predicato (l'avere quattro lati), che non e contraddittorio in se stesso, e peri'> in contraddizione
con Ia definizione stessa di triangolo e, quindi, non e predicabile di questo soggetto. Cosl, una religione che affer­
masse che !'anima umana e mortale, avrebbe un contenuto logicamente falso, rna non sarebbe questo a compro­
mettere Ia sua autenticita come religione. Mentre una religione che afferrnasse che Ia bestemmia e una cosa buona,
farebbe una afferrnazione logicamente falsa che rende inautentica quella religione, in quanto contraddice Ia defi­
nizione stessa di religione. Per definizione, infatti, Ia religione comporta un rendere onore a Dio con il culto, il che
e contraddetto dall'alto della bestemmia che intende disonorarlo.
47 A noi sorprende come i contenuti qui esposti vengano, da Tommaso, elencati in via piu esemplificativa che
altro: evidentemente al suo tempo essi erano ritenuti pressoche ovvi per il sentire comune, mentre per il sentire
comune odierno, almeno alcuni di essi, sembrano non esserlo quasi piu e occorre giungere a dimostrarli con
costruttivo rigore.
Capitola III - La verita della religione 191

Una cosa si dice per se nota in due modi:


- nel prima modo, in se stessa;
- nel secondo modo, per noi.
In se stessa qualsiasi proposizione si dice per se nota, quando il suo predicato rientra
nella definizione del soggetto. Ma succede che non sia per se nota a chi non conosce
Ia definizione del soggetto. Come, ad esempio, Ia proposizione "l'uomo e razionale",
e per se nota in se stessa, perche chi dice "uomo" dice "razionale"; tuttavia per chi non
conosce Ia definizione di uomo, non lo e. Ma, come dice Boezio nel De hebdomadi­
bus, vi sono delle proposizioni "primitive" (diginitates) note di fatto a tutti, i cui ter­
mini sono da tutti conosciuti, come "il tutto e maggiore della parte", "due cose ugua­
li ad una terza cosa sono uguali tra Ioro".
[ibidem]

A questa punta viene istituito il parallelismo tra ragione speculativa e pratica e i


rispettivi principi (1' ente e il bene).

Ora, come I' ente e il prima principia che entra in gioco nell' apprendere come tale, cos!
il bene e il prima principia che entra nella conoscenza pratica, che e ordinata all'agi­
re: ogni agente, infatti, agisce in vista di un fine, che rappresenta un bene. Per cui il
prima principia della ragione pratica e quello che si fonda sulla nozione stessa di bene:
"il bene e cio che tutti vogliono".
[ibidem]

E si introduce Ia sinderesi (bonum faciendum, malum vitandum).


Ne consegue il precetto della Iegge [naturale] che "si deve cercare e fare il bene ed evi­
tare il male".
Su questa si fondano tutti gli altri precetti della Iegge naturale: sono parte della Iegge
naturale quei precetti che riguardano le cose da fare o da evitare, in relazione a cio che
la ragione pratica apprende naturalmente come un bene per l'uomo. E poiche il bene
ha ragione di fine, e il male ragione contraria, segue che le cose verso le quali l'uomo
ha una naturale inclinazione, le apprende come un bene da perseguire nell' azione, le
contrarie come un male da evitare.
[ibidem]

Ne derivano una serie di conseguenze che sono i precetti della Iegge naturale che
corrispondono alle inclinazioni insite nella natura (intesa da Tommaso come essenza
dell'uomo e non come spontaneita sregolata) dell'essere umano.
Per cui in base all' ordine delle inclinazioni naturali si ha 1 'ordine dei precetti della
Iegge naturale.
- In prima luogo troviamo nell'uomo l'inclinazione verso il bene secondo la natura
che ha in comune con le altre sostanze, e cioe la tendenza alia conservazione nell'es­
sere secondo la propria natura. E in base a tale inclinazione riguardano la Iegge natu­
rale le cose per le quali la vita dell'uomo viene conservata e quelle che, al contrario,
la impediscono.
- In secondo luogo, nell'uomo, e presente anche un'inclinazione verso comportamen­
ti maggiormente specializzati che ha in comune con gli altri animali. In questa sensa
192 ALBERTO STRUMlA

si dice che sono secondo la legge naturale quei comportamenti che la natura ha inse­
gnato a tutti gli animali, come l'unione del maschio e della femmina, l'educazione dei
figli, ecc.
-In terzo luogo, nell'uomo e presente l'inclinazione al bene secondo la natura razio­
nale, che gli e propria, come quella che lo spinge a cercare di conoscere la vera natu­
ra di Dio, e a vivere in societi'l. In questo senso sono secondo la legge naturale queUe
cose che riguardano tale inclinazione, come l'evitare l'ignoranza, il non offendere le
persone con cui si deve convivere, e tutte le altre cose di questo genere.
[ibidem]48

In relazione alle attivita proprie della natura razionale dell'uomo, che sono parte
costitutiva della sua natura - ovvero sono secondo la legge naturale - san Tommaso,
colloca anche quella di cercare la conoscenza della verita intorno a Dio. Con tale inda­
gine razionale l'uomo puo scoprire, oltre all'esistenza di Dio, anche i suoi attributi
fondamentali.
Tra questi ve ne sono alcuni che suscitano, in modo particolare, nell'uomo la con­
sapevolezza di essere debitore verso Dio, della propria esistenza e conservazione e del
proprio destino di beatitudine, al quale tende come al sommo bene e fine ultimo della

48 <<Praecepta legis naturae hoc modo se habent ad rationem practicam, sicut principia prima demonstrationum
se habent ad rationem speculativam, utraque enim sunt quaedam principia per se nota. Dicitur autem aliquid per
se notum dupliciter, uno modo, secundum se; alio modo, quoad nos. Secundum se quidem quaelibet propositio
dicitur per se nota, cuius praedicatum est de ratione subiecti, contingit tamen quod ignoranti definitionem subiec­
ti, talis propositio non erit per se nota. sicut ista propositio, homo est rationale, est per se nota secundum sui natu­
ram, quia qui dicit hominem, dicit rationale, et !amen ignoranti quid sit homo, haec propositio non est per se nota.
Et inde est quod, sicut dicit Boetius, in libro De hebdomad., quaedam sunt dignitates vel propositiones per se notae
communiter omnibus, et huiusmodi sunt illae propositiones quarum termini sunt omnibus noti, ut, omne totum est
maius sua parte, et, quae uni et eidem sunt aequalia, sibi invicem sunt aequalia. [ . . . ] Sicut autem ens est primum
quod cadit in apprehensione simpliciter, ita bonum est primum quod cadit in apprehensione practicae rationis, quae
ordinatur ad opus, omne enim agens agit propter finem, qui habet rationem boni. Et ideo primum principium in
ratione practica est quod fundatur supra rationem boni, quae est, bonum est quod omnia appetunt. Hoc est ergo
primum praeceptum legis, quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum. Et super hoc fun­
dantur omnia alia praecepta legis naturae, ut scilicet omnia ilia facienda vel vitanda pertineant ad praecepta legis
naturae, quae ratio practica naturaliter apprehendit esse bona humana. Quia vero bonum habet rationem finis,
malum autem rationem contrarii, inde est quod omnia ilia ad quae homo habet naturalem inclinationem, ratio natu­
raliter apprehendit ut bona, et per consequens ut opere prosequenda, et contraria eorum ut mala et vitanda.
Secundum igitur ordinem inclinationum naturalium, est ordo praeceptorum legis naturae. Inest enim primo incli­
natio homini ad bonum secundum naturam in qua communicat cum omnibus substantiis, prout scilicet quaelibet
substantia appetit conservationem sui esse secundum suam naturam. Et secundum bane inclinationem, pertinent
ad legem naturalem ea per quae vita hominis conservatur, et contrarium impeditur. Secundo inest homini inclina­
tio ad aliqua magis specialia, secundum naturarn in qua communicat cum ceteris animalibus. Et secundum hoc,
dicuntur ea esse de lege naturali quae natura omnia animalia docuit, ut est coniunctio maris et feminae, et educa­
tio liberorum, et similia. Tertio modo inest homini inclinatio ad bonum secundum naturarn rationis, quae est sibi
propria, sicut homo habet naturalem inclinationem ad hoc quod veritatem cognoscat de Deo, et ad hoc quod in
societate vivat. Et secundum hoc, ad legem naturalem pertinent ea quae ad huiusmodi inclinationem spectant, utpo­
te quod homo ignorantiam vitet, quod alios non offendat cum quibus debet conversari, et cetera huiusmodi quae
ad hoc spectant>>.
Capitola III - La verita della religione 193

propria vita. Si tratta della presa di coscienza del fatto che Dio e creatore, provviden­
te, giudice giusto e remuneratore, che si trova in non pochi pensatori e in diverse filo­
sofie e tradizioni religiose dell' antichita pre-cristiana.
E da questa scoperta consapevole che trae origine come atto di giustizia "naturale",
in forza di una Iegge scritta nel suo cuore, Ia necessita, per l'uomo di rendere grazie e
onore a Dio mediante i1 culto della religione, che muove da un atteggiamento di inte­
riore devozione e trova negli atti esteriori della religione, Ia sua manifestazione visibi­
le, sia a livello individuale che sociale.
Non solo per i risultati di questa indagine speculativa, pen), «che solo pochi, a prez­
zo di molto tempo e insieme a molti errori»,49 sarebbero in grado di condurre, l'uomo
e spinto a compiere gli atti della virtu di religione, rna principalmente da una sorta di
istintiva consapevolezza, da una forza strutturata con Ia sua stessa natura di creatura
razionale, che precede anche l'indagine speculativa in sensa vero e proprio. E Ia forza
della Iegge naturale.
Dunque, sembra di pater concludere necessariamente che una religione, per essere
detta vera, non puo contraddire i dettami della Iegge naturale che sta all' origine della
religione stessa, come virtu che compie ogni atto di giustizia verso Dio al quale l'uo­
mo e debitore ontologicamente di tutto cio che e e di tutto cio che ha.

3.3. I CONTENUTI DELLA LEGGE NATURALE IN QUANTO RIVELATI NEL DECALOGO


La Rivelazione e, in particolare la consegna a Mose del Decalogo, codifica espres­
samente, in forma di comandamenti, cioe di Iegge, e chiarisce precisandone i termini,
quelli che sono i contenuti fondamentali e imprescindibili della legge naturale e, in
particolare, contiene anche alcuni precetti che riguardano direttamente Ia religione.
Con essi e Dio stesso che rivela i criteri ai quali Ia religione deve attenersi per essere
vera.
Si tratta di un revelatum per accidens e non di un revelatum per se, 50 cioe di una
conoscenza che, come si e gia precisato, e attingibile anche senza una rivelazione divi-

49 Cfr. /, q. 1, a. 1 co (<<Quia veritas de Deo, per rationem investigata, a paucis, et per Iongum tempus, et cum
admixtione multorum errorum, homini provenirel>>).
50 Si veda, a questo proposito, il seguente passo del /// Sent, d. 24, q. 1, a. 2b, co. <<Fides, ut dictum est, com­

paratur ad aliquid dupliciter, scilicet per se et per accidens. et quod per se pertinet ad fidem, pertinet ad earn sem­
per et ubique; ideo quod pertinet ad fidem ratione hujus vel illius, non est fidei per se, sed per accidens. ergo quod
simpliciter humanum intellectum excedit ad Deum pertinens, nobis divinitus revelatum, per se ad fidem pertinet;
quod au tern excedit intellectum hujus vel illius, et non omnis hominis, non per se sed per accidens ad fidem per­
tine!. Ea autem quae omnem humanum intellectum excedunt non possunt per demonstrationem probari: quia
demonstratio in intellectu principiorum fundatur; et ideo hujusmodi non possunt esse scita, sed quaedam quae sun!
praecedentia ad fidem, quorum non est fides nisi per accidens, inquantum scilicet excedunt intellectum illius homi­
nis, et non hominis simpliciter, possunt demonstrari et sciri; sicut hoc quod est Deum esse: quod quidem est cre­
ditum quantum ad eum cujus intellectus ad demonstrationem non attingit: quia fides, quantum in se est, ad omnia
quae fidem concomitantur vel sequuntur vel praecedunt sufficienter inclinal>>.
194 ALBERTO STRUMIA

na, rna che viene rivelata sia per renderla piu accessibile a tutti in forma codificata e
inequivocabile - venendo in tal modo in aiuto alla natura umana, decaduta a causa del
peccato originale - sia per promulgarla come legge con l'autorita di Dio stesso.51
San Tommaso dedica un ampio spazio ad esaminare i comandamenti, offrendo,
anche in questa modo, una trattazione del criteria di verita della religione come con­
formita alla legge naturale. Innanzitutto egli rileva come i precetti del Decalogo non
sono altro che una forma rivelata della legge naturale. In secondo luogo mette in evi­
denza il fatto che essi hanna a che fare con la giustizia, in quanta chiamano in causa
un "dovuto" verso un "altro". In terzo luogo inquadra la religione, la pieta e la giusti­
zia comunemente detta, entro la virtu della giustizia, evidenziando come: i primi tre
precetti del Decalogo riguardano la restituzione del "dovuto" a quell' Altro che ha la
massima dignita, cioe a Dio (religione); il quarto precetto riguarda il "dovuto" ai geni­
tori, i parenti, i benefattori e la patria (pieta); i restanti sei riguardano la giustizia che
restituisce il "dovuto" da pari a pari (giustizia comunemente detta).
Questa distinzione si trova descritta sinteticamente nella //-//"' alla questione 122,
articolo 1 .
I precetti del Decalogo sono i primi precetti della Iegge ai quali Ia ragione naturale da
il proprio assenso, in quanto le sono del tutto manifesti. Inoltre il carattere di "qualco­
sa di dovuto", che si richiede per parlare di precetto, ha a che fare propriamente con Ia
giustizia, che riguarda l'altro, perche per cio che riguarda se stessi sembra, almeno in
prima istanza, che l'uomo sia padrone di se stesso e che possa fare quello che vuole.
Ma nelle cose che riguardano gli altri e chiaro che l'uomo e obbligato a rendere all'al­
tro cio che gli e dovuto. Percio bisognava che i precetti del Decalogo riguardassero Ia
giustizia. Per questo
- i primi tre sono inerenti agli atti della religione, che e Ia parte piu elevata della giu­
stizia;
- il quarto precetto riguarda l'atto della pieta, che e una parte del Secondo livello della
giustizia;
- i restanti sei riguardano Ia giustizia comunemente detta, che regola i rapporti tra
coloro che sono di pari livello.
[II-II, q. 122, a. 1 co)52

51 A questo proposito il Magistero della Chiesa ha piu volte riproposto Ia dottrina to�ista circa Ia necessita
"morale" della rivelazione di contenuti di per se attingibili con Ia ragione naturale: in particolare si vedano le costi­
tuzioni dogmatiche Dei Filius (concilio Vaitcano 1), in particolare a! cap. II, Dei verbum (concilio Vaticano II), n. 6
e l'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, particolarmente a! n. 67.
52 «Respondeo dicendum quod praecepta Decalogi sunt prima praecepta legis, et quibus statim ratio naturalis
assentit sicut manifestissimis. Manifestissime autem ratio debiti, quae requiritur ad praeceptum, apparel in iusti­
tia, quae est ad alterum, quia in his quae spectant ad seipsum, videtur primo aspectui quod homo sit sui dominus,
et quod Iicea! ei facere quodlibet; sed in his quae sunt ad alterum, manifeste apparel quod homo est alteri obliga­
tus ad reddendum ei quod debet. Et ideo praecepta Decalogi oportuit ad iustitiam pertinere. Unde tria prima prae­
cepta sunt de actibus religionis, quae est potissima pars iustitiae; quartum autem praeceptum est de actu pietatis,
quae est pars iustitiae secunda; alia vero sex dantur de actibus iustitiae communiter dictae, quae inter aequales
attenditur>>.
Capitola III La verita della religione
- 195

In questo modo viene dato il fondamento "legale" della religione, in quanto gli atti
della religione sono comandati dalla legge naturale, il cui contenuto e espresso, in
forma rivelata, nel Decalogo. In particolare, in quest'ultimo, essi sono codificati nei
primi tre precetti che vengono, cosi, a stabilire, con il loro contenuto, anche i caratte­
ri irrinunciabili di autenticita di una religione, cioe della sua "verita ontologica".
Secondo Tommaso tali caratteri sono, dunque:
- il "monoteismo" che riconosce un unico Dio con i suoi "veri" attributi (primo
comandamento)
il rispettoso "nominare" Dio, chiamandolo in causa (secondo comandamento)
i1 "culto" pubblico (terzo comandamento)
con tutte le conseguenze che ne derivano.
Gli articoli 2, 3 e 4 della stessa questione53 analizzano questi tre caratteri di una reli­
gione che si possa riconoscere come autentica, e, quindi, offrono un criterio utilizza­
bile anche ai fini di un suo riconoscimento legislativo. Mancando la prima caratteri­
stica una religione degenera in ateismo (se non riconosce alcun Dio), in idolatria e
superstizione (se riconosce piu di uno o riconosce come Dio una creatura).54 Mancando
la seconda, degenera in irreligiosita, in quanto manca del dovuto rispetto nel rapporto
con Dio. Mancando la terza, si riduce a devozione privata, a spiritualismo e intimismo.
Queste tre caratteristiche devono sussistere insieme per poter parlare di autentica reli­
gione.
I restanti comandamenti del Decalogo enunciano la legge naturale per cio che
riguarda i1 rapporto con i1 prossimo e non direttamente i1 rapporto dell'uomo con Dio.
In questo senso non chiamano in causa "direttamente" la religione, tuttavia la chia­
mano in causa in forma "indiretta". Una !oro violazione, infatti, compromette l'auten-

53 Abbiamo giii riportato ed esaminato questi articoli nel capitolo II.


54 A proposito del monoteismo, che potrebbe sembrare a prima vista una richiesta troppo restrittiva per l'auten­
ticitii di una religione, va tenuta presente un'osservazione del card. Ratzinger che vede nel moltiplicarsi degli dei,
delle religioni politeiste, pili il segno del bisogno di dare alia divinitii un volto, una dimensione personale, mentre
il vero Dio, trascendente e supremo rimarrebbe comunque uno. Solo nella fede di Israele e nel cristianesimo l'u­
nico vero Dio ha carattere personale e trascendente.insieme. «Avevamo osservato come l'abolizione delle imma­
gini cultuali - che peraltro avevano mantenuto viva Ia ricerca del volto di Dio - conducesse a! riconoscimento di
un Dio personale e in seguito a! concetto di persona. E a questo punto che si dividono le vie della storia religiosa.
Le grandi costruzioni religiose che non conoscono un Dio personale (ad es. il neoplatonismo e il buddismo, o
importanti correnti dell'induismo) enumerano comunque numerose divinitii aile quali vengono rivolte preghiere,
essendo in grado di aiutare o di nuocere. Queste sono raffigurabili con immagini, hanno un volto, in qualche modo
sono anche persone. Sono "dei", rna non sono Dio. Rappresentano delle potenze operanti in quello spazio inter­
media, oltre il quale molti non riescono ad andare. Non appartengono al regno del "definitivo", del "totalmente
altro", del vero "autentico". La realtii autentica - che Plotino chiama !'Uno, a! di sopra di ogni essere e di ogni
nome, e che nella concezione buddistica e il Nulla assoluto - non ha nome e non ha volto. [ . . . ] La novitii della
religione biblica era e consiste nel fatto che quest' essere originario, il Dio di cui non puo darsi alcuna immagine,
ha nondimeno un volto e un nome, e persona» (J. Rt'JZINGER, /11 cammi11o... , op. cit., pp. 25-26).
196 ALBERTO STRUMIA

ticita del "culto" reso a Dio, perche non si puo rendere onore ( culto) al Creatore com­
piendo un'ingiustizia nei confronti delle Sue creature. Di conseguenza, qualunque vio­
lazione della legge naturale compromette, in misura piii o meno rilevante, la stessa
"verita ontologica" di una religione.55
Cosl, ad esempio, una religione che prevedesse i sacrifici umani non puo essere cer­
tamente considerata "vera", autentica religione. In termini piii vicini a noi, non sareb­
be da considerare autentica una religione che predichi 1' odio e la violenza. In questi
casi non si tratterebbe semplicemente di compromettere la "verita" logica, rna si ver­
rebbe ad intaccare la "verita ontologica", contraddicendo la natura, la definizione stes­
sa della religione.56
La medesima problematica del rapporto tra legge naturale rivelata (lex divina) e reli­
gione e trattata dall' Aquinate anche nella Summa contra gentiles (L. 3, cc. 1 18-121): e
significativo osservare come in questa luogo, il termine religio compaia solo 2 volte,
essendo di fatto sostituito con il termine cultus (46 volte) e soprattutto, come cio che in
II-11, q. 122, si riferisce alla religio, venga ora riferito alla recta fides (6 volte) .

Cio e comprensbile e del tutto coerente con l'impostazione di Tommaso secondo la


quale «religio est quaedam fidei protestati0>>.57
Di conseguenza la religione vera puo essere solamente originata da una fede retta;
e affinche la fede possa essere retta occorre che sia coerente con la legge divina che
Dio ha iscritto nella natura dell'uomo e rivelato nel Decalogo.

E necessario che noi veniamo guidati alia fede vera dalla Iegge divina. Infatti Ia Iegge
divina ha lo scopo di ordinare l'uomo ad essere interamente di Dio.
E come l'uomo puo essere interamente di Dio amandolo, con Ia sua volonta, cosi lo e
credendo in Lui con il proprio intelletto.
Non certo credendo a delle falsita, perche Dio che e Ia verita non puo proporre all'uo­
mo niente di falso. Per cui chi crede a delle falsita non sta credendo in Dio.
[CG, L. 3, c. 118, n. 3]58

55 Questo modo di considerare Ia religione va ben a! di Ia della semplice analisi storico fenomenologica, che
considera "religione" ogni forma di culto, organizzata in una modalita collettiva, tributata ad un'entita che venga
riconosciuta come un dio da coloro che Ia praticano. Piuttosto tende ad identificare l'autenticita delle espressioni
religiose sulla base di una definizione di religione che risponde alia vera natura del culto, come Dio stesso rivela
di desiderarlo (nel Decalogo) e come una ragione naturale rigorosamente impiegata, metafisicamente e antropo­
logicamente attrezzata, e in grado di conoscere. Cfr. anche A. ALEssi, Sui selllieri del sacra , op. cit., p. 321.
...

56 «Ogni qual volta viene fatta violenza in nome della religione, dobbiamo chiarire a tutti che, in tali circostan­

ze, non ci troviamo di fronte alia vera religione>> (Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell'incontro con i capi
musulmani, Ahuja, 22 marzo 1998, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana,
vol. XX1.1, Citta del Vaticano, p. 607, testo inglese).
57 Cfr. IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4"m; II-II, q. 94, a. 1, ad l"m; II-II, q. 100, a. 1 , ad 1"'" ; Contra imp, ps I.
58 «Oportet igitur quod ex lege divina in fidem rectam inducamur. Item lex divina ad hoc ordinal hominem ut sit
totaliter subditus Deo. Sed sicut homo subditur deo amando quantum ad voluntatem, ita subditur Deo credendo
quantum ad intellectum. Non autem credendo aliquid falsum: quia a Deo, qui est veritas, nullum falsum homini
proponi potest; unde qui credit aliquod falsum, non credit Deo>>.
Capitola III La verita della religione
- 197

11 riferimento esplicito al Decalogo e contenuto in CG, L. 3, c. 12, n. 24:

Dal momenta che lo scopo principale della Iegge divina e che l'uomo sia interamente
di Dio e gli tributi un particolare riverente ossequio, non solo con il cuore, rna anche
con le parole e i gesti, in Es 20, dove viene epsosta Ia Iegge divina, si proibisce il poli­
teismo, quando si dice (v. 3) non avrai altri dei al di fuori di me, non ti farai alcuna
scultura o immagine [ . . ]».59.

[CG, L. 3, c. 12, n. 24]

Osserviamo, in chiusura di capitola, che la formula «tempore legis naturae»,ro che


si trova frequentemente negli scritti di san Tommaso, nei quali indica, in sensa "ogget­
tivo", la condizione degli uomini e delle religioni nel tempo precedente alia nascita di
Cristo, sembra applicabile, senza difficolta, in un sensa in certo modo piu "soggetti­
vo" (rna non necessariamente "soggettivistico"), anche alia condizione di una singola
persona, o di un intero popolo con la sua cultura e la sua religione, prima che riceva
l'annuncio del Vangelo, in qualunque tempo della storia cio possa accadere. 0 addi­
rittura alia situazione di quanti aderiscono a queUe religioni, in qualche modo autenti­
che, che non hanna accolto Cristo per una non adeguata comprensione, piu che per un
consapevole e positivo rifiuto.
Ben diversa e la situazione di queUe forme di religiosita e di queUe religioni stori­
che che intendono qualificarsi come religioni "non-cristiane"/"post-cristiane", preten­
dendo di conascere e giudicare il cristianesimo rifiutandala. Queste ultime sano para­
gonabili piuttosto a delle eresie cristiane che si sano spinte altre la saglia del cristia­
nesimo stesso (apostasia), rifiutando, fino dalla loro genesi di riconascerne la divinita
del Gesu Cristo storico. Queste ultime sono certamente false dal punta di vista della
"verita lagica", almena nella laro negazione della divinita di Cristo. In Tommaso,
come abbiamo vista nel capitola precedente, vi sano diversi riferimenti al giudaisma
e all'Islam, a questa proposita. Tali forme di religione, possono avere come connota­
zione sia il manateisma, che il rispetto del nome di Dio, che l'asservanza del culto
pubblica, e quindi ottemperare esteriormente ai primi tre comandamenti del Decalogo,
o anche a tutti i comandamenti, e allara sono religioni esteriormente autentiche, rna
non sono "vere" dal punto di vista della "verita logica".
Rimarrebbe comunque da approfondire la questione del rifiuto della fede in Cristo
come Dio da parte di alcune religioni non cristiane: sona certamente false, in questa,
dal punta di vista logico. E dal punta di vista ontologico? 11 rifiuto di Cristo compor-

59 «Quia igitur haec est principalis legis divinae intentio ut homo deo subdatur, et ei singularem reverentiam
exhibeat non solum corde, sed etiam ore et opere corporali; ideo primitus, exod. 20, ubi lex divina proponitur,
interdicitur cultus plurium deorum, ubi dicitur: 3 non habebis deos alienos coram me, et non facies tibi sculptile,
neque omnem similitudinem, [ )».
...

60 Un'indagine sui passi di Tommaso, nei quali tale formula viene impiegata, non ha portato, pero, ad acquisire

nuovi elementi degni di rilievo ai fini del nostro problema, per cui omettiamo di riportame i risultati.
198 ALBERTO STRUMIA

ta Ia perdita dello statuto di religione, cioe della loro autenticita? Si puo ritenere auten­
tica una domanda che non sa riconoscere Ia risposta? Rimane l'aspetto fenomenologi­
co della religione, quello istituzionale, quello cultuale e culturale, oltre alia sincerita
dei seguaci che in buona fede Ia praticano, rna viene irreparabilmente compromessa Ia
natura della religione che e quella di rendere il dovuto onore a Dio («verra I' ora in cui
chiunque vi uccidera credera di rendere culto a Dio», Gv 16,2).

4. Conclusioni relative al terzo capitolo

Come abbiamo visto, la presentazione di numerosi testi di san Tommaso, condotta


nel precedente capitola della nostra ricerca, ci ha reso possibile l'individuazione di una
definizione di religione, che abbia carattere universale, e nel contempo sia fondata
oggettivamente e non sia semplice frutto di una pura convenzione. A partire da quegli
stessi passi tomisti, abbiamo potuto anche reperire diversi elementi orientativi ed
importanti, in ordine alia controversa questione della verita della religione e dei crite­
ri per stabilirla, sia quanto alia sua autenticita, che quanto alia verita dei contenuti che
propone da credere. A questo problema abbiamo dedicato un lavoro di approfondi­
mento nel capitolo presente, al termine del quale siamo in grado di fissare alcune ulte­
riori conclusioni.
Innanzitutto dobbiamo constatare un dato che evidenzia la coerenza sistematica del­
l'intero impianto tomista: Tommaso stabilisce i termini secondo i quali trattare la que­
stione della verita della religione a partire dalla sua epistemologia generale, e in parti­
colare dalla dottrina generale sulla verita. Questa prima constatazione ci offre una con­
ferma ulteriore dell'importanza della soluzione del problema epistemologico, anche ai
nostri giorni, in vista di una fondata soluzione del dibattito sulla verita della religione.
Un'epistemologia di tipo relativista non potra che offrire una risposta pluralista e sog­
gettivista alia questione, e di conseguenza condurra ad una teologia delle religioni
fedele ad un modello pluralista. Nella prospettiva tomista si pongono tre problemi
(assai presenti anche nel contesto attuale) ai quali si offre una risposta: i1 primo riguar­
da l'autenticita (verita ontologica) di cio che si presenta come una religione; il secon­
do riguarda Ia verita degli insegnamenti che vengono proposti da credere ai seguaci di
una religione; e la terza (fondata sulla teoria della redditio completa) concerne la con­
sapevolezza che il soggetto che professa una fede religiosa puo avere di essere nella
verita.
11 problema del criteria per stabilire la verita ontologica di una religione viene ricon­
dotto, da Tommaso, a quello di stabilire la sua conformita con la Iegge naturale. Questa
e presentata come la condizione minima che si richiede per l'autentiticita, alia quale
possono aggiungersi altri elementi provenienti dalla rivelazione che conferiscono alia
religione un grado di autenticita ancora piu pieno. Questo criterio di autenticita intro­
duce per noi, oggi, oltre alia necessita di dare una risposta adeguata al problema epi-
Capitolo III La verita della religione
- 199

stemologico, un nuovo problema che e quello di dare una risposta corretta al proble­
ma della fondazione universale della stessa nozione di legge naturale. L' Aquinate,
dunque, utilizza in ordine al problema dell'autenticita della religione, oltre alla sua
epistemologia, anche la sua dottrina sulla legge naturale.
Ai nostri giorni, si deve rilevare come il relativismo etico, che si accompagna a
quello epistemologico, non consente, quindi, di parlare adeguatamente di una religio­
ne vera, in senso oggettivo, per due ragioni: perche vi sono sempre maggiori difficol­
ta a riconoscere una verita oggettiva e ad ammettere una legge oggettiva, essendoci,
invece, maggiore facilita a considerare semplicemente una verita oggettivata e una
legge oggettivata, cioe poste positivamente, per convenzione. Si apre per noi, allora, il
duplice problema di una fondazione dell'epistemologia e di una fondazione dell'etica.
Si puo, dunque, concludere che non si puo sviluppare una teologia delle religioni di
ispirazione tomistica se non a partire da questi due fondamenti: quello dell'esistenza
della verita oggettiva e di una legge naturale conoscibile da tutti almeno nei suoi prin­
cipi. In via provvisoria questi due fondamenti possono essere presupposti dalla teolo­
gia, in attesa che una disciplina esterna alla teologia, a carattere scientifico-filosofico,
ne dia adeguata fondazione.
11 problema della verita logica della religione, cioe dei suoi enunciati dottrinali,
viene ricondotto da Tommaso ad altri due problemi: quello della fede/credenza, e quel­
lo della/e rivelazione/i. 11 punto di raccordo tra religione e credenza consiste .nella tesi
secondo cui ogni religione e manifestativa di una forma di fede. 11 raccordo tra reli­
gione e rivelazione/rivelazioni, si pone, poi, a due livelli: al livello della verita, in
quanto ogni verita e comunque causata dallo Spirito Santo, in quanto Dio e la verita
prima, causa di tutte le altre, ed in quanto Egli si e rivelato in Gesu Cristo. A livello
della fede, in quanto fede in Dio che si rivela: questo sara oggetto del prossimo capi­
tola del nostro lavoro.
A proposito della dottrina della ispirazione/rivelazione Tommaso propane una
visione del tutto unitaria, dal punto di vista cognitivo, in merito al modo con cui Dio
eleva la mente (ispirazione) mediante 1' azione della grazia, fino a renderla adeguata a
ricevere quelle verita (rivelazione) che essa non sarebbe in grado di raggiungere con
le sue forze naturali. Questo processo cognitivo si realizza, secondo il modello di
Tommaso, allo stesso modo nell'autore sacro e nel singolo che riceve una forma pri­
vata di rivelazione. La questione dei semina Verbi, la dove sono caratterizzabili come
aventi un'origine che eccede le capacita della ragione naturale, sembra potersi spiega­
re correttamente ricorrendo a questo modello. L'Aquinate, negli esempi che riporta,
riferisce esplicitamente a profezie intorno a Cristo, tali forme di rivelazione privata, e
non appena a riferimenti alla paternita di Dio nei confronti degli uomini, o ad altri
attributi divini la cui conoscenza richiede la Rivelazione. Da questo punto di vista si
puo rilevare come la sua concezione sia addirittura eccedente rispetto alle esigenze
della odierna teologia delle religioni, in merito alla questione dei semina Verbi. Questo
200 ALBERTO STRUMiA

argomento, che nel presente capitola e stato inquadrato in rapporto alia questione della
verita, nel prossimo capitola verra approfondito in rapporto alia questione della rive­
lazione e della ispirazione.
Nel capitola seguente affronteremo anche il problema dell'eventuale valore salvifi­
co delle religioni, a partire dagli elementi che sembrano pater essere ricavati dalla dot­
trina tomista della fede implicita, e cercheremo di vedere se e come le religioni pos­
sano avere un ruolo di mediazione della fede in ordine alia salvezza.
CAPITOLO IV

RELIGIONE, FEDE, RIVELAZIONE E SALVEZZA

in questo capitola si indagheranno i termini del rapporto tra religione, fede, rive­
lazione e salvezza, cercando di individuare elementi di collegamento tra le conside­
razioni che abbiamo svolto a partire da una visione tomista e la dottrina teologica piu
generale dei semina Verbi. Nel § 1 esamineremo le relazioni intercorrenti, nei testi di
san Tommaso, tra religione e fede, e in quale senso si possa oggi intendere e in certo
modo estendere, a nostro avviso, 1' affermazione secondo la quale ogni religione e una
sorta di <<protestatio fidei»; cercheremo di vedere, anche, quale rapporto vi sia, a par­
tire dai testi tomisti, tra religione e salvezza, tra appartenenza ad una religione e
appartenenza alia Chiesa. Nel §2 studieremo il rapporto tra religione e rivelazione,
prendendo in considerazione il termine "rivelazione" sia nell'accezione che lo riferi­
sce all'unica Rivelazione pubblica custodita dalla Chiesa, sia in quella che lo riferi­
sce aile rivelazioni private autentiche o presunte. Infine, nel §3 vedremo come lo stes­
so Dottore Angelico affronta i problemi del "dialogo" con i non cristiani e della tol­
leranza.

1. Religione, fede e salvezza

1.1. LA RELIGIONE COME MANIFESTAZIONE DI UNA FEDE


Ricordiamo che gli elementi essenziali della dottrina cattolica sulla natura della
fede sono rintracciabili, ad esempio, nella costituzione Dei Filius1 del Concilio

1 «Poiche l'uomo dipende totalmente da Dio come suo Creatore e Signore e Ia ragione creata e sottomessa com­

pletamente alia verita increata, noi siamo tenuti, quando Dio si rivela, a prestargli, con Ia fede, Ia piena sottomis­
sione della nostra intelligenza e della nostra volonta Quanto a questa fede, inizio dell'umana salvezza, Ia Chiesa
cattolica professa che essa e una virtu soprannaturale, per Ia quale sotto l'ispirazione divina e con l'aiuto della gra­
zia, noi crediamo vere le cose da Lui rivelate, non a causa dell'intrinseca verita delle cose percepite dalla luce natu­
rale della ragione, rna a causa dell'autorita di Dio stesso, che le rivela, il quale non puo ne ingannarsi ne inganna­
re. "La fede infatti", secondo Ia testimonianza dell'Apostolo, "e fondamento delle cose che si sperano e prova di
quelle che non si vedono" (Eb 11,1). Nondimeno, perche l'ossequio della nostra fede fosse conforme alia ragio­
ne, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua
Rivelazione: cioe fatti divini e in primo luogo i miracoli e le profezie che, manifestando in modo chiarissimo l'on­
nipotenza e Ia scienza infinita di Dio, sono segni certissimi della divina Rivelazione, adatti a ogni intelligenza. Per
questo Mose e i profeti, e soprattutto lo stesso Cristo Signore, fecero molti chiarissimi miracoli e profezie. Cosl
degli apostoli leggiarno: "Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con !oro e
confermava Ia parola con i prodigi che l'accompagnavano" (Me 16,20). E di nuovo sta scritto: "E cosl abbiamo
conferma migliore della parola dei profeti, alia quale fate bene a volgere I' attenzione, come a lampada che brilla
in luogo oscuro" (2 Pt 1,19). Quantunque l'assenso della fede non sia affatto un moto cieco dello spirito, nessu­
no, tuttavia, puo prestare i1 proprio consenso alia predicazione del Vangelo, come e necessario per ottenere Ia sal-
202 ALBERTO STRUMIA

Vaticano I e nella costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano IJ.2 In alcuni brevi
passi, san Tommaso introduce 1' affermazione secondo la quale la religione e una sorta
di testimonianza, di manifestazione, fatta mediante atti esteriori,3 di (una) fede («quae­
dam fidei protestatio»), come ad esempio nel brevissimo testo gia riportato nel capi­
tolo II.
La fede e Ia prima cosa che si richiede nella religione: perche ogni religione, o
culto di Dio, e una manifestazione di una qualche forma di fede.
[IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4um]4

vezza, senza l'illuminazione e l'ispirazione dello Spirito Santo, che rende a tutti soave l'aderire e il credere alia
verita. Percio Ia fede in se stessa, anche se non opera per mezzo della carita, e un dono di Dio, e l'atto di fede e
un'opera che riguarda Ia salvezza, con cui l'uomo offre a Dio stesso Ia sua Iibera obbedienza, acconsentendo e
cooperando alia sua grazia, alia quale potrebbe resistere. lnoltre, con fede divina e cattolica, si deve credere tutto
cio che e contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che Ia Chiesa propone di credere come divinamen­
te rivelato sia con un giudizio solenne, sia nel suo Magistero ordinario e universale. Poiche "senza Ia fede e impos­
sibile essere graditi a Dio" (Eb 1 1,6) e condividere le condizioni di suoi figli, nessuno puo essere mai giustificato
senza di essa e nessuno conseguira Ia vita etema se in essa non "perseverera fino alia fine" (Mt 10,22; 24,13).
Perche potessimo soddisfare al dovere di abbracciare Ia vera fede e di perseverare costantemente in essa, Dio, per
mezzo del Figlio suo Unigenito, ha istituito Ia Chiesa, e l'ha provvista con note evidenti della sua istituzione, per­
che potesse essere riconosciuta da tutti come Ia custode e Ia maestra della parola rivelata. Nella sola Chiesa catto­
lica, infatti, si riscontrano tutti quei segni cosl numerosi e cosl mirabili disposti da Dio per far chiaramente appa­
rire Ia credibilita della fede cristiana. La Chiesa, anzi, a causa della sua ammirabile propagazione, della sua emi­
nente santita, della sua inesausta fecondita in ogni bene, a causa della sua cattolica unita e della sua incrollabile
stabilita, e per se stessa un grande e perenne motivo di credibilita e una irrefragabile testimonianza della sua mis­
sione divina. Sicche essa, come vessillo levato tra le nazioni, invita a se quelli che ancora non hanno creduto e
aumenta nei suoi figli Ia certezza, che Ia fede da !oro professata poggia su un solidissimo fondamento. A questa
testimonianza si aggiunge l'aiuto efficace della grazia che viene dall'alto. II benignissimo Signore, infatti, con Ia
sua grazia incita e aiuta gli erranti, perche possano "giungere alia conoscenza della verita" (J Tm 2,4) e conferma
con essa quelli che ha fatto passare dalle tenebre alia luce meravigliosa, perche perseverino in questa luce, non
abbandonando alcuno, se non e abbandonato. Per cui, non e affatto uguale Ia condizione di quelli che grazie al
celeste dono della fede hanno aderito alia verita cattolica e di quelli che, guidati da opinioni umane, seguono una
falsa religione. Quelli che, infatti, hanno ricevuto Ia fede sotto il Magistero della Chiesa non possono mai avere un
giusto motivo per mutare o dubitare della propria fede. Stando cosl le cose, "ringraziando con gioia il Padre, che
ci ha messi in grado di partecipare alia sorte dei santi nella luce" (Col 1,12), non trascuriamo una cosl grande sal­
vezza, rna "tenendo fisso lo sguardo su Gesu, autore e perfezionatore della fede" (Eb 12,2), "manteniamo senza
vacil!are Ia professione della nostra speranza" (Eb 10,23)>> (Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei
Filius, cap. III, in DH, nn. 3008-3014).
2 << Con Ia divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti etemi della sua volonta
riguardo alia salvezza degli uomini, "per renderli cioe partecipi di quei beni divini, che trascendono Ia compren­
sione della mente umana". II santo Concilio professa che "Dio, principio e fine di tutte le cose, puo essere cono­
sciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a partire dalle cose create" (cfr. Rm 1 ,20); rna insegna
anche che e merito della Rivelazione divina se "tutto cio che nelle cose divine non e di per se inaccessibile alia
umana ragione, puo, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma
certezza e senza mescolanza d'errore">>, (Dei Verbum, n. 6).
3 Per un'analisi della religione, nei suoi diversi aspetti, come esteriorizzazione della fede, si puo vedere util­
mente il cap. 6 di A. ALEsSI, Sui sentieri del sacro. lntroduzione alla filosofia della religione, Libreria Editrice
Salesiana, Roma 1998.
4 «Ad quartum dicendum, quod fides est primurn eorum quae ad religionem requiruntur: quia omnis religio, sive
cultus Dei, est quaedam fidei protestatio>>. Oltre ai passi riportati nel presente capitolo cfr. anche IV Sent, d. 1 , q. 1 ,
a . 2c, a d 2 � e Contra imp, p s I .
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 203

Tuttavia Tommaso non da qui prova di queste affermazioni che, nel contesto del
discorso, appaiono come ben note ai suoi contemporanei, e non bisognose di alcuna
giustificazione di fronte all'interlocutore. A proposito di questa formula occorre fare
una precisazione in merito alla traduzione. Infatti, dal momenta che la lingua latina
manca dell'articolo, la traduzione di «quaedam fidei protestatio» presenta una certa
ambiguita. Potremmo tradurre: «una qualche manifestazione/testimonianza della
fede», intendendo che ci si riferisce alla fede cristiana; oppure: «una qualche manife­
stazione/testimonianza di fede», lasciando nella genericita questa "fede", ovvero
intendere che si tratti della «manifestazione/testimonianza di una qualche forma di
fede». Senza preoccuparci troppo di una rigida esegesi del testa e del contesto in cui
tale formula e stata effettivamente impiegata da Tommaso/ ci e sembrato utile, ai fini
di una possibile teologia delle religioni, prendere in considerazione gli sviluppi che
potrebbero emergere dalla seconda possibilita di traduzione, che ci e parsa compatibi­
le con i principi di una teologia tomistica. In questo caso il termine fides si puo com­
parare con una forma di credenza religiosa.
Tra i diversi testi nei quali Tommaso parla della religio come di una quaedam fidei
protestatio, quello appena riportato e particolarmente importante, perche "esplicita" il
fatto (che comunque e di per se ovvio) che, per poter dare una testimonianza sincera
di fede, la fede stessa deve essere presupposta e, quindi la religione, sinceramente pro­
fessata, presuppone una qualche forma di fede. Senza una fede non si da religione: si
puo avere un sensa religioso personale, una ricerca filosofica religiosamente orienta­
ta, rna non una religione con una sua organizzazione cultuale, sociale, pubblica, ecc.
Altrove, addirittura si aggiunge anche che la religione e una manifestazione esterna
non solo di una "fede", rna anche di una "speranza" e di una sorta di "carita" (cfr. II­
II, q. 101, a. 3, ad 1 •m).6 Tuttavia, come egli precisa, la religione non si identifica con
la fede, rna ne e solamente un'espressione esteriore.7 Tanto e vero che potrebbe acca­
dere anche che venga data una testimonianza insincera con atti esterni di religione che
non corrispondono ad una fede interiore, o viceversa che gli atti esterni apparissero
contrari alla religione, al di la dell'intenzione di chi li compie. Infatti, come afferma
1' Aquinate, «la religione consiste in una forma di manifestazione di una fede, che

5 Ad esempio nel contesto di IV Sellt, d. 13, q. 2, a. 1, ad 4, Tommaso ha il problema di fronteggiare i raggrup­


pamenti cristiani eretici. Con Ia formula nell'ad 4"m, intende qualche formula eretica di professione o di sacra­
mentario (religio sive cult us), che si oppone alia fede cristiana pura e semplice. Tuttavia Ia formula ha un caratte­
re piu universale ed e applicabile sia al contesto delle religioni che a quello del rapporto con i non cattolici.
6 «Religio est quaedam protestatio fidei, spei et caritatis, quibus homo primordialiter ordinatur in Deum» (II-II,

q. 101, a. 3, ad 1 "m). Una bella presentazione di come le virtu teologali influiscono sulla virtu di religione e vice­
versa si puo trovare in D. MONGILLO, La virtu di religione secondo S. Tommaso, Pontificium Athenaeum
Angelicum, Romae 1962, pp. 54-67.
7 <<Ad primum ergo dicendum quod sicut religio non est fides, sed fidei protestatio per aliqua exteriora signa, ita
superstitio est quaedam infidelitatis protestatio per exteriorem cultum>> (II-II, q. 94, a. 1, ad 1 •m).
204 ALBERTO STRUMlA

pen) talvolta qualcuno potrebbe non avere nel cuore, cosi anche i vizi contro la r e l i ­
gione sono una forma d i manifestazione d i una infedelta, che talvolta potrebbe non
esserci nell'intenzione».8 Altrove egli aggiunge una precisazione particolarmente
importante, la dove afferma che la fede e la causa della religione: «la fede e la causa
della religione, i1 suo principia. Infatti nessuno deciderebbe di tributare un culto a Dio,
se non ritenesse, per fede, che Dio e creatore, governatore e remuneratore degli atti
umani».9
Ma di che tipo di fede si tratta? E quale relazione puo avere con la fede della
Chiesa? Certamente nella sua pienezza la religione praticata dai fedeli cristiani catto­
lici e la manifestazione esteriore della fede della Chiesa, virtu teologale esplicita e
piena. In quest' ottica per "fede" si intende inequivocabilmente la fede virtu teologale
e per "religione" si intende la christiana religio. Questo e il modo secondo il quale
sembrano essere stati interpretati, tradizionalmente, i testi di Tommaso sull'argomen­
to.10 In questa interpretazione la dizione «omnis», riferita a religio dovrebbe significa­
re "ogni atto di religione", piuttosto che "ogni religione".
Tuttavia, a nostro avviso, sembra legittimo, andando probabilmente al di la di un'er­
meneutica letterale del testo, interpretare i testi dell' Aquinate, meno restrittivamente,
attribuendo alla religio dei gradi di perfezione diversificati nel modo di attuarsi, cul­
minanti nella christiana religio, per trarne dei principi utili in vista del nostro proble­
ma. Ogni religione (e non tanto ogni atto di religione), nella misura in cui e "vera",
cioe conforme alla legge naturale, e manifestazione esteriore di una qualche fede, piu
o meno implicita, iniziale, incompleta fin che si vuole, rna pur sempre di una fede in
Dio creatore, provvidente e remuneratore. Addirittura anche in una religione non
autentica vi e una sorta di fede, rna questa non avrebbe come oggetto Dio creatore e
provvidente, rna qualcosa d'altro, erroneamente considerato come un dio. Questo
modo di interpretare i testi in questione sembra essere sostanzialmente in sintonia
anche con il modo in cui Tommaso ha affrontato altri problemi. Si pensi, ad esempio,
al problema della verita, in relazione al quale egli non ha esitato a riconoscere che
omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est, e che, addirittura, i profeti del

8 «Ad primum ergo dicendum quod sicut religio consistit in quadam fidei protestatione, quam tamen interdum
aliquis non habet in corde; ita etiam vitia opposita religioni habent quandam protestationem infidelitatis, licet
quandoque non sit infidelitas in mente>> (//-//, q. 100, a. 1, ad 1 �).
9 «Fides est religionis causa et principium. Non enim aliquis eligeret cultum Deo exhibere, nisi fide teneret
Deum esse creatorem, gubematorem et remuneratorem humanorum actuum>> (De Trin, ps. 3, a. 2 co, n. 5).
10 Sembra essere questa i1 significato in cui viene intesa Ia religione, come protestatio della fede cattolica, ad
esempio, nella studio gia citato di Padre Dalmazio Mongillo: <<Per lui [san Tommaso] la religione e una "prate­
statio" della fede, speranza e carita, cioe delle virtu che per prime, ordinano l'uomo a Dio. Avendo Dio per ogget­
to immediato, le virtu teologali causano, con il loro impero, !'alto della religione Ia quale opera alcune case in ordi­
ne a Dio. [ . . . ] Gli atti del culto sono percio, un attestato, una prova, della nostra fede in Lui, della nostra sepran­
za nella sua onnipotenza soccorritrice, del nostro amore per Ia sua banta infinita>> (D. MONGILW, La virtU di reli·
gione... , op. cit., pp. 54-55).
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 205

demonio possono dire qualche verita, la quale comunque viene da Dio, anche quando
fosse suggerita lora dal demonio stesso per attrarre gli uditori (cfr. supra, capitola Ill).
Per cercare di chiarire i termini di questa fede, che si presuppone in ogni autentica
religione, cercheremo di esaminare alcuni elementi del trattato sulla fede della stesso
Dottore Angelico.

1 .2. CREDENZA E FEDE

Questo esame ci conduce, in prima luogo, a considerare la distinzione che, ai nostri


giorni, sta acquistando sempre maggiore importanza, nell'ambito della teologia delle
religioni, che e quella tra "credenza" e "fede".
A questa proposito, troviamo diversi riferimenti anche nei documenti della Chiesa.
Basti qui citare, per tutti,11 la Fides et ratio, dove i1 termine "credenza" compare 7
volte, ad indicare in sensa generico il "credere", atto con il quale l'essere umano acco­
glie quanta gli viene detto da un altro non potendo verificare o dimostrare tutto nel
corso della sua esistenza e il termine "fede" indica la fede teologale in Dio che si rive­
la in Gesu Cristo. E la Dominus Jesus, dove il terrnine "credenza" compare 5 volte e
si precisa la distinzione tra credenza e fede e si applica esplicitamente il termine "cre­
denza" alla religione e in particolare alle religioni non cristiane, distinguendolo rigo­
rosamente dalla "fede" in Gesu Cristo.
La Fides et ratio spiega come la "credenza", il "credere", l'affidarsi dell'uomo ad
altri uomini per ricevere conoscenza sia un atto "naturale", proprio della condizione
dell'uomo in quanta uomo: deriva, dalla sua natura sociale, dal suo essere, per dirla
aristotelicamente, "animale politico".12 Per cui e profondamente umano e arricchente,
per la persona come per l'intera comunita umana, il fatto che ci si debba affidare a
conoscenze trasmesse da altri.13

11
Altri luoghi del Magistero in cui si tratta della "credenza" neUe religioni a confronto con Ia "fede" della
Chiesa sono stati presi in esame nel Capitolo I.
12
<<L' uomo non e fatto per vivere solo. Egli nasce e cresce in una famiglia, per inserirsi piu tardi con il suo lavo­
ro nella societa. Fin dalla nascita, quindi, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto il lin­
guaggio e Ia formazione culturale, rna anche molteplici verita a cui, quasi istintivamente, crede. La crescita e Ia
maturazione personale; comunque, implicano che queste stesse verita possano essere messe in dubbio e vagliate
attraverso Ia peculiare attivita critica del pensiero. Cio non toglie che, dopo questo passaggio, queUe stesse verita
siano "ricuperate" sulla base dell' esperienza che se ne e fatta, o in forza del ragionamento successivo>> (Fides et
ratio, n. 31).
13
<<Nel credere, ciascuno si affida aile conoscenze acquisite da altre persone. E ravvisabile in cio una tensione
significativa: da una parte, Ia conoscenza per credenza appare come una forma imperfetta di conoscenza, che deve
perfezionarsi progressivamente mediante l'evidenza raggiunta personalmente; dall'altra, Ia credenza risulta spes­
so umanamente piu ricca della semplice evidenza, perche include un rapporto interpersonale e mette in gioco non
solo le personali capacita conoscitive, rna anche Ia capacitii piu radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in
un rapporto piu stabile ed intimo con !oro>> (ivi, n. 32).
206 ALBERTO STRUMlA

In secondo luogo l'atteggiamento della credenza e una "necessita economica": il


verificare e i1 dimostrare tutto, ovvero un'attitudine radicalmente positivistica, sareb­
be inattuabile anche per ragioni di tempo e di energia, oltre che per la limitata capaci­
ta intellettuale e operativa del singolo uomo.14
La credenza diviene "fede", in senso propriamente teologico, quando crede non piu
ad un altro uomo, rna a Dio stesso che si rivela.15
La Dominus Jesus, quasi sviluppando e precisando quest'ultimo chiarimento della
Fides et ratio, utilizza i1 termine "credenza" in riferimento alle religioni non cristiane
mettendo bene in evidenza come in queste ultime non vi sia la fede teologale in Dio
che si rivela in Gesu Cristo.16
Riteniamo che la distinzione fra fede e credenza trovi il suo fondamento nell'opera
di san Tommaso, i1 quale introduce la sua trattazione sulla "fede" premettendo sempre
un'analisi di cio che significa il "credere".17 La distinzione nell'uso dei termini crede­
re e fides risulta chiara nei luoghi, dedicati a questo tema, del commento alle Sentenze,
del De veritate, della Summa theologiae e del commento alla Lettera agli Ebrei, nei
quali egli si rifa sempre alla definizione agostiniana secondo la quale credere e un
«considerare con assenso (cum assensione cogitare)» .18

14 <<Nonostante questo, nella vita di un uomo Ie verita semplicemente credute rimangono molto piu numerose di.
quelle che egli acquisisce mediante Ia personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare criticamente gli
innumerevoli risultati delle scienze su cui Ia vita modema si fonda? Chi potrebbe controllare per conto proprio il
flusso delle informazioni, che giomo per giomo si ricevono da ogni parte del mondo e che pure si accettano, in
linea di massima, come vere? Chi, infine, potrebbe rifare i cammini di esperienza e di pensiero per cui si sono
accumulati i tesori di saggezza e di religiosita dell'umanita? L' uomo, essere che cerca Ia verita, e dunque anche
colui che vive di credenza>> (ibidem).
15
<<Da quanto ho fin qui detto, risulta che l'uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente interminabi­
le: ricerca di verita e ricerca di una persona a cui affidarsi. La fede cristiana gli viene incontro offrendogli Ia pos­
sibilita concreta di vedere realizzato Io scopo di questa ricerca. Superando lo stadio della semplice credenza, infat­
ti, essa immette l'uomo in quell'ordine di grazia che gli consente di partecipare al mistero di Cristo, nel quale gli
e offerta Ia conoscenza vera e coerente del Dio Uno e Trino. Cosi in Gesu Cristo, che e Ia Verita, Ia fede ricono­
sce I' ultimo appello che viene rivolto all'umanita, perche possa dare compimento a cio che sperimenta come desi­
derio e nostalgia» (ivi, n. 33).
16
<<Deve essere, quindi, fermamente ritenuta Ia distinzione tra Ia fede teologale e Ia credenza nelle altre reli­
gioni. Se Ia fede e I'accoglienza nella grazia della verita rivelata, "che permette di entrare all'intemo del mistero,
favorendone Ia coerente intelligenza", Ia credenza nelle altre religioni e quell' insieme di esperienza e di pensiero,
che costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosita, che I'uomo nella sua ricerca della verita ha ideato e
messo in atto nel suo riferimento al Divino e all'Assoluto. Non sempre tale distinzione viene tenuta presente nella
riflessione attuale, per cui spesso si identifica Ia fede teologale, che e accoglienza della verita rivelata da Dio Uno
e Trino, e Ia credenza nelle altre religioni, che e esperienza religiosa ancora alia ricerca della verita assoluta e priva
ancora dell'assenso a Dio che si rivela. Questo e uno dei motivi per cui si tende a ridurre, fino talvolta ad annul­
larle, le differenze tra i1 cristianesimo e Ie altre religioni» (Dominus Jesus, n. 7). Su questi temi si puo vedere, ad
esempio, I' articolo di A.-M. LEONARD, L 'uomo in cammino verso Ia fede. Credenza e fede, in L 'Osservatore roma­
no, 7 novembre 1998, che prende Ie mosse dalla Fides et ratio per delineare i compiti della teologia fondamenta­
le oggi.
17 Sarebbe fuorviante ricercare il Tommaso il lemma <<credentia», trasponendolo dall'italiano in Iatino, in quan­
to quest'ultimo significa per lui i1 credito in denaro che viene dato in prestito ad interesse; di conseguenza esso
compare solo nei luoghi nei quali si tratta dell'usura.
18
<<Quamquam et ipsum credere, nihil aliud est, quam cum assensione cogitare» (De praedestinatione sancto­
rum tiber unus, ad Prosperum et Hilarium, 2, 5). Difficile e rendere in italiano il latino agostinainao <<cogitare»:
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 207

L'approccio tomista e inizialmente sempre epistemologico e cognitivo, e solo suc­


cessivamente, trattando della fede teologale, diviene propriamente teologico. Non si
puo non notare come, nella teologia piu vicina a noi, si e posto maggiormente 1' ac­
cento sull'approccio antropologico ed esperienziale (soggettivo) piuttosto che su quel­
lo logico-epistemologico (oggettivo), accentuando il ruolo della fede come "fiducia",
credito dato ad un testimone umano, mentre nei testi che esamineremo, san Tommaso
approfondisce particolarmente il processo cognitivo e logico dell'atto con cui si ere­
dono dei contenuti (enunciati) che vengono proposti come oggetto del credere.19
Questa impostazione si rileva sia a proposito del credito a livello puramente umano,
che a Iivello della fede teologale mediata dalla testimonianza di chi reca 1' Annuncio.
L'aspetto del credito dato al testimone non e assente nella trattazione dell' Aquinate:
esso viene piuttosto collocato al giusto posto, che e quello riguardante i "motivi di cre­
dibilWi" della fede, piu che le verita credute che portano sull'oggetto della fede che e
Dio stesso. Tra questi troviamo anche la credibilita del testimone umano che deve
risultare ragionevolmente degno di essere creduto. E cio vale in particolare quando
parla a nome di Dio, riferendo cio che Dio ha rivelato di se in vista della salvezza del­
l'uomo:20
Colui che ha fede crede a un uomo non perche e uomo, rna perche e Dio a parlare in
Lui, cosa che puo rilevare sulla base di dati di esperienza sicuri.
[III Sent, d. 23, q. 2, a. 2b ad 3um]

Un altro aspetto legato all'esperienza del soggetto che crede, e quello delle conse­
guenze morali che derivano dal credito dato ad una persona e ai suoi insegnamenti,
cioe il passaggio da un'adesione puramente teorica («assenso nozionale»), al cambia­
mento nella condotta di vita che comporta un' adesione pratica ( «assenso reale» ). Si
tratta di un elemento di particolare rilievo nell'ambito dell'adesione ad una religione,
ed in particolare alia fede cristiana, sia se viene considerato sotto 1' aspetto del carisma
trainante di un fondatore, che sotto l'aspetto degli elementi motivanti di colui che si

letteralmente sta per pensare, rna queso verbo in italiano esprime principalmente il giudcare e il ragionare, rna non
l'intuire immediatamente e neppure i1 senso di apprezzamento e di attrattiva per un bene che deriva dalla fede. E
sembrato, allora, meglio tradurre con considerare, soluzione che se pur non del tutto soddisfacente, sembra espri­
mere meglio le diverse sfumature di signficato che qui entrano in gioco.
19 A proposito della dimensione dell'esperienza di fede del soggetto che crede in Cristo vanno ricordati come
studi ormai divenuti riferimenti classici, J. MOUROUX, Ia credo in te. Struttura personale della fede, Morcelliana,
Brescia 1966 e, dello stesso autore, L'esperienza cristiana. Introduzione a una teologia, Morcelliana, Brescia
1956.
20 <<Fidelis credit homini non inquantum homo, sed inquantum Deus in eo loquitur, quod ex certis experimentis

colligere potest>>. Infatti: <<credere homini absque ratione probabili est nimis cito credere: quia cognitio unius
hominis non est naturaliter ordinata ad cognitionem alterius, ut per ipsam reguletur. Sed hoc modo ordinata est ad
veritatem primam>> (III Sent, d. 24, q. 1, a. 3b ad 1 'm).
208 ALBERTO STRUMIA

converte e aderisce ad una fede religiosa. Questo passaggio e stato evidenziato assai
efficacemente da J.H. Newman nella sua Grammatica dell'assenso: «A questi assensi
si da talora il nome di credenze, convinzioni, certezze. [ . . . ] Senza provare un assenso
del genere, anche se possediamo un' apprensione piena ed un pieno assenso nozionale
manchiamo d'un vero ancoraggio intellettuale [ . . . ] sia per quanta conceme la nostra
condotta sia in fatto d'azione sociale o politica e di religione. Solo una siffatta cre­
denza [ . . . ] riesce a creare eroi, santi, grandi capi politici, predicatori, riformatori».21
Tommaso non si cimenta nel dettaglio di questa tipo di descrizioni esperienziali,
perche non e questa lo scopo delle sue opere, ne il suo stile di teologo sistematico.
Egli, piuttosto, offre l'analisi degli elementi metafisici e teologici che sono alia base
di questi fattori dell'esperienza: questi sono da ritrovarsi nel gioco della mutua
influenza di intelletto e volonta, nella comune azione dei sensi e delle passioni sulla
razionalita, nell'opera della grazia sull'animo umano. Tutto questa viene come pre­
supposto quando egli affronta il trattato sulla fede, avendone gia parlato diffusamente
nei trattati sull'uomo delle sue opere (cfr. ad es., J, qq. 75-102).
Pur riconoscendo che la trattazione di san Tommaso, in questa contesto, non verte
direttamente ne sulla nozione di credenza ne su quella di religione, riteniamo che una
riflessione a partire dal concetto di verita possa aiutare a comprendere gli elementi di
veridicita presenti anche nel campo della credenza e della religione.
La domanda in un certo sensa nuova, che oggi in piil si apre con 1' avvio di una teo­
logia delle religioni, e se vi sia uno "spazio", sia epistemologico che teologico, tra la
semplice "credenza" umana, che di per se e frutto della ragione naturale (intelletto
mosso dalla volonta) e la "fede" come virtu teologale, completa (perfecta) che richie­
de necessariamente l'azione della grazia, per collocarvi quella "credenza religiosa"
che si attua nell'ambito di una "religione vera" e che potrebbe, in alcuni casi, anche
accogliere elementi di contenuto propri della Rivelazione e non raggiungibili a livello
puramente naturale.22 Che tipo di fede si richiederebbe per una simile adesione?
Sembrerebbe qualcosa di piil di una fede "implicita" dei singoli individui, in quanta si
attua mediatamente, attraverso l'appartenenza ad una comunita che professa una reli­
gione: probabilmente si potrebbe chiamare fede "incoativa",23 o "incompleta", che

21
J.H. NEWMAN, La grammatica dell'assenso, Jaca Book, Milano 1980, p. 54.
22 Ricordiamo che una religione e da ritenersi vera, per Tommaso, se e conforme aile Iegge naturale (cfr. il pre­
cedente Capitola III).
23 Questo !ermine viene utilizzato due volte, ad esempio nel documento del Pontificio Consiglio Per II Dialogo
Interreligioso e della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio, anche se non e abbi­
nato letteralmente al !ermine "fede", rna sembra esserlo sostanzialmente: «I membri delle altre tradizioni religio­
se sono ordinati o orientati (ordinalltur) alia Chiesa, in quanto essa e il sacramento in cui il regno di Dio e "miste­
riosamente" presente, giacche, nella misura in cui essi rispondono alia chiamata di Dio percepita nella !oro
coscienza, sono salvati in Gesu Cristo e condividono quindi gia, in qualche modo, Ia realta significata dal Regno.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 209

"attinge" alla fede virtu teologale solo semina/mente, come attraverso dei seminaria
virtutis di cui Tomrnaso parla a proposito delle virtu cardinali: quindi non e virtu, ne
tanto meno virtu teologale, pur essendo qualcosa di piu di una semplice disposizione
alla virtu, possedendo gia qualche

- elemento "conoscitivo" (dei semi di verita) soprannaturale, oltre ad altri attin­


gibili con la sola ragione naturale
- e qualche elemento "morale" (degli atti di devozione religiosa e di culto) con­
seguente.

E quindi puo ricevere, per azione della grazia, anche quei "semi di verita" che si
propongono come oggetti materiali del credere, senza che sia del tutto noto l'oggetto
formale (veritas divina) rivelato esplicitamente e completamente solo in Cristo e
custodito nella fede della Chiesa. Sulla base del breve passaggio di //-//, q. 101, a. 3,
ad 1 in cui si accenna al fatto che la religione e una manifestazione di una sorta di
u rn

"speranza" e di una sorta di "carita", si potrebbe forse addirittura azzardare che que­
sta fede "incoativa" possa essere, in qualche modo accompagnata da qualche "seme di
carita".24
Ma oltre alla possibilita teorica di una simile eventualita, per verificarne l'applica­
bilita, occorrerebbe vedere se, storicamente, una simile situazione sia, o sia stata mai,
presente in una qualche religione conosciuta.

1.2.1. Chiarimenti terminologici: dubbio, opinione, sospetto, credenza, fede


Sono da considerare, a proposito del "credere" e della "fede" quattro passi presso-
che paralleli:25

III Sent, d. 23, q. 2, a. 2a;


De Ver, q. 14, a. 1;
11-11, q. 2, a. 1;
Sup Hebr, c. 11, lc. 1.

La missione della Chiesa e far crescere i l Regno del Signore nostro e del suo Cristo (cfr. Ap 1 1,15), d i cui e serva.
Una parte di questo ruolo consiste quindi nel riconoscere che Ia realta incoativa di questo Regno si puo trovare
anche oltre i confini della Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose, nella misura in cui
vivono valori evangelici e rimangono aperti all'azione dello Spirito. Si deve tuttavia rammentare che questa real­
til e in verita allo stato incoativo; essa trovera il suo completamento nell' essere ordinata al regno di Cristo gia pre­
sente nella Chiesa, rna che si realizzera pienamente solo nel mondo che verra>> (n. 35).
24 Si puo forse rilevare, a questo proposito, una certa consonanza con il passo agostiniano dei Soliloqui: <<O Dio,
che sei amato da ogni essere che puo amare, ne sia esso cosciente o no>> (Soliloqui, L. I, 1,2).
25 E utile ricordare Ia cronologia secondo Ia quale si susseguono queste opere: 1252-56 il Sent; 1257-58 la q. 14
del De Ver; 1271-72 Ia /l-/lae; 1272-73 (?) Sup Hebr, e notare come, pur nel passaggio dalle opere giovanili a
quelle mature Tommaso mantiene inalterata Ia sua epistemologia e Ia sua dottrina di fondo sull'argomento.
210 ALBERTO STRUMiA

In questi testi, dedicati interamente al "credere" alla "fede", Tommaso si preoccu­


pa, innanzitutto, di chiarire il significato dei termini. E questa precisazione risulta par­
ticolarmente utile e importante anche per un affronto corretto del problema della reli­
gione ai nostri giorni. La confusione che oggi si fa frequentemente quando si teorizza,
o anche solo si pensa, che una o Ia "fede" equivalga a una "opinione" personate tra le
tante, tutte equivalenti, o che "fede" possa dirsi legittimamente solo se si accompagna
a "dubbio", ne e una certa riprova.
In questi articoli egli chiarisce con una rigorosa e semplice analisi logico-antropo­
logica il significato dei termini "dubbio", "opinione" e "credenza" (nella Summa e pre­
sente anche il termine "sospetto", come complementare di "opinione"): anzi, piu pre­
cisamente tratta dell'atto di colui che dubita, opina, crede. Ne riepiloghiamo il conte­
nuto organizzandolo in tre progressive articolazioni.

Primo passaggio: il credere riguarda il vero e il falso


Seguendo l'approccio al problema proposto da sant'Agostino, san Tommaso preci­
sa, in primo luogo, che per poter parlare di "credere" (come del resto anche di "dub­
bio" e di "opinione") ci si deve collocare a quel livello della conoscenza che si colle­
ga direttamente al vero e al falso.
Per prima cosa Tommaso, sviluppando un discorso rigorosamente tecnico, precisa
che il credere ha a che fare con il "vero" e il "falso" e di conseguenza riguarda: a) dal
punto di vista cognitivo, la seconda operazione dell'intelletto (il "giudizio") e non la
prima (simplex apprehensio); b) dal punto di vista logico-epistemologico, gli "enun­
ciati" che esprimono il giudizio e non le semplici nozioni essenziali che lo determina­
no immediatamente in modo univoco.
Ecco come viene proposto questo primo passaggio nei quattro passi paralleli, che
sono del tutto concordi tra loro, a questo proposito. Vale la pena riportarli cosi come
sono per mostrare quanto il modo di accostare la questione, da parte di Tomrnaso, sia
molto rigoroso, tecnicamente logico, perfino un po' arido per un teologo . . .

Testo del "Sententiarum " (Ill Sent, d. 23, q. 2, a. 2a)


Come dice il Filosofo nel III libro de L'anima, le operazioni dell'intelletto sono due.
- Una coglie le essenze semplici delle cose e questa viene chiamata dal Filosofo "intel­
ligenza delle forme" o "intelligenza semplice". E a questo tipo di intelletto corrispon­
de [nel linguaggio] Ia "voce non complessa" che Ia significa. E come nella voce non
complessa non si trova verita o falsita, cosi neppure in questa operazione dell'intellet­
to. In entrambe, non essendoci verita o falsita non si concede ne si nega nulla. E cosi,
con questa operazione, l'intelletto non da ne assenso ne dissenso: percio in questa ope­
razione non si puo trovare Ia fede, che e propriamente un assentire.
- Mentre [Ia si trova] nella seconda operazione, con Ia quale l'intelletto compone e
divide, e nella quale si trova il vero e il falso, come nell'enunciazione [nel linguaggio],
Infatti, proprio per questo, in questa operazione l'intelletto assente o dissente e, come
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 211

l'enunciazione, concede o nega. Percio in questa operazione si trova Ia fede, che com­
porta un assenso.26

Testo del "De veritate" (De Ver, q. 14, a. 1)


II nostro intelletto, come dice il Filosofo nel libro de L 'anima, puo compiere due tipi
di operazione.
- Con Ia prima forma le nozioni essenziali semplici delle cose, come quella di "che
cos'e un uomo", o "che-cos'e-un-animale". E in questa tipo di operazioni non c'e vero
o falso, come non c'e nelle voci non complesse.
- L'altra operazione dell'intelletto e quella mediante Ia quale esso compone e divide,
affermando e negando. E in questa operazione troviamo il vero e il falso, come pure
nella voce complessa che ne e il segno.
Di conseguenza non si trova "il credere" nella prima operazione, rna solo nella secon­
da: infatti noi diamo credito a cio che riteniamo vero e discredito al falso. Tanto che
anche presso gli Arabi Ia prima operazione dell'intelletto si chiama imaginatio e Ia
seconda fides, come risulta dalle parole dello stesso Commentatore nel III libra de
L 'anima.21

11 testo della Summa omette questa premessa sulle operazioni dell'intelletto, che
assume come nota e ovvia, e passa direttamente a considerare il secondo passaggio.
Mentre il primo si trova anche nel commento alia Lettera agli Ebrei.

Testo del "Super ad Hebreos " (Sup Hebr, c. 11, lc. 1)


Tra i diversi atti dell'intelletto c'e una precisa differenza.
Alcuni rientrano tra quelli che comportano una completa certezza di visione di cio che
colgono,
- come si ha chiaramente in quell'attitudine dell'intelletto che coglie intuitivamente i
primi principi: infatti chi, per esempio, coglie il fatto che il tutto e maggiore della
parte, lo "vede" e ne e certo;

26 <<Respondeo dicendum ad primam quaestionem, quod, sicut dicit philosophus in III De anima, duplex est ope­
ratio intellectus. una quae comprehendit quidditates simplices rerum; et haec operatio vacatur a philosophis for­
matio vel simplex intelligentia; et huic intellectui responde! vox incomplexa significans hunc intellectum: unde
sicut in voce incomplexa non invenitur veritas et falsitas, ita nee in hac operatione intellectus: et ideo sicut vox
incomplexa propter hoc quod non est in ea veritas et falsitas, non conceditur nee negatur; ita secundum bane ope­
rationem intellectus non assentit vel dissentit: et propter hoc in hac operatione non potest inveniri fides, cujus est
assentire; sed in alia operatione, qua intellectus componit et dividit, in qua jam invenitur verum et falsum, sicut in
enuntiatione: et propter hoc intellectus in hac sua operatione assentit vel dissentit, sicut et enuntiatio conceditur
aut negatur: Et ideo in hac operatione invenitur fides, quae habet assensum».
27 <<Intellectus enim nostri, secundum philosophum in Lib. De anima, duplex est operatio. Una qua format sim­
plices rerum quidditates; ut quid est homo, vel quid est animal: in qua quidem operatione non invenitur verum per
se et falsum, sicut nee in vocibus incomplexis. Alia operatio intellectus est secundum quam componit et dividit,
affirmando vel negando: et in hac iam invenitur verum et falsum, sicut et in voce complexa, quae est eius signum.
Non autem invenitur credere in prima operatione, sed solum in secunda: credimus enim vero, et discredimus fal­
sum. Unde etiam et apud Arabes prima intellectus operatio vacatur imaginatio intellectus, secunda autem vocatur
fides, ut patet ex verbis Commentatoris in III De anima».
212 ALBERTO STRUMIA

- e come accade nel possesso abituale della scienza. L'attitudine a cogliere intuitiva­
mente e a conoscere mediante la scienza dimno entrambe una certezza e una visione
piena.28

11 testa ha una struttura diversa rispetto ai precedenti per quanto riguarda 1' ordine
secondo il quale vengono introdotti i diversi passaggi, e contiene delle digressioni sul
"vero" e il "bene" in rapporto all'intelletto e alla volonta e sul rapporto tra fede e spe­
ranza, rese necessarie per commentare la definizione di fede di Eb 11,1: «La fede e
fondamento delle cose che si sperano e prova di queUe che non si vedono (est autern
fides substantia sperandarum rerum, argumentum non apparentium)». Tuttavia l'im­
pianto epistemologico e sostanzialmente lo stesso degli altri testi.

Secondo passaggio: i modi di determinazione dell'intelletto


11 credere ha a che fare con la possibilita di riconoscere come vero un enunciato
(verita formale). Per questo Tommaso deve esaminare, poi, i vari atteggiamenti del­
l'intelletto di fronte al giudizio di verita di un enunciato. Esso puo essere determinato
- autonomamente, cioe senza 1' apporto di altre facolta umane, e in particolare:
a) immediatamente, quando l'altemativa vera di una contraddizione che gli si pre­
senta e colta subito come intuitivamente, b) mediatamente, quando l'altemativa
vera di una contraddizione e colta mediante un procedimento dimostrativo, come
nella scienza;
- non autonomamente, rna grazie all'apporto della volonta che mostra il bene che
deriva dalla scelta di un'altemativa di una contraddizione piuttosto che dell'altra.
Quello tratto dal Sententiarum e il testo piu ampio sull'argomento e il piu detta­
gliato nella descrizione del secondo passaggio.

Testo del "Sententiarum " (Ill Sent, d. 23, q. 2, a. 2a)

Ora, "assentire" viene da "sentenza" che, come dice Isacco, e l'aderire ad una delle
due parti di una contraddizione: dunque chi da l'assenso determina l'intelletto a favo­
re di una delle due parti di una contraddizione. E questo puo accadere in tre modi, in
dipendenza di un triplice modo di valutare da parte del nostro intelletto.

11 primo modo che l'autore presenta, coerentemente con la sua teoria cognitiva, e
quello del processo astrattivo con il quale l'intelletto agente smaterializza l'oggetto
osservato per offrime un'informazione (forma, species) universale all'intelletto possi-

28 «In actibus autem intellectus differentia est. Quidam enim sunt habitus intellectus, qui important omnimodam

certitudinem ad completam visionem eius quod intelligitur, sicut patet de intellectu, qui est habitus primorum prin­
cipiorum, quia, qui intelligit quod omne totum est maius sua parte, videt hoc, et est certus. Hoc etiam facit habi­
tus scientiae, et sic talis habitus intellectus et scientia, faciunt certitudinem et visionem>>.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 213

bile. A questa livello l'intelletto opera da solo, senza intervento della volontiL Questa
non ha ancora a che fare con il credere, rna e, piuttosto un "vedere".

In un primo modo l'intelletto puo essere considerato come a se stante. E in questa caso
esso viene determinato dalla presenza di qualcosa di intelligibile, come la materia
viene determinata dalla presenza di una forma. Questa succede per queUe cose che
sono rese intelligibili immediatamente dall'intelletto agente, come i primi principi dei
quali si ha una comprensione (immediata]. Come del resto accade anche per quanta
riguarda la stima compiuta dalla nostra parte sensitiva, per il modo in cui cio che e sen­
sibile e sottoposto ai sensi, il principale e piu preciso dei quali e la vista. Ed e per que­
sta ragione che questa modalita di conoscere dell'intelletto e chiamata anche "visione".

11 secondo modo riguarda il metoda della dimostrazione, condotta con il ragiona­


mento, che porta, mediatamente, ad evidenza cio che immediatamente non lo sarebbe.
E questa non e un credere, rna un dimostrare.
In un secondo modo il nostro intelletto puo essere considerato in rapporto al ragiona­
re che si conclude nell'intelletto quando, risolvendo le conclusioni nei principi per se
noti, dimostra la loro certezza: e questa e l'assenso proprio della scienza.

Finalmente il terzo modo vede l'intelletto e la volonta operare insieme, ed e solo a


questa livello che si colloca il credere. Viene, in tal modo, identificato lo statuto epi­
stemologico del credere, sulla base del processo cognitivo secondo il quale esso si
attua.
In un terzo modo l'intelletto viene considerato in rapporto alla volonta, la quale
muove tutte le facolta dell'anima a compiere i loro atti. Essa determina l'intelletto
verso qualcosa che
- ne e in grado di vedere (immediatamente] da solo
- ne e in grado di ricondurre a principi per se evidenti.
E questa in forza del fatto che [la volonta] giudica degno l'aderire a una certa cosa, per
qualche ragione che le fa ritenere un bene aderire. Benche questa ragione non appaia
sufficiente all'intelletto, per la sua inadeguatezza, perche esso non e in grado di vede­
re cio a cui la ragione ritiene di aderire, ne immediatamente, ne risolvendolo in prin­
cipi per se noti. E questa tipo di assenso che, propriamente, si dice "credere". Per cui
si suol dire che la fede "accattiva" l'intelletto, perche non viene determinato all' inter­
no di un movimento suo proprio, rna da un comando della volonta.
Dunque, nel credente la ragione non determina l'intelletto da sola, rna mediante la
volonta.29

29 <<Cum autem ab assentiendo sententia dicatur, quae, ut dicit Isaac, est determinata acceptio alterius partis con­
tradictionis; oportet quod qui assentit, intellectum ad alteram partem contradictionis determine!. Quod quidem
contingit tripliciter, secundum triplicem nostri intellectus considerationem. Potest enim intellectus noster conside­
rari uno modo secundum se; et sic determinatur ex praesentia intelligibilis, sicut materia determinatur ex praesen­
tia formae: et hoc quidem contingit in his quae statim lurnine intellectus agentis intelligibilia fiunt, sicut sunt prima
principia, quorum est intellectus: et similiter determinatur judicium sensitivae partis ex hoc quod sensibile subja­
cet sensibus, quorum principalior et certior est visus; et ideo praedicta cognitio intellectus vocatur visio. Alio modo
potest considerari intellectus noster secundum ordinem ad rationem, quae ad intellectum terminatur, dum resol-
214 ALBERTO STRUMlA

Lo stesso tema viene affrontato in altri due testi, piu brevi, tratti dal De veritate e
dalla Summa theologiae.

Testo del "De veritate " (De Ver, q. 14, a. 1)


Ora come l'intelletto possibile, in se stesso, e in potenza rispetto a tutte le forme intel­
ligibili, come lo e Ia materia prima rispetto alle forme sensibili, cosi pure lo e nei con­
fronti della composizione o della divisione. Ma tutto cio che e indeterminato tra due
possibilWi non puo essere determinato verso una delle due se non da qualcosa d'altro
che lo muove verso di essa. L'intelletto possibile non puo essere mosso se non da due
cose. E cioe:
- dal proprio oggetto, che e Ia forma intelligibile, che e l'essenza presente neUe cose
come si dice nel III libro de L 'anima, e
- dalla volonta, che muove tutte le altre facolta, come dice Anselmo.30

Testo della "Summa " (//-11, q. 2, a. 1)


Questa passo si concentra sulla spiegazione del verbo "considerare" (cogitare) che
compare nella formula agostiniana, alla quale, come si e detto, Tommaso si rifa. Si
nota subito come il testo della Summa, piu tardivo dei precedenti, si discosti nell'im­
postazione da essi: non si dice nulla sulle diverse operazioni dell'intelletto, non si det­
taglia la differenza tra intuizione imrnediata e dimostrazione argomentativa, rna ci si
limita a dire che cia che distingue il credere dalle altre forme di conoscenza e la deci­
sione volontaria di aderire ad una parte, dopo una ricerca.31 Questa maggiore concen­
trazione sull'elemento essenziale puo, forse, essere motivata anche dall'intento "didat­
tico" della Summa che e rivolta prirnariamente agli studenti, a differenza di altre opere
destinate agli esperti come le Quaestiones disputatae e i commenti scritturistici.

vendo conclusiones in principia per se nota, earum certitudinem efficit: et hoc est assensus scientiae. Tertio modo
consideratur intellectus in ordine ad voluntatem; quae quidem omnes vires animae ad actus suos movet: et haec
quidem voluntas determinat intellectum ad aliquid quod neque per seipsum videtur, neque ad ea quae per se viden­
tur, resolvi posse determinat, ex hoc quod dignum reputat illi esse adhaerendum propter aliquam rationem, qua
bonum videtur ei illi rei adhaerere; quamvis ilia ratio ad intellectum terminandum non sufficiat propter imbecilli­
tatem intellectus, qui non videt per se hoc cui assentiendum ratio judicat; neque ipsum ad principia per se nota
resolvere valet: et hoc assentire proprie vocatur credere. Unde et fides captivare dicitur intellectum, inquantum non
secundum proprium motum ad aliquid determinatur, sed secundum imperium voluntatis: et sic in credente ratio
per se intellectum non terminal, sed mediante voluntate».
30 <<Intellectus autem possibilis, cum, quantum est de se, sit in potentia respectu omnium intelligibilium forma­

rum, sicut et materia prima respectu omnium sensibilium formarum; est etiam, quantum est de se, non magis deter­
minatus ad hoc quod adhaereat compositioni quam divisioni, vel e converso. Omne autem quod est indetermina­
tum ad duo, non determinatur ad unum eorum nisi per aliquid movens ipsum. Intellectus autem possibilis non
movetur nisi a duobus; scilicet a proprio obiecto, quod est forma intelligibilis, scilicet quod quid est, ut dicitur in
III De anima, et a voluntate, quae movet omnes alias vires, ut Anselmus dicit».
31 Tommaso inserisce, per inciso, anche una breve divagazione sui Verbo divino e il verbo dell'intelletto umano
che abbiamo omesso per non spezzare Ia Jogica del discorso che qui ci interessava direttamente. Inoltre aggiunge
anche un terzo significato di «cogitare» che si riferisce alia facolta «cogitativa», Jegata al rapporto Ira J'intelletto
e i sensi, che pure e stata omessa per Ia medesima ragione.
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 215

II "considerare" si puo intendere [ . . . ]


- In un primo modo in senso comune, per indicare un qualsiasi atto dell'intelletto di
considerare qualcosa, come dice Agostino nel XIV libro de La Trinita: dico l'intelli­
genza con Ia quale cogliamo le cose considerandole.
- In un altro modo "considerare" si dice piu propriamente di quella considerazione
dell'intelletto che e accompagnata da una ricerca che precede il raggiungimento di una
piena visione certa che rende perfetta Ia comprensione dell'intelletto. [ . . . ] In questo
senso, "considerare" dice propriamente del moto dell'animo che decide [di aderire],
non essendo ancora in possesso di una visione piena della verita. [ . . . ]
Se, dunque, il "considerare" si assume in senso comune, secondo il primo modo, il dire
"considerare con assenso" non equivale a dire "credere", perche anche chi considera
le cose che conosce dimostrativamente, o intuitivamente, e uno che considera dando
un assenso.
Se, invece, si assume il "considerare" nel secondo modo, allora si coglie la nozione di
quell'atto che e il "credere".32

Testo del "Super Hebreos " (Sup Hebr, c. 1 1, lc. 1)


II passaggio e espresso, qui, molto sinteticamente e in vista della fede teologale, alla
quale gia ci si riferisce chiamando in causa 1' autorita divina che sostiene e orienta la
volonta (con la grazia) . Si puo notare, come in questo testo san Tommaso parla diret­
tamente di "fede", senza premettere una trattazione epistemologica dettagliata sul
"credere", come fa negli altri testi, nei quali si spiega solo in un secondo momento che
la "fede", in senso proprio non e che una specificazione del "credere" che ne rappre­
senta come il genere: "fede" e propriamente credere religioso, credere a Dio che si
rivela e non semplicemente dare credito alle parole di un altro uomo.
La fede, invece, non rientra semplicemente in nessuno dei casi precedenti, perche non
ha l'evidenza dei primi due [l'intuizione dei primi principi e la dimostrazione ], ne l'in­
certezza degli ultimi due [il dubbio e 1' opinione], rna viene determinata ad una delle
due parti con certezza e con ferma adesione, per una decisione della volonta.
Ed e l'autorita divina a suscitare questa decisione che determina l'intelletto ad aderi­
re con fermezza ai contenuti della fede assentendo con piena certezza. Per cui il cre­
dere e un conoscere con assenso.33

32 «Respondeo dicendum quod cogitare tripliciter sumi potest. Uno modo, communiter pro qualibet actuali con­
sideratione intellectus, sicut augustinus dicit, in XIV De Trin., bane nunc dico intelligentiam qua intelligimus cogi­
tantes. alio modo dicitur cogitare magis proprie consideratio intellectus quae est cum quadam inquisitione, ante­
quam perveniatur ad perfectionem intellectus per certitudinem visionis. [ . . . ] Et secundum hoc cogitatio proprie
dicitur motus animi deliberantis nondum perfecti per plenam visionem veritatis. [ . . . ] Si igitur cogitare sumatur
communiter, secundum primum modum, sic hoc quod dicitur cum assensione cogitare non dicit totam rationem
eius quod est credere, nam per hunc modum etiam qui considerat ea quae scit vel intelligit cum assensione cogi­
tat. Si vero sumatur cogitare secundo modo, sic in hoc intelligitur tota ratio huius actus qui est credere>>.
33 «Fides autem neutrum horum dicit simpliciter, quia nee cum primis est sibi evidens, nee cum duobus ultimis
dubitat, sed determinatur ad alteram partem, cum quadam certitudine et firma adhaesione per quamdam electio­
nem voluntariam. Hanc autem electionem facit divina auctoritas, per quam electionem determinatur intellectus, ut
firmiter inhaereat his quae sunt fidei, et eis certissime assentiatur. Et ideo credere est cum assensu cognoscere».
216 ALBERTO STRUMIA

Terzo passaggio: i gradi dell'adesione


In relazione alia determinazione non autonoma dell'intelletto, mediante l'apporto
della volonta, occorre poi esaminare le diverse combinazioni, o modi di interagire, del­
l'intelletto e della volonta e occorre chiarire quando vi sia assenso o meno e quando
questa sia pieno. E a questa livello che compaiono 1' opinione, il dubbio, il credere,
ecc. Questi diversi atteggiamenti sono tra loro mutuamente escludentisi per la loro
stessa definizione.

Testo del "Sententiarum " (Ill Sent, d. 23, q. 2, a. 2a)


L'analisi condotta in questa testa e raffinatissima, dal punta di vista epistemologi­
co e arriva a dimostrare l'impossibilita di una coesistenza di opinione, dubbio e fede.
In prima luogo si da una definizione di che cosa si intende per "opinione": questa
si ha quando non ci sono argomenti dimostrativi per escludere una delle due possibi­
lita che si presentano all'intelletto (verita o falsita di un enunciato) e non si e convin­
ti della preferenza accordata ad una delle due possibilita. Questa per Tommaso non e
fede, perche la fede esclude l'alternativa contraria a quella che accetta.34

Quando la ragione che orienta verso una delle due parti non basta da sola a deterrni­
nare l'intelletto, perche non risolve le conclusioni in principi per se noti, ne e suffi­
ciente a determinare la volonta al punto di farle ritenere un bene, l'aderire ad una di
esse, allora l'uomo considera un'opinione cio a cui aderisce, e il suo intelletto non e
univocamente deterrninato, perche gli rimane sempre qualcosa che lo spinge in senso
contrario e sta da una parte con un certo timore dell'altra. Per cui chi ha solo un'opi­
nione non da un assenso.35

11 dubbio e quello di colui che non prende posizione, rna sospende il giudizio per
mancanza di elem�nti sicuri. Questa posizione e assolutamente incompatibile con la
fede, che e certa della scelta da prendere.

Quando un uomo non ha una ragione che lo fa pendere da una parte piu che dall'altra,
o perche non ne ha affatto, per mancanza di cognizioni, o perche ne ha di peso equi-

34 Questo atteggiamento non spegne il desiderio di ricerca, rna non nel senso di cercare un'altemativa a cio in

cui gia si crede, rna piuttosto nel senso di approfondire Ia conoscenza del proprio oggetto fino alia visione chiara
di esso: <<Cognitio fidei non quiescit desiderium, sed magis ipsum accendit, quia unusquisque desiderat videre
quod credit>> (<<La conoscenza mediante Ia fede non acquieta il desiderio, rna piuttosto lo eccende maggiormente,
percbe uno desidera vedere cio in cui crede») (CG, L. III, c. 40).
35 Vale Ia pena riportare qui, a proposito di "opinioni", un breve passaggio in cui, in tempi piu vicini a noi
J.H. Newman (1801-1890) ha caratterizzato le opinioni: <<Per "opinioni" d'un uomo si intende per lo piu il com­
plesso di nozioni che egli ha accumulate e che non e facilmente disposto a ripudiare, benche non ne abbia prove
bastanti e non se le configuri molto chiaramente», J.H. NEWMAN, La grammatica dell'assenso, op. cit., p. 36. E
sulla credenza Ia breve definizione dello stesso autore: <<Per "prestare credenza" aile proposizioni intendo press' a
poco lo stesso che "non dubitame"», ivi, p. 33.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 217

valente per l'una come per l'altra, essendo in dubbio, allora in nessun modo da un
assenso, perche il suo giudizio non e determinato e non si sbilancia.

Finalmente si parla della fede e si spiega in che modo il "considerare" e l'"assenti­


re" entrino in rapporto nell'intuizione, nella scienza e nel credere.

E chiaro, allora, che il "considerare assentendo" qualifica l'atteggiamento del creden­


te distinguendolo da tutti altri.
Ora il considerare comporta un procedimento della ragione.
- Colui che coglie immediatamente con l'intelligenza da l'assenso senza bisogno di
considerare, percbe l'intelligenza dei principi e quella per Ia quale chiunque approva
immediatamente cio che ha ascoltato (cfr. Boezio, De hebdomadibus).
- Colui che possiede Ia scienza possiede sia l'assenso che il considerare, rna non con­
temporaneamente, quanto piuttosto il considerare prima dell'assenso, perche Ia ragio­
ne ve lo conduce risolvendo nei principi per se noti.
- Colui che crede, invece possiede l'assenso simultaneamente al considerare, percbe
non vi arriva a partire da principi per se noti, perche cio che l'intelletto ha in se non lo
orienta univocamente, rna e determinato univocamente dall'esterno, e cioe dalla volon­
ta.36

Testo del "De veritate " (De Ver, q. 14, a. 1)


Questo testo propone sostanzialmente la medesima classificazione del precedente,
rna aggiunge alla teoria anche la sua applicazione al caso del credere di un uomo alle
parole di un altro uomo, distinguendolo dal caso in cui un uomo crede a quanto viene
rivelato da Dio. Si aggiunge anche il motivo per il quale la volonta e indotta a muove­
re l'intelletto a dare il proprio assenso: si tratta necessariamente di un bene che attrae
la volonta, ed e il bene promesso di conseguire la vita eterna.
Altre volte l'intelletto non puo essere determinato verso una delle due parti della con­
traddizione ne immediatamente a partire dalle definizioni dei termini, come accade per
i principi primi, ne [mediatamente] a partire dai principi stessi, come accade nelle con­
clusioni delle dimostrazioni, rna viene determinato dalla volonta che sceglie di aderi­
re ad una determinata parte, in forza di qualcosa che e sufficiente a muovere Ia volon­
ta, pur non essendolo a muovere l'intelletto, percbe le sembra un bene vantaggioso
aderire a quella parte. Questa e Ia disposizione di chi crede, come quella di chi crede
aile parole di un uomo perche gli sembra conveniente e utile. Allo stesso modo siamo
indotti a credere anche a cio che Dio ha detto, in quanto, se crediamo, ci viene pro­
messo il premio della vita eterna. E in vista di questo premio Ia volonta viene spinta

36 <<Patel ergo ex praedictis, quod cum assensione cogitare separat credentem ab omnibus aliis. Cum enim cogi­

tatio discursum rationis importet, intelligens assensum sine cogitatione habet: quia intellectus principiorum est,
quae quisque statim probat audita, secundum Boetium in lib. De hebdomadibus. Sciens autem et assensum et cogi­
tationem habet; sed non cogitationem cum assensu, sed cogitationem ante assensum: quia ratio ad intellectum
resolvendo perducit, ut dictum est; credens autem habet assensum simul et cogitationem; quia intellectus ad prin­
cipia per se nota non perducitur: unde, quantum est in se, adhuc habet motum ad diversa, sed ab extrinseco deter­
minatur ad unum, scilicet ex voluntate».
218 ALBERTO STRUMiA

all'assenso verso quanto viene detto, anche se l'intelletto non e vi stato indotto da
qualcosa che ha compreso da solo.
Per questo Agostino dice che l'uomo e capace di altre cose anche non volendo, ma del
credere solo se lo vuole.

Molto puntuale e anche Ia precisazione del modo paritetico in cui intelletto e volon­
ta cooperano alia fede con i loro atti.

Nella fede, invece, assenso e ragionamento operano in certo modo alia pari. Perche
l'assenso non e causato dal ragionamento, rna dalla volonta, come si e detto. Ma, poi­
eM [in questo caso] l'intelletto non viene determinato univocamente al proprio punto
di arrivo, come nel caso della visione intellettuale di qualcosa di intelligibile, ne deri­
va che il suo movimento di ricerca non viene fermato, e continua a ragionare e a ricer­
care intorno a cio che crede e che accetta fermamente. In se stesso esso non e soddi­
sfatto, ne univocamente determinato, rna e determinato solo in forza di qualcosa di
esterno ad esso. Per questo si dice che l'intelletto del credente e "accattivato", tratte­
nuto da qualcosa d'altro, che non viene da se stesso ("riducendo in cattivita ogni intel­
letto, ecc.", II Cor. 10,5). Per cui anche nel credente puo sorgere un moto in contrario
a cio che egli crede fermamente, a differenza di cio che accade a colui che coglie
immediatamente con l'intelligenza o, mediatamente, con la scienza.37

Testo della "Summa " (11-l/, q. 2, a. 1)


II testo della Summa aggiunge alia classificazione anche il caso del sospetto che non
e contemplato nei passi precedenti. Per il resto ripropone piu sinteticamente le defini­
zioni gia presenti negli altri testi.
Tra gli atti che riguardano l'intelletto, infatti, alcuni comportano un fermo assenso
senza bisogno di un tale tipo di considerazione [che coinvolge la volonta], come quan­
do qualcuno considera queUe cose che sa [mediante la scienza] o coglie con l'intelli­
genza [per intuizione immediata ], perche una tale considerazione in questo caso e gia
formata. Altri atti sono caratterizzati da una sorta di considerazione "informe", priva
di un fermo assenso
- o per il fatto di non propendere per nessuna delle due parti [della contraddizione],
come accade a chi dubita;
- o per il fatto di propendere un po' di piu per una delle due, rna per un motivo assai
debole, come accade a chi sospetta [che quella sia la parte vera];

37 «Sed in fide est assensus et cogitatio quasi ex aequo. Non enim assensus ex cogitatione causatur, sed ex volun­
tate, ut dictum est. Sed quia intellectus non hoc modo terminatur ad unum ut ad proprium terminum perducatur,
qui est visio alicuius intelligibilis; inde est quod eius motus nondum est quietatus, sed adhuc habet cogitationem
et inquisitionem de his quae credit, quamvis eis firmissime assentiat. Quantum enim est ex seipso, non est ei sati­
sfactum, nee est terminatus ad unum; sed terminatur tantum ex extrinseco. Et inde est quod intellectus credentis
dicitur esse captivatus, quia tenetur terminis alienis, et non propriis. II Corinth. 10,5: in captivitatem redigentes
omnem intellectum et cetera. lode est etiam quod in credente potest insurgere motus de contrario eius quod fir­
missime tenet, quamvis non in intelligente vel sciente. Sic igitur per assensum separatur credere ab operatione qua
intellectus inspicit formas simplices quidditates, et a dubitatione, et opinione; per cogitationem vero ab intellectu;
sed per hoc quod habet assensum et cogitationem quasi ex aequo et simul a scientia».
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 219

- o per il fatto di aderire ad una delle due parti, rna con il timore che sia l'altra [ad
essere vera], come accade a chi ha un' opinione.
- Mentre l'atto del credere e caratterizzato da un'adesione ferma ad una delle due
parti, come quella di chi conosce mediante Ia dimostrazione scientifica o Ia compren­
sione immediatamente intuitiva. Pur non essendo Ia sua conoscenza perfetta come in
una visione del tutto manifesta, come anche accade a chi dubita, sospetta o ha un'opi­
nione.
Per cui e proprio del credente il considerare dando un assenso; ed e questo che distin­
gue l'atto del credere da tutti gli altri atti dell'intelletto che hanno a che fare con il vero
e il falso.38

Questo articolo e particolarmente importante per una precisazione, contenuta nella


risposta alia prima obiezione, nella quale si introduce il problema degli argomenti
razionali che inducono a credere, o dei motivi di credibilita che fondano razionalmen­
te l'atto del credere. Si tratta di quella indagine razionale che ha vista impegnata, fin
dal secondo secolo cristiano, l'apologetica tradizionalmente intesa. Tommaso parla di
una ricerca che chi crede compie preliminarmente all'assenso volontario. La ragione
non e chiamata, evidentemente, a dimostrare Ia verita del contenuto delle verita di fede
che vengono proposte da credere, rna a indagare sulla credibilita del testimone e sulla
non contraddittorieta di quanta afferma. Egli chiarisce puntualmente questa punta: e
necessaria, perche l'atto di fede sia razionalmente fondato, che vi sia una ricerca sui
motivi che rendono plausibile I' atto della volonta che fa credere.
Alia prima obiezione, dunque, si deve dire che Ia fede non si accompagna ad una ricer­
ca compiuta dalla ragione naturale per dimostrare cio che si crede, rna [ad un'indagi­
ne] sui motivi che inducono l'uomo a credere: come, ad esempio, il fatto che certe cose
sono rivelate da Dio e confermate dai miracoli.39

Testo del "Super Hebreos " (Sup Hebr, c. 11, lc. 1)


Commentando Ia Lettera agli Ebrei, vengono riprese le stesse definizioni.
Alcuni altri [atti dell'intelletto], invece, non fanno ne l'una ne l'altra cosa, come acca­
de nel caso del dubbio e dell'opinione.

38 «Actuum enim ad intellectum pertinentium quidam habent firmam assensionem absque tali cogitatione, sicut

cum aliquis considerat ea quae scit vel intelligit, talis enim consideratio iam est formata. Quidam vero acius intel­
lectus habent quidem cogitationem informem absque firma assensione, sive in neutram partem declinent, sicut
accidit dubitanti; sive in unam partem magis declinent sed tenentur aliquo levi signo, sicut accidit suspicanti; sive
uni parti adhaereant, tamen cum formidine alterius, quod accidit opinanti. Sed actus iste qui est credere habet fir­
mam adhaesionem ad unam partem, in quo convenit credens cum sciente et intelligente, et tamen eius cognitio non
est perfecta per manifestam visionem, in quo convenit cum dubitante, suspicante et opinante. Et sic proprium est
credentis ut cum assensu cogitet, et per hoc distinguitur iste actus qui est credere ab omnibus actibus intellectus
qui sunt circa verum vel falsum».
39 «Ad prirnum ergo dicendum quod fides non habet inquisitionem rationis naturalis demonstrantis id quod cre­
ditur. Habet tamen inquisitionem quandam eorum per quae inducitur homo ad credendum, puta quia sunt dicta a
Deo et miraculis confirmata».
220 ALBERTO STRUMIA

La fede, in realta, si colloca in una situazione intermedia, perche si e detto che la fede
induce un assenso nell'intelletto. Ora [l'assenso] puo avere due motivi.
- In un primo modo l'intelletto e indotto ad assentire dall'evidenza dell'oggetto, che e
immediatamente conoscibile in se stesso, come accade per i primi principi, o puo esse­
re conosciuto riconducendolo a qualcosa di noto in se stesso, come accade nella scien­
za astronomica.
- In un altro modo esso assente a qualcosa non per l'evidenza dell'oggetto che non lo
convince a sufficienza, per cui non e certo, rna lo lascia
= nel dubbio, quando non ha piu ragioni in favore di una parte di quante ne abbia per
l'altra;
= nell'opinione, quando ha delle ragioni a favore di una delle due parti, rna non e sicu­
ro e teme che possa essere vera l'altra.40

1.2.2. La "fede " come specificazione del "credere "


La "fede" viene presentata da san Tommaso come una specie di quel genere che e
il "credere". 11 suo obiettivo ultimo e, evidentemente, quello di trattare della fede come
virtu teologale che e perfetta solo nella fede della Chiesa cattolica: per ottenere que­
sta scopo egli deve procedere con ordine. In prima luogo incomincia ad introdurre
quelle differenze specifiche che sono meno delimitanti entro i1 genere; aggiunge suc­
cessivamente ulteriori differenze che giungono a caratterizzare sempre pili da vicino,
ed infine completamente, la fede della Chiesa cattolica.
Questa modo di procedere, per esprimerci con il linguaggio teologico odierno, e
inclusivo, nel sensa che nella fede della Chiesa sono incluse tutte quelle differenze
specifiche che, ad una ad una vengono a mancare nei "cerchi" pili estesi delle diverse
credenze religiose, fino al cerchio che coincide con il semplice genere della credenza,
senza ulteriori specificazioni. Esso puo essere utile per evidenziare quegli elementi che
caratterizzano quella sorta di fede che e propria di una "credenza religiosa", di una
"vera religione" e per metterli a confronto con quelli che sono indispensabili alla piena
fede della Chiesa.
Si deve rilevare, poi, come ciascuna religione storica possa contenere, in aggiunta,
anche delle differenze specifiche proprie che la distinguono dalle altre religioni, e dif­
ferenze che non condivide con la fede della Chiesa e che, qualora si oppongano a que­
st'ultima, sono da ritenersi erronee.
Le differenze specifiche che Tommaso introduce in successione ordinata e inclusi­
va, e che ci paiono essere rilevanti ai fini del nostro tema, sono le seguenti:
- riguardo all'oggetto della fede, che e la "verita divina" (credere Deum) e non un
qualunque altro oggetto

40 <<Quaedam vero alia sunt, quae neutrum faciunt, scilicet dubitatio et opinio. Fides vero tenet medium inter

ista, quia dictum est quod fides facit assensum in intellectu, quod potest esse dupliciter. Uno modo quia intellec­
tus movetur ad assentiendum ex evidentia obiecti, quod est per se cognoscibile, sicut in habitu principiorum, vel
cognitum per aliud quod est per se cognoscibile, sicut patet in scientia astronomiae. Alio modo assentit alicui non
propter evidentiam obiecti a quo non movetur sufficienter; unde non est certus, sed vel dubitat, scilicet quando non
plus habet rationem ad unam partem, quam ad aliam, vel opinatur, si habet quidem rationem ad unam partem, non
omnino quietantem ipsum, sed cum formidine ad oppositum>>.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 221

- riguardo all' atto interiore della fede, che oltre ad avere Dio come oggetto, a) lo
riconosce come fonte autorevole di rivelazione (credere Deo) e b) come bene
supremo che muove Ia volonta verso di Lui, inducendo a credere (credere in
Deum).

Occorre precisare che, a differenza dell'atto interiore, l'atto esteriore non specifica
in modo determinante Ia fede differenziandola da altre credenze religiose, in quanta
I' atto esteriore e proprio della religione prima che della fede e serve a manifestarla
pubblicamente. Potremmo dire che l'atto esteriore e cio che fa si che una fede si espri­
ma, si dichiari e si strutturi in una religione.

Prima differenza specifica: Ia distinzione tra credenza e fede per rapporto all'oggetto
del credere
Se Ia "credenza", il "credere" in sensa generico, puo indirizzarsi verso qualunque
oggetto, anche di natura non religiosa, Ia fede, nel sensa proprio del termine, ha per
Tommaso come oggetto, formalmente inteso, Ia verita divina. Tutto cio che Ia fede
propane "materialmente" da credere (contenuti della Scrittura, della dottrina del
Magistero, ecc.) e comunque in funzione della verita divina.
I testi principali che documentano questa prima differenza che specifica Ia fede
sana:

III Sent, d. 24, a. 1a


De ver, q. 14, a. 8
1-11, q. 1, a. 1
Testa del "Sententiarum " (Ill Sent, d. 24, a. la)
Dopa una breve introduzione che richiama Ia distinzione tra oggetto materiale, forma­
le e accidentale di una facolta conoscitiva, l'Aquinate Ia applica all'oggetto della fede:
Cosi si trovano tre aspetti nell' oggetto della fede.
- Per il fatto che la fede non da l'assenso se non in forza della credibilita della veri­
ta prima (come il colore non e reso visibile se non dalla luce), la verita prima risul­
ta essere l'oggetto formale della fede, che la definisce interamente.
- Cio che si crede di Dio, come il fatto che ha patito, e altre cose ancora, e l'og­
getto materiale della fede.
- Le deduzioni che si possono trarre da queste affermazioni che sono proposte da
credere, sono poi delle conseguenze quasi accidentali.
Dunque si deve ammettere che l'oggetto della fede, in senso proprio, e Ia verita
prima.41

41 <<Respondeo dicendum, ad primam quaestionem, quod in objecto alicujus potentiae contingit tria considera­
re: scilicet id quod est formale in objecto, et id quod est materiale, et id quod est accidentale; sicut patet in objec­
to visus: quia formale in ipso est lumen, quod facit colorem visibilem actu; materiale vero ipse color, qui est poten­
tia visibilis; accidentale vero, sicut quantitas et alia hujusmodi, quae colorem comitantur. Et quia unumquodque
222 ALBERTO STRUMIA

Testo del "De veritate " (De ver, q. 14, a. 8)


In questa testa si incentra l'attenzione sul fatto che l'oggetto della fede e Dio, nel
sensa che la fede non ha altra garanzia di offrire la verita delle affermazioni che ven­
gono proposte da credere, se non quella dell'autorevolezza di colui che parla. E que­
sta garanzia e totale se il testimone e in grado di riportare la testimonianza di Dio stes­
so, con quanta Egli rivela.
Si deve dire che, per se l'oggetto della fede e Ia verita prima. E questo puo essere inte­
so in questo modo.
[La fede] deve [ . . . ] appoggiarsi ad un testimone nel quale si trovi infallibilmente Ia
verita. E come ogni ente creato, in se stesso e vano e defettibile, se non viene ricom­
preso nell'ente increato, cosi anche ogni verita creata e defettibile, se non viene rad­
drizzata dalla verita increata. Per cui ne il dare il proprio assenso alia testimonianza di
un uomo, e neppure di un angelo, potrebbe condurre infallibilmente alia verita se non
si sapesse che attraverso di !oro giunge Ia testimonianza di Dio stesso che parla.
Per cui bisogna che la fede, in quanto virtu, faccia aderire l'intelletto dell'uomo a quel­
la verita che consiste nella conoscenza di Dio, trascendendo la verita del proprio intel­
letto [umano].
[. . .]
E la fede, che congiunge l'uomo alia conoscenza divina mediante l'assenso, ha Dio
come suo oggetto principale, e tutte le altre cose aggiunte di conseguenza.42

agit secundum quod est in actu et per suam formam, objectum autem est activum in virtutibus passivis; ideo ratio
objecti, ad quam proportionatur potentia passiva, est id quod est formale in objecto; et secundum hoc diversifi­
cantur potentiae et habitus, qui ex ratione objecti speciem recipiunt: et haec tria est invenire in objecto fidei. Cum
enim fides non assentiat alicui, nisi propter veritatem primam credibilem, non habet quod sit actu credibile nisi ex
veritate prima, sicut color est visibilis ex luce; et ideo veritas prima est formale in objecto fidei, et a qua est tota
ratio objecti. Quidquid autem est illud quod de Deo creditur, sicut est passum esse, vel aliquid hujusmodi, hoc est
materiale in objecto fidei; ea autem quae ex istis credibilibus consequuntur, sunt quasi accidentaliter. et ideo con­
cedendum est, quod objectum fidei, proprie loquendo, est veritas prima>>.
42 <<Responsio. Dicendum, quod per se obiectum fidei veritas prima est. Quod sic accipi potest. Nullus enim
habitus rationem virtutis habet nisi ille cuius actus semper est bonus; aliter enim non esset perfectio potentiae. Cum
igitur actus intellectus sit bonus ex hoc quod verum considerat, oportet quod habitus in intellectu existens virtus
esse non possit, nisi sit talis quo infallibiliter verum dicatur; ratione cuius opinio non est virtus intellectualis, sed
scientia et intellectus, ut dicitur in VI Ethic. Hoc autem fides non potest habere quae virtus ponitur ex ipsa rerum
evidentia, cum sit non apparentium. Oportet igitur quod hoc habeat ex hoc quod adhaeret alicui testimonio, in quo
infallibiliter veritas invenitur. Sicut autem omne esse creatum, quantum est de se, vanum est et defectibile, nisi ab
ente increato contineretur; ita etiam omnis creata veritas defectibilis est, nisi quatenus per veritatem increatam rec­
tificatur. Unde neque hominis neque angeli testimonio assentire infallibiliter in veritatem duceret, nisi in quantum
in eis loquentis Dei testimonium consideratur. Unde oportet quod fides, quae virtus ponitur, faciat intellectum
hominis adhaerere illi veritati quae in divina cognitione consistit, transcendendo proprii intellectus veritatem. Et
sic fidelis per simplicem et semper eodem modo se habentem veritatem liberatur ab instabili erroris varietate, ut
dicit Dionysius, capit. VII De divinis Nomin. Veritas autem divinae cognitionis hoc modo se habet, quod primo et
principaliter est ipsius rei increatae; creaturarum vero quodammodo consequenter, in quantum Deus cognoscendo
seipsum alia omnia cognoscit. Et ita fides, quae hominem divinae cognitioni coniungit per assensum, ipsum Deum
habet sicut principale obiectum; alia vero quaecumque sicut consequenter adiuncta>>.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 223

E interessante osservare come, per inciso, nello stesso articolo si precisa anche che
«l'opinione non e una virtu intellettuale», contrariamente a quanto sostiene il relativi­
smo epistemologico, «dal momento che l'atto dell'intelletto e buono per il fatto di con­
siderare il "vero"» e «perche un atto dell'intelletto sia una virtu occorre che enunci
infallibilmente il "vero">>.

Testo della "Summa " (II-II, q. 1, a. 1)


Questo passo ribadisce, innanzitutto quanto esposto nei testi precedenti in relazio­
ne all'oggetto formale della fede, rna aggiunge anche una sorta di considerazione di
tipo "sapienziale" in merito all'oggetto materiale che e ancora in certo modo Dio stes­
so. La fede, infatti, ci fa conoscere anche tutto il creato in quanto e in relazione a Dio
e non piu come oggetto autonomo di una scienza particolare.

Se consideriamo la ragione formate del suo oggetto, essa non e altro che la verita
prima, perche la fede della quale parliamo non da il suo assenso a niente se non per­
che e rivelato da Dio. Per cui considera Ia verita divina come un termine medio.
Se, invece, consideriamo materialmente cio a cui la fede da il suo assenso, non solo e
Dio stesso, rna vi sono molte altre cose. Ma tutte cadono anche sotto l'assenso della
fede perche sono in ordine a Dio, in quanto cioe per un qualche effetto dell'azione
della divinita l'uomo e aiutato [attraverso di esse] a tendere verso l'esperienza di Dio.
E, quindi, anche in questo senso l'oggetto della fede e, in certo modo, la verita prima,
in quanto niente rientra nell'orizzonte della fede se non in ordine a Dio, come accade
per la medicina il cui oggetto e la salute e niente e considerato dalla medicina se non
per la salute. 43

Volendo valutare i passi che abbiamo presentato in questo paragrafo, in ordine ad


una teologia delle religioni, possiamo incominciare con I' osservare che in essi viene
indicata una prima differenza specifica tra il credere generico e Ia fede. Questa riguar­
da l'oggetto del credere che non e un ente qualunque, rna e Dio stesso. Credere che

43 «Respondeo dicendum quod cuiuslibet cognoscitivi habitus obiectum duo habet, scilicet id quod materialiter
cognoscitur, quod est sicut materiale obiectum; et id per quod cognoscitur, quod est formalis ratio obiecti. Sicut in
scientia geometriae materialiter scita sunt conclusiones; formalis vero ratio sciendi sunt media demonstrationis,
per quae conclusiones cognoscuntur. Sic igitur in fide, si consideremus formalem rationem obiecti, nihil est aliud
quam veritas prima, non enim fides de qua loquimur assentit alicui nisi quia est a Deo revelatum; unde ipsi veri­
tali divinae innititur tanquam medio. Si vero consideremus materialiter ea quibus fides assentit, non solum est ipse
Deus, sed etiam multa alia. Quae tamen sub assensu fidei non cadunt nisi secundum quod habent aliquem ordinem
ad Deum, prout scilicet per aliquos divinitatis effectus homo adiuvatur ad tendendum in divinam fruitionem. Et
ideo etiam ex hac parte obiectum fidei est quodammodo veritas prima, inquantum nihil cadit sub fide nisi in ordi­
ne ad Deum, sicut etiam obiectum medicinae est sanitas, quia nihil medicina considerat nisi in ordine ad sanita­
tem>>.
224 ALBERTO STRUMIA

esista una forma di vita exta-terrestre, ad esempio, rientra nella credenza, mentre cre­
dere che esista Dio, che sia onnipotente, creatore, ecc., rientra propriamente nella fede,
come qui intesa.
Possiamo aggiungere, tenendo conto di tutto quanto si e visto finora, che questo
primo livello della fede e comune sia alla fede della Chiesa che ad una qualunque
"vera religione". Una credenza religiosa "non vera" puo cadere nell' errore di non esse­
re una religione "autentica" (venir meno della verita ontologica della religione) oppu­
re in quello di portarsi su un oggetto improprio, o di credere cose non vere su Dio
(venir meno della verita logica della religione).
Abbiamo, cosi, individuato un primo senso in cui si puo dire che ogni religione e
una manifestazione di una forma di "fede". Fino a questo punto ci muoviamo ancora
a livello del senso religioso naturale e della ragione naturale che puo giungere,
mediante la ricerca filosofica, fino a dimostrare l' esistenza di Dio e a conosceme gli
attributi principali. Tuttavia, per la maggior parte degli uomini che aderiscono ad una
religione vera, tali verita di ragione non sono attinte per dimostrazione, rna per fede,
attraverso il credito dato a coloro che propongono quella religione come vera, dopo
aveme vagliato, in qualche modo, i motivi di credibilita.
Va notato, pero, che due dei passi di san Tommaso appena riportati (quello del De
veritate e quello della Summa) parlano comunque di un Dio che si rivela per proporsi
come oggetto della fede e non di una semplice ricerca umana di Dio. Questo pone il
problema del rapporto tra fede e rivelazione, e tra religione e rivelazione, di cui ci
dovremo occupare nella prossima sezione di questo capitolo (infra, §2). Qui possiamo
caratterizzare questa seconda differenza, seguendo sempre l'opera del Dottore
Angelico, per rapporto all'atto interiore della fede.

Seconda differenza specifica: la distinzione tra credenza e fede per rapporto all' atto
interiore del credere
L' atto della fede si differenzia dalla semplice credenza non solo per l' oggetto che e
Dio stesso (credere Deum) e non un uomo o un oggetto di qualunque altra natura, rna
anche per la fonte da cui proviene cio che viene proposto da credere, alla quale viene
dato credito, che e ancora una volta Dio (credere Deo), e per il bene conveniente che
muove la volonta all'assenso del credere, attirandola verso di se, che e sempre Dio
(credere in Deum).
I luoghi in cui viene trattata questa seconda differenza, che specifica ulteriormente
la fede rispetto alla credenza, sono

- III Sent, d. 23, a. 2b


- De ver, q. 14, a. 7, ad 7"m
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 225

- 1/-II, q. 1, a. 2

che riportiamo qui di seguito.

Testo del "Sententiarum " (Ill Sent, d. 23, a. 2b)


L' Aquinate introduce ora la triplice formula che distingue tra aspetti dell'unico atto
di fede: credere Deum, credere in Deum, credere Deo.

A proposito della seconda questione si deve dire che, come risulta chiaro da quanto si e
gia detto, l'atto di colui che crede dipende da tre cose: dall'intelletto che viene determi­
nato verso una sola delle due parti [della contraddizione], dalla volonta che determina
l'intelletto con Ia sua decisione, e da una ragione che orienta Ia volonta. E in rapporto a
queste si designano i tre [modi] dell'atto di fede.

- Per il fatto che l'intelletto viene determinato ad una sola parte, l'atto di fede e un "cre­
dere Dio", perche l'oggetto della fede e Dio, in quanto e considerato in se stesso, o [per­
che si considerano] le cose che lo riguardano, o le cose che vengono da Lui.
- Per il fatto che l'intelletto e determinato dalla volonta, l'atto di fede e un "credere in
Dio", un tendere verso di Lui per amore: perche amare e proprio della volonta.
- Per il fatto, poi, che c'e una ragione che orienta Ia volonta all'atto di fede, e un "cre­
dere a Dio": Ia ragione per Ia quale Ia volonta e orientata ad assentire a cose che non
vede e il fatto che e Dio a parlare, come quando un uomo crede a cose che non vede sulla
base della testimonianza di una persona affidabile che ha visto quelle stesse cose che lui
non vede.44

Testo del "De veritate" (De ver, q. 14, a. 7, ad 7"m)


Qui viene precisato il fatto che l'atto di fede e comunque uno e le tre determinazio­
ni che lo caratterizzano non lo smembrano in tre atti di fede distinti.

"Credere a Dio" e "credere in Dio" non designano atti diversi, rna diverse circostanze
dello stesso atto della virtu.
- Nella fede, infatti, c'e un aspetto che riguarda Ia conoscenza, per il fatto che Ia fede e
"argomento", e in quanto al suo principia di argomentazione l'atto di fede si dice un "cre­
dere a Dio'': colui che crede viene motivato ad assentire a qualcosa perche e detta da Dio.

44 «Ad secundam quaestionem dicendum, quod sicut ex praedictis pate!, actus credentis ex tribus dependet, sci­
licet ex intellectu, qui terminatur ad unum; ex voluntate, quae determinat intellectum per suum imperium; et ex
ratione, quae inclinat voluntatem: et secundum hoc tres actus assignantur fidei. Ex hoc enim quod intellectus ter­
minatur ad unum, actus fidei est credere Deum, quia objectum fidei est Deus secundum quod in se consideratur,
vel aliquid circa ipsum, vel ab ipso. Ex hoc vero quod intellectus determinatur a voluntate, secundum hoc actus
fidei est credere in Deum, ides! amanda in eum tendere: est enim voluntatis amare. Secundum autem quod ratio
voluntatem inclinat ad actus fidei, est credere Deo: ratio enim qua voluntas inclinatur ad assentiendum his quae
non vide!, est quia Deus ea dicit: sicut homo in his quae non vide!, credit testimonio alicujus boni viri qui vide! ea
quae ipse non vide!».
226 ALBERTO STRUMIA

- Quanto alia conclusione alia quale da l'assenso viene detto un "credere Dio": perche
la verita prima e l'oggetto proprio della fede.
- In rapporto a cio che riguarda la volonta l'atto di fede, poi, si dice un "credere in Dio".

Importante Ia clausola che viene aggiunta, in merito alia completezza dell'atto di


fede, sulla quale dovremo soffermarci tra poco nelle nostre considerazioni sulla reli­
gione, in quanta espressione di una qualche forma di fede.
L'atto della virtu non e perfettamente completo se non possiede tutte e tre queste carat­
teristiche.45

Testo della "Summa " (II-II, q. 1, a. 2)


Questa testa ripropone Ia stessa articolazione dell'atto di fede, dandone le motiva­
zioni dettagliate.
L'atto e l'abito di una qualunque facolta si desumono dal loro modo di essere ordinati al
proprio oggetto. Ora l'oggetto della fede si puo considerare secondo tre aspetti. Per il
fatto che il credere riguarda l'intelletto in quanto e spinto dalla volonta all'assenso, come
si e detto, l'oggetto della fede puo essere considerato sia in rapporto all'intelletto che
alla volonta che muove l'intelletto.
- In rapporto all'intelletto, si possono considerare due aspetti nell'oggetto della fede,
come si e gia detto.
= Uno e l'oggetto materiale della fede. Per cui l'atto di fede si puo designare come un
"credere Dio", perche non ci propane da credere altro che Dio e cio che Lo riguarda.
= L'altro e la ragione formale dell'oggetto che e come il "medio" [di dimostrazione] in
forza del quale si da l'assenso a cio che risulta essere credibile. E in questo senso l'atto
di fede viene detto un "credere a Dio", perche, come si e detto, l'oggetto formale della
fede e la verita prima, alia quale l'uomo aderisce per essere in grado, in forza di essa, di
dare l'assenso alle cose che crede.
- Se poi si considera nel terzo modo l'oggetto della fede, in rapporto al fatto che l'in­
telletto e mosso dalla volonta, allora l'atto di fede si designa come un "credere in Dio",
perche la verita prima si relaziona alla volonta per il fatto che ha ragione di fine.46

45 «Ad septimum dicendum, quod credere Deo et credere Deum et credere in Deum non nominant diversos
actus, sed diversas circumstantias eiusdem actus virtutis. In fide enim est aliquid ex parte cognitionis, prout fides
est argumentum. Et sic, quantum ad huius argumentationis principium, actus fidei dicitur credere Deo: ex hoc enim
movetur ad assentiendum credens alicui, quia est divinitus dictum. Sed quantum ad conclusionem cui assentit,
dicitur credere Deum: veritas enim prima est proprium obiectum fidei. Sed quantum ad id quod est voluntatis, dici­
tur actus fidei credere in Deum. Non est autem actus virtutis perfecte, nisi has omnes circumstantias habeat>>.
46 <<Respondeo dicendum quod actus cuiuslibet potentiae vel habitus accipitur secundum ordinem potentiae vel
habitus ad suum obiectum. Obiectum autem fidei potest tripliciter considerari. Cum enim credere ad intellectum
pertineat prout est a voluntate motus ad assentiendum, ut dictum est, potest obiectum fidei accipi vel ex parte ipsius
intellectus, vel ex parte voluntatis intellectum moventis. Si quidem ex parte intellectus, sic in obiecto fidei duo pos­
sunt considerari, sicut supra dictum est. Quorum unum est materiale obiectum fidei. Et sic ponitur actus fidei cre­
dere Deum, quia, sicut supra dictum est, nihil proponitur nobis ad credendum nisi secundum quod ad Deum per-
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 227

In ordine ad una teologia delle religioni, osserviamo che viene individuata in tal
modo una seconda differenza specifica della fede rispetto alla semplice credenza, che
si aggiunge alia prima. Questa restringe notevolmente il campo delle religioni che
hanna in comune questa ulteriore differenza con Ia fede della Chiesa, in quanta sup­
pone Ia fede in un "Dio personale" che si rivela e si presenta come un bene che attrae
verso di se Ia volonta a dare l'assenso alia sua rivelazione. Si puo dire, allora, che una
"religione vera" che riconosce un Dio personale che rivela se stesso, ad esempio, aura­
verso un testa sacra di cui e autore, o almena ispiratore di alcuni contenuti, possiede
un tale tipo di fede. Mentre restano escluse da questa livello quelle credenze religiose
che credono in una divinita impersonale diffusa panteisticamente nel cosmo, o che e
totalmente incomunicabile all'uomo.
Si deve anche tenere in particolare considerazione il rilievo fatto da san Tommaso
nel secondo testa che qui abbiamo riportato (dal De veritate), nel quale si fa notare
come l'atto di fede non sia "completo" se non include tutti i tre aspetti del credere
Deum, credere Deo, credere in Deum. Questa ci permette di dettagliare ulteriori diver­
sificazioni tra le religioni, in quanta sono espressione (protestatio) di una forma di
fede. Quando, infatti, i tre aspetti dell'atto di fede sono presenti insieme si puo parla­
re di un atto di fede perfetto, rna quando almena uno, o addirittura due, degli aspetti
non sono presenti si ha semplicemente una "credenza religiosa" che solo "incoativa­
mente", o "seminalmente", puo dirsi propria di una "virtu della fede". Certamente e
indispensabile alia credenza religiosa che I' atto del credere abbia Dio come oggetto
materiale, per cui il credere Deum non puo mai mancare in una religione.47 Possono,
allora, verificarsi solo le seguenti possibilita:
A) l'atto del credere si limita al solo credere Deum: credere che Dio esiste e possie­
de determinati attributi;
B) l'atto del credere include solo due dei tre modi:

Bl) il credere Deum e il credere in Deum: credere a Dio, ai suoi attributi e amar­
lo in quanta sommo bene che attrae Ia nostra volonta;
B2) il credere Deum e il credere Deo: credere all'esistenza di Dio, ai suoi attri­
buti, a cio che egli rivela di se e a Lui in quanta autorita rivelante.

tine!. Aliud autem est formalis ratio obiecti, quod est sicut medium propter quod tali credibili assentitur. Et sic
ponitur actus fidei credere Deo, quia, sicut supra dictum est, formale obiectum fidei est veritas prima, cui inhaeret
homo ut propter earn creditis assentiat. Si vero consideretur tertio modo obiectum fidei, secundum quod intellec­
tus est motus a voluntate, sic ponitur actus fidei credere in Deum, veritas enim prima ad voluntatem refertur secun­
dum quod habet rationem finis».
47 Questa richiesta, necessaria per parlare di religione in senso antropologico e non solo fenomenologico, e quel­
la che ha sempre reso difficile considerare "religione" in senso proprio, ad esempio, una "visione" come il buddi­
smo (cfr. J.P. DoUGHERTY, The Logic of Religion, The Catholic University of America Press, Washington D.C.
2003, p. 2-3).
228 ALBERTO STRUMIA

A) Le religioni per le quali Ia "fede" si limita al credere Deum


Si tratta di religioni "naturali", "cosmiche",48 espressioni del senso religioso, in
quanto credono a quelle verita che possono essere raggiunte con Ia sola ragione.
Queste si differenziano, comunque dalla pura e semplice indagine filosofica su Dio, in
quanto:

- sono espressione del senso religioso naturale dell'uomo singolo e dei popoli, al
quale propongono una risposta frutto della indagine razionale, non priva di una
certa azione guida della grazia e della guida di un "istinto dello Spirito Santo" che
suggerisce alla ragione Ia direzione nella quale indagare e il modo di indagare;
- propongono I'esistenza di Dio e le verita sui suoi attributi come oggetto di fede
ai !oro aderenti che non sono in grado di conoscerle dimostrativamente;
- esprimono un culto sia personale che collettivo verso Dio (cosa che non si
richiede nell' ambito della filosofia)
- sono tanto piu "vere" quanto piu sono conformi alla Iegge naturale
- non credono in una rivelazione che proviene direttamente ed esplicitamente da
Dio, quanto nell'insegnamento di maestri fondatori, di uomini saggi che hanno
riflettuto su Dio e vissuto devotamente. In linguaggio teologico si direbbe che non
conternplano una fides quae.

A proposito di questo tipo di "fede" che non e perfetta in quanto si limita al solo
credere Deum, Tommaso precisa sinteticamente - parlando di coloro che non hanno Ia
fede della Chiesa (infideles) pur credendo in Dio - che si tratta di una fede non solo
quantitativamente, se cosi possiamo esprimerci, rna anche qualitativamente diversa
dalla fede perfetta, in quanto Ia pienezza della fede e come un "tutto" che non si ricon­
duce alla semplice "somma delle parti" .49

Alia terza obiezione si risponde dicendo che "credere Dio" non conviene agli infedeli
[non cristiani] nello stesso senso in cui si da nell'atto di fede. Perche non credono che
Dio sia come lo dichiara la fede [della Chiesa]. Per cui non credono al vero Dio, per­
che come dice il Filosofo nel IX libro della Metafisica, nel semplice "non conoscere
completamente" sta gia un difetto di conoscenza.
[II-II, q. 2, a. 2, ad 3um]

48 Nel senso che dispongono esclusivamente di quella forma cosmica di rivelazione che e il creato in quanto tale.
49 <<Ad tertium dicendum quod credere Deum non convenit infidelibus sub ea ratione qua ponitur actus fidei.
Non enim credunt Deum esse sub his conditionibus quas fides determinat. Et ideo nee vere Deum credunt, quia,
ut philosophus dicit, IX Metaphys., in simplicibus defectus cognitionis est solum in non attingendo totaliter».
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 229

B 1) Le religioni per le quali la "fede" si limita al credere Deum e al credere in Deum


Questa seconda categoria di religioni aggiunge a tutte le caratteristiche della cate­
goria precedente anche il fatto di ritenere che Dio, in quanto sommo bene, sia provvi­
dente e sia fonte di attrazione per l'uomo, che l'unione con Lui sia la felicita vera del­
l'uomo. Sono religioni dell'amore ricambiato da parte dell'uomo verso Dio (in Deum).
Pur non avendo una vera e propria rivelazione che proviene direttamente da Dio, sono
guidate da quella prima forma di rivelazione che e il cosmo stesso, la natura, la crea­
zione, riconosciuta come ultimamente buona e ben govemata. Inoltre queste religioni
sono orientate da quella forma di "rivelazione interiore, che permette di riconoscere
Dio come remuneratore (garanzia di quel bene/male percepito nella coscienza), susci­
tando nei loro aderenti una "fede" in Dio come "fine e scopo della vita" e sorgente
unica della vera felicita.
Si tratta di espressioni del senso religioso che sottolineano la natura personale di
Dio, alle quali si aggiunge la convinzione che Dio non puo non essere amore e prov­
videnza e, come tale, merita culto, onore e gratitudine da parte dell'uomo.50

B2) Le religioni per le quali la "fede" si limita al credere Deum e al credere Deo
Questa ultima categoria delle religioni dalla fede "incompleta" e quella delle reli­
gioni che credono "a Dio" che si rivela, attraverso dei libri ritenuti sacri, degli uomini
di Dio considerati non solo come saggi che parlano in nome di se stessi, rna come
"profeti" che parlano in nome di Dio, che pur essendo semplici uomini sono ritenuti
da Lui ispirati, illuminati. Se queste sono le possibilita che si possono astrattamente
concepire, si deve, pero, rilevare che da un punto di vista concreto, la fenomenologia
della religione evidenzia come, storicamente, siano di questo tipo tutte le religioni
socialmente organizzate, cioe tali da andare oltre la semplice manifestazioni indivi­
duale del senso religioso. E questo pare anche logico dal momento che ogni religione
necessita di un fondatore che ne apre il percorso storico.51

50 Come spiega Jo studio piu volte citato di Alessi: <<Accanto al senso del fascino l'incontro con il sacro deter­
mina l'insorgere della fede religiosa. [ . . . ) La fiducia fa assegnamento sulla potenza e bonta, disponibilita al soc­
corso e gioia di dare, proprie della divinita. [ . . . ] Fiducia e sicurezza si tramutano quindi in speranza che non e
altro se non Ia fede rivolta al futuro. [ . . . ] In quanto percepito come valore supremo e sorgente di ogni bene, in
quanto volonta salvifica benevolente e misericordiosa, Ia presenza dell'assoluto genera nel credente sentimenti di
amore intenso verso Ia divinita» (A. ALESSI, Sui sentieri del sacra... , op. cit., p. 234). Si deve bene tenere presen­
te, perc), come di ben altra natura, rispetto alia manifestazione impersonale e generica del sacro (ierofania), e Ia
Rivelazione di un Dio personale che si rivolge all'uomo e prende una came umana.
5 1 Ancora Alessi rileva come «Ia prima caratteristica che connota J'esperienza religiosa e l'aspetto di risposta
ad una chiamata inattesa, sconvolgente, che viene da una potenza superiore. Sia neUe forme primitive di religiosi­
ta, sia in queUe piu evolute il credente si sente interpellato da una diversa realta, totalmente altra. L'iniziativa non
e dell'uomo, rna del sacro che irrompe nella quotidianita sollecitando una presa di posizione in pro o in contra.
Profeti, guru, santoni, mistici, sacerdoti, sciamani, anime illuminate, hanno Ia comune consapevolezza che Ia Joro
230 ALBERTO STRUMIA

Dunque non si darebbero religioni senza una qualche forma di rivelazione, autenti­
ca o presunta, fatta ad un singolo, o fissata in un testo. Anche Romano Guardini, rile­
va - in un bel testo che sembra riassumere, con lo stile esperienziale e nel contempo
rigoroso che gli e proprio, diversi tratti del rapporto tra religione, rivelazione e fede -
come Ia "pretesa" di fondarsi su una sorta di rivelazione, alia quale si guarda con fede,
e tipica di molte religioni: «Viste dalla prospettiva cristiana, nel complesso esse appar­
tengono alia religiosita "naturale", alia immediatezza religiosa. Pur con tutta l'interio­
rita e il fervore dell'esperire vissuto numinoso, pur con tutta Ia significativita di con­
tenuti speculativi e terminologici, pur con tutta l'energia di formare l'uomo e dar con­
figurazione all'esistenza, tuttavia esse rimangono, in ultima analisi, non vincolanti,
non normative. Di fronte ad esse - anche di fronte aile forme di divinita "monoteisti­
che" - e impossibile quell'atto che fonda l'atteggiamento vetero e neo-testamentario,
Ia "fede", per il fatto che tutte non scaturiscono da quella modalita del "darsi", che si
chiama ' Rivelazione' nell' Antico e Nuovo Testamento. [ . . . ] Ora pen) anche Ia scien­
za generale delle religioni rivendica per se il concetto di rivelazione. Essa constata che
molte religioni cercano di dimostrarsi assolute con l'appellarsi a un'ispirazione cele­
ste. Ovvero indaga 1' esperienza vissuta dei fondatori di religioni mostrando che si
verifica l'irruzione di un nuovo contenuto religioso, fino a quel momento nascosto,
nella coscienza di una persona dotata di capacita da veggente, di un "profeta", un even­
to personale, che poi acquista significato anche per Ia generalita. [ . . . ] A questa espe­
rienza vissuta poi si ordina una particolare forma di convinzione, che non si puo scuo­
tere con obiezioni o argomenti tratti dal campo profano, poiche e fondata in un'espe­
rienza numinosa, proveniente da altrove: Ia "fede"».52
Questa osservazione/conclusione e in accordo con una riflessione della contempo­
ranea fenomenologia delle religioni, che tende a ridurre Ia differenza esistente fra reli­
gione naturale e religione rivelata (impieghiamo qui il termine "rivelazione" in senso
generico) in quanto ogni religione prevede una certa forma di rivelazione della divini­
ta, nella natura, attraverso dei mediatori, secondo diverse modalita di comunicazione,
ispirazione, ecc.

esperienza !rae fondamento da un'iniziativa che li trascende, in una chiamata che ha nel tutt'altro i1 punto di par­
tenza. E l'assoluto che si rivela» (ivi, p. 226). Lo stesso concetto viene espresso efficacemente anche da Julien Ries
con una formula sintetica: «Insomma, ogni fenomeno religioso e una "ierofania"» (J. RIES, II sacra nella storia
religiosa dell'umanitii, Jaca Book, Milano 1982, p. 61).
52 R. GUARDINI, Fede, religione, esperienza. Saggi teologici, Morcelliana, Brescia 1984, pp. 76-77, 78. E signi­
ficativa !'idea di una sorta di ispirazione profetica che puo essere all'origine di una religione. Immediatamente di
seguito egli precisa, peril: <<Sarebbe cio rivelazione e fede nel senso biblico? No, rna solo un tipo determinato, par­
ticolarmente intenso, d'esperienza religiosa>>. Tommaso si spinge, piu in Ia di Guardini, sia perche descrive il pro­
cesso ispirativo del profeta come quello di un autore della Sacra Scrittura, collocandoli come in un unico "gene­
re", sia perche ammette tranquillamente che un veggente pagano possa ricevere elementi di ispirazione di origine
soprattnaturale. E in questo senso sembra essere orientato a riconoscere che Ira i semina Verbi, come oggi noi li
chiamiamo, possano esservi anche contenuti di natura soprannaturale.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 231

C) La/e religione/i in cui la fede possiede le tre caratteristiche del credere Deum,
credere in Deum, credere Deo.
Questa compresenza delle tre caratteristiche della fede e certamente propria della
vera religione nella sua pienezza, quale e il cristianesimo. Tuattavia e legittimo chie­
dersi se vi siano anche delle religioni non cristiane53 neUe quali l'atto di fede e com­
pleto in quanta possiede simultaneamente le tre dimensioni del credere Deum, crede­
re in Deum, credere Deo, pur potendo essere imperfetto quanto al contenuto della
rivelazione, che puo essere incompleto o interpretato inautenticamente. E questa
riguarda principalmente un'inadeguatezza nel modo del credere Deum. In questa
ambito rientra la fede54 dell'ebraismo; piu problematica e la fede dell' Islam, per i1
modo di concepire Dio e la sua possibilita di essere oggetto di amore e di fruizione da
parte dell'uomo. Aspetto, questa, che riguarda i1 credere in Deum.

1 .3. FEDE ESPLICITA E FEDE IMPLICITA: CONOSCENZA DELLA VERITA E SALVEZZA

Vedremo, ora, come san Tommaso affronta il problema della fede "esplicita" e della
fede "implicita" nei diversi luoghi della sua opera, per pater comprendere meglio, ai
fini del nostro problema, in che sensa si possa parlare di una fede "incoativa" in una
"vera" religione, una fede che e propria dell'indiviuduo, rna che e in qualche modo
favorita e manifestata in un contesto sociale generato dall'appartenenza ad una reli­
gione; e per tentare di individuare elementi utili ad una migliore comprensione del rap­
porto tra religione, verita e salvezza.
Quest'ultimo problema riveste, infatti, due aspetti che per Tommaso sono insepa­
rabili: quello della conoscenza, per fede, di alcune verita su Dio e quello della salvez­
za. La salvezza richiede la conoscenza per fede esplicita di alcune verita su Dio, men­
tre altre verita, possono rimanere implicite, in quanta si puo presupporre che colui che
ha fede esplicita nelle prime, 1' avrebbe anche neUe seconde se gli fossero comunicate
adeguatamente.
Sembra, allora, che si possa chiamare "incoativa" una fede - la cui espressione este­
riore si attua, non appena individualmente, rna espressamente attraverso l'adesione a

53 Altra questione e quella delle confessioni cristiane non cattoliche; o addirittura quella delle religioni post-cri­
stiane, nel sensa di religioni che rifiutano "positivamellte" di riconoscere in Gesu Cristo il Figlio di Dio fatto
uomo, unico salvatore. Per tutte queste il punto debole sta nello stesso credere Deum, in cio che credeono su Dio,
che e in parte erroneo, e nel credere Deo, in quanto non credono che sia Dio ad avere rivelato alcune cose.
54 Va ricordato che stiamo qui parlando del tipo di fede di cui una religione e manifestazione esteriore e non

della religione nel suo complesso, ne degli altri aspetti che Ia caratterizzano. Una religione potrebbe anche posse­
dere elementi di verita a! riguardo della fede ed essere inadeguata nel modo di esprimerla esteriorrnente, o nel non
essere in tutto conforrne alia Iegge naturale.
232 ALBERTO STRUMlA

una vera religione, l'appartenenza alia comunita da essa convocata e le pratiche del
suo culto, fede che il singolo non avrebbe avuto senza conoscere quella religione - che
e esplicita riguardo alle verita necessarie per la salvezza e rimane implicita rispetto ad
altre. In particolare potrebbe essere esplicita anche al riguardo di qualche verita "in
piu", oltre a queUe strettamente indispensabili alia salvezza. In ogni caso cia che e sal­
vifico e l'oggetto, la res a cui termina esplicitamente, o implicitamente, la fede, ogget­
to che e in ogni caso Cristo Salvatore, e la fede e salvifica in quanta si porta, ultima­
mente, su questa res.

I testi principali nei quali viene trattato l'argomento sono:

- III Sent, d. 25, q. 2, aa. 1-2


- De Ver, q. 14, a. 1 1
- II-II, q . 2, aa. 5-8 (in particolare l'a. 7)

Possiamo individuare alcuni passaggi di rilievo, in questi testi: a) prima passaggio:


definizioni preliminari di "esplicito" e "implicito"; b) secondo passaggio: il rapporto
inscindibile tra salvezza e conoscenza di verita: si mette in evidenza il fatto che una
fede per essere salvifica non puo non essere esplicita in merito a quegli elementi di
conoscenza (verita di fede) che concernono direttamente la salvezza; c) terzo passag­
gio: distinzione tra gli elementi della fede esplicita che si richiedono nei diversi tempi
e per le diverse categorie di persone, in funzione dei lora compiti; d) quarto passag­
gio: individuazione di quegli articoli di fede la cui conoscenza e indispensabile per la
salvezza.

1.3. 1. Definizioni di "esplicito " e "implicito " e applicazione alla fede


Questa passaggio preliminare, nel quale san Tommaso si preoccupa di dettagliare le
definizioni dei termini che impiega e che sono date per scontate in altri luoghi, si trova
solamente nel testa del De veritate che e quello piu ampio e piu dettagliato, soprattut­
to dal punta di vista epistemologico. Vi leggiamo:

- Si deve dire che e "implicito" cio in cui sono come contenute piu cose in una sola;
mentre "esplicito" e cio in cui ciascuna di queUe cose viene considerata in se stes­
sa. Tutto questo si puo trasferire dalle cose materiali anche a queUe spirituali. Per
cui quando i "piu" sono contenuti virtualmente in "uno", si dice che si trovano in
questo implicitamente, come le conclusioni lo sono nei principi.
- E contenuto esplicitamente, invece, cio che e in atto in qualcosa. Per cui chi cono­
sce i principi universali possiede una conoscenza solo implicita delle conclusioni
particolari che da questi derivano. Chi, invece, considera in atto le conclusioni, si
deve dire che le conoce esplicitamente.
Allo stesso modo diciamo di credere
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 233

- "esplicitamente" delle cose quando aderiamo ad esse nel prenderle in considera­


zione in atto
- "implicitamente" quando, invece, aderiamo a cio che le contiene a somiglianza
dei principi universali. Come colui che crede che la fede della Chiesa sia vera, per
cio stesso, come implicitamente, crede tutto cio che e contenuto in essa.
[De Ver, q. 14, a. 1 1 co]55

1.3.2. La connessione tra conoscenza e salvezza


Per san Tommaso la salvezza non avviene come un fatto estrinseco e quasi magico,
rna come un avvenimento del quale occorre essere, in certa misura, consapevoli, per­
eM sia efficace sul soggetto che deve liberamente accoglierla, ed eventualmente puo
rifiutarla.56 Per san Tommaso e sempre decisivo i1 fatto che l'uomo e razionale e, quin­
di, la sua intelligenza e la sua volonta vengono sempre chiamate in causa nei suoi atti
propriamente umani, e in particolar modo nel suo rapporto con il Salvatore. Una qual­
che forma di conoscenza concettuale e sempre necessaria per 1' esercizio di una libera
scelta responsabile e per questo conoscenza della verita e salvezza sono inseparabili.
La salvezza coincide con la possibilita di raggiungere stabilmente la felicita (beati­
tudo) che sta nel raggiungere il fine ultimo, dal quale l'uomo e stato strappato con il
peccato. Se l'uomo non e a conoscenza del fatto che Qualcuno gli ha dato la possibi­
lita di riconnettersi con quel fine e non conosce esplicitamente gli "anelli" attraverso i
quali questa riconnessione e avvenuta, non puo realisticamente neppure credere che la
felicita esista e sia raggiungibile.57 Come al solito, cio che Tommaso affronta con una
sistematica logico-metafisica, se letto con attenzione, ha una ricaduta antropologico­
esistenziale di enorme rilievo.
Dal punto di vista epistemologico, poi, si deve evidenziare il nesso salvezza-verita
- oggi largamente sfumato per la debolezza del pensiero moderno - che e invece indi­
spensabile anche per salvare la libera scelta dell'uomo, che non puo aderire a cio che
non conosce esplicitamente come vero, almeno neUe sue linee essenziali.

55 <<Dicendum, quod implicitum proprie dicitur esse illud in quo quasi in uno multa continentur; explicitum
autem in quo unumquodque ipsorum in se consideratur. Et transferuntur haec nomina a corporalibus ad spiritua­
lia. Unde quando aliqua multa, virtute continentur in aliquo uno, dicuntur esse in illo implicite, sicut conclusiones
in principiis. Explicite autem continetur in aliquo quod in eo actu existit: unde ille qui cognoscit aliqua principia
universalia, habet implicitam cognitlonem de omnibus conclusionibus particularibus: qui autem conclusiones actu
considerat, dicitur eas explicite cognoscere. Unde et explicite dicimur aliqua credere, quando eis actu cogitatis
adhaeremus; implicite vero quando adhaeremus quibusdam, in quibus sicut in universalibus principiis isla conti­
nentur: sicut qui credit fidem Ecclesiae esse veram, in hoc quasi implicite credit singula quae sub fide Ecclesiae
continentur».
56 Anche nel caso del Battesimo dei bambini inconsapevoli si richiede Ia consapevolezza dei genitori che di essi
soim responsabili, in !oro vece.
57 Ne sono prova le filosofie "religiose" del distacco da ogni emozione e forma di coinvolgimento.
234 ALBERTO STRUMlA

Questa secondo passaggio e espresso sinteticamente nel testa del Sententiarum:


L' atto di fede e necessario, in ordine alla salvezza, per orientare Ia mente verso gli atti
di tutte le altre virtu; per cui a chiunque e necessario avere una fede esplicita almeno
di cio che e sufficiente ad orientarlo verso il fine ultimo. Per cui non e indispensabile
per Ia salvezza che egli conosca esplicitamente tutti gli articoli di fede, perche anche
senza una fede espficita di alcuni di essi l'uomo puo avere una mente rettamente orien­
tata al fine.
[III Sent, d. 25, q. 2, a. lb co]58

1.3.3. I diversi tempi e i diversi ruoli delle persone


11 terzo passaggio mette in evidenza, invece, la diversa condizione degli uomini a
seconda dei tempi nei quali si sono trovati a vivere e del ruolo che hanna avuto alcu­
ne persone nella vita sociale, in ordine alla conoscenza della verita inerente la salvez­
za. Esso e trattato con una certa ampiezza in tutti i tre luoghi che stiamo esaminando.
Tommaso spiega come la fede esplicita o implicita nelle diverse verita rivelate sia
necessaria: a) secondo i diversi tempi della storia, che periodizza nel tempo prima del
peccato d'origine, nel tempo che intercorre tra il peccato d'origine l'avvento di Cristo
Redentore e nel tempo della grazia, dopo l'avvento di Cristo Redentore; b) secondo i
diversi gradi di responsabilita delle persone, che risulta maggiore, per colora che
hanna un compito istituzionale di istruire nella fede, e minore, per tutti gli altri. I primi
vengono detti letteralmente «i maggiori» (maiores) e i secondi «i minori» (minores).
In seguito dovremo soffermarci abbastanza su questa distinzione.
Si deve notare come, ai fini della salvezza, e richiesta almena una fede esplicita
"minima" (da parte dei minores) nell'esistenza di Dio e nella sua Provvidenza a colo­
ra che hanno vissuto prima di Cristo e negli articoli principali del Credo a colora che
hanna vissuto dopa. A colora che hanna responsabilita di istruire (i maiores), poi, la
piena fede esplicita e richiesta non tanto per la salvezza propria, quanta per una cor­
retta istruzione degli altri.
Prendiamo, quindi, in considerazione tre testi che riguardano questa argomento.

Testa del "Sententiarum" (III Sent, d. 25, q. 2, aa. 1-2)


11 primo, tratto dal Sententiarum ripartisce la storia in tre momenti: prima del pec­
cato d'origine, dopa i1 peccato e prima di Cristo, e dopa Cristo.
II genere umano si trova in tre condizioni diverse nei confronti della fede, a seconda
dei diversi tempi.

58 <<Ad secundam quaestionem dicendum, quod actus fidei ad hoc est necessarius ad salutem, quia intentionem

dirigit in omnibus actibus aliarum virtutum; et ideo tantum oportet habere unicuique de fide explicita, quantum
sufficit ad dirigendum ipsum in finem ultimum. Unde non est de necessitate salutis ut homo omnes articulos fidei
explicite cognoscat: quia sine aliquorum explicatione potest homo habere rectam intentionem in finem>>.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 235

11 caso del tempo che precede il peccato d 'origine ha per noi un valore puramente
teorico, tuttavia e significativo, il fatto che si parli comunque del Redentore che, evi­
dentemente e previsto nel piano divino e che viene conosciuto dall'uomo implicita­
mente attraverso la fede nella Provvidenza di Dio che, all'occorrenza non fara manca­
re agli uomini i mezzi per conseguire liberamente il fine ultimo, che e la beatitudine.
Nel primo stato, prima del peccato, non era necessario a nessun uomo avere una fede
esplicita nel Redentore, perche non sussisteva ancora nessuno stato di schiavitu, rna
era sufficiente avere una fede implicita nella conoscenza che Dio ne ha, cioe credere
che Dio provvede a tutto cio che e necessario all'uomo per Ia sua salvezza.

A proposito del secondo tempo della storia Tommaso non si estende a trattare sulla
conoscenza da parte degli uomini del loro stato di peccato e della necessita di, una sal­
vezza, come farebbe probabilmente un autore moderno, rna si concentra sul dato che
vi sono alcuni uornini che, per una qualche forma di rivelazione privata alla quale
hanno prestato fede, sono a conoscenza dell'esistenza di un Salvatore che dovra veni­
re nella storia. Ed e attraverso il credito prestato a questi uomini che anche gli altri pos­
sono giungere ad avere una fede, indiretta e quindi implicita, nel medesimo Salvatore
e cosi giungere a quel livello indispensabile di conoscenza della verita che permette di
accogliere la salvezza.
Nel secondo stato, dopo il peccato e prima dell'avvento di Cristo, alcuni avevano una
fede esplicita nel Redentore, perche era stata fatta loro una qualche rivelazione; costo­
ro venivano detti i "maggiori": gli altri, i "minori" avevano una fede implicita aura­
verso Ia fede dei "maggiori", per cui a loro il sacramento della Redenzione veniva pro­
posto sotto i segni dei sacrifici.
11 terzo e ultimo tempo della storia e quello che segue la venuta e la manifestazio­
ne del Salvatore. La fede esplicita in Gesu Cristo e richiesta nella misura in cui e nota
l'esistenza e la venuta del Salvatore. L' Aquinate precisa che questa e stata predicata e
sembra dare per scontato che lo sia e debba comunque esserlo, confermando implici­
tamente la necessita della missione da parte della Chiesa. Non solo, rna si dice anche
che occorre chi «istruisca», ad indicare che la conoscenza di Cristo deve essere corri­
spondente alla verita, come e affidata alla Chiesa. Chi mancasse ancora di questi ele­
menti non e, comunque privata della possibilita di conseguire la salvezza, perche Dio
stesso non priva della grazia necessaria per salvarsi. Viene, infine aggiunta la clausola
«Senza sua colpa», ad indicare che vi e sempre e comunque la possibilita di un rifiuto
libero, volontario della salvezza.59

59 <<Ad secundam quaestionem dicendum, quod ad fidem redemptoris tripliciter se habet humanum genus secun­
dum diversa tempora. In prima enim statu ante peccatum non oportebat ab aliquo homine haberi fidem explicitam
de redemptore, quia nondum servitus erat inducta; sed sufficiebat habere fidem implicitam in cognitione Dei, ut
scilicet homo credere! quod Deus ei provideret in eis quae essen! necessaria ad salutem. In secunda autem statu
post peccatum ante adventum Christi quidam habebant fidem explicitam de redemptore, quibus revelatio facta erat,
236 ALBERTO STRUMIA

Nel terzo stato, dopo l'avvento di Cristo, essendo stato completato visibilmente e cor­
poralmente il mistero della Redenzione e predicato, tutti sono tenuti a credere esplici­
tamente. E se qualcuno manca di chi lo istruisca, Dio stesso glielo rivelera, affinche
non sia privato della salvezza senza sua colpa.
[III Sent, d. 25, q. 2, a. 2b co]

Testa del "De Veritate" (De Ver, q. 14, a. 1 1)


11 Secondo testa, sull'argomento, e tratto dal De veritate. In questa articolo piutto­
sto ampio si scende in maggiori dettagli ed esempi.
Si deve sapere, poi, che nella fede ci sono alcune cose che tutti e in ogni tempo sono
tenuti a credere esplicitamente.
Altre sono da credere esplicitamente in ogni tempo, rna non da tutti;
altre da tutti, rna non in ogni tempo;
altre ancora ne da tutti, ne in ogni tempo.

L' argomento viene introdotto attraverso un paragone tra il modo di apprendere


comune della scolaro e quello del fedele. In entrambi i casi occorre partire da una
conoscenza minima esplicita (in atto), per pater giungere progressivamente a cono­
scenze di livello superiore.
Cio che in ogni tempo e da parte di ogni fedele deve essere creduto, risulta da questo:
che la fede in noi riguarda la perfezione ultima, come lo scolaro apprende queUe cose
che per prime gli vengono insegnate dal maestro, a plutire dalle quali viene condotto
a queUe superiori. Non potrebbe esservi condotto senza considerare in atto qualcosa.
Per cui e indispensabile che lo scolaro apprenda qualcosa in atto per poter considera­
re in atto qualcosa. Allo stesso modo occorre che il fedele creda qualcosa esplicita­
mente.

E cio che si richiede al fedele come conoscenza esplicita e tratto dalla Scrittura
stessa:
E si tratta delle due cose che l'Apostolo dice in Eb 1 1,6: Chi infatti s 'accosta a Dio
deve credere che egli esiste e che egli ricompensa co/oro che lo cercano. Dunque
chiunque e in ogni tempo e tenuto a credere esplicitamente
- che Dio esiste
- e governa con provvidenza le realta umane.

Tommaso ha spiegato piu volte che nella conoscenza della Provvidenza di Dio e
inclusa implicitamente la conoscenza del Salvatore, in quanta credere in Dio che
provvede alle necessita degli uomini comporta il credere che Egli intervenga a salvar-

qui majores dicebantur: quidam autem, ut minores, fidem implicitam habebant in fide majorum; unde eis sacra­
mentum redemptionis sub signis sacrificiorum proponebatur. In tertio autem statu post adventum Christi, quia jam
mysterium redemptionis impletum est corporaliter et visibiliter, et praedicatum, omnes tenentur ad explicite cre­
dendum: et si aliquis instructorem non habere!, Deus illi revelaret, nisi ex culpa sua removeret>>.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 237

li quando cio si renda necessario per il loro bene. 11 fatto che vi sia una differenza nel
livello delle conoscenze umane, per cui non tutti possono essere studiosi e scienziati,
oltre ad essere constatabile, e anche questione di impossibilita pratica e di economia
di tempo. Questa situazione che si verifica per qualunque tipo di conoscenza, si pre­
senta anche riguardo alla dottrina della fede. A questa considerazione fanno riscontro
testi del Magistero recenti, precedentemente citati, come Fides et ratio, n. 32.
Continua, san Tommaso, nel testo del De veritate:
E impossibile, infatti, a chiunque, in questa vita conoscere esplicitamente tutta quella
scienza di Dio che costituisce Ia nostra beatitudine, rna e possibile per qualcuno, gia
in questa vita, conoscere esplicitamente tutte quelle cose che vengono proposte al
genere umano, fin da ora, come dei rudimenti attraverso i quali dirigersi verso il fine.
Di costui si dice che possiede una fede completamente esplicita. Ma questa grado di
completezza non e di tutti, per cui nella Chiesa vengono costituiti dei gradi, in base ai
quali alcuni vengono preposti ad altri allo scopo di istruirli nella fede. Per cui non tutti
sono tenuti a credere tutto esplicitamente, rna solo coloro che sono costituiti maestri
di fede, come i prelati e coloro ai quali e affidata Ia cura delle anime.

Viene inserito, a questo punto, anche un significativo accenno in merito al «pro­


gresso [ . . . ] nella fede [ . . . ] per l'intero genere umano», che presenta qualche analogia,
rna con le debite differenze, con quello che oggi chiameremmo lo "sviluppo del
dogma": qui, pero, non si tratta tanto alla fede della Chiesa (per la quale non si da
alcun aumento in senso quantitativa del contenuto della Rivelazione, rna un approfon­
dimento intensivo della sua comprensione ), quanto al passaggio dal tempo prima di
Cristo a quello dopo la Sua venuta (nel quale e i1 contenuto stesso ad essere stato
ampliato con quanto di nuovo Cristo ha rivelato).
E neppure costoro in ogni tempo erano tenuti a credere esplicitamente tutte le cose.
lnfatti cosi come c' e un progresso del singolo nella fede, con il susseguirsi del tempo,
cosi anche per l'intero genere umano. Per cui Gregorio dice che nel susseguirsi dei
tempi e cresciuta la conoscenza delle cose divine. E Ia pienezza del tempo, come una
raggiunta maturita del genere umano, e quella del tempo della grazia. E in questa
tempo colora che sono costituiti in una responsabilita maggiore ("maiores") sono
tenuti a conoscere esplicitamente tutto cio che riguarda Ia fede.
[De Ver, q. 14, a. 11)60

60 «Sciendum est igitur, quod aliquid est in fide ad quod omnes et omni tempore explicite credendum tenentur;
quaedam vero sunt in ea, quae omni tempore sunt explicite credenda, sed non ab omnibus; quaedam vero ab omni­
bus, sed non omni tempore; quaedam vero nee ab omnibus nee omni tempore. Quod enim oporteat omni tempore
aliquid explicite credi ab quolibet fideli, ex hoc apparel, quia acceptio fidei se habet in nobis respectu ultimae per­
fectionis, sicut acceptio discipuli de his quae sibi primo a magistro traduntur, per quae in anteriora dirigitur. Non
posset autem dirigi, nisi actu aliqua consideraret. Unde oportet quod discipulus aliquid actualiter aliquid conside­
randum accipiat; et similiter oportet quod fidelis quilibet aliquid explicite credat. Et haec sunt duo ilia quae apo­
stolus dicit Hebr., XI, 6: accedentem ad Deum oportet credere quia est, et inquirentibus se remunerator est. Unde
quilibet tenetur explicite credere, et omni tempore, Deum esse, et habere providentiam de rebus humanis. Non est
autem possibile ut aliquis in statu viae explicite cognoscat omnem illam scientiam quam Deus habet, in qua nostra
beatitudo consistit; sed possibile est aliquem in statu viae explicite cognoscere omnia ilia quae proponuntur huma-
238 ALBERTO STRUMIA

Nelle risposte alle obiezioni si chiarisce, poi, il fatto che Dio stesso provvede straor­
dinariamente a dare la grazia della conoscenza esplicita delle verita necessarie alia sal­
vezza a chi, senza colpa, si trova neUe condizioni di non poterla attingere per via ordi­
naria.61 Al di la della modalita con cui cio possa avvenire Tommaso ribadisce sempre
i due principi secondo i quali:

- una qualche forma di fede esplicita, per quanta incoativa, in Dio che non abban­
dona, rna provvede alia salvezza, e necessaria;
- Dio mette ogni uomo di buona volonta in condizione di essere salvato.
Rinunciare al prima principia, come oggi si potrebbe essere inclinati a fare, signi­
ficherebbe rendere del tutto implicita, e alia fine insignificante, la fede in Cristo
unico Salvatore, e rinunciare al secondo significherebbe rifiutare a priori la salvez­
za a chi non lo conosce. La seconda obiezione su questa punta e molto precisa.

Non siamo tenuti a compiere cio che non e nelle nostre possibilita. Ma per poter cre­
dere esplicitamente qualcosa abbiamo bisogno di ascoltarla interiormente o esterior­
mente: Ia fede, infatti, scaturisce dall'ascolto (cfr. Rm 10,17), e ascoltare non e in
potere di qualcuno se non c'e chi gli parla. E quindi non puo essere necessario alla sal­
vezza il credere qualcosa esplicitamente.
[De Ver, q. 14, a. 1 1 , ag. 2]62

no generi in hoc statu ut rudimenta quaedam quibus se in finem dirigat: et talis dicitur habere perfectam fidem
quantum ad explicationem. Sed haec perfectio non est omnium; unde et gradus in Ecclesia constituuntur, ut qui­
dam aliis praeponantur ad erudiendum in fide. Unde non tenentur ornnes explicite credere omnia quae sunt fidei;
sed solum illi qui eruditores fidei instituuntur: sicut sunt praelati et habentes curam animarum. Nee tamen isti
etiam secundum omne tempus tenentur omnia explicite credere. Sicut enim est profectus unius hominis in fide per
successiones temporum, ita etiam et totius humani generis: unde dicit Gregorius: per successiones temporum ere­
vii divinae cognitionis augmentum. Plenitudo autem temporis, quasi perfectio aetatis humani generis, est in tem­
pore gratiae; unde in hoc tempore maiores, omnia quae sunt fidei, explicite credere tenentur. Sed temporibus prae­
cedentibus etiam maiores non tenebantur ad credendum omnia explicite; plura autem explicite credebantur post
tempus legis et prophetarum quam ante. In statu igitur ante peccatum non tenebantur explicite credere ea quae sunt
de redemptore, quia adhuc necessitas redemptoris non erat; implicite tamen haec credebant in divina providentia;
in quantum scilicet Deum credebant diligentibus se provisurum de omnibus necessariis ad salutem. Sed ante pec­
catum et post, ornni tempore necessarium fuit a maioribus explicitam fidem de Trinitate habere; non autem a mino­
ribus post peccatum usque ad tempus gratiae; ante peccatum enim forte talis distinctio non fuisset, ut quidam per
alios erudirentur de fide. Et similiter etiam post peccatum usque ad tempus gratiae maiores tenebantur habere
fidem de redemptore explicite; minores vero implicite, vel in fide patriarcharum et prophetarum, vel in divina pro­
videntia. Tempore vero gratiae omnes, maiores et minores, de Trinitate et de redemptore tenentur explicitam fidem
habere. Non tamen omnia credibilia circa Trinitatem vel redemptorem minores explicite credere tenentur, sed soli
maiores. Minores autem tenentur explicite credere generales articulos, ut Deum esse trinum et unum, filium Dei
esse incamatum, mortuum, et resurrexisse, et alia huiusmodi, de quibus Ecclesia festa facit>>.
61
In particolare nell'adprimum si porta l'esempio emblematico dell'episodio di Cornelio narrato in At 10.
62 «Praeterea, ad illud quod non est in potestate nostra, non tenemur. Sed ad hoc quod explicite aliquid creda­

mus, indigemus auditu interiori vel exteriori: fides enim est ex auditu, ut dicitur Rom., 10,17: et audire non est in
potestate alicuius, nisi sit qui loquatur. Et sic non est de necessitate salutis quod aliquid explicite credatur>>.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 239

A questa obiezione la risposta lascia a Dio la scelta delle strade, senza rinunciare al
principia della fede esplicita, almeno incoativa.

Alia seconda obiezione si risponde dicendo che, benche non sia in nostro potere cono­
scere da noi stessi le verita della fede, se noi abbiamo fatto tutto quanta e nelle nostre
possibilita, seguendo la guida della ragione naturale, Dio non ci fara mancare cio che
ci e necessaria.
[De Ver, q. 14, a. 11, ad 2um]63

In ogni caso per Tommaso e chiaro che se c'e salvezza, in qualunque forma, ordi­
naria o straordinaria, e anche se questa fosse data senza alcuna forma di rivelazione o
ispirazione, questa sarebbe comunque per la fede in Cristo mediatore, perche solo in
Lui si possono verificare e di fatto si sono verificate le condizioni necessarie per ope­
rare la salvezza dell'uomo (v. infra, il quarto passaggio).

Se alcuni, poi, si sono salvati senza che sia stata fatta loro alcuna rivelazione, non si
sono salvati senza la fede in Cristo mediatore. Perche anche se costoro non ebbero una
fede esplicita, la ebbero comunque implicita [in Lui] nella divina Provvidenza, cre­
dendo che Dio e il liberatore degli uomini, secondo i modi che a Lui piacciono [ . . . ]
[II-II, q. 2, a. 7, ad 3um]64

Testo tratto dalla "Summa" (II-II, q. 2, a. 7)


C'e anche un terzo testo, tratto dalla Summa (II-II, q. 2, a. 7), che riprende gli stes­
si argomenti dei testi precedenti, ribadendo in piu in modo particolare l'unicita e la
centralita di Cristo, quasi ad indicare una "maturazione" in senso cristocentrico della
riflessione sull' argomento.

La via data agli uomini per giungere alia beatitudine e il mistero dell'incamazione e
della passione di Cristo, come si dice in At 4, non vi e infatti altro nome dato agli
uomini nel quale e stabilito che possiamo essere salvati. Quindi e necessaria che il
mistero dell'incamazione di Cristo sia creduto in qualche modo da tutti in ogni tempo,
anche se in diversi modi, secondo i tempi e le persone.

Assai significativo e qui il passaggio cristocentrico, che mostra quanto Tommaso


fosse attento alla dimensione di manifestazione della gloria di Cristo attraverso l'in­
carnazione, contrariamente a quanto si potrebbe pensare.

63 <<Ad secundum dicendum, quod quamvis non sit in potestate nostra cognoscere ea quae sunt fidei, ex nobis
ipsis; tamen, si nos fecerimus quod in nobis est, ut scilicet ductum rationis naturalis sequamur, Deus non deficiet
nobis ab eo quod est nobis necessarium». Cfr. anche l'analoga risposta in /// Sent, d. 25, q. 2, a. la, ad 1 um.
64 «Si qui tamen salvati fuerunt quibus revelatio non fuit facta, non fuerunt salvati absque fide mediatoris. Quia
etsi non habuerunt fidem explicitam, habuerunt tamen fidem implicitam in divina providentia, credentes Deum
esse liberatorem hominum secundum modos sibi placitos [ . . . ]>>.
240 ALBERTO STRUMlA

Prima dello stato di peccato, l'uomo aveva una fede esplicita nell'incamazione di
Cristo, in quanto culmine della gloria, e non nella liberazione dal peccato mediante la
passione e la risurrezione, perche l'uomo non era a conoscenza in anticipo del pecca­
to futuro.

L'incarnazione e presentata come conosciuta dagli uomini come un mistero che e


certamente indispensabile ai fini della redenzione, rna che ha anche una sua autono­
mia.

Dopo il peccato il mistero di Cristo e stato creduto esplicitamente non solo in rappor­
to all'incamazione, rna anche alia passione e alia risurrezione, mediante le quali il
genere umano e liberato dal peccato e dalla morte. Di altro, infatti, i vari sacrifici offer­
ti prima della legge e sotto la legge non erano prefigurativi se non della passione di
Cristo. Coloro che erano maggiormente investiti di responsabilita ne conoscevano il
significato esplicitamente, mentre gli altri, sotto il velo di tali sacrifici, credendo che
questi fossero stati divinamente disposti in relazione al Cristo che doveva venire, ne
avevano solo una conoscenza in qualche modo velata.
E, come si e detto sopra, conobbero tanto piu distintamente cio che riguarda i rnisteri
di Cristo, quanto piu furono prossimi a Cristo stesso.
[//-//, q. 2, a. 7 co]65

1.3.4. Gli elementi essenziali della salvezza


Questo bel passo (III Sent, d. 25, q. 2, a. 2c co) indica i misteri fondamentali della
fede in Cristo, motivando la necessita che in essi e necessaria una fede esplicita in
quanto sono i mezzi attraverso i quali Cristo, che e l'unico mediatore tra Dio e gli
uomini, ha ricongiunto l'uomo con il suo fine ultimo, dal quale era stato deviato con

65 «Respondeo dicendurn quod, sicut supra dictum est, illud proprie et per se pertinet ad obiectum fidei per quod

homo beatitudinem consequitur. Via autem hominibus veniendi ad beatitudinem est mysterium incamationis et
passionis Christi, dicitur enim Act. 4, non est aliud nomen datum hominibus in quo oporteat nos salvos fieri. Et
ideo mysterium incamationis Christi aliqualiter oportuit omni tempore esse creditum apud omnes, diversimode
!amen secundum diversitatem temporum et personarum. Nam ante statum peccati homo habuit explicitam fidem
de Christi incamatione secundum quod ordinabatur ad consummationem gloriae, non autem secundum quod ordi­
nabatur ad liberationem a peccato per passionem et resurrectionem, quia homo non fuit praescius peccati futuri.
Videtur autem incamationis Christi praescius fuisse per hoc quod dixit, propter hoc relinquet homo patrem et
matrem et adhaerebit uxori suae, ut habetur Gen. 2; et hoc apostolus, ad Ephes. 5, dicit sacramentum magnum esse
in Christo et Ecclesia; quod quidem sacramentum non est credibile primum hominem ignorasse. Post peccatum
autem fuit explicite creditum mysterium Christi non solum quantum ad incamationem, sed etiam quantum ad pas­
sionem et resurrectionem, quibus humanum genus a peccato et morte liberatur. Aliter enim non praefigurassent
Christi passionem quibusdam sacrificiis et ante legem et sub lege. Quorum quidem sacrificiorum significatum
explicite maiores cognoscebant, minores autem sub velamine illorum sacrificiorum, credentes ea divinitus esse
disposita de Christo venturo, quodammodo habebant velatam cognitionem. Et sicut supra dictum est, ea quae ad
mysteria Christi pertinent tanto distinctius cognoverunt quanto Christo propinquiores fuerunt. Post tempus autem
gratiae revelatae tam maiores quam minores tenentur habere fidem explicitam de mysteriis Christi; praecipue
quantum ad ea quae communiter in Ecclesia sollemnizantur et publice proponuntur, sicut sunt articuli incamatio­
nis, de quibus supra dictum est. Alias autem subtiles considerationes circa incamationis articulos tenentur aliqui
magis vel minus explicite credere secundum quod convenit statui et officio uniuscuiusque».
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 241

il peccato. Si tratta di un testa che mette in evidenza i contenuti della fede che deve
essere esplicita in ogni uomo dopo la venuta di Cristo e dopo che l'annuncio cristiano
sia giunto al suo orecchio, accompagnato da una sufficiente istruzione, come e stato
precisato in precedenza.
La fede esplicita e necessaria a dirigere la mente verso il fine ultimo. E, poiche
l'uomo era stato sviato da quel fine, a causa del peccato, e non poteva esservi ricon­
dotto se non dal mediatore di Dio e degli uomini, il Signore nostro Gesu Cristo, ne
consegue che, dopo il peccato, occorre avere una conoscenza esplicita del
Redentore, e specificamente riguardo a cio attraverso cui ci ha ricondotti al fine,
sconfiggendo il nemico che ci teneva prigionieri. E per ricondurci al fine occorre­
vano quattro cose.
- Primo occorreva che venisse costituito un nostro difensore: e questo e avvenuto
con la Nativita.
- Secondo che combattesse per noi: e questo e accaduto con la Passione.
- Terzo che risultasse vincitore: il che e accaduto con la Risurrezione.
- Quarto che rendesse partecipi tutti della sua vittoria: e questo avverra nel giudi-
zio quando rendera il bene ai buoni e il male ai malvagi.
Queste sono le cose che si devono principalmente sapere esplicitamente intomo al
Redentore.
Tuttavia e possibile che, Secondo i diversi tempi, la chiarezza e esplicitezza di que­
ste sia cresciuta prima della venuta di Cristo, per cui quanto piu si era vicini all'av­
vento del Salvatore tanto piu si percepivano i sacramenti della salvezza, come dice
Gregorio.
[III Sent, d. 25, q. 2, a. 2c co]66

1.3.5. Valutazioni in ordine ad una teologia delle religioni


Sembra essere di un certo interesse, in vista di una teologia delle religioni, la distin­
zione tra i "maggiori" e i "minori",67 che abbiamo incontrato nei testi precedenti
(III Sent, d. 25, q. 2, a. 2b co e De Ver, q. 14, a. 11 co), che potrebbe essere intesa un
po' come la base, formulata ante litteram, di un modello inclusivista. Soprattutto se si

66 «Ad tertiam quaestionem dicendum, quod fides explicita ad hoc necessaria est quod in finem ultimum inten­

tionem dirigat. Et quia per peccatum homo ab illo fine abductus fuerat, et non poterat reduci nisi per mediatorem
Dei et hominum dominum Jesum Christum; ideo post peccatum oportuit haberi cognitionem explicitam de
redemptore, et praecipue quantum ad ea quibus nos in finem reduxit victo hoste a quo captivi detinebamur. Ad hoc
autem quod nos in finem reduceret, quatuor requirebantur. Primum est quod propugnator noster institueretur; quod
factum est in nativitate. Secundum est quod propugnaret; quod factum est in passione. Tertium est quod vinceret;
quod factum est in resurrectione, quando aetemitatis aditum devicta morte reseravit. Quarto quod victoriae suae
omnes suos participes faceret; et hoc erit in judicio, quando bonis bona et malis mala reddet. Et ideo isla praeci­
pue requirebantur ut de redemptore explicite scirentur. Tamen possibile est quod secundum diversa tempora horum
distinctio et explicatio ante Christi adventum creverit, ut quanto adventui salvatoris viciniores existerent, tanto
sacramenta salutis plenius perceperint, ut dicit Gregorius>>.
67 Oggi ci puo sembrare un po' dura questa terrninologia cosl oggettiva ("maggiori" e "minori") e preferirem­
mo, probabilmente utilizzare una terrninologia piu soft, come, ad esempio "fratelli maggiori" e "fratelli minori",
piu compensiva di elementi soggettivi, che non intendono urtare, discriminare, incolpare . . . E se in questo puo
esserci una delicatezza psicologica e forse anche un po' moralistica, non si puo eccedere fino al punto di lasciarsi
242 ALBERTO STRUMiA

prende in considerazione quanto e stato detto in relazione al tempo precedente la venu­


ta di Cristo (quando i «minores, fidem implicitam habebant in fide majorum») , appli­
cabile in certa misura anche a coloro che non ne sono venuti a conoscenza (non ostan­
te che il «mysterium redemptionis impletum est corpora/iter et visibiliter, et praedica­
tum»), o non hanno ricevuto una istruzione adeguata ( «si aliquis instructorem non
haberet») sulla dottrina della fede cristiana, per cui potrebbero averla in qualche modo
incolpevolmente non accolta.
Sembrerebbe - e questo in Tommaso non lo si trova, rna nasce da una nostra consi­
derazione, a partire dai testi esaminati - che si possa ipotizzare di applicare, analogi­
camente, questa stessa distinzione, che 1' Aquinate propone, principalmente, riguardo
alla fede dei singoli in relazione alla fede della Chiesa, anche

- all'interno di ogni singola religione


- e nel rapporto tra ogni singola religione non cristiana e la Chiesa, in relazione
alla fede.68

Nei paragrafi che seguono cercheremo di illustrare questa tesi.

La fede dei "maggiori" e dei "minori" all'interno di una religione


Da un lato, all'interno di ciascuna singola religione69 non cristiana tra i "maggiori"
possono essere annoverati: in primo luogo i fondatori di una religione vera, quando ad
essi e stata data una comprensione piu profonda del mistero di Dio creatore e provvi­
dente e, magari in taluni casi, anche qualche luce interiore o una rivelazione privata

condizionare dal soggettivismo e dal relativismo, e tener conto che trovarsi oggettivamente nella situazione di
"maggiori" o di "minori" non e necessariamente un vanto o una colpa e non e mancanza di caritii, rna a! contrario
e un dovere di caritii il puntualizzare Ia veritii. Deve essere, in ogni caso, chiaro che non si tratta di quell' essere
fratelli nel senso derivante dall' adozione filiale che consegue al Battesimo, rna di una fratellanza in senso analo­
gico, che deriva dalla comune natura umana, alia quale si aggiunge una credenza religiosa in Dio e in alcune auten­
tiche veritii su di Lui.
68 E anche all'interno della stessa Chiesa, in ordine a! problema ecumenico, nel rapporto tra le diverse confes­
sioni non cattoliche e Ia Chiesa cattolica. E bene sottolineare che, comunque, queste tre applicazioni hanno carat­
tere analogico e non univoco, in quanto e ben diversa Ia natura della fede in una religione non cristiana, nella
Chiesa cattolica e in una confessione non cattolica.
69 Questa differenziazione tra "maggiori" e "minori" nell'ambito di una religione, pur espressa con un linguag­
gio diverso e collocata in un contesto filosofico ben lontano da quello tomistico, si ritrova anche nella fenomeno­
logia della religione: «Esiste comunque anche una differenza tra personalitii storiche particolari (i cosiddetti "geni
religiosi" [i "maggiori"]) che essendo latori di rivelazioni divine particolari e possedendo una forza mitopoietica
speciale, diventano foote prima e riferimento centrale di vasti movimenti religiosi e sono in grado di trasmettere
energia religiosa, e le personalitii comuni [i "minori") che possono soltanto riprendere [ . . . ) i1 mondo simbolico
espresso da una grande personalitii>> (R. GARAVENTA, II problema dell'apriori religioso, ovvero e veramente pos­
sibile un dialogo tra le religioni universali?, in R. CiPRIANI, G. MURA (a cura di), II fenomeno religioso oggi.
Tradizione, mutamento, negazione, Urbaniana University Press, Cittii del Vaticano - Roma 2002, p. 121).
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 243

dello stesso mistero di Cristo. Una sorta di "carisma"70 dato ad alcuni per il bene di
tutti i loro seguaci, attraverso il cammino dell'appartenenza ad una religione; in secon­
do luogo colora, se ve ne sono, che hanno il compito di istruire e governare la cornu­
nita religiosa.
Mentre i "minori" sarebbero i semplici seguaci che credono a cia che viene loro
proposto dai "maggiori", dando loro una ragionevole fiducia. In quanto la religione e
una manifestazione esteriore (protestatio) di una qualche forma di fede, i "maggiori",
cioe i fondatori e i maestri, nell'ambito di una religione vera, potrebbero essere colo­
ra ai quali e data una forma di fede incoativa piu esplicita in un Dio creatore e prov­
vidente di quanto non sia data ai loro seguaci, i quali, seguendoli parteciperebbero, piu
implicitamente, della medesima fede. Si tratterebbe, comunque, di una differenza solo
di intensita e di chiarezza di comprensione della natura di Dio creatore e provvidente
che, comunque, sia i "maggiori" che i "minori" (appartenenti a quella religione)
dovrebbero avere esplicitamente per salvarsi, e alla quale potrebbe, eventualmente in
alcuni casi aggiungersi qualche barlume di contenuto ulteriore comune con la rivela­
zione giudeo-cristiana. In taluni casi questo contenuto di provenienza giudeo-cristiana
potrebbe essere giunto al fondatore anche per una sorta di "contaminazione" con la
cultura di popoli di tale fede. 71
Dal punto di vista della comprensione esplicita della vera fede, tuttavia, i "maggio­
ri" sono da ritenersi tali non tanto in quanto sono fondatori o maestri di una qualun­
que forma di religiosita, rna in quanto lo sono di una religione "vera", e in rapporto a
quanto di vero su Dio sono in grado di insegnare.

I "minori" non hanno una fede implicita nella fede dei "maggiori" se non in quanto i
"maggiori" aderiscono alla dottrina divina. [ . . . ]
Non e una conoscenza umana ad essere regola della fede, rna Ia verita divina.
[II-II, q. 2, a. 6, ad 3umf2

70 Si e impiegato il termine "carisma", in senso analogico perche in questa caso e dato a! di fuori della Chiesa

visibile, rna come il carisma in senso proprio e dato dallo Spirito Santo ed e un dono straordinario dato per l'uti­
lita di altri, e non tanto del soggetto che lo riceve. Puo trattarsi di una illuminazione interiore o di una rivelazione
privata che acquista una sorta di valore pubblico attraverso il costituirsi di una comunita di seguaci che praticano
un culto religioso per manifestare una fede in Dio, piu esplicita nel fondatore e nei maestri e maggiormente impli­
cita nei seguaci.
71 Tommaso accenna fugacemente (in II Sem, d. 11, q. 2, a. 5 co) ad una «utilita che i giudei portavano a! regno
dei persiani, in quanta attraverso di !oro si diffondeva Ia conoscenza di Dio che essi avevano ricevuto (utilitas quam
judaei faciebant in regno persarum, dum per eos Dei notitia diffundebatur)».
72 <<Minores non habent fidem implicitam in fide maiorum nisi quatenus maiores adhaerent doctrinae divi­

nae. [ . . . ] Unde humana cognitio non fit regula fidei, sed veritas divina».
244 ALBERTO STRUMIA

La fede dei "maggiori" e dei "minori" nel rapporto tra le religioni e la Chiesa
Dall'altro lato, se si considera il rapporto tra la fede di cui e espressione esteriore
una religione non cristiana e la fede della Chiesa, si puo dire che i cristiani rappresen­
tano comunque dei "maggiori", nei confronti dei non cristiani, i quali si trovano ine­
vitabilmente nella posizione di "minori", dal punta di vista dei contenuti che la fede
nella loro religione propane loro da credere, se messi a confronto con la pienezza di
verita dei contenuti della fede della Chiesa.73
Colora che appaiono "maggiori" dall'interno di una religione non cristiana - in
quanta fondatori o maestri dei semplici seguaci che sono dei "minori", in rapporto a
loro - sarebbero pur sempre essi stessi "minori" rispetto ad un qualunque cristiano, in
quanta quest'ultimo ha una fede esplicita in Cristo Salvatore, mentre il fondatore o il
maestro di una religione "vera", che come tale non si oppone lucidamente e positiva­
mente al cristianesimo/4 potrebbe avere, al piu, una fede implicita in Cristo mediato­
re, attraverso una fede esplicita nella Provvidenza di Dio. Questa considerazione sem­
bra trovare anche una conferma nel seguente passo di san Tommaso nel quale si fa un
confronto tra i "maggiori" tra i pagani che, sono da considerarsi, comunque dei "mino­
ri" dal punta di vista della fede della Chiesa.

I gentili non si possono considerare dei maestri della fede divina e, per quanto fosse­
ro dei sapienti in rapporto alla sapienza del mondo, sono da annoverare tra i "minori".
[De Ver, q. 14, a. 11 ad 5umf5

Di conseguenza una religione non cristiana non potrebbe mai essere considerata sal­
vifica in se stessa (esplicitamente, direttamente, immediatamente), rna soltanto (impli­
citamente, indirettamente, mediatamente) attraverso la fede esplicita della Chiesa in
Cristo Salvatore di tutti gli uomini. E comunque la fede della Chiesa in Cristo
Salvatore a "prestare" una sorta di partecipazione alla salvezza alle religioni e ai loro
aderenti.
In questa sensa le religioni sarebbero:
- da un lato preparatorie alla fede della Chiesa, come il battesimo di Giovanni
Battista era preparatorio al Battesimo di Cristo

73 Ovviamente qui non si fa una questione di moralita, di confronto tra i comportamenti di un cristiano piu o

meno buono con un non cristiano piu o meno buono, rna tra le verita che ciascuna fede propone da credere.
74 Anche se per accidens, incomprensioni storiche potessero avere ingenerato incomprensioni e forme di con­
trapposizione.
15 <<[ . . . ) gentiles non ponebantur ut instructores divinae fidei. Unde, quantumcumque essent sapientes sapientia
saeculari, inter minores computandi sun!>>. Di uno di questi "maggiori" si potrebbe dire, e a maggior ragione, che
<<il piu piccolo nel regno dei cieli e piu grande di lui» (cfr. Mt 11,11; Lc. 7,28).
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 245

- dall'altro lato sarebbero, al piu e solo in taluni casi, gHt "implicitamente" e


"mediatamente" partecipi dei frutti di salvezza che sono espliciti solo nella Chiesa
visibile. La salvezza sarebbe data attraverso di esse come in un battesimo di desi­
derio che salva rna non e un sacramento e, quindi, non agisce ex opere operato. Se
si puo dire che la Chiesa e come un sacramento/6 non si potrebbe dire comunque
mai altrettanto delle religioni. Se la fede della Chiesa e il Battesimo della Chiesa
sono via ordinaria alla salvezza, la fede delle religioni vere e la loro pratica rimar­
rebbe, comunque una via straordinaria,n anche se coinvolgesse un gran numero di
persone e, comunque, sarebbe salvifica solo mediante la fede implicita in Cristo e
non indipendentemente dalla fede della Chiesa. In questo senso la formula extra
Ecclesiam nulla sa/us, al di la del significato che ha avuto nel contesto storico in
cui e nata, potrebbe essere interpretata, oggi, nel senso di sine Ecclesia nulla
sa/us, 78 perche la Chiesa e co lei nella quale si rende esplicita la fede di tutti colo­
ro che hanno una fede implicita in Cristo, sia in quanto singoli, sia mediante l'ap­
partenenza ad un vera religione.

Tutto questo sembra coerente con il fatto che la Chiesa e il Corpo di Cristo nella sto­
ria e, ben difficilmente si potrebbe pensare ad un'azione mediatrice di Cristo Capo
(della Chiesa) che sia, in qualche modo, indipendente dal resto del Suo Corpo. Cosl
l'unicita di Cristo mediatore si viene a riflettere sull'unicita della Chiesa mediatrice
della salvezza: la dinamica della fede dei "maggiori" e della fede dei "minori" ne
descriverebbe la modalita di attuazione nel rapporto tra la fede delle religioni vere

76 Cfr. Lumen gentium, n. 1.


77 Volendo, tuttavia, collocare Ia via delle religioni (fede in Dio creatore e provvidente, professata mediante I'ap­
parteneneza a una religione) come un mezzo di salvezza intemedio tra Ia fede della Chiesa con il Battesimo sacra­
mento (via ordinaria) e Ia fede dell'individuo singolo in Dio creatore e provvidente (via straordinaria), si potreb­
be, forse, chiamare Ia via delle religioni una "via subordinata", in quanta, comunque, inseparabile dalla fede espli­
cita della Chiesa per essere efficacemente salvifica. Tuttavia questa, o una simile terminologia, non e mai com­
parsa, finora, nei testi del Magistero.
78 De Lubac aveva prospettato qualcosa di simile, pur in un contesto nel quale non si parlava ancora di una vera

e propria teologia delle religioni, parlando di una sorta di <<interpretazione collettiva» e non solo individuale della
questione della fede implicita e della fede esplicita, cosl come si trovano in Tommaso e nei suoi commentatori:
«[ . . . ] queste spiegazioni riprendono tutto il loro valore e possono essere adottate senza pericolo, una volta che, con
un'interpretazione collettiva, si e riconosciuto che per l'umanita presa in blocco non poteva esserci alcuna salvez­
za fuori della Chiesa, che questa era una necessita rigorosa, una necessita di mezzo da cui niente potrebbe dis­

pensare. Cosl il problema della "salvezza degli infedeli" riceve una soluzione di un'estrema ampiezza, e nel mede­
simo tempo si e allontanato ogni lassismo che Ia comprometterebbe. All'indifferenza non e offerto alcun incorag­
giamento. Diviene comprensibile che Ia Chiesa [ . . . ] sappia "far grazia al paganesimo senza diminuire il carattere
proprio d'esser sola a salvare le anime"; e se si pensa che, malgrado tutto, Ia formula "fuori della Chiesa nessuna
salvezza" da un suono piuttosto rude, niente impedisce di darle una forma positiva, e di dire [ . . . ] non gia "fuori
della Chiesa sarete dannati", rna: "sarete salvi per mezzo della Chiesa, soltanto per suo mezzo"» (H. DE LUBAC,
Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, Jaca Book, Milano 1978, p. 172).
246 ALBERTO STRUMIA

( oltre che dei singoli uomini) e la fede della Chiesa. «Se dunque Cristo e uno, anche
questo suo "corpo" puo soltanto essere uno, nonostante la discontinuta nella quale
empiricamente si presenta. E tale unita non puo essere utopia, o semplice proiezione
verso i1 "tempo escatologico"; deve invece esistere corporalmente, quindi realmente
anche nella storia. Se dunque e vero ohe tutta la salvezza scaturisce da Cristo (in qual­
siasi modo cio avvenga), e che la Chiesa non e separabile da lui, allora e inconfutabi­
le che questa Chiesa partecipa alla sua universale mediazione, e che dev' essere neces­
sariamente coinvolta in ogni riferimento a Cristo».79 E in ogni caso escluso che gli atti
di culto, i riti, le formule, i gesti che vengono compiuti nel contesto di una religione
non cristiana possano avere un valore salvifico in se stessi, quasi fossero paragonabili
ai sacramenti della Chiesa. Essi possono avere, al piu, un valore di preparazione nei
confronti di quelli.
I sacramenti della Iegge naturale non avevano efficacia ex opere operata, rna solo in
forza della fede [ . . . ] diversamente e dei sacramenti della Iegge nuova che conferisco­
no Ia grazia ex opere operata.
[IV Sent, d. 2, q. 1, a. 4d, ad 2um ]80

L' appartenenza alla Chiesa e le religioni


In relazione al problema del legame con la Chiesa, per Tommaso, non si puo parla­
re certo di una "appartenenza" alla Chiesa dei non cristiani che pur professano la fede
"incoativa" attraverso una religione.
Coloro che non ebbero Ia fede della Chiesa non si possono considerare eretici, anche
se ebbero una fede distorta, come i giudei e i pagani, perche non sono mai stati parte
di quel tutto che e Ia Chiesa.
[IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1, ad 7um]81

Ma non si puo dire neppure che sono contro la fede della Chiesa e, quindi che ne
sono del tutto esclusi, coloro che non credono esplicitamente tutto cio che essa inse­
gna, per ignoranza e senza ostinazione.
Nella fede della Chiesa, vi sono alcune cose che uno e tenuto a credere esplicitamen­
te. E se qualcuno e in errore, e con ostinazione, riguardo a queste va considerato infe­
dele ed eretico. Ve ne sono altre che uno non e tenuto a conoscere esplicitamente e uno
non diviene [infedele o] eretico se e in errore riguardo ad esse [ . . . ] fino a che non
venga a conoscenza che Ia sua posizione e contraria alia fede della Chiesa.

79 J. RIJZINGER, /11 cammi11o verso Gesu Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 65-66.
80 «Ad secundum dicendum, quod sacramenta ilia legis naturae non habebant aliquam efficaciam ex opere ope­
rato, sed solum ex fide; [ . . . ] non autem ita est de sacramentis novae legis, quae ex opere operato gratiam confe­
runt».
81
«[ . . ] illi qui nunquam fuerunt de fide ecclesiae, non reputantur haeretici, si perversam fidem habeant, ut
.

judaei vel pagani: quia nunquam fuerunt partes hujus totius quod est ecclesia» (IV Se11t, d. 13, q. 2, a. 1, ad 7um).
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 247

Perche non si distacca dalla fede della Chiesa se non chi sa che cio da cui si allontana
e contrario alia fede della Chiesa.
[IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1, ad 6um)82

Qui si dice che coloro che non hanno la fede della Chiesa hanno una «fides perver­
sa», cioe un fede distorta. Questo non sembra, tuttavia escludere che non possano
appartenere a una "vera religio". E anzi sembra permettere di concludere che: una
"vera religio" che non sia la fede della Chiesa e si una forma di ''fides mediatoris" che
salva, rna e in qualche misura "perversa ", cioe "distorta" e quindi imperfetta, non
piena. Diversa e la situazione di quanti, lucidamente e senza scusanti, si accaniscono
contro la fede della Chiesa.

Co/oro che non hanno il carattere battesimale non appartengono alla Chiesa
Per l'appartenenza alla Chiesa si richiede, come condizione necessaria, il carattere
sacramentale del Battesimo.83 In questa sensa non si puo certamente qualificare come
appartenenza alla Chiesa il rapporto che oggi viene detto di "inclusione" di colora che
aderiscono ad una "vera religio" non essendo cristiani battezzati.
Vale la pena riportare ancora due testi di san Tommaso particolarmente suggestivi.
Nel prima si abbozza una sorta di teologia inclusiva della fede: citando un com­
menta di Agostino, si parte dalla fede dei pagani che conoscevano Dio solo come crea­
tore del mondo, passando per quella dei giudei che conoscevano Dio come unico e non
equiparabile agli idoli, qualificati come falsi dei, per giungere alla fede in Dio rivela­
to da Cristo come Padre.

II Signore dice (Gv 17), Padre ho manifestato il tuo nome agli uomini. E Agostino
cosi spiega: non il tuo nome con il quale vieni chiamato "Dio", ma quello con il
quale vieni chiamato "Padre mio". Poi aggiunge:
- come Dio che ha fatto questo mondo e noto a tutte le genti;
- come Dio che non e da adorare insieme ai falsi dei e noto in Giudea;
- come Padre di Cristo che toglie il peccato del mondo, ora si e manifestato ad essi
[cioe agli apostoli], un nome questo che prima era sconosciuto.

82
<<Ad sextum dicendum, quod in fide sunt aliqua ad quae explicite cognoscenda omnis homo tenetur; unde si
in his aliquis errat, infidelis reputatur, et haereticus, si pertinaciam adjungat. Si autem sunt aliqua ad quae explici­
te credenda homo non tenetur, non efficietur haereticus in his errans [ . . . ] quousque hoc sibi innotescat, quod fides
ecclesiae contrarium habet: quia non discedit per se loquendo a fide ecclesiae nisi ille qui scit hoc a quo recedit,
de fide ecclesiae esse>>. II testo specifica, poi, che ciii vale anche riguardo aile opinioni teologiche, fino a che Ia
Chiesa non si esprima direttamente in merito aile tesi in questione. Questo aspetto, perii, non riguarda il nostro
problema, per questo e stato omesso.
83 Cfr. IV Sent, d. 18, q. 2, a. 3c, ad 1""'. La condizione necessaria non e di per se sufficiente, perii, a garantire Ia

comunione parziale o piena con Ia Chiesa, dalla quale occorre non essere esclusi per appartenervi.
248 ALBERTO STRUMIA

Dunque prima della venuta di Cristo non era noto che in Dio vi fosse una patemita
e una filiazione. Dunque la Trinita non era creduta esplicitamente.
[II-II, q. 2, a. 8, ag. 2]84

Alla obiezione che intende negare la fede esplicita nella Trinita, prima di Cristo,
Tommaso poi risponde che tale fede era implicitamente inclusa nella fede dei "maiores".

Prima dell'avvento di Cristo la fede nella Trinita era nascosta nella fede dei "mag­
giori". Ma attraverso Cristo e stata manifestata al mondo per mezzo degli Apostoli.
[II-II, q. 2, a. 8, ad 2um]85

11 secondo testo ha un carattere completamente diverso e si colloca al livello della


risposta "universale" al senso religioso che solo il cristianesimo offre con un'ampiez­
za completa e imparagonabile ai tentativi umani. Per cui giustamente la fede della
Chiesa si deve dire "cattolica".

Si deve dire che la fede, come anche ogni altra forma di conoscenza, ha una dupli­
ce materia:
- la materia "nella quale" [essa si attua, che e il soggetto della fede], che sono i cre­
denti stessi;
- la materia "della quale" [si fa professione, che e l'oggetto della fede], che sono le
cose credute.
Ed e in relazione ad entrambe che la fede cristiana puo dirsi "cattolica".
- Da parte di coloro che credono, perche e vera quella fede (come dice l 'Apostolo
in Rm 3) che e testimoniata dalla Legge e dai Profeti. E dal momento che al tempo
dei Profeti i diversi popoli tributavano culti a dei diversi, e solo il popolo di Israele
tributava il culto dovuto al Dio vero, per cui non c'era un'unica religione universa­
le, lo Spirito Santo predisse che il culto del vero Dio avrebbe dovuto essere assun­
to da tutti. Per cui in Is 45 si dice: davanti a me si pieghera ogni ginocchio e ogni
lingua mi proclamera, profezia che si compira attraverso la fede e la religione cri­
stiana. Per questo si dice "cattolica", perche viene recepita dagli uomini di qualun­
que condizione. [ . . . ]
- Da parte delle cose credute, poi, nella fede cristiana si trova l'universalita. Presso
gli antichi furono escogitate diverse strade, attraverso le quali gli uomini, cercava­
no, o almeno credevano, di rispondere aile diverse esigenze. Alcuni riponevano il
bene dell'uomo nelle sole realta materiali: nelle ricchezze, negli onori o nei piace-

84 <<Praeterea, Dominus dicit, Joan. 17: Pater, manifestavi nomen tuum hominibus, quod exponens Augustin us

dicit, non illud nomen tuum quo vocaris Deus, sed illud quo vocaris Pater meus. Et postea subdit etiam, in hoc
quod Deus fecit hunc mundum, notus in omnibus gentibus; in hoc quod non est cum diis fa/sis colendus, notus in
ludaea Deus,· in hoc vero quod Pater est huius Christi per quem to/lit peccatum mundi, hoc nomen eius, prius
occultum, nunc manifestavit eis. Ergo ante Christi adventum non erat cognitum quod in deitate esset patemitas et
filiatio. Non ergo trinitas explicite credebatur».
85 <<Ad secundum dicendum quod ante Christi adventum fides Trinitatis erat occulta in fide maiorum. Sed per

Christum manifestata est mundo per apostolos».


Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 249

ri. Altri nei soli beni dell'anima: nelle virtu morali o intellettuali. Altri ancora, come
dice Agostino ne La cittii di Dio, pensavano di dover adorare gli dei per ottenere dei
beni in questa vita, e altri per ricevere dei beni dopo questa vita. E Porfirio diceva,
come riporta sempre Agostino nel X libro de La cittii di Dio, che [ . . . ] non si era mai
sentito parlare di una setta che disponesse di una via universale di liberazione del­
l' anima.
[De Trin, ps. 2, q. 3, a. 3 co, nn. 1-2]86

1 .4. L' INFEDELTA COME NON CONOSCENZA E COME OPPOSIZIONE ALLA FEDE
Nel momenta in cui una religione si opponesse, poi, lucidamente e positivamente
aHa fede della Chiesa, per ragioni dottrinali e non solamente storiche contingenti,
sarebbe falsa almena nei contenuti con i quali si oppone alla fede della Chiesa e non
sarebbe in alcun modo salvifica. I suoi seguaci, che si salvino, non si salverebbero gra­
zie aHa loro appartenenza religiosa, rna per altri motivi, legati alla loro retta coscienza
e con l'attenuante di un'ignoranza forse invincibile e comunque non pienamente
responsabile. Questa ci introduce all'argomento della infedelta del quale san
Tommaso tratta diffusamente e che pure dobbiamo qui prendere in parte in considera­
zione.
Sotto il titolo di "infedelUt" san Tommaso racchiude due tipi di mancanza di fede:
l'uno dovuto alla mancanza di fede non responsabile, dovuta aHa non conoscenza, o
aHa non comprensione della verita proposta da credere; l'altro dovuto al rifiuto respon­
sabile e determinato delle verita di fede conosciute.
L'infedelta si puo intendere in due modi.
- In un primo modo come pura negazione, dicendo che e infedele colui che sem­
plicemente non ha la fede.
- In un secondo modo come opposizione alla fede, nel senso che uno prova un'av­
versione al sentime parlare o prova disprezzo per la fede, come dice Is 53, chi ha
creduto ascoltandoci? E questa e 1' infedelta nel senso pieno del termine. In questo
senso l'infedelta e un peccato.

86 «Responsio. Dicendum quod fides sicut et quaelibet alia cognitio duplicem habet materiam, scilicet in qua, id

est ipsos credentes, et de qua, id est res creditas, et ex parte utriusque materiae fides christiana catholica dici potest.
Ex parte quidem credentium, quia illam fidem veram asserit apostolus Rom. 3, quae est testificata a lege et pro­
phetis. Cum autem prophetarum tempore diversae gentes diversorum deorum cultibus insisterent, solus autem
populus israel deo vero cultum debitum exhiberet, et sic non esset una universalis religio, praedixit per eos spiri­
tus sanctus cultum veri dei ab omnibus esse assumendum. Unde dicitur Is. 45: mihi curvabitur omne genu et con­
fitebitur omnis lingua; quod quidem per christianam fidem et religionem impletur. Unde merito catholica nomina­
tur, utpote a cuiuslibet condicionis hominibus recepta. [ . . . ] Sed ex parte etiam rerum creditarum in fide Christiana
universalitas invenitur. Fuerunt namque antiquitus diversae artes et viae, quibus hominibus quantum ad diversa
providebatur vel provided credebatur. Quidam namque bonum hominis in solis corporalibus ponebant, vel in divi­
tiis vel honoribus aut voluptatibus. Quidam in solis animae bonis, ut in virtutibus moralibus vel intellectualibus.
Quidam etiam, ut Augustinus dicit in libro de civitate Dei, aestimabant deos esse colendos propter temporalia bona
istius vitae, quidam vero propter bona quae sunt post vitam. Porphyrius etiam ponebat [ . . . ), ut Augustinus dicit X
De civitate Dei, nondum esse receptam unam sectam, quae universalem contineat viam animae Iiberandae>>.
250 ALBERTO STRUMlA

Se, invece, prendiamo l'infedelta nel sensa della pura negazione, come accade a
colora che non hanna mai sentito parlare della fede, [questa] non ha ragione di pec­
cato, quanta piuttosto di una pena, perche una simile ignoranza delle cose divine e
una conseguenza del peccato originate.
[II-II, q. 10, a. 1 co]87

Ai nostri giorni la situazione che si presenta ai nostri occhi e spesso una sorta di
mescolanza di entrambe le due forme di infedelta, nel senso che, in molti, il pregiu­
dizio di una opposizione alla fede - indotto il piu delle volte da un contesto cultura­
le dettato da quei "maiores" che sono i rappresentanti della cultura comunemente dif­
fusa, che determinano il modo di pensare dei "minores" - si unisce ad una non cono­
scenza, o a un fraintendimento di cia che la fede e e effettivamente propone da cre­
dere.
Si ha un'infedelta insieme ad una ignoranza, e un rifiuto di cio che riguarda Ia fede;
e se il rifiuto della fede e in se stesso un peccato dei piu gravi, l'ignoranza costitui­
sce una certa scusante, soprattutto se uno non pecca con malizia [ . . . ].
[II-II, q. 10, a. 3, ad 1um]88

Questo, da un lato, certamente riduce (rna non elimina del tutto) la responsabilita di
questi "minores" che vivono nel pregiudizio, nell'indifferenza, o nella ricerca di altro,
mentre dall'altro accresce la responsabilita sia dei "maiores" della cultura in genere,
che anche di quelli che sono "maiores" nella fede che hanno il compito di istruire i
"minores".

2. Religione e rivelazione - Sacra Scrittura e rivelazioni private

E fuor di dubbio che, per san Tommaso, la Sacra Scrittura contiene l'autentica e
completa Rivelazione il cui contenuto Dio stesso propone da credere agli uomini,
mediante la fede nella Sua autorita divina - la cui autentica interpretazione e affidata
al Magistero della Chiesa - e che non vi possono essere altre rivelazioni che ad essa
aggiungono qualcosa.

87 «Respondeo dicendum quod infidelitas dupliciter accipi potest. Uno modo, secundum puram negationem, ut
dicatur infidelis ex hoc solo quod non habet fidem. Alio modo potest intelligi infidelitas secundum contrarietatem
ad fidem, quia scilicet aliquis repugnat auditui fidei, vel etiam contemnit ipsam, secundum illud Isaiae LIII, quis
credidit auditui nostro? Et in hoc proprie perficitur ratio infidelitatis. Et secundum hoc infidelitas est peccatum. Si
autem accipiatur infidelitas secundum negationem puram, sicut in illis qui nihil audierunt de fide, non habet ratio­
nem peccati, sed magis pocnae, quia talis ignorantia divinorum ex peccato primi parentis est consecuta».
88 <<Ad secundum dicendum quod infidelitas habet et ignorantiam adiunctam, et habet renisum ad ea quae sunt

fidei, et ex hac parte habet rationem peccati gravissimi. Ex parte autem ignorantiae habet aliquam rationem excu­
sationis, et maxime quando aliquis ex malitia non peccat [ . . . )».
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 251

La nostra fede si fonda sulla rivelazione fatta agli apostoli e ai profeti, i quali scrisse­
ro i libri canonici e non ad una rivelazione, se ce ne fu qualcuna, fatta ad altri dottori.
[/, q. 1, a. 8, ad 2um]89

Egli non ha, pero, alcuna difficolta, come si e gia evidenziato, ad ammettere che vi
siano state prima di Cristo, delle forme di rivelazione privata, a singole persone, che
hanpo svelato anticipatamente delle verita su Cristo, che sono un patrimonio gia inclu­
so nella Rivelazione affidata alla Chiesa. Anzi, sembra propenso a ritenere che siano
state anche frequenti, in ordine alla salvezza dei singoli.

E probabile, tuttavia, che, prima della venuta di Cristo, il mistero della nostra
Redenzione sia stato divinamente rivelato anche a molti tra i gentili.
[De Ver, q. 14, a. 1 1 ad 5um]90

Questo sembra, a nostro avviso, e come si e rilevato anche in precedenza, un aspet­


to da tenere presente in vista di una teologia dei semina Verbi, nell' ambito di una teo­
logia delle religioni di impostazione tomista. Cio che, a tale proposito, merita di esse­
re esaminato e per quanto possibile approfondito, e il concetto e insieme il "modello"
di ispirazione. Questo, in Tommaso, si trova ad essere come una base comune sia della
Rivelazione ufficiale e pubblica - che si e conclusa con la morte dell'ultimo aposto­
lo - sia delle rivelazioni private che, non solo possono essersi verificate prima di
Cristo, rna che, in varie forme, si sono presentate anche successivamente nel corso
della storia, e potranno ancora presentarsi, e sulla cui autenticita tocca alla Chiesa
esprirnere il giudizio.
Egli spiega anche, come vi siano delle rivelazioni dopo I' avvento di Cristo e la fine
dell'epoca apostolica, e come queste non abbiano il compito di aggiungere ulteriori
contenuti, quanto quello di richiamare alla fede e ad un comportamento adeguato al
conseguimento della salvezza.
In tutti i tempi non sono mancati degli uomini che hanno avuto lo Spirito della profe­
zia, rna non per aggiungere una nuova dottrina di fede, quanta per guidare l'agire degli
uomini.
[II-II, q. 174, a. 6, ad 3umr

89 «lnnititur enim fides nostra revelationi apostolis et prophetis factae, qui canonicos libros scripserunt, non

autem revelationi, si qua fuit aliis doctoribus facta».


90 <<Probabile tamen est multis etiam gentilibus ante Christi adventum mysterium redemptionis nostrae fuisse

divinitus revelatum».
91 «Et singulis temporibus non defuerunt aliqui prophetiae spiritum habentes, non quidem ad novam doctrinam

fidei depromendam, sed ad humanorum actuum directionem».


252 ALBERTO STRUMIA

Siamo consapevoli del fatto che san Tommaso impiegasse il termine "rivelazione"
in modo diverso da noi oggi: per lui "rivelazione" era quasi sinonimo di cia che noi
denotiamo con la parola "ispirazione", mentre quest'ultimo termine denotava propria­
mente il processo cognitivo che prelude alla "rivelazione" (cfr. infra, §2.1). Per noi
"Rivelazione" ha un significato molto pili ampio e teologicamente rilevante: e la dona­
zione personale e libera di Dio che si comunica al mondo; nella comprensione della
Rivelazione gioca, inoltre, un ruolo importante la Tradizione, oltre alla Scrittura e 1' e­
sperienza stessa della Chiesa.92

2.1. LA PROFEZIA COME "MODELLO COGNITIVO-TEOLOGICO" DELLA RIVELAZIONE ISPIRATA


E interessante constatare come Tommaso tratta tutte le forme di rivelazione secon­
do un unico "modello" che descrive il "processo" dell'ispirazione: di questo egli parla
principalmente trattando della profezia, che e un particolare tipo di carisma (gratia
gratis data). La nozione di "profezia" per lui e molto ampia, in quanto raccoglie in se
ogni carisma legato alla "conoscenza"93 e ogni forma di "rivelazione divina", con o
senza visioni o manifestazioni sensibili. In effetti, l'ampiezza di questa nozione vede,
nei suoi testi, un dilatarsi - rispetto alla nozione comune e popolare, presente anche
nella Sacra Scrittura, che fa del profeta un visionario che minaccia e predice, preva­
lentemente, sciagure - fino a quel massimo di generalita che ne coglie il tratto essen­
ziale. Questo si trova espresso splendidamente e sinteticamente, nel seguente passo
della Summa theologiae.
Tutti [i carismi] che riguardano Ia conoscenza possono essere ricompresi sotto Ia "pro­
fezia". Infatti Ia rivelazione profetica non si estende solo agli eventi futuri che riguar­
dano gli uomini, rna anche aile realta divine, e aile cose che vengono proposte a tutti
come oggetto di fede, e ai misteri piu elevati attingibili dai piu esperti, che riguardano
Ia sapienza. E c' e anche una rivelazione profetica intomo a cio che riguarda le sostan­
ze spirituali, dalle quali possiamo essere indotti al bene o al male, che riguarda il
discemimento degli spiriti. E si estende anche alia guida dell'agire umano, aspetto che
riguarda Ia scienza, come vedremo.
[II-II, q. 171, pr]94

92 Cfr. sull'argomento: J. RATZINGER, Die Geschichtstheologie des hl. Bonaventura, Schnell & Steiner, Miinchen

1959.
93 Si puii trattare, per lui, sia di conoscenze irraggiunbili dalla sola ragione naturale che di conoscenze razio­
nalmente attignbili, che vengono date comunque soprannutralmente, per una ispirazione che le rivela a! soggetto.
94 <<Omnia vero quae ad cognitionem pertinent, sub prophetia comprehendi possunt. Nam prophetica revelatio
se extendit non solum ad futuros hominum eventus, sed etiam ad res divinas, et quantum ad ea quae proponuntur
omnibus credenda, quae pertinent ad fidem, et quantum ad altiora mysteria; quae sunt perfectorum, quae pertinent
ad sapientiam; est etiam prophetica revelatio de his quae pertinent ad spirituales substantias, a quibus vel ad bonum
vel ad malum inducimur, quod pertinet ad discretionem spirituum; extendit etiam se ad directionem humanorum
actuum, quod pertinet ad scientiam; ut infra patebit». Dalla nozione di profezia, nel senso comune del !ermine, che
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 253

Cia che ci interessa, ai fini del nostro problema, non e l'intera dottrina tornista della
profezia, quanto questa nozione di "ispirazione", come un rivelarsi al soggetto di con­
tenuti di conoscenza, e il modello del processo cognitivo che la realizza. Secondo il
modello che viene ricavato dalla descrizione della profezia presente nella Sacra
Scrittura:
a) la mozione dello Spirito Santo eleva le capacita cognitive della mente per ren­
derla atta a conoscere cia che Dio vuole comunicarle: e questa prima azione sopran­
naturale parte da Dio stesso e costituisce l'ispirazione;
b) nella mente cosi elevata vengono impressi dei contenuti di conoscenza che essa
non conosceva da sola: e questa seconda operazione viene detta rivelazione. Questa,
propriamente, riguarda conoscenze di per se inattingibili dalla ragione umana di
chiunque (revelatum "per se ), rna in taluni casi pua riguardare anche conoscenze
"

che, almeno per alcuni uomini, possono essere raggiungibili anche con la sola ragio­
ne (revelatum "per accidens ").95
I passi tomisti nei quali si parla della profezia sono assai numerosi.96 Tra i principa­
li si possono citare almeno le intere questioni:

De Ver, q. 12;
II-II, qq. 171-174.
e le intere lezioni di commenti biblici:
Sup Is, cp. 1;
Sup I Cor, 14, 1. 1;
Sup Heb, 11, 1. 7;
oltre a:
- CG, L. 3, c. 154, nn. 18 e 22;

Per i nostri scopi e sufficiente considerare i seguenti passi della Summa Theologiae
e della Summa contra gentiles.

consiste nella predizione corretta dei "futori contingenti" (detta profezia in senso "proprio", in Sup Is, cp. 1 , 1. 1,
mentre le altre forme sono dette qui "improprie"), alia conoscenza piu generale di cio che e lontano dalla nostra
portata, e che eccede le possibilitii della ragione (cfr. Sup I Cor, cp. 14, l. 1), fino alia conoscenza stessa dell'cs­
senza di Dio (cfr. De ver, q. 12, a. 1 co).
95 «Quaedam enim sunt procul utpote ornnem cognitionem humanam excedentia, ut Dcum esse trinum et unum,

et alia huiusmodi: et talia non sunt conclusiones scientiarum. Quaedam vero sunt procul utpote exc:edentia cogni­
tionem alicuius hominis, non cognitionem humanam simpliciter; utpote quae a doctis per demonstrationem sc:iun­
tur, sed indocti naturali cognitione ad ea non pertingunt, sed quandoque elevantur ad ea revelationc divilla» (De
Ver, q. 12, a. 2 co).
96 I! lemma prophetia compare nelle opere autentiche ben 662 volte.
254 ALBERTO STRUMlA

2.1.1. Testi della Summa Theologiae - "lspirazione " e "rivelazione "


Testo n. 1 (//-//, q. 171, a. 1, ad 4um)
Questo primo passo illustra il processo cognitivo della profezia nei due elementi
fondamentali che sono quello dell'ispirazione, che eleva Ia mente fino al livello neces­
saria per accogliere i contenuti superiori che devono essere comunicati, e quello della
rivelazione che consiste nella vera e propria comunicazione di contenuti.
Nella profezia si richiede che l'intelligenza della mente sia elevata fino a poter perce­
pire le cose divine, per cui si dice in Ez 2, figlio dell'uomo, stai ben sa/do sui tuoi piedi
e io ti parlero. Questa elevazione dell'intelligenza avviene per un moto dello Spirito
Santo, per cui ivi (v. 2) si aggiunge, ed entro in me /o Spirito, e mi rese stabile sui miei
piedi.
Dopo che Ia mente e stata elevata a un livello superiore, inizia a percepire le realta
divine, per cui aggiunge, e udii che par/ava a me.
Dunque alia profezia si richiede
- l'ispirazione per l'elevazione della mente; cfr. Gb 32, /'ispirazione dell'Onnipotente
da intelligenza;
- e Ia rivelazione per Ia percezione delle realta divine, nella quale si completa Ia pro­
fezia; ad opera di questa si rimuove l'oscurita e il velo dell'ignoranza; cfr Gb 12, Lui
che rive/a le profondita dalle tenebre.
[II-II, q. 171, a. 1, ad 4umr7

Testo n. 2 (//-//, q. 174, a. 6 co)


Nel testo seguente, invece, san Tommaso non si occupa del processo cognitivo,
quanto dell'aspetto storico e della funzione della profezia nell'economia della
Salvezza. Cosi descrive sia Ia periodizzazione che le corrispondenti funzioni della
Rivelazione e delle rivelazioni che da essa dipendono.

97 «In prophetia requiritur quod intentio mentis elevetur ad percipienda divina, unde dicitur Ezech. 2, fili homi­

nis, sta super pedes tuos, et loquar tecum. Haec autem elevatio intentionis fit spiritu sancto movente, unde ibi sub­
ditur, et ingressus est in me spiritus, et statuit me super pedes meos. Postquam autem intentio mentis elevata est
ad supema, percipit divina, unde subditur, et audivi loquentem ad me. Sic igitur ad prophetiam requiritur inspira­
tio quantum ad mentis elevationem, secundum illud lob XXXII, inspiratio omnipotentis dat intelligentiam, reve­
latio autem, quantum ad ipsam perceptionem divinorum, in quo perficitur prophetia; per ipsam removetur obscu­
ritatis et ignorantiae velamen, secundum illud lob XII, qui revelat profunda de tenebris». Vale Ia pensa precisare
come Tommaso abbia impiegato piu volte, anche trattando della profezia (cfr. ad es. ll-ll, q. 171, a. 2co), il termi­
ne «lumen>> (Ia dottrina del lumen ricorre con grande frequenza in tutta Ia sua opera), che e pen) piu generico del
termine «inspiratio>>, tanto che egli puo applicarlo secondo un'ampiezza che, oltre a considerare Ia luce in senso
fisico (<<lumen corporale>>, <<lumen in aere»), spazia dal livello della ragione naturale (<<lumen naturalis rationis>>),
a quello che eccede Ia ragione stessa (<<lumen intelligibile excedens lumen naturalis rationis>>, <<lumen fidei>>), fino
a! <<lumen gloriae». E in questo ad 4um, egli precisa come il <<lumen propheticum>> che non e un habitus perma­
nente (<<per modum formae permanentis»), si possa attuare mediante un duplice processo cognitivo: quello ele­
vante della <<inspiratio>> e successivamente quello della vera e propria «revelatiO>>. In questo senso Ia <<inspiratio»
indica i1 primo livello cognitivo attraverso cui si realizza il <<lumen propheticum>>.
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 255

La profezia e ordinata alia conoscenza della verita divina, in vista della contempla­
zione della quale, non solo siamo istruiti nella fede, rna siamo guidati anche nel
nostro agire, secondo quanto dice il salmo, manda Ia tua luce e Ia tua verita, che mi
condurranno. E Ia nostra fede consiste principalmente in due cose.
- In primo luogo, nella vera conoscenza di Dio; cfr. Eb 11, chi infatti s 'accosta a
Dio deve credere che egli esiste;
- in secondo luogo, nel mistero dell'incamazione di Cristo; cfr. Gv 14, credete in
Dio e credete anche in me.

Quanta alia conoscenza dell'esistenza di Dio e dei suoi principali attributi, cia che
Tommaso afferma in merito alia profezia dell' Antico Testamento, ha un qualche valo­
re, pur con le debite differenze, anche in rapporto alle religioni (e filosofie), quando
alcune delle stesse verita, come dei semina Verbi, sono state additate dai loro fondato­
ri e maestri.
Se, dunque, parliamo della profezia in quanto e ordinata alia fede in Dio, questa si svi­
luppo secondo una triplice distinzione di tempi, e cioe: prima della Legge, sotto Ia
Legge e sotto Ia Grazia. Prima della Legge, Abramo e gli altri padri furono istruiti pro­
feticamente su cio che riguarda Ia fede in Dio. E per questo vengono chiamati "profe­
ti"; cfr. il detto del salmo, non disprezzate i miei profeti, con riferimento particolare ad
Abramo e Isacco.

La funzione delle religioni e rilevante, in modo particolare, in ordine alia istru­


zione di «Un intero popolo (totum populum)» al rispetto della Iegge naturale e alia
conoscenza della natura di Dio, e non appena dei singoli, a somiglianza di come lo
fu, anche se in maggior grado (plenius), Ia Iegge vetero-testamentaria per il popolo
ebraico.
Sotto Ia Legge, fu data una rivelazione profetica su cio che riguarda Ia fede in Dio, piu
approfondita di quella precedente, perche non bastava istruire solo alcune singole per­
sone o singole famiglie, rna un intero popolo. Per questo Dio dice a Mose, in Es 6, /o
sono il Signore! Sono apparso ad Abramo, a /sacco, a Giacobbe come Dio onnipo­
tente, ma con il mio nome di Signore non mi son manifestato a /oro. Infatti i padri pre­
cedenti furono istruiti genericamente sull'onnipotenza di Dio, mentre Mose fu istrui­
to piu profondamente sulla semplicita dell'essenza divina, come si dice in Es 3, /o
sono Colui che sono, il cui nome viene indicato [sostitutivamente] dai giudei con
Adonai, per rispetto al suo nome [ vero] che non puo essere pronunciato.

Per quanta riguarda Ia conoscenza di Cristo, si rileva che Ia vicinanza a Lui com­
porta una maggior prossimita alle verita credute nella fede della Chiesa. Tommaso lo
dice intendendo Ia prossimita in sensa cronologico, rna ovviamente questa vale anche
nel senso della "inclusione" nella Chiesa.
Quanto alla fede nell'incamazione di Cristo, e chiaro che coloro che furono piu vici­
ni a Cristo, sia prima che dopo, nella maggior parte dei casi, furono istruiti piu piena­
mente su di essa. E di piu dopo che prima, come dice l'Apostolo agli Efesini (cap. 3).
256 ALBERTO STRUMIA

E anche dal punto di vista della funzione moralizzatrice le religioni, quando sono
autentiche, hanno una funzione di richiamo ad una condotta buona che consente di
governare Ia vita di una nazione.
In ordine ad una guida per 1' agire umano, la rivelazione profetica non si diversifica
secondo un criterio temporale, rna secondo le situazioni delle persone; come si dice in
Pr 29, se venisse meno Ia profezia, if popolo si disso/verebbe nella corruzione. Per cui
in ogni tempo gli uomini vengono istruiti divinamente su come agire, in vista della sal­
vezza degli eletti.
[II-II, q. 174, a. 6 cot8

2.1.2. Testo della "Summa contra gentiles " - Rivelazione, Scrittura e interpretazione
Questo testo della Summa contra gentiles (CG, L. 3, c. 154, n. 18), ha un carattere
e uno scopo molto diversi ed e particolarmente importante: lo scopo dell' opera essen­
do apologetico, tiene in particolare rilievo sia Ia prospettiva storica che il problema
della Scrittura, includendo anche il problema ermeneutico.99

98 «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, prophetia ordinatur ad cognitionem divinae veritatis, per cuius

contemplationem non solum in fide instruimur, sed etiam in nostris operibus gubernamur, secundum illud Psalmi,
emitte lucem tuam et veritatem tuam, ipsa me deduxerunt. Fides autem nostra in duobus principaliter consistit,
primo quidem in vera Dei cognitione, secundum illud Heb. 1 1 , accedentem ad Deum oportet credere quia est;
secundo, in mysterio incarnationis Christi, secundum illud loan. 14, creditis in Deum, et in me credite. Si ergo de
prophetia loquamur inquantum ordinatur ad fidem deitatis, sic quidem crevit secundum tres temporum distinctio­
nes, scilicet ante legem, sub lege, et sub gratia. Nam ante legem, Abraham et alii patres prophetice sunt instructi
de his quae pertinent ad fidem deitatis. Unde et prophetae nominantur, secundum illud Psalmi, in prophetis meis
nolite malignari, quod specialiter dicitur propter Abraham et Isaac. Sub lege autem, facta est revelatio prophetica
de his quae pertinent ad fidem deitatis excellentius quam ante, quia iam oportebat circa hoc instrui non solum spe­
ciales personas aut quasdam familias, sed totum populum. Unde dominus dicit Moysi, Exod. 6, ego dominus, qui
apparui Abraham, Isaac et Jacob in Deo omnipotente, et nomen meum Adonai non indicavi eis, quia scilicet prae­
cedentes patres fuerunt instructi in communi de omnipotentia unius Dei, sed Moyses postea plenius fuit instructus
de simplicitate divinae essentiae, cum dictum est ei, Exod. 3, ego sum qui sum; quod quidem nomen significatur a
Iudaeis per hoc nomen Adonai, propter venerationem illius ineffabilis nominis. Postmodum vero, tempore gratiae,
ab ipso filio Dei revelatum est mysterium Trinitatis, secundum illud Matth. ult., euntes, docete omnes gentes, bap­
tizantes eos in nomine patris et filii et spiritus sancti. In singulis tamen statibus prima revelatio excellentior fuit.
Prima autem revelatio ante legem facta est Abrahae, cuius tempore coeperunt homines a fide unius Dei deviare, ad
idololatriarn declinando, ante autem non erat necessaria talis revelatio, omnibus in cultu unius Dei persistentibus.
Isaac vero facta est inferior revelatio, quasi fundata super revelatione facta Abrahae, unde dictum est ei, Gen. 26,
ego sum Deus patris tui Abraham. Et similiter ad Iacob dictum, Gen. 28, ego sum Deus Abraham, patris tui, et
Deus Isaac. Similiter etiam in statu legis, prima revelatio facta Moysi fuit excellentior, supra quam fundatur omnis
alia prophetarum revelatio. Ita etiam in tempore gratiae, super revelatione facta apostolis de fide unitatis et
Trinitatis fundatur tota fides Ecclesiae, secundum illud Matth. 16, super hanc petram, scilicet confessionis tuae,
aedificabo Ecclesiam meam. Quantum vero ad fidem incarnationis Christi, manifestum est quod quanto fuerunt
Christo propinquiores, sive ante sive post, ut plurimum, plenius de hoc instructi fuerunt. Post tamen plenius quam
ante, ut apostolus dicit, ad Ephes. 3. Quantum vero ad directionem humanorum actuum, prophetica revelatio diver­
sificata est, non secundum temporis processum, sed secundum conditionem negotiorum, quia, ut dicitur Prov. 29,
cum defecerit prophetia, dissipabitur populus. Et ideo quolibet tempore instructi sunt homines divinitus de agen­
dis, secundum quod erat expediens ad salutem electorum>>.
99 In questo senso siamo molto piu vicini all'impostazione moderna della teologia.
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 257

In prima luogo si presenta la profezia come elemento probante della storicita dei
Vangeli: cio che questi narrano e storico e non un'invenzione fantastica, rna l'attuarsi
di quanto fu previsto dai profeti.
Cio che costituisce l'oggetto della predicazione della fede e attestato, in un altro modo,
anche dalla profezia. Infatti, sono avvenimenti storici quelli che vengono predicati per
essere accolti mediante la fede, come la nascita di Cristo, la Sua passione e risurre­
zione, ecc.
E perche non si pensi che questi sono stati inventati da coloro che li predicano, siano
avvenuti a caso, sono resi credibili dal fatto di essere stati predetti molto tempo prima
dai profeti.
[CG, L. 3, c. 154, n. 18]100

In secondo luogo si motiva: a) la necessita della Scrittura, come forma nella quale
e stato necessaria fissare la Rivelazione della quale, nei testi precedenti, si e descritto
il processo cognitivo; b) la necessita di un'interpretazione autentica della Scrittura nei
tempi successivi.
Dopo il livello di coloro che ricevono la Rivelazione immediatamente da Dio, si rende
necessaria un secondo livello di azione della grazia. Infatti gli uomini ricevono la
Rivelazione da Dio non solo per il tempo presente, rna anche per istruire tutti quelli
dei tempi futuri.
- E per questo fu necessaria che non ci si lirnitasse a narrare a voce, ai presenti, cio
che veniva rivelato, rna che lo si scrivesse ad istruzione di quelli che sarebbero venuti
dopo.
- E fu necessaria anche che ci fossero alcuni che interpretassero questi scritti. E que­
sto deve avvenire con la grazia divina, cos! come per grazia fu data la Rivelazione.
[CG, L. 3, c. 154, n. 19]101

2.2. RIVELAZIONI PRIVATE


Innanzitutto, Tommaso rileva come, in ordine alla salvezza, furono date, per una
grazia personale anche piena, rivelazioni e apparizioni private a singole persone, anche
prima di Cristo; e fa intendere che queste non hanno avuto un rilievo pubblico troppo
grande e, comunque, non di portata universale, perche non era ancora giunto i1 tempo
della "presenza" della pienezza di grazia e quindi della "visibilita".

100 <<Attestatur autem praedicationi fidei prophetia per alium modum: inquantum scilicet aliqua fide tenenda
praedicantur quae temporaliter aguntur, sicut nativitas Christi, passio et resurrectio, et huiusmodi; et ne huiusmo­
di ficta a praedicantibus esse credantur, aut casualiter evenisse, ostenduntur Ionge ante per prophetas praedicta>>.
101 <<Post gradum autem illorum qui immediate revelationem a Deo recipiunt, est necessarius alius gratiae gra­

dus. Quia enim homines revelationem a Deo accipiunt non solum pro praesenti tempore, sed etiam ad instructio­
nem omnium futurorum, necessarium fuit ut non solum ea quae ipsis revelantur, sermone narrarentur praesentibus;
sed etiam scriberentur ad instructionem futurorum. Unde et oportuit aliquos esse qui huiusmodi scripta interpre­
tarentur. Quod divina gratia esse oportet, sicut et ipsa revelatio per gratiam dei fuit>>.
258 ALBERTO STRUMlA

Sebbene alcuni padri dell' Antico Testamento avessero ricevuto una grazia personale
in pienezza, tuttavia il loro non era ancora il tempo della grazia, a causa dell'impedi­
mento del peccato originale, al quale non era stato dato ancora il rimedio della morte
di Cristo nella natura umana, per cui non doveva essere significata la pienezza di gra­
zia come fosse gia presente, rna solo come futura, attraverso le apparizioni e i sacra­
menti della Legge.
[/ Sent, d. 16, q. 1, a. 2 ad 1umJI02

Di riferimenti a rivelazioni private che contengono elementi che si riferiscono ai


contenuti e agli eventi della Rivelazione pubblica, se ne trovano, poi, diversi nell' ope­
ra di san Tommaso. AI di la del valore per noi degli esempi in se stessi, e dell'autenti­
cita storica dei fatti riportati, cia che e interessante e il fatto che, dal punta di vista teo­
logico, egli amrnette e motiva la possibilita di rivelazioni private, avvenute al di fuori
del contesto ecclesiale, il cui contenuto fa riferimento ad eventi, o addirittura allude o
coincide con elementi propri della Rivelazione giudeo-cristiana.
Nel seguente testa del Sententiarum, ad esempio, si allude a rivelazione intomo alia
nascita di Cristo.
Benche aile altre genti non fosse stata data divinamente la Iegge comune a tutti, come
ai Giudei, dal quale nascera Cristo [ . . . ] tuttavia, anche a molti gentili, furono fatte da
angeli delle rivelazioni anche su Cristo, come risulta dal caso della Sibilla che profe­
to espressamente intomo a Cristo. Nelle storie romane si Iegge anche che, ai tempi del­
l'imperatore Costantino, fu trovato in Grascia un corpo in un sepolcro con una lamina
d 'oro sui petto, sulla quale era scritto: Cristo nascera da una vergine e io credo in Lui.
0 sole, mi rivedrai al tempo di Irene e Costantino. In ogni caso, anche coloro ai quali
non fu fatta alcuna rivelazione poterono salvarsi, pur non avendo mai sentito parlare
della Legge mosaica, ne ne sapessero qualcosa, perche quella Legge non era data a
tutti, rna solo ai giudei; per cui gli altri non peccavano se non osservavano le prescri­
zioni della Legge. Cosi anche per la Legge di Cristo, che e stata pronunciata per tutti.
Si salvavano, tuttavia, per la "fede implicita" nel Redentore, ponendo la loro fede nella
conoscenza di Dio propria o di quanti erano stati istruiti da Dio, indifferentemente,
chiunque essi fossero; cosi come i giudei in relazione a cio che non era stato loro anco­
ra rivelato, purche non si ostinassero contro chi predicava la fede.
[III Sent, d. 25, q. 2, a. 2b ad 3um]103

102
<<Ad primum igitur dicendum, quod quamvis aliqui patres veteris testamenti gratiam plenissirnam acceperint
persona/em, tamen quia nondum erat tempus gratiae, propter impedimentum originalis peccati, a quo nondum
morte christi natura humana remedium acceperat, ideo non debuit significari plenitudo gratiae ut praesens, sed tan­
tum ut futura in apparitionibus et legalibus sacramentis».
103
<<Ad tertium dicendum, quod quamvis aliis gentibus non esset data lex divinitus communiter omnibus sicut
judaeis, ex quibus nasciturus erat Christus, et sic oportebat in eis potius fidem vigere; tamen multis etiam gentili­
bus revelationes per angelos factae sunt etiam de Christo, sicut patet de Sybilla, quae de Christo expresse prophe­
tavit. In historiis romanis etiam Jegitur, quod temporibus Constantini imperatoris inventum fuit in grascia quod­
dam corpus in sepulcro quodam habens Jaminam auream supra pectus, in qua scriptum erat: Christus nascetur ex
virgine et credo i11 eum. 0 sol, sub Irenes et Constantini temporibus iterum me videbis. llli etiam quibus specialis
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 259

Lo stesso argomento e ripreso anche nel De veritate.


E probabile, tuttavia, che anche a molti dei gentili, prima dell'avvento di Cristo, il
mistero della Redenzione sia stato divinamente rivelato, come risulta nel caso dei vati­
cini della Sibilla.
[De Ver, q. 14, a. 1 1 ad 5umJI04

E nella Summa theologiae.


A molti gentili fu fatta una rivelazione su Cristo, come risulta dalle predizioni. Infatti,
in Gb 19, si dice, so che il mio Redentore e vivo. E anche Ia Sibilla ha preannunciato
delle cose vere intomo a Cristo, come dice Agostino.
Si trova, infatti, nella storia dei romani [Ia testimonianza] che, al tempo di Costantino
Augusto, e di Irene sua madre, fu trovato un sepolcro in cui era deposto un uomo che
portava sui petto una lamina d'oro sulla quale era scritto, Cristo nascera dalla Vergine
e io credo in Lui. 0 sole, del tempo di Costantino e di Irene, tu mi vedrai di nuovo.
[II-II, q. 2, a. 7, ad 3um]'05

Un altro breve riferimento alle Sibille si trova anche nel cenno seguente, la dove si
parla dei profeti del demonio.
Per cui anche le Sibille predissero molte cose vere intomo a Cristo.
[II-II, q. 172, a. 6, ad 1umJ 106

Anche se in alcuni casi si tratta di rivelazioni in ordine alla salvezza personale di


singoli individui, l'esempio della Sibilla potrebbe lasciare intendere, piuttosto, una
certa ricaduta pubblica della profezia, pur non essendo all'origine di alcuna nuova reli­
gione. Sembra legittimo domandarsi se simili rivelazioni possano essere, sia in linea
di principia, che esserlo state de facto - cosa che dovrebbe essere analizzata, per quan­
ta possibile ( ! ), mediante uno studio storico specifico - all'origine di una religione sto­
rica che risponda alle caratteristiche di una religione vera. In questa caso esse non

revelatio facta non fuerat, salvari poterant, etiam si nihil de Lege Moysi audissent, neque aliquid de ea scirent, quia
Lex ilia non erat omnibus data, sed tantum judaeis; unde alii non peccabant si legis observantias non servarent.
Secus autem est de Lege Christi, quae omnibus pronuntiata est. Salvabantur tamen fide implicita redemptoris,
implicando fidem suam in cognitione Dei, vel eorum qui a Deo docti erant, indeterminate, quicumque illi essen!;
sicut majores judaeorum quantum ad ea quae eis nondum fuerant revelata, dum contrarium pertinaciter non tene­
rent contra praedicantem fidem>>.
104 «Probabile tamen est multis etiam gentilibus ante Christi adventum mysterium redemptionis nostrae fuisse
divinitus revelatum, sicut pate! ex sibyllinis vaticiniis>>.
105
«Ad tertium dicendum quod multis gentilium facta fuit revelatio de christo, ut patet per ea quae praedixerunt.
Nam lob 19 dicitur, scio quod redemptor meus vivit. Sibylla etiam praenuntiavit quaedam de Christo, ut
Augustinus dicit. Invenitur etiam in historiis romanorum quod tempore Constantini Augusti et Irenae matris eius
inventum fuit quoddam sepulcrum in quo iacebat homo auream laminam habens in pectore in qua scriptum erat,
Christus nascetur ex virgine et credo in eum. 0 sol, sub Irenae et Constantini temporibus iterum me videbiS>>.
106
«Unde etiam Sibyllae multa vera praedixerunt de Christo».
260 ALBERTO STRUMiA

avrebbero, naturalmente, Gesu Cristo come contenuto esplicito, rna delle verita su Dio,
sull'immortalita dell'anima umana, ecc., e altro ancora.
Certamente l'ottica con la quale oggi guardare a questo tipo di rivelazioni, si inse­
risce in un clima molto diverso, rna i1 nodello della ispirazione-rivelazione proposto
da Tommaso pare applicabile anche per descrivere il processo cognitivo che permette
il formarsi dei semina Verbi presso culture e religioni non cristiane, attraverso la
mediazione di singole persone che, profeticamente, le comunicano ad un gruppo e ad
un intero popolo, attraverso gli insegnamenti creduti aderendo ad una religione.
E interessante anche rilevare come la fede in queste rivelazioni private appaia, in
certo modo, contrapposta alla fede implicita di colora che si sono salvati senza tali
rivelazioni, come una sorta di livello intermedio che si colloca tra la "fides implicita"
e la "fides esplicita" della Chiesa.
Sembra trattarsi, come si e osservato in precedenza, di una fede che e "incoativa",
cioe parzialmente esplicita rna incompleta, nel senso che e
- esplicita in rapporto al contenuto particolare conosciuto tramite la rivelazione
privata
....:. distorta in rapporto ad almeno alcuni di quei contenuti che sono creduti rna non
fanno parte della rivelazione privata, siano essi attingibili o non attingibili dalla
ragione naturale.

3. Chiesa e religioni non cristiane

3.1. IL PROBLEMA DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO


Uno dei temi verso i quali, a partire dal Vaticano II, si e particolarmente sensibili in
ambito ecclesiale, sia dal punto di vista pastorale che da quello piu propriamente teo­
logico e quello del "dialogo" tra le religioni. In questa sezione cercheremo di esami­
nare se e come questo problema sia stato affrontato nella teologia di san Tommaso.
Iniziamo con un rilievo di carattere terminologico: cio che oggi individuiamo con i1
termine "dialogo" trova una certa corrispondenza con quanto egli denota come «com­
municatio». In particolare si tratta: a) della "comunicazione" con gli "infedeli" per
quanto riguarda il rapporto con i "gentili" o "pagani" e, quindi con colora che hanno
praticato una forma di religione non cristiana; b) della "comunicazione" e della par­
ziale "comunione"107 con gli eretici, in quanto cristiani non in piena comunione con la
Chiesa cattolica.

107 II !ermine communicatio riveste il duplice significato di comunicazione e di comunione. Sull'impiego del !er­
mine "communicatio", specialmente in relazione a! dialogo in san Tommaso, rinviamo a: J. BoBIK, Aquinas on
communicatio: The Foundation ofFriendship and caritas, "The Modern Schoolman" (1986), pp. 1-18; A. MAIO,
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 261

Per usare il linguaggio odierno, il primo aspetto riguarda propriamente il problema


del dialogo interreligioso, mentre il secondo quello del dialogo ecumenico.

Primo elemento necessario per il dialogo: il superamento del relativismo religioso

11 relativismo religioso incomincia la dove si afferma che ognuno si sceglie il suo


Dio, secondo la propria personate opinione e, quindi, ognuno puo farsi una propria
religione, o ritenere vera una religione sulla base del proprio arbitrio. San Tommaso
precisa, in questo passo della questione che tratta dei nomi divini (/, q. 13), che con il
nome "Dio'', senza specificazioni e con la iniziale maiuscola, chiunque intende il
"vero" Dio, termine che ha essenzialmente lo stesso significato per tutti, indipenden­
temente dal fatto che tale appellativo possa essere erroneamente attribuito a chi Dio
non e, rna idolo.
La molteplicita dei nomi non risiede tanto nel numero di colora che li pronunciano,
rna nei significati in cui li si usa: ad esempio, il nome "uomo", da chiunque venga
detto, sia in riferimento a qualcosa di vero che a qualcosa di falso, si dice secondo uno
stesso significato. Lo si direbbe in modo molteplice [o equivoco] se, con questa nome,
uno intendesse significare con "uomo" cio che e veramente un uomo, e un altro inten­
desse significare una pietra, o qualcosa d'altro.
Per cui e chiaro che un cattolico che dice che un idolo non e Dio, si pone in contrad­
dizione con un pagano che dice, invece, che lo e, perche entrambi intendono usare il
nome "Dio'' per significare il vero Dio. Infatti, quando un pagano dice che un idolo e
Dio, non intende usare tale nome che per indicare un dio opinabile, nella stesso modo
con cui un cattolico direbbe che gli dei dei pagani sono demoni.
[/, q. 13, a. 10, ad 1umr08

Questo testo e interessante in quanto, contro ogni relativismo, chiarisce implicita­


mente che non si puo parlare di religione vera solo soggettivamente, tributata ad un dio
inteso equivocamente, come ciascun soggetto vuole intenderlo. La vera religione e
quella che tributa al vero Dio il culto dovuto. 11 dialogo, allora, si puo istituire per con­
frontarsi sugli argomenti a favore della verita di una religione, individuando gli ele­
menti di verita che diverse religioni hanno in comune ed evidenziando gli elementi

ll concetto di comunicazione. Saggio di lessicografia filosofica e teologica sui tema di communicare in Tommaso
d'Aquino, Editrice Pontificia Universita Gregoriana, Roma 1998; L.J. Elders, II dialogo in san Tommaso, "Doctor
Communis", n.s. 1, (2001), pp. 133-153.
108
<<Ad primum ergo dicendum quod nominum multiplicitas non attenditur secundum nominis praedicationem,
sed secundum significationem, hoc enim nomen homo, de quocumque praedicetur, sive vere sive false, dicitur uno
modo. Sed tunc multipliciter diceretur, si per hoc nomen homo intenderemus significare diversa, pula, si unus
intenderet significare per hoc nomen homo id quod vere est homo, et alius intenderet significare eodem nomine
lapidem, vel aliquid aliud. Unde pate! quod catholicus dicens idolum non esse Deum, contradicit pagano hoc asse­
renti, quia uterque utitur hoc nomine Deus ad significandum verum Deum. Cum enim paganus dicit idolum esse
Deum, non utitur hoc nomine secundum quod significat deum opinabilem, sic enim verum dicere!, cum etiam
catholici interdum in tali significatione hoc nomine utantur, ut cum dicitur, omnes dii gentium daemonia>>.
262 ALBERTO STRUMiA

erronei, con argomenti razionali e non con pure e semplici prese di posizione immoti­
vate. 11 punta fondamentale per il dialogo e, allora, in prima luogo, la questione della
verita in se stessa e, in secondo luogo, quella della verita di una religione.

Secondo elemento: la fermezza della fede e la chiarezza sulla propria identita cristiana
11 secondo elemento necessaria ad un dialogo interreligioso che sia autenticamente
tale, consiste nella solidita della fede e nella chiara consapevolezza e conoscenza della
propria identita cristiana. Per cui e sconsigliabile che nel dialogo si impegnino colora
che hanna idee confuse e una fede instabile.
Bisogna distinguere a seconda delle situazioni delle persone, dei compiti e dei
tempi.
- Se alcuni sono ben fermi nella fede e dal dialogo con i non cristiani puo scaturi­
re il loro avvicinamento alia fede, piuttosto che un allontanamento dei fedeli, non si
deve impedire un tale dialogo, specialmente se ci sia una situazione in cui e urgen­
te stabilire una chiarezza di posizioni.
- Se invece si tratta di persone impreparate e dalla fede inconsistente, che potreb­
bero rimanere disorientate, vanno dissuase e sconsigliate dall'avere eccessiva con­
fidenza con i non cristiani, se non vi e una vera necessita.
[II-II, q. 10, a. 9 cojHJ9

Terzo elemento: l'utilita per tutti i fedeli


Si deve aggiungere, poi, agli elementi precedenti, anche l'utilita per tutti i fedeli.
Non si deve creare confusione inducendo i credenti al relativismo e al dubbio. Per
Tommaso lo scopo del dialogo e quello di render ragione della verita della fede, sia a
colora che non credono, sia a colora che, pur credendo hanna dei dubbi, e delle ragio­
ni insicure.
Nel dialogo sulla fede si devono tenere presenti due cose: l'una da parte di chi sostie­
ne il dibattito, l'altra da parte di coloro che assistono ascoltando.
[II-II, q. 10, a. 7 co]

Non si puo parlare di dialogo se chi lo istituisce si colloca nella posizione di chi
considera le verita, che sono oggetto della propria fede, come "opinioni" delle quali si

109 <<Videtur esse distinguendum secundum diversas conditiones personarum et negotiorum et temporum. Si
enim aliqui fuerint firrni in fide, ita quod ex communione eorum cum infidelibus conversio infidelium magis spe­
rari possit quam fidelium a fide aversio; non sun! prohibendi infidelibus communicare qui fidem non susceperunt,
scilicet paganis vel iudaeis, et maxime si necessitas urgeat. Si autem sint simplices et infirrni in fide, de quorum
subversione probabiliter timeri possit, prohibendi sunt ab infidelium communione, et praecipue ne magnam fami­
liaritatem cum eis habeant, vel absque necessitate eis communicent». Questo testo e stato tradotto con una mag­
giore liberta e facendo uso di una terrninologia piu vicina a quella odiema, per facilitare il lettore nel riconoscere
Ia fondatezza e l'attualita dei principi che san Tommaso offre a noi anche oggi su questo problema, a proposito del
quale le ambiguita, il disorientamento e Ie falsificazioni sono tanto frequenti.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 263

puo dubitare. Infatti, sulla base dei testi precedentemente esaminati, colui che dubita
non puo considerarsi credente.
- Da parte di chi sostiene il dibattito, bisogna considerare, anzitutto, l'intento. Se
dialoga mettendo in dubbio la propria fede, con un'incertezza sulla verita della fede,
con l'intento di metterla alla prova con i vari argomenti, pecca di dubbiosita com­
portandosi come un non credente. Se, invece, dialoga sulla fede per snidare gli erro­
ri delle altre posizioni, allora svolge un compito pregevole.
- Da parte di coloro che assistono ascoltando, bisogna distinguere se sono prepara­
ti e fermi nella fede, o impreparati e incerti nella fede
[ibidem]

II dialogo, dovendosi articolare attraverso le argomentazioni razionali e una buona


conoscenza della Scrittura e della dottrina, richiede una adeguata preparazione e capa­
cita da parte di chi lo sostiene; diversamente finisce per essere controproducente anche
per chi vi assiste.
Di fronte a gente preparata e solida non ci sono problemi a dibattere sulla fede.
Di fronte a persone impreparate, bisogna distinguere, se questi sono circondati da non
cristiani che li premono per sviarli dalla fede, o non lo sono perche non ci sono dei non
cristiani nel loro territorio.
- Nel primo caso e necessaria discutere sulla fede pubblicamente, purche si trovino
delle persone in grado di farlo, che possano smontare gli errori, in modo da consoli­
dare nella fede i meno preparati. E sia indebolita, cosi, la possibilita che i non cristia­
ni provochino delle defezioni [tra i cristiani]. In questa situazione il silenzio di coloro
che hanno il compito di re�istere a chi insinua errori che stravolgono la verita della
fede, sarebbe una complicy} conferma degli errori stessi.
- Nel secondo caso, e ris6hioso dibattere sulla fede di fronte a gente impreparata, per­
che non hanno mai sentito niente di diverso da quello che hanno sempre creduto.
E non e utile per loro che stiano a sentire delle idee non cristiane che mettono in dis­
cussione la fede.
[ibidem] 1 10

1 10 <<Respondeo dicendum quod in disputatione fidei duo sunt consideranda, unum quidem ex parte disputantis;
aliud autem ex parte audientium. Ex parte quidem disputantis est consideranda intentio. Si enim dispute! tanquam
de fide dubitans, et veritatem fidei pro certo non supponens, sed argumentis experiri intendens, procul dubio pee­
cat, tanquam dubius in fide et infidelis. Si autem dispute! aliquis de fide ad confutandum errores, vel etiam ad exer­
citium, laudabile est. Ex parte vero audientium considerandum est utrum illi qui disputationem audiunt sint
instructi et firmi in fide, aut simplices et in fide titubantes. Et coram quidem sapientibus in fide firmis nullum peri­
culum est disputare de fide. Sed circa simplices est distinguendum. Quia aut sunt sollicitati sive pulsati ab infide­
libus, pula iudaeis vel haereticis sive paganis, nitentibus corrumpere in eis fidem, aut omnino non sunt sollicitati
super hoc, sicut in terris in quibus non sunt infideles. In primo casu necessarium est publice disputare de fide,
dummodo inveniantur aliqui ad hoc sufficientes et idonei, qui errores confutare possint. Per hoc enim simplices in
fide firmabuntur; et tolletur infidelibus decipiendi facultas; et ipsa tacitumitas eorum qui resistere deberent per­
vertentibus fidei veritatem esset erroris confirmatio. [ . . . ] In secundo vero casu periculosum est publice disputare
de fide coram simplicibus; quorum fides ex hoc est firmior quod nihil diversum audierunt ab eo quod credunt. Et
ideo non expedit eis ut verba infidelium audiant disceptantium contra fidem».
264 ALBERTO STRUMlA

11 dialogo e possibile a partire da qualche elemento di verita riconosciuto come


comune
Dopo avere indicato i motivi e le circostanze neUe quali il dialogo e utile e queUe
neUe quali non lo e, Tommaso indica le condizioni metodologiche ed epistemologiche
in base alle quali esso puo sussistere.

Alcuni tra loro, come i maomettani e i pagani, non hanno in comune con noi il rico­
noscimento dell'autorita di alcuna parte della Scrittura, a partire dalla quale possano
essere convinti, cosa che invece avviene per i giudei con i quali possiamo discutere a
partire dall'Antico Tenstamento, o per gli eretici con i quali possiamo utilizzare anche
il Nuovo Testamento.
Quelli non riconoscono ne l'uno ne l'altro. Per cui e necessaria ricorrere alia ragione
naturale, che tutti sono costretti a riconoscere. Questa, tuttavia, e insufficiente a tratta­
re a pieno le realta divine.
(CG, L. 1, c. 2, n. 4] 111

L'importanza del ruolo della ragione naturale, come fondamento umano universale
del dialogo, e messa bene in evidenza dall' Aquinate come condizione imprescindibi­
le, anche se non sufficiente per affrontare le tematiche della fede religiosa. Come si e
gia ampliamente rilevato in precedenza, oggi, il relativismo filosofico ha ulteriormen­
te indebolito anche il riconoscimento del livello della ragione naturale; di conseguen­
za il terreno comune a partire dal quale fondare il dialogo e divenuto via via piu ristret­
to. Rimane il terreno della scienza che possiede ancora una base di capacita dimostra­
tiva riconosciuta. Tuttavia se, come rileva Tommaso, la "ragione filosofica" naturale
che, al suo tempo si estendeva, nella pienezza dei suoi poteri, a tutti i campi della real­
til era «insufficiente (deficiens)» per trattare le realta divine, quanto piu lo e oggi la
"ragione scientifica", i cui oggetti e soprattutto i cui metodi, sono ancora piu ristretti.
Cio che occorre, per mettere a punto un dialogo non illusorio, o solamente "politico",
rna di confronto tra dei contenuti di conoscenza, e la messa a punto di una razionalita
metodologicamente "scientifica" che si estenda a tutti gli oggetti dell'esperienza
umana, con dei metodi non riduttivi, rna il piu possibile adeguati agli oggetti stessi.
Una sorta di ricostruzione della metafisica, dell'antropologia, che viene generata a
partire da una necessita fondazionale delle discipline che oggi vengono riconosciute
come scienze.

111 «[ .. ] quidam eorum, ut mahumetistae et pagani, non conveniunt nobiscum in auctoritate alicuius scripturae,
.

per quam possint convinci, sicut contra iudaeos disputare possumus per vetus testamentum, contra haereticos per
novum. Hi vero neutrum recipiunt. Unde necesse est ad naturalem rationem recurrere, cui omnes assentire cogun­
tur. Quae !amen in rebus divinis deficiens est>>.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 265

3.2. LA QUESTIONE DELLA TOLLERANZA RELIGIOSA


Sulla questione della tolleranza occorre dire che ai nostri giorni vi sono gravi incer­
tezze, spesso dettate da una comprensione poco profonda della stesso termine "tolle­
ranza", che si pone scarsamente in collegamento con categorie e termini di indole
antropologica maggiormente fondativi. A causa del relativismo filosofico, si tende a
non distinguere tra !'errore sul piano del contenuto oggettivo di un'affermazione, di
una dottrina o di una pratica religiosa e la convizione soggettiva del soggetto che la
professa o la pratica.
L'ambito delle discipline scientifiche e rimasto, forse, l'unico a mantenere chiara la
distinzione tra 1' errore di un procedimento, di una teoria, di una formulazione e la con­
vinzione personale di chi ne e autore o trasmettitore. Sul piano della tolleranza e, in
particolare della tolleranza religiosa, si tende a teorizzare la legittimita di qualunque
posizione in quanta, non ammettendo 1' esistenza di una verita oggettiva, ed essendovi
quindi solo 1' opinione, occorre riconoscere gli stessi diritti a tutte le opinioni allo stes­
so modo come se fossero tutte valide indifferentemente. Si tratta, tuttavia, di una posi­
zione che, in ambito scientifico e tuttora inammissibile.
Per Tommaso, invece, e ben chiara questa distinzione e la questione della tolleran­
za non si pone assolutamente nei confronti dell' errore dottrinale, rna solo nei confronti
dell'errante in buona fede.
L' articolo seguente mette bene in luce i diversi gradi di errori "oggettivi" nel sog­
getto e nella dottrina della fede religiosa.
Nell'infedelta, come si e detto, si possono considerare due aspetti.
- Uno deriva dal suo confronto con Ia fede. Sotto questa aspetto pecca piu grave­
mente contra Ia fede chi rifiuta Ia fede che prima aveva accolto, piuttosto che chi
rifiuta una fede che non ha mai accolto, cosi come pecca piu gravemente uno che
non mantiene una promessa che aveva fatto, piuttosto che non chi non mantiene cio
che non aveva mai promesso. Da questa punto di vista l'infedelta degli eretici che
hanno professato Ia fede del Vangelo e poi l'hanno corrotta, e piu grave di quella dei
giudei, che non l'hannd mai accolta. E nella misura in cui ne hanno accolto Ia pre­
figurazione nell' Antico1 Testamento, che hanna corrotto con un'interpretazione erro­
nea, Ia loro infedelta e piu grave di quella dei gentili, che non l'hanno mai accolta
in nessun modo.
- L'altro aspetto che si deve considerare nell'infedelta e il grado di corruzione dei
contenuti della fede. E su questa gli errori dei gentili sono di piu di quelli dei giu­
dei e di quelli degli eretici, per cui risulta piu grave l'infedelta dei gentili di quella
dei giudei di quella degli eretici.
Anche se, accidentalmente, puo capitare che degli eretici, come per esempio i manichei,
arrivino a dei livelli di errore, sulle questioni dottrinali, maggiori degli stessi gentili.
[II-II, q. 10, a. 6 cor 1 2

1 12 <<Respondeo dicendurn quod in infidelitate, sicut dictum est, duo possunt considerari. Quorum unum est com­
paratio eius ad fidem. Et ex hac parte aliquis gravius contra fidem peccat qui fidei renititur quam suscepit quam
266 ALBERTO STRUMIA.

Un testo che e interessante per chiarire i termini di cia che oggi viene chiamata "tol­
leranza", in quanto mette in luce la differenza tra gli errori in merito alla conoscenza
della verita che, in questo caso e verita in materia di fede, e gli errori morali del sog­
getto che non conosce, o non accoglie, o rifiuta dopo averla in un primo tempo accol­
ta, la verita conosciuta. In un contesto di relativismo tendono, invece, a svanire entram­
bi e vengono meno i criteri di confronto e valutazione. Per questo il problema episte­
mologico e primario anche in ordine alla praticabilita di un dialogo non apparente.
Per Tommaso, la tolleranza non viene motivata in forza del relativismo e dell' equi­
valenza di ogni opinione religiosa, rna per una sorta di "pazienza storica": come Dio
tollera alcuni mali in vista di un cammino delle persone, cosi devono fare anche gli
uomini e anche la Chiesa. Questo rende ancora piu responsabile la Chiesa nei con­
fronti della verita alla quale tutti devono essere pazientemente guidati e nella quale
tutti devono essere istruiti con delle ragioni adeguate. In ogni caso non si tratta di una
tolleranza nei confronti degli errori dottrinali che devono essere denunciati, rna nei
confronti dei riti religiosi, quando questi non siano socialmente pericolosi.
II modo di governare umano deriva dal modo di governare divino e quindi deve imi­
tarlo. Ora Dio, pur essendo onnipotente e sommamente buono, permette talvolta che
nell'universo si verifichino dei mali che potrebbe impedire, rna non lo fa per non
rimuovere anche, con essi, dei beni piu grandi o per evitare dei mali ancora peggiori.
Cosi anche nel modo di governare degli uomini coloro che sono a capo, opportuna­
mente tollerano alcuni mali, per non impedire alcuni altri beni, o per evitare mali peg­
giori [ . . . ]. E cosi, benche gli infedeli, con i Ioro riti, pecchino, si possono tollerare o
per un qualche bene che a loro possa venire, o per evitare qualche male.
Dal fatto che i giudei osservano i loro riti, nei quali un tempo veniva prefigurata Ia
verita della nostra fede, ne viene il bene della testimonianza della nostra stessa fede
anche da parte di coloro che l'avversano e, come in figura, viene rappresentato cio che
noi crediamo. Per questo possono essere tollerati quanto ai loro riti.
Mentre i riti degli altri infedeli, che non portano in se alcuna verita o una utilita, non
si possono tollerare allo stesso livello, se non accidentalmente per evitare qualche
male, come uno scandalo o un dissidio che potrebbe insorgere, o un ostacolo alia sal­
vezza di coloro che, tollerati, un po' alia volta possono convertirsi alia fede.
Per questa ragione, talvolta, Ia Chiesa ha tollerato anche i riti degli eretici e dei paga­
ni, in presenza di un gran numero di infedeli.
[II-II, q. 10, a. 1 1 co] 113

qui renititur fidei nondum susceptae, sicut gravius peccat qui non implet quod promisit quam si non impleat quod
nunquam promisit. Et secundum hoc infidelitas haereticorum, qui profitentur fidem evangelii et ei renituntur cor­
rumpentes ipsam, gravius peccant quam iudaei, qui fidem evangelii nunquam susceperunt. Sed quia susceperunt
eius figuram in veteri lege, quam male interpretantes corrumpunt, ideo etiam ipsorum infidelitas est gravius pec­
catum quam infidelitas gentilium, qui nullo modo fidem evangelii susceperunt. Aliud quod in infidelitate conside­
ratur est corruptio eorum quae ad fidem pertinent. Et secundum hoc, cum in pluribus errent gentiles quam iudaei,
et iudaei quam haeretici, gravior est infidelitas gentilium quam iudaeorum, et iudaeorum quam haereticorum, nisi
forte quorundam, pula manichaeorum, qui etiam circa credibilia plus errant quam gentiles».
113 «Respondeo dicendum quod humanum regimen derivatur a divino regimine, et ipsum debet imitari. Deus
autem, quarnvis sit omnipotens et summe bonus, permittit tamen aliqua mala fieri in universo, quae prohibere pos-
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 267

Valutazioni critiche sull'insegnamento di Maometto


Molto severa e la valutazione che Tommaso da dell'insegnamento e della figura di
Maometto nei pochi passi della sua opera che gli dedica. Si direbbe che Tommaso con­
sideri questa insegnamento come una perversione della fede giudeo-cristiana, come
una sorta di eresia114 che giunge, in certi casi, ad errori anche pili gravi di quelli dei
pagani, come nel caso dei manichei sopra citato.
Li riportiamo, senza commentarli, a titolo di documentazione.
Testa n. 1
Coloro che hanno introdotto delle sette portatrici di errori hanno seguito una via con­
traria: come risulta nel caso di Maometto che ha allettato Ia gente con Ia promessa di
piaceri camali, a desiderare i quali e Ia concupiscenza della came a spingere.
E ha trasmesso dei precetti conformi aile promesse, permissivi riguardo ai piaceri della
came, ai quali gli uomini camali sono sempre pronti ad obbedire. Mentre, tra le veri­
ta, ha accolto solo queUe che, con facilita, possono essere conosciute da chiunque pos­
siede un mediocre livello di intelligenza naturale.
E prevalentemente ha mescolato le verita che ha insegnato con molte fantasie e con dot­
trine del tutto false. Non ha neppure compiuto miracoli di origine soprannaturale, a
testimonianza inconfutabile di divina ispirazione, quando e proprio un azione visibile
che non puo essere se non di origine divina, a comprovare l'autenticita di un dottore
della verita invisibilmente ispirato. Ha detto di se stesso di essere stato inviato con Ia
forza delle armi, cose che, a dire il vero non mancano neanche ai predatori e ai tiranni.
All'inizio non gli ha dato credito nessuno tra i sapienti, esperti di cose divine e umane,
rna solo uomini brutali abituati a vivere nel deserto, del tutto ignoranti nei confronti di
qualsiasi dottrina di origine divina, per opera della massa dei quali ha ridotto altri sotto
Ia sua Iegge, con Ia violenza delle armi.
Nessuna predizione dei profeti che lo hanno preceduto gli ha reso testimonianza e,
piuttosto [si deve constatare come] ha deformato con una narrazione fantasiosa quasi
tutti i documenti dell'Antico e del Nuovo Testamento, come risulta evidente a chiun­
que esamina Ia sua Iegge. Per questo, con un calcolo astuto, non ha lasciato che i suoi
seguaci leggessero i libri dell' Antico e del Nuovo Testamento, perche non si accor­
gessero delle sue falsificazioni.

set, ne, eis sublatis, maiora bona tollerentur, vel etiam peiora mala sequerentur. Sic igitur et in regimine humano
illi qui praesunt recte aliqua mala tolerant, ne aliqua bona impediantur, vel etiam ne aliqua mala peiora incurran­
tur [ . . . ]. Sic igitur, quamvis infideles in suis ritibus peccent, tolerari possunt vel propter aliquod bonum quod ex
eis provenit, vel propter aliquod malum quod vitatur. Ex hoc autem quod iudaei ritus suos observant, in quibus
olim praefigurabatur veritas fidei quam tenemus, hoc bonum provenit quod testimonium fidei nostrae habemus ab
hostibus, et quasi in figura nobis repraesentatur quod credimus. Et ideo in suis ritibus tolerantur. Aliorum vero infi­
delium ritus, qui nihil veritatis aut utilitatis afferunt, non sunt aliqualiter tolerandi, nisi forte ad aliquod malum
vitandum, scilicet ad vitandum scandalum vel dissidium quod ex hoc posse! provenire, vel impedimentum salutis
eorum, qui paulatim, sic tolerati, convertuntur ad fidem. Propter hoc enim etiam haereticorum et paganorum ritus
aliquando ecclesia toleravit, quando erat magna infidelium multitudo». Un'analisi approfondita degli argomenti
trattati in questo testo si puii trovare in A. BROADIE, Medieval Jewry through the Eyes ofAquinas, in G. VERBEKE
and D. VERHELST (edd.), Aquinas and Problems of His Time, Leuven University Press - Martinus Nijhoff, The
Hague, Louvain 1976, pp. 57-68 , in particolare aile pp. 66-67.
114 Del resto gia san Giovanni Damasceno aveva computato I' islam tra le eresie (cfr. Capitolo I, nota 25).
268 ALBERTO STRUMiA

Cosi risulta chiaro che quanti prestano fede ai suoi detti credono con troppa inge­
nuitii.
[CG, L. 1, c. 6, n. 7] 115

Testa n. 2
[ . . . ] in tutto il mondo e stata edificata Ia Chiesa. Poi [alcuni] sono ritornati all'infe­
delta, attraverso l'eresia nicolaita e maomettana.
[In Psal, ps. 2, n. 6] 116

Testa n. 3
[ . . . ] questo e il piu grande di tutti i miracoli, che a partire da pochi si son convertiti
alia fede un'infinita di uomini; a partire da pochi che predicavano Ia poverta si sono
convertiti i ricchi; a partire da degli ignoranti che predicavano delle cose superiori alia
ragione [umana] si sono convertiti i sapienti e i filosofi (Per tutta Ia terra si diffonde
Ia /oro voce e ai confini del mondo Ia loro parola, ecc., cfr. Sa/ 18,5). Se si obietta che
anche Ia Iegge di Maometto e stata accolta da molti, si deve dire che non e Ia stessa
cosa, perche egli li ha soggiogati opprimendoli con Ia forza delle armi; mentre gli apo­
stoli, morendo essi stessi hanno attratto gli altri alia fede, e con segni e prodigi. Quello
proponeva cose che spingono a! piacere e alia dissolutezza, mentre Cristo e gli apo­
stoli richiamavano a non attaccarsi alle cose terrene.
[Sup I Cor, c. 15, lc. 1 ] 117

115 <<Hi vero qui sectas errorum introduxerunt processerunt via contraria: ut pate! in mahumeto qui carnalium
voluptatum promissis, ad quorum desiderium carnalis concupiscentia instigat, populus illexit. Praecepta etiam tra­
didit promissis conformia, voluptati carnali habenas relaxans, in quibus in promptu est a carnalibus hominibus obe­
diri. Documenta etiam veritatis non attulit nisi quae de facili a quolibet mediocriter sapiente naturali ingenio
cognosci possint: quin potius vera quae docuit multis fabulis et falsissimis doctrinis immiscuit. Signa etiam non
adhibuit supernaturaliter facta, quibus solis divinae inspirationi conveniens testimonium adhibetur, dum operatio
visibilis quae non potest esse nisi divina, ostendit doctorem veritatis invisibiliter inspiratum: Sed dixit se in armo­
rum potentia missum, quae signa etiam latronibus et tyrannis non desunt. Ei etiam non aliqui sapientes, in rebus
divinis et humanis exercitati, a principio crediderunt: sed homines bestiales in desertis morantes, omnis doctrinae
divinae prorsus ignari, per quorum multitudinem alios armorum violentia in suam legem coegit. Nulla etiam divi­
na oracula praecedentium prophetarum ei testimonium perhibent: quin potius quasi omnia veteris et novi testa­
menti documenta fabulosa narratione depravat, ut pate! eius legem inspicienti. Unde astuto consilio libros veteris
et novi testamenti suis sequacibus non reliquit legendos, ne per eos falsitatis argueretur. Et sic pate! quod eius die­
tis fidem adhibentes leviter credunl>>. Rimandiamo R.-A. GAUTHIER, Somme Contre le Gemils. Introduction
(Collection Philosophie Europeenne), Paris 1993: La religion musulmane, pp. 119-128 e all'articolo di E. PIATII,
ll colltesto teologico dell'apprezzamento dell'lslam di S. Tommaso, in D. LoRENZ, S. SERAFINI (eds.), Istituto San
Tommaso. Studi 1995, Roma 1995, pp. 294-307, per un commento apprfondito di questo testo.
11 6 «[ . . . ]
quia per totum mundum aedificata est ecclesia. Sed postmodum per nicolaum haereticum, et mahu­
metum ad infidelitatem redierunl>>.
111 «Sed hoc Augustinus dicit pertinere ad eminentiam huius fidei, faciens tale argumentum: ad credenda ea quae
sunt fidei, aut sun! miracula facta, aut non. [ . . . ] hoc est maximum omnium miraculorum, quod per quosdam pau­
cos conversi sunt ad fidem infinita multitudo hominum; per pauperes, praedicantes paupertatem, divites; per idio­
tas, praedicantes ea quae rationem excedunt, conversi sunt sapientes et philosophi. Ps. 38,5: in omnem terram exi­
vit sonus eorum, etc.. Sed si obiiciatur, quod etiam lex mahometi recepta est a rnultis, dicendum quod non est simi­
le, quia ille opprimendo et vi armorum subiugavit eos; sed isti apostoli moriendo, ipsi alios ad fidem duxerunt, et
faciendo signa et prodigia. Ille enim proponebat quaedam quae ad delicias et lascivias pertinent, sed Christus et
apostoli terrenorum contemptum>>.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 269

4. Conclusioni relative al quarto capitolo

A conclusione di questo quarto capitola, dopo aver esaminato i testi di san


Tommaso in merito al problema della definizione della religione (capitola II) e della
verWi della religione (capitola III), abbiamo dedicato il capitola presente al rapporto
tra religione e fede, a partire dall'affermazione secondo cui alla base di ogni religione
e presente una forma di fede, in quanto ogni religione propone da credere come vere
delle affermazioni che non vengono dimostrate. Questo legame (tra religione e fede)
ci ha permesso di ricondurre alcune questioni, inerenti la religione, sul terreno della
fede, tema che san Tommaso tratta con ampiezza e magistrate profondita.
Fede e conoscenza di verita. La questione della fede e, dunque, da considerarsi stret­
tamente connessa con il problema di una conoscenza di verita, oltre che come credito
dato ad un interlocutore (umano o divino). Si sono poste a confronto prima di tutto le
nozioni di credenza e di fede oggi utilizzate nei testi del Magistero con la dottrina sul
credere e sull' atto di fede dell' Aquinate, riscontrando una sostanziale corrispondenza.
Per quanto riguarda il rapporto tra la fede della Chiesa e le religioni, si puo conclu­
dere che se Ia fede teologale perfetta e presente solo nella Chiesa cattolica, tuttavia, a
partire dai principi tomisti, e sembrato di poter ritenere che anche nelle religioni auten­
tiche possa essere talvolta presente - pur se in forma seminale - una virtu della fede
che e qualcosa di piu di una semplice credenza umana. E possibile, infatti distinguere
tra le religioni che si limitano al solo credere Deum e quelle in cui la fede giunge anche
al credere Deo o al credere in Deum. Nella fede della Chiesa le tre caratteristiche
coesistono in pienezza rendendo perfetto 1' atto di fede; nelle religioni non cristiane,
deve essere necessariamente presente i1 credere Deum (diversamente non si puo par­
tare di religione), rna puo mancare almeno una delle attre due (il credere Deo, se non
si ammette una rivetazione; il credere in Deum, se non si riconosce una Provvidenza,
che in qualche modo non puo che essere "personate") e net caso possano essere pre­
senti tutte e tre te caratteristiche, non lo saranno in forma perfetta (certamente almeno
quanto al credere Deum, in quanto solo nella fede della Chiesa cattolica sono cono­
sciute in pienezza tutte le verita su Dio che Egli ha voluto rivelare) .

Rivelazione, ispirazione, illuminazione e semi del Verbo. La questione del credere


Deo, pone in stretta relazione i1 problema della fede e quello della ispirazione/rivela­
zione. Su questa argomento la dottrina dell'ispirazione/ rivelazione di Tommaso risul­
ta essere cosi ampia da poter includere, in un unico modello cognitivo sia l'ispirazio­
ne degli autori degli scritti canonici che costituisco il corpus della Rivelazione pub­
blica, sia quella illuminazione che sta alla base delle rivelazioni private. Sulla base
degli esempi riportati da san Tommaso, sembra di poter accostare la questione dell'il­
luminazione che e all'origine dei semina Verbi, ad una forma di rivelazione privata
concessa, temporaneamente e occasionalmente, a singoli soggetti che hanno intuito
alcune verita e le hanno immesse nel patrimonio conoscitivo di certe religioni.
270 ALBERTO STRUMIA

Religioni e salvezza. Quanta al problema dell'eventuale valore salvifico delle reli­


gioni, partendo dai principi tomisti, sembra legittimo pater inserire nel modello del
rapporto tra fede implicita e fede esplicita, che Tommaso propane solo in relazione alla
salvezza dei singoli individui, anche un ruolo dell'appartenenza ad una religione
autentica. La fede implicita (in Cristo salvatore che avviene attraverso una fede in Dio
creatore e Provvidente) sarebbe, infatti, in alcuni casi, attuata proprio grazie all' ap­
partenenza ad una religione, senza la quale per alcuni soggetti sarebbe stata pratica­
mente irraggiungibile. I singoli seguaci di una religione autentica (come "minori" nel­
l'ambito di quella religione), dando credito agli insegnamenti dei maestri e del fonda­
tore della loro religione ("maggiori" nell'ambito di quella religione, rna comunque
"minori" in rapporto alla fede della Chiesa), verrebbero messi a parte della fede del
fondatore stesso, il quale, credendo in Dio Creatore e Provvidente, crederebbe impli­
citamente nel Salvatore che Dio non manca di inviare agli uomini. Secondo un simile
modello: a) la fede degli appartenenti ad una religione autentica sarebbe doppiamente
implicita, in quanta fondata su una fede meno implicita come quella del fondatore, che
sarebbe comunque implicita rispetto alla fede della Chiesa, nella quale sola la fede in
Cristo Salvatore e esplicita; b) la religione in questione dovrebbe comunque credere in
un Dio che provvede alla salvezza degli uomini non disinteressandosi di essi, rna
amandoli: dunque solo le religioni che sono espressione di una fede caratterizzata dal
credere in Deum, oltre che dal credere Deo, potrebbero avere un qualche ruolo nella
mediazione della salvezza; c) la Salvezza che passa attraverso tali religioni (se ve ne
sono) sarebbe comunque la Salvezza operata da Cristo; d) tale mediazione di Salvezza
sarebbe in ogni caso mediata anche dalla Chiesa, unico luogo dove la fede nel
Salvatore e esplicita. Inoltre le religioni in questione non potrebbero essere mediazio­
ni di alcuna salvezza qualora si opponessero consapevolmente, lucidamente, positiva­
mente a Cristo. Cia non significa che i singoli loro seguaci, se in buona fede, non pas­
sana individualmente salvarsi, rna semplicemente che non si salverebbero grazie
all'appartenenza a quella religione.
CAPITOLO V

CORRUZIONE DELLA RELIGIONE

E giunto il moniento di occuparci piu diffusamente del fenomeno di degenerazione


o "corruzione" della religione.
In questa capitola cercheremo di riprendere i principali testi nei quali san Tommaso
esamina i vizi che si oppongono alia religione, rileggendoli anche in funzione di una
loro applicazione aile medesime problematiche cosi come si stanno ripresentando
anche ai nostri giorni. Nel lavoro di confronto tenteremo di evidenziare, da un lato, le
radici comuni tra i fenomeni di degenerazione della religione presenti al tempo del
nostro autore e quelli dei nostri giorni; e, dall'altro, le differenze e, in particolare, que­
gli elementi che allora erano appena accennati e oggi si sono grandemente sviluppati,
fino a divenire di primaria importanza.
Ci accorgiamo, pero, subito che vi sono almena due aspetti che, oggi, non ci con­
sentono di limitarci a considerare la "corruzione della religione" solamente sotto l'a­
spetto dei vizi che si oppongono ad essa. L'uno riguarda una sorta di problematica
"interna " al cristianesimo stesso in quanta coinvolge direttamente lafede; mentre l'al­
tro riguarda quella che potremmo chiamare una problematica "esterna ", cioe la vicen­
da della filosofia e della ragione.
La problematica della fede. Non si puo non tener conto del fatto che il contesto con­
temporaneo e stato profondamente segnato da piu di due millenni di cristianesimo,
soprattutto nelle aree della cultura occidentale, per cui molte delle forme di degenera­
zione della religione si presentano, non solo, come una nuova proposizione di forme
antiche di superstizione (nuovi "miti", credulita, magi a, feticismo rivolto ai nuovi
oggetti del mondo tecnologico e mediatico), rna anche come forme di vera e propria
eresia cristiana (largamente segnate da una comune matrice gnostica1 e dalla contami­
nazione con le tradizioni non cristiane dell'Oriente). Queste forme appaiono degene­
rate al punto tale da non riconoscere piu la natura divina di Gesu Cristo, il significato
corretto della sopravvivenza dell'anima umana (come nella ricomparsa della credenza
nella reincarnazione), la giusta nozione della creazione e della trascendenza di Dio
(nelle nuove forme di panteismo), fino a trovarsi interamente al di fuori dell'orizzon­
te della fede cristiana stessa. Esse divengono, allora, delle vere e proprie forme di apo-

1 Cfr. l'intero documento del Pontificio Consiglio della Cultura e Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso, Gesu Cristo portatore dell'acqua viva. Una rijlessione cristiana sui "New Age", 3.2.2003, Libreria
Editrice Vaticana, Cilia del Vaticano 2003, e in particolare §2.2.3.
272 ALBERTO STRUMIA

stasia che si legano, a volte, anche a gravi fenomeni di satanismo organizzato in sette.
Come ha rilevato Giovanni Paolo II: «La cultura europea da l'impressione di una "apo­
stasia silenziosa" da parte dell'uomo sazio che vive come se Dio non esistesse».2
Oggi, la maggior parte dei fenomeni di degenerazione della religione, nelle aree di
cultura tradizionalmente cristiana, sono la conseguenza di una progressiva corruzione
della fede cristiana; e anche san Tommaso fa riferimento a questa possibilita di dege­
nerazione.3
La vicenda della ragione. Alle deviazioni propriamente "dottrinali" sono, dunque,
da aggiungere quelle "filosofiche" che minano alla radice anche l'impianto teologico.
11 relativismo filosofico e religioso, sul quale si e particolarmente insistito nei capito­
li precedenti, impedisce poi, addirittura, di stabilire una gerarchia delle verita/falsita
presenti nelle diverse credenze.
In sintesi, ci sembra, dunque di pater rilevare, per orientare il nostro approccio alla
"corruzione della religione", che vi sono almena tre livelli di degenerazione da pren­
dere in considerazione:

- il prima potremmo chiamarlo il livello di "degenerazione della razionalita" che


comporta la corruzione della nozione stessa di "verita" (cfr. infra, §1), fondamen­
to indispensabile per affrontare anche la questione della verita della religione e
fondare un dialogo non apparente tra le religioni;
- il Secondo livello e propriamente quello della "degenerazione della autenticita
(verita ontologica) della religione" (§2), ed e a questa livello che si devono colla­
care, la "corruzione della legge naturale", cioe dei principi che permettono di valu­
tare l'autenticita della religione (§2.1) e i "vizi" contra la religione che specifica­
no le modalita concrete in cui essa perde la sua autenticita (§2.2)
- il terzo livello e quello della "corruzione della dottrina" proposta da credere da
parte di una religione (v. infra, §3), ovvero del contenuto della sua "fede" (verita logi­
ca); in particolare della corruzione dei contenuti della dottrina cristiana (forme estre­
me di eresia) che possono giungere fino a rinnegarla nella sua sostanza (forme di apo­
stasia), compromettendo anche la natura religiosa di quelle credenze (irreligiosita),
fino alla perdita di ogni credenza in Dio (ateismo).

In questa capitola cercheremo, quindi, di prendere in esame, sinteticamente, questi


versanti del problema, riferendoci sempre ai principi desumibili dai testi tomisti, cer­
candone, per quanta ci e possibile, un'indicazione per un confronto con le problema­
tiche odierne e con i1 problema della comprensione della "vera religione".

2 Ecclesia in Europa, n. 9.
3 Cfr. II-II, q. 10, a. 6 co.
Capitolo V Corruzione della religione
- 273

1. La corruzione della razionalita e della nozione di verita

In questa prima parte del capitola non possiamo che limitarci a tracciare, per sommi
capi, le linee di quel disegno che raffigura il problema epistemologico primario, sia
nell'antichita che ai nostri giorni: il problema dei fondamenti della conoscenza della
verita. Si tratta di una questione di ordine filosofico, il cui affronto costituisce una con­
dizione previa all'affronto di qualsiasi problema teologico e, in particolare, di teologia
delle religioni. Per questa riteniamo utile dedicare ad esso la presente sezione di que­
sta capitola.
Come puo l'uomo conoscere di essere nella verita, ovvero che una data proposi­
zione e vera? Dalla risposta a questa domanda dipende, ovviamente, il valore (cono­
scitivo o strumentale) che si attribuisce aHa scienza, il valore universale che si ricono­
sce ai fondamenti del diritto (diritti della persona umana, delle nazioni, ecc.), il valo­
re conoscitivo e salvifico che si riconosce alle religioni e, in particolare al cristianesi­
mo come portatore della verita piena e della salvezza di tutti gli uomini, e tutte le con­
seguenze derivanti dalla conoscenza dell'esistenza di verita oggettive riconoscibili
come tali da tutte le culture.4
11 mondo antico, fino all'epoca di san Tommaso, aveva cercato ed era riuscito ad ela­
borare una sintesi di pensiero capace di «salvare la certezza della conoscenza della
verita (salvare certam cognitionem veritatis)».5 11 mondo moderno, partendo da una
istanza "critica" ha via via messo in dubbio i presupposti stessi di questa elaborazio­
ne, giungendo progressivamente a ridurre la consistenza di tale certezza, gli spazi epi­
stemologici in cui essa possa ancora sussistere, fino a farli del tutto scomparire.
Ricorrendo al linguaggio di Tommaso, potremmo dire che la nozione di "verita" e
divenuta del tutto equivalente a quella di una "opinione", non solo non dimostrabile,
rna neppure confutabile, in quanta non sarebbe dimostrabile neppure l'opinione che la
contraddice: un enunciato, come oggi si dice nel linguaggio scientifico, "indecidibile".
Questa percorso storico, che e tracciato neUe sue grandi linee, anche nel quarto
capitola dell'enciclica Fides et ratio, ripropone il problema ai nostri giorni: e possibi­
le salvare La certezza della conoscenza della verita oggi, attraverso una revisione
"super-critica" del metoda "critico" della modernita, capace di servirsi degli strumen­
ti, del linguaggio formalizzato di cui oggi disponiamo? 11 fatto che il pensiero moder­
no abbia (di)mostrato l'impossibilita di autofondare la verita delle proprie conoscen­
ze, va interpretato come una impossibilita assoluta che non puo non condurre al rela­
tivismo e al nichilismo, o come i1 sintomo di una impostazione riduttiva del problema

4 Dal punto di vista cognitivo, antropologico e metafisico questo e il lema della redditio camp/eta di cui si e trat­
tato nel Capitolo III, che qui viene visto nelle sue essenziali Iappe storiche, e rapportato alia questione della cor­
ruzione della religione.
5 I, q. 84, a. 1 co.
274 ALBERTO STRUMlA

che necessita di una revisione dei presupposti dai quali si e partiti e del metodo in base
al quale si e proceduto? 11 pensiero moderno non ha forse rigettato a priori qualche
principia irrinunciabile in vista di una fondazione della conoscenza della realta, che
puo e deve essere recuperato a partire da una revisione ancor piii critica dei suoi fon­
damenti e in un serio confronto con il pensiero antico e medioevale? Un esito positi­
vo di questa operazione pare, oggi, tanto piii necessaria e urgente, quanto piii si con­
statano, nei loro effetti negativi per la stessa convivenza sociale, civile e internaziona­
le, le conseguenze degli esiti teoretici estremi ai quali e giunta la modernita.
Qui, in particolare, ci interessa evidenziare come dal risultato positivo della ricerca
sui fondamenti della verita, viene a dipendere anche la possibilita di un'autentica teo­
logia "scientifica" e, di conseguenza, anche di una "teologia della religione" vera­
mente sistematica. Naturalmente il teologo non e tenuto ad accollarsi direttamente il
lavoro sui fondamenti della conoscenza, proprio del filosofo, che puo presupporre
come un dato acquisito dalla filosofia; tuttavia i1 problema rimane e una sua mancata
soluzione positiva (una soluzione negativa o addirittura la teorizzazione della impos­
sibilita della soluzione), vengono a compromettere, inevitabilmente, anche il valore
veritativo di una costruzione teologica conseguente. Si direbbe che, ai nostri giorni, la
disciplina teologica si trova, di fatto, a poggiare su una una duplice forma di creden­
za: l'una che le e propria e le e indispensabile, rappresentata dalla fede teologale rivol­
ta alla Rivelazione (come e giusto che sia), e l'altra dovuta alla debolezza della ragio­
ne, che non e piii in grado di dare fondamento razionale alla stessa nozione di verita.
Per cui la teologia si trova nelle condizioni di dover "credere" anche a quelle verita di
ragione che la filosofia un tempo sapeva dimostrare. Questa seconda forma di creden­
za si presenta come una sorta di fede "filosofica " nella ragione, nella verita razionale
che, in via provvisoria, puo essere legittimamente desunta anche dalla stessa
Rivelazione come un revelatum per accidens, rna che, in una prospettiva scientifica
dovrebbe essere razionalmente giustificata e non semplicemente creduta.
L' esame dei testi tomisti e particolarmente utile, a questo punto, in quanto, da un
lato, il cammino di "corruzione" della razionalita e quindi della nozione di verita
ripercorre, in un certo modo, in senso inverso, I' opera costruttiva della razionalita anti­
ca e, dall'altro lato, in quanto aiuta ad individuare anche una possibile linea da segui­
re per una costruzione odierna di una razionalita oggettivamente fondata. Questa
dovra, pero, essere perseguita con gli strumenti e le tecniche di cui oggi siamo in pos­
sesso.6 Inoltre essa permette di evidenziare quegli elementi del metodo antico, che il

6 Pensiamo, qui, rna I'idea e tutta da mettere alia prova e da verificare attraverso i suoi frutti, alia messa a punto
di una sorta di "ontologia formale" (come oggi Ia si chiama), come una dilatazione della teoria dei fondamenti
della matematica e delle scienze; o forse a una teoria dei fondamenti dell'ermeneutica, e comunque a piste che,
pur partendo da ambiti conoscitivi diversi dovrebbero potersi incontrare in una teoria comune dei fondamenti (un
tempo Ia metafisica), anche se formulata e ottenuta, inizialmente, con linguaggi diversi che, alia fine risultino pero
equivalenti.
V Corruzione della religione
- 275

metoda moderno aveva eliminato, o almena trascurato, quando non espressamente


rifiutato e che ora, invece, si rivelano come indispensabili. E qui intendiamo riferirci,
soprattutto, all' analogia entis, che e la chiave di tutto l'impianto tomista: una teoria
dell'analogia, formulata con i linguaggi odierni dovrebbe consentire alle scienze di
uscire dalle strette delle assiomatizzazioni univoche che non possono non condurre, da
una parte alla indecidibilita, e dall'altra alla convenzionalita degli assiomi sui quali si
fonda l'intero sistema.
Analizzeremo e commenteremo, ora, alcuni testi accennando a quegli elementi di
metoda che, ci sembra, possano essere di utilita anche oggi in vista di una rimessa a
fuoco della razionalita. Si trattera di una specie di breve excursus epistemologico, e
insieme metodologico, che, pur non avendo direttamente a che fare con il tema della
religione, riguarda quei fondamenti filosofici che consentono di parlare della verita e
quindi della verita della religione: questa e il motivo per cui ci e sembrato opportuno
inserirlo a questa punto del nostro lavoro, dedicandogli questa prima sezione del capi­
tola.

1.1. UNA PRIMA FORMA DI "CORRUZIONE" DELLA RAZIONALITA: LA RINUNCIA ALLA CER­
TEZZA DELLA CONOSCENZA DELLA VERITA

Iniziamo con l'esame di un primo testo, che si trova nel trattato De homine della
Summa theologiae (I, q. 84, a. leo), che e particolarmente interessante, perche, in esso,
Tommaso traccia sinteticamente il percorso costruttivo della sua teoria cognitiva, a
partire da un sintetico, rna preciso, esame critico delle tesi di autori classici che lo
hanno preceduto. Inoltre esso ci fa vedere con quale "metodo scientifico" egli proce­
da nel rivedere criticamente le teorie materialistiche e quelle platoniche e in che modo
avanzi le sue ipotesi esplicative che risolvono le difficolta delle teorie precedenti. Cia
che e rilevante e il fatto che, un simile modo di procedere appare percorribile, nelle sue
linee metodologiche essenziali, anche oggi e le sue ipotesi possono risultare pure oggi
geniali e risolutive, a condizione che si riesca a dare loro una formulazione che si serve
dei linguaggi formali dei quali siamo ora in possesso, opportunamente rivisitati e
ampliati.
Tommaso pone alla radice del materialismo l'impostazione di coloro che, indagan­
do la natura delle cose, ritennero che nel mondo non vi fossero altro che "corpi".7
Potremmo commentare che si tratta della tesi "materialista" che e tipica dell'indagine
dei fisici e che accomuna, pur con le enormi differenze di strumenti sia matematici che
tecnici, i filosofi ionici - detti, appunto fisici (naturales) - e i fisici moderni. E la tesi
piu semplice che si possa concepire: si cerca di spiegare la realta sulla base di cia che

7 <<Respondeo dicendum, ad evidentiam huius quaestionis, quod primi philosophi qui de naturis rerum inquisi­
verunt, putaverunt nihil esse in mundo praeter corpus» (/, q. 84, a. 1 co).
276 ALBERTO STRUMIA

e osservabile e si escludono dalla teoria le realta non osservabili, ipotetiche quanta


apparentemente inutili, sulla base di un principia di economia (il classico rasoio di
Occam) che ogni scienziato assume quasi naturalmente, in vista della semplicita della
spiegazione dell'esperienza. 11 fatto che anche la scienza moderna sia ripartita da que­
sta realismo basilare, dopo che la razionalita filosofica era stata fortemente indebolita
con gli esercizi artificiosi di una scolastica decadente, non pua destare meraviglia, e
costituisce un modo di procedere razionalmente "sana".

E, poiche vedevano che tutti i corpi sono in movimento, e li pensavano in un continuo


flusso, ritennero che non fosse possibile, da parte nostra, avere alcuna certezza intor­
no a come sono veramente le cose. Cio che e in continuo flusso, non puo essere cono­
sciuto con certezza, perche si modifica prima che Ia mente lo possa analizzare con
chiarezza.
Come disse Eraclito, che non e possibile toccare due volte l'acqua di un flume che
scorre, come riporta il Filosofo nel quarto libro della Metafisica.
[/, q. 84, a. 1 co)8

L' osservazione del moto estern a ed interna dei carpi suscita, in un prima tempo, la
convinzione dell'impossibilita di conoscere qualcosa di stabile - cioe che "e" e "rima­
ne" - e che corrisponda a cia che si osserva, cioe di vero.
La cosa osservata sfugge prima ancora di pater essere colta, e una volta che fosse
colta nell'istante, cia che di essa si e conosciuto non sarebbe piu corrispondente a cia
che e ora e a cia che sara. In termini moderni, diremmo che la fisica sente il bisogno,
per essere una scienza, di mettersi alla ricerca degli "invarianti", di cia che permane,
non ostante il mutamento, durante il mutamento e che costituisce, in qualche modo,
anche la legge del mutamento.
Diremmo che si inizia la ricerca dell'identita9 del corpo, di un principia che lo man­
tiene se stesso attraverso il mutamento. L'osservabile e il mutamento, mentre il prin-

8 «Et quia videbant omnia corpora mobilia esse, et putabant ea in continuo fluxu esse, aestimaverunt quod nulla
certitudo de rerum veritate haberi posset a nobis. quod enim est in continuo fluxu, per certitudinem apprehendi non
potest, quia prius labitur quam mente diiudicetur, sicut Heraclitus dixit quod non est possibile aquam fluvii cur·
rentis bis tangere, ut recital philosophus in IV Metaphys>>. Come osservava R. Masi, nel suo classico studio sulla
struttura della materia: <<II concetto di forma che e alia base della dottrina ilemorfica e di tutta Ia fisica aristoteli­
ca era stato frainteso dalla scolastica della decadenza: Ia forma che nel pensiero genuino di Aristotele e di
S. Tommaso e una realta incompleta e parziale, un "ens quo", veniva, invece descritta come una sostanza comple­
ta, un "ens quod", implicando cosl una sequela di contraddizioni» (R. MAS!, Struttura della materia. Esse/IZa meta·
fisica e costituzione fisica, Morcelliana, Brescia 1957, p. 85). Per cui, respinta Ia nozione univocizzata e non piu
genuinamente aristotelica di "forma", i nuovi "filosofi della natura" non ebbero altra altemativa che adottare come
principia interpretativo dell'universo fisico Ia "materia", intesa altrettanto univocamente. Di conseguenza Ia fisica
newtoniana non poteva che nascere "materialista".
9 E interessante notare come questo !ermine <<identita» sia presente nella fisica, nella matematica e nella fila­
sofia.
Capitolo V Corruzione della religione
- 277

cipio che mantiene il corpo identico a se stesso non e osservabile, rna il supporlo divie­
ne indispensabile per spiegare l'osservabile. Incomincia ad insinuarsi nella scienza la
necessita di ammettere il non osservabile come principio esplicativo dell' osservabile.
In termini ontologici, nasce il problema dell' individuazione dell' essenza delle cos e.
E l'indagine su cia che permane che apre lo spazio teoretico alla nozione di verita,
con la caratteristica di una, almeno relativa, durevolezza e stabilita, quando non di una
assoluta invariabilita ed immutabile eternita.
Dopo questi giunse Platone che, per salvare la certezza della conoscenza della verita
da parte del nostro intelletto, ipotizzo che, oltre ai corpi esistesse un altro genere di
enti, distinto dalla materia e non mutevole, che chiamo specie o idee, possedendo in
parte una delle quali, ciascuno degli oggetti singolari e sensibili puo essere identifica­
to come uomo, cavallo, o qualcosa d'altro.
[ibidem]'0

Di fronte all'alternativa tra la teorizzazione della impossibilita di conoscere la veri­


ta, o addirittura della non esistenza stessa della verita, e l'ipotesi dell'esistenza di una
realta non osservabile che spiega 1' osservabile, la scienza sceglie di percorrere la
seconda strada. Questo atteggiamento e comune allo scienziato antico e a quello
moderno. Si potrebbe, allora, dire che il materialismo, quando si riafferma dopo che si
e fatta questa scoperta, diviene una prima rudimentale forma di corruzione della razio­
nalita scientifica e filosofica.
E cosi, egli sosteneva che le scienze e le definizioni e tutto cio che riguarda il lavoro
dell'intelligenza non si riferisce direttamente ai corpi sensibili, rna piuttosto a queste
entita immateriali separate; per cui l'anima non conosce direttamente i corpi, rna le
loro specie separate.
[ibidem]''

Nella prospettiva platonica, viene in tal modo salvata la conoscenza di verita stabi­
li e sicure. Si cerca di spiegare sia 1' osservazione del moto dei corpi che la conoscen­
za delle cose che, pure, fa parte dell'esperienza dell'uomo.
A questo punto inizia il lavoro "critico" che deve controllare se questa ipotesi spie­
ga correttamente tutti i dati dell'esperienza che sono disponibili, e se tale ipotesi e

10
«His autem superveniens Plato, ut posse! salvare certam cognitionem veritatis a nobis per intellectum habe­
ri, posuit praeter isla corporalia aliud genus entium a materia et motu separatum, quod nominabat species sive
ideas, per quarum participationem unumquodque istorum singularium et sensibilium dicitur vel homo vel equus
vel aliquid huiusmodi».
11
<<Sic ergo dicebat scientias et definitiones et quidquid ad actum intellectus pertinet, non referri ad isla corpo­
ra sensibilia, sed ad ilia immaterialia et separata; ut sic anima non intelligat ista corporalia, sed intelligat horum
corporalium species separataS>>.
278 ALBERTO STRUMIA

"sovrabbondante" e si puo dare una spiegazione piu semplice e logicamente plausibi­


le. Per Tommaso l'ipotesi delle "sostanze separate", risulta doppiamente non corretta,
ed egli adduce, a questo proposito, due motivi:
- In primo luogo perche, se queste specie si suppongono immateriali e prive di moto,
verrebbe ad essere esclusa dalla scienza la possibilita di conoscere il movimento e la
materia (oggetto che e invece proprio delle scienze naturali) e con essi la dimostrazio­
ne in termini di cause moventi e materiali.
- In secondo luogo, sembra ridicolo che, cercando un'inforrnazione su delle cose che
stiamo osservando, ci troviamo a cogliere delle altre entita interrnedie che non posso­
no essere le loro sostanze, essendo diverse da esse nel loro stesso essere. E cosi non e
plausibile che possiamo esprimerci sulla conoscenza delle realta che sperimentiamo,
in forza della conoscenza di sostanze separate.
[ibidem]'2

La teoria viene, cosi, criticata, corretta e perfezionata, rna non accantonata alia
prima difficolta. II cedere alia tentazione di considerare Ia conoscenza della verita
come impossibile, in forza dei limiti di una teoria che n�n regge al vaglio di una criti­
ca attenta, avrebbe rappresentato un atto di rinuncia alia scienza.
Se e vero che Platone e stato in grado di concepire due tipi (Tommaso parlera di
analogia) di ente, quello materiale (i corpi) e quello immateriale (le idee), tuttavia il
suo errore e consistito, per esprimerci con il linguaggio di oggi, nell' aver cercato una
spiegazione, in un certo modo, ancora "riduzionista" che supponeva, implicitamente,
che il modo di esistere dell'idea di una cosa nella nostra mente dovesse essere identi­
co (riducibile) al modo di esistere della stessa nella realta esterna alia mente.
L'analogia dell'ente, intravista nel distinguere un modo di essere materiale da un
modo di essere ideale, non viene ipotizzata anche a livello dei modi di esistere delle
idee, per le quali si ipotizza, invece, un modo univoco di esistenza, identico nella
mente e fuori di essa.
Sembra, pen), che Platone si sia allontanato dalla verita, per il fatto che, avendo capi­
to che ogni conoscenza avviene attraverso una sorta di principia di somiglianza, ha
ritenuto che la forma della cosa conosciuta necessariamente debba esistere in chi
conosce nello stesso modo in cui esiste nella cosa conosciuta.
[ibidem] 13

12 «Sed hoc dupliciter apparel falsum. primo quidem quia, cum illae species sint immateriales et immobiles,
excluderetur a scientiis cognitio motus et materiae (quod est proprium scientiae naturalis) et demonstratio per cau­
sas moventes et materiales. Secundo autem, quia derisibile videtur ut, dum rerum quae nobis manifestae sunt noti­
tiam quaerimus, alia entia in medium afferamus, quae non possunt esse earum substantiae, cum ab eis differant
secundum esse, et sic, illis substantiis separatis cognitis, non propter hoc de istis sensibilibus iudicare possemus>>.
13 «Videtur autem in hoc Plato deviasse a veritate, quia, cum aestimaret omnem cognitionem per modum ali­
cuius similitudinis esse, credidit quod forma cogniti ex necessitate sit in cognoscente eo modo quo est in cogni­
to».
V Corruzione della religione
- 279

Tommaso spiega cio che si puo ritenere corretto nella spiegazione platonica e cio
che va modificato. Platone comprese, correttamente, che la forma della cosa cono­
sciuta esiste, nella mente in modo universale, immateriale e statico,
Egli comprese, correttamente, che la forma della cosa conosciuta esiste, nell'intellet­
to in modo universale, immateriale e statico, in conseguenza dello stesso modo di !avo­
rare dell'intelletto che conosce in maniera universale e con un certo grado di necessi­
ta; perche il modo di agire e conseguente alia forma del soggetto che agisce.
[ibidem]14

Ma, e in questo consiste la revisione critica, dalla conoscenza del modo di esistere
di una realta nella mente non si puo dedurre che essa esista, fuori di essa, nello stesso
modo; al piu lo si puo ipotizzare.
Ma questa ipotesi non e necessaria e, quindi, e sovrabbondante e puo essere elimi­
nata.
Da questo egli ritenne di poter dedurre che le realta conosciute dovessero necessaria­
mente esistere, autonomamente [fuori dell'intelletto], nello stesso modo, cioe come
immateriali e immutabili. Ma questa ipotesi non e necessaria.
[ibidem]'5

E puo essere sostituita con un'altra ipotesi che estende, in una maniera opportuna,16
alle realta immateriali una proprieta che si trova anche in quelle materiali, cioe l'ipo­
tesi della diversificazione dei modi di essere delle cose.
Questa nuova ipotesi, viene da Tommaso ritenuta piu "semplice", e meno artificio­
sa, perche si fonda su un dato osservativo (il diverso modo di essere di certe proprieta
nei diversi corpi materiali).
Inoltre, essa si rivelera, poi anche molto piu "potente", in quanto trovera applica­
zioni di carattere universale, in tutta la sintesi aristotelico-tomista, in ogni settore disci­
plinare.17

14 <<Consideravit autem quod forma rei intellectae est in intellectu universaliter et immaterialiter et immobiliter,
quod ex ipsa operatione intellectus apparel, qui intelligit universaliter et per modum necessitatis cuiusdam; modus
enim actionis est secundum modum formae agentis>>. E significativo e importante, rilevare come, ai nostri giomi,
Ia teoria dell'informazione e le scienze cognitive siano, in larga misura, concordi nel superamento del materiali­
smo scientifico per il fatto che riconoscono all'informazione, una carattere di immaterialita, al di Ia del fatto che
essa sia concretamente veicolata da un supporto fisico materiale.
15 «Et ideo existimavit quod oporteret res intellectas hoc modo in seipsis subsistere, scilicet immaterialiter et
immobiliter. Hoc autem necessarium non est».
16 E che sara da precisare, poi, con una adeguata teoria, che altro non e che Ia dottrina dell' analogia entis.
17 «Quia etiam in ipsis sensibilibus videmus quod forma alio modo est in uno sensibilium quam in altero, pula
cum in uno est albedo intensior, in alio remissior, et in uno est albedo cum dulcedine, in alio sine dulcedine. Et per
hunc eti;un modum forma sensibilis alio modo est in re quae est extra animam, et alio modo in sensu, qui suscipit
formas sensibilium absque materia, sicut colorem auri sine auro. Et similiter intellectus species, corporum, quae
280 ALBERTO STRUMIA

La perdita di una teoria dell'analogia nella filosofia e nella scienza moderne sem­
bra essere uno dei punti nodali, causa di quella "corruzione della razionalita", che
comporta la perdita del realismo conoscitivo e i1 graduale degrado della nozione di
"verita" ad "opinione" indecidibile; ed e significativo che le domande sui fondamenti
logici e ontologici delle scienze odierne stiano aprendo delle nuove strade in vista di
un recupero di tale teoria.18

1.2. UNA SECONDA FORMA D1 "CORRUZIONE" DELLA RAZIONALITA: LA RINUNCIA AD ALCU­


NI PRINCIPI INDISPENSABILI

Quest'altro breve testa, che prenderemo in considerazione, e tratto dal commento


tomista ai Secondi analitici di Aristotele (In Post Anal, L. 1, 1. 20, n. 5), ed e impor­
tante anche perche sfata il luogo comune dell'ingenuita della filosofia antica, secondo
cui vi sarebbero dei principi da accettare perche autoevidenti, nel sensa di "credibili"
solamente sulla base del sensa comune, senza essere sottoposti ad una analisi critica.

1.2.1. I primi principi irrinunciabili


In realta i principi primi, piu che autoevidenti, dovrebbero essere detti irrinunciabi­
li, o indispensabili, in quanta, per cercare di negarne la validita occorre inevitabil­
mente assumerne la validita. In questa caso la verita di tali principi e irrinunciabile in
ordine a qualunque discorso e allo stesso pensiero. Per cui il vero significato di que­
sta testa e quello di introdurre e motivare la nozione di irrinunciabilita di alcuni prin­
cipi fondativi di ogni scienza.
Ogni scienza affronta il problema dei principi comuni delle cose; ed e necessario che
lo faccia, perche Ia verita dei principi comuni emerge con chiarezza dalla conoscenza
dei termini comuni, come ente e non ente, tutto e parti, ecc. [II Filosofo] dice espres­
samente: e se una scienza tentasse di dimostrare i principi comuni. . . ,

sunt materiales et mobiles, recipit immaterialiter et immobiliter, secundum modum suum, nam receptum est in
recipiente per modum recipientis. Dicendum est ergo quod anima per intellectum cognoscit corpora cognitione
immateriali, universali et necessaria».
18 Siamo, certo, solo agli inizi, rna e interessante notare come, ad esempio, in ambito matematico la teoria dei
tipi di Russell, o I' idea della distinzione delle classi in proprie e improprie di GOdel, abbiano introdotto una diver­
sificazione nei "modi di essere" di un insieme. L'idea stessa di concepire e incominciare ad elaborare quella che
oggi viene chiamata ontologia formate, lascia intendere che inizia ad essere maturo il tempo in cui dalla teoria
degli insiemi si cerchi di passare ad una teoria degli enti; cosi come all'epoca di Cantor era maturato il tempo di
passare da una matematica dei numeri ad una degli insiemi. Per una panoramica a carattere intedisciplinare e una
bibliografia su queste problematiche si possono vedere: F. BERTELE, A. OLMI, A. SALUCCI e A. STRUMIA, Scienza,
analogia, astrazione. Tommaso d'Aquino e le scienze della complessitii, 11 Poligrafo, Padova 1999; G. BASTI,
Filosofia della natura e della scienza, Lateran Unviersity Press, Roma-Citta del Vaticano 2002; G. TANZELLA-NITTI
e A. STRUMIA (a cura di), Dizionario [/lterdisciplinare di Scienza e Fede, op. cit. (in particolare le voci ANALOGIA;
COMPLESSITA; FINALITA; LoGICA; MATERIA; RIDUZIONISMO; CANTOR; GODEL); una breve introduzione si trova
anche in A. STRUMIA, Le scienze e la pienezza della razionalitii, Cantagalli, Siena 2003.
Capitolo V Corruzione della religione
- 281

- perche la stessa filosofia prima non li dimostra direttamente in quanto sono indimo­
strabili. Anche se alcuni hanno tentato di dimostrarli, come risulta nel IV libro della
Metafisica.
- E perche, anche se non si possono dimostrare direttamente, tuttavia il filosofo primo
offre una sorta di dimostrazione nel senso che, per poterli contraddire, coloro che Ii
vogliono rifiutare, devono ammetterne la validita, pur non accettandoli per la loro evi­
denza.
' [In Post. Anal., L. I, 1. 20, n. 5]19

A livello dei primi principi logico-metafisici, come il principio di identita/non con­


traddizione, o le nozioni primitive di ente, di parte e di tutto, ecc., che non sono dimo­
strabili o definibili univocamente, la irrinunciabilita pare del tutto inevitabile e il bloc­
care la razionalita a questo livello rappresenterebbe una forma di "corruzione" tal­
mente estrema, da risultare insostenibile e impraticabile. E non si tratta neppure di
un'accettazione di certi principi per una sorta di convenzione, rna per inevitabilita.
L'accettazione di tali principi non puo essere considerata neppure il frutto di un accor­
do convenzionale, in quanto essi non possono essere scelti arbitrariamente, ne sosti­
tuiti da principi alternativi e altrettanto convenzionali.

1.2.2. Alcune riflessioni a carattere interdisciplinare


A partire da queste ultime considerazioni presenti negli scritti di Tommaso, posso­
no nascere nella mente del lettore moderno, abituato a lavorare nell'ambito delle
odierne discipline scientifiche, alcuni accostamenti alle problematiche inerenti i fon­
damenti delle scienze che hanno un carattere squisitamente ontologico, e che non sono
prive di interesse anche in vista di quel recupero attuale della metafisica che interpel­
la anche il teologo. Per questo e parso opportuno, a questo punto, inserire una piccola
digressione a questo proposito.

I trascendentali
Riprendendo la problematica della irrinunciabilita di alcuni principi, della quale si
e detto sopra, si puo osservare come vi sia anche un livello di irrinunciabilita meno
estremo di quello a cui si e fatto riferimento, rna pur sempre decisivo: e quella irri-

19 <<Ouaecunque autem scientia argumentatur circa communia rerum, oportet quod argumentetur circa principia
communia, quia veritas principiorum communium est manifesta ex cognitione terminorum communium, ut entis
et non entis, totius et partis, et similium. Dicit autem signanter: et si aliqua scientia tentet monstrare communia
quia philosophia prima non demonstrat principia communia, sunt enim indemonstrabilia simpliciter; sed aliqu l
errantes tentaverunt ea demonstrare, ut patet in iv metaphysicae. Vel etiam quia, etsi non possunt demonstrari sim­
pliciter, tamen philosophus primus tentat ea monstrare eo modo, quo est possibile, scilicet contradicendo neganti­
bus ea, per ea quae oportet ab eis concedi, non per ea, quae sunt magis nota>>. -
282 ALBERTO STRUMiA

nunciabilita che nasce di fronte all'apparire di una contraddizione. Di fronte ad una


contraddizione che emerge all'interno di una teoria, il rifiuto di prendere in conside­
razione una via alternativa possibile, per eliminare tale contraddizione (una nozione
primitiva piu universale, una definizione piu adeguata di certi enti, Ia sostituzione di
un assioma, ecc.) non puo non essere considerato, esso stesso, una forma di corruzio­
ne della razionalita, in quanto Ia via alternativa, se si presenta possibile, rappresenta
qualcosa di irrinunciabile per Ia ragione che cerca di conoscere Ia verita. La compar­
sa di una contraddizione non significa necessariamente un'impossibilita a proseguire
nella ricerca, rna in molti casi e I' occasione per rivedere i presupposti di un impianto
razionale insufficiente.
Un caso molto interessante e offerto da quelle nozioni che Ia mente riesce a conce­
pire come significative e che, introdotte in una teoria in maniera inadeguata, fanno
insorgere una contraddizione. In tal caso I' alternativa che si presenta e tra Ia riouncia
a tali nozioni, che pure sono presenti nel linguaggio comune e nella cultura e sareb­
bero di grande utilita anche nell'ambito della teoria, e il correggere Ia teoria in modo
tale da poterle ospitare senza contraddizione, perche Ia foote della contraddizione non
risiede nelle nozioni in questione, rna nel loro modo di essere formulate nell'ambito
della teoria.
Un esempio estremamente significativo di tali nozioni, nell'ambito della logica e
della metafisica aristotelico-tomista e costituito dai trascendentali: res, ens, unum,
verum, bonum. Aristotele aveva suddiviso in generi o categorie le nozioni/realta, rna Ia
mente riesce a concepire anche una nozione che abbraccia tutti gli "oggetti", s �nza
distinzione di generi, come se fossero in un unico "genere". Quando si dice "cosa" o
"ente" non si fa distinzione in merito al fatto che si tratti di una "sostanza" o di una
"qualita", o di un altro attributo; tuttavia se si cerca di definire "ente" come fosse un
genere universale si incorre in una contraddizione.
I due brevi testi seguenti trattano sinteticamente questo argomento.
In questo [gli antichi filosofi] cadevano in errore, perche utilizzavano Ia nozione di
ente come se corrispondesse ad una unica definizione e ad una sola natura, come fosse
Ia natura di un unico genere; rna questo e impossibile. Infatti ente non e un genere, rna
si dice di realta diverse secondo accezioni diversificate.
[In Met, L. 1, I. 9, n. 6]20

II filosofo dimostra, nel III libro della Metafisica, che ente non puo essere il genere di
qualcosa, perche ogni genere comporta delle differenze che sono al di fuori dell' es-
'

20 «Sed in hoc decipiebantur, quia utebantur ente quasi una ratione et una natura sicut est natura alicuius gene­

ris; hoc enirn est irnpossibile. Ens enirn non est genus, sed rnultipliciter dicitur de diversis».
Capitolo V Corruzione della religione
- 283

senza del genere stesso; mentre non si da nessuna differenza al di fuori dell'ente, per­
ch€ il non ente non puo costituire una differenza (in quanto non esiste].
(/, q. 3, a. 5 cof1

Occorre, allora, ampliare la teoria in maniera tale da pater comprendere delle nozio­
ni che non sono definibili con una definizione univoca, cioe che non sono racchiudi­
bili in un unico genere. Ricompare 1' analogia entis, alia quale si e prima accennato.
In alternativa si dovrebbe rinunciare, nell'ambito della teoria stessa, all'utilizzo di
nozioni come "cosa", "ente", ecc., che oltre ad essere impiegate continuamente nel lin­
guaggio comune, sono praticamente inevitabili per una scienza che tenti di descrivere
adeguatamente l'esperienza umana. A questa livello si deve ammettere che una scien­
za, che pretenda di comprendere esclusivamente delle nozioni univoche, e inevitabil­
mente riduttiva, inadeguatamente descrittiva dell'esperienza e propane una razionalita
valida solo in una certa misura, rna "corrotta" nella misura in cui esclude troppi ele­
menti fondamentali della realta.

Le prove dell'esistenza di Dio

Anche le classiche prove dell'esistenza di Dio, comprese le famose cinque vie di


san Tommaso,22 sono state valutate come parte del realismo "ingenuo" da parte del
pensiero critico moderno. Non si puo, pero, non notare, seguendo la linea del discor­
so finora percorsa, che - cosi come 'le nozioni trascendentali sono concepibili dalla
mente umana, al punta che rinunciarvi rappresenta una forte riduzione, una corruzio­
ne della razionalita - anche le nozioni di "motore di tutti i motori", "causa di tutte le
cause", "possibilita di tutte le possibilita",23 "massimo di tutti i massimi", "fine di tutti
i fini" sono concepibili dalla mente umana.24 Eppure si arriverebbe ad una contraddi­
zione se si concepisse ciascuno di questi, a sua volta come "uno dei motori", "una

21 <<Ostendit autem philosophus in III Metaphys., quod ens non potest esse genus alicuius, omne enim genus
habet differentias quae sunt extra essentiam generis; nulla autem differentia posset inveniri, quae esset extra ens;
quia non ens non potest esse differentia».
22
Cfr. /, q. 2, a. 3.
23 Ho preferito rendere il latino <<contingentia» che nell'articolo di san Tommaso si riferisce alia "terza via" con
"possibilita", piuttosto che con "contingenza", pur rappresentando quest' ultimo !ermine una eventualita che si rea­
lizza e non solo una possibilita teorica, perche il !ermine "possibilita" rende l'idea che Dio e Ia "condizione di pos­
sibilita" che e "necessaria" per i1 realizzarsi di tutte Je cose contingenti; mentre i1 !ermine "contingenza" non ha
una tale valenza. Si sarebbe potuto dire, meglio, Ia "condizione di ogni contingenza", oppure Ia "possibilita di ogni
contingenza", rna non Ia "contingenza di ogni contingenza". Per non rinunciare al gioco della ripetizione del mede­
simo !ermine, impiegato analogicamente si e preferita Ia formula "possibilita di ogni possibilita".
24 Anche se queste formule non si trovano cosi espresse nell'articolo citato che descrive Je "cinque vie", tutta­

via si possono reperire altrove formule simili, riferite a Dio, nell'opera di san Tommaso: <<actualitas omnium
actuum, et [ . . ] perfectio omnium perfectionum» (De Pot, q. 7, a. 2, ad 9-), «causa omnium causarum» (De ver,
.

q. 2, a. 4 co), <<finis omnium praecedentium finium» (CG, L. 3, c. 17, n. 5).


284 ALBERTO STRUMiA

delle cause", "uno dei massimi", "uno dei fini", allo stesso livello degli altri, 25 perche,
in tal caso esso dovrebbe, a sua volta essere "motore che muove se stesso", "causa che
causa se stessa", "massimo che supera se stesso", "fine che tende a se stesso". Ma que­
sta e contraddittorio26 perch€ uno stesso ente non puo essere insieme in potenza e in
atto secondo lo stesso aspetto. Di conseguenza, o si rinuncia a queste nozioni, o si
ammette che il "motore di tutti i motori" sia "motore" secondo una modalita diversa
(analogica) rispetto tutti agli altri motori e, non potendo essere motore anche di se stes­
so, sia "motore immobile", perche non puo essere mosso, pena una contraddizione. E
cosi la "causa di tutte le cause" non puo che essere "incausata", il "possibile di tutti i
possibili" non puo che essere "necessaria", il "massimo di tutti i massimi" non puo che
essere "insuperabile", il "fine di tutti i fini" non puo che essere "in-fini-to".

La classe universale
Si potrebbe pensare, e lo si e fatto regolarmente nel corso della storia del pensiero,
che la linea di ragionamento appena presentata segua un modo di argomentare del pas­
sato, oggi impresentabile, inaccettabile in una prospettiva scientifica. In realta non e
per nulla cosi. Infatti, possiamo ritrovare lo stesso modo di procedere nella scienza a
noi contemporanea. Un problema simile a quelli antichi ai quali abbiamo fatto riferi­
mento, si e presentato ai matematici, nell' ambito della teoria degli insiemi o classi. Un
ambito apparentemente molto diverso, perch€ ha a che fare con gli insiemi dei mate­
matici piuttosto che con gli enti dei filosofi. Sta di fatto, pero che, dal punto di vista
logico (e ontologico) gli insiemi sono essi stessi degli enti e, come tali, portano con se
alcuni caratteri di questi ultirni. Senza entrare in dettagli troppo tecnici ci limiteremo
a dire che, parlando in termini intuitivi, un insieme si puo caratterizzare come colle­
zione di oggetti qualunque e che, a sua volta puo essere parte di una collezione piu
grande che lo contiene. Cosi come delle matite possono essere collocate dentro un
astuccio, che a sua volta puo essere collocato, con altri oggetti, dentro una cartella,
ecc. I matematici concepirono anche l'idea di un "insieme di tutti gli insiemi", o
"insieme universale", rna si accorsero ben presto che questa nozione comportava una
contraddizione, perch€ questa avrebbe dovuto contenere anche l'insieme di tutti i suoi
sottoinsiemi che lo include a sua volta e che, quindi sarebbe risultato piu universale
dell'insieme universale, il che e contraddittorio. A questa punto si presentavano due
alternative: rinunciare alia nozione di "insieme universale", e questa fu la strada pro­
pasta da Russell e Whitehead; oppure pensare ad una diversificazione tra le classi che
distingueva due possibili modi di essere delle classi: le classi improprie o insiemi che

25 Cioe con Ia stessa definizione, ovvero "univocamente".


26 AI piu puo essere tollerato come modo di dire, come concetto limite improprio, come una forzatura del lin·
guaggio.
Capitola V Corruzione della religione
- 285

possono a lora volta essere elementi di altre classi, e le classi proprie che possono con­
tenere altri insiemi rna non essere elementi di alcun insieme. Questa fu la strada segui­
ta da Godel.27
Questa seconda tipologia di classi eliminava la contraddizione e permetteva di intro­
durre senza problemi la nozione di classe universale, come una classe propria. Pur con
le debite differenze, sulle quali qui non possiamo soffermarci, c'e una certa somi­
glianza tra le classi improprie28 e i generi universali e, rispettivamente, tra le classi pro­
prie e i trascendentali. Ma, in ogni caso il metoda con cui si e proceduto distinguendo
le classi in proprie e improprie, e del tutto simile a quello che ha permesso, nell'anti­
chita, di distinguere i trascendentali dai generi universali, e anche il motore immobile
dai motori mobili, ecc.

2. La corruzione della autenticita della religione

Dopa la digressione della sezione precedente che ha messo a confronto le aperture


ontologiche che si dischiudono ormai, in diversi campi delle scienze, e paiono pro­
mettenti in vista di un recupero scientifico odierno di molti risultati del pensiero anti­
eo, dobbiamo ritornare all'argomento centrale del nostro tema.
Per affrontare il problema della corruzione della religione in relazione alla sua
autenticita, occorre, in prima luogo esaminare la questione della "corruzione del cri­
teria" con cui tale autenticita deve essere valutata, che per Tommaso e rappresentato
dalla conformita alia legge naturale (§2.1); in secondo luogo si potranno esaminare,
quasi come un'applicazione, i diversi modi secondo cui la religione puo perdere la sua
autenticita (§2.2).
A questa scopo prenderemo, prima in considerazione alcuni passi sulla legge natu­
rale e la sua possibile mutabilita e, poi, altri che riguardano specificamente i vizi con­
tra la religione.

2.1. LA CORRUZIONE DELLA LEGGE NATURALE


La storia della corruzione della legge naturale ha conosciuto, di fatto, almena due
tappe che si possono ritenere particolarmente significative: nella prima non si e nega­
ta direttamente l'esistenza e nemmeno la possibilita di una legge naturale oggettiva,
rna ci si e limitati a mettere in discussione che essa di fatto fosse identica presso tutti
i popoli, tutte le culture; nella seconda, forti dell'acquisito relativismo filosofico, si e

27 K. GODEL, Opere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 38-42; A. STRUMIA, La fede e il risanamento
della ragione come ragione, "Divus Thomas", 40 (2005), pp. 155-178.
28 Non a caso nell'interpretazione puramente estensionale della logica si rappresentano frequentemente gli uni·

versali come degli insiemi.


286 ALBERTO STRUMlA

giunti a teorizzare la sua completa mutabilita nel tempo e quindi la sua stessa impos­
sibilita e conseguente non esistenza, non solo di fatto, rna anche di principia.
Lo stesso san Tommaso si e posto il problema, pur a partire da un quadro culturale
nel quale la questione appariva molto meno rilevante e in termini ben diversi da quan­
ta non lo sia ai nostri giorni.
Innanzitutto egli parte dalla constatazione che tutti conoscono la verita almena dei
principi della legge naturale, il che risulta da un data riscontrabile, oggi diremmo,
fenomenologicamente.
Nessuno puo conoscere la Legge eterna per quello che e in se stessa, se non i beati sol­
tanto, che vedono Dio nella sua essenza. Ma ogni creatura razionale la conosce, come
per irradiazione, in "misura" piu o meno ampia. Ogni conoscenza della verita e una
sorta di irradiazione, e partecipazione della Legge eterna, che e la verita immutabile,
come dice Agostino ne La vera religione. Tutti conoscono la verita in qualche misura,
almeno per quanto riguarda i principi della legge naturale. Quanto agli altri principi,
alcuni hanno parte alla conoscenza della verita in grado piu o meno elevato e, quindi,
in grado piu o meno elevato conoscono la Legge eterna.
[/-/[, q. 93, a. 2 cof9

Successivamente, esaminando piu in dettaglio in quale «misura» la legge naturale


sia conosciuta da tutti gli uomini, non manca di chiedersi se, effettivamente, essa sia
la stessa presso tutti, se possa subire mutamenti nel tempo, se addirittura in alcuni
momenti della storia, e presso alcuni, possa quasi scomparire del tutto. Questioni
molto attuali ai nostri giorni, nei quali la nozione di legge naturale viene percepita con
sempre maggiore difficolta.

2.1.1. Se Ia Iegge naturale sia Ia stessa presso tutti gli uomini


Nell'articolo 4 della questione 94 della Prima secundae, san Tommaso si domanda
se la legge naturale sia la stessa presso tutti gli uomini. Avendo rilevato il parallelismo
tra la ragione speculativa e la ragione pratica (cfr. supra, capitola III, §3.1), egli nota
anche quella che e una differenza fondamentale tra le due. La ragione speculativa,
infatti, opera su giudizi universali e come tale parte da principi comuni e giunge a con­
clusioni uguali per tutti, anche se non tutti gli uomini possono essere in grado di segui­
re i passaggi delle dimostrazioni. La ragione pratica, invece, parte da principi in larga

29 «Respondeo dicendum quod dupliciter aliquid cognosci potest, uno modo, in seipso; alia modo, in suo effec­

tu, in quo aliqua similitudo eius invenitur; sicut aliquis non videns salem in sua substantia, cognoscit ipsum in sua
irradiatione. Sic igitur dicendum est quod legem aeternam nullus potest cognoscere secundum quod in seipsa est,
nisi solurn beati, qui Deurn per essentiam vident. Sed omnis creatura rationalis ipsam cognoscit secundum aliquam
eius irradiationem, vel maiorem vel minorem. Omnis enim cognitio veritatis est quaedam irradiatio et participatio
legis aeternae, quae est veritas incommutabilis, ut Augustin us dicit, in libro De vera relig Veritatem autem omnes
..

aliqualiter cognoscunt, ad minus quantum ad principia communia legis naturalis. In aliis vero quidam plus et qui­
dam minus participant de cognitione veritatis; et secundum hoc etiam plus vel minus cognoscunt legem aetemam>>.
Capitolo V Corruzione della religione
- 287

misura comuni, rna deve giudicare su aspetti contingenti e singolari, per cui «anche se
nei principi comuni vi e un certo grado di necessarieta, quanto piii si scende nel parti­
colare, tanto piii emergono gli errori». Di conseguenza

per quanto riguarda le conclusioni della ragione pratica non c'e una stessa verita e ret­
titudine presso tutti, ne e nota allo stesso modo tra coloro che ne hanno una stessa in
comune. C'e, comunque, un principio comune di verita e rettitudine: quello per cui "si
deve agire in modo ragionevole". E da questo principio segue [ad esempio] come con­
clusione specifica che si devono rendere i prestiti.
[/-//, q. 94, a. 4 co]30

Tommaso giunge, dunque a concludere che:


la legge naturale, in cio che riguarda i primi principi comuni e la stessa per tutti sia per
quanto riguarda i comportamenti retti che la loro conoscenza. Per quanto riguarda
alcune sue conseguenze particolari, che sono quasi delle conclusioni che seguono dai
principi comuni, e la stessa presso tutti, in larga misura, per la rettitudine dei compor­
tamenti e per la loro conoscenza, anche se puo esserci qualche eccezione, a causa di
qualche impedimenta (come accade nei difetti delle cose generabili e corruttibili) sia
nella rettitudine dei comportamenti che nella loro conoscenza.
[ibidemf'
Le deviazioni che possono presentarsi sono motivate da una causa che impedisce un
corretto uso della ragione, inducendo a valutazioni irragionevoli. Si tratta di uno di
quei casi in cui i vizi personali e i costumi di una cultura corrotta inducono a legitti­
mare dei comportamenti che in se sono contrari alla natura e al bene dell'uomo.
E questo puo accadere a causa di una depravazione della ragione, dominata dalle pas­
sioni, dalle cattive abitudini, come, stando a quanto riferisce Giulio Cesare nel De
bello gallico, accade presso i germani che non considerano il furto un atto iniquo, pur
essendo espressamente contro la legge naturale.
[ibidemf2

Si tratta di un passo veramente notevole. In primo luogo esso focalizza la diversita


che esiste tra il piano teorico della ragione speculativa e quello operativo della ragio-

30 <<Sed quantum ad proprias conclusiones rationis practicae, nee est eadem veritas seu rectitudo apud omnes;

nee etiam apud quos est eadem, est aequaliter nota. Apud omnes enim hoc rectum est et verum, ut secundum ratio­
nero agatur. Ex hoc autem principio sequitur quasi conclusio propria, quod deposita sint reddenda>>.
3 1 <<Sic igitur dicendum est quod lex naturae, quantum ad prima principia communia, est eadem apud omnes et
secundum rectitudinem, et secundum notitiam. Sed quantum ad quaedam propria, quae sunt quasi conclusiones
principiorum communium, est eadem apud ornnes ut in pluribus et secundum rectitudinem et secundum notitiam,
sed ut in paucioribus potest deficere et quantum ad rectitudinem, propter aliqua particularia impedimenta (sicut
etiam naturae generabiles et corruptibiles deficiunt ut in paucioribus, propter impedimenta), et etiam quantum ad
notitiam>>.
32 <<Et hoc propter hoc quod aliqui habent depravatam rationem ex passione, seu ex mala consuetudine, seu ex
mala habitudine naturae; sicut apud germanos olim latrocinium non reputabatur iniquum, cum tamen sit expresse
contra legem naturae, ut refert Iulius Caesar, in libro De bello gallico>>.
288 ALBERTO STRUMlA

ne pratica: la prima, opera su verita universali e la seconda, su verita particolari. A


livello speculativo si puo costruire una scienza di carattere universale, mentre a livel­
lo del particolare non si puo elaborare una vera scienza, anche se si parte da principi
comuni. I principi della legge naturale sono comuni a tutti, rna possono non esserlo le
regale che da questa vengono dedotte in merito a certe categorie di circostanze, anche
se lo e nella maggior parte dei casi. E tipico l'esempio della monogamia e dell'indis­
solubilita del matrimonio come istituto naturale. Rilevante e anche la motivazione por­
tata per spiegare il perche accade che non sia comune a tutti i popoli la capacita di trar­
re le stesse deduzioni dai principi comuni della legge naturale: la depravazione della
ragione, conseguente a cattive abitudini, ormai acquisite nella cultura di un popolo e
legalizzate dalle istituzioni civili.
Certamente la corruzione della legge naturale, nell'ambito del contesto culturale di
una nazione, diviene ancora piu accentuata se, all'origine, vi e anche un certo grado di
corruzione della ragione speculativa, che giunge a negare l'esistenza di una verita
oggettiva e la possibilita di riconoscerla dimostrativamente.

2.1.2. Se Ia Iegge naturale possa essere cambiata o addirittura abo/ita


Riguardo al secondo problema, san Tommaso si pone l'interrogativo sia in merito
alla mutabilita della legge naturale che quello della sua possibile totale rimozione dal
cuore dell'uomo.

Se la legge naturale possa essere cambiata


La risposta al quesito sulla possibilita di un cambiamento della legge naturale e
cosi puntuale da prendere in considerazione, anzitutto, il legame tra legge naturale e
legge positiva che aggiunge norme, specificando la legge naturale; e poi la possibi­
lita di rimuovere da essa qualcosa. Nel prima caso non si tratta di un vera e proprio
cambiamento, rna di un completamento, di aggiunte che non devono negare quanta
esplicitare.
Si puo intendere il cambiamento della legge naturale in due modi.
- Nel primo modo come aggiunta ad essa di qualcosa. E in questo senso niente ne
impedisce il cambiamento. Alla legge naturale, infatti, sono state aggiunte molte altre
norme utili alia vita degli uomini, sia ad opera della legge divina che di quella umana.
- Nel secondo modo si intende il cambiamento della legge naturale come sottrazione
di qualcosa da essa, nel senso che qualche norma che prima faceva parte della legge
naturale ora le sia venuta a mancare.
In questo senso, per quanto riguarda i primi principi della legge naturale essa e del
tutto immutabile. Quanto ai secondi precetti, che abbiamo detto ne derivano come
delle conclusioni immediate, puo in qualche raro caso sembrare cambiata, rna non
senza che rimanga giusto cio che essa stabilisce nella maggioranza dei casi. Puo poi
Capitola V Corruzione della religione
- 289

accadere che si presenti alterata, in qualche raro caso, a causa di qualche particolare
motivo che ostacola l'osservanza qualche precetto.
[I-II, q. 94, a. 5 cop3

Alcune aggiunte sono state fatte anche ad opera di una divina rivelazione e sono,
quindi, accolte per fede. In tal modo la legge naturale non viene cambiata, rna inte­
grata, attraverso la Rivelazione. Anche se il testo non lo dice esplicitamente, potrem­
mo intendere che possano esserci anche delle integrazioni della legge naturale che pro­
vengono dalle norme proprie di una religione, ritenuta fondata su una qualche forma
di rivelazione. Evidentemente, se la religione in questione e '�vera" (sia nel senso della
autenticita, che riguardo ai contenuti che propone da credere), queste integrazioni non
potranno essere contrarie alla legge naturale stessa, rna dovranno aiutame la com­
prensione e l'applicazione.
Altre aggiunte, e sono le piu numerose, sono queUe della legge positiva umana che
regola la convivenza civile dei popoli che non possono che dettagliare e aiutare a
meglio attuare la legge naturale. Una legge positiva che contrasti la legge naturale non
ha per Tommaso alcun valore obbligante e deve essere, anzi, disattesa come "corru­
zione" dello stesso concetto di legge.

Quindi ogni Iegge stabilita dagli uomini ha ragione di Iegge in tanto in quanta deriva
dalla Iegge naturale. E se discordasse dalla Iegge naturale, non sarebbe una Iegge, rna
una corruzione della Iegge.
[I-II, q. 95, a. 2 co]34

Se la legge naturale possa essere rimossa dal cuore dell'uomo


Tommaso arriva anche a porsi una domanda che, al suo tempo, doveva sembrare piu
teorica che rilevante dal punto di vista storico, mentre ai nostri giomi ha acquistato una
rilevanza ben maggiore. Ecco come la propone la terza obiezione dell'articolo.

Quanta e stabilito dalla Iegge viene considerato come giusto. Ma ci sono molte leggi
stabilite dagli uomini che sono contra Ia Iegge naturale.

33 <<Lex naturalis poles! intelligi mutari dupliciter. uno modo, per hoc quod aliquid ei addatur. Et sic nihil pro­
hibet legem naturalem mutari, multa enim supra legem naturalem superaddita sunt, ad humanam vitam utilia, tam
per legem divinam, quam etiam per leges humanas. Alio modo intelligitur mutatio legis naturalis per modum sub­
tractionis, ut scilicet aliquid desinat esse de lege naturali, quod prius fuit secundum legem naturalem. Et sic quan­
tum ad prima principia legis naturae, lex naturae est omnino immutabilis. Quantum autem ad secunda praecepta,
quae diximus esse quasi quasdam proprias conclusiones propinquas primis principiis, sic lex naturalis non immu­
tatur quin ut in pluribus rectum sit semper quod lex naturalis habet. Potest !amen immutari in aliquo particulari, et
in paucioribus, propter aliquas speciales causas impedientes observantiam talium praeceptorum>>.
34 <<Unde omnis lex humanitus posita intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur. Si vero

in aliquo, a lege naturali discordet, iam non erit lex sed legis corruptio» . .
290 ALBERTO STRUMIA

Dunque si deve dire che la legge naturale puo essere rimossa dal cuore degli uomini.
[I-ll, q. 94, a. 6, ag. 3P5

La risposta mette in evidenza, ancora una volta, i1 fatto che i vizi personali e i costu­
mi di una cultura corrotta possono causare una parziale incomprensione della Iegge
naturale e una sorta di parziale rimozione, rna mai una rimozione totale, perche que­
sta equivarrebbe ad una totale perdita delle capacita razionali.
Della legge naturale fanno parte, in primo luogo, alcuni precetti assolutamente comu­
ni a tutti e a tutti noti, e in secondo luogo, alcuni altri precetti piu particolari, che deri­
vano dai primi come una sorta di conseguenze immediate.
- Quanto ai principi primari comuni, questi non possono essere in alcun modo rimos­
si completamente dal cuore di nessun uomo. Possono risultare rimossi solo riguardo
ad un ambito di comportamento particolare, a causa della concupiscenza, o di qualche
altra passione, come si e gia detto.
- Quanto agli altri precetti [derivati dai primari come] secondari, la legge naturale puo
essere rimossa dal cuore degli uomini, a causa di cattive persuasioni, allo stesso modo
di come si incorre in errori neUe discipline speculative riguardo alle conclusioni neces­
sarie, o a causa di cattive consuetudini e di costumi di vita corrotti. Come accadeva
presso coloro che non consideravano peccato il furto o i vizi contro natura, come dice
anche 1 'Apostolo in Rm 1.
[I-ll, q. 94, a. 6, cop6

Ai nostri giorni, Ia Iegge naturale tende ad essere considerata da parte di molti, una
concezione del passato, appartenente alia riflessione medioevale, frutto di una filoso­
fia fondata sui realismo ingenuo (cfr. supra, capitola 3, §3). Contemporaneamente,
pen), ci si rende conto che, il venir meno di questa nozione ha compromesso alia radi­
ce i fondamenti stessi del diritto. Gli stessi diritti inalienabili della persona umana sono
considerati, dopo una fase un po' entusiastica che ha portato alia Carta internaziona­
le dei diritti umani, sempre piu una creazione dell'Occidente cristiano.
Contemporaneamente, pen), non mancano anche dei segnali di una certa sensibilita e
attenzione per il cristianesimo - presso popolazioni tradizionalmente non cristiane,

35 <<Illud quod lege statuitur, inducitur quasi iustum. Sed multa sunt ab hominibus statuta contra legem naturae.
Ergo lex naturae potest a cordibus hominum aboleri>>.
36 <<Ad legem naturalem pertinent primo quidem quaedam praecepta communissima, quae sunt omnibus nota,

quaedam autem secundaria praecepta magis propria, quae sunt quasi conclusiones propinquae principiis. Quantum
ergo ad ilia principia communia, lex naturalis nullo modo potest a cordibus hominum deleri in universali. Deletur
tamen in particulari operabili, secundum quod ratio impeditur applicare commune principium ad particulare ope­
rabile, propter concupiscentiam vel aliquam aliam passionem, ut supra dictum est. Quantum vero ad alia praecep­
ta secundaria, potest lex naturalis deleri de cordibus hominum, vel propter malas persuasiones, eo modo quo etiam
in speculativis errores contingunt circa conclusiones necessarias; vel etiam propter pravas consuetudines et habi­
tus corruptos; sicut apud quosdam non reputabantur latrocinia peccata, vel etiam vitia contra naturam, ut etiam
apostolus dicit, ad Rom. 1».
Capitolo V Corruzione della religione
- 291

anche per la maturata esigenza civile di un maggior rispetto della persona, indipen­
dentemente dalla sua condizione sociale, dalle sue origini, dal sesso, ecc. - ricono­
sciuto come portatore per eccellenza di tale rispetto della persona umana, e sostenito­
re dell'esistenza di una legge naturale, che ha un fondamento razionale e non neces­
sariamente di fede.37
Sembra illusorio il recupero dei diritti della persona, della stesso diritto alla liberta
religiosa, senza il riconoscimento di una legge naturale comune a tutte le culture e a
tutte le civilta. «Potremmo cosi ripetere con Giovanni Paolo II [discorso all'ONU,
1995, n. 3] che la legge naturale e come una "grammatica" comune soggiacente a tutte
le culture e condizione sine qua non per un fecondo dialogo internazionale»,38 e che
occorre un serio lavoro culturale, filosofico e scientifico per ridare gli adeguati «fon­
damenti antropologici e etici» ai diritti sanciti dalla Dichiarazione dei diritti umani del
1948.39
Emerge cosi, anche a livello pratico, un insieme di "principi irrinunciabili", come si
e vista per il livello della ragione speculativa. Comunque, ormai, si deve constatare che
il legittimo tentativo di partire, almena, dall'individuazione di valori di fatto condivi­
si da tutti, pare troppo debole e inefficace se non e sostenuto anche da una ragione spe­
culativa in grado di argomentare intorno alla verita, sulla base di un metoda scientifi­
co comune. «Si tratta di un "minimum etico" condiviso dall'intero corpo sociale; rna
cosi si ha un diritto delle regole, e un diritto dei valori, che puo definirsi diritto debo­
le, da alcuni ritenuto l'unico possibile nelle societa dalle molte etiche, proprio percbe
non farebbe scelte valoriali che si basano sulla "legge naturale" scritta nella natura del­
l'uomo e delle case. Ma cosi le norme delle varie convenzioni non sono compiuta­
mente giuridiche, rna piuttosto dichiarazioni di buone intenzioni».40 Jacques Maritain
- che pure guardava con speranza a questa via di convergenza pratica che partiva da

37 Sulla problernatica dei diritti urnani e del Ioro fondarnento nella Iegge naturale si possono vedere nurnerosi
studi, tra i quali segnaliarno, oltre al classico saggio di J. MARITAIN, I diritti dell'uomo e Ia Iegge naturale, Vita e
Pensiero, Milano 1991, anche i piu recenti lavori seguenti: A. ScoLA, L 'alba della dignitii umana: Ia fondazione
dei diritti umani nella dottrina di Jacques Maritain, Jaca Book, Milano 1982; L. CORRADINI E AL. (a cura di), I
diritti umani, presente e futuro dell'uomo, Cosenza 1986; V. POSSENTI, La democrazia e il cristianesimo, "Annales
Theologici", 6 (1992), pp. 55-73; E. FISCHETII, La libertii religiosa come fondamento dei diritti umani nel magi­
stero di Giovanni Paolo II, 1978-1995, Pontificia Universitas Lateranensis, Rorna 1999 (estratto di tesi dottorale);
S. CORSI (a cura di), Individui senza volto. Diritti universali e ricerca dell'identitii in una societii multiculturale,
Cantagalli, Siena 2003.
38 R. PIZWRNI, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Dornenicano, Bologna
2000, p. 575. Cfr. anche ivi, p. 553: <<Altrirnenti non vi e base sicura e unica per i diritti dell'uorno, non vi e garan­
zia di rispetto per Ia persona urnana, per i gruppi sociali, per i popoli, costituiti sernpre da persone».
39 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo diplomatico (9 gennaio 1989), n. 7, in Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, vol. Xll/1, Libreria Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1989, p. 69.
40 R.M. PIZWRNI, Diritto, morale, religione. Il fondamento etico-religioso del diritto secondo San Tommaso

d'Aquino, Urbaniana University Press, Citta del Vaticano - Rorna 2001, p. 301.
292 ALBERTO STRUMIA

un accordo minima tra i popoli - osservava gia all'inizio degli anni cinquanta del XX
secolo, che «questa e senza dubbio molto poco, e l'ultimo rifugio dell'accordo intel­
lettuale fra uomini».41 Egli constata come non si puo non «essere sorpresi nel vedere
sistemi che teoricamente si combattono convergere nelle lora conclusioni pratiche»,42
quasi a riprova che c' e una legge naturale che non puo non affiorare anche quando non
viene riconosciuta.
Tuttavia una simile convergenza pratica difficilmente potrebbe essere stabile, dura­
re nel tempo se non giunge a darsi un fondamento teorico comune, e soprattutto se si
parte dalla negazione teoretica della stessa possibilita di un simile fondamento, quale
e la legge naturale: «Per una filosofia che riconosca solo il fatto, il concetto di valore
- intendo valore obiettivamente vera in se - non e concepibile. [ . . . ] Se 1' affermazione
del valore e della dignita dell'uomo intrinseci e un'assurdita, un'assurdita risulta pure
1' affermazione dei diritti naturali dell' uomo».43
A piu di mezzo, secolo da quando queste parole furono pronunciate, assistiamo alla
lora esplicita conferma storica: «Basta pensare a cio che accade o e accaduto in con­
vegni e congressi internazionali o in altri momenti di confronto tra delegazioni di stati
diversi, dove esponenti di paesi non europei, di paesi non occidentali, avanzano sem­
pre piu di frequente la tesi [ . . . ] secondo la quale i diritti umani sono un prodotto tipi­
co della cultura occidentale».44 Attraverso quale via, allora, mostrare alle nazioni che
non si tratta di un «prodotto» arbitrario, rna piuttosto di una scoperta di portata uni­
versale, una scoperta di valore "scientifico" e, come tale, non relativo rna assoluto?
Le religioni, oggi, sono chiamate, come lo stesso Magistero ha piu volte ribadito, a
contribuire al riconoscimento dei diritti umani e, proprio perche, non potrebbero nep­
pure considerarsi "vere religioni" quando non 1i rispettassero, o anche solo fossero
indifferenti al problema. In tal caso, concordemente con il criteria di san Tommaso,
non sarebbero conformi alla legge naturale e quindi non potrebbero essere autentiche
religioni.
A questa proposito G. Mura si domanda: «Come e possibile oggi considerare la
"verita" della religione, o di "una religione", trascurando la questione della sua con­
cezione e del suo rispetto dei diritti umani? La religione, ogni religione, deve passare
al vaglio critico dei diritti dell'uomo: quale la concezione della donna, della liberta,

41 J. MARITAIN, L 'uomo e lo stato, Vita e pensiero, Milano 1981, p. 91. L'argomento dei diritti dell'uomo occu­
pa l'intero capitolo IV del libro (pp. 89-128). Cfr. anche J. MARJTAJN, Il contadino della Caronna, Morcelliana,
Brescia 1977, pp. 103-1 10, in riferimento ad un celebre discorso pronunciato dall'autore, in apertura della Seconda
·

conferenza internazionale dell'Unesco, 1' 1 novembre 1947 a Cilia del Messico.


42 /vi, p. 93.
43 /vi, p. 1 15.
44 G. DALLA TORRE, Una lettura del discorso del Papa all'ONU, 5 ottobre 1995. Problemi e prospettive per Ia
costruzione di un rinnovato ordine mondiale, in S. CORSI (a cura di), lndividui senza volto, op. cit., p. 70.
Capitola V Corruzione della religione
- 293

della persona, della giustizia? Come ha scritto Moltmann, le religioni mondiali oggi
devono essere misurate e giudicate prima che in chiave metafisica, dal duro tribunale
dei diritti umani, perche una religione che non umanizza non puo essere "vera" o
comunque universale».45

2.2. I VIZI CHE SI OPPONGONO ALLA RELIGIONE


La trattazione del Dottore Angelico dedica un ampio spazio all'esame dei vizi che
si oppongono alla religione. Errori e deviazioni tornati spesso di attualita anche ai
nostri giorni, riaffiorati in larga misura a causa della profonda crisi della razionalita di
cui si e detto e al conseguente emergere di un certo irrazionalismo. La grande suddi­
visione, che viene da lui presentata, li ripartisce in due categorie: quelli che rientrano
nell'ambito del culto, e quelli che rifiutano e disprezzano il culto come tale.46
Possiamo osservare - cercando di applicare questa suddivisione ai nostri giorni -
come, almeno nell'ambito della cultura dell'Occidente scientificamente progredito e
tecnologicamente avanzato, la storia degli ultimi secoli abbia visto emergere preva­
lentemente, prima il fenomeno della irreligiosita, poi quello della degenerazione inter­
na della religiosita. Nella prima fase, il graduale incremento dell' irreligiosita si e
manifestato sotto forma di ateismo47 sia teorico che pratico: a) con il positivismo, per
il quale la religione e fondamentalmente superata come "inutile", perche sostituita
dalla scienza moderna che conquista la conoscenza e dalla tecnica che conquista gli
strumenti del benessere e, quindi, di un certo grado di "felicita"; b) con il marxismo,
per il quale la religione e assolutamente "dannosa" alla societa, perche disimpegna
l'uomo dalla latta terrena che fa progredire dialetticamente la storia; c) con la psicoa­
nalisi freudiana e i suoi derivati che considera la religione come una forma di nevrosi
e dunque si propane di eliminarla, riducendo anche l'esperienza religiosa a livello psi-

45 G. MuRA, introduzione al volume R. CIPRIANI, G. MuRA (a cura di), II fenomeno religioso oggi. Tradizione,
mutamento, negazione, Urbaniana University Press, Citta del Vaticano - Roma 2002, pp. 21-22.
46 «Deinde considerandum est de vitiis religioni oppositis. Et primo, de illis quae cum religione conveniunt in
hoc quod exhibent cultum divinum; secundo, de vitiis manifestam contrarietatem ad religionem habentibus, per
contemptum eorum quae ad cultum divinum pertinent. Primum autem horum pertinet ad superstitionem; secun­
dum ad irreligiositatem. Unde primo considerandum est de ipsa superstitione, et de partibus eius; deinde de irre­
ligiositate et partibus eiuS>> (II-II, q. 92 pr).
47 Per una visione generale sulla questione dell'ateismo e dei diversi filoni di pensiero nei quali si manifesta, che
qui sono stati indicati, e un'ampia bibliografia in merito rimandiamo a G. MuRA, voce Ateismo in G. TANZELLA­
Ntrrt e A. STRUMIA (a cura di), Dizionario interdisciplinare. . . , op. cit., vol. 1, pp. 133-152 e dello stesso autore
anche Ia voce Agnosticismo, in ibidem, vol. 1, pp. 35-47. Segnaliamo, inoltre, G. MORRA, Dio senza Dio: ateismo,
secolarizzazione, esperienza religiosa, Patron, Bologna 1970; C. FABRO, L'uomo e il desiderio di Dio, Studium,
Roma 1975; J. MARITAIN, II significato dell'ateismo contemporaneo, Morcelliana, Brescia 1977; H. DE LUBAC, II
dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1979; G.B. MONDIN (a cura di), L 'ateismo, natura e cause,
Massimo, Milano 1981; M.J. BUCKLEY, At the origins ofmodern atheism, Yale University Press, New Haven (CT)
- London 1987; A. DEL NOCE, II problema dell'ateismo (1964), II Mulino, Bologna 1990.
294 ALBERTO STRUMIA

chico;48 d) con l'indifferentismo religioso, motivato dal relativismo soggettivistico che


toglie valore alla conoscenza della verita e dal clima di nichilismo che toglie la spe­
ranza, relegando la religione al piu nella sfera dell'irrazionale e del privata.
Nella seconda fase, soprattutto negli ultimi decenni, si e fatto strada un progressivo
riemergere della superstizione come forma corrotta di una riapparsa "religione", che
ha tolto qualche spazio all'irreligiosita, esprimendosi con nuove e diverse sfaccettatu­
re. Come conseguenza di una concezione "debole" delle capacita della ragione, si e
aperto lo spazio anche per la religione, rna quasi sempre in forma soggettiva e ridutti­
va. A questa proposito si puo osservare come la prima distorsione della religione
riguardi il fatto che essa sia concepita come un fatto "privata", piuttosto che come un
elemento costitutivo della storia e della cultura di un gruppo o di un intero popolo. Per
cui una religione puo conquistarsi uno spazio pubblico solo nella misura in cui le orga­
nizzazioni che la gestiscono hanna un sufficiente "potere economico" e un certo "peso
politico" per imporsi. In altri contesti, diversi da quello occidentale, al contrario, qua­
lora prevalgano tendenze caratterizzate dal fondamentalismo, la religione puo venire
snaturata per il fatto di essere imposta, resa pubblica coattivamente, perdendo cosi
totalmente la sua natura di atto virtuoso di culto e riducendosi ad esteriorita e possibi­
le strumento di prevaricazione.49

2.2.1. La superstizione
Nella nostra esposizione seguiremo, in ogni caso, l'ordine del trattato tomista, ini­
ziando dalla superstizione. A proposito della superstizione Tommaso si chiede, anzi­
tutto, «prima, se la superstizione sia un vizio contrario alla religione. Secondo, se
abbia piu parti o specie».50 Egli rileva subito come !'errore di fonda della superstizio­
ne consista nel fatto di rendere il culto che si deve solo a Dio anche a cia che non e
Dio, come a oggetti o creature di altra natura. Si tratta di una forma di "eccesso", non
nell'intensita del culto dovuto a Dio, alla quale non si possono porre limiti, rna nella
estensione del culto al di fuori dell'ambito dovuto.

48 «La religione e qualcosa che appartiene all'anima umana nella sua dimensione puramente psichica, rna non

ha niente a che fare con Ia sua attesa di trascendenza che qualifica I' atto religioso, quale e stato testimoniato non
solo dalla tradizione ebraico cristiana, rna evidenziato con chiarezza dalla modema fenomenologia della religio·
ne, e in particolare da Rudolf Otto e Max Scheler>> (G. MuRA, La simbologia dell' «anima» e degli dei nella psi­
cologia archetipica, in R. CIPRIANI e G. MURA (a cura di), 1/ fenomeno religioso oggi... , op. cit., p. 1 62).
49 Per una bibliografia sui fenomeno delle nuove forme di degenerazione della religione rinviamo a R. CIPRIANI,
G. MuRA (a cura di), 1/ fenomeno religioso oggi... , op. cit. e, inoltre a A. PORCARELLI, voce New Age in
G. TANZEUA-NITTJ, A. STRUMIA (a cura di), Dizionario lnterdisciplinare... , op. cit., vol. 1, pp. 1044-1061 e a!
documento del Pontificio Consiglio della Cultura e Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Gesu Cristo
portatore dell'acqua viva. Una riflessione cristiana sui "New Age", gia citato.
so «Circa primum quaeruntur duo. Primo, utrum superstitio sit vitium religioni contrarium. Secunda, utrum

habeat plures partes seu species» (11-1/, q. 92 pr).


Capitola V Corruzione della religione
- 295

La religione e una virtu morale. Ogni virtu morale si trova a meta, come si e spiegato
[tra l'eccesso e il difetto]. Dunque un vizio si puo opporre alla virtu in due modi, o per
eccesso o per difetto. E il giusto mezzo della virtu puo essere oltrepassato non solo
rispetto alla quantita, rna anche per altri motivi. Per cui, in alcune virtu, come la
magnanimita e la magnificenza, il vizio oltrepassa il giusto mezzo, non con il tendere
a qualcosa di piu della virtu stessa, o di meno, rna per il fatto di dare qualcosa a chi
non si deve o quando non si deve, e per simili circostanze; come risulta secondo il
/ Filosofo, nel IV libro de L'Etica. Cosi, dunque, la superstizione e un vizio che si oppo­
ne alla religione, per eccesso, non perche offra un culto eccessivo rispetto alla vera
religione, rna perche lo tributa a chi non deve, o nel modo che non deve.
[II-II, q. 92, a. 1 coP1

Quando si verificano delle condizioni storico-culturali nelle quali viene meno la


chiarezza, in merito al "destinatario" del culto, perche si indebolisce la vera fede o si
corrompe la ragione, e facile che alia domanda religiosa si cerchi una riposta rivol­
gendosi a un dio che non e tale. Per cui, in un contesto di irrazionalismo, alcune forme
di superstizione, possono manifestarsi, talvolta, anche tra persone di un livello cultu­
rale ritenuto comunemente elevato, rna fortemente specializzato in un solo settore
della conoscenza, con una minore consuetudine a ragionare correttamente in altri set­
tori del sapere. La religione tende a divenire un fatto privata e l'autorita che ne verifi­
ca l'autenticita, rimane solo l'individuo che la pratica. Alla religione, come patrimo­
nio culturale comune, si sostituiscono, tendenzialmente, degli idoli "laici".
La suddivisione delle diverse specie di superstizione e piuttosto articolata. Essa
viene stabilita in rapporto all'oggetto e in rapporto al fine, come Tommaso spiega nel
secondo articolo della q. 92 della Summa.
11 vizio che si oppone alla religione consiste nel fatto di oltrepassare il giusto mezzo
della virtu, secondo qualche circostanza. [ . . . ] Ora, le specie di superstizione si diver­
sificano,
- in primo luogo secondo l'oggetto. 11 culto divino si puo tributare, infatti a colui al
quale e dovuto, cioe al vero Dio, rna in modo indebito, e cosi si ha la prima specie di
superstizione.

51 «Religio est virtus moralis. Omnis autem virtus moralis in medio consistit, ut supra habitum est. Et ideo
duplex vitium virtuti morali opponitur, unum quidem secundum excessum; aliud autem secundum defectum.
Contingit autem excedere medium virtutis non solum secundum circumstantiam quae dicitur quantum, sed etiam
secundum alias circumstantias. Unde in aliquibus virtutibus, sicut in magnanimitate et magnificentia, vitium exce­
dit virtutis medium non quia ad maius aliquid tendat quam virtus, sed forte ad minus, transcendit tamen virtutis
medium, inquantum facit aliquid cui non debet, vel quando non debet, et similiter secundum alia huiusmodi; ut
patet per philosophum, in IV Ethic. Sic igitur superstitio est vitium religioni oppositum secundum excessum, non
quia plus exhibeat in cultum divinum quam vera religio, sed quia exhibet cultum divinum vel cui non debet, vel
eo modo quo non debet>>.
296 ALBERTO STRUMlA

- Oppure a cio a cui non lo si deve, cioe a una qualunque creatura. E questo e un altro
genere di superstizione, che si suddivide in molte specie, secondo i diversi fini.
[II-II, q. 92, a. 2 co]52

11 fine puo essere quello di onorare l'oggetto indebito come fosse Dio: «percio la
prima specie di questo secondo genere e l'idolatria, che tributa un culto divino a una
creatura»; o quello di carpire delle conoscenze divine, «e la superstizione che si oppo­
ne a questo e la divinazione che consulta i demoni per questo fine, stabilendo con essi
dei patti, taciti o manifesti»; o quello di onorare il proprio oggetto di culto secondo
determinate osservanze di comportamento (segni e scongiuri), «e in questo la super­
stizione si traduce nell'osservanza di gesti e comportamenti indebiti».

L'idolatria
Nel bell'articolo seguente (II-II, q. 94, a. 1) san Tommaso ripercorre, con una pano­
ramica storica, gli aspetti filosofico-religiosi della superstizione e dell'idolatria, nel
mondo a lui noto.

E superstizione il prestare un culto divino a una creatura. E il culto divino, cosi come
veniva prestato aile creature materiali sensibili, con segni sensibili, come sacrifici, gio­
chi e altre cose del genere, veniva prestato anche a creature rappresentate con forme e
figure sensibili, chiamate "idoli". [ . . . ] Ora, tra gli idolatri vi erano tre distinte opinio­
ni.
- Alcuni pensavano che certi uomini, come Giove, Mercurio, ecc., di cui veneravano
le immagini, fossero delle divinita.
- Altri pensavano che il mondo fosse come un unico Dio, e non tanto per Ia sua parte
materiale, rna per Ia sua anima, che essi ritenevano essere Ia divinita e, come l'uomo
e detto "sapiente" non per il corpo, rna per Ia sua anima, cosi essi affermavano che Dio
non sarebbe altro che ['anima che con il moto e l'intelligenza, governa il mondo (cfr.
Agostino, La citta di Dio, L. VII).
- lnfine, i platonici ritenevano che esistesse si un unico Dio supremo, causa di tutte le
cose. Ma ammettevano anche l'esistenza di alcune sostanze spirituali, create dal Dio
supremo, che denominavano "dei", per una sorta di partecipazione della divinita, e che

52 <<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, vitium religionis consistit in hoc quod transcenditur vir­
tutis medium secundum aliquas circumstantias. Ut autem supra dictum est, non quaelibet circumstantiarum cor­
ruptarum diversitas variat peccati speciem, sed solum quando referuntur ad diversa obiecta vel diversos fines,
secundum hoc enim morales actus speciem sortiuntur, ut supra habitum est. Diversificatur ergo superstitionis spe­
cies, primo quidem, ex parte obiecti. Potest enim divinus cultus exhiberi vel cui exhibendus est, scilicet deo vero,
modo tamen indebito, et haec est prima superstitionis species. Vel ei cui non debet exhiberi, scilicet cuicumque
creaturae. Et hoc est aliud superstitionis genus, quod in multas species dividitur, secundum diversos fines. Divini
cultus ordinatur enim, primo, divinus cultus ad reverentiam deo exhibendam. Et secundum hoc, prima species
huius generis est idololatria, quae divinam reverentiam indebite exhibet creaturae. Secundo, ordinatur ad hoc quod
homo instruatur a Deo, quem colit. Et ad hoc pertinet superstitio divinativa, quae daemones consulti per aliqua
pacta cum eis inita, tacita vel expressa. Tertio, ordinatur divinus cultus ad quandam directionem humanorum
actuum secundum instituta dei, qui colitur. Et ad hoc pertinet superstitio quarundam observationum».
Capitolo V Corruzione della religione
- 297

noi diremmo piuttosto "angeli". Dopo questi ponevano le anime dei corpi celesti, e al
di sotto i demoni, che affermavano essere come animali aerei; al di sotto ancora vi
erano le anime umane che, in base ai loro meriti pensavano dovessero essere aggrega­
te agli dei o ai demoni. A tutti questi esseri tributavano onori divini, come dice
Agostino (cfr. La citta di Dio, L. XVIII).
[II-II, q. 94, a. 1 cof3

Diverse di queste forme di idolatria trasformano un po' il loro aspetto, il loro modo
di presentarsi e si riformulano nei diversi tempi razionalmente deboli della storia, rna
tendono a ricomparire immutate nella loro essenza. Per questo l'analisi dell'idolatria
presentata in questo articolo rimane perfettamente valida anche oggi.

Le ultime due opinioni rappresentano cio che essi chiamano "teologia fisica", che i
filosofi studiavano indagando il cosmo e insegnavano nelle scuole. L' opinione che si
occupava del culto degli uomini riguardava Ia cosiddetta "teologia mitologica" che,
affidata alia creativita dei poeti, veniva rappresentata nei teatri. L'opinione, poi, che si
rifaceva aile immagini, costituiva Ia "teologia civile", che era celebrata nei templi dai
pontefici. Tutte queste cose rientrano nella superstizione e nell'idolatria. Di qui le
parole di Agostino, del II libro de La dottrina cristiana: e superstizioso tutto cio che e
stato inventato dagli uomini con Ia fabbricazione e il cu/to degli idoli allo scopo di
adorare una creatura o una parte del creato come fosse Dio.
[ibidemf4

53 <<Et ideo, cuicumque creaturae divinus cultus exhibeatur, superstitiosum est. Huiusmodi autem cultus divinus,
sicut creaturis sensibilibus exhibebatur per aliqua sensibilia signa, puta sacrificia, ludos et alia huiusmodi; ita etiam
exhibebatur creaturae repraesentatae per aliquam sensibilem formam seu figuram, quae idolurn dicitur. [ . . . ]
Horum tamen fuit triplex opinio. Quidam enim aestimabant quosdam homines deos fuisse, quos per eorum ima­
gines colebant, sicut Iovern, Mercuri urn, et alios huiusmodi. Quidam vero aestimabant totum mundum esse unum
Deum, non propter corporalem substantiam, sed propter animam, quam Deum esse credebant, dicentes Deum nihil
aliud esse quam animam motu et ratione mundum gubemantem; sicut et homo dicitur sapiens propter animam, non
propter corpus. Unde putabant toti mundo, et omnibus partibus eius, esse cultum divinitatis exhibendum, caelo,
aeri, aquae, et omnibus huiusmodi. Et ad haec referebant nomina et imagines suorum deorum, sicut varro dicebat,
et narrat Augustinus, VIII De Civ. Dei. Alii vero, scilicet platonici, posuerunt unum esse summum Deum, causam
omnium; post quem ponebant esse substantias quasdam spirituales a summo deo creatas, quas deos nominabant,
participatione scilicet divinitatis, nos autem eos angelos dicimus; post quos ponebant animas caelestium corporum;
et sub his daemones, quos dicebant esse aerea quaedam animalia; et sub his ponebant animas hominum, quas per
virtutis meritum ad deorum vel daemonum societatem assumi credebant. Et omnibus his cultum divinitatis exhi­
bebant, ut Augustinus narrat, in XVIII De Civ. Dei>>. II lema dell'idolatria viene trattato ampliamente, seguendo Ia
stessa linea, anche nella Summa contra gentiles, inserendolo nel quadro della trattazione del culto di adorazione
(latria), dovuto solo a Dio (cfr. CG, L. 3, c. 120).
54 <<Has autem duas ultimas opiniones dicebant pertinere ad physicam theologiam, quam philosophi considera­
bant in mundo, et docebant in scholis. Aliam vero, de cultu hominum, dicebant pertinere ad theologiam fabularem,
quae secundum figmenta poetarum repraesentabatur in theatris. aliam vero opinionem, de imaginibus, dicebant
pertinere ad civilem theologiam, quae per pontifices celebrabatur in templis. Omnia autem haec ad superstitionem
idololatriae pertinebant. Unde Augustinus dicit, in II De Doct. Christ., superstitiosum est quidquid institutum ab
hominibus est ad facienda et colenda idola pertinens, vel ad colendam sicut Deum creaturam partemve ullam crea­
turae>>.
298 ALBERTO STRUMlA

Le tre "teologie" delle quali si parla, sembrano essersi evolute e aver subito qualche
mutazione "genetica": oggi troviamo, ad esempio, una sorta di rinata attenzione-ado­
razione astrologica (spesso parallela o anche antagonista di quella scientifica) per il
cosmo e per la natura; delle forme di culto degli uomini, detti frequentemente "divi" e
che si propongono come modelli da emulare; il culto di immagini e insegne oggi ha
acquisito, con i mezzi di stampa e di comunicazione elettronica a distanza, una dimen­
sione totalizzante, soprattutto sotto la forma della pubblicita.
E non manca, da parte di alcune nuove forme di "religiosita" panteista, anche il
ritorno all'idea dell' anima del mondo/5 e alle credenze e alla pratica di certe forme di
magia, talvolta non senza connubi con il satanismo. Dal punta di vista psicologico,
potremmo dire che l'idolatria - quando non e totalmente ingenua, come, forse, lo fu
presso i nuclei piu primitivi degli insediamenti umani del paleolitico - fa cosciente­
mente dell'idolo un dio ("si fa" un dio), pur sapendo che non e il vera Dio; non
riuscendo a trovare o decidendo di abbandonare il vera Dio, perche ritenuto troppo
lantana, troppo poco tangibile, si crea un "surrogato" della divinita al quale tributare
un culto, come se fosse Dio. Questa operazione crea, negli idolatri, una sorta di appa­
gamento psicologico, anche se non totale, almena parzialmente soddisfacente del
sensa religioso naturale. E il processo lucido di autoconvincimento dell'ottenuto appa­
gamento e tanto piu forte quanta piu il fenomeno idolatrico diventa collettivo, 0 addi­
rittura di massa, mentre tende a spegnersi quando la moda di un certo "culto", di un
certo personaggio o di un certo comportamento, viene superata da una nuova corren­
te di pensiero. L'innescarsi di questa meccanismo psicologico si trova gia descritto
assai bene nella narrazione biblica della fabbricazione del vitello d'oro, in Es 32,1-6.
Certamente, pero, questi culti fittizi non rispondono alle domande serie della vita
dell'uomo e lasciano, col tempo, il vuoto, l'insoddisfazione. Ed e a questa punta che
non deve mancare la proposta di una esperienza religiosa pienamente vera, quella cri­
stiana vissuta nella Chiesa. Come il Magistero ha piu volte richiamato, gli uomini
hanna il «diritto» di ricevere 1' Annuncia della verita (cfr. ad esempo, Evangelii nun­
tiandi, n. 53; Catechesi tradendae, n. 14).

La divinazione
Diverse delle forme di idolatria, poi, non sono fini a se stesse, rna sono "interessa­
te" ad una sorta di "uso" strumentale di colui o di cia al quale si attribuisce un culto
surrettizio. L'idolo si presenta, all'idolatra, con un duplice volta, come una specie di
Giano bifronte: una delle sue facce si presenta artificiosamente come "divina" e quin­
di "da" all'idolo dei poteri sovraumani; l'altra faccia e, al contrario, e "sub-umana", e
quella di un artefatto, di un oggetto costruito dall'uomo, del quale egli e pienamente

55 <<Ouidam vero, Deum esse animam mundi aestimantes, crediderunt>> (CG, L. 3, c. 120, n. 2).
Capitolo V - Corruzione della religione 299

padrone. Questa secondo aspetto consente all'uomo di dominare l'idolo ponendolo al


suo servizio.
Questi due fattori sono all' origine della possibilita della divinazione e della magia,
che consistono in un uso strumentale dell'idolo, cioe dei poteri divini (racchiusi nel
suo prima volta) da parte dell'uomo del quale l'idolo e schiavo essendo una sua crea­
tura (secondo volta). L'idolo rappresenta, agli occhi dell'idolatra, un frammento di
potere divino sottratto al vero Dio dall'uomo, per poterne usare a piacimento, come il
fuoco prometeico. Questa combinazione dei due volti dell'idolo, che ne fa di fatto un
mostro ambivalente, produce, con la sensazione di possedere abusivamente un potere
sovrumano, quel sensa di provvisorio appagamento psicologico che e proprio di chi
ricorre alla divinazione, soprattutto in queUe forme estreme rappresentate dall'evoca­
zione degli spiriti e dalle pratiche sataniche, che costituiscono una sorta di sfida che
l 'uomo compie nei confronti di un potere sovraumano che si illude di pater controlla­
re, venendone, invece, soggiogato. Per questa tale appagamento e sempre accompa­
gnato da un brivido di paura,56 in quanta il controllo di un idolo che ha piu potere di
chi lo ha costruito e sempre precario e insicuro. Un po' come il timore, un tempo solo
fantascientifico, rna oggi almena in parte piu realistico, della macchina che si rivolta
contra l'uomo o almena lo condiziona fortemente; anzi, molto di piu quando l'idolo
artefatto viene messo in mano ad un potere superiore di cui si conosce, o almena si
sospetta, l'esistenza, come quello del demonio.
L'analisi della divinazione viene condotta, dall' Aquinate, anzitutto dal punta di
vista metafisico-cosmologico (sotto un profilo che oggi diremmo "scientifico") aura­
verso una fine indagine sulla causalita (cfr. II-II, q. 95),57 in base alla quale si stabili­
sce che cosa rientri nella conoscenza adeguata alla natura dell'uomo e che cosa spet­
ta conoscere solo a Dio: sulla base di tale analisi egli deduca la regola morale, e cioe
come sia non rispettoso, quindi contra la virtu di religione, per l'uomo tentare di car­
pire a Dio, con la divinazione, certe conoscenze che sono possibili solo a Lui. La moti­
vazione etica ha un fondamento scientifico vero e proprio, in quanta la divinazione
viene praticata per conoscere il futuro. Tommaso precisa come il futuro si possa cono­
scere indirettamente, mediante la conoscenza delle cause degli eventi, oppure diretta­
mente. Per quanta riguarda la conoscenza delle cause, egli distingue tre modalita di
rapporto tra la causa e il suo effetto.

56 A proposito della paura dell'uomo contemporaneo di fronte ai prodotti della sua intelligenza, cfr. Redemptor
hominis, n. 15.
57 Si tratta di un' analisi della causalita che, espressa in termini odiemi si potrebbe, pur con le dovute precisa­
zioni, interpretare in termini di causa/ita deterministica Iii dove Tommaso parla di cause necessarie, di causa/ita
probabilistica dove parla di cause che producono il loro effetto ut in pluribus e di causa/ita caotica o impredici­
bile dove parla di cause ad utrumlibet. Naturalmente Ia schematizzazione e restrittiva per Ia ristrettezza filosofica
che ancora Ia nostra scienza e in grado di esibire, rna e sufficiente a mostrare delle linee di orientamento che in
essa stanno maturando. Cfr. su questo argomento A. STRUMIA, voce Determinismo I indeterminismo, in Dizionario
111terdisciplinare , op. cit., vol. 1, pp. 373-381.
...
300 ALBERTO STRUMIA

11 primo modo e quello sul quale si basano quelle regolarita "necessarie" che la
scienza moderna constata e descrive mediante quelle leggi che chiamiamo "determi­
nistiche" (che vengono normalmente formulate da noi con il linguaggio matematico).
Questa predicibilita "calcolabile", degli eventi, non ha a che fare con la divinazione,
in quanta si tratta di una conoscenza che l 'uomo acquisisce con i suoi sensi e la sua
intelligenza, senza carpirla alla divinita.

Alcune [cause] producono il loro effetto sempre e necessariamente. In tal caso gli
effetti futuri possono essere previsti e predetti con certezza in base alta conoscenza
delle loro cause. Cosi gli astronomi prevedono con certezza le eclissi future.
[II-II, q. 95, a. leo)58

11 secondo modo e quello sul quale si basano, invece, quelle regolarita "probabili",
che la scienza moderna constata e descrive mediante quelle leggi che chiamiamo "sta­
tistiche", che servono a descrivere comportamenti che, singolarmente presi sono
impredicibili, rna che nella maggioranza dei casi (ut in pluribus), oggi diremmo nel­
l'ordine dei "grandi numeri", presentano mediamente delle regolarita.

Altre cause possono produrre i loro effetti in modo non necessario e regolare, rna solo
nella maggior parte dei casi, perche a volte non ottengono l' effetto. Mediante questo
tipo di cause si possono si conoscere gli eventi futuri, rna non con certezza, rna solo
ipoteticamente, come gli astronomi, con l'osservazione del cielo cercano di conosce­
re e prevedere la pioggia o la siccita, e i medici la guarigione o la morte.
[ibidemP9

L'esempio della meteorologia (che allora rientrava nell'astronomia) e particolar­


mente calzante anche per la scienza odierna che qualifica come "impredicibili" i feno­
meni atmosferici, in basi aile leggi deterministiche e trattabili solo statisticamente.60
11 terzo modo in cui si realizza la causalita, secondo Tommaso, si colloca al di fuori
dell'ambito delle scienze fisiche e biologiche odierne e, in quanta chiama in causa la
volonta e la liberta, viene a collocarsi sul piano dell'antropologia-psicologia.

58 «Quaedam enim producunt ex necessitate et semper suos effectus. Et huiusmodi effectus futuri per certitudi­
nem praenosci possunt et praenuntiari ex consideratione suarum causarum, sicut astrologi praenuntiant eclipses
futuras».
59 <<Quaedam vero causae producunt suos effectus non ex necessitate et semper, sed ut in pluribus, raro tamen
deficiunt. Et per huiusmodi causas possunt praenosci futuri effectus, non quidem per certitudinem, sed per quon­
dam coniecturam, sicut astrologi per considerationem stellarum quaedam praenoscere et praenuntiare possunt de
pluviis et siccitatibus, et medici de sanitate vel morte>>.
60 Per Tommaso il motivo per cui tali cause non producono sempre il loro effetto e individuato in qualche causa

impediente che interferisce con esse. La scienza recente propone diverse spiegazioni e interpretazioni in proposi­
to, distinguendo diversi tipi di impredicibilita; e alcune questioni sono tuttora aperte, come quella dell'interpreta­
zione della meccanica quantistica. Ma non e questa Ia sede per approfondimenti, per una presentazione dei quali,
in una prospettiva interdisciplinare, possiamo rinviare a G. TANZELLA-NITII e A. STRUMIA (a cura di), Dizionario
lnterdisciplinare... , op. cit., voci Determinismo/indeterminismo; Meccanica; Meccanica quantistica.
Capitolo V Corruzione della religione
- 301

Ed e interessante rilevare come egli riesca a collocare nell' ambito della sua scienza
anche questa tipo di causalita, che e propria della libera volonta di un essere raziona­
le: per lui la volonta e una causa che puo stare accanto alle cause di natura fisica, dif­
ferendo da queste per il fatto di essere completamente indeterminata, fino a quando il
suo effetto non viene posto in atto.
Gli effetti di una causa libera, di conseguenza, non sono predicibili in quanta una
stessa causa puo produrre, alternativamente, degli effetti opposti.

Ci sono poi altre cause che, considerate in se stesse, possono indifferentemente pro­
durre effetti tra loro contrari. Questo riguarda, in particolare, le facolta razionali che,
come dice il Filosofo, sono capaci di atti opposti.
E gli effetti di queste, come pure quelli che derivano, come eventi rari, da cause fisi­
che, non possono essere conosciuti in precedenza con l'analisi delle loro cause, per­
che queste non sono univocamente determinate verso i loro effetti.
Percio non si possono conoscere i loro effetti se non osservandoli direttamente.
[ibidem]61

La divinazione viene a collocarsi al livello di questa tipo di predizione degli eventi


futuri, in quanta solo Dio puo conoscerli prima che, per noi, si verifichino. E quindi
per conoscerli in anticipo, gli uomini, cercano di carpirli alia divinita.

11 considerare questi eventi, in se stessi, prima che avvengano, e proprio solo di Dio,
che nella Sua eternita vede il futuro come presente, come si e spiegato nella Prima
parte. Da cui le parole di Is 41, annunziate le cose che verranno in futuro, e conosce­
remo che siete dei. Se, dunque, qualcuno presume, in qualsiasi modo, di conoscere e
di predire il futuro senza una rivelazione di Dio, usurpa evidentemente un prerogativa
divina.
Da qui alcuni vengono detti "divini", come spiega Isidoro neUe Etimologie: sono detti
"indovini ", o "divini ", come fossero pieni di Dio; ma essi Jingono di essere ripieni di
divinita e, con astuzia fraudolenta fanno credere alta gente di predire il futuro.
[ibidem]62

61 «Ouaedam vero causae sunt quae, si secundum se considerentur, se habent ad utrumlibet, quod praecipue
videtur de potentiis rationalibus, quae se habent act opposita, secundum philosophum. Et tales effectus, vel etiam
si qui effectus ut in paucioribus casu accidunt ex naturalibus-causis, per considerationem causarum praenosci non
possunt, quia eorum causae non habent inclinationem determinatam ad huiusmodi effectus. Et ideo effectus huiu­
smodi praenosci non possunt nisi in seipsis considerentur>>.
62 «Sed considerare huiusmodi in seipsis antequam fiant, est Dei proprium, qui solus in sua aetemitate videt ea
quae futura sunt quasi praesentia, ut in primo habitum est, unde dicitur Isaiae 41, annuntiate quae futura sunt in
futurum, et sciemus quoniam dii estis vos. Si quis ergo huiusmodi futura praenoscere aut praenuntiare quocumque
modo praesumpserit, nisi Deo revelante, manifeste usurpat sibi quod Dei est. et ex hoc aliqui divini dicuntur, unde
dicit Isidorus, in libro Etymol., divini dicti quasi deo pleni, divinitate enim se plenos simulant, et astutia quadam
fraudulentiae hominibus futura coniectant>>.
302 ALBERTO STRUMIA

Egli e in grado, quindi, di concludere che «non c'e alcuna divinazione nella previ­
sione di eventi che avvengono per una legge necessaria, o altamente probabile, che puo
essere conosciuta dall'intelligenza dell'uomo», ovvero scientificamente, e tanto meno

nel conoscere per una [autentica] rivelazione divina eventi futuri contingenti: in que­
sto caso non e l'uomo che "divina", che cerca di fare qualcosa di divino, rna piuttosto
accoglie, riceve qualcosa di divino.
Si parla, invece, di "divinare" o "indovinare", quando si cerca di usurpare indebita­
mente la facolta di predire il futuro. E questo e un peccato; per cui la divinazione e
sempre un peccato, e Girolamo dice che Ia divinazione si deve considerare sempre un
male.
[ibidem ]63

La divinazione viene suddivisa in due grandi categorie all'interno delle quali si


danno numerose suddivisioni.64 Nella prima troviamo la divinazione compiuta con
l'invocazione diretta dei demoni che si manifestano con apparizioni e voci in sem­
bianze umane (praestigium), in sogno (divinatio somniorum), tramite la evocazione
dei morti (nigromantia), per mezzo di indovini (per pythones), mediante l'interpreta­
zione di figure che si "vedono" in cose inanimate nella terra (geomantia) , nell' acqua
(hydormantia), nell' aria (aeromantia), nel fuoco (pyromantia), nelle viscere di anima­
li immolati ai demoni (aruspicium). Nella seconda categoria si ha la divinazione pra­
ticata senza l'invocazione diretta dei demoni, mediante l'osservazione degli astri e
dello zodiaco (astrologia), l'osservazione del volo degli uccelli, ecc. (augurium),
mediante presagi verbali espressi da persone (omen), o la disposizione apparente (figu­
ra) di segni e oggetti come le linee nella mano (chiromantia), la spatola di alcuni ani­
mali (spatulimantia), la disposizione casuale degli oggetti come gocce di piombo fuso
nell'acqua, ecc. (sortes). In questa seconda categoria la pratica della divinazione puo
richiedere, in certi casi, l'intervento di un interprete, oppure puo essere condotta da
soli. Si vengono ad avere, in tal modo, in tutto tre modi possibili di esercitare la divi­
nazione: 11 primo fa ricorso all'invocazione diretta dei demoni ed e praticato dai negro­
manti; il secondo fa ricorso alla disposizione di cose esterne aile persone ed e opera

63 <<Divinatio ergo non dicitur si quis praenuntiet ea quae ex necessario eveniunt vel ut in pluribus, quae huma­

na ratione praenosci possunt. Neque etiam si quis futura alia contingentia, Deo revelante, cognoscat, tunc enim
non ipse divinat, idest, quod divinum est facit, sed magis quod divinum est suscipit. Tunc autem solum dicitur divi­
nare quando sibi indebito modo usurpat praenuntiationem futurorum eventuum. Hoc autem constat esse peccatum.
unde divinatio semper est peccatum. Et propter hoc hieronymus dicit, super michaeam, quod divinatio semper in
malam partem accipitur».
64 Cfr. anche il passo seguente: <<Dicit enim Maximus Valerius quod observatio auguriorum et somniorum et

huiusmodi ad religionem pertinent, qua idola colebantur. Et ideo in veteri lege, simul cum idololatria, haec omnia
prohibebantur: dicitur enim Deut. 18,9 ne imitari velis abominationes illarum gentium, quae scilicet idolis servie­
bant; nee inveniatur in te qui lustre! filium suum aut flliam ducens per ignem; aut qui ariolos sciscitetur, et obser­
ve! somnia atque auguria; nee sit maleficus neque incantator; neque qui pythones consulat nee divinos, et quaerat
a mortuis veritatem» (CG, L. 3, c. 154, n. 17).
Capitolo V Corruzione della religione
- 303

degli auguri; il terzo consiste nel compiere noi stessi qualcosa per scoprire cose occul­
te. Questa e il campo dei sortilegi.65
Nell'interessante articolo 5 della questione 95 della Secunda secundae, viene dimo­
strata l'infondatezza scientifica della divinazione astrologica. Nell'articolo 1 della
stessa questione, I' Aquinate aveva mostrato le ragioni per cui la divinazione, in gene­
rale, e illecita, in quanta gli effetti delle cause libere sono inconoscibili all'uomo, ora
egli spiega con maggiore dettaglio, come sia impossibile dedurre tale conoscenza dal
moto degli astri. L' astrologia, come ogni forma di divinazione, si fonda su una errata
concezione della causalita, ed e nello spazio aperto da tale ignoranza che «si inserisce
I' opera del demonio». E per questa essa e anche illecita, oltre che inefficace. Egli spie­
ga come, sebbene i moti degli astri siano predicibili scientificamente dagli astronomi,
in quanta sono regolati da leggi fisiche deterministiche, dalla conoscenza di questi
moti e impossibile risalire alia conoscenza degli eventi futuri determinati da cause
libere.66
I moti degli astri, infatti, non possono essere effetto degli eventi futuri, in base ai
quali questi ultimi possano essere conosciuti, ne essere ad essi concomitanti per il fatto
di avere con quelli una causa in comune.
Ci furono alcuni che dissero che le stelle non producono, rna piuttosto significano, o
indicano, gli eventi che vengono previsti a partire dalla loro osservazione. Ma questo
e irragionevole. Infatti, un segno materiale o e effetto di cio di cui e segno, come il
fumo che e segno del fuoco dal quale e causato, oppure ha in comune con esso una
stessa causa, per cui, indicando Ia causa indica anche l'effetto; come l'arcobaleno che
indica, talvolta, il sereno perche Ia sua causa e Ia stessa che produce il sereno. Ma non
si puo dire che Ia posizione e i movimenti dei corpi celesti siano effetto degli eventi
futuri. E neppure e possibile ricollegarli a una causa superiore comune di ordine mate­
riale.
[II-II, q. 95, a. 5co]67

Se di una causa comune si puo parlare, questa non e di ordine fisico, rna e la
Provvidenza divina, «rna questa govema i moti e la posizione dei corpi celesti secondo
modalita [e leggi causali] diverse da come govema gli eventi futuri contingenti».
Escludendo, quindi, che i moti degli astri possano essere un "segno" degli eventi futuri,

65 Cfr. II-II, q. 95, a. 3.


66 Considerazioni sirnili, pur con le debite differenze, vengono esposte a proposito della divinazione operata
attraverso il sogni (II-II, q. 95, a. 6), gli auguri (//-//, q. 95, a. 7), il gettare Ia sorte (II-11, q. 95, a. 8) e le pratiche
di osservanze e scongiuri (II-11, q. 96).
67 «Fuerunt enim qui dicerent quod stellae significant potius quam faciant ea quae ex earum consideratione prae­
nuntiantur. Sed hoc irrationabiliter dicitur. Omne enim corporale signum vel est effectus eius cuius est signum,
sicut fumus significat ignem, a quo causatur, vel procedit ab eadem causa, et sic, durn significat causam, per con­
sequens significat effectum, sicut iris quandoque significat serenitatem, inquantum causa eius est causa serenita­
tis. Non autem potest dici quod dispositiones caelestium corporum et motus sint effectus futurorum eventuum. Nee
iterum possunt reduci in aliquam superiorem causam communem quae sit corporaliS>>.
304 ALBERTO STRUMIA

rimane solo Ia possibilita che siano causa di questi, rna anche tale possibilita e infon­
data: infatti, oltre agli eventi del tutto casuali, le leggi che govemano i moti celesti, non
regolano il comportamento delle facolta imrnateriali come l'intelletto e Ia volonta.

AI controllo della causalita dei corpi celesti sfuggono gli atti del libero arbitrio, che e
una facolta della volonta e della ragione. Infatti, l'intelletto, o ragione, non e di natu­
ra corporea, ne consiste nell'atto di un organo corporeo, e neppure lo e la volonta, che
e nella ragione, come dice il Filosofo nel III libro de L 'anima. Ma nessun corpo puo
agire su una realta incorporea. Percio e impossibile che i corpi celesti agiscano diret­
tamente sull'intelletto e la volonta.
[ibidem]68

Tommaso precisa come il mettere sullo stesso piano le leggi che govemano i moti
celesti e quelle dell'intelletto e della volonta, equivarrebbe a sostenere Ia tesi materia­
lista che nega Ia natura immateriale e spirituale di tali facolta: «Ammettere questa
equivarrebbe a negare Ia differenza tra l'intelletto e i sensi», e questa equivarrebbe a
negare Ia possibilita stessa di quella conoscenza universale che caratterizza Ia creatu­
ra razionale, distinguendola da tutte le altre.
AI piu possono influire sull'agire in un dato modo, come dei fattori di predisposizio­
ne, influendo [fisicamente] sui corpo umano e quindi sulle facolta sensitive che, ser­
vendosi di organi corporei, possono condizionare gli atti umani. Siccome, pero, le
facolta sensitive sono governate anche dalla ragione, come dice il Filosofo nel III libro
de L'anima e nel primo de L'Etica, questa influenza non impone alcuna necessita al
libero arbitrio e l'uomo puo agire contrastandola.
[ibidem]69

2.2.2. L 'irreligiosita
Se Ia superstizione, nelle diverse forme, si contrappone alia religione "per eccesso",
l'irreligiosita vi si oppone "per difetto", in quanta disprezza direttamente Dio e l'ono­
re che gli e dovuto, come accade nell'afto del tentare Dio, e della spergiurare; oppure
disprezza le case sacre, come nel caso del sacrilegio e della simonia.70 Ci limitiamo a

68 «Subtrahuntur causalitati caelestium corporum actus liberi arbitrii, quod est facultas voluntatis et rationis.
Intellectus enim, sive ratio, non est corpus nee actus organi corporei; et per consequens nee voluntas, quae est in
ratione, ut patet per philosophum, in iii de anima. Nullum autem corpus poles! imprimere in rem incorpoream.
Unde impossibile est quod corpora caelestia directe imprimant in intellectum et voluntatem».
69 «Possunt tamen ad hoc dispositive inclinare, inquantum imprimunt in corpus humanum, et per consequens in

vires sensitivas, quae sunt actus corporalium organorum, quae inclinant ad humanos actus. Quia tamen vires sen­
sitivae obediunt rationi, ut patet per philosophum, in III De anima et in I Ethic., nulla necessitas ex hoc libero arbi­
trio imponitur, sed contra inclinationem caelestium corporum homo potest per rationem operari>>.
70 <<Deinde considerandum est de vitiis religioni oppositis per religionis defectum, quae manifestam contrarie­

tatem ad religionem habent, unde sub irreligiositate continentur. Huiusmodi autem sunt ea quae pertinent ad con­
temptum sive irreverentiam dei et rerum sacrarum. Primo ergo considerandum est de vitiis quae pertinent directe
Capitola V - Corruzione della religione 305

questo accenno per quanto riguarda l'irreligiosita, secondo la trattazione di san


Tommaso, senza ulteriori approfondimenti, dal momenta che non paiono particolar­
mente rilevanti in ordine ad una teologia delle religioni; mentre ci siamo soffermati a
lungo sulla divinazione in quanto gli argomenti di san Tommaso ci sono sembrati di
particolare interesse e valore di fronte ad un fenomeno che si presenta in larga misura
riemergente, ingenerando frequenti confusioni in materia di religione.
I:irreligiosita, nella sua forma piu radicale che e quella dell'ateismo, ha visto, nel
corso del suo sviluppo storico, sempre un rapporto molto stretto tra ateismo e mate­
rialismo. 11 materialismo, fondando la comprensione di tutta la realta su un unico prin­
cipia irriducibile, quale e la materia, risulta per definizione incompatibile con la nozio­
ne di un Dio spirituale che trascende la materia stessa: per cui i1 materialismo non puo
non essere ateo, al piu puo tentare una sorta di "divinizzazione" della materia stessa,
al prezzo di una concezione piuttosto rozza e pagana degli attributi divini. «La ridu­
zione di tutta la realta all'essere materiale, che sta alla base dei sistemi materialisti,
esclude a priori l'affermazione di Dio».71 Viceversa, l'ateismo nel suo senso piu radi­
cale, negando un principia ontologico e cosmologico unico trascendente, dovra sosti­
tuirlo con i1 caso, e tendere ad eliminare quella catena di cause gerarchizzate secondo
livelli diversificati che conducono necessariamente ad una causa prima (Dio). E se esi­
stono solo le cause di livello inferiore, quelle meccaniche, non si puo non ridurre tutto
solo ai corpi materiali, tra i quali queste si realizzano. Ogni livello superiore di causa­
lita e sostituito dal caso. L'ateismo e i1 materialismo, dunque, tendono ad implicarsi e
a sostenersi mutuamente.72

3. La corruzione della religione come conseguenza della degenerazione della fede


e della dottrina

Come si e gia rilevato, interrogarsi sulla "corruzione della religione", vorrebbe dire
oggi interrogarsi sulle manifestazioni della degenerazione della fede cristiana, sia per
quanto riguarda l'atteggiamento e la consapevolezza del soggetto dell'atto di fede, sia
per i1 contenuto della dottrina alla quale presta fede. In tal modo la degenerazione della
religione viene a rientrare piu propriamente nel quadro dell'eresia, quando non in
quello dell'apostasia.

ad irreverentiam dei; secunda, de his quae pertinent ad irreverentiam rerum sacrarurn» (II-11, q. 97 pr); «Deinde
considerandum est de vitiis ad irreligiositatem pertinentibus quibus rebus sacris irreverentia exhibetur. Et primo,
de sacrilegio; secunda, de simonia>> (II-II, q. 99 pr).
71 G. COTitER, Definizione e tipologia dell'ateismo, in G.B. MONDIN (a cura di), L'ateismo, natura e cause,
Massimo, Milano 1981, p. 22.
72 Sui rapporto Ira materialismo e ateismo si veda G. MuRA, voce Ateismo in G . TANZELlA-NITII e A. STRUMIA

(a cura di), Dizionario lnterdisciplinare.. . , op. cit., vol. 1, pp. 133-136.


306 ALBERTO STRUMlA

'
3.1. LA CORRUZIONE DELIA RELIGIONE COME CONSEGUENZA DELL ERESIA

Tommaso precisa, per definire il senso in cui si deve intendere propriamente il ter­
mine "eresia", che essa e propria di chi intende essere cristiano, rna si discosta dalle
verita di fede che Cristo stesso ha insegnato mediante Ia Rivelazione e la Tradizione,
affi.date all'autentica interpretazione della Chiesa.
Ci sono due modi in cui si puo deviare alia fede autentica.
- Il primo modo e quello di chi non vuole credere in Cristo stesso, e questo e un erro­
re voluto riguardo al fine stesso della fede; questa e un'infedelta simile a quella dei
pagani e dei giudei [che vogliano deliberatamente rifiutarlo] ;
- i l secondo modo e quello di chi intende credere in Cristo, rna e in errore riguardo ai
mezzi che sceglie per credergli, perche non sceglie cio che Cristo ha realmente tra­
mandato, rna quello che gli suggerisce la propria mente. Per cui l'eresia e quella spe­
cie di infedelta che riguarda propriamente coloro che professano la fede in Cristo, rna
corrompono i suoi dogmi.
[II-II, q. 11, a. 1 cor3

Ora queste deviazioni dalla autentica dottrina della fede cattolica, possono riguar­
dare direttamente una verita di fede, oppure le "premesse" che sono alla base della
fede, in quanta sono erronee in se stesse.
Ora ci sono due modi in cui qualcosa puo avere a che fare con la fede, come si e gia
detto.
- In un modo, direttamente e principalmente, come nel caso degli articoli di fede;
- in un secondo modo, indirettamente e secondariamente, come nel caso di quelle
premesse dalle quali segue, come conseguenza, anche la corruzione di un articolo
di fede.
E in entrambi i modi puo manifestarsi l'eresia, o al contrario la fede autentica.
[II-II, q. 1 1, a. 2 cor4

Possiamo osservare, alla luce del precedente articolo, come della corruzione di que­
ste premesse ci siamo gia occupati in precedenza trattando della corruzione della
nozione di verita in se stessa (§1) e della corruzione della verita della religione nella

73 «A ;ectitudine igitur fidei Christianae dupliciter aliquis potest deviare. Uno modo, quia ipsi Christo non vult
assentire, et hie habet quasi malam voluntatem circa ipsum finem. Et hoc pertinet ad speciem infidelitatis
Paganorum et ludaeorum. Alio modo, per hoc quod intendit quidem Christo assentire, sed deficit in eligendo ea
quibus Christo assentiat, quia non eligit ea quae sunt vere a Christo tradita, sed ea quae sibi propria mens sugge­
rit. Et ideo haeresis est infidelitatis species pertinens ad eos qui fidem Christi profitentur, sed eius dogmata cor­
rumpunt».
74 «De haeresi nunc loquimur secundum quod importat corruptionem fidei Christianae. Non autem ad corrup­
tionem fidei Christianae pertinet si aliquis habeat falsam opinionem in his quae non sunt fidei, pula in geometri­
calibus vel in aliis huiusmodi, quae omnino ad fidem pertinere non possunt, sed solum quando aliquis habet fal­
sam opinionem circa ea quae ad fidem pertinent. Ad quam aliquid pertinet dupliciter, sicut supra dictum est, uno
modo, directe et principaliter, sicut articuli fidei; alio modo, indirecte et secundario, sicut ea ex quibus sequitur
corruptio alicuius articuli. Et circa utraque potest esse haeresis, eo modo quo et fides>>.
Capitolo V - Corruzione della religione 307

sua autenticita (§2), quando si corrompe la nozione di legge naturale nella sua essen­
za (§2.1), o in un aspetto particolare leso da un vizio contro la religione (§2.2).
Ora dobbiamo rilevare come, di fatto, in un'eresia che colpisce direttamente la fede
sono coinvolte quasi sempre anche delle degenerazioni a livello delle premesse, degli
errori filosofici concomitanti che favoriscono quell'eresia rendendola pensabile, for­
mulabile e ne facilitano la diffusione, soprattutto quando gli errori nelle premesse sono
divenuti, in qualche modo, parte della mentalita e della cultura comune. Ai nostri gior­
ni, per fare un esempio gia messo in luce, possiamo affermare che, da una prospettiva
cattolica, }'errore filosofico del relativismo e la premessa che rende pensabile e favo­
risce la diffusione dell'eresia che nega l'unicita di Gesu Cristo come unico salvatore
di tutti gli uomini.
Di piu, si deve constatare come, oggi, Ia degenerazione della fede cattolica non si
limita aile forme dirette di eresia, rna si accompagna assai di frequente con una corru­
zione della stessa religione. Non e ormai infrequente il caso di battezzati che accetta­
no dottrine e principi morali non conformi alia fede della Chiesa, e in certo modo con­
trari anche ad una autentica esperienza religiosa. 75 Tommaso accenna ad una situazio­
ne simile quando dice che
e piu grave l'infedelta ( . . . ] di quegli eretici, come per esempio i manichei, che giun­
gono a dei livelli di errore, sulle questioni dottrinali, maggiori degli stessi gentili.
[II-II, q. 10, a. 6 cor6

Questa evenienza che, per I' Aquinate sembra essere un'eccezione, ai nostri giorni,
assume un rilievo consistente al constatare che Ia deviazione dalla retta dottrina della
fede porta con se anche una sorta di allontanamento, non solo dalla fede della Chiesa,
rna anche dall'autentica religione e dalla retta ragione. In questo caso si tende a pas­
sare, secondo Ia prospettiva tornista, da forme di eresia a vere e proprie forme di apo­
stasia, per quanto non apparenti e non riconosciute come tali. lnfatti «puo accedere di
allontanarsi da Dio con un rifiuto esplicito della mente nei confronti dei comanda­
menti di Dio, [ . . . ] pur rimanendo ancora legati a Lui dalla fede. Ma se uno abbando­
na anche Ia fede, allora pare proprio essersi allontanato completamente da Dio» (II-II,
q. 12, a. leo). Posizioni di questo tipo si accompagnano facilmente anche aile piu
diverse forme di superstizione, di idolatria, di divinazione e di irreligiosita (v. supra,

75 Per una panoramica sulla situazione della religiosita in ltalia, cfr. F. GARELLI, Religione e Chiesa in Jtalia, II
Mulino, Bologna 1991; IDEM, Forza della religione e debolezza della fede, II Mulino, Bologna 1996;
S. BURGAlASSI, S. MARTELLI, C. PRANDI, lmmagini della religiosittl ill ltalia, Angeli, Milano 1993; G. MORRA,
Religione civile, frammentazione sociale, post-modernittl. Quali valori comuni tra i giovani del Sud e del Nord
Italia?, Angeli , Milano 1999.
76 <<Et secundum hoc [ . . . ] gravior est infidelitas [ . . . ] quorundam, pula manichaeorum, qui etiam circa credibi­

lia plus errant quam gentiles>>.


308 ALBERTO STRUMiAl

§2.2), e in taluni casi mescolano o contrappongono alla fede e alla religione anche la
credenza nella "reincarnazione", pratiche magiche,77 e fenomeni di satanismo. E inte­
ressante notare che di questa fenomenologia troviamo puntuale trattazione nell'opera
tomista. Ne diamo qui almena un accenno.

3.1.1. L 'irrazionalita della dottrina della "reincarnazione "


11 tema dell'eternita dell' anima umana e della impossibilita della sua migrazione da
un corpo all'altro dopo la morte, viene trattato in grande dettaglio nella Summa con­
tra gentiles.
Alcuni che, a dire il vero professavano Ia fede cattolica, essendo imbevuti delle teorie
platoniche, hanno cercato un compromesso [con Ia dottrina della fede]. Dal momento
che, secondo Ia fede cattolica, niente e eterno all'infuori di Dio, non hanno ipotizzato
che le anime umane siano eteme, rna hanno supposto che siano state create insieme al
mondo, rna prima dell'universo visibile e che, poi, siano state associate a dei corpi.
Posizione che risulta essere stata proposta per Ia prima volta, in ambito Cristiano, da
Origene e seguita, poi, da diversi altri. E questa opinione e presente ancora oggi pres­
so alcuni eretici; i manichei, poi, in accordo con Platone ritengono addirittura che le
anime siano eterne e che migrino da un corpo all'altro. Ma e facile mostrare come que­
ste posizioni non sono compatibili con Ia verita.
[CG, L. 2, c. 83, nn. 7-8f8

In realta, 1' argomentazione, per quanta annunciata come «facile» richiede una certa
ampiezza. E interessante e il fatto che Tommaso, svolgendola in un'opera apologetica,
porta argomentazioni di ragione, "scientifiche" diremmo oggi, e non risolve la que­
stione limitandosi semplicemente ad affermare che la dottrina dell'eternita dell' anima

77 II riferimento qui non e tanto ai frequenti episodi di creduloneria verso astrologi e sedicenti maghi, quanta ai

veri e propri fenomeni di magia.


78 <<Quidam vero catholicam fidem profitentes, platonicorum doctrinis imbuti, viam mediam tenuerunt. quia
enim, secundum fidem catholicam, nihil est aetemum praeter Deum, humanas quidem animas aetemas non posue­
runt, sed eas cum mundo, sive potius ante mundum visibilem, creatas fuisse, et tamen eas de novo corporibus alli­
gari. Quam quidem positionem primus inter christianae fidei professores Origenes posuisse invenitur, et post eum
plures ipsum sequentes. Quae quidem opinio usque hodie apud haereticos manet: quorum manichaei eas etiam
aetemas asserunt, cum platone, et de corpore ad corpus transire. Sed de facili ostendi potest praemissas positiones
non esse veritate subnixas>>. A questa propostio R. Wileockx, che ringrazio per questa precisazione, mi ha fatto
notare come, pero, l'interpretazione tommasiana di Origene non sia corretta. Tommaso si fonda qui sui secondo
Girolamo, che fraintende Ia dottrina origeniana e cede a tendenze interpretative. Secondo l'autentico Origene, nella
preesistenza alia !oro esistenza celeste, terrestre o infemale, i membri del Corpo mistico di Cristo avevano gia un
corpo etereo. Non ci fu quindi un momenta in cui non furono uniti ad un corpo. Una preesistenza in senso asso­
luto non c'e mai stata. Dopo Ia caduta in seguito ad una scelta di Iibera arbitrio di demoni e umani, il corpo dei
demoni avendo peccato piu gravemente e cambiato in un corpo oscuro. Quello degli umani e cambiato in un corpo
terrestre, per il tempo di prova. (Cfr. H. Crouzel, Origene, Namur, 1985, pp. 267-284; Id., Origene et Plotin, Paris,
1992, pp. 232-237).
Capitolo V Corruzione della religione
- 309

e della trasmigrazione delle anime e contraria al dogma, come fa, invece, rapidamen­
te commentando il Vangelo di Matteo.79

Tracciato sintetico dell' argomentazione


L'argomentazione e sviluppata all'interno di un intero sistema di pensiero aristote­
lico che presuppone Ia teoria ilemorfica e, quindi che l' anima e la forma di un solo
corp'o del quale determina tutte le caratteristiche ed e ad esso unita sostanzialmente e
non accidentalmente, per cui non avrebbe sensa pensarla come intercambiabile da un
corpo all'altro. Essa e forma di quel corpo umano, creata con quello ed esclusivamen­
te per quello, con il quale costituisce un ben preciso essere umano, unico e irripetibi­
le e singolarmente individuato. Questa e fondamentale anche per garantire l'identita
della persona umana che svanisce la dove si ammette Ia "reincarnazione".
Il legame tra il corpo e l'anima e per natura, fisico, essenziale: ogni corpo ha una
anima ben precisa che ne determina tutte le caratteristiche e le funzioni vitali e intel­
lettuali.

La natura propria di ogni forma consiste nell'unirsi alia propria materia. Se non fosse
cosi il composto di materia e forma che ne risulterebbe non avrebbe un'unita "fisica".
[ivi, n. 10]80

Non e accidentale, casuale l'abbinamento di un'anima a un corpo, rna e essenziale


per quel corpo essere informato da quella determinata anima che e creata apposita­
mente per farlo essere quello che e, il corpo di quella persona umana.

Se per un'anima l'essere unita a un certo corpo o no fosse una possibilita variabile in
natura, significherebbe che sarebbe accidentale per un'anima essere unita a un corpo.
E di conseguenza l'essere umano che ne deriverebbe non sarebbe un essere [creato]
per se stesso, rna per caso.
[ivi, n. 14]81

Tanto meno si potrebbe pensare che l' anima possa passare da un corpo umano ad
uno animate o addirittura inanimato, perche I' anima, per pater svolgere le sue attivita
richiede di disporre di un corpo dotato di un grado di complessita e di organizzazione
pari a quella di un corpo umano.

79 <<Per hoc autem amovetur quaedam haeresis, quae posuit transmigrationem animae, quod anima videlicet exi­
bat de uno corpore, et intrabat aliud corpus>> (Sup Matth, cp. 1 1 , lc. 1).
80 <<Unicuique formae naturale est propriae materiae uniri: alioquin constitutum ex forma et materia esse! ali­

quid praeter naturam>>.


81
<<Si igitur uniri corpori et separari a corpore naturaliter circa animam varietur, erit accidens animae corpori
uniri. et sic ex hac unione homo constitutus non erit ens per se, sed per accidens».
310 ALBERTO STRUMIA

Non potrebbe unirsi ad un altro tipo di corpo meno complesso. Perche bisognerebbe
che quel corpo avesse, tra tutti corpi complessi, un grado di complessita di un livello
ad essa adeguato. Infatti noi osserviamo che i corpi complessi sono governati da un
livello di informazione (forma) tanto piu elevata quanto piu alto e il grado di com­
plessita che hanno raggiunto. E cosi, quelli che sono governati dal grado informazio­
ne (forma) piu elevato devono essere i piu complessi. [ . . . ] E il livello di complessita
piu adeguato all'intelligenza e quello del corpo umano. Percio, se una sostanza intel­
lettuale deve unirsi ad un corpo complesso, questo deve essere della stessa natura del
corpo umano. E il livello di informazione (forma) adeguato per governarlo, come sog­
getto (substantia) intelligente, deve essere della stessa natura dell'anima umana. Se
non fosse cosi non ci sarebbe nessuna differenza [neppure di complessita] tra Ia spe­
cie di un uomo e quella di un dato animale.
[CG, L. 2 , c. 90, n. 2] 82

3.2. MAGIA E SATANISMO


Entro il quadro del relativismo e dell'irrazionalismo riemergente, fanno la lora
ricomparsa anche antichi fenomeni - in realta mai del tutto estinti, rna rimasti nasco­
sti di fronte ai grandi successi del mondo scientifico - come la magia e il satanismo.
La cultura odierna, coerentemente con la sua impostazione soggettivistica, non si
pronuncia univocamente sulla loro autenticita: il credere che siano fenomeni verosi­
mili, autenticamente sovrastanti i comuni poteri dell'uomo, o che siano sempre e solo
i prodotti di un'operazione che alcuni hanna attivato ai danni di altri, ingenui, e una
questione la cui verifica e lasciata ai singoli.
Anche a proposito di questi fenomeni l'opera tomista e particolarmente utile per
trarre, al contrario, dei criteri oggettivi di valutazione. Di questi argomenti Tommaso
tratta con una notevole ampiezza, sia perche al suo tempo questi fenomeni erano lar­
gamente presenti, sia perche essi si oppongono sempre, per la loro stessa natura, alla
fede e alla religione. La Summa contra gentiles colloca l'argomento della magia entro
il trattato sui miracoli (L. 3, cc. 101-107), in quanta, la magia si presenta come un'ar­
te in grado di compiere case straordinarie simili a miracoli.

82 «Quod autem nulli corpori elementari substantia intellectualis uniatur ut forma nisi humano, evidenter appa­
rel. Si enim alteri corpori uniatur, aut unitur corpori mixto, aut simplici. Non autem potest uniri corpori mixto.
Quia oporteret illud corpus maxime esse aequalis complexionis, secundum suum genus, inter cetera corpora rnixta:
cum videamus tanto corpora mixta nobiliores formas habere quanto magis ad temperamentum mixtionis perve­
niunt; et sic, quod habet formam nobilissimam, utpote substantiam intellectualem, si sit corpus mixtum, oportet
esse temperatissimum. Unde etiam videmus quod mollities camis et bonitas tactus, quae aequalitatem complexio­
nis demonstrant, sunt signa boni intellectus. complexio autem maxime aequalis est complexio corporis humani.
Oportet igitur, si substantia intellectualis uniatur alicui corpori mixto, quod illud sit eiusdem naturae cum corpore
humano. forma etiam eius esset eiusdem naturae cum anima humana, si esset substantia intellectualis. Non igitur
esset differentia secundum speciem inter illud animal et hominem». Notiamo quanto sia attuale l'approccio alia
complessita che le nostre scienze stanno scoprendo da qualche decennio come fondamentale in ordine alia gestio­
ne di un alto livello di informazione.
Capitolo V Corruzione della religione
- 311

Solitamente si chiamano "miracoli" quegli eventi, che talvolta si verificano per opera
divina, e che vanno al di sopra del comune ordine stabilito delle cose: rimaniamo
meravigliati, infatti, tutte le volte che osserviamo un fenomeno di cui non conosciamo
la causa. Ma, poiche Ia causa, a volte, e nota ad alcuni e sconosciuta ad altri, puo suc­
cedere che alcuni restino meravigliati e altri no, di fronte a certi eventi: un astronomo
non si meraviglia osservando un' eclissi di sole, perche ne conosce Ia causa. [ . . . ]
Propriamente, pero, un miracolo e qualcosa Ia cui causa e intimamente nascosta. [ . . . ]
Ma una causa che sia intimamente nascosta ad ogni uomo e solo Dio. Per cui, in senso
' proprio, si devono chiamare miracoli quelli che avvengono al di sopra dell'ordine sta­
bilito delle cose, per opera di Dio.
[CG, L. 3, c. 101, n. 1)83

Sinteticamente, possiamo cercare d i riassumere l'ampia trattazione che segue nei


seguenti quattro punti fondamentali, e cioe:
a) che solo Dio puo fare dei veri miracoli, perche nessun altro puo modificare le
leggi della natura e tutto cio che viene fatto nell' ambito di quelle leggi, anche se
appare straordinario, e in realta, alla portata di chi lo compie.
Tutto cio che rientra nell'ordine costituito delle cose non puo agire al di sopra di esso.
Ma ogni creatura e posta da Dio in un ordine da Lui stabilito per tutte le cose. Per cui
nessuna creatura puo agire al di sopra di questo ordine, ovvero compiere miracoli.
[CG, L. 3, c. 102, n. 3)84
b) che le creature spirituali hanno una conoscenza e un dominio delle leggi della
natura molto superiore al nostro, per cui possono compiere azioni sulla materia,
nel rispetto delle sue leggi, che per noi sono fuori dell'ordinario e ci sembrano
miracoli, perche ne ignoriamo le cause.
La materia obbedisce aile sostanze separate moho di piu [che a noi] nel produrre i loro
effetti superando anche gli ostacoli che possono opporvisi. Per cui, sotto l'azione di
queste sostanze, puo verificarsi [in modo speciale], neUe sostanze inferiori, un effetto,
come Ia pioggia, o Ia guarigione di un malato, senza il concorso dei [consueti) agenti
corporei intermedi.
[CG, L. 3, c. 103, n. 1)85

83 «Haec autem quae praeter ordinem communiter in rebus statutum quandoque divinitus fiunt, miracula dici

solen!: admiramur enim aliquid cum, effectum videntes, causam ignoramus. Et quia causa una et eadem a quibu­
sdam interdum est cognita et a quibusdam ignota, inde contingit quod videntium simul aliquem effectum, aliqui
mirantur et aliqui non mirantur: astrologus enim non miratur videns eclipsim solis, quia cognoscit causam; [ . . . )
Illud ergo simpliciter mirum est quod habet causam simpliciter occultam: [ . . . ] Causa autem simpliciter occulta
omni homini est Deus: probatum enim est supra quod eius essentiam nullus homo in statu huius vitae intellectu
capere potest. Illa igitur proprie miracula dicenda sunt quae divinitus fiunt praeter ordinem communiter observa­
tum in rebus>>.
84 «Quod enim est sub ordine totaliter constitutum, non potest supra ordinem ilium operari. Omnis autem crea­

tura constituta est sub ordine quem Deus in rebus statui!. Nulla ergo creatura potest supra hunc ordinem operari.
Quod est miracula facere».
85 «[ . . . ] substantiis separatis multo magis obedit materia ad productionem alicuius effectus, quam contrariis

agentibus in materia. Unde [ . . . ] ad apprehensionem praedictarum substantiarum sequitur interdum effectus aliquis
in istis inferioribus, vel pluviarum, vel sanitatis alicuius infirmi, absque aliquo corporeo agente medio».
312 ALBERTO STRUMlA

c) che la magia, non apparente,86 e possibile all'uomo solo se si serve dell'inter­


vento di una creatura spirituale e non basta certo l'influsso degli astri, magari
con l'aiuto di pozioni o di certi "rituali", a renderla efficace.
Alcuni hanno sostenuto che i fenomeni straordinari prodotti con le arti magiche non
sono effetto dell'azione di sostanze spirituali, rna dell'influsso dei corpi celesti. E a
riprova di questo potere delle stelle portano il fatto che esse si possano trovare in certe
posizioni [favorevoli]. A volte, poi, fanno uso anche di erbe e di oggetti particolari, che
aiuterebbero a preparare la materia inferiore a ricevere l'influsso della virtu dei corpi
celesti.
[CG, L. 3, c. 104, n. 1]87

Ma quello che puo avvenire per azione dei corpi celesti, puo essere solo un effetto
naturale: non sono che delle informazioni (formae) naturali queUe che possono giun­
gere fino a noi da parte dei corpi celesti.
[ivi, n. 6]88

Rimane, dunque, solo la possibilita che questi effetti siano ottenuti mediante l'azione
di una creatura intelligente, alla quale si rivolge la richiesta di chi si serve di determi­
nate formule che vengono pronunciate [allo scopo].
Ne e indizio il fatto che le espressioni delle quali si servono i maghi sono invocazio­
ni, suppliche, giuramenti, comandi che si rivolgono come ad un'altro al quale si parla.
[CG, L. 3, c. 105, n. 6]89

d) che solo il demonio si presta a tale tipo di collaborazione per destare meraviglia
nell'uomo e farlo schiavo del suo potere. Non e opera di un'intelligenza supe­
riore buona quella che collabora con chi cerca delle conoscenze e dei poteri che
sovvertono 1' ordine delle cose, con la divinazione e la magia. Mentre i miracoli
autentici vengono compiuti sempre a gloria di Dio e mai per la voglia di vedere
accresciuto il proprio potere.

86 Cioe non quella che viene fatta credere tale con l'inganno, approfittando della credulita dell'interlocutore. Qui

Tommaso esamina le condizioni "scientifiche" di possibilita della magia; stara poi alia verifica sperimentale valu­
tare se e quando queste effettivamente si verifichino, ovvero se e quando la magia effettivamente esista.
87 «Fuerunt autem quidam dicentes quod huiusmodi opera nobis mirabilia quae per artes magicas fiunt, non ab
aliquibus spiritualibus substantiis fiunt, sed ex virtute caelestium corporum. Cuius signum videtur quod ab exer­
centibus huiusmodi opera stellarum certus situs consideratur. Adhibentur etiam quaedam herbarum et aliarum cor­
poralium rerum auxilia, quasi ad praeparandam inferiorem materiam ad suscipiendam influentiam virtutis caele­
stis».
88 «Quod virtute caelestium corporum fit, est effectus naturalis: nam formae naturales sunt quae in inferioribus

causantur ex virtute caelestium corporum. Quod igitur nulli rei potest esse naturale, non potest fieri virtute caele­
stium corporum>>.
89 «Relinquitur igitur quod effectus huiusmodi compleantur per aliquem intellectum ad quem sermo proferentis

huiusmodi voces dirigitur. Huius autem signum est: nam huiusmodi significativae voces quibus magi utuntur, invo­
cationes sunt, supplicationes, adiurationes, aut etiam imperia, quasi ad alterum colloquentis>>.
Capitola V Corruzione della religione
- 313

Prestare aiuto ad azioni che sono contrarie alia virtu non e indice di un'intelligenza
disposta al bene.
[CG, L. 3, c. 106, n. 2]90

Naturalmente l'analisi condotta da san Tommaso e molto piu dettagliata e ricca di


argomenti e di esempU1 Lo schema appena proposto e sufficiente a dare un'idea del
modo di impostare le argomentazioni e ha il vantaggio di essere libero da alcuni esem­
pi che possono risultare non piu attuali. Si puo concludere, allora, che la magia o non
e tale - rna solo sedicente tale per adescare gli ingenui - oppure, se esiste ed e effetti­
vamente magia, e sempre collegata con una forma di satanismo. E quindi e anche
estremamente rischiosa sia per chi la pratica attivamente, sia per chi ricorre ad essa
indirettamente per ricavarne un presunto "utile". Ancora piu pericoloso, poi, oltre ad
essere un atto totalmente contrario alla fede e alla vera religione e il culto dei demoni
compiuto attraverso dei veri e propri "riti satanici".

Ogni forma di divinazione che viene compiuta mediante l'invocazione dei demoni e
illecita per due ragioni.
- La prima e legata al principia in base al quale viene attuata Ia divinazione, che e un
patto con un demonio che viene esplicitamente stabilito mediante l'invocazione del
demonio stesso. [ . . . ] E sarebbe un cosa ancora piu grave se si offrisse un sacrificio o
si compissero riti di riverenza verso il demonio cosi invocato.
- La seconda ragione e legata all' evento futuro [che viene predetto]. II demonio, infat­
ti, che vuole Ia perdizione degli uomini, con i suoi responsi, anche se a volte puo
preannunciare delle cose vere, cerca di convincere gli uomini a credergli, cercando di
indirizzarli verso qualcosa che sia loro di danno.
[//-//, q. 95, a. 4 co]92

Si direbbe che, oggi, il satanismo abbia assunto, addirittura un volto ancora piu sot­
tile e pericoloso.93 Chi e attratto dai riti satanici in quanto tali, non li compie tanto per
conoscere il futuro attraverso la divinazione: chi vuole sapere qualcosa sul proprio

90 «Praestare enim patrocinium aliquibus quae sunt contraria virtuti, non est alicuius intellectus bene dispositi>>.
91 Cfr. anche De Pot, q. 6, a. 10.
92 «Respondeo dicendum quod omnis divinatio quae fit per invocationes daemonum est illicita, duplici ratione.

Quarum prima sumitur ex parte principii divinationis, quod scilicet est pactum expresse cum daemone initum per
ipsam daemonis invocationem. Et hoc est omnino illicitum. Unde contra quosdam dicitur Isaiae 28, dixistis, per·
cussimus foedus cum morte, et cum inferno fecimus pactum. Et adhuc gravius esset si sacrificium vel reverentia
daemoni invocato exhiberetur. Secunda ratio sumitur ex parte futuri eventus. Daemon enim, qui intendit perditio­
nem hominum, ex huiusmodi suis responsis, etiam si aliquando vera dicat, intendit homines assuefacere ad hoc
quod ei credatur, et sic intendit perducere in aliquid quod sit saluti humanae nocivum>>.
93 Cfr. su questi argomenti, M. INTROVIGNE, Lo spiritismo: Seminario internazionaie sui spiritismo e nuove reii­
gioni, Leumann-Elledici, Torino 1989; IDEM, Studi scientifici recenti sui satanismo, Quadrivium, Genova 1989;
IDEM, Indagine sui satanismo: satanisti e anti-satanisti dai Seicento ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1994.
314 ALBERTO STRUMIA

futuro lo fa ricorrendo a "maghi" non eccessivamente pericolosi, che dicono di scru­


tarlo nelle stelle e nelle carte, rna non si cimentano con il demonio.
La credulita di questi utenti di una "magia-gioco" sembra essere accettata come piu
una sorta di compensazione psicologica, di surrogato sostitutivo di una fede vera, per
la quale varrebbe Ia pena di spendere e rischiare anche la vita. Chi crede ai maghi, nel
nostro mondo occidentale, lo fa piu perche non sa a che cosa affidarsi, rna sa di non
rischiare troppo, e al piu e disposto a rischiare del denaro, rna non ha troppa voglia di
giocare con le cose dello spirito di cui sa ben poco . . .
Chi compie dei veri riti satanici, invece, sembra farlo per una sorta di Iucida per­
versione che cerca l'onnipotenza. Dopo avere provato cio che si puo fare seguendo
l'ordine naturale delle cose, se non trova una risposta adeguata nella via religiosa e
nella fede che offre la via per essere assimilati a Dio per partecipazione (grazia), l'uo­
mo cerca di essere come Dio, prima da solo, poi non riuscendovi, cercando la compli­
cita del demonio. La prima tentazione che insorge e quella della trasgressione delle
leggi dell'ordine naturale: attraverso un uso sregolato della sessualita, dell'alcool, per
giungere fino alia droga, al teppismo, al terrorismo, ecc. Se poi questo non basta puo
scattare, in alcuni soggetti, l'attrattiva verso la perversione che, in certi casi puo tro­
vare una condizione che Ia favorisce in una patologia del soggetto, mentre, in altri,
parte da un Iucido calcolo che e gia di per se piu diabolico che umano. II satanismo
sembra essere il vertice di questa Iucida ed estrema operazione di ricerca dell'onnipo­
tenza attraverso Ia perversione della religione e della fede, che puo coinvolgere, oltre
a coloro che ne orchestrano la regia, anche molti disperati, ingenui e poco consapevo­
li. Per tutto questo, il compito della Chiesa di guidare gli uomini a Cristo, unico
Salvatore di tutti, che restituisce anche la pienezza della razionalita attraverso l'espe­
rienza della vera religione, e oggi tanto piu grande e incombente.

4. Conclusioni relative al quinto capitolo

Nei precedenti capitoli della nostra ricerca abbiamo cercato di individuare degli ele­
menti di risposta - a partire dai testi di san Tommaso e dai principi che guidano la sua
opera - ad alcuni quesiti che emergono anche ai nostri giorni e ci sono parsi di pri­
maria importanza in ordine all'elaborazione di una teologia in grado di riconoscere la
"vera religione". I principali tra questi sono: a) il problema della individuazione di una
definizione di religione che abbia carattere universale e nel contempo sia fondata
oggettivamente e non frutto di una pura convenzione; b) la questione della verita della
religione e dei criteri per stabilirla, sia quanto alia sua autenticita, che quanto alia veri­
ta dei contenuti che propone da credere; c) il problema del rapporto tra religione e
fede, e se e come in ogni religione sia presente una forma di fede; d) la questione del
rapporto tra religione e rivelazione, e se in Tommaso siano presenti elementi ricondu­
cibili in qualche misura alia dottrina dei semina Verbi; e) il problema del valore salvi-
Capitolo V Corruzione della religione
- 315

fico delle religioni: se a partire da Tommaso siano reperibili elementi utili alla formu­
lazione di un modello di tipo inclusivista e quale sia la relazione tra la Chiesa e le reli­
gioni; f) la questione della necessita o meno di segni visibili della religione e, quindi,
di una sua dimensione pubblica. Questi stessi oggetti di indagine possono essere visti,
oltre che sotto il profilo "positivo" che caratterizza la "vera" religione, anche da un
punto di vista "negativo", ovvero da quello della degenerazione o corruzione della reli­
gione. Un'analisi della religione, da questo Secondo punto di vista, e quanto si e cer­
cato di fare in questo quinto capitolo.
11 quadro che ne e emerso ci ha permesso di individuare il dato secondo cui la cor­
ruzione della religione e, di regola, legata da un rapporto di causa-effetto, da un lato
con un degrado delle "premesse filosofiche" che sono necessarie alla fede e alla reli­
gione autentica e, dall'altro, con un degrado del modo di aderire alla stessa fede cri­
stiana. Sembrano essere senz'altro questi i due fattori determinanti che stanno all'ori­
gine anche delle altre forme di corruzione della religione, cause che san Tommaso
aveva gia considerato come fattori responsabili della corruzione delle fede. Attraverso
un paragone con la situazione contemporanea, e poi possibile notare che il livello
"filosofico" della corruzione della religione intacca, principalmente, la nozione stessa
di "verita" (relativismo filosofico) e la nozione di "legge naturale" (relativismo etico),
mentre il livello "dottrinale" della corruzione della fede riguarda i "contenuti" che la
religione propone da credere, che spesso provengono da forme di eresia cristiana che
degenerano, talvolta, in vere e proprie forme di apostasia. Vengono cosi compromes­
se sia la verita ontologica che la verita logica della religione.
Dopo avere evidenziato questi due elementi di carattere contestuale, attraverso i
testi di san Tommaso, ci siamo addentrati negli argomenti mediante i quali egli esa­
mina e critica i vizi contro la religione e contro la fede che ad essa si ricollega, come
atto di giudizio che la religione ha il compito di manifestare esteriormente. Abbiamo
potuto, in questo modo, mettere a confronto le diverse forme di irreligiosita, di idola­
tria e di superstizione, fino alla magia e al satanismo e riscontrare come le definizio­
ni, le classificazioni e le argomentazioni proposte dall' Aquinate siano di particolare
valore anche ai nostri giorni e offrano delle linee guida di carattere epistemologico,
antropologico e metafisico per meglio valutare la nozione di religione ed il suo impie­
go in un contesto propriamente teologico.
CONCLUSION!

A partire dai testi di san Tommaso d' Aquino sono stati individuati, nel corso di que­
sta lavoro, diversi elementi di interesse che possono, a nostro avviso, offrire degli
I

spuriti significativi per una comprensione della religione in un contesto teologico e, in


prospettiva, per l'elaborazione di una teologia delle religioni di ispirazione tomista.
Tali elementi sembrano indicare delle linee significative di approfondimento ai que­
siti che ci siamo posti all'inizio della nostra ricerca e che sono stati piu volte ripresi
durante il nostro lavoro. Tra i quesiti, i principali riguardavano:
a) l'individuazione di una definizione di religione che abbia carattere universale,
che sia nel contempo fondata oggettivamente e non sia frutto di una pura conven­
zione;
b) 1' esistenza di segni visibili e della dimensione pubblica della religione;
c) la questione della verita della religione e dei criteri per stabilirla, sia quanta alla
sua autenticita (verita ontologica), che quanta alla verita dei contenuti che propane da
credere (verita logica);
d) il problema del rapporto tra religione e fede: se e come in ogni religione sia pre­
sente una forma di fede;
e) la questione del rapporto tra religione e rivelazione: se in Tommaso siano presenti
elementi riconducibili in qualche misura alla dottrina dei semina Verbi;
f) il problema del valore salvifico delle religioni: se a partire da Tommaso siano
reperibili elementi utili alla formulazione di un modello di tipo inclusivista e quale sia
Ia relazione tra la Chiesa e le religioni.
Sara compito di queste riflessioni conclusive il cercare di raccoglierli e inquadrarli
unitariamente, per quanta ci sara possibile.
Cercheremo di vedere come gli elementi della dottrina della religione e, piu in gene­
rale della sintesi teologica tomista, che abbiamo raccolto nei capitoli precedenti, siano
significativi e come possano essere impiegati in vista dell'elaborazione di una teolo­
gia delle religioni ai nostri giorni.
Premettiamo, a livello illustrativo, alcune considerazioni di carattere metodologico.
Una teologia delle religioni che abbia un carattere prevalentemente "narrativo" - ci
riferiamo qui ad una teologia che prescinda da un sistema filosofico di riferimento e si
preoccupi principalmente di trasmettere l'esperienza viva del mistero creduto - tende­
ra, prevalentemente, a soffermarsi sui risultati della teologia tomista che si presentano
come suggestivi e applicabili ai problemi attuali, tralasciandone per<) il percorso dimo­
strativo. Questa verrebbe, infatti, percepito come troppo storicizzato, legato e condi-
318 ALBERTO STRUMlA

zionato ad un modo di pensare ritenuto, ormai, non piu utilizzabile. In ogni caso non
sara campi to di tale teologia quella di "dimostrare", piu di quanto non lo sia quello di
"illustrare" e "descrivere" l'esperienza religiosa, secondo una modalita compatibile
con la dottrina cattolica.
In una teologia delle religioni di tipo tendenzialmente "autonomo" - ovvero una
teologia che estenda, essa stessa, un quadro filosofico di riferimento, letto dalla stessa
logica della Rivelazione - oltre ad accogliere quei medesimi risultati tomisti che pos­
sono interessare la teologia narrativa, si cerchera di non limitarsi a ripresentarli in una
nuova veste e ad applicarli ai problemi odiemi, rna ci si chiedera anche in quale modo,
oggi, dare di questi una "motivazione teorica" e una "verifica" nell'esperienza. A que­
sto scopo, una teologia di questa tipo potrebbe tentare di elaborare una certa base filo­
sofica, mediante la quale recuperare anche i risultati filosofici piu notevoli, e percepi­
ti come sempre attuali, del tomismo. Nel contempo ci si servira delle nuove acquisi­
zioni delle scienze ausiliarie, anche in vista della verifica empirica di alcune delle pro­
prie conclusioni.
Infine, una teologia delle religioni di tipo essenzialmente "tradizionale" - che si
giovi, cioe di quadri filosofici classici compiuti, come furono ad esempio il platonismo
e 1' aristotelismo - potra decidere di assumere anche in toto il percorso tomista, sia
neUe sue conclusioni teologiche che neUe sue premesse e nei suoi metodi filosofici,
cercando di applicarli direttamente, per quanto possibile, alla soluzione dei nuovi pro­
blemi, riformulandone quando si ritenga necessaria il linguaggio e inquadrandoli nel
contesto culturale odiemo. A questo scopo occorrera, certamente, un preciso lavoro di
esplicazione e ritraduzione del linguaggio, di ripulitura da elementi evidentemente
legati solo al contesto storico, che oggi e cambiato, rna si potra salvare la sostanza sia
della parte metafisica e antropologica, che di quella propriamente teologica.
Interessante e utile sara poi il confronto con i risultati delle scienze e con le domande
fondazionali da esse emergenti, oltre ad un lora impiego per una verifica empirica
delle conclusioni in merito alla religione.
Occorre osservare come, a differenza dell'approccio modemo, quello di Tommaso
non si concentra sulle singole religioni storiche, alle quali si trovano pochi riferimen­
ti nella sua opera, quanta sulla nozione di religione come tale, sugli elementi che la
caratterizzano dal punta di vista della sua natura essenziale, rilevati sia fenomenologi�
camente, sia sulla base di considerazioni di tipo antropologico (la natura razionale del­
l'uomo), cognitivo (il suo modo di conoscere per astrazione dai sensi all'intelletto),
morale (il cercare di rendere all'altro cio che gli e dovuto, che e proprio della virtu
della giustizia), legale (il riferimento alla legge naturale) e teologico (l'ossequio della
creatura al suo creatore e la fede in Dio che si rivela, si incama e salva in Gesu Cristo).
Per cui si puo sicuramente affermare che per Tommaso non esistono solo le religioni,
rna Ia "religione" nella sua accezione universale, ed e di questa che egli da una defi­
nizione e offre una dottrina filosofica e teologica. Di conseguenza il contributo che egli
Conclusioni 319

puo offrire ad una teologia delle religioni puo risultare di grande utilita, proprio per la
visione unitaria della religione che e in grado di offrire. Si potrebbe dire che egli non
ci offre tanto una teologia delle religioni, quanto una teologia della religione.

1. La caratterizzazione (o definizione) della religione

Tdmmaso offre alla teologia i1 grande vantaggio di un affronto molto ampio al pro­
blema della religione, capace di cogliere i1 fenomeno religioso nella sua generalita.
Iniziamo ricordando la definizione proposta dall' Aquinate. Nei testi abbiamo anzitut­
to trovato una definizione di religione che ha i1 suo fondamento sia nella tradizione
filosofico-giuridica greco-romana (soprattutto in Cicerone), che in quella cristiana
(riferendosi principalmente ad Agostino). E si deve precisare che, anche se i1 contesto
della trattazione e collocato, nella quasi totalita dei testi, nell'ambito della dottrina
morale della giustizia (in quanto la religione riguarda i1 rapporto dell'uomo con
l 'Altro, che in questo caso e Dio), la teoria della religione che egli presenta non e sola­
mente una dottrina morale. La religione e da lui definita come «il rendere un culto ceri­
moniale ad una qualche natura superiore» (III Sent, d. 9, q. 1, a. 1d), «il rendere a Dio
cio che gli e dovuto» (I-II, q. 60, a. 3), e «consiste [ . . . ] nel culto divino» (CG, L. III,
c. 130, n. 6).
Esaminata alla luce della situazione contemporanea, nella prospettiva tomista va
messo in luce preliminarmente i1 dato metodologico di fonda a partire dal quale egli
affronta tutta la problematica della religione: per 1' Aquinate ogni atto di religione e
un actus humanus e non un semplice actus hominis, in quanto coinvolge la raziona­
lita dell'uomo (intelletto e volonta). In questo egli si differenzia da molta fenomeno­
logia e filosofia della religione moderna che riduce i1 fondamento antropologico della
religione ad un istinto pre-razionale, emozionale, innato nell'uomo, esclusivamente
ad un "sentimento" che viene detto "religioso" in ordine al tipo di atti che induce a
compiere.

1.1. L' ffi.RIDUCIBILITA DELLA RELIGIONE AL "SENSO RELIGIOSO"

Un primo elemento di rilievo emergente dalla definizione tomista di religione con­


siste nel fatto che essa non consente di ridurre i1 fenomeno religioso, non solo ad un
sentimento, rna neppure a puri e semplici "atti interiori". Nel nostro linguaggio direm­
mo che la religione, in primo luogo, non e riducibile al fenomeno del senso religioso,
inteso come ricerca di un significato (trascendente) dell' esistenza. Cio che noi inten­
diamo, oggi, per senso religioso, in Tommaso e riconducibile, in certa misura, al natu­
rale desiderium videndi Deum, e alla ricerca del fine ultimo al quale orientare la pro­
pria vita di uomini, prima che alla religione. In secondo luogo la religione, una volta
che il soggetto abbia individuato in Dio la risposta al proprio senso religioso, non puo
320 ALBERTO STRUMlA

limitarsi solo ad atti e abiti interiori, come quello della devotio, che pure costituisce
l'atto principale della religio. La religione deve essere anche manifestazione esteriore,
un «porre attenzione a compiere degli atti cerimoniali» (III Sent, d. 33, q. 3, a. 4), deve
esprimersi visibilmente con un culto pubblico, regolamentato da un rituale cerimonia­
le, per essere qualificata come religione. Questo elemento e molto importante e viene
a contrastare una certa tendenza spiritualista che interiorizza eccessivamente 1' espe­
rienza religiosa, con la conseguenza di renderla un fatto tendenzialmente privato, un'e­
sperienza solo soggettiva, intimistica, quando non addirittura prevalentemente psico­
logica e, nel contempo una tendenza spontaneista che rifiuti ogni regola e rituale litur­
gico.
Non disconoscendo affatto il grande contributo scientifico degli studi sul senso reli­
gioso e l'arricchimento spirituale che la messa a punto di tale nozione ha conferito alla
stessa esperienza cristiana, occorre non ridurre la religione esclusivamente a questo
aspetto. Si tratta di un principia tornistico che ha un pieno riscontro fenomenologico,
documentato attraverso lo studio delle forme di culto e delle tracce visibili da esse con­
segnate alla storia passata e al presente.

1 .2. LA MANIFESTAZIONE ESTERIORE DELLA RELIGIONE NEL CULTO E LA SUA FUNZIONE


COGNITIVA E SOCIALE

Il culto come elemento comune aile religioni e Ia specificita del cristianesimo.


L'irriducibilita della religione a sola interiorita - che e implicita nella definizione
tomista di religione, con la precisazione che essa comporta, per sua natura, di espri­
mersi esteriormente e pubblicamente, mediante atti di culto - oltre ad essere empiri­
camente stata verificata a livello universale dalla fenomenologia della religione e dalle
scienze ad essa ausiliarie, e importante per mettere in evidenza quegli aspetti che le
religioni hanno in comune tra loro e anche con il cristianesimo, che da questo punto
di vista si presenta esso stesso come una religione. Questo aspetto cultuale, che il cri­
stianesimo - pur con l'irriducibile specificita che la liturgia cristiana possiede - ha in
comune con le religioni, nulla toglie alla sua assoluta unicita, al suo non essere "sola­
mente" una religione, in forza dell'evento dell'Incarnazione alla cui origine sta l'ini­
ziativa di Dio, diversamente dalle religioni che sono incentrate, prioritariamente, sul­
l'iniziativa dell'uomo che muove dal senso religioso. Anzi, sara proprio il culto, nel
cristianesimo, ad assumersi il compito di esprimere questa novita attraverso i gesti del­
l'azione liturgica, la venerazione delle immagini sacre; fino a determinare l'architet­
tura delle chiese che ad esso deve essere funzionale, 1' espressione artistica pittorica e
scultorea che deve istruire, a somiglianza dell'omiletica e della catechesi.

II fondamento cognitivo della necessita di atti esteriori. Un aspetto particolarmen­


te interessante, anche dal punto di vista delle "scienze cognitive" attuali, risiede nella
motivazione primaria che Tommaso da della necessita di atti esteriori della religione,
Conclusioni 321

che fonda filosoficamente sulla sua teoria cognitiva, secondo la quale tutta la nostra
conoscenza proviene dall'esperienza sensibile e, per astrazione, giunge dai sensi alla
mente, al livello intellettuale e spirituale. Aile realta spirituali si giunge come condot­
ti per mano (manuductione) da segni esteriori, visibili e tangibili («la mente umana,
per essere unita a Dio, ha bisogno di esservi come condotta per mano da cose sensibi­
li, perche le realta invisibili si colgono con l'intelligenza solo mediante quelle visibi­
li>>, f/-1/, q. 81, a. 7). Di conseguenza, una teologia delle religioni di ispirazione tomi­
sta non potra mai essere totalmente spiritualista, rna dovra sempre tenere nel debito
canto il rapporto tra l'anima e il corpo, tra i sensi e l'intelletto. Vale anche la pena nota­
re, incidentalmente, come questa teoria cognitiva, si confronti molto bene con la nostra
scienza cognitiva piu recente che studia il rapporto tra il corpo e la mente, dalla quale
una teologia delle religioni (come anche una filosofia della religione) non potra del
tutto prescindere.

La dimensione sociale della religione. C' e anche un altro aspetto, particolarmente


rilevante dal punta di vista antropologico e sociologico, legato alla dimensione este­
riore della religione: i segni esteriori della religione, oltre ad aver una funzione cogni­
tiva, ne possiedono anche una sociale, in quanta rendono visibile "pubblicamente"
l'appartenenza religiosa, sia agli stessi appartenenti che a colora che non aderiscono a
quella religione. Si tratta di un elemento che fa uscire, decisamente, la religione dalla
sfera privata. Ad essere significativo e il fatto che Tommaso presenta cio come un dato
fenomenologico piu che come un risultato filosofico o teologico, rifacendosi in questa
ad Agostino, che constata come in tutte le religioni conosciute, gli uomini vengano
convocati sempre attorna a dei segni visibili («in nome di nessuna religione, vera o
falsa, gli uomini si possono aggregare, se non vengono raccolti insieme da segni o
sacramenti visibili», III, q. 61, a. 1; cfr. anche CT, n. 156 che riprende questa rilievo).
Anzi, per il cristianesimo, questa dato rappresenta una sorta di fondamento naturale
che fa da base alla teologia dei sacramenti, che lo assume e lo purifica risignificando­
lo alla luce dell' economia della grazia. A questa esigenza di espressione pubblica della
religione, implicita nella sua stessa definizione, si ricollega, ai nostri giorni, il proble­
ma del diritto alla liberta religiosa, intesa non semplicemente come liberta di pensie­
ro, rna anche di espressione e manifestazione pubblica e come diritto ad impartire e
ricevere 1' educazione religiosa corrispondente alla propria appartenenza religiosa; un
diritto che puo essere fondato adeguatamente solo a partire dalla verita (autenticita)
della religione che lo reclama.
Certamente una teologia "narrativa" non dovra preoccuparsi di dare a questa aspet­
to cognitivo-sociale una fondazione filosofica, come potra cercare di fare ad una teo­
Jogia "autonoma", o come di fatto fa una teologia "tradizionale" che accoglie, in larga
misura, anche gli aspetti filosofici della dottrina tomista. Non si puo non rilevare,
anche con sorpresa, come la teoria di Tommaso sia molto unitaria e rigorosa nel col-
322 ALBERTO STRUMIA

legare tra loro gli aspetti antropologici e quelli propriamente teologici, secondo una
logica che e quella della natura dell' uomo e contemporaneamente quella
dell'Incarnazione. Questa precisione nell'analizzare gli atti esteriori della religione,
tuttavia, non viene in alcun modo a scapito del fatto che, secondo Tommaso, sono gli
atti interiori (devozione e preghiera) a causare quelli esterni: la devozione, in quanto
dimensione interiore della religione e essenziale e principale, mentre l'aspetto esterio­
re e funzionale a quello interiore ( «1' elemento principale e la devozione della mente,
ed e secondario cio che riguarda gli aspetti esteriori legati al corpo», 11-11, q. 84, a. 3).
E insieme alla devozione, egli pone, naturalmente, la preghiera tra gli atti interiori
della religione. Nel corso della ricerca abbiamo potuto rilevare come, illustrando le
motivazioni della preghiera, Tommaso offra un'analisi significativa per rispondere ad
obiezioni ricorrenti anche ai nostri giorni, fondate spesso su un'erronea concezione
della causalita, e in particolare di quella divina, da alcuni concepita solo in forma rigi­
damente deterministica, o al contrario, da altri sostituita interamente con i1 caso (cfr.
11-11, q. 83, a. 2).

1 .3. L'ASPETIO MORALE E LEGALE DELLA RELIGIONE


Nella dottrina di Tommaso la dimensione esteriore e sociale della religione trova un
fiscontro anche nella sua fondazione morale e legale, nella sua stessa definizione, la
dove si spiega che il culto e un atto «dovuto» (cfr. I-II, q. 60, a. 3), da parte dell'uomo
che e debitore a Dio dell'esistenza e dei beni che riceve. Egli, quindi, e tenuto alla gra­
titudine per cio che da Dio riceve e ad una sorta di restituzione di qualcosa a Lui, pur
con la consapevolezza di non poter mai adeguare la grandezza dei doni ricevuti.
Questa idea di basare la religione su un fondamento morale, come un dovere di giu­
stizia, che compete allo stesso modo a tutti gli uomini, le conferisce un carattere non
solo individuale, rna sociale: la religione e manifestazione esteriore, pubblica, collet­
tiva, di popolo, fondata su una dimensione "legale" comune, per natura, a tutti gli
uomini. L'essere religioso e, per l'uomo, una caratteristica che deriva da una legge del
suo essere, della quale egli e tenuto a prendere coscienza razionalmente: si tratta della
"legge naturale". Certamente il diritto romano, che attraverso Cicerone giunge fino a
Tommaso, ha contribuito notevolmente a questa concezione oggettivamente fondata
della religione, maggiormente razionale e assai meno mitologica (aspetto richiamato
recentemente anche in Fides et ratio, n. 36).
Per questo motivo una teologia delle religioni, che faccia riferimento alla dottrina
tomista, dovra considerare attentamente la problematica della legge naturale, oggi
spesso rifiutata, o almeno non adeguatamente affrontata e compresa, rna che potrebbe
riemergere, proprio grazie alla necessita di riconoscere una base comune nel confron­
to fra le religioni. Viene cosi ad aprirsi l 'urgenza di una ricerca di tipo teorico e di
un'indagine fenomenologica sulla legge naturale: la teologia delle religioni non potra
condurla direttamente, rna potra trarre vantaggio da ricerche compiute da altre scienze.
Conclusioni 323

2. La verita della religione e Ia Iegge naturale

11 secondo elemento fondamentale, che troviamo in Tommaso, in relazione alla reli­


gione, e quello inerente alla questione della sua verita, intesa, innanzitutto, nel sensa
di autenticita (i caratteri propri della vera religio). Abbiamo potuto rilevare dai testi
come il criteria primario che 1' Aquinate offre, come condizione necessaria di autenti­
cita della religione sia quella della sua "conformita alla legge naturale", per cui se una
religione si oppone, in qualche misura, alla legge naturale, essa non puo essere consi­
derata una vera religione, venendo a cadere, piuttosto in una degenerazione della reli­
gione. Egli rileva, come «la religione, che e verso Dio, e la pieta che e verso i genito­
ri, i parenti e la patria, [ . . . ] rendono il dovuto, rna non adeguatamente, perche sarebbe
impossibile, e lo fanno in forza di un obbligo della Iegge [naturale]» (III Sent, d. 33,
q. 3, a. 4). Di questa egli indica anche una sorta di verifica fenomenologica, in quan­
ta nel corso della storia, la religione autentica ha sempre confermato e sancito i det­
tami della legge naturale («quanta era fondato sulla natura e verificato nella consuetu­
dine e stato sancito da un timore rispettoso delle leggi e dalla religione», I-II, q. 91,
a. 3). Lo stretto legame tra religione vera e legge naturale, permette all'Aquinate di
individuare anche alcuni caratteri essenziali propri della religione autentica, a partire
dal Decalogo, che costituisce la forma rivelata e autorevolmente promulgata da Dio
della legge naturale stessa. E questi caratteri sono indicati, sostanzialmente, nei
comandamenti della "Prima tavola" ( «i primi tre sono inerenti agli atti della religio­
ne», II-II, q. 122, a. 1). I caratteri della vera religio sono, quindi, a) il "monoteismo"
che riconosce un unico Dio (il "vera" Dio) con i suoi "veri" attributi (cfr. anche CG,
L. 3, c. 12, n. 24), b) il rispetto reverenziale verso Dio che viene indicato riferendosi
al "nominare" Dio, c) il "culto" pubblico indicato come santificazione delle "feste",
con tutte le conseguenze che ne derivano.
Quello della verita e oggi, a causa del diffuso relativismo epistemologico, il gran­
de problema, al quale sembra non potervi essere, al momenta, che una risposta nega­
tiva (scetticismo, nichilismo), o almena "indecidibile" (agnosticismo, indifferenti­
smo). E la mancanza di una filosofia della verita oggettiva, razionalmente riconosci­
bile, comporta, per la teologia cattolica, e in particolare per la teologia delle religio­
ni, la necessita di trasferire, la questione della certezza dell'esistenza di una verita
oggettiva, dal piano della ragione a quello della fede; rna si tratta, indubbiamente, di
una situazione anomala legata alla cultura del nostro tempo. Difficile, quindi, sembra
essere, oggi, 1' acquisizione immediata del criteria tomistico di conformita alla legge
naturale come criteria primario di autenticita (verita ontologica) di una religione, a
causa della duplice crisi, quella della nozione di legge naturale e di quella di verita.
L' Aquinate porta, invece, argomenti di grande interesse e rilevo a sostegno della
nozione di verita (ontologica e logica) e delle capacita dell'intelletto umano di giun­
gere ad una consapevolezza riflessa della verita della sua conoscenza (verita formale).
324 ALBERTO STRUMlA

Questo della verita e un problema innanzitutto filosofico, che diviene anche teologi­
co, nella prospettiva di Tommaso, dal momenta che egli sa riconoscere l'origine divi­
na di ogni verita che ha in Dio (Veritas prima) la sua causa prima efficiente ed esem­
plare (cfr. supra, cap. III, §2).
Ai nostri giorni la questione della verita si avvicina anche significativamente agli
interessi delle scienze e della loro teoria dei fondamenti, che mostrano, non di rado, di
giungere a problematiche assai vicine a queUe della logica e della metafisica greca e
medioevale. Non si puo neppure mancare di notare come, dal punto di vista del dirit­
to, si cerchi, talvolta, un recupero indiretto del criteria tomistico di autenticita della
religione, in rapporto alia legge naturale, attraverso la problematica dei diritti fonda­
mentali della persona umana, la violazione dei quali viene indicata come un indizio di
inautenticita di una religione.
La riflessione che 1'Aquinate svolge sulla verita formale - cioe sulla consapevolez­
za dell'intelletto umano di saper riconoscere di essere nella verita, - letta in una pro­
spettiva moderna, mostra anche la valenza esistenziale della dimensione religiosa, in
quanto si ricollega all'esperienza del vero che il soggetto compie, vivendo un'appar­
tenenza religiosa autentica, e in tutta la sua pienezza, nell'esperienza cristiana, aUra­
verso 1' appartenenza ecclesiale.

3. Religione, rivelazione, fede e salvezza

Se la questione della "autenticita" (verita ontologica) di una religione viene ricon­


dotta da Tommaso al problema della sua conformita alia "legge naturale" (almeno
come condizione imprescindibile), la questione della "verita dei contenuti della dot­
trina" (verita logica) di una religione, viene da lui ricondotta alla problematica della
"fede", dove a questo termine si deve attribuire il significato che noi oggi diamo
all'espressione "credenza religiosa" e non quello di fede teologale. Per 1' Aquinate,
infatti, il raccordo tra religione e fede si fonda sull' affermazione, che si direbbe
basata su una constatazione fenomenologica, secondo cui «ogni religione, o culto di
Dio, e una manifestazione di una qualche forma di fede» (IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1
ad 4"m; cfr. anche II-II, q. 94, a. 1, ad 1 um; II-II, q. 100, a. 1, ad 1 um; II-II, q. 101, a. 3,
ad 1 urn; Contra imp, ps I). Questo rilievo ci e parso di grande importanza per diver­
se ragioni.
In primo luogo esso offre un ulteriore elemento fondazionale alla irriducibilita della
religione ad un sentimento, in quanto una fede, secondo la prospettiva tomista e l'in­
segnamento delle Chiesa, e una forma di "assenso" che coinvolge l'intelletto e la
volonta dell' uomo e non appena il sentimento.
In secondo luogo conferma con chiarezza l'irriducibilita della religione al senso
religioso, inteso come ricerca di Dio quale significato dell'esistenza, in quanto una
Conclusioni 325

fede non ha per oggetto una domanda, quanta piuttosto una risposta gia trovata, alia
quale si aderisce.
In terzo luogo, e questa e un aspetto di grande importanza, l'orizzonte di una fede
si apre anche a quello di una rivelazione: in tal modo l'approccio tomista sembra pater
favorire l'indagine in merito a queUe religioni che si basano su forme di rivelazione
affidate a libri ritenuti sacri e/o a tradizioni orali. A questa proposito Tommaso, con Ia
I

sua dottrina dell'ispirazione-rivelazione, presentata nel trattato sulla profezia, offre


anche un madelia cognitivo che sembra, oggi applicabile, anche in ordine alia proble­
matica dei semina Verbi.
In quarto luogo, Ia relazione che viene stabilita tra religione e fede, apre Ia strada
all'affronto del problema della salvezza attraverso le religioni, in relazione al madel­
Ia tomista della salvezza mediante una fede "implicita" in Cristo unico salvatore, fede
che, in molti casi, si puo ritenere che non sarebbe stata possibile al singolo soggetto
senza I ' appartenenza ad una religione.

3.1. LA PROBLEMATICA DEI " SEMINA VERBI"


Tommaso non elabora direttamente una propria dottrina dei semi del Verba, o alme­
na, non fa ricorso a questa terminologia. Tuttavia egli ci viene in aiuto, anche su que­
sta problematica, in quanta non ha alcuna difficolta ad ammettere forme di ispirazio­
ne (oggi diremmo "illuminazione", riservando il termine "ispirazione" per gli autori
dei libri canonici) di singoli individui, in ordine alia rivelazione sia di alcune verita di
ragione, sia anche di verita non attingibili dalla sola ragione senza Ia grazia.

Un 'applicazione della dottrina della profezia e dell'ispirazione-rivelazione. E sem­


brato plausibile, analizzando, come si e fatto, Ia dottrina tomista della profezia e del­
l'ispirazione-rivelazione ed estrapolandola in qualche misura, ritenere proponibile Ia
tesi secondo cui i fondatori e i grandi maestri delle religioni non cristiane, Ia dove
hanna colto degli elementi di verita sia naturali che soprannaturali (semina Verbi),
siano stati dotati di una sorta di illuminazione profetica, nel sensa in cui Tommaso
intende l'ispirazione del profeta. E cos'i possano essere stati illuminati anche gli auto­
ri dei testi ritenuti sacri in alcune religioni, precisando, pero, che tale illuminazione e
da considerare solo temporanea e non permanente, e relativa a quei soli contenuti che
costituiscono dei veri semi del Verba e non all'intero contenuto dei libri e degli inse­
gnamenti di una religione, che puo presentare insieme a delle verita anche delle affer­
mazioni erronee. Questa estrapolazione, o se si vuole, applicazione al problema del­
l'illuminazione dei fondatori e degli autori degli scritti di una religione, nella quale
sono presenti dei semi del Verba, appare legittima in quanta e lo stesso Tommaso ad
affermare che «tutti [i carismi] che riguardano Ia conoscenza possono essere ricom­
presi sotto Ia "profezia". Infatti Ia rivelazione profetica non si estende solo agli eventi
326 ALBERTO STRUMIA

futuri che riguardano gli uomini, rna anche alle realta divine, e alle case che vengono
proposte a tutti come oggetto di fede, e ai misteri piu elevati attingibili dai piu esper­
ti, che riguardano la sapienza» (II-II, q. 171, pr).
La dottrina dei seminaria virtutis. Di una certa importanza collaterale alla stessa
problematica, e risultata essere anche la dottrina dei seminaria virtutum (cfr. III Sent,
d. 36. q. 1 . a. 1), cioe dei semi delle virtu che, pur essendo sviluppata da Tommaso nel
contesto delle virtu cardinali, parrebbe pater essere applicata anche in ordine alla fede.
Essa costituisce verosimilmente un tema da approfondire ( «Virtus [ . . . ] potest consi­
derari [ . . . ] secundum esse ipsius imperfectum, secundum quod seminaria virtutum
insunt nobis a natura; et sic virtus dicitur quaedam naturalis inclinatio ad virtutis
actum» (III Sent, d. 36. q. 1. a. 1).

Il ruolo dello Spirito Santo nella comunicazione della verita. Di un certo interesse
e sembrata anche la pista che si e aperta seguendo i numerosi testi nei quali Tommaso
riporta la massima di colui che egli ritiene essere il grande Ambrogio, seconda la quale
ogni forma di verita ha origine da Dio e viene dallo Spirito Santo («veritas a quocum­
que dicatur a Spiritu Sancto est»). Le considerazioni che 1' Aquinate svolge in questi
testi, sono parse di interesse per il nostro oggetto, in quanta trattano della possibilita
di un intervento soprannaturale in merito sia a conoscenze alla portata della ragione
naturale, come pure a conoscenze che siano eccedenti le capacita della ragione. In par­
ticolare nel passo della II-II, q. 172, a. 6, egli motiva la possibilita di una rivelazione
di alcuni contenuti veri, pur coesistenti con altri contenuti erronei. Sembra legittimo
ritenere che, se perfino «i profeti dei demoni» e «le sibille» hanna profetizzato cose
vere anche riguardo a Cristo, anche, e a maggior ragione, i fondatori di una religione
vera - rna addirittura anche di una religione falsa - possano avere detto alcune cose
vere su Dio e Cristo, che rientrerebbero, pertanto, nella categoria dei semina Verbi.
Queste forme di profezia, non costituiscono, tuttavia, in alcun modo delle espres­
sioni riconducibili ad un'azione dello Spirito Santo autonoma e, tanto meno contrap­
posta, all'unica mediazione di Cristo. Se si vuole essere fedeli a quanta 1'Aquinate
afferma, non e mai possibile scorporare la persona della Spirito Santo dalle altre, per
quanta riguarda le azioni ad extra della Trinita, tra le quali vanno collocate anche l'i­
spirazione-rivelazione e l'intera opera della Redenzione. Per cui un approccio tomisti­
co alla religione non consentira mai di teorizzare un'economia della Rivelazione e
della Salvezza autonoma da parte della Spirito, o addirittura contrapposta a quella del
Verbo incarnato in Gesu Cristo. Non e, poi, nemmeno lontanamente pensabile, nel
contesto tomistico, scorporare il Gesu storico dal Verbo, rendendolo una sorta di
"genere universale logico" (o in termini kantiani, di a priori trascendentale) che si
"specifica" nelle diverse religioni, "individualizzzandosi" nei singoli fondatori. La
mediazione della salvezza avviene, per lui, sempre e solo in Cristo unico salvatore. E
le modalita in cui puo attuarsi la salvezza, da quella ordinaria che si attua nell'appar-
Conclusioni 327

tenenza alla Chiesa visibile, mediante una fede esplicita in Cristo salvatore, a queUe
straordinarie che si attuano in forza di una fede implicita, sono sempre ricondotte alla
mediazione dell'unico mediatore, Gesu Cristo.

3.2. F'EDE, VERITA E SALVEZZA

lnseparabilita di verita e salvezza. Un altro elemento irrinunciabile per una teolo­


gia delle religioni che si rifaccia ai principi tomisti e il rapporto indissolubile tra la
conoscenza della verita, mediante la fede, e la salvezza. Per Tommaso la salvezza
richiede almeno una fede implicita nel Salvatore, che si concretizza nella fede esplici­
ta in Dio provvidente (oltre che creatore e remuneratore) che non priva gli uomini dei
mezzi della salvezza e di un Salvatore quando ve ne sia la necessita («Chiunque e in
ogni tempo e tenuto a credere esplicitamente che Dio esiste e governa con provviden­
za le realta umane», De Ver, q. 14, a. 1 1 ; «se alcuni, poi, si sono salvati senza che sia
stata fatta loro alcuna rivelazione, non si sono salvati senza la fede in Cristo mediato­
re. Perche anche se costoro non ebbero una fede esplicita, la ebbero comunque impli­
cita [in Lui] nella divina Provvidenza, credendo che Dio e il liberatore degli uomini,
secondo i modi che a Lui piacciono», 11-11, q. 2, a. 7, ad 3•m). Questa fede e una forma
di "conoscenza di verita" (in quanto assenso volontario dato ad una affermazione il cui
soggetto e Dio che provvede e salva): si stabilisce, in tal modo una connessione ben
precisa tra la "salvezza", mediante la "fede", e la conoscenza della "verita".
A questo punto e sembrato legittimo prospettare una seconda estrapolazione (dopo
la prima a proposito dell'ispirazione-rivelazione in relazione ai semina Verbi), appli­
cando il modello tomista della fede implicita alla problematica della salvezza attra­
verso le religioni. Una religione vera puo presentare, tra i contenuti che propane da
credere ai suoi seguaci, anche la dottrina di un Dio creatore, remuneratore e provvi­
dente, che non abbandona gli uomini lasciandoli senza gli aiuti necessari per il loro
bene e quindi per la loro salvezza. In tal modo quella religione costituirebbe, per colo­
ra che la seguono, una mediazione che conduce ad avere la fede implicita necessaria
per salvarsi, fede che il singolo potrebbe non essere in grado di conseguire senza l'ap­
partenenza alla religione che ha incontrato e alla quale ha aderito. Cosi quella religio­
ne potrebbe essere essa stessa, almeno per alcuni, quello strumento straordinario della
grazia che consente loro i1 raggiungimento della salvezza.
La trasposizione della teoria della fede implicita ed esplicita di Tommaso, dal sin­
golo individuo isolato, agli appartenenti ad una religione non sembra porre troppe dif­
ficolta: la fede del singolo che appartiene ad una religione non cristiana e e rimane una
fede implicita, come lo e per Tommaso: 1' elemento nuovo della proposta che qui e
stata avanzata, consiste nell'evidenziare il fatto che quella fede implicita non sarebbe
(forse) potuta esistere in quel singolo uomo se egli non avesse incontrato e accettato
quella appartenenza religiosa. Per quel singolo credente, la fede e apparsa in certa
328 ALBERTO STRUMIA

misura meno implicita negli appartenenti ad una certa religione, che per lui sono stati
dei maestri (dei fratelli in qualche modo "maggiori", per estendere, per analogia,
anche l'uso di questa terminologia di Tommaso) ed e stata, percio convincente, indu­
cendolo ad aderire con una fede che si appoggiava sulla loro. Tuttavia, quella fede di
coloro che sono "maggiori" per i1 singolo aderente ad una religione non cristiana,
rimane "implicita" in rapporto alla fede della Chiesa, nella quale solo si trova la espli­
cita fede in Cristo salvatore e si trovano gli unici maestri (a pieno titolo "maggiori")
che possiedono una fede veramente esplicita in Lui.
Si tratta, in ogni caso di una via di salvezza straordinaria, rispetto alla via ordinaria
dell'accoglimento diretto della fede della Chiesa. In questo modo si potrebbe dire che
tra le religioni "vere", possono essercene alcune (non tutte) che, oltre a costituire una
forma di preparazione alla fede della Chiesa, offrono una via di salvezza non autono­
mamente, rna in quanto, dispongono i loro appartenenti ad una fede implicita in Cristo
salvatore, fede che si rende esplicita solo nella fede della Chiesa. Secondo la termino­
logia tomista queste devono essere necessariamente religioni la cui fede, oltre a carat­
terizzarsi per il credere Deum, deve connotarsi almeno anche per i1 credere in Deum,
per poter riconoscere Dio come essere personale provvidente. Il campo delle religioni
che possiedono queste caratteristiche puo apparire, forse, troppo ristretto, rna non si
deve dimenticare che la salvezza non e preclusa a quanti praticano religioni che non
possiedono queste caratteristiche: semplicemente si deve dire che la salvezza, in tal
caso, non e raggiunta attraverso queUe religioni, rna per una via che rimane sostan­
zialmente individuate, o comunque indipendente da esse.
Al di la del "processo" cognitivo con il quale tutto il percorso di implicitezza ed
esplicitezza della fede viene reso possibile, anche una teologia delle religioni pura­
mente narrativa, sembra potere accogliere bene questa concezione e trarne anche la
conclusione, da noi proposta e sintetizzata nella formula sine ecclesia nulla salus. E
che, quindi come non si da un'economia della salvezza delle religioni indipendente da
Cristo, non si da neppure economia salvifica attraverso Cristo che possa essere indi­
pendente dalla Chiesa, anche quando tutto questo avvenisse senza una visibile appar­
tenenza ad essa. Questo modello offrirebbe anche una sorta di descrizione-spiegazio­
ne di quella "inclusione" nella Chiesa, che sembrerebbe coinvolgere quanti apparten­
gono ad una religione non cristiana autentica, e che si troverebbe ad un livello inter­
medio tra il semplice "ordinamento" e la visibile sacramentale "appartenenza" in forza
del Battesimo. Si noti come, questo modello che potrebbe, forse, apparire eccessiva­
mente teocentrico, e in realta cristocentrico ed insieme ecclesiocentrico, in quanto il
fattore decisivo in ordine alla salvezza e la fede in Cristo, mediata dalla Chiesa, fede
che puo rimanere, eccezionalmente, "implicita" in quanto contenuta nella fede "espli­
cita" in Dio provvidente, raggiunta attraverso l'appartenenza ad una religione: si trat­
ta di un Cristo "velato" agli occhi del credente, rna unico efficace mediatore della sal­
vezza e pienamente "svelato" attraverso la Chiesa e nella Chiesa.
328 ALBERTO STRUMIA

misura meno implicita negli appartenenti ad una certa religione, che per lui sono stati
dei maestri (dei fratelli in qualche modo "maggiori", per estendere, per analogia,
anche l'uso di questa terminologia di Tommaso) ed e stata, percio convincente, indu­
cendolo ad aderire con una fede che si appoggiava sulla loro. Tuttavia, quella fede di
coloro che sono "maggiori" per i1 singolo aderente ad una religione non cristiana,
rimane "implicita" in rapporto alla fede della Chiesa, nella quale solo si trova la espli­
cita fede in Cristo salvatore e si trovano gli unici maestri (a pieno titolo "maggiori")
che possiedono una fede veramente esplicita in Lui.
Si tratta, in ogni caso di una via di salvezza straordinaria, rispetto alla via ordinaria
dell'accoglimento diretto della fede della Chiesa. In questo modo si potrebbe dire che
tra le religioni "vere", possono essercene alcune (non tutte) che, oltre a costituire una
forma di preparazione alla fede della Chiesa, offrono una via di salvezza non autono­
mamente, rna in quanto, dispongono i loro appartenenti ad una fede implicita in Cristo
salvatore, fede che si rende esplicita solo nella fede della Chiesa. Secondo la termino­
logia tomista queste devono essere necessariamente religioni la cui fede, oltre a carat­
terizzarsi per i1 credere Deum, deve connotarsi almeno anche per il credere in Deum,
per poter riconoscere Dio come essere personale provvidente. 11 campo delle religioni
che possiedono queste caratteristiche puo apparire, forse, troppo ristretto, rna non si
deve dimenticare che la salvezza non e preclusa a quanti praticano religioni che non
possiedono queste caratteristiche: semplicemente si deve dire che la salvezza, in tal
caso, non e raggiunta attraverso queUe religioni, rna per una via che rimane sostan­
zialmente individuate, o comunque indipendente da esse.
Al di la del "processo" cognitivo con il quale tutto il percorso di implicitezza ed
esplicitezza della fede viene reso possibile, anche una teologia delle religioni pura­
mente narrativa, sembra potere accogliere bene questa concezione e trarne anche la
conclusione, da noi proposta e sintetizzata nella formula sine ecclesia nulla salus. E
che, quindi come non si da un'economia della salvezza delle religioni indipendente da
Cristo, non si da neppure economia salvifica attraverso Cristo che possa essere indi­
pendente dalla Chiesa, anche quando tutto questo avvenisse senza una visibile appar­
tenenza ad essa. Questo modello offrirebbe anche una sorta di descrizione-spiegazio­
ne di quella "inclusione" nella Chiesa, che sembrerebbe coinvolgere quanti apparten­
gono ad una religione non cristiana autentica, e che si troverebbe ad un livello inter­
medio tra il semplice "ordinamento" e la visibile sacramentale "appartenenza" in forza
del Battesimo. Si noti come, questo modello che potrebbe, forse, apparire eccessiva­
mente teocentrico, e in realta cristocentrico ed insieme ecclesiocentrico, in quanto il
fattore decisivo in ordine alla salvezza e Ia fede in Cristo, mediata dalla Chiesa, fede
che puo rimanere, eccezionalmente, "implicita" in quanto contenuta nella fede "espli­
cita" in Dio provvidente, raggiunta attraverso l'appartenenza ad una religione: si trat­
ta di un Cristo "velato" agli occhi del credente, rna unico efficace mediatore della sal­
vezza e pienamente "svelato" attraverso la Chiesa e nella Chiesa.
Conclusioni 329

Appartenenza ad una religione e appartenenza alia Chiesa. 11 legame tra fede e


religione proposto da Tommaso, in forza del quale una religione e una manifestazione
esteriore di una forma di fede (quaedam fidei protestatio) , ci autorizza, allora, a pren­
dere in considerazione la questione dell' appartenenza ad una religione in rapporto
all'appartenenza alia Chiesa. Infatti, l'aderire con la fede-credenza alia dottrina di una
religione si manifesta esteriormente nell'appartenenza a quella religione, secondo le
forme aggregative che essa prevede. Veniamo, in tal modo, a compiere il passaggio
dalla categoria conoscitiva della fede a quella sociologica di appartenenza. A questa
livello si pone i1 problema del criteria di ordinamento delle religioni autentiche in rela­
zione alia Chiesa e tra loro. Ci e sembrato di pater riconoscere un prima criteria di clas­
sificazione nella distinzione tomista, di origine agostiniana, delle tre caratteristiche del­
l'atto di fede: credere Deum, credere Deo, e credere in Deum. Se il credere Deum non
puo mancare mai in una religione (diversamente essa cadrebbe nell'ateismo e non
sarebbe una vera religione), in linea teorica, si possono considerare delle religioni neUe
quali possa mancare almena una delle altre due caratteristiche dell'atto di fede.
Una prima categoria e quella delle religioni per le quali la "fede" si limita al crede­
re Deum: sono le religioni piu primitive, le religioni "naturali", "cosmiche", espres­
sioni del sensa religioso, in quanta credono, fondamentalmente, a queUe verita che
possono essere raggiunte con la sola ragione, basando su di esse il loro culto e le loro
regale morali.
Una seconda categoria, piu ristretta, e quella delle religioni per le quali la "fede" si
limita al credere Deum e al credere in Deum. Questa aggiunge a tutte le caratteristiche
della categoria precedente anche il fatto di ritenere che Dio, in quanta sommo bene,
sia provvidente; fattore, come si e visto, indispensabile in ordine alia salvezza aura­
verso una religione.
Una terza categoria e quella delle religioni per le quali la "fede" si limita al crede­
re Deum e al credere Deo. Queste religioni credono "a Dio" che si rivela, attraverso
dei libri ritenuti sacri, degli uomini di Dio considerati non solo come saggi che parla­
no in nome di se stessi, rna come "profeti" che parlano in nome di Dio, che pur essen­
do semplici uomini sono da Lui ritenuti ispirati, illuminati.
Infine abbiamo la cerchia piu ristretta, delle religioni in cui la fede possiede le tre
caratteristiche del credere Deum, credere in Deum, credere Deo, categoria nella quale
si colloca la fede perfetta della Chiesa, unica nella quale la fede in Cristo salvatore non
rimane implicita rna diviene esplicita. Un'analisi storica e fenomenologica potra for­
nire una verifica concreta della effettiva utilita di questo criteria di ordinamento delle
religioni tra loro e rispetto alia Chiesa.
In conclusione, dunque, sembra di pater dire che, sulla base dei principi tomisti, una
religione vera la cui fede sia caratterizzata almena dal credere Deum e dal credere in
330 ALBERTO STRUMlA

Deum, puo essere un mezzo straordinario di salvezza per il suoi seguaci, in quanto li
conduce ad una fede implicita in Cristo unico mediatore della Salvezza, fede che
potrebbero non essere in grado di possedere senza Ia loro appartenenza religiosa. In
essa la salvezza non e in alcun modo autonoma, rna giunge mediata, di fatto, anche se
non visibilmente, dalla fede della Chiesa, la sola nella quale la fede in Cristo e pro­
fessata esplicitamente.

4. La degenerazione della religione

Per quanto riguarda Ia "corruzione della religione", come si e visto, la sintesi tomi­
sta ci offre molti criteri chiarificatori, che ai nostri giorni sembrano essere particolar­
mente utili.

4.1. LA CORRUZIONE DELLA VERITA E DELLA LEGGE N.IITURALE


La prima fondamentale chiarificazione va reperita nella distinzione tra quelli che
Tommaso definisce come vizi che sono propri della religione in quanto tale e quelli
che noi oggi potremmo invece chiamare i "vizi di fondo" della nostra cultura. Questi
ultimi non riguardano esclusivamente il problema della religione, rna, molto piu al
fondo, intaccano in principi stessi della filosofia, del modo di pensare, di conoscere,
di ragionare. Come si e ripetutamente messo in evidenza non e possibile parlare di
verita della religione se non si possiede una dottrina della verita in se stessa e non e
possibile far ricorso alia Iegge naturale come primario criteria di verita di una religio­
ne se non si e in possesso di una dottrina della Iegge naturale che sia autoconsistente.
Uno degli errori assai frequenti ai nostri giorni, nei confronti del quale l'impianto
tomistico ci mette costantemente in guardia consiste nel cedere alla tentazione secon­
do la quale tutte le problematiche che riguardano la teologia, comprese quindi quelle
riguardanti la religione, siano questioni specifiche della sola teologia, o della sola reli­
gione. Molte di queste, invece, e le piu fondamentali, divengono questioni teologiche
attraverso la filosofia impiegata dalla teologia, rna nascono come questioni filosofiche.

4.2. I VIZI CONTRO LA RELIGIONE


Venendo ai vizi contro la religione, in senso stretto, non si puo non rilevare come la
classificazione e 1' analisi che Tommaso ci offre sia tuttora ineccepibile e possa essere
acquisita interamente da una odierna teologia delle religioni (cfr. supra, cap. V). E
anche le spiegazioni che vengono offerte, a livello della sua filosofia della natura,
risultano di una sorprendente attualita anche agli occhi di un uomo di scienza, che non
trova in esse delle correzioni veramente sostanziali da apportare. Meritano, una parti­
colare attenzione, le problematiche della credenza nella reincarnazione, della magia,
della divinazione astrologica e del satanismo che, ai nostri giorni, tendono ad acquisi-
Conclusioni 331

re una rilevanza crescente, anche a causa dell'incrementarsi del numero di persone che
si lasciano coinvolgere in esperienze di questo genere. Le risposte di Tommaso in ter­
mini della dottrina della causalita, di analisi della complessita del corpo umano in
relazione alle facolta della sua mente e dell' anima, sono di un'attualita scientifica sor­
prendente, per lo studioso che sappia tradurne il linguaggio in termini moderni, senza
ridurne la portata filsofico-teologica. Una teologia delle religioni completa non potra
non elaborare un capitolo approfondito dedicato a questi temi senza riferirsi in larga
misura all' opera di Tommaso, con una particolare attenzione, oltre che al trattato De
religione della Summa theologiae, anche al terzo libro della Summa contra gentiles.

* * *

A conclusione di questo nostro lavoro, riteniamo che le riflessioni dell' Aquinate


potranno consentire alia ricerca teologica di proseguire e progredire al suo interno,
offrendo risposte e indicazioni preziose in merito a quei nuovi problerni che le neces­
sita storiche e culturali della vita della Chiesa le fanno incontrare nel suo camrnino. E
l'esigenza della messa a fuoco di una teologia delle religioni si presenta, ai nostri gior­
ni, come una di queste urgenze, in vista di una piu matura e universale conoscenza
della verita e della unicita di Cristo, ad immagine del quale ogni uomo e creato, per
mezzo del quale ogni uomo e salvato e a conoscere interamente il quale ogni creden­
te e chiamato.
334 ALBERTO STRUMIA

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