INTRODUZIONE
CAPITOLO I
LA RELIGIONE COME DIMENSIONE ANTROPOLOGICO-SALVIFICA:
SPUNTI ESSENZIALI DELLA DOITRINA DEL MAGISTERO DELLA CHIESA
1 . Considerazioni preliminari 29
CAPITOLO II
LA NOZIONE DI RELIGIONE E IL SUO CONTESTO SEMANTICO
CAPITOLO III
LA VERITA DELLA RELIGIONE
CAPITOLO IV
RELIGIONE, FEDE, RIVELAZIONE E SALVEZZA
CAPITOLO V
CORRUZIONE DELLA RELIGIONE 271
CONCLUSION! 317
BIBLIOGRAFIA 333
102 ALBERTO STRUMIA
Nelle religioni agisce lo stesso Spirito che guida la Chiesa; tuttavia la presenza uni
versale dello Spirito non si puo equiparare alla sua presenza particolare nella Chiesa
di Cristo. Anche se non si puo escludere il valore salvifico delle religioni, non e detto
che in esse "tutto" sia salvifico: non si puo dimenticare la presenza dello spirito del
male, l'eredita del peccato, l'imperfezione della risposta umana all'azione di Dio, ecc.
(cfr. Dialogo e annuncio, nn. 30 e 31). Soltanto la Chiesa e il corpo di Cristo, e sol
tanto in essa e data con tutta la sua intensita la presenza dello Spirito: percio non puo
essere affatto indifferente l'appartenenza alia Chiesa di Cristo e la piena partecipazio
ne ai doni salvifici che si trovano soltanto in essa (Redemptoris missio, n. 55). Le re
ligioni possono esercitare la funzione di "praeparatio evangelica", possono preparare
i popoli e le culture ad accogliere l'evento salvifico che e gia avvenuto; rna la loro fun
zione non si puo paragonare a quella dell'Antico Testamento, che fu la preparazione
allo stesso evento di Cristo. [nn. 84-85]
Rimane, in tal modo identificato un problema aperto per Ia ricerca teologica: quel
lo del valore salvifico delle religioni non cristiane come tali e della modalita in cui tale
dimensione salvifica si puo attuare, come un problema centrale della teologia delle re
ligioni. Diverse indicazioni in tal sensa sono reperibili nella bibliografia riportata
lungo questa capitola. Nei capitoli successivi saranno ripresi molti dei temi emersi in
questa riepilogo della dottrina del Magistero sulla religione e sulle religioni, rna lo fa
remo a partire dall'analisi dei testi di Tommaso d' Aquino sulla religione, che resta l'o
biettivo del nostro lavoro. In particolare avremo modo di evidenziare come nella dot
trina del Dottore Angelico siano presenti:
- i presupposti di carattere filosofico che si richiedono per elaborare una teologia,
e in particolare una teologia delle religioni, nella quale si offrano alcune risposte a
questioni filosofiche fondamentali come quella di una definizione di religione, dei
caratteri antropologici e culturali della religione e della verita di una religione, del
rapporto tra religione e credenza-fede (cfr. infra, cap. II);
- alcuni elementi utili ad inquadrare il problema della verita della religione e il
suo rapporto con Ia Iegge naturale; il problema dell'illuminazione in relazione ai
semina Verbi (cfr. infra, cap. III e IV);
- gli elementi irrinunciabili, cui fanno piu volte riferimento i documenti che ab
biamo presentato in questa capitola: oltre all'affermazione dell'unicita della me
diazione di Cristo salvatore e dell'unita dell'azione della Spirito Santo e di Cristo
redentore, Tommaso permette di chiarire meglio il ruolo della fede esplicita della
Chiesa, attraverso Ia quale e solo attraverso di essa, Ia fede implicita di tutti gli uo
mini, anche non appartenenti visibilmente ad essa, rna seguaci di una religione non
cristiana, puo ottenere Ia salvezza (cfr. infra, cap. IV);
- molti elementi per un inquadramento e una comprensione dei fenomeni di cor
ruzione della religione ai piu diversi livelli e dei fattori in gioco in ciascuno di essi
(cfr. infra, cap. V).
CAPITOLO II
11 concetto di religione non nasce, evidentemente, solo in epoca moderna con i1 dei
smo, come frutto di un naturalismo che tende a rendere del tutto indipendente la reli
gione naturale da quella rivelata, in una sorta di secolarizzazione ante litteram, alla
ricerca di un universalismo della ragione che sia capace di darsi un proprio culto pro
fano, sganciato dalle chiese e dalle istituzioni confessionali.1 La sua storia ha delle
radici molto piu antiche ed a queste che Tommaso ha potuto attingere per trovare una
base di appoggio alla sua sintesi su questo argomento.
L' eredita storica di Tommaso e certamente di matrice occidentale, in quanto non
potevano essergli note molte informazioni provenienti dall'estremo Oriente, tuttavia
egli e stato in grado di cogliere degli elementi di innegabile universalita.2
1 Sui deismo e il prob lema del nat uralismo alia b ase del concett o modemo di religione si veda, ad esempio,
P. BY RNE, Natural Religion and the Nature of Religion. The Legacy of Deism, Rout ledge, London - New Y ork
19 89 .
2 «He was not aware of t he t rib al religions of Africa or of t he major religions of Asia. In t hat respect he is not
impoverished b y eight eent h- cent ury st andards. It can be shown t hat even t he most widely philosophers of religion
in t he t went iet h-cent ury focus on little else ot her t han t he West ern religion. It may also be argued t hat ant hropo
logical st udies of primit ive religion add little to t he dat a relevant t o t he philosophy of religion>> (J.P. DOUGH ERTY ,
The Logic ofReligion, The Cat holic Universit y of America Press, Washington D.C. 2003, pp. 37-38).
104 ALBERTO STRUMIA
3 W. PANNENB ERG , L 'elevazione religiosa dell'esistenza finita a Dio, in R. Ci PRIANI, G. MuRA (a cura di), II feno·
meno religioso oggi. Tradizione, mutamento, negazione, Urbaniana University Press, Citt a del Vat icano - Roma
2002, p. 29 .
4 Cfr. J.P. DOUGHERT Y, The Logic ofReligion, op. cit ., p. 18-20.
5 «The gods must be approached reverently, in purity of heart >> (ivi, p. 21).
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 105
Non si tratta ora solo di regale rituali o di atteggiamenti esterni di riverenza, come
inchini e prostrazioni rituali o simili, rna di un atteggiamento dell' animo. Questa
passaggio fondamentale, che nella concezione romana si ricollega al concetto di
devotio, 6 verra sviluppato in grande misura da Tommaso, fino a divenire quello prin
cipale, pur senza perdere di vista la dimensione esteriore che rimane essenziale alla
religione.
Anche alla pietas Tommaso dedica molta attenzione, rna collocandola al di fuori
del trattato sulla religione, in quanta, mentre la religione ha come fine quello di ono
rare Dio mediante un culto di /atria, che solo a Lui e dovuto, la pietas e piuttosto un
atto di riverente ossequio tributato agli uomini (genitori, parenti, benefattori) o alla
patria, che non puo avere carattere di adorazione, per non degenerare in idolatria. Con
una profondita davvero geniale, Tommaso si trova, pero, anche a raccordare la pietas
con la religio, la dove tratta della pieta non come semplice virtu morale, rna come
«dono dello Spirito Santo, che forma il coronamento divino della virtu di religio
ne. [ . . . ] Questa muove a prestare il culto a Dio e l'obbedienza non piu come Creatore
e Signore dell'universo, rna come Padre nostro che e nei cieli».7 In questa modo, con
il dono della pieta, si onora non un genitore terreno, rna Dio stesso.8
Un altro aspetto fondamentale che si trova in Cicerone e che Tommaso ricolleghe
ra alla questione della verita della religione, e il concetto di lex naturae, 9 che in que
sta autore trova una sua prima formulazione compiuta e con 1' Aquinate diverra cen
trale non solo in vista della religione, rna per tutta la morale e il diritto.
6 «La not ion de devotio, appart ient au langage religieux de I' Ant iquit e romaine. On lit chez Tit e-Live qu'un
general de Ia famille des Deces s'est " devoue" aux dieux infernaux pour assumer Ia vict oire de son armee.
Lorsqu'il analyse Ia not ion de devotio, Thomas commence par se referee a ce t ext e classique de l'hist orien>>
(G. BERCEVIUE, L 'acte de devotion chez saint Thomas d'Aquin, "La Maison-Dieu," 218 (1999), n. 2, pp. 39-40).
7 T.S. CENT I, Introduzione a! "Tratt ato sulla virt u di religione" in La Somma Teologica, vol. XVIII, Salani, Siena
196 7, p. 12. Anche presso gli antichi pensat ori pre-crist iani si t rova, in qualche caso, Ia nozione di Dio come padre,
a! quale ci si rivolge con un att eggiament o di rispettosa riverenz a assimilab ile alia pietas (cfr. , ad es. il celeb re in no
di Cleant e di Asso) che si ricollega alia religio. Si t ratt a, in quest o caso, di uno di quei semi del Verbo ai quali oggi
si pone part icolare attenzione.
8 Cfr. CG, L. III, c. 1 19, n. 8: <<Hinc et iam est quod religio et iam nomen accipit piet at is. Nam piet as est per quam
honorem deb it um parent ib us impendimus. Unde convenient er quod Deo, parent i omnium, honor exhib eat ur, pie
t at is esse videt ur. Propt er quod, qui his quae ad Dei cult um pert inent adversant ur, impii dicunt ur»; I-ll, q. 68, a. 4,
ad 2"m : <<Sed nomen piet at is import at reverent iam quam habemus ad pat rem et ad pat riam. Et quia pat er omnium
Deus est , et iam cult us Dei piet as nominatur».
9 Cicerone sost iene <<l' esist enza della Iegge di nat ura, sempiterna, immut ab ile, a t utt i comune, come somma
ragione, immanent e (nata o innata vis), e che cosi descrive: " Quest a Iegge [nat urale] e una Iegge non scritt a rna
nat iva (non scripta, sed nata lex), non appresa [da maest ri], ne ricevut a [per t radizione], ne !ett a [su t est i scritti],
rna da noi sott ratt a alia nat ura st essa (a natura ipsa arripuimus), da essa att int a ed espressa [come spremut a fuori];
Iegge in cui siamo st at i non gia ammaest rat i, rna nat uralment e dispost i, ad essa non educat i, rna di essa impregna
t i" [Cicerone, Pro Milone, 4,10]» (R.M. PIZZ ORNI , Dirillo, morale, religione. Il fondamento etico-religioso del
dirillo secondo San Tommaso d'Aquino, Urb aniana Universit y Press, Citt a del Vat icano - Roma 2001, p. 92).
106 ALBERTO STRUMlA
Ai fini del nostro discorso merita notare pure il fatto che in Cicerone si trova anche
l'utilizzo della nozione dei "semi" di una virtu che Tommaso, pur non citando a que
sta proposito Cicerone, sembra in qualche modo avere ereditato da una tradizione cul
turale, e che utilizza a proposito delle virtu morali presenti in forma incoativa. «Vi
sono quindi in noi come dei segni, "semi" (semina), primi elementi (prima elementa),
"germogli" (germina) o "scintille" (scintillae) o "piccole fiammelle" (parvuli granu
li) delle virtu naturali, che come "luce naturale" (naturale lumen) illuminano il nostro
cammino morale».10 Avremo modo di riprendere questa tema nel capitola III.
Nei primi secoli cristiani si compie un vero salta qualitativo nel modo di concepire
la religione, non solo da un punta di vista teologico, rna anche da quello filosofico. La
nozione di religione passa decisamente, dal livello esteriore di insieme di regale ritua
li all' ambito della conoscenza di Dio. Sinteticamente potremmo dire che la nozione di
religione, nata presso i greci per indicare un insieme di regale di culto, evolutasi nel
mondo romano, con Cicerone, fino ad includere l' atto interiore della devozione, sea
pre di doversi addentrare nella sfera della conoscenza. Valutando questa passaggio con
il senna di poi, cioe secondo una prospettiva tomistica, si puo comprendere la neces
sita di un simile passaggio: non si puo, infatti onorare e amare se non colui che si inco
mincia a conoscere, almena mediante similitudini e analogie. L' atto interiore della
devozione, che decide dell'autenticita della religione nel soggetto che compie gli atti
esteriori, presuppone una qualche forma di conoscenza di Dio. E come osserva
Pannenberg: «L'inclusione della conoscenza di Dio o degli dei nel concetto della reli
gione stessa rimanda ad Agostino. Egli, nella sua opera, De vera religione, del 390
circa, ha messo in evidenza che nella religione la conoscenza e la venerazione di Dio
non possono essere divise» .1 1
Da un punta di vista antropologico e cognitivo potremmo dire che la religione passa
dal livello esteriore dei sensi (livello delle regale rituali), prima a quello interiore della
volonta e degli affetti (livello dell'atto della devozione), poi a quello interiore dell'in
telletto (livello della conoscenza di Dio). Come ha annotato opportunamente ancora
Pannenbeg: «questa inclusione della conoscenza di Dio [ . . . ] nel concetto di religio
ne [ . . . ] offriva anche la tesi dell' affinita tra religione e filosofia» .12 Agostino arrivera
addirittura a dire, forzando un po' i concetti: «che la filosofia, cioe l'amore della
sapienza, e la religione sono la stessa cosa».13
0
1 !vi, pp. 9 2-9 3. Nella nota 3 a pie di pagina Pizzomi riporta un testo originale di Cicerone: <<Est enim natura
sic generata vis hominis, ut ad omnem virtutem percipiendam facta videatur, ob eamque causam parvi virtutum
simulacris, quarum in se habent semina, sine doctrina moventur; sunt enim prima elementa naturae, quibus auctis
virtutis quasi germen efficitur>> (Ci CERO NE, De finibus bonorum et malorum, V, 15, 43). Corsivi nostri.
11 W. PANNENB ERG , L 'elevazione religiosa... , op. cit., p. 30 .
. 12 Ibidem.
13 <<Non aliam esse philosophiam, id est sapientiae studium, et aliam religionem>> (De vera religione, V, 8). In
realta Ia filosofia non conosce da sola Ia preghiera e il culto rituale, per cui non possono essere identificate, pur
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 107
Questa area, in qualche modo comune, che e quella della conoscenza di Dio, che
vede legate religione e filosofia, ci sembra particolarmente importante, sia dal punto
di vista storico che epistemologico, in ordine alla dottrina dei semina Verbi. Infatti
questi ultimi riguardano propriamente la conoscenza delle verita su Dio e sull'uomo,
e non i rituali. Si comprende allora come i Padri della Chiesa che hanno impiegato
questa dizione, l'abbiano usata in riferimento alla filosofia piu che alla religione, e nel
contempo, dato questa legame stretto tra religione e filosofia, per quanta riguarda la
conoscenza, si puo comprendere anche come il Magistero recente abbia potuto appli
care questa dizione anche all'ambito delle religioni autentiche, esportandolo, in certo
modo, dal suo terreno originario che, storicamente, lo vedeva legato prioritariamente
alla filosofia piuttosto che alla religione. Ma se religione e filosofia, come sostiene
Agostino, vivono in uno stretto legame, questa trasposizione appare fondata.
avendo in comune Ia conoscenza di Dio, Ia prima mediante Ia ragione, Ia seconda mediante una qualche forma di
fede. Ma qui Agostino e preoccupato di chiarire il fatto che, nella Chiesa, sono i contenuti dottrinali nei quali si
crede a decidere anche sull'ammissione a partecipare ai Sacramenti, cardine del culto cristiano («quorum doctri
nam non approbamus, nee Sacramenta nobiscum communicant», ibidem).
14 Merita sottolineare, con Weisheipl che <<Per quanto Ia Summa Theologiae fosse stata intrapresa "per i princi
pianti in teologia" (Pro!.), solo Ia prima pars sembra corrispondere a tale intento; il resto rivela un Tommaso nel
pieno delle sue capacita, alia ricerca di soluzioni per vecchi e nuovi problemi, forte del meglio che Ia sua epoca
gli poteva offrire» (J .A. WEISHEIPL , Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, J aca Book, Milano 199 4, p . 361).
E il trattato De religione rappresenta di certo uno degli esempi piu significativi di questa maturita, capace di rac
cogliere gli elementi piu antichi e universali della nozione stessa di religione e di leggerli, con gli strumenti della
ragione e in ordine alia fede.
15 Per approfondimenti sui rapporto tra gli ebrei e Tommaso si veda il bell'articolo di A. BROADIE, Medieval
Jewry Through the Eyes of Aquinas, in G. Verbeke and D. Verhelst (edd.), Aquinas and Problems ofHis Time,
Le uven University Press - Martinus Nijhoff, The Hague, Louvain 197 6, pp. 57 -68. Per una collocazione di
Tommaso nel quadro della polemica islamico-cristiana e particolarmente utile Ia panoramica storico- cronologica
sintetica presentata da Van Riel (cfr. S. VAN RI ET , La "Somme contre le Gentils" et la polemique islamo-chrt?tien
ne, in G. Verbeke and D. Verhelst (edd.), Aquinas and Problel/IS ofHis Time, Leuven University Press - Martin us
108 ALBERTO STRUMIA
Lo stesso sant' Alberto Magno (1200-1280), che fu il suo grande e amato maestro,
«ricevette da Urbano IV l'ordine di predicare la settima crociata in tutta la Germania
e la Boemia (1263-64). Solo nel 1269 egli fu libero di tornare a insegnare e continua
re a scrivere a Colonia».16
Cia che risulta evidente e che Tommaso - come del resto prima di lui gia Alberto,
del quale Tommaso sembra aver seguito in questo il metodo e l'atteggiamento -
conobbe molto bene la filosofia dei grandi autori ebrei come Mose Maimonide e arabi
come Averroe, Avicenna e diversi altri,17 che vengono citati frequentemente in tutte le
sue opere. Ma il terreno di confronto con costoro fu sempre e solo quello filosofico e
non quello esplicitamente teologico-religioso: dunque un incontro di filosofie, di inter
pretazioni aristoteliche, rna non di culture, di religioni.18 11 terreno comune per il dia
logo, il contraddittorio e la confutazione, era Aristotele, cioe la ragione, la filosofia che
offriva un "linguaggio" che i dialoganti riconoscevano tutti e sapevano usare. Questi
uomini erano valutati per la loro filosofia e non per la loro religione: se su questa si
poteva discutere si poteva farlo al livello della razionalita dei suoi presupposti, dei suoi
fondamenti filosofici. E con gli ebrei ci si poteva servire anche dell' Antico
Testamento.
Sara il metodo che Tommaso sviluppera, in modo particolare, nella Summa contra
gentiles (1259- 1264), la sua opera di teologia fondamentale, come oggi potremmo
chiamarla, nella quale si preoccupera bene di mettere in evidenza quali contenuti deb
bano essere ritenuti di fede e quali siano attingibili con la sola ragione, in maniera, da
aiutare i suoi lettori cristiani a gestire un dialogo con i non cristiani nella maniera cor
retta e non rischiare errori metodologici nel contraddittorio.19
Nijhoff, The Hague, Louvain 1976, pp. 150-160). Per una comprensione corretta dei criteri con i quali Tommaso
valuto J'lslam rinviamo all'articolo di E. PIAT I I , ll contesto teologico dell'apprezzameflto dell'Islam di
S. Tommaso, in D. LoRENZ, S. SERAFINI (eds.), /stituto San Tommaso. Studi 1995, Roma 1995, pp. 294-307. Ai riti
pagani aile varie forme di superstizione e magia Tommaso dedico, al contrario, una maggiore attenzione collo
candole nella parte del trattato che riguarda i vizi contro Ia religione e I a sua degradazione ( v. capitolo V). Un feno
meno che al tempo doveva presentare un notevole rilievo anche presso Ia popolazione cristiana.
16 Cfr. J.A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino. . . , op. cit., p. 53.
17 Per uno studio dettagliato del rapporto tra Tommaso e Mose Maimonide rimandiamo ad es. ad A. WOHLMAN,
Thomas d'Aquin et Maim " onide. Un dialogue exemplaire, Cerf, Paris 1988. Per quanto riguarda Ia conoscenza della
filosofia del mondo arabo-islamico, come osserva L. Garde!: <<Saint Thomas fuit un grand Jecteur d' Avicenne et
d'Averroes; secondairement du Gazzali (Algazel) des Maqasid, et de quelques autres "philosophes arabes",
comme est coutumme de Jes appeler. [ . . . ] Nous assistons ainsi a I a rencontre fructuose de tout une Jigne de pen
see arabo-musulmane et des elaborations latino-chretiennes de l 'epoque>> ( L. GARDET, La conaissance que Thomas
d'Aquin put avoir du monde islamique, in G. Verbeke and D. Verhelst (edd.), Aquinas and Problems ofHis Time,
Leuven University Press - Martinus Nijhoff, The Hague, Louvai n 1976, p. 139).
18
Come ha a proposito rilevato Garde!: <<ie dialogue engage par saint Thomas le fut avec des philosophes de
haute classe qui se trouvaient etre des philosophes musulmans; ce ne fut point, a vrai dire, un dialogue de culture
a culture>> (ivi, p. 141).
19
<<Secondo Ia Cronaca di Pietro Marsilio, completata nel 13 1 3 , S. Raimondo di Peii afort, un tempo maestro
generale dell'ordine domenicano (123 8-40) , aveva chiesto a Tommaso d' Aquino di "scrivere un'opera contro gli
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 109
Ma, al di Ut del confronto con i grandi, Tommaso, anche ad un livello che oggi chia
meremmo "pastorale", quello utile ai non addetti agli studi speculativi, non sembra
troppo preoccupato di spendersi nelle polemiche, quanta di garantire ai suoi lettori cri
stiani i fondamenti delle verita di ragione, come di quelle di fede e di mostrare ai non
cristiani, in prima luogo la "perfetta razionalita" (a cominciare dalla non contradditto
rieta) dei contenuti della fede cristiana e, in secondo luogo gli elementi di "non razio
nalita" e di "non credibilita" che fossero presenti in altre religionF0 oltre a quelli, posi
tivi e valorizzabili. In ogni caso, in Tommaso, non sono del tutto assenti valutazioni
dirette dell' Islam, o indizi motivati di tolleranza nei confronti dei riti ebraici praticati
errori degli infedeli" per i rnissionari dornenicani che predicavano contro i rnusulrnani, gli ebrei e i cristiani ereti
ci di Spagna (Aragona) e Nordafrica. II risultato fu Ia Summa in quattro libri che si ritiene non abbia uguali nel
suo campo» (J.A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino... , op. cit., p. 359; si tratta evidenternente della Summa contra
gentiles). Contro questa tesi, ripresa da M. Boyges, che e stata a lungo tempo Ia piu accreditata, R.-A. Gauthier,
nella prima delle sue due introduzioni alia Somma contro i gentili, rnostra come essa sia, al contrario, una vera e
propria opera di teologia fondarnentale (contrariarnente a quanto si era ritenuto fino a que! rnornento), scritta per
i teologi delle universita, nella quale si espongono, da un Jato gli argornenti di ragione e quelli che sono stretta
rnente di fede, e si distinguono le verita cornuni all'Ebraisrno, ali' Islam e al Cristianesirno da quelle proprie del
solo Cristianesirno: <<La Somme contre les Gentils n'est pas un ouvrage rnissionnaire destine aux Juifs et aux
Maures d'Espagne ou d'ailleurs, c'est un traite de theologie destines aux rnai tres en theologie des Universites
d'Occident. Saint Thomas a dit, en termes expres, que s'il distinguait dans son a: uvre deux parties, c'etait parce
qu'il entendait trailer dans I a premiere des verites de foi accessibles a I a raison et dans I a seconde des verites de
foi inaccessibles a Ia raison: i1 y a d'autant rnoins de raison de douter de sa parole qu'il a Ires bien su, quand il l' a
voulu, distinguer les verites communes au Judal sme, a l'Islamisrne et au Christianisrne et les verites propres au
Christianisrne>>. Ad esernpio, infatti <<ie livre IV de Ia Somme contre les Gemils, [ . . . ] traite precisernent d' une des
verites communes au Judai srne, ii l'Islarnisrne et au Christianisrne: Ia resurrection des corps>> (R.-A. GAUTHIER,
Introduction historique, Saint Thomas d' Aquin, Contra Gentiles, Livre premier, P. Lethielleux, Paris 1961,
pp. 100). In una piu recente edizione della Summa contra gelltiles, nell' Appendice all'introduzione, lo stesso
Gauthier parlera di una vera e propria <<iegende qui fait de I a Somme contre le Gentiles un a: uvre "rnissionaire ">>
(R.-A. GAUTHIER, Somme Colltre le Gelllils. IIItroduction, Editions Universitaires, Carnpin, Belgique 1993, p.165).
L'opera citata di Weisheipl, Ia cui edizione originale inglese appare dopo Ia prima introduzione di Gauthier
(J.A. WEISHEIPL, Friar Thomas d'Aquino: His Life, Thought and Work, Doubleday & Co, New Y ork 1974 e 1983)
non sernbra volere entrare nella polemica e si attiene alia tesi "tradizionale" dell'intento rnissionario della Summa
contra gentiles, pur citando I a stessa introduzione di Guthier, rna solo in rnerito al problema della datazione dello
scritto di Tornrnaso (p. 359). Torrell ripercorre i diversi passaggi della polernica finendo per concordare con I a tesi
piu rnoderata, espressa nella piu recente introduzione dello stesso Gauthier: <<La Somme contre le Gentiles a une
"ambition internporelle", cela signifie qu"'elle croit pouvoir etre utile a tout les temps" et pas seulernent au sien.
Son intention n'est pas elle d'un "apostolat immediat et limite, rnais une intention de sagesse ii portee apostoli
que universelle". On peut etre d'accord avec cette demiere formulation, qui est certainernent plus proche de Ia
rnaniere habituelle de Thomas>> (J:P: TORRELL, Initiation ii Saillt Thomas d'Aquin, Cerf, Paris, Fribourg 1993,
pp. 156).
20 E questi ultirni ernergeranno soprattutto nei giudizi suli'Islam : Ia credibilita di Maornetto come "profeta",
come egli si proclarna, e per Tomrnaso del tutto insostenibile, come vedremo direttarnente su alcuni testi nel capi
tolo IV. Corne ha rilevato S. Van Riet, Tornrnaso ricalca su questo punto gli argornenti tratti dali'Apologia dello
Pseudo-K indi, autore arabo cristiano, tradotto in I atino e quindi a lui accessibile: <<Le prophete de ! 'Islam aurait
du prouver sa mission par des miracles (signa) et sa venue aurait du etre annoncee par les oracles des prophetes
qui l'ont precede (oracula). Or, dans le cas de Mahomet, il n'y a pas de faits rniraculeux qui ternoingnent vala
blernent de sa qualite de prophete. Aucune oeuvre visible, en ce qui le conceme, n'a prouve, dit Saint Thomas,
qui'! est "docteur de verite invisiblernent insipire" (doctorem veritatis invisibiliter inspiratum). II n'a pas foumi
des preuves sumaturelles (signa etiam non adhibuit supernaturaliter facta), les seules ii ternoigner cornrne il con-
1 10 ALBERTO STRUMIA
in territorio cristiano,Z1 rna queste non sembrano costituire la sua prima preoccupazio
ne che dovette essere, piuttosto, quella di dare delle basi razionalmente solide alla teo
logia cristiana.
Nel trattare il problema della religione Tommaso ricerca prima di tutto le basi razio
nali della nozione di religione in una prospettiva universale che e ben anteriore al cri
stianesimo stesso, dal momenta che ha, piuttosto, la funzione di prepararne la strada
nel corso dei tempi.
La sua fonte prima piu autorevole e, non a caso, Cicerone, che, essendo un giurista
oltre che un filosofo, ha una visione della religione che risponde a una definizione uni
versale (a differenza di quella che potrebbe avere un singolo fondatore non cristiano)
e apre la strada al legame tra religione e "legge naturale", la conformita alla quale ci
sembra sia utile a stabilire il criteria primario di autenticita della religione.
L'inquadramento della religione che Tommaso propane, la colloca tra le virtu, come
parte potenziale della giustizia, che rappresenta, quindi, la virtu cardinale di riferi
mento per la religione. E naturale, pertanto, un rapporto significativo della religione con
la legge, e quindi anche con il diritto. 11 fatto che il trattato sulla religione (in quanta
vient (testimonium conveniens), en faveur de !'inspiration dvine>> (S. VAN RIET, La "Somme colltre le Gentils"... ,
op. cit., p. 155). Questa critica, tuttavia, si limita a! problema dell'autenticita del fondatore come profeta e non
entra nel merito delle singole tesi che quella religione propone da credere, perche lo stesso Tommaso, molto rigo
rosamente, ammette di non essere in possesso di molte fonti in lingua latina che gli consentano di conoscerle con
precisione e controbatterle: <<Saint Thomas, au debout de I a Somme colltre le Gentiles, souligne I a difficulte qu'il
y a a refuter un a une les fausses doctrines, parce que, dit-il les affirmations sacrileges de chacun de ceux qui son
tombes dans I' erreur ne lui sont pas assez connues (non ita nobis nota sullt) pour y trouver des arguments qui les
confondent. Dans cette affirmation !'Islam est ind us» (ivi, p. 153). II riferimento a! passo di Tommaso e citato
nella nota 1 1 di questo articolo, e il passo e il seguente: <<Contra singulorum autem errores difficile est procedere,
propter duo. Primo, quia non ita sunt nobis nota singulorum errantium dicta sacrilega ut ex his quae dicunt possi
mus rationes assumere ad eorum errores destruendos» (CG, L. I, c. 2, n. 3). Tommaso, infatti poteva disporre solo
di poche fonti tradotte dall'arabo in Iatino: <<Ces trois auteurs sont Jen Damascene, l'historien Tbeophane et le
pseudo-K indi» (ivi, p. 152). Tommaso, dunque, si rende conto che questo tipo di critica appare incompleta, rna non
gli e possibile fare di piu per mancanza di documenti originali, e questo attesta una volta di piu il rigore scientifi
co del suo modo di procedere. Di conseguenza, come osserva E. Platti, gli <<argomenti di S. Tommaso, chiaramente
ispirati a quelli della Risala di al-K indi, procedono tutti [ . . . ] dai criteri cristiani e non hanno mai veramente toc
cato i musulmani, ne l'eventuale verita dell'Islam» ( E. PLATII, II contesto teologico... , op. cit., p. 305); essi sareb
bero piu degli argomenti <<intemi» alia prospettiva cristiana, che non argomenti di ragione sui contenuto e I a
coerenza della dottrina. <<Mentre altre discussioni del Dottore Angelico si situano piuttosto a! citato livello della
Saggezza e delle discussioni con i Falasifa, ai quali appartengono certamente Avicenna e Averroe» (ivi, pp. 3 03 -
3 04). Tommaso stesso si e trovato neU e condizioni d i non potere utilizzare il metodo del contraddittorio con i non
cristiani, e in particolare con i musulmani, che indica in CG, L. 1, c. 2, n. 4.
21
Cfr. di A. BROAD IE, Medieval Jewry. . , op. cit., pp. 66-67. L'argomento si ricollega con quello che oggi viene
.
chiamato il problema della "liberi a religiosa". E il caso di segnalare come Tommaso, oltre a dimostrare un note
vole tolleranza verso i riti ebraici, sia per motivazioni strettamente teologiche che pastorali, si dichiara assoluta
mente contrario a qualunque forma di costrizione a passare dal giudaismo al cristianesimo, all'amministrazione
del Battesimo ai bambini degli ebrei contro I a volonta dei genitori: <<Aquinas' refusal to tolerate either forcible con
version of Jews or the baptism of Jewish infants against parents' will receives, though indirectly, further expres
sion in his explicit willingness to tolerate the rites of the Jews» (ivi, p. 66).
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 111
virtu) sia posto nell' ambito della morale, non deve far pensare, tuttavia, che Tommaso
non ne colga gli aspetti antropologici (non si puo mai dimenticare che i fondamenti
della morale per lui sono sempre l 'antropologia e la metafisica), le sfumature psicolo
gico-esperienziali (tipiche del sensa religioso come modernamente lo ha inteso anche
la filosofia delle religioni), gli aspetti culturali legati alla manifestazione esterna cul
tuale e pubblica della religione, cosi come, complementarmente, la dimensione piu
propriamente spirituale (basti pensare all'attenzione che Tommaso dedica alle dimen
sioni della "pieta" e della "devozione"22). In prospettiva cristiana, poi, la religione e
perfezionata dalla virtu teologale della carita, al punta tale che egli si chiede in che
cosa essa se ne debba distinguere e se non debba essa stessa essere considerata una
virtu teologale.23
Come ha ben documentato M.-Bernard Mailhiot, nel trattato di Tommaso sulla reli
gione si ritrovano, con una corrispondenza pressocbe diretta/4 gli elementi che la
moderna fenomenologia e filosofia della religione hanna riscontrato, analizzando il
fenomeno della religiosita come esso storicamente si e venuto a presentare nel corso
22
Cfr. ad esempio 11·11, q. 101 dedicata alia pietas e 11-ll, q. 82 dedicata alia devotio. Come ha osservato
G. Berceville, il trattato sulla devozione di san Tommaso non ha avuto, pero, particolare influenza sulla mistica
fino a! secolo XVI (possiamo pensare forse per Ia grande influenza del neoplatonismo sui mistici), neppure nel
l'ambiente domenicano: «La notion thomasienne de devotion a eu une grande influence sur les theologiens et les
moralistes, mais pas sure les spirituels. [ . . . ] Catherine de Sienne [ . . . ] ne manque pas de celebrer son frere de reli
gion, le "glorieux Thomas", mais l'enseignement de ce dernier ne parait pas ete une des composantes de sa for
mation spirituelle. [ . . . ] A partir du XVI' siecle [ . . . ] !'ouvre du dominicain Louis de Granade (1504- 1588) a joue
ici un role sans doute decisif. [ . . . ] Et en grand partie sans doute grace a lui, Ia reflexion sur Ia devotion que nos
avons trouvee dans Ia Somme de theologie impregne desormais l'enseignement communement repandu e bient6t
classique des maitres spirituels» (G. BERCEVIILE, L'acte de devotion .. , op. cit., pp. 47-51).
.
23 Si tratta di un interrogativo che ha aperto un dibattito teologico che e rimasto presente nel corso dei secoli e
ha trovato sostenitori di tesi contrapposte anche nel secolo scorso. Per alcuni autori, infatti, Ia religione dovreb
be essere essa stessa considerata una virtu teologale a! pari della carita. Secondo Mongillo, che sostiene Ia posi
zione di Tommaso, a favore del carattere non teologale della religione (in quanto non ha Dio come proprio ogget
to, rna come destinatario del culto), basandosi su argomentazioni rigorosamente metafisiche, inerenti il carattere
analogico della causalita divina, «alcuni teologi [ . . . ] non tollerano"la riduzione della religione nell'ambito della
virtu della giustizia e difendono il suo preteso carattere di virtu teologale. [ . . . ] Credo che l'equivoco latente in
queste considerazioni dipenda dall'aver posto sullo stesso piano i rapporti tra Dio e l'uomo e quelli inversi tra
l'uomo e Dio. Essi sono invece del tutto diversi. II rapporto tra Ia causa e l'effetto non si identifica con quello che
sussiste tra l'effetto e Ia causa. La causa e partecipata all'effetto, rna nello stesso tempo lo trascende, essa non
dipende dall'effetto, mentre questo dipende radicalmente da essa. [ . . . ] E ben differente l'unione amicale e quel
la reverenziale con Dio; nell'una l'unione e oggetto specificante !'alto, nell'altra il fine a cui si tende per mezzo
del culto; Ia carita effettua direttamente l'unione, Ia religione vi tende mediante Ia riverenza e Ia sottomissione,
le realta mediante le quali essa onora Dio, ordina l'uomo a lui» (cfr. D. MONGILLO, La virtu di religione secondo
S. Tommaso, Pontificium Athenaeum Angelicum, Romae 1962, pp. 59-62).
24 L'autore del saggio stabilisce addirittura una corrispondenza puntuale, una serie di somiglianze (<<Similari
ties>>) tra Ia terrninologia di R. Otto e quella di Tommaso: «One who reads St. Thomas' considerations on the sub
ject of religion after having analyzed the study of Mr. Rudolph Otto is truly surprised to find a similarity in ter
minology between these two authors. The terminological similarity is so striking that at first sight one would be
tempted to establish relations between the two doctrines and conclude that they are perfectly in conformity. But
112 ALBERTO STRUMlA
dei tempi. Se questo colpisce inizialmente, e subito evidente che, nella trattazione di
Tommaso si trovano anche tutti quegli elementi fondanti e, quindi ben piu profondi dal
punto di vista antropologico e metafisico, che l'analisi fenomenologica non e in grado
di cogliere per i suoi stessi limiti metodologici.
Cio che la fenomenologia ha potuto rilevare, forse inevitabilmente, in misura solo
riduttiva, Tommaso ha potuto cogliere in profondita. Come anche J.P. Dougherty ha
ben puntualizzato i1 punto discriminante sta nel fatto che la religione non e riducibile
a un "sentimento", pur essendo anche accompagnata da questo: essa, per dirla con i1
linguaggio tomista, e un actus humanus e non un semplice actus hominis, coinvolge
tutto l'uomo e, dunque, anche i1 livello intellettuale, implicando, pertanto, un certo
esercizio della razionalita e non solo il livello sensitivo ed emotivo: «Si tratta di una
questione chiave per questo tipo di indagine, e cioe se la religione si fonda nell'uomo
su una spinta irrazionale o se e i1 suo equipaggiamento intellettuale a condurlo a rico
noscere una dipendenza fondamentale da un essere trascendente. [ . . . ] Coloro che
negano alla religione un fondamento razionale, pur riconoscendone i1 carattere natu
rale, ne collocano l 'origine al livello emozionale dell'uomo. Come si puo ben com
prendere le emozioni hanno ovviamente la loro importanza; rna sono una conseguen
za della percezione o si destano da sole? Si capisce, allora come una teoria della reli
gione viene a dipendere anche dalla teoria della conoscenza, dell'immaginazione e
dell' emozione».25
Con una formula sintetica e chiara possiamo dire con F. Fiorentino che «per
S. Tommaso dire che la religione risiede essenzialmente nel sentimento e lo stesso che
privare l'atto di religione dei costitutivi formali dell'atto umano: l 'intelletto e la volon
ta».26 Certamente al tempo di Tommaso i1 problema non si poneva in questi termini,
dettati dal percorso moderno del pensiero filosofico e teologico, per cui queste rifles
sioni non vanno intese in ordine ad un'esegesi dei testi tomisti in quanto collocati nel
loro contesto storico e culturale, quanto piuttosto in vista di un nostro utilizzo odierno
dei principi filosofico-teologici che da essi possiamo trarre.
we must consider the matter more closely» (cfr. M.-B. MAILHIOT, The Place of Religious Selltiment in Saint
Thomas Aquinas, "The Thomist", 9 (1946), pp. 31-36). L'autore evidenzia, pero, bene anche le differenze di pro
spettiva, di metodo e di profondita filosofica (ivi, pp. 36 e sgg.).
25 <<This is a key question for exploration, i.e., whether religion stems from non-rational forces in man or whe
ther man's intellectual equipment leads him to acknowledge a fundamental dependence on a transcendent
being. [ . . . ] Those who deny a rational ground while still acknowledging the naturalness of religion, place the ori
gins of religion in man's emotional makeup. How one understands the emotions is of obvious importance. Do the
emotions follow perception, or are they initiative of themselves? One's theory of religion is in some sense con
tingent upon one's theory of knowledge, imagination and emotion>>, (J.P. DouGHERTY, The Logic of Religion, op.
cit., pp. 12-13).
26 F. FIORENTINO, Filosofia e religione in s. Tommaso e Kant, Editrice Domenicana Italiana, Napoli-Bari 1997,
p. 198.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 113
27 La verita e inseparabile, per Tommaso, dalla morale e dalla religione: <ifalsitas contra divinam veritatem desi
gnatur, quae religioni co/llraria est>> (CG, L. 1, c. 1, n. 7).
28 In prospettiva teologica, nella religione cristiana, questi segni avranno Ia !oro realizzazione culminante nei
sacramenti.
29 <<Tullius in rhetorica, ponit religionem speciem justitiae>> (III Sent, d. 9, q. 1, a. 1, sc. 1). Cfr. anche
sant' Agostino, De civitate Dei, XIX, 21.
30 «Et ideo moralia intantum sunt lege determinabilia, inquantum pertinent ad iustitiam, cuius etiam quaedam
pars est religio, ut Tullius dicit>> (I-II, q. 99, a. 5, ad 1"m).
1 14 ALBERTO STRUMiA
questa modo di inquadrare 1' oggetto gia permette di intuire che la religione, nella con
cezione di Tommaso, non si riconduce al solo fattore psicologico del sentimento, pur
connotato con la qualifica di "religioso", rna riguarda le relazioni con altro da se, per
che le relazioni con gli altri e le regale che devono governarle, sono oggetto proprio
della giustizia; inoltre si comprende come la religione non potra essere estranea a qual
che forma di Iegge, in quanta la giustizia e regolata da leggi; e ancora che la religione
non potra essere concepita solamente come un fatto privata e intima di colui che la
pratica, in quanta la giustizia si accompagna, di regola, anche con atti esteriori che la
rendono manifesta e concreta, svelando le intenzioni e gli atteggiamenti interiori.
Secondo il metoda aristotelico-tomista, per pater trattare di un certo "soggetto"
(subiectum), che nel nostro caso e la religio, occorre domandarsi, prima di tutto, se esi
sta (an sit) almena, e prima di tutto, da un punta logico. Da un punta vista logico-for
male occorre chiedersi se la sua stessa nozione non sia contraddittoria in se stessa e
con i principi presupposti, e dal punta di vista dei contenuti se le deduzioni e le defi
nizioni su cui si fondano siano coerenti con l'esperienza e con la dottrina in questio
ne. Ci si rende subito canto di come l 'analisi che viene condotta dall' Aquinate sia
rigorosamente scientifica e non puramente descrittiva.
San Tommaso parte, preliminarmente, da molto lantana, ponendosi, a monte, addi
rittura l'interrogativo se sia corretto suddividere la giustizia in diverse "parti", e
rispondendo affermativamente distingue i diversi tipi di parti nelle le quali debba esse
re suddivisa.3' La suddivisione adottata rispecchia lo schema consueto che distingue le
"parti" di un "tutto" in parti soggettive, (subiectivae), integralP2 (integrates) e poten
ziali (potentiates). Questa premessa gli servira anche per collocare la religione.
Trattandosi di un "soggetto" non corporeo, rna di una nozione che caratterizza un
"atto umano" (atto volontario) le dizioni «integrates» e «potentiates» vengono prese,
necessariamente, in sensa analogico e quindi precedute da un «quasi>>.33 Occorrera,
dunque, trattare «in prima luogo delle parti "soggettive", che sono le specie della giu
stizia, cioe la giustizia "distributiva" e la giustizia "commutativa" in secondo luogo
delle parti "quasi integrali" e, in terzo luogo, delle parti "quasi potenziali", cioe delle
virtu ad essa connesse».34 Tommaso procede chiedendosi se vi siano parti potenziali
della giustizia e, avendo riposto affermativamente, passa ad identificarle, ponendo tra
partibus quasi integralibus; tertio, de partibus quasi potentialibus, scilicet de virtutibus adiunctis>> (11-II, q. 61, pr) .
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 1 15
queste anche la virtu di religione. La nozione di religione si colloca, dunque nel terzo
tipo della suddivisione della giustizia.
L'autore ricorda che le parti definite come "quasi potenziali" sono caratterizzate dal
fatto di essere parti, non in sensa "estensivo" o "quantitativa", come in una "partizio
ne" di un insieme (parti soggettive) ne come "elementi" che appartengono a un insie
,
me (parti integrali), rna in sensa analogico, in quanta per alcuni aspetti convengono,
mentre per altri si differenziano rispetto alla definizione del tutto di cui sono parti.
Infatti <<nelle virtu connesse a una virtu principale occorre considerare due case: in
prima luogo, il fatto che esse convengano in qualche cosa con la virtu principale; in
secondo luogo, che siano carenti in qualche aspetto rispetto a quella, che e la virtu
completa».35
Applicando questa precisazione alla relazione "tutto-parte" che sussiste nel caso del
rapporto giustizia-religione egli spiega, poi, in che cosa esse convengano e in che cosa
non convengano. 11 motivo per cui la religione rientra tra le virtu annesse alla giustizia
consiste nel fatto che essa comporta un doveroso atto di "restituzione" del dovuto da
parte dell'uomo nei confronti di Dio.36
La giustizia, chiaramente, riguarda "l'altro", come si e detto e tutte le virtu che hanno
a che fare con "l'altro" possono, convenientemente, essere considerate connesse ad
essa. Perche ha ragione di giustizia il rendere adeguatamente all'"altro" cio che gli e
dovuto, come pure si e detto.
[II-II, q. 80, a.u., cop7
Subito dopa spiega cia in cui religione e giustizia non convengono. 11 motivo della
non convenienza consiste nell'impossibilita, per l'uomo, di una "perfetta" restituzione
del dovuto a Dio: a) sia per la "sproporzione infinita" tra il soggetto che restituisce
(l'uomo) nei confronti del destinatario della restituzione (Dio), e quindi tra l'atto
umano di restituzione e l'atto divino che ha data all'altro per prima; b) sia per
l'"oggetto" (l'offerta del culto) che viene restituito dall'uomo a Dio, che non puo esse
re della stesso valore di quanta e stato data da Dio all'uomo.
Una virtu che riguarda "l'altro" puo essere carente in cio che ha ragione di giustizia in
due modi: in primo luogo in quanto viene meno all"'adeguatezza" di cio che restitui-
35 <<In virtutibus quae adiunguntur alicui principali virtuti duo sunt consideranda, primo quidem, quod virtutes
illae in aliquo cum principali virtute conveniant; secundo, quod in aliquo deficiant a perfecta ratione ipsius>> (II-II,
q. 80, a.u. co).
36 <<Non ex necessitate legis, sed quadam honestate» (III Sent, d. 33, q. 3, a. 4a co). Si tratta, dunque, nel caso
della religione non di una sorta di obbligo coatto, rna di un atto di gratitudine doveroso quanto libero e interior
mente motivato.
37 <<Quia vero. iustitia ad alterum est, ut ex supradictis patet, omnes virtutes quae ad alterum sunt possunt ratio
ne convenientiae iustitiae annecti. Ratio vero iustitiae consistit in hoc quod alteri reddatur quod ei debetur secun
dum aequalitatem, ut ex supradictis pate!>>.
116 ALBERTO STRUMIA
see; in secondo luogo in quanto non ha a che fare con qualcosa di "dovuto" all'altro.
Ci sono, dunque, delle virtu che rendono, si, all'altro qualcosa di dovuto, rna non pos
sono renderlo alia pari. Ora la religione, in primo luogo rende, si, qualcosa di dovu
to a Dio, rna non puo farlo alia pari, rna solo come lo puo fare un uomo nei confronti
di Dio, come dice il salmo, Che cosa rendero al Signore in cambio di tutto quello che
mi ha dato ? E in questo senso che la religione e connessa alia giustizia, perche, come
dice Tullio, essa pub offrire al piu, con tutta l'attenzione di cui e capace, delle ceri
monie e un culto ad un Essere la cui natura e del tutto superiore, e che riconosce come
divina.
[II-II, q. 80, a.u., co]38
3 . 1 . DEFINIZIONE Dl RELIGIONE
La religione, essendo stata inquadrata tra le virtu, in base alla teoria generale delle
virtu come abiti, elaborata da Tommaso nella Prima secundae (qq. 55-67), viene allo
ra a relazionarsi con la sua antropologia metafisica degli "atti umani", ivi elaborata
(qq. 18-21). Un atto di religione risulta, dunque, essere definito come un "atto umano"
con il quale l'uomo restituisce a Dio il culto di adorazione (/atria) che gli e dovuto,
come segno di riconoscenza per i doni infinitamente superiori che Dio gli fa. Si tratta,
dunque, di un mota dell'uomo verso Dio. Si trova, cosi, un prima elemento comune
tra l'analisi filosofica di Tommaso e quella storico-fenomenologica, ben pili recente,
che prende in considerazione l 'aspetto cultuale, in quanta e esteriore e, quindi, empi
ricamente rilevabile presso tutti i popoli e le culture, pur nella molteplicita delle sue
forme concrete.
Possiamo notare che per Tommaso non si da religione senza "culto", cioe senza un
atto esteriore, visibile e pubblico. Questa rilievo ci permette di far emergere sia la
distinzione tra la nozione di "religione" e quella, di uso frequente ai nostri giorni, di
"sensa religioso", sia i1 fatto che, essendo i1 culto tendenzialmente un atto di natura
pubblica e sociale, la religione non puo essere, di sua natura, concepita come un fatto
privata. Si deve rilevare come, il sensa religioso sia l 'atteggiamento di colui che si
pone domande sul sensa dell'esistenza ed e alla ricerca di una risposta e, nel contem
po, l 'atteggiamento di colui che, avendo trovato la risposta, ne verifica l 'adeguatezza
a rispondere pienamente alla domanda. Questa operazione di ricerca-verifica non si
esprime in atti, di per se in atti di culto, rna al pili si traduce in una invocazione indi
viduate e interiore. Tommaso si occupa ampliamente di questo tipo di ricerca, rna non
la colloca all'interno delle trattazioni sulla religione, quanta piuttosto, nei luoghi dove
38<<Dupliciter igitur aliqua virtus ad alterum existens a ratione iustitiae deficit, uno quidem modo, inquantum
deficit a ratione aequalis; alio modo, inquantum deficit a ratione debiti. Sun! enim quaedam virtutes quae debitum
quidam alteri reddunt, sed non possunt reddere aequale. Et primo quidem, quidquid ab homine Deo redditur, debi
tum est, non !amen potest esse aequale, ut scilicet tantum ei homo reddat quantum debet; secundum illud psalm.,
quid retribuam domino pro omnibus quae retribuit mihi? Et secundum hoc adiungitur iustitiae religio, quae, ut
Tullius dicit, superioris cuiusdam naturae, quam divinam vocant, curam caeremoniamque vel cultum affert>>.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 117
tratta della ricerca della felicita (de fine ultimo, cfr. ad es. /-//, qq. 1-5) del desiderio
naturale di vedere Dio (naturale desiderium videndi Deum, cfr. ad es. CG, L. III, c. 25,
nn. 1 1-14; c. 50, nn. 1-8: c. 5 1 , n. 1) proprio della creatura razionale.39 E Ia ragione per
cui I' Aquinate non collega tale ricerca e tale desiderio alia religione (come invece Ia
moderna nozione di "sensa religioso" suggerisce) sembra risiedere nella definizione di
religione da lui ereditata dal contesto culturale greco-romano, in base alia quale Ia reli
gione muove dall'esigenza di "restituire" a Dio qualcosa, piuttosto che dal bisogno di
goderlo come fonte di significato e di felicita. Mentre per i moderni l'appellativo "reli
gioso" viene attribuito, in certo modo, a tutto cio che ha a che fare con Ia ricerca di
Dio da parte dell' uomo, per Tommaso non e cosi. E questa sembra pater motivare I' as
senza di riferimenti diretti alia religione, o alia dimensione interiore della religiosita,
nei testi che trattano del fine ultimo e del desiderio naturale di vedere Dio.
Nei passi che seguono troviamo la definizione della religione che san Tommaso trae
da Cicerone e adotta nel suo trattato.
La religione, come lo stesso autore [Tullio] la concepisce, non e altro che adorazio
ne: perche religione e, per lui, il rendere un culto cerimoniale ad una qualche natu
ra superiore (che viene detta "divina").
[II/ Sent, d. 9, q. 1, a. 1d, sc. 1 ]40
E in un altro passo:
39 Sui tema del naturale desiderium videndi Deum si puo trovare un ampio studio, con Ia relativa bibliografia,
in L. FEINGOlD, The Natural Desire to See God according to St. Thomas Aquinas and His Imerpreters, Apollinare
Studi, Roma 2001 (Thesis ad Doctoratum in Theologia totaliter edita).
40 «Religio, secundum quod ipse [Tullius] accipit, est idem quod !atria: quia religio, secundum eum, est quae
Ma 1' Aquinate non si limita a dare sempre solo una definizione cosi asciutta della
religione: nella Summa contra gentiles, troviamo un testo - che pur mantenendo lo
stile essenziale, e di certo mai prolisso, proprio del Dottore Angelico - e molto signi
ficativo anche da un punto di vista antropologico e psicologico, in quanto caratterizza
la religione, oltre che con la definizione, descrivendola anche per il suo modo di ori
ginarsi, quasi come una sorta istinto, una inclinazione connaturata con l'essere umano
in quanto e razionale, che si esprime attraverso un atteggiamento di timoroso rispetto
nei confronti di Dio.
Si dice "religione" il culto di Dio: perche consiste in quegli atti con i quali l'uomo si
lega a Dio, in maniera tale da non allontanarsi da Lui. E perche l'uomo si sente obbli
gato come per un istinto naturale ad offrirgli, come puo, reverenziale ossequio, aven
do da Lui ricevuto I' esistenza e in quanto e il principio di ogni bene.
[CG, L. III, c. 119, n. 7]44
Si noti bene che si tratta, comunque e sempre, di una tendenza intellettuale che
richiede la conoscenza razionale e la libera volonta che si porta affettivamente sul pro
prio oggetto, tanto da poter essere suscitato anche dalla grazia. Il termine "istinto" non
e certo inteso in senso meccanicistico, biologico o semplicemente psicologico: e una
tendenza del tutto umana che si traduce in quegli atti umani - che proprio solo in quan
to umani possono essere moralmente virtuosi - che sono gli atti della religione.45
A proposito della religione, poi, Tommaso si pone una serie di interrogativi a parti
re dai quali compie un'analisi dettagliata della dimensione religiosa e delle sue espres
sioni. «Trattando della religione occorre considerare i seguenti tre aspetti: primo, la
religione in se stessa; secondo, i suoi atti; terzo i vizi opposti ad essa».46 Si tratta del
modello usuale secondo il quale egli tratta le virtu. Ma prima di passare a questa ana
lisi, proponiamo un altro testo di san Tommaso che definisce e caratterizza la religio
ne. Si tratta di un passo piu ampio e descrittivo che si trova in uno scritto polemico, il
Contra impugnantes Dei cultum et religionem, composto nel 1256, in difesa degli
44 «Dei cultus religio nominatur: quia huiusmodi actibus quodammodo se homo ligat, ut ab eo non evagetur.
Et quia etiam quodam naturali instinctu se obligatum sentit ut Deo suo modo reverentiam impendat, a quo est sui
esse et omnis bani principium». A proposito del concetto di <<reverentia», che esprime un timore e un rispetto reve
renziale che si prova verso chi e superiore per natura, o per autorita, o per auotorevolezza, si puo vedere l'analisi
terrninologica di Mailhiot (cfr. M.-B. MAILHiar, The Place of Reliogious Selltiment... , op. cit., p. 50), in riferi
mento proprio a questa testa di Tommaso, e a proposito della spinta verso Dio, come «quasi istinto» (ivi, a p. 53).
Cfr anche sant'Agotino, De civitate Dei, XIV, 28.
45 A proposito dell'interior instinctus in san Tommaso, in merito alia ragione in relazione con l'azione della gra
zia, soprattutto in ordine alia fede, rimandiamo a J. ALFARO, Supematuralitas fidei iu.xta S. Thomam, in
"Gregorianum", 44 (1963), Pars I, pp. 501-542, e soprattutto Pars II, pp. 731-787.
46 «Circa religionem vera tria consideranda occurrunt, prima quidem, de ipsa religione secundum se; secun
da, de actibus eius; tertia, de vitiis oppositis>> (//-//, q. 81 pr).
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 119
A questa punta entra in gioco un altro aspetto della religione, che approfondiremo
nel capitola IV, che e quello di quella forma di fede che c'e in ogni religione:
E il primo legame con il quale l'uomo si !ega a Dio e Ia fede, come dice Eb 1 1,6: per
accostarsi a Dio bisogna credere che Egli e. Questa sorta di professione di fede, e l'a
dorazione, che offre a Dio il culto dovuto, quasi riconoscendo in Lui il principio: per
Viene poi precisato che la religione per essere tale deve avere Dio come destinata
rio e non un essere qualunque. Si accenna, infine, anche alla dimensione di "servizio",
propria del culto di adorazione. Si tratta di un riferimento che introduce il tema della
devozione, del votarsi a Dio, proprio di colui che, nella vita religiosa «specialiter Deo
servitur vitae abrenuntians saeculari».
E questo e quello che Agostino vuol significare quando, nel libro X de La cittii di Dio,
dice che La religione non e un culto [qualsiasi], ma il culto di Dio. E Tullio definisce
la religione, nella Retorica, dicendo che religione e tributare un culto cerimoniale a
una natura superiore, che viene chiamata divina. E cosi primariamente e principal
mente sono pertinenti alla vera religione tutte le cose che riguardano una fede integra
e un debito servizio di adorazione.
[ibidem]48
48 «Ut autem religionis naturam cognoscere valeamus, huius nominis or\ginem inquirarnus. Nomen igitur reli
gionis, ut Augustinus in libro De vera religione innuere videtur, a religando sumptum est. Illud autem proprie liga
ri dicitur quod ita uni adstringitur quod ei ad alia divertendi libertas tollatur. Sed religatio iteratam ligationem
importans, ostendit ad illud aliquem ligari cui primo coniunctus fuerat, et ab eo distare incepit. Et quia omnis crea
tura prius in Deo extitit quam in se ipsa, et a Deo processit, quodammodo ab eo distare incipiens secundum essen
tiam per creationem; ideo rationalis creatura ad ipsum Deum religari debet, cui primo coniuncta fuerat etiam ante
quam esse!, ut sic ad locum unde exeunt flumina revertantur, Eccle. I, 7. Et ideo Augustin us in Lib. de vera reli
gione dicit: religet 110s religio uni omnipotenti Deo: et habetur in Glossa Rom. XI, 36, super illud, � ipso et per
ipsum et cetera. Prima autem ligatio quo homo Deo ligatur, est per fidem, ut dicitur Hebr. XI, 6: accedentem ad
Deum oportet credere quia est. Huius quidem fidei protestatio, !atria est, quae cultum Deo exhibet, quasi reco
gnoscens eum esse principium: unde religio primo et principaliter latriarn significat, quae Deo cultum exhibet in
verae fidei protestationem. Et hoc est quod Augustinus dicit, X de civitate Dei, quod religio non quemlibet, sed
Dei cultum significare videtur: et hoc modo Tullius religionem definit in veteri rhetorica, dicens: religio est quae
superiori cuidam naturae, quam divinam vocant, curam caeremoniamque affert. Et sic primo et principaliter ad
veram religionem pertinere noscuntur quaecumque ad fidem integram pertinent, et ad debitam latriae servitutem.
49 <<Circa primum quaeruntur octo. Primo, utrum religio consistat tantum in ordine ad Deum. Secundo, utrum
religio sit virtus. Tertio, utrum religio sit una virtus. Quarto, utrum religio sit specialis virtus. Quinto, utrum
religio sit virtus theologica. Sexto, utrum religio sit praeferenda aliis virtutibus moralibus. Septimo, utrum reli
gio habeat exteriores actus. Octavo, utrum religio sit eadem sanctitati» (/1-11, q. 81 pr).
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 121
gale"; se sia "la piu elevata" tra le virtu morali; se comporti degli "atti esterni"; se sia
da identificare con la "santita".
Cerchiamo di analizzare gli aspetti che ci paiono fondamentali, almeno in riferi
mento ai nostri scopi, dei diversi articoli.
palmente legarci, essendo il principio che non viene meno, a Lui la nostra liberta si
deve dirigere costantemente, essendo il fine ultimo; e proprio perche lo avevamo per
duto rifiutandolo, dobbiamo recuperarlo credendo e dichiarando la nostra fede.
[II-II, q. 81, a. 8 cor
Si tratta di una domanda la risposta alla quale, letta alla luce del contesto odierno,
permette di chiarire in che sensa la religione, da un lato, si distingua da forme aber
ranti di credulita legate alla superstizione e alla magia e, dall'altro, come essa non vada
confusa con l'amore verso il prossimo, quando non addirittura con la filantropia, o l'u
manitarismo. Molto interessanti, anche dal punta di vista odierno, sono, poi, le obie
zioni che Tommaso adduce e le relative risposte. Le obiezioni, infatti, tendono a spa
stare i1 destinatario primario della religione da Dio verso i1 solo prossimo, svincolan
dolo in qualche modo da Dio. Le prime tre si rifanno addirittura ad auctoritates cri
stiane, mentre la quarta ad una auctoritas pagana.
Si dice, infatti, in Gc 1, re ligione pura e senza macchia presso Dio Padre e questa,
visitare gli orfani e le vedove nella foro sofferenza e conservarsi puri da questa
mondo.
Ma visitare gli orfani e le vedove si dice in rapporto al prossimo, e conservarsi puri da
questo mondo si dice dell'uomo in rapporto a se stesso.
Dunque "re ligione" non si dice solo in rapporto a Dio.
[II-II, q. 81, a. 1, ag. 1 ]52
Inoltre Agostino dice nel X libro de La citta di Dio, che nell'uso consueto della lingua
latina, si dice che si deve avere un religioso rispetto nelle relazioni umane e di paren
tela e in qualunque necessita verso le persone istruite e gli uomini di grande cultura;
non viene evitata, quindi, nell'uso comune di questo vocabolo, l'ambiguita con il rife
rimento al culto di Dio, per cui possiamo dire tranquillamente che "religione" non si
dice solo per designare il culto di Dio.
51 <<Respondeo dicendum quod, sicut Isidorus dicit, in libro Etyma/., religiosus, ut ait Cicero, a religione
appellatus, qui retractat et tanquam relegit ea quae ad cultum divinum pertinent. Et sic religio videtur dicta a reli
gendo ea quae sunt divini cultus, quia huiusmodi sunt frequenter in corde revolvenda, secundum illud Prov. 3, in
omnibus viis tuis cogita ilium. Quamvis etiam possit intelligi religio ex hoc dicta quod Deum reeligere debemus,
quem amiseramus negligentes, sicut Augustinus dicit, X De Civ. Dei. Vel potest intelligi religio a religando dicta,
unde Augustinus dicit, in libro De vera relig., religet nos religio uni omnipotenti Deo. Sive autem religio dica
tur a frequenti lectione, sive ex iterata electione eius quod negligenter amissum est, sive a religatione, religio pro
prie importat ordinem ad Deum. Ipse enim est cui principaliter alligari debemus, tanquam indeficienti principio;
ad quem etiam nostra electio assidue dirigi debet, sicut in ultimum finem; quem etiam negligenter peccando amit
timus, et credendo et fidem protestando recuperare debemus». A proposito del concetto di religione come "ordo
hominis ad Deum" in san Tommaso si veda M. SECKLER, ll concetto teologico di religione, in Corso di Teologia
Fondamelltale, Queriniana, Brescia 1990, vol. I, pp. 203-228, in particolare le pp. 210-214, e in generale l'intero
articolo per un inquadramento della nozione di religione nel constesto teologico fondamentale.
52 <<Dicitur enim lac. 1, religio munda et immaculata apud Deum et patrem haec est, visitare pupillos et viduas
in tribulatione eorum, et immaculatum se custodire ab hoc saeculo. Sed visitare pupillos et viduas dicitur secun
dum ordinem ad proximum, quod autem dicit immaculatum se custodire ab hoc saeculo, pertinet ad ordinem quo
ordinatur homo in seipso. Ergo religio non solum dicitur in ordine ad Deum». La quinta obiezione riguarda i reli
giosi in quanto appartenenti ad un ordine religioso e quindi Ia tralasciamo per quanto precisato in precedenza.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 123
Dunque, "re ligione" si dice non solo in rapporto a Dio, rna anche al prossimo.
[IJ-1/, q. 81, a. 1, ag. 2P3
Inoltre, la religione ha a che fare con il culto di "latria", che significa "servizio",
come dice Agostino nel X libro de La citta di Dio. Ma il servizio non si presta solo a
Dio, rna anche al prossimo, secondo Gl 5, servitevi gli uni gli altri con spirito di cari
ta. Dunque la religione riguarda anche i rapporti con il prossimo.
[II-II, q. 81, a. 1, ag. 3]54
Inoltre Ia religione riguarda il culto. Ma si dice che l'uomo non solo offre un culto a
Dio, rna anche al prossimo, secondo quanto dice Catone: Venera i tuoi genitori.
Dunque, Ia religione ci ordina anche al prossimo e non solo a Dio.
[II-II, q. 81, a. 1, ag. 4]55
53 <<Praeterea, Augustinus dicit, in X De Civ. Dei, quia latina loquendi consuetudine, non imperitorum, verum
etiam doctissimorum, cognationibus humanis atque affinitatibus et quibuscumque necessitudinibus dicitur exhi
benda religio; non eo vocabulo vitatur ambiguum cum de cultu deitatis vertitur quaestio, ut fidenter dicere valea
mus religionem non esse nisi cuitum Dei. Ergo religio dicitur non solum in ordine ad Deum, sed etiam in ordi
ne ad propinquos».
54 «Praeterea, ad religionem videtur !atria pertinere. Latria autem interpretatur servitus, ut Augustinus dicit, in
X De Civ. Dei. Servire autem debemus non solum Deo, sed etiam proximis, secundum illud Gal. 5, per caritatem
spiritus servile invicem. Ergo religio importat etiam ordinem ad proximum».
55 «Praeterea, ad religionem pertinet cultus. Sed homo dicitur non solum colere Deum, sed etiam proximum,
secundum illud Catonis, cole parentes. Ergo etiam religio nos ordinal ad proximum, et non solum ad Deum».
56 «Ad primum ergo dicendum quod religio habet duplices actus. Quosdam quidem proprios et immediatos,
quos elicit, per quos homo ordinatur ad solum Deum, sicut sacrificare, adorare et alia huiusmodi. Alios autem actus
habet quos producit mediantibus virtutibus quibus imperat, ordinans eos in divinam reverentiam, quia scilicet vir
Ius ad quam pertinet finis, imperat virtutibus ad quas pertinent ea quae sunt ad finem. Et secundum hoc actus reli
gionis per modum imperii ponitur esse visitare pupillos et viduas in tribulatione eorum, quod est actus elicitus a
misericordia, immaculatum autem custodire se ab hoc saeculo imperative quidem est religionis, elicitive autem
temperantiae vel alicuius huiusmodi virtutis>>.
124 ALBERTO STRUMlA
Non si deve neppure equivocare sul termine "servizio", confondendo il servizio reso
a Dio con il servizio verso il prossimo. Solo a Dio, infatti, si deve quell'atto di sotto
missione («ServitUS>>) che e adorazione («[atria»).58
II termine "servo" si dice in relazione a! termine "signore", quindi necessariamente il
termine "servizio" viene detto con il significato corrispondente a! tipo di "signoria" di
cui si parla. E chiaro che l'appellativo di "Signore" conviene a Dio in un senso proprio
e unico, perche ha fatto tutte le cose, e ha il supremo governo di tutto. Di conseguen
za gli e dovuto un tipo di servizio del tutto Speciale. E a questa si dava il nome di
"!atria " presso i greci, che percio riguarda direttamente Ia religione.
[//-//, q. 81, a. 1, ad 3um]59
Abbiamo, dunque, tra l' altro, in questo articolo, come del resto accade frequente
mente in tutta l'opera di san Tommaso, una esemplificazione di come egli sappia sma
scherare come erronee delle obiezioni che partono dall'interno di una prospettiva teo
logica e che si basano su un'interpretazione non corretta della stessa Scrittura o dei
Padri della Chiesa.
51 <<Ad secundum dicendum quod religio refertur ad ea quae exhibentur cognationibus humanis, extenso nomi
ne religionis, non autem secundum quod religio proprie dicitur. Unde Augustinus, parum ante verba inducta,
praemittit, religio distinctius non quernlibet, sed Dei cultum significare videtur».
58 Tale alto, rivolto ad altro da Dio, cioe ad una creatura, diviene idolatria.
59 «Ad tertium dicendum quod cum servus dicatur ad dominum, necesse est quod ubi est propria et specialis
ratio dominii, ibi sit specialis et propria ratio servitutis. Manifestum est autem quod dominium convenit Deo
secundum propriarn et singularem quandam rationem, quia scilicet ipse omnia fecit, et quia summum in omnibus
rebus obtinet principatum. Et ideo specialis ratio servitutis ei debetur. Et talis servitus nomine latriae designatur
apud graecos. Et ideo ad religionem proprie pertinet>>.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 125
alla definizione di virtu, come cio che rende buono il soggetto che la possiede e rende
buoni gli atti di un tale soggetto, applicata all'atto buono del culto della religione/>«1
Difficilmente, infatti, sia per san Tommaso, sia per gli autori dell'antichita, si potreb
be pensare ad una giustizia e ad una legalita, e quindi ad una societa che possano reg
gersi ordinatamente senza una educazione dell'uomo ad essere moralmente retto.
Come si e detto in precedenza, Ia virtu e cio che rende buono chi Ia possiede e buon�
le sue azioni. E quindi si deve dire che ogni atto buono ha a che fare con Ia virtu. E
chiaro, poi, che restituire a qualcuno cio che gli e dovuto e cosa buona, per il fatto che,
rendendo a qualcuno il dovuto, ci si pone in maniera giusta nei suoi confronti, si ripri
stina il giusto ordine [nei rapporti tra le persone]; rna l'ordine e un bene, come modo
e specie, come risulta dal libro sulla Natura del bene di Agostino. E, dal momento che,
alia religione compete il rendere l'onore dovuto a un altro, cioe a Dio, e chiaro che
Ia religione e una virtu.
[II-II, q. 81, a. 2, co] 61
Significativa tra le obiezioni di questa articolo e la prima, che nega "per eccesso" la
natura virtuosa della religione, sostenendo che la religione e piu di una virtu in quan
ta e un dono della Spirito Santo.62 Questa posizione spiritualista, tende, di fatto e con
trariamente alle apparenze, a giustificare l'irreligiosita, quasi che la religione fosse
cosa che riguarda solo chi ne ha il dono infuso. Nel contesto odierno essa e tipica di
quell'indifferentismo religioso, che considera la religiosita e la santita come fenome
ni talmente eccezionali, da non pater riguardare le persone "normali", cha anzi devo
no tenerle a debita distanza.
La religione ha a che fare con il reverenziale ossequio nei confronti di Dio, rna un
comportamento reverenziale e espressione del timore, che e un dono [dello Spirito
Santo], come si e visto in precedenza. Dunque Ia religione non e una virtu [acquisi
ta], rna un dono.
[II-II, q. 81, a. 2, ag. 2)63
60 Secondo Ia definizione di Aristotele del II libro deli'Etica a Nicomaco, riportata frequentemente da Tommaso
<<Virtus est quae bonum facit habentem, et opus eius bonum reddit>> e in particolare nel trattato sulla virtu in gene
re (I-II, q. 56, a. 3 co) .
61 <<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, virtus est quae bonum facit habentem et opus eius bonum
reddit. Et ideo necesse est dicere omnem actum bonum ad virtutem pertinere. Manifestum est autem quod redde
re debitum alicui habet rationem boni, quia per hoc quod aliquis alteri debitum reddit, etiam constituitur in pro
portione convenienti respectu ipsius, quasi convenienter ordinatus ad ipsum; ordo autem ad rationem boni perti
net, sicut et modus et species, ut per Augustinum pate!, in libro de natura boni. Cum igitur ad religionem perti
neat reddere honorem debitum alicui, scilicet Deo, manifestum est quod religio virtus est>>.
62 Cfr. anche a questo proposito III Sent, q. 9, a. la.
63 <<Ad religionem enim pertinere videtur Deo reverentiam exhibere. Sed revereri est actus timoris, qui est
donum, ut ex supradictis patet. Ergo religio non est virtus, sed donum».
126 ALBERTO STRUMIA
Come si e detto in precedenza, gli abiti si distinguono tra !oro in rapporto all'oggetto.
Alia religione compete offrire un ossequio reverenziale a Dio, per un'unica ragione,
e cioe perche e il principio primo della creazione e del govemo delle cose, come dice
Mi l, Se io sono il padre, dov 'e il mio onore ?. Padre e colui che genera e governa.
Dunque e chiaro che Ia religione e una sola virtu.
[II-II, q. 81, a. 3, co)65
64 <<Ad primum ergo dicendum quod revereri Deum est actus doni timoris. Ad religionem autem pertinet face
re aliqua propter divinam reverentiam. Unde non sequitur quod religio sit idem quod donum timoris, sed quod
ordinetur ad ipsum sicut ad aliquid principalius. Sunt enim dona principaliora virtutibus moralibus, ut supra habi
tum est».
65 «Respondeo dicendum quod, sicut supra habitum est, habitus distinguuntur secundum diversam rationem
obiecti. Ad religionem autem pertinet exhibere reverentiam uni Deo secundum unam rationem, inquantum sci
licet est primum principium creationis et gubemationis rerum, unde ipse dicit, Malach. 1, si ego pater, ubi honor
meus? Patris enim est et producere et gubemare. Et ideo manifestum est quod religio est una virtus>>.
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 127
Le obiezioni che oppongono all'unicita della virtu di religione il fatto che renden
do culto a Dio si adorano tre persone, si compiono molteplici atti e si venerano nume
rose immagini, appaiono piuttosto superficiali e di semplice soluzione. Le risposte
sono le seguenti.
Alia prima obiezione si risponde dicendo che le tre persone divine sono un unico prin
cipia della creazione e del governo delle cose, e quindi con un'unica religione si
offre loro il servizio. Le diverse ragioni degli attributi divini concorrono nell'unica
ragione di primo principia, perche Dio produce e governa ogni cosa con l'unica
sapienza, volonta e potenza della sua bonta. Per questo Ia religione e un'unica virtu.
[II-II, q. 81, a. 3, ad 1um]66
Alia seconda obiezione si risponde dicendo che con un unico atto l'uomo serve Dio e
lo adora, poiche il culto si rivolge a Dio per Ia sua superiorita, alia quale si deve reve
renziale ossequio, il servizio evidenzia la sottomissione dell'uomo, che per la sua con
dizione e tenuto a tributare a Dio un reverenziale ossequio. A questi due sono ricon
ducibili tutti gli atti che si attribuiscono alia religione, perche con tutti l'uomo after
rna la superiorita divina e la propria sottomissione a Dio, offrendogli qualcosa o acco
gliendo qualcosa da Lui.
[II-II, q. 81, a. 3, ad 2um]67
Alla terza obiezione si risponde dicendo che aile immagini non si deve un culto di
religione se si considerano in se stesse, come semplici oggetti, rna per il fatto che
come immagini ci portano a pensare al Dio incarnato. Non ci si ferma all'immagine,
rna attraverso di essa si e portati a considerare colui del quale e immagine. Sotto que
sto aspetto il culto religioso che si porta aile immagini di Cristo non si diversifica
dall'adorazione a Lui, ne dalla virtu di religione.
[II-II, q. 81, a. 3, ad 3um]68
66 «Ad primum ergo dicendum quod tres personae divinae sunt unum principium creationis et gubernationis
rerum, et ideo eis una religione servitur. Diversae autem rationes attributorum concurrunt ad rationem primi prin
cipii, quia Deus producit omnia et gubernat sapientia, voluntate et potentia bonitatis suae. Et ideo religio est una
virtUS>>.
67 <<Ad secundum dicendurn quod eodem actu homo servit Deo et colit ipsum, nam cultus respicit Dei excel
lentiam, cui reverentia debetur; servitus autem respicit subiectionem hominis, qui ex sua conditione obligatur ad
exhibendum reverentiam Deo. Et ad haec duo pertinent omnes actus qui religioni attribuuntur, quia pe r omnes
homo protestatur divinam excellentiam et subiectionem sui ad Deum, vel exhibendo aliquid ei, vel iterum assu
mendo aliquid divinum>>.
68 <<Ad tertium dicendum quod imaginibus non exhibetur religionis cultus secundum quod in seipsis conside
rantur, quasi res quaedam, sed secundum quod sunt imagines ducentes in Deum incamatum. Mot us autem qui est
in imaginem prout est imago, non sistit in ipsa, sed tendit in id cuius est imago. Et ideo ex hoc quod imaginibus
Christi exhibetur religionis cultus, non diversificatur ratio latriae, nee virtus religioniS>>.
128 ALBERTO STRUMIA
Poiche la virtu e ordinata al bene, ogni volta che si da una "ragione" particolare di bene
si da una virtu Speciale. II bene al quale e ordinata la religione e quello di offrire a
Dio l'onore dovuto. Ma l'onore e dovuto a qualcuno in ragione della sua superiorita.
Ora, Dio ha una superiorita assolutamente unica, in quanto trascende infinitamente
tutte le cose sotto ogni aspetto. Per questo gli e dovuto un onore speciale, cosi come
anche neUe cose umane riscontriamo che si tributano gradi di onore diversi a seconda
dei diversi gradi di superiorita delle persone, come al padre, al re, e cosi via. Allora
risulta chiaro che la religione e una virtu speciale.
[JI-ll, q. 81, a. 4 cor0
Le obiezioni tendono a confondere gli atti della religione con gli atti di altre virtu (il
sacrificio, l'agire a gloria a Dio e l'amore del prossimo), come la carita. Nelle risposte
viene precisato il fatto che la religione non si "dissolve" genericamente nelle altre virtu,
rna piuttosto dirige queste ultime quando ne motivi e ne comandi (imperet) gli atti.
Alia prima obiezione si risponde dicendo che un'azione virtuosa si dice "sacrificio" in
quanto e ordinata al reverenziale ossequio di Dio. Ma da questo non segue che la reli
gione sia una virtu generale, rna che puo dirigere ogni altra virtu, come si e gia detto.
[JI-ll, q. 81, a. 4 ad 1umr'
69 Questa caratteristica e fondamentale per distinguere Ia religione dall'idolatria, dal feticismo, e anche dalle
diverse forme di panteismo, sia cosmologico che pan-psichistico che riaffiorano anche ai nostri giomi.
70 «Respondeo dicendum quod cum virtus ordinetur ad bonum, ubi est specialis ratio boni, ibi oportet esse spe
cialem virtutem. Bonum autem ad quod ordinatur religio est exhibere Deo debitum honorem. Honor autem debe
tur alicui ratione excellentiae. Deo autem competit singularis excellentia, inquantum omnia in infinitum transcen
dit secundum omnimodum excessum. Unde ei debetur specialis honor, sicut in rebus humanis videmus quod diver
sis excellentiis personarum divers us honor debetur, ali us quidem patri, alius regi, et sic de aliis. Unde manifestum
est quod religio est specialis virtus».
71 <<Ad primum ergo dicendum quod omne opus virtutis dicitur esse sacrificium inquantum ordinatur ad Dei
reverentiam. Unde ex hoc non habetur quod religio sit generalis virtus, sed quod imperet omnibus aliis virtuti
bus, sicut supra dictum est>>.
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 129
Alla seconda obiezione si risponde dicendo che tutte le cose, quando si fanno a gloria
di Dio, riguardano la religione non come virtu che le attua direttamente, rna come
quella che le fa compiere alle altre virtu. La religione compie direttamente solo quel
le che rientrano nel suo ambito speciale di atti di ossequio verso Dio.
[II-II, q. 81, a. 4 ad 2um]n
Alla terza obiezione si risponde dicendo che l'oggetto dell'amore e il "bene", mentre
l'oggetto dell'onore e dell'ossequio reverente e cio che e "superiore". Cio che viene
comunicato alla creatura e il bene e non la superioritiL Per cui la carita con la quale
amiamo Dio non e una virtu distinta da quella con cui amiamo il prossimo, mentre la
religione con la quale onoriamo Dio si distingue dalle virtu con le quali onoriamo il
prossimo.
[II-II, q. 81, a. 4 ad 3umf3
7� <<Ad secundum dicendum quod omnia, secundum quod in gloriam Dei fiunt, pertinent ad religionem non
quasi ad elicientem, sed quasi ad imperantem. Ilia autem pertinent ad religionem elicientem quae secundum
rationem suae speciei pertinent ad reverentiam Dei>>.
73 «Ad tertium dicendum quod obiectum amoris est bonum, obiectum autem honoris vel reverentiae est aliquid
excellens. Bonitas autem Dei communicatur creaturae, non autem excellentia bonitatis eius. Et ideo caritas qua
diligitur Deus non est virtus distincta a caritate qua diligitur proximus, religio autem, qua honoratur Deus, distin
guitur a virtutibus quibus honoratur proximuS>>.
74 Cfr. anche a questo proposito III Sent, q. 9, a. 1_co.
75 Cfr. a questo proposito, ad es. Lumen gelltium, n. 16.
76 <<In hoc consistat ratio virtutis theologicae quod Deum habeat pro obiectO>> (//-//, q. 17, a. 5 co).
130 ALBERTO STRUMIA
le" ha Dio come "fine", o destinatario.77 Mentre la "fede" ha Dio come oggetto mate
riale del credere (credere Deum),78 la "speranza" ha Dio come oggetto di futuro godi
mento (fruire Deum), bene arduo da raggiungere/9 la "carita" ha Dio come oggetto
dell'amore (diligere Deum),80 la "religione" ha Dio come "fine" a cui tendere, desti
natario degli atti del culto, della restituzione del debito a Lui dovuto (sicut cum credi
mus Deo) e non direttamente come oggetto.81
Come si e detto, Ia religione e Ia virtu che rende a Dio il culto dovuto. Ora si devo
no considerare due cose nella religione: una e cio che Ia religione rende a Dio, cioe
il culto e questo fa parte della religione come "materia" e "oggetto"; l'altra e Colui
a! quale viene reso qualcosa, che e Dio stesso. Ora, gli atti con i quali onoriamo Dio,
offrendogli il culto, non lo colgono in quanto atti di culto, come lo colgliamo con !'at
to del credere, quando crediamo a Dio (per Ia qual cosa abbiamo detto sopra che Dio
e oggetto della fede non solo in quanto crediamo Dio, rna in quanto crediamo a Dio);
rna si offre a Dio il culto dovuto in quanto gli atti, con i quali si onora Dio, vengono
compiuti in reverente ossequio verso di Lui, come le offerte sacrificali e cose simili.
Per cui e chiaro che Dio non si commisura alia virtu di religione come "materia" o
"oggetto", rna come "fine". Per cui la religione non e una virtu teologale, il cui
oggetto e il fine ultimo stesso, rna e una virtu morale, il cui "proprio" e di riguardare
le cose che sono in ordine al fine.
[II-II, q. 81, a. 5 co]82
77 <<Yirtutes morales dirigunt in his quae sun! ad finem, theologicae autem sun! de ipso fine>> (/// Sent. q. 27,
inquanturn est primum verum, est objectum fidei; inquantum est summum bonum, est objecturn caritatis; inquan
tum est altissimurn arduum, est objectum spei» (/// Sent. d. 26, q. 2, a. 3a, ad 1 )
um .
81 La lingua latina esprime Ia differenza tra oggetto e fine, o termine dell'atto della virtu, mediante un accusati
vo (Deum) nel caso delle virtu teologali e mediante un dativo (Deo) nel caso delle virtu rnorali.
82 <<Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, religio est quae Deo debitum culturn affert. Duo igitur in reli
gione considerantur. Unum quidem quod religio Deo affert, cultus scilicet, et hoc se habet per modum materiae
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 131
Le risposte alle obiezioni, presentate all'inizio dell'articolo, che fanno leva sul fatto
che «Dio si onora con la fede, la speranza e la carita, che sono virtu teologali», che «la
religione ha Dio per oggetto in quanto ordina solo a Dio>>, e «che la religione non
e una virtu intellettuale [ . . . e] non e una virtu morale, [ . . . ] dunque la religione e una
virtu teologale», derivano di conseguenza.
Alla prima obiezione si risponde dicendo che una potenza o virtu che agisce per un
' fine muove, dirigendola, un'altra potenza o virtu attiva che si lascia ordinare verso quel
fine. Le virtu teologali, cioe la fede, la speranza e la carita, si rapportano a Dio come
loro oggetto proprio. E, percio, con il loro atto direttivo, causano l'atto della religio
ne, che compie i suoi atti in ordine a Dio. E per questa Agostino dice che Dio si onora
con Ia fede, Ia speranza e Ia carita.
et obiecti ad religionem. Aliud autem est id cui affertur, scilicet Deus. Cui cultus exhibetur non quasi actus qui
bus Deus colitur ipsum Deum attingunt, sicut cum credimus Deo, credendo Deum attingimus (propter quod supra
dictum est quod Deus est fidei obiectum non solum inquantum credimus Deum, sed inquantum credimus Deo),
affertur autem Deo debitus cultus inquantum actus quidam, quibus Deus colitur, in Dei reverentiam fiunt, puta
sacrificiorum oblationes et alia huiusmodi. Unde manifestum est quod Deus non comparatur ad virtutem religio
nis sicut materia vel obiectum, sed sicut finis. Et ideo religio non est virtus theologica, cuius obiectum est ulti
mus finis, sed est virtus moralis, cuius est esse circa ea quae sunt ad finem>>.
83 <<Ad primum ergo dicendum quod semper potentia vel virtus quae operatur circa finem, per imperium movet
potentiam vel virtutem operantem ea quae ordinantur in finem ilium. Virtutes autem theologicae, scilicet fides,
spes et caritas, habent actum circa Deum sicut circa proprium obiectum. Et ideo suo imperio causant actum reli
gionis, quae operatur quaedam in ordine ad Deum. Et ideo Augustinus dicit quod Deus colitur fide, spe et cari
tate>>.
84 <<Ad secundum dicendum quod religio ordinal hominem in Deum non sicut in obiectum, sed sicut in finem>>.
85 <<Ad tertium dicendum quod religio non est virtus theologica neque intellectualis, sed moralis, cum sit pars
iustitiae. Et medium in ipsa accipitur non quidem inter passiones, sed secundum quandam aequalitatem inter ope
rationes quae sunt ad Deum. Dico autem aequalitatem non absolute, quia Deo non potest tantum exhiberi quan
tum ei debetur, sed secundum considerationem humanae facultatis et divinae acceptationis. Superfluum autem in
132 ALBERTO STRUMIA
Come si e gia fatto presente nella Introduzione e nella sezione precedente del pre
sente capitola (cfr., supra §2), questa problematica e stata a lungo oggetto di dibattito
teologico, tuttavia l'argomentazione di Tommaso appare piuttosto chiara e del tutto
coerente con tutta l 'impostazione del trattato, e una diversa soluzione non sembrereb
be pensabile senza alterarne l'intera impostazione, sia epistemologica che propria
mente teologica.86 Sono da ritenersi virtu teologali quelle che hanna come oggetto pro
prio e immediato Dio stesso, e queste sono esclusivamente la fede, la speranza e la
carita. La religione ha esclusivamente il compito di onorare Dio come destinatario del
culto, di ordinare a Dio come fine gli atti delle altre virtu. Vale la pena notare come,
persino alia luce del trattato tomistico, potrebbe sembrare che anche la religione abbia,
in realta, Dio come oggetto, in quanta essa e inseparabile, dal punta di vista episte
mologico, da una qualche "forma di fede", essendo una «quaedam fidei protestatio»87
(cfr. infra, §4. 1.3.) - fede che, tuttavia, e la fede teologale solo in rapporto al cristia
nesimo - rna occorre precisare che, in ogni caso, la religione non si identifica con que
sta "forma di fede", rna ne e solamente la manifestazione esteriore (protestatio) e, di
conseguenza, non puo essere considerata una virtu teologale.
his quae ad divinum cultum pertinent esse potest, non secundum circumstantiam quanti, sed secundum alias cir
cumstantias, pula quia cultus divinus exhibetur cui non debet exhiberi, vel quando non debet, vel secundum alias
circumstantias prout non debet>>.
86 Si e citata piu volte su questo argomento Ia dettagliata discussione offerta in D. MONGILLO, La virtu di reli
gione... , op. cit., pp. 59-62, per cui non e qui il caso di ritornarvi.
87 N Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4"m.
88 «Respondeo dicendum quod ea quae sunt ad finem sortiuntur bonitatem ex ordine in finem, et ideo quanto
sunt fini propinquiora, tanto sunt meliora. Virtutes autem morales, ut supra habitum est, sunt circa ea quae ordi-
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 133
Noi non offriamo il nostro reverente ossequio e l'onore a Dio per arricchirlo di qual
cosa - perche Lui stesso e gia Ia pienezza della gloria, e niente puo essergli aggiunto
da parte di una creatura - rna lo facciamo per noi stessi, perche onorandolo e osse
quiandolo reverenzialmente, Ia nostra mente si lascia sommergere da Lui e trova cosi
Ia propria perfezione. Ogni cosa, infatti, ha Ia sua perfezione nel fatto di ricevere da
una realta superiore, come il corpo riceve Ia vita dall'anima, e l'aria e illuminata dal
sole. E Ia mente umana, per essere unita a Dio, ha bisogno di esservi come condotta
per mano da cose sensibili, perche le realta invisibili si colgono con l'intelligenza solo
mediante quelle visibili, come dice I' Apostolo ai Romani. Nel culto divino bisogna
servirsi di realta corporee, perche, mediante queste, come da dei segni Ia mente umana
venga spinta ad azioni spirituali, attraverso le quali si unisce a Dio. Percio Ia religione
nantur in Deum sicut in finem. Religio autem magis de propinquo accedit ad Deum quam aliae virtutes morales,
inquantum operatur ea quae directe et immediate ordinantur in honorem divinum. Et ideo religio praeeminet inter
alias virtutes morales>>.
134 ALBERTO STRUMiA
ha degli atti interiori come principali che le sono propri di per se, e degli atti esterio
ri, in certo modo secondari, ordinati ai primi.
[II-II, q. 81, a. 7 co]89
89 <<Respondeo dicendum quod Deo reverentiam et honorem exhibemus non propter ipsum, qui in seipso est glo
ria plenus, cui nihil a creatura adiici potest, sed propter nos, quia videlicet per hoc quod Deum reveremur et bono
ramus, mens nostra ei subiicitur, et in hoc eius perfectio consistit; quaelibet enim res perficitur per hoc quod sub
ditur suo superiori, sicut corpus per hoc quod vivificatur ab anima, et aer per hoc quod illuminatur a sole. Mens
autem humana indiget ad hoc quod coniungatur Deo, sensibilium manuductione, quia invisibilia per ea quae facta
sunt, intellecta, conspiciuntur, ut Apostol us dicit, ad Rom. Et ideo in divino cultu necesse est aliquibus corporali
bus uti, ut eis, quasi signis quibusdam, mens hominis excitetur ad spirituales actus, quibus Deo coniungitur. Et ideo
religio habet quidem interiores actus quasi principales et per se ad religionem pertinentes, exteriores vero actus
quasi secundarios, et ad interiores actus ordinatos>>.
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 135
La stabilita pure e necessaria perche Ia mente si applichi a Dio. Essa si applica a Lui,
infatti, come ultimo fine e primo principia, che sono come tali assolutamente stabili.
[II-II, q. 81, a. 8 co]
Religione e santita differiscono per il fatto che Ia religione si esprime in "atti ester
ni", mentre Ia santita e principalmente una "disposizione interiore" che predispone
anche aile altre virtu.
Cosi, dunque Ia santita non differisce dalla religione nella sua essenza, rna solo nel
modo di essere considerata concettualmente. Infatti si dice "religione" per il fatto
che offre il debito servizio in cio che riguarda in particolare in culto divino, come i
sacrifici, le offerte ecc.
E si dice "santita" per il fatto che l'uomo riferisce a Dio non solo le cose del culto, rna
anche le azioni delle altre virtu, e perche si dispone interiormente con le buone opere
anche al culto divino.
[ibidem]90
90 Riportiamo qui l'intero corpo dell'articolo: «Respondeo dicendum quod nomen sanctitatis duo videtur impor
tare. Uno quidem modo, munditiam, et huic significationi competit nomen graecum, dicitur enim agios quasi sine
terra. Alio modo importat firmitatem, unde apud antiquos sancta dicebantur quae legibus erant munita ut violari
non deberent; unde et dicitur esse aliquid sancitum quia est lege firrnatum. Potest etiam secundum Iatinos hoc
nomen sanctus ad munditiam pertinere, ut intelligatur sanctus quasi sanguine linctus, eo quod antiquitus illi qui
purificari valebant sanguine hostiae tingebantur, ut Isidorus dicit, in libra Etymol. et utraque significatio competit,
ut sanctitas attribuatur his quae divino cultui applicantur, ita quod non solum homines, sed etiam templum et vasa
et alia huiusmodi sanctificari dicantur ex hoc quod cultui divino applicantur. Munditia enim necessaria est ad hoc
quod mens Deo applicetur. Quia mens humana inquinatur ex hoc quod inferioribus rebus immergitur, sicut quae
libel res ex immixtione peioris sordescit, ut argentum ex immixtione plumbi. Oportet autem quod mens ab infe
rioribus rebus abstrahatur, ad hoc quod supremae rei possit coniungi. et ideo mens sine munditia Deo applicari non
potest. Unde ad Heb. ult. dicitur, pacem sequimini cum omnibus, et sanctimoniam, sine qua nemo videbit Deum.
Firrnitas etiam exigitur ad hoc quod mens Deo applicetur. Applicatur enim ei sicut ultimo fini et prima principia,
huiusmodi autem oportet maxime immobilia esse. Unde dicebat Apostolus, Rom. 8, certus sum quod 11eque mors
11eque vita separabit me a caritate Dei. Sic igitur sanctitas dicitur per quam mens hominis seipsam et suos actus
applicat Deo. Unde non differ! a religione secundum essentiam, sed solum ratione. Nam religio dicitur secun
dum quod exhibet Deo debitum famulatum in his quae pertinent specialiter ad cultum divinum, sicut in sacrificiis,
oblationibus et aliis huiusmodi, sanctitas autem dicitur secundum quod homo non solum haec, sed aliarum virtu
tum opera refert in Deum, vel secundum quod homo se disponit per bona opera ad cultum divinum>>.
91 <<Deinde considerandum est de actibus religionis. Et prima, de actibus interioribus, qui, secundum praedic
ta, sunt principaliores; secunda, de actibus exterioribus, qui sunt secundarii>> (II-II, q. 82, pr) .
136 ALBERTO STRUMIA
In un'ottica moderna possiamo rilevare come la trattazione dei primi sia ricca, oltre
cha dal punta di vista della morale, anche di informazioni di ordine psicologico ed
esperienziale, in ordine alla descrizione dell'esperienza religiosa del soggetto. I secon
di contengono elementi rilevanti dal punta di vista fenomenologico, antropologico,
culturale e sociale.
3.3.1. Gli atti interiori della religione: Ia "devozione " e l"'orazione "
1 1 prima atto interiore esaminato nel trattato di Tommaso e , dunque, quello della
"devozione",92 di cui egli tratta nella q. 82 della 11-II•e. Questa questione, dedicata al
prima di quelli che Tommaso considera gli atti piu importanti (principaliores) della
religione, perche sono alla radice della posizione umana del soggetto religioso, costi
tuisce quasi un piccolo trattato dentro un altro trattato (quello sulla religione), che e a
sua volta dentro il grande trattato sulla giustizia. In esso Tommaso dimostra partico
larmente di saper fare tesoro dell'eredita della cultura romana antica, giungendo ad
una sintesi del tutto nuova che influenzera la teologia a lui successiva e, attraverso !'o
pera dei teologi, giungera, un po' alla volta, ad influire sulla vita spirituale di grandi
maestri e santi_93
A proposito della devozione vengono posti quattro interrogativi nei rispettivi arti
coli della q. 82 della Secunda secundae: se la devozione sia un atto speciale; se sia un
atto di religione; quale ne sia la causa; quali siano i suoi effetti, ciascuno dei quali pun
tualizza degli aspetti fondamentali che caratterizzano questa atto.
92 Si e gia citato pili volte lo studio sull'atto di devozione in san Tommaso di G. BERCEVILLE, L 'acte de devotion
chez saint Thomas d'Aquin, a! quale senz'altro rimandiamo per approfondimenti sull'argomento.
93 Cfr. ivi, p. 39.
94 <<La devotio se definit d'emblee comme un acte de consecration de soi. Dans Ia Vulgate, le verbe devovere est
utilise a propos des offrandes du naizr (Nm 6,21). On lit encore chez Augustin: "L'homme consacre par le nom de
Dieu (Deo devotus o Deo votus, selon les manuscrits: le terme de devotio est assez peu frequent chez Augusitn),
en tan qu'il meurt au mond pour vivre a Dieu, est un sacrifice" (La Cite de Dieu, 10, 6). Chez Ambroise, Ia devo
tio est soumisssion totale et fervente a Dieu. Elle ne se limit pas a un acte cultuelle precis, mais correspond au fon
dament meme de tout le campo rtement chretien. Dans Ia meme ligne, Ia devotion est pensee tres precisement par
Thomas dans Ia Somme comme consistant a vouloir se livrer soi-meme et prontement a ce qui concerne le servi
ce de Dieu. Cette acception formelle de Ia devotion dans Ia Somme correspond done au sense premier et fort du
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 137
"Devozione" e un termine che deriva da "votarsi", per cui si dicono "devoti" coloro
che, in qualche modo, si votano a Dio, sottomettendosi interamente a Lui. Per cui,
anche un tempo presso i pagani, si chiamavano "devoti" colora che si votavano a morte
agli idoli per Ia propria salvezza, come i due Deci di cui parla Tito Livia. Per cui Ia
devozione non sembra essere altro che Ia pronta volontl1 di dare se stessi per le case
che riguardano il servizio di Dio. Come dice Es 35, che Ia moltitudine dei figli di
Israele offri con animo pronto e devoto le primizie al Signore. E chiaro, allora, che Ia
volonta di mettersi prontamente al servizio di Dio e un atto speciale. Per cui Ia devo
zione e un atto Speciale della volonta.
[11-11, q. 82, a. 1 cors
E chiaro che il compiere gli atti del culto e del servizio divino e proprio della reli
gione, come si e detto. E ad essa compete avere una volonta pronta nell'eseguirli, cioe
essere devoti. E cosi e chiaro che Ia devozione e un atto di religio n e .
[II-II, q . 82, a . 2 cot6
All'obiezione secondo la quale Dio non sarebbe sempre il destinatario della devo
zione si risponde che, in ogni caso, quando non lo e immediatamente, lo e mediata
mente.
Inoltre, mediante Ia religione l'uomo viene ordinato solo a Dio, come si e detto. Ma
Ia devozione puo essere rivolta anche agli uomini, dal momenta che si dice che alcu
ni sono devoti di uomini santi, o dei sudditi che sono devoti ai loro signori, come dice
Papa Leone che i giudei, quasi devoti aile leggi romane, dissero non abbiamo altro re
che Cesare. Quindi Ia devozione non e un atto di religione.
[II-II, q. 82, a. 3, ag. 3t7
mot dans Ia literature antique: une donation de soi a Dieu ou a des puissances superieures. Cette donation ne se
reduit pas a un rite>> (ivi, p. 40).
95 «Respondeo dicendum quod devotio dicitur a devovendo, unde devoti dicuntur qui seipsos quodammodo Deo
devovent, ut ei se totaliter subdant. Propter quod et olim apud gentiles devoti dicebantur qui seipsos idolis devo
vebant in mortem pro sui salute exercitus, sicut de duobus Deciis Titus Livius narrat. Unde Exod. 35 dicitur quod
multitudo filiorum Israel obtulit mente promptissima atque devota primitias domino. Manifestum est autem quod
voluntas prompte faciendi quod ad Dei servitium pertinet est quidam specialis actus. Unde devotio est specialis
actus voluntatis>>.
96 «Respondeo dicendum quod ad eandem virtutem pertinet velle facere aliquid, et promptam voluntatem habe
re ad illud faciendum, quia utriusque actus est idem obiectum. Propter quod philosophus dicit, in V Ethic., iustitia
est qua volunt homines et operantur iusta. Manifestum est autem quod operari ea quae pertinent ad divinum cui
tum seu famulatum pertinet proprie ad religionem, ut ex praedictis pate!. Unde etiam ad earn pertinet habere
promptam voluntatem ad huiusmodi exequenda, quod est esse devotum. Et sic pate! quod devotio est actus reli
gionis>>.
97 «Praeterea, per religionem homo ordinatur solum ad Deum, ut dictum est. Sed devotio etiam habetur ad
homines, dicuntur enim aliqui esse devoti aliquibus sanctis viris; et etiam subditi dicuntur esse devoti dominis suis,
138 ALBERTO STRUMIA
Alla terza obiezione si risponde dicendo che la devozione verso i santi di Dio, morti o
vivi, non termina in loro, rna attraverso di essi transita fino a Dio, perche nei servitori
di Dio noi veneriamo Dio. La devozione che i sudditi dicono di avere per i loro signo
ri temporali e di altra natura, cos! come e di altra natura il tipo di servizio che si pre
sta ai signori temporali da quello che si presta a Dio.
[II-II, q. 82, a. 3, ad 3um]98
La volonta, pen), non viene lasciata a se stessa, quasi fosse un istinto spontaneo
(spontaneismo), rna necessita dell'intelletto perche l'oggetto al quale ci si dedica deve
sicut Leo papa dicit quod iudaei, quasi devoti romanis legibus, dixerunt, non habemus regem nisi Caesarem. Ergo
devotio non est actus religioniS>>.
98 «Ad tertium dicendum quod devotio quae habetur ad sanctos Dei, mortuos vel vivos, non terminatur ad ipsos,
sed transit in Deum, inquantum scilicet in ministris dei deum veneramur. Devotio autem quam subditi dicuntur
habere ad dominos temporales alterius est rationis, sicut et temporalibus dominis famulari differt a famulatu divi
no».
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 139
essere prima conosciuto per essere scelto. Per questo Tommaso si sofferma ad indica
re la causa intrinseca della devozione, che e di natura conoscitiva (chiama in causa
l'intelletto), onde evitare, come diremmo noi oggi, ogni possibile riduzione sentimen
talistica della devozione. E questa e la "meditazione", o "contemplazione". Infatti, egli
spiega,
ogni atto della volonta procede da una qualche considerazione, per il fatto che 1' og
getto della volonta e un bene conosciuto, come dice Agostino nel libra su La Trinita,
che la volonta scaturisce dalla intelligenza. Per questa e necessaria che la meditazio
ne sia la causa della devozione, in quanta e attraverso la meditazione che l'uomo con
cepisce I' idea di dedicarsi a rendere ossequio a Dio. E questa per una duplice valuta
zione. Una considerando la banta di Dio e i benefici che ne scaturiscono, come dice il
salmo, e bene per me unirmi a Dio e riporre in Lui la mia speranza; e questa consi
derazione spinge a quella predilezione di Dio che e la causa della devozione. L'altra
considerando i propri limiti umani, che fanno cogliere il bisogno dell'aiuto di Dio,
come dice il salmo, ho alzato gli occhi ai monti, da dove mi verra l'aiuto? Il mio aiuto
viene dal Signore che ha fatto il cielo e la terra. E questa valutazione esclude quella
presunzione che impedisce ad alcuni di sottomettersi ad accogliere l'aiuto di Dio.
[ibidem]99
99 «Respondeo dicendum quod causa devotionis extrinseca et principalis Deus est; de quo dicit Ambrosius, super
Luc., quod Deus quos dignatur vocat, et quem vult religiosum facit, et si voluisset, samaritanos ex indevotis
devotos fecisset. Causa autem intrinseca ex parte nostra, oportet quod sit meditatio seu contemplatio. Dictum est
enim quod devotio est quidam voluntatis actus ad hoc quod homo prompte se tradat ad divinum obsequium. Omnis
autem actus voluntatis ex aliqua consideratione procedit, eo quod bonum intellectum est obiectum voluntatis, unde
et Augustinus dicit, in libro De Trill., quod voluntas oritur ex intelligentia. Et ideo necesse est quod meditatio sit
devotionis causa, inquantum scilicet per meditationem homo concipit quod se tradat divino obsequio. Ad quod qui
dem inducit duplex consideratio. Una quidem quae est ex parte divinae bonitatis et beneficiorum ipsius, secundum
illud psalm., mihi adhaerere Deo bo11um est, po11ere i11 domi11o deo spem meam. Et haec consideratio excitat dilec
tionem, quae est proxima devotionis causa. Alia vero est ex parte hominis considerantis suos defectus, ex quibus
indiget ut Deo innitatur, secundum illud psalm., levavi oculos meos i11 molltes, u11de veniet auxilium mihi. Auxilium
meum a domi11o, qui fecit caelum et terram. Et haec consideratio excludit praesumptionem, per quam aliquis impe
ditur ne Deo se subiiciat, dum suae virtuti innititur».
140 ALBERTO STRUMlA
siede, e di gioia dovuta alla "risposta" che consiste nell'esperienza di Dio che gia ci e
data in forma iniziale.
La devozione di per se, principalmente e la causa della gioia spirituale della mente, e
conseguentemente e solo accidentalmente causa tristezza. Si e detto, infatti, che la
devozione procede da una duplice considerazione. Principalmente dalla considerazio
ne della bonta divina, poiche questa considerazione riguarda come il termine del moto
della volonta che tende a Dio. E da questa segue di per se la gioia, come dice il salmo,
mi sono ricordato di Dio, e mi sono allietato, e solo accidentalmente causa anche una
certa tristezza, per il fatto che non si ha ancora la pienezza dell'esperienza di Dio,
come dice il salmo, la mia anima ha sete del Dio vivo e continua poi, mi vennero lacri
me di pianto, ecc.
[II-II, q. 82, a. 4 co]
Questa tristezza deriva secondariamente dalla devozione, come si e detto, per la con
siderazione dei propri limiti; infatti questa considerazione riguarda il punto di parten
za dal quale si allontana il moto della volonta devota, nel quale non si ferma, dirigen
dosi verso Dio per sottometterglisi. Questa considerazione procede in senso inverso
rispetto alia prima. Infatti, sorta per portare di per se tristezza, per la considerazione
dei propri limiti, accidentalmente perviene alia gioia per la speranza riposta nell'aiuto
di Dio. Ed e allora chiaro che alia devozione segue primariamente e di per se la gioia,
e secondariamente e accidentalmente la tristezza.
[ibidemJI00
E un articolo che costituisce un vera gioiello anche dal punta di vista psicologico
moderno, oltre che di teologia spirituale.
100 <<Respondeo dicendum quod devotio per se quidem et principaliter spiritualem laetitiam mentis causal, ex
consequenti autem et per accidens causal tristitiam. Dictum est enim quod devotio ex duplici consideratione pro
cedi!. Principaliter quidem ex consideratione divinae bonitatis, quia isla consideratio pertinet quasi ad terminum
motus voluntatis tradentis se Deo. Et ex isla consideratione per se quidem sequitur delectatio, secundum illud
psalm., memorfui Dei, et delectatus sum, sed per accidens haec consideratio tristitiam quandam causal in his qui
nondum plene Deo fruuntur, secundum illud psalm., sitivit anima mea ad deum vivum, et postea sequitur, fuerwlt
mihi lacrimae meae etc Secundario vera causatur devotio, ut dictum est, ex consideratione propriorum defec
..
tuum, nam haec consideratio pertinet ad terminum a quo homo per motum voluntatis devotae recedit, ut scilicet
non in se existat, sed Deo se subdat. Haec autem consideratio e converso se habet ad primam. Nam per se quidem
nata est tristitiam causare, recogitando proprios defectus, per accidens autem laetitiam, scilicet propter spem divi
nae subventionis. Et sic pate! quod ad devotionem primo et per se consequitur delectatio, secundario autem et per
accidens tristitia quae est secundum Deum».
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 141
101 La visione meccanicista oggi non ha piu quel sostegno scientifico che poteva avere nel XVIII-XIX secolo,
mentre ricompaiono con insistenza credenze fatalistiche di tipo magico-astrologico che parevano tramontate.
142 ALBERTO STRUMIA
necessita, e che la Provvidenza divina e mutevole e, quindi che con l'orazione e con
qualche mezzo attinente al culto si puo cambiare la Provvidenza.
[II-II, q. 83, a. 2 co] 102
Tommaso rimanda alla Prima pars della Summa theologiae per la confutazione di
questi argomenti.103 Qui si limita a spiegare che la preghiera non ha come scopo quel
lo di mutare il corso della Provvidenza, rna quello di compiere cia che la Provvidenza
ha previsto e disposto debba essere richiesto e compiuto attraverso la liberal umana,
compresa la preghiera. Dio agisce non solo mediante cause deterministiche, rna anche
attraverso cause libere, e la liberal umana e una di queste. E questa pua esercitarsi
anche attraverso la preghiera che pua ottenere cia che la Provvidenza ha previsto di
donare quando viene richiesta.
Occorre mostrare che l'orazione e utile in modo tale da evitare di imporre la necessa
rieta nelle cose umane, soggette alla Provvidenza divina, e anche da evitare di supporre
che la Provvidenza sia mutevole. Per chiarire questo punto bisogna considerare il fatto
che la divina Provvidenza dispone non solo che gli effetti avvengano, rna anche ad
opera di quali cause e secondo quale ordine. Ora, tra le altre cause ci sono anche alcu
ne cause degli atti umani. Per cui occorre che gli uomini compiano alcuni di questi,
non perche riescano a cambiare le disposizioni divine, rna per compiere determinati
effetti secondo l'ordine che Dio ha disposto. Cosi avviene anche nelle cause naturali.
E cosi anche nell'orazione. Non preghiamo per cambiare la disposizione divina, rna
per ottenere cio che Dio ha disposto che si compia attraverso le preghiere dei santi;
cioe perche gli uomini, chiedendo meritino di accogliere cio che Dio onnipotente,
prima dei secoli, ha disposto di donare loro, come dice Gregorio nel libro dei Dialoghi.
[II-II, q. 83, a. 2 coJI04
Risalta qui la grandezza di san Tommaso nell' aver saputo formulare una metafisica
della causalita capace di includere anche delle cause non determinate ad unum, che si
collocano ad un livello intermedio tra la causalita univoca di tipo deterministico e la
completa casualita delle coincidenze puramente accidentali. Applicata all'antropolo-
102 «Respondeo dicendum quod triplex fuit circa orationem antiquorum error. Quidam enim posuerunt quod res
humanae non reguntur divina Providentia. Ex quo sequitur quod vanum sit orare, et omnino Deum colere. Et de
his dicitur Malach. 3, dixistis, vanus est qui servit Deo. Secunda fuit opinio ponentium omnia, etiam in rebus
humanis, ex necessitate contingere, sive ex immutabilitate divinae Providentiae, sive ex necessitate stellarum,
sive ex connexione causarum. Et secundum hos etiam excluditur orationis utilitas. Tertia fuit opinio ponentium
quidam res humanas divina Providentia regi, et quod res humanae non proveniunt ex necessitate, sed dicebant
similiter dispositionem divinae Providentiae variabilem esse, et quod orationibus et aliis quae ad divinum cultum
pertinent dispositivo divinae Providentiae immutatur. Haec autem omnia in primo libro improbata sun!>>.
103 Cfr. /, q. 22, in particolare a. 4; e anche. qq. 23 e 24.
104 <<Et ideo oportet sic inducere orationis utilitatem ut neque rebus humanis, divinae Providentiae subiectis,
necessitatem imponamus; neque etiam divinam dispositionem mutabilem aestimemus. Ad huius ergo evidentiam,
considerandum est quod ex divina Providentia non solum disponitur qui effectus fiant, sed etiam ex quibus causis
et quo ordine proveniant. Inter alias autem causas sunt etiam quorundam causae actus humani. Unde oportet homi-
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 143
gia e alla teologia, questa teoria della causalita e l'unica che consente di dare spazio
alla liberta dell'uomo, concependo la volonta umana come una forma di causa che non
viene determinata meccanicamente dalla volonta divina e, nel contempo, non sottrae a
quest'ultima il suo ruolo di essere causa della volonta umana stessa, sia come causa
del suo esserci (causa essendi) che come causa prima del suo agire (causa efficiente).
In tempi piu recenti non pochi autori si sono trovati in difficolta ad elaborare una teo
ria della relazione tra la causalita divina e la liberta umana, rischiando, piu di una
volta, di sottrarre alla volonta divina qualcosa del suo potere causale per lasciare un
margine di autonomia sufficiente alla volonta dell'uomo a garantire la sua liberta.105
Senza una dottrina adeguata della causalita e della liberta diviene assai problematica,
di conseguenza, anche la comprensione del ruolo effettivo della preghiera: essa, infat
ti, rischia di essere considerata, da un lata, come una semplice operazione psicologica
che rimane confinata nell'animo dell'orante, senza coinvolgere in alcun modo Dio
come effettivo interlocutore; dall'altro, all'opposto, come un intervento umano capa
ce di mutare la volonta di Dio, piegandola a quella dell'uomo, in una forma pressoche
imprevedibile anche per Dio stesso.
Alia religione compete propriamente I' offrire riverente ossequio e onore a Dio. Per cui
tutto cio che contribuisce all'ossequio di Dio riguarda la religione. Con l'orazione
l'uomo si manifesta a Dio in un atteggiamento reverente, in quanto si sottomette a Lui
e dichiara, pregando, di avere bisogno di Lui come autore dei suoi beni. Per cui e evi
dente che l'orazione e un atto proprio della religione.
[//-//, q. 83, a. 3 cor06
nes agere aliqua, non ut per suos actus divinam dispositionem immutent, sed ut per actus suos impleant quosdam
effectus secundum ordinem a Deo dispositum. Et idem etiam est in naturalibus causis. Et simile est etiam de ora
tione. Non enim propter hoc oramus ut divinam dispositionem immutemus, sed ut id impetremus quod Deus dis
posuit per orationes sanctorum esse implendum; ut scilicet homines postulando mereantur accipere quod eis omni
potens Deus ante saecula disposuit donare, ut Gregorius dicit, in libro Dialogorum>>.
105
Cfr. ad es., R. RuSSELL, N. MURPHY, A. PEACOCKE (edds), Caos and Complexity. Scientific Perspectives on
Divine Action, Libreria Editrice Vaticana and Center for Theology and The Natural Sciences, Citta del Vaticano -
Berkeley 1995.
106 <<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ad religionem proprie pertinet reverentiam et bono
rem Deo exhibere. Et ideo omnia ilia per quae Deo reverentia exhibetur pertinent ad religionem. Per orationem
autem homo Deo reverentiam exhibet, inquantum scilicet se ei subiicit, et profitetur orando se eo indigere sicut
auctore suorum bonorum. Unde manifestum est quod oralio est proprie religionis actuS>>.
144 ALBERTO STRUMIA
107 <<Praeterea, ad religionem pertinere videtur ut quis divinae naturae cultum caeremoniamque afferat. Sed
oralio non videtur aliquid Deo afferre, sed magis aliquid obtinendum ab eo petere. Ergo oralio non est religionis
actus>>.
108 «Ad
tertium dicendum quod orando tradit homo mentem suam Deo, quam ei per reverentiam subiicit et quo
dammodo praesentat, ut patet ex auctoritate Dionysii prius inducta. Et ideo sicut mens humana praeeminet exte
rioribus vel corporalibus membris, vel exterioribus rebus quae ad Dei servitium applicantur, ita etiam oralio praee
minet aliis actibus religionis».
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 145
Come e chiaro per quanta detto, I'orazione e un atto della ragione con il quale uno
prega qualcun altro che e superiore a lui, cosi come il comando e un atto della ragio
ne con il quale uno ordina qualcosa a un altro che gli e sottoposto. Per cui, propria
mente, e atto all'orazione chi e dotato di ragione e puo, quindi, pregare un superiore.
Tenendo canto poi, da un Jato che niente e superiore aile Persone divine e, dall'altro
che gli animali bruti non hanna Ia ragione, segue che ne aile Persone divine, ne agli
animali bruti e conveniente pregare, rna solo alia creatura razionale.
[//-//, q. 83, a. 10 co ]109
L' adorazione
L'adorazione e manifestamente un atto di religione m quanta esprime riverenza
verso Dio, il che e proprio del culto della religione.111
L'adorazione e ordinata al reverente ossequio di colui che e adorato. E chiaro, da quan
ta si e detto, che e proprio della religione offrire un reverente ossequio a Dio. Per cui
l'adorazione con Ia quale si adora Dio e un atto di religione.
[//-//, q. 84, a. 1 co] 112
L' atteggiamento interiore di devozione verso Dio, bene si esprime in atti esterni del
corpo che lo accompagnano e lo rendono visibile, in conformita con la natura stessa
dell'uomo che e insieme intellettuale e corporea.
109 <<Respondeo dicendum quod, sicut ex supradictis pate!, oralio est actus rationis per quem aliquis superiorem
deprecatur, sicut imperium est actus rationis quo inferior ad aliquid ordinatur. Illi ergo proprie competit orare cui
convenit rationem habere, et superiorem quem deprecari possit. Divinis autem personis nihil est superius, bruta
autem animalia non habent rationem. Unde neque divinis personis neque brutis animalibus convenit orare, sed pro
prium est rationalis creaturae>>.
110 <<Deinde considerandum est de exterioribus actibus latriae. Et primo, de adoratione, per quam aliquis suum
corpus ad Deum venerandum exhibet; secundo, de illis actibus quibus aliquid de rebus exterioribus Deo offertur;
tertio, de actibus quibus ea quae Dei sunt assumuntur. Circa primum quaeruntur tria. Primo, utrum adoratio sit
actus latriae. Secundo, utrum adoratio importet actum interiorem, vel exteriorem. Tertio, utrum adoratio requirat
determinationem loci».
111 L'articolo, poi, precisa Ia distinzione tra adorazione (/atria) che si deve solo a Dio e Ia venerazione (dulia)
verso i santi, le immagini, ecc. AJ lema dell' adorazione, san Tommaso dedica una trattazione ampia anche nel capi
tolo 120 della Summa contra gentiles, nel quale non viene fatta pero menzione esplicita della religio, in quanto in
quel luogo si tratta specificamente del cultus e soprattutto degli errori di coloro che sono incorsi nell'idolatria.
11 2 <<Respondeo dicendum quod adoratio ordinatur in reverentiam eius qui adoratur. Manifestum est autem ex
dictis quod religionis proprium est reverentiam Deo exhibere. Unde adoratio qua Deus adoratur est religion is
actus>>.
146 ALBERTO STRUMIA
Come dice il Damasceno, nel IV libro, poiche siamo composti di una duplice natura,
intellettuale e sensibile, offriamo a Dio una duplice adorazione, e cioe una spirituale,
che consiste nella devozione interiore della mente, e una corporale, che consiste nei
gesti riverenti del corpo. E poiche negli atti di culto cio che e esteriore richiama cio
che e interiore, come cosa principale, cosi l'adorazione esteriore si compie per quella
interiore, perche cioe, mediante i gesti riverenti compiuti con il corpo, provochiamo il
nostro affetto ad immergersi in Dio; perche fa parte della nostra natura arrivare aile
realta intelligibili attraverso le cose sensibili.
[II-II, q. 84, a. 2 cojl 13
I segni e gli atteggiamenti visibili sono, quindi un aiuto all'intelletto per disporsi
interiormente a Dio: «Pur non potendo cogliere Dio con i sensi, tuttavia la nostra
mente viene indotta dai segni a tendere a Dio».114
L'adorazione, poi, non e necessariamente vincolata al luogo dove si manifesta, rna
lo e solo secondariamente, per ragioni di decoro.
La dimensione sacrificale
11 secondo elemento che caratterizza il culto della religione e costituito da�li atti di
"offerta" di qualcosa a Dio. Questa parte della trattazione e quella nella quale
Tommaso si riferisce esplicitamente a quegli aspetti che si ritrovano anche nella
moderna fenomenologia e storia delle religioni e anche nell'approccio antropologico
113 <<Respondeo dicendum quod, sicut Damascenus dicit, in IV libro, quia ex duplici natura compositi sumus,
intellectuali scilicet et sensibili, duplicem adorationem Deo offerimus, scilicet spiritualem, quae consistit in inte
riori mentis devotione; et corporalem, quae consistit in exteriori corporis humiliatione. Et quia in omnibus actibus
latriae id quod est exterius refertur ad id quod est interius sicut ad principalius, ideo ipsa exterior adoratio fit prop
ter interiorem, ut videlicet per signa humilitatis quae corporaliter exhibemus, excitetur noster affectus ad subii
ciendum se Deo; quia connaturale est nobis ut per sensibilia ad intelligibilia procedamus».
1 14
<<Ad tertium dicendum quod etsi per sensum Deum attingere non possumus, per sensibilia tamen signa mens
nostra provocatur ut tendat in Deum>> (Il·Il, q. 84, a. 2 ad 3"m).
115 <<Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, in adoratione principalior est interior devotio mentis, secun
darium autem est quod pertinet exterius ad corporalia signa. Mens autem interius apprehendit Deum quasi non
comprehensum aliquo loco, sed corporalia signa necesse est quod in determinato loco et situ sint. Et ideo deter
minatio loci non requiritur ad adorationem principaliter, quasi sit de necessitate ipsius, sed secundum quandam
decentiam, sicut et alia corporalia signa».
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 147
116 Non a caso Tommaso riporta anche riferimenti di tipo fenomenologico, oltre a considerazioni metafisico
antopologiche. Ad esempio: «In qualibet aetate, et apud quaslibet hominum nationes, semper fuit aliqua sacrifi
ciorum oblatio. Quod autem est apud omnes, videtur naturale esse. Ergo et oblatio sacrificii est de iure naturali>>
(II-II, q. 85, a. 1 sc).
1 17 «Deinde considerandum est de actibus quibus aliquae res exteriores Deo offeruntur. Circa quos occurrit
duplex consideratio, primo quidem, de his quae Deo a fidelibus dantur; secundo, de votis, quibus ei aliqua pro
mittuntur. Circa primum, considerandum est de sacrificiis, oblationibus, primitiis et decimis. Circa sacrificio quae
runtur quatuor. Primo, utrum offerre Deo sacrificium sit de lege naturae. Secundo, utrum soli Deo sit sacrificium
offerendum. Tertio, utrum offerre sacrificium sit specialis actus virtutis. Quarto, utrum omnes teneantur ad sacri
ficium offerendum».
118 Si tratta del primo fattore antropologico ed esistenziale che sta alia base del senso religioso come anche noi
lo intendiamo.
148 ALBERTO STRUMlA
naturale porta gli uomini, per un'inclinazione naturale, a dimostrare a colui che e supe
riore all'uomo, soggezione e onore, nel modo in cui e capace di farlo.
E il modo adatto per l'uomo e quello di servirsi di segni sensibili per esprimersi, in
quanto Ia sua conoscenza si forma attraverso le cose sensibili.
E quindi, dalla ragione naturale deriva il fatto che l'uomo si serva di cose sensibili per
offrirle a Dio, in segno della debita soggezione e di onore, similmente a coloro che
offrono ai loro signori alcune cose per riconosceme Ia signoria.
[II-II, q. 85, a. 1 co] 119
11 9 «Respondeo dicendum quod naturalis ratio dicta! homini quod alicui superiori subdatur, propter defectus
quos in seipso senti!, in quibus ab aliquo superiori eget adiuvari et dirigi. Et quidquid illud sit, hoc est quod apud
omnes dicitur Deus. Sicut autem in rebus naturalibus naturaliter inferiora superioribus subduntur, ita etiam natu
ralis ratio dicta! homini secundum naturalem inclinationem ut ei quod est supra hominem subiectionem et hono
rem exhibeat secundum suum modum. Est autem modus conveniens homini ut sensibilibus signis utatur ad aliqua
exprimenda, quia ex sensibilibus cognitionem accipit. Et ideo ex naturali ratione procedit quod homo quibusdam
sensibilibus rebus utatur offerens eas Deo, in signum debitae subiectionis et honoris, secundum similitudinem
eorum qui dominis suis aliqua offerunt in recognitionem dominii. Hoc autem pertinet ad rationem sacrificii. Et
ideo oblatio sacrificii pertinet ad ius naturale».
120 «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, oblatio sacrificii fit ad aliquid significandum. Significat autem
sacrificium quod offertur exterius, interius spirituale sacrificium, quo anima seipsam offer! Deo secundum illud
psalm., sacrificium Deo spiritus co11tribulatus, quia, sicut supra dictum est, exteriores actus religionis ad inte
riores ordinantur».
121 <<Pertinet autem ad ius naturale ut homo ex rebus sibi datis a Deo aliquid exhibeat ad eius honorem. Sed quod
talibus personis exhibeatur, aut de primis fructibus, aut in tali quantitate, hoc quidem fuit in veteri lege iure divi
no determinatum, in nova autem lege definitur per determinationem ecclesiae, ex qua homines obligantur ut pri
mitias solvant secundum consuetudinem patriae et indigentiam ministrorum ecclesiae>>.
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 149
Tommaso inserisce, a questa punta della trattazione, anche il capitola sul voto, fino
a svilupparne le implicazioni relative alla consacrazione a Dio propria di colora che
appartengono a un ordine religioso. Ci limitiamo a riportare il respondeo dell'artico
lo 5 della questione 88, nel quale si mostra come il voto sia un atto della virtu di reli
gione.
Ogni atto virtuoso ha a che fare con la religione in quanto diretto da questa, per il fatto
di essere ordinato ad un riverente ossequio di Dio, che e il fine proprio del culto di ado
razione. Far compiere degli atti in ordine al proprio fine e proprio della virtu ordinan
te, non di queUe che vengono ordinate. Percio l'ordinazione degli atti di qualunque
virtu al servizio di Dio e un atto proprio di culto. E chiaro, da quanto abbiamo gia
detto, che il voto e una promessa fatta Dio; e l'adempimento di una promessa non e
altro che un dirigere cio che si e promesso a colui al quale e stato promesso. Quindi il
voto e un ordinare le cose di cui si e fatto voto al culto, cioe al riverente ossequio di
Dio. Quindi e evidente che il voto e un atto di adorazione, cioe di religione.
[//-//, q. 88, a. 5 cor22
Va rilevato il fatto che il voto e un atto di religione non solo per il cristianesimo, rna
anche in altre religioni, cosi come lo si ritrova nell'antichita presso i greci e i romani.
L'assumere
Sotto i termini generici, difficilmente traducibili, di «assumere», «assumptio»,
Tommaso riunisce quegli atti esteriori della religione con i quali l'uomo accoglie da
Dio qualcosa di sacra, o assume Dio stesso come testimone.
Si vengono, in tal modo, a riunire, sotto un'unica qualificazione, l'atto del ricevere
un sacramento, l'atto del giuramento (sia compiuto in prima persona, che richiesto ad
un'altra persona) e gli atti di invocazione (come preghiera e come lode di Dio).123 La
trattazione del sacramento e rinviata alla Tertia pars della Summa theologiae, 124 men-
122
<<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, omne opus virtutis ad religionem seu latriam pertinet
per modum imperii, secundum quod ad divinam reverentiam ordinatur, quod est proprius finis latriae. Ordinare
autem alios actus in suum finem pertinet ad virtutem imperantem, non ad virtutes imperatas manifestum est autem
ex praedictis quod votum est quaedam imperatas. Et ideo ipsa ordinatio actuum cuiuscumque virtutis in servitium
Dei est proprius actus latriae. Manifestum est autem ex praedictis quod votum est quaedam promissio Deo facta,
et quod promissio nihil est aliud quam ordinatio quaedam eius quod promittitur in eum cui promittitur. Unde
votum est ordinatio quaedam eorum quae quis vovet in divinum cultum seu obsequium. Et sic pate! quod vovere
proprie est actus latriae seu religioniS>>.
123 <<Deinde considerandum est de actibus exterioribus latriae quibus aliquid divinum ab hominibus assumitur,
quod est vel sacramentum aliquod, vel ipsum nomen divinum. Sed de sacramenti assumptione locus erit tractandi
in tertia huius operis parte. De assumptione autem nominis divini nunc agendum est. Assumitur autem divinum
nomen ab homine tripliciter, uno modo, per modum iuramenti, ad propria verba confirmanda; alio modo, per
modum adiurationis, ad alios inducendum; tertia modo, per modum invocationis, ad orandum vel laudandum>> (II
II, q. 89 pr).
124 cfr. III, qq. 60 e sgg.
150 ALBERTO STRUMIA
tre quella del giuramento viene affrontata direttamente nella Secunda secundae alla
q. 89, ponendo al riguardo ben dieci domande.125
Accenniamo qui solo alla quarta domanda che, riguardando direttamente la virtu di
religione, si ricollega direttamente al nostro argomento. 11 giuramento riguarda la virtu
di religione, in quanta chiamare Dio a testimone significa tributargli onore, ricono
scendo la sua indefettibile veridicita e onniscienza. E tributare onore a Dio e proprio
della religione.
Anche il giuramento e una forma di atto di religione che si trova presso tutte le cul
ture e le civilta. Tra gli atti esterni di religione il giuramento e la pratica piu stretta
mente legata alla legge, essendo adottata nei tribunali come impegno solenne di veri
dicita per il testimone chiamato a deporre. Risulta, quindi, significativo anche per i1
legame che viene a comportare tra religione, legge naturale e legge positiva propria
dell'ordinamento giuridico di un popolo.
125 <<Primo ergo de iuramento agendum est. Circa quod quaeruntur decem. Primo, quid sit iuramentum. Secundo,
utrum sit Iicitum. Tertio, qui sint comites iuramenti. Quarto, cuius virtutis sit actus. Quinto, utrum sit appetendum
et frequentandum, tanquam utile et bonum. Sexto, utrum Iicea! iurare per creaturam. Septimo, utrum iuramentum
sit obligatorium. Octavo, quae sit maior obligatio, utrum iuramenti vel voti. Nono, utrum in iuramento possit dis
pensari. Decimo, quibus et quando Iicea! iurare» (II-II, q. 89, pr).
126 <<Respondeo dicendum quod, sicut ex dictis patet, ille qui iurat invocat divinum testimonium ad confirman
dum ea quae dicit. Nihil autem confirmatur nisi per aliquid quod certius est et potius. Et ideo in hoc ipso quod
homo per Deum iura!, profitetur Deum potiorem, utpote cuius veritas est indefectibilis et cognitio universalis, et
sic aliquo modo Deo reverentiam exhibet. Unde et Apostolus dicit, ad Heb. 6, quod homines per maiores se iurant.
Et Hieronymus dicit, super Matth., quod qui iura!, aut veneratur aut diligit eum per quem iura!. Philosophus etiam
dicit, in I Metaphys., quod iuramentum est honorabilissimum. Exhibere autem reverentiam Deo pertinet ad reli
gionem sive Iatriam. Unde manifestum est quod iuramentum est actus religionis sive Iatriae>>.
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 151
REL/G/0»
Tra le dizioni significative che possiamo reperire esamineremo le seguenti: chri
stiana religio, vera religio, omnis religio, fa/sa religio. Per quanta riguarda le religio
ni non cristiane sono stati identificati anche diversi termini come significativi, quali:
paganus, gentilis, infidelis, judaeus, mahumetista.
Esamineremo, in questa sottosezione, i testi di san Tommaso che riguardano le quat
tro dizioni principali che qualificano le religioni, mentre nei prossimi capitoli III e IV
ci occuperemo dei testi nei quali si fa qualche riferimento alle religioni storiche non
cristiane.
trova nelle opere autentiche di Tommaso una sola volta, e per di piu in forma indiret
ta nella Catena aurea, in una citazione di Agostino: «Augustinus in Ioannem: Omnes
autem qui instituerunt alicuius etiam fa lsa e religion is sectam, negare resurrectio
nem mentium non potuerunt; sed multi carnis resurrectionem negaverunt».127
Nelle opere principali l'espressione «vera religio» compare 16 volte con la seguen
te ripartizione: IV Sentiarum, 1 volta; Summa Theologiae: II-II, 14 volte; III pars, 1
volta.
Esaminiamo singolarmente questi testi, incominciando, per ragioni di ordine del
contenuto da quelli della Summa.
Nei testi che seguono, tratti dalla Secunda secundae, si precisano gli elementi che
caratterizzano la vera religio, secondo la lex naturae. La dizione «vera religio» sta qui,
principalmente, per «religione autentica» (ontologicamente vera), e secondariamente
anche per «religione con dei contenuti veri» (verita logica) e implicitamente si inten
de che puo trattarsi anche di una religione pre-cristiana o, comunque non cristiana,
oltre naturalmente al cristianesimo che e la religione vera nella sua pienezza e com
pletezza.
Numerosi di questi testi, parlando dei vizi contro la religione, mettono in evidenza
per opposizione, gli elementi che caratterizzano la religione vera, mediante la con
trapposizione con le loro molteplici forme di corruzione. Altri, di maggiore rilievo per
il nostro scopo, trattano in positivo dei caratteri indispensabili ad una religione per
essere considerata vera.
Raccogliendo i vari elementi, il quadro che ne emerge e il seguente: una religione
puo ritenersi "vera" quando e conforme alla lex naturae, in quanta rende onore all'u
nico vero Dio (monoteismo), mediante un "vero" culto, che si attua sia mediante atti
"esteriori" che si manifestano mediante "segni visibili" e "pubblici" (santificazione
delle feste, ad es.), sia mediante atti "interiori" (preghiera, devozione, ecc.).
Potrebbe anche sembrare che Tommaso riconoscesse ad una tale religio - che e vera
in quanta conforme alla lex naturae - un qualche valore salvifico in se stessa: Essa e,
infatti, per lui, anche una certa forma difides, suscitata nell'uomo «ex interiori Spiritus
Sancti instinctu»128 e quindi e, in qualche misura (piu o meno esplicita) gia una fides
mediatoris e percio sarebbe salvifica.
In realta, come vedremo nel capitola IV, non pare che si possa trarre questa conclu
sione dai principi tomisti, in quanta questa fede in Cristo, rimane in parte implicita nelle
religioni e attinge la sua eventuale efficacia salvifica non autonomamente, rna sempre
dalla fede della Chiesa, che e una fede esplicita in Cristo mediatore e salvatore. In que-
127
CA in Joannem, c. 51, c. 7.
128
Cfr. l/-1/, q. 122, a. 4 co. Cfr. sulla fede e l'istinto interiore il gia citato articolo di J. Alfaro.
Capitolo II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 153
sto modo, non solo, viene riaffermato da san Tommaso il ruolo unico e insostituibile
di Cristo come salvatore, rna anche il ruolo unico della fede della Chiesa, inseparabi
le da Cristo che ne e il capo, mediatore unico della salvezza.
Ma ora vediamo di percorrere, attraverso i testi, i riferimenti ai caratteri della vera
religione che abbiamo appena anticipato.
11 monoteismo
Secondo i1 breve testo seguente, ad una vera religione si richiede anzitutto il "mono
teismo". Si tratta di un sed contra, basato su un'autorita scritturistica e, quindi, la
dizione vera religio si riferisce sinonimamente al cristianesimo. La citazione ha piu
valore di autorita che di argomentazione, e si limita a documentare una verita ricono
sciuta non solo dalla Rivelazione giudeo cristiana, rna anche da altre tradizioni e dalla
teologia razionale. E lascia intendere che ogni religione monoteista ha qualcosa di
vero, mentre le altre religioni, almeno in questo sono false.
Al contrario, si dice in Ef 4, un solo Dio, una sola fede. Ma la vera religione afferma
la fede in un solo Dio. Per cui la religione e una sola virtu.
[//-//, q. 81, a. 3 scJI29
Questo potrebbe far ritenere, un po' superficialmente, che coloro che seguono una
religione primitiva politeista non possono salvarsi. Ma qui in questione non e tanto la
salvezza individuale che puo avvenire anche attraverso vie straordinarie (indipendenti
da un' appartenenza religiosa) che solo Dio conosce e mette in atto come vuole, quan
ta la salvezza in forza dell'appartenenza a una religione.no
La preghiera quotidiana
La preghiera quotidiana, in secondo luogo, e una pratica propria che caratterizza
una vera religione (e questo viene detto, quasi incidentalmente per chiarire che cio non
va confuso con la superstizione)
Inoltre, Isidoro dice, nel libro delle Etimologie; che Cicerone ha chiamato supersti
ziosi co/oro che tutti i giorni pregavano e immolavano sacrifici perche i /oro cari tor
nassero sani e sa/vi.
Ma questo [la pratica della preghiera quotidiana] puo avvenire anche secondo il culto
della [o di una] vera religione .
[//-//, q. 92, a. 1, ag. 2]n1
129
<<Sed contra est quod dicitur Ephes. 4, unus Deus, una fides. Sed vera religio protestatur fidem unius Dei.
Ergo religio est una virtuS>>.
130
A tale propostio si esprime, ad esempio, il documento della Commissione teologica internazionale: <<Tale
questione non dev'essere confusa con quella della salvezza dei singoli, cristiani o no: di tale distinzione non sem
pre si e tenuto il dovuto conto» (CTI, n. 8).
131
<<Praeterea, Isidorus dicit, in libro Etymol., superstitiosos ait Cicero appellatos qui totos dies precabantur et
154 ALBERTO STRUMIA
Questa testa accenna in maniera del tutto accidentale al fatto che la dimensione
della preghiera quotidiana e un'altra caratteristica della religione autentica, anche se
non basta da sola a qualificarla come vera.
Nei testi successivi si identificano i caratteri prapri della vera religione in opposi
zione a quelli delle false forme di religione che si qualificano, quindi, come aberra
zioni.
La vera religione rende culto solo a chi e dovuto e nel modo dovuto
La superstizione presta il culto a chi non e dovuto. Di qui si ha che una religione,
per essere vera, deve prestare i1 culto al vera Dio.
La superstizione e un vizio che si oppone alia religione, per eccesso, non perche offra
un culto eccessivo rispetto alia vera religione, rna perche lo tributa a chi non deve, o
nel modo in cui non deve.
[//-//, q. 92, a. 1 co]l32
L'adorazione, nella vera religione va resa al vera Dio; non basta adorare qualcuno
o qualcosa perche si possa parlare di vera religione. 133
II nome "adorazione" [!atria] si puo dire in due modi. Nel prima modo puo significa
re l'atto umano pertinente a! culto divino. E, in questa sensa, non cambia il significa
to di questo nome "adorazione", chiunque ne sia il destinatario, perche il destinatario
non rientra nella sua definizione. In questo modo "adorazione" si dice univocamente
sia riguardo alia vera religione che all'idolatria, cosi come il pagare il tributo si dice
univocamente sia che lo si paghi a! vero re che a uno falso. In un secondo sensa "ado
razione" si puo intendere come sinonimo di religione. E in tal modo, intendendo con
questa termine Ia virtu [di religione ], per sua definizione si ha che il culto deve essere
tributato solo a colui a! quale spetta. In questa secondo senso, "adorazione" si dice in
modo equivoco dell'adorazione secondo Ia vera religione e secondo l'idolatria, cosi
come "prudenza" si dice in modo equivoco della prudenza come virtu e della pruden
za che riguarda il desiderio della carne.
[//-//, q. 94, a. 1 ad 2um] 134
immolabant ut sui sibi liberi superstites fierent. Sed hoc etiam fieri potest secundum verae religionis cultum.
Ergo superstitio non est vitium religioni oppositum>>.
132 <<Superstitio est vitium religioni oppositum secundum excessum, non quia plus exhibeat in cultum divinum
quam vera religio, sed quia exhibet cultum divinum vel cui non debet, vel eo modo quo non debet>>.
133 II compito di stabilire quale sia il vero Dio e affidato alia conoscenza razionale che puo conosceme l'esi
stenza e gli attributi principali (cfr. il trattato De Deo uno, I, qq. 3-14) -e alia Rivelazione. In mezzo si collocano
le religioni con i loro semina Verbi.
134 <<Ad secundum dicendum quod nomen latriae dupliciter accipi potest. Uno modo potest significare humanum
actum ad cultum Dei pertinentem. Et secundum hoc, non variatur significatio huius nominis latria, cuicumque
exhibeatur, quia illud cui exhibetur non cadet, secundum hoc, in eius definitione. Et secundum hoc latria univoce
dicetur secundum quod pertinet ad veram religionem, et secundum quod pertinet ad idololatriam, sicut solutio
tributi univoce dicitur sive exhibeatur vero regi, sive falso. Alio modo accipitur latria prout est idem religioni. Et
sic, cum sit virtus, de ratione eius est quod cultus divinus exhibeatur ei cui debet exhiberi. Et secundum hoc latria
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 155
aequivoce dicetur de !atria verae religionis, et de idololatria, sicut prudentia aequivoce dicitur de prudentia quae
est virtus, et de prudentia quae est camis».
135 II-II, q. 122. Sulla Iegge divina rivelata agli uomini cfr. anche CG, L. 3, cc. 1 14-121.
136 Questa tesi tomistica e stata ripresa e sostenuta recentemente in R.M. PIZZORNI, Diritto, morale, religio11e,
abbia anche un compito negativo, volta a rimuovere cia che e di impedimenta al fine
che essa si propane:
In Secondo luogo, nell'ordine della generazione bisogna rimuovere cia che le e con
trario e di impedimento, cosi come fa il contadino che prima ripulisce il campo e poi
semina, come dice Gr 4, rinnovatevi, rinnovatevi e non vogliate seminare sulle spine.
E per quanto riguarda la religione, bisognava per prima cosa indirizzare l'uomo a
rimuovere gli impedimenti alla vera religion e . 11 maggiore impedimenta alla reli
gione e quello di aderire a un falso dio, come dice Mt 6, non potete servire a Dio e a
Mammona.
Per questo nel primo precetto della Legge si esclude il culto dei falsi dei.
[II-II, q. 122, a. 2 coJ l38
II Decalogo, quindi, dopa aver indicato il fondamento della vera religione, con altri
comandamenti, prevede la rimozione degli ostacoli; in particolare nei confronti della
religione, con i comandamenti della prima Tavola («Bisogna prima rimuovere gli
impedimenti alia vera religione, in colui che deve essere diretto alia virtu, per pater
porre in lui le basi della vera religione» ) . Viene, cosi, riproposta sinteticamente,
seguendo l'esame del Decalogo, quella stessa dottrina circa la superstizione e l 'irreli
giosita (che tratteremo nel capitola V, dedicato alia corruzione della religione) che e
presentata nel trattato sulla religione.
Ora ci sono due modi nei quali qualcosa pua opporsi alla vera religione. Un modo,
per eccesso, cioe quando cia che e proprio della religione viene offerto indebita
mente a qualcos'altro, e questo riguarda la superstizione. L'altro modo, si ha come per
un difetto di ossequio reverenziale, quando si disprezza Dio, e riguarda, come si e gia
detto, l'irreligiosita. La superstizione impedisce la religione per il fatto che non si
assume Dio come oggetto dell'adorazione. Chi, infatti, ha l'animo impegnato in un
culto indebito non pua nello stesso tempo offrire il debito culto a Dio, secondo Is 28,
troppo stretto e il letto, perche un altro possa giacervi - cioe un Dio vero e un dio falso
possano stare nel cuore dell'uomo - e troppo corta Ia coperta perche possa coprire
entrambi. E l'irreligiosita impedisce alla religione di onorare Dio, dopo averlo
appreso. Prima, infatti, bisogna accoglierlo per poterlo poi onorare. Per questo viene
138 «Respondeo dicendum quod ad legem pertinet facere homines bonos. Et ideo oportet praecepta legis ordi
nari secundum ordinem generationis, qua scilicet homo fit bonus. In ordine autem generationis duo sunt atten
denda. Quorum primum est quod prima pars primo constituitur, sicut in generatione animalis primo generatur cor,
et in domo primo fit fundamentum. In bonitate autem animae prima pars est bonitas voluntatis, ex qua aliquis
homo bene utitur qualibet alia bonitate. Bonitas autem voluntatis attenditur ad obiectum suum, quod est finis. Et
ideo in eo qui erat per legem instituendus ad virtutem, primo oportuit quasi iacere quoddam fundamentum reli
gionis, per quam homo debite ordinatur in Deum, qui est ultimus finis humanae voluntatis. Secundo attendendum
est in ordine generationis quod primo contraria et impedimenta tolluntur, sicut agricola primo purgat agrum, et
postea proiicit semina, secundum illud Ierem. 4, novate vobis novale, et nolite serere super spinas. Et ideo circa
religionem primo homo erat instituendus ut impedimenta verae religionis excluderet. Praecipuum autem impe
dimentum religionis est quod homo falso deo inhaereat, secundum illud Matth. 6, non potestis servire deo et
mammonae. Et ideo in primo praecepto legis excluditur cultus falsorum deorum».
Capitola II - La nozione di religione e il suo contesto semantico 157
139 «Respondeo dicendum quod oportet prius impedimenta verae religion is excludere in eo qui instituitur ad
virtutem, quam eum in vera religione fundare. Opponitur autem verae religioni aliquid dupliciter. Uno modo,
per excessum, quando scilicet id quod est religion is alteri indebite exhibetur, quod pertinet ad superstitionem.
Alio modo, quasi per defectum reverentiae, cum scilicet Deus contemnitur, quod pertinet ad vitium irreligiosita
tis, ut supra habitum est. Superstitio autem impedit religionem quantum ad hoc, ne suscipiatur Deus ad colen
dum. llle autem cui us animus implicatus est indebito cultui, non potest simul debitum dei cultum suscipere, secun
dum illud Isaiae 28, angustatum est stratum, ut alter decidat, scilicet Deus verus vel falsus a corde hominis, et pal
lium breve utrumque operire non potest. Per irreligiositatem autem impeditur religio quantum ad hoc, ne Deus,
postquam susceptus est, honoretur. Prius autem est Deum suscipere ad colendum quam eum susceptum honorare.
Et ideo praemittitur praeceptum quo prohibetur superstitio secondo praecepto, quo prohibetur periurium, ad irre
ligiositatem pertinens>>.
158 ALBERTO STRUMIA
primi comuni della Iegge, percio nel terzo comandamento comanda il culto esteriore
di Dio, mediante un segno che sia di beneficio per tutti, che riguarda tutti, rappresen
tativo dell'opera della creazione del mondo, nella quale, si dice che Dio si riposo il set
timo giorno. Come segno di questo [riposo di Dio] viene comandato di santificare il
settimo giorno, dedicandolo a! riposo per [onorare] Dio. Per questo, in Es 20, dopo
aver premesso il comandamento della santificazione del sabato, ne assegna Ia ragione:
perche in sei giorni Dio ha fatto if cielo e Ia terra, e nel settimo si riposo.
[ibidem] l40
L'istinto, nel mondo animale, e qualcosa di naturale, per cui parlare di un'azione
soprannaturale come quella dello Spirito Santo, all'origine degli atti interiori della reli
gione, nella prospettiva di san Tommaso, puo significare due cose: da un lato l'azione
causale naturale (metafisica) degli atti umani di religione, che sono l'orazione e la
devozione; dall'altro l'azione soprannaturale di Dio che donando la grazia muove ad
un atto che e espressione di una fede che e si soprannaturale, rna non in modo del tutto
esplicito.
Questi atti, in entrambi i casi, sono opera del Dio "uno", in quanto operazioni ad
extra, dalla Trinita come un unum verso la creatura, e si attribuiscono allo Spirito
Santo in quanto atti di conoscenza e di amore.
140 <<Ad religionem autem pertinet cultum Deo exhibere. Sicut autem in scriptura divina traduntur nobis sub
aliquibus corporalium rerum similitudinibus, ita cultus exterior Deo exhibetur per aliquod sensibile signum. Et
quia ad interiorem cultum, qui consistit in oratione et devotione, magis inducitur homo ex interiori Spiritus Sancti
instinctu, praeceptum legis dandum fuit de exteriori cultu secundum aliquod sensibile signum. Et quia praecepta
decalogi sunt quasi quaedam prima et communia legis principia, ideo in tertia praecepto decalogi praecipitur exte
rior dei cultus sub signa communis beneficii quod pertinet ad omnes, scilicet ad repraesentandum opus creationis
mundi, a quo requievisse dicitur Deus septimo die, in cuius signum, dies septima mandatur sanctificanda, ides!
deputanda ad vacandum Deo. Et ideo Exod. 20, praemisso praecepto de sanctificatione sabbati, assignatur ratio,
quia sex diebus fecit Deus caelum et terram, et in die septimo requievit>>.
141
<<Sed contra est quod Augustinus dicit, XIX Comra Faust., in nullum nomen religionis, seu verum seu fat
sum, coadunari homines possunt, nisi aliquo signaculorum vel sacramentorum visibilium consortia colligentur.
Sed necessarium est ad humanam salutem homines adunari in unum verae religionis nomen. Ergo sacramenta
sunt necessaria ad humanam salutem>>.
Capitolo II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 159
11 contesto in cui viene introdotto e quello del trattato dei sacramenti in genere dove
si sostiene la necessita dei sacramenti come "segni visibili" e materiali delle realta spi
rituali che significano cio che operano, come spiega il corpo dell' articolo. Significative
per il nostro oggetto (la religione) sono qui le considerazioni antropologico-filosofi
che, piu che quella teologica che riguarda propriamente il tema sacramentario. La
necessita di segni corporei, visibili e tangibili e fondata sulla teoria cognitiva di san
Tommaso, che ritiene che ogni conoscenza parta dai sensi e solo per astrazione giun
ga a cogliere le realta immateriali: la «condizione della natura umana» e tale «che, per
sua caratteristica propria, viene condotta alle realta spirituali e intelligibili attraverso
le cose corporee e sensibili». Per questa anche nell'ambito della religione sono sem
pre necessari, e di fatto sono presenti, dei segni corporei, esteriori, ben visibili. E il cri
stianesimo non fa eccezione: e anzi alla motivazione antropologica aggiunge quella
teologica, rappresentata dalla "logica" dell'incarnazione: «la divina Provvidenza prov
vede a ciascuna cosa secondo le modalita proprie della condizione di quella cosa. E,
dunque, conveniente che la Sapienza divina dia agli uomini gli aiuti per la salvezza,
mediante quei segni visibili e sensibili che chiamiamo sacramenti».
Vi e, poi, una ragione che potremmo qualificare di ordine culturale, o anche psico
logico-sociale, derivante dall'abitudine ad un certo modo di lavorare degli uomini,
«dalle caratteristiche dell'impegno delle azioni umane che ha a che fare principal
mente con le cose materiali. Perche non fosse troppo duro per l'uomo il doversi stac
care del tutto dalle azioni corporee, gli sono stati proposti dei compiti corporei».
Tommaso si riferisce qui espressamente ai sacramenti, rna in certa misura, quanta
affermato, vale anche per gli atti di culto e i riti religiosi in genere, quando siano auten
tici e non inquinati da «quegli esercizi superstiziosi che consistono nel culto dei demo
ni e in qualunque altra cosa nociva che viene dal peccato».142
142 Riportiamo, per completezza e chiarezza, l'intero corpo dell'articolo: <<Respondeo dicendum quod sacra
menta sunt necessaria ad humanam salutem triplici ratione. Quorum prima sumenda est ex conditione humanae
naturae, cuius proprium est ut per corporalia et sensibilia in spiritualia et intelligibilia deducatur. Pertinet autem
ad divinam Providentiam ut unicuique rei provideat secundum modum suae conditionis. Et ideo convenienter divi
na Sapientia homini auxilia salutis confer! sub quibusdam corporalibus et sensibilibus signis, quae sacramenta
dicuntur. Secunda ratio sumenda est ex statu hominis, qui peccando se subdidit per affectum corporalibus rebus.
Ibi autem debet medicinale remedium homini adhiberi ubi patitur morbum. Et ideo conveniens fuit ut Deus per
quaedam corporalia signa hominibus spiritualem medicinam adhiberet, nam, si spiritualia nuda ei proponerentur,
eius animus applicari non posse!, corporalibus deditus. Tertia ratio sumenda est ex studio actionis humanae, quae
praecipue circa corporalia versatur. Ne igitur esse! homini durum si totaliter a corporalibus actibus abstraheretur,
proposita sunt ei corporalia exercitia in sacramentis, quibus salubriter exerceretur, ad evitanda superstitiosa exer
citia, quae consistunt in cultu daemonum, vel qualitercumque noxia, quae consistunt in actibus peccatorum. Sic
igitur per sacramentorum institutionem homo convenienter suae naturae eruditur per sensibilia; humiliatur, se cor
poralibus subiectum recognoscens, dum sibi per corporalia subvenitur; praeservatur etiam a noxiis corporalibus per
salubria exercitia sacramentorum>> (III, q. 61, a. 1 co).
160 ALBERTO STRUMIA
Sembra di poterne trarre in qualche modo, tra 1' altro, anche la conseguenza che
riduzioni eccessivamente spiritualiste, intimiste, sentimentali rendono non "vera",
incompleta la religione anche dal punto di vista puramente antropologico.
Cio per cui gli uomini, al tempo della Iegge naturale, venivano aggregati nella vera
religione, non aveva efficacia se non per Ia fede; e percio non era necessaria [alcun
segno] che li facesse conoscere gli uni agli altri, rna questo veniva celebrato come "in
voto".
[N Sent, d. 1, q. 2, a. 6b, ad 1um]144
11 motivo di tale efficacia della fede, al tempo della sola legge naturale, risiede nel
rapporto stabilito (<ifacta relatione») con Cristo, unico salvatore, che attraverso la fede
sincera in Dio viene, in qualche modo, garantito. 11 segno esteriore, quando e presen
te, ha solo la funzione di manifestare pubblicamente la fede interiore.
143 «Videtur quod fides non suffecerit sine aliquo exteriori signo. Dicit enim Augustinus contra Faustum, quod
in nullum nomen religionis, sive verum, sive falsum, poterant homines sine aliquo signo visibili adunari. Sed per
illud quo originale deletur, homines in religionem verae fidei adunantur: quia oportet hujusmodi remedium esse
intrantium. Ergo oportebat quod fieret aliquo visibili signo» (IV Sent, d. 1 , q. 2, a. 6b, ag. 1).
144 «Ad primum ergo dicendum secundum hoc, quod illud per quod homines tempore legis naturae in veram
religionem congregabantur, non habebat virtutem nisi ex fide; et ideo non erat necessitatis, sed pro voto cele
brabatur, ut unus alii innotesceret>>.
Capitola II La nozione di religione e il suo contesto semantico
- 161
II peccato originale e un peccato di natura: rna Ia natura non poteva essere riparata se
non da Cristo; e dunque il peccato originale di nessuno poteva essere rimesso se non
attraverso una relazione, e una certa continuita da parte di colui che doveva essere
curato, con Cristo, Ia quale avveniva tramite Ia fede; perci<) Ia fede del mediatore fu
sempre efficace per sanare il peccato originale: in coloro che avevano l'uso di ragio
ne, era Ia loro propria fede; negli altri era Ia fede altrui, [prestata] affinche non man
casse loro del tutto il rimedio divino.
[IV Sent, d. 1, q. 2, a. 6 coJl45
Da questo testo, in particolare, risulta ben chiaro come per Tommaso fosse fuori dis
cussione il principia, gia esposto nel capitolo precedente, secondo il quale il potere
salvifico e sempre e comunque in rapporto a Cristo che e l'unico soggetto che opera
la salvezza. Ma questo testo ci offre un elemento in piu per cercare di spiegare il
"modo" in cui avviene il "raccordo" tra colui che viene salvato senza conoscere Cristo
e la salvezza operata da Cristo. 11 termine che qui appare decisivo per stabilire il rap
porto con Cristo che opera la salvezza e «fides». 11 passaggio logico, almeno implici
to, e il seguente: colui che ha conosciuto Cristo (mediante l'annuncio del Vangelo) si
salva per la "fede" in Cristo mediatore; rna non si danno altri modi di rapporto con
Cristo mediatore al di fuori della "fede"; quindi anche chi non ha conosciuto Cristo,
qualora si salvi, puo salvarsi solo mediante la "fede" in Cristo mediatore.
Ma come puo questa fides mediatoris, per poter essere salvifica, essere efficace
prima di Cristo ed essere data a chi non ha conosciuto Cristo?
In risposta al primo quesito si deve ammettere che questa fede nel mediatore fu sem
pre salvifica, in quanto efficace in ordine alla restituzione della grazia, perduta dal
l'uomo con il peccato originate («fides medi<itoris146 semper fuit efficax ad curandum
ab originali»).
In risposta al Secondo quesito, che e quello che qui piu direttamente ci interessa,
viene chiamata in causa quella religio che viene detta vera per rapporto alla lex natu
rae ( «illud per quod homines tempore legis naturae in veram religionem congrega
bantur, non habebat virtutern nisi ex fide»). Sembra, dunque, legittimo concludere che
a partire dai principi tomisti: la vera religio che tempore legis naturae, cioe prima di
Cristo, non poteva essere il Cristianesimo visibile nella Chiesa, ha un potere salvifico
e che, comunque, il potere salvifico della vera religio deriva dalla fides mediatoris e
non e in alcun modo indipendente da Cristo.
145 «Respondeo dicendum, quod peccatum originale est peccatum naturae: natura autem reparari non poterat nisi
per Christum; et ideo nunquam poterat remitti peccatum originale alicujus nisi facta relatione, et quadam conti
nuatione illius qui curari debebat, ad Christum, quod per fidem fiebat; et ideo fides mediatoris semper fuit efficax
ad curandum ab originali: in illis quidem qui usum liberi arbitrii habebant, propria; in aliis vero aliena, ut nee eis
omnino deesset divinum remedium».
146 Si tratta, evidentemente di un genitivo oggettivo, quindi della "fede in Cristo mediatore".
162 ALBERTO STRUMiA
Ma perche cio possa accadere occorre che vi sia una qualche relazione tra la vera
religio e la fides mediatoris. Di questa legame reperiamo un indizio la dove si afferma
che «fides est primum eorum quae ad religionem requiruntur: quia omnis religio, sive
cultus Dei, est quaedam fidei protestatio».147 Ogni religione e, per Tommaso, in qual
che modo una confessione, una dichiarazione (protestatio) di fede e la vera religio
- quella che anche prima di Cristo e Secondo la lex naturae e capace di attingere, in -
qualche modo, alla fede nel mediatore per pater essere salvifica. Si direbbe che que
sta fides e qualcosa di piu di una semplice fides implicita, perche quest'ultima coin
volge l'individuo dalla retta volonta singolarmente preso, indipendentemente dalla sua
appartenenza a una religione. Invece questa fides mediatoris e legata strettamente alla
fede che si richiede per aderire a una vera religio, e anche se solo inconsapevolmente
e in relazione a Cristo. Si direbbe che e una sorta di fides che si attua attraverso la
mediazione di una vera religio (non cristiana) senza la piena consapevolezza del suo
oggetto (Cristo) del quale la religione vera coglie solo alcuni aspetti, e senza sapere
che appartengono a Lui.
Cercheremo di approfondire questa problema e di trovare una risposta, mediante
un'applicazione di quanta proposto nei testi di san Tommaso, nel quarto capitola del
nostro lavoro. Ad approfondire il problema della verita della religione sara dedicato,
invece, i1 prossimo capitola, trattandosi di uno dei punti nodali anche per 1' odierna teo
logia della religione. Per ora proseguiamo la nostra rassegna dei testi di san Tommaso.
AI contrario, Agostino dice nel Contra Faustum, che ogni religione ha dei segni este
riori, per compiere i quali ci si raduna per onorare Dio. Ma nella Chiesa di Dio, dopo
il peccato in questa mondo peregrinante, risiede la verissima religione.
Quindi bisogna che in essa vi siano dei segni di questo genere: questi sono i sacra
menti; per questo di essi abbiamo bisogno.
[N Sent, d. 1, q. 1, a. 2 scjl49
lnfatti una religione propane da credere come vere alcune formule, non preoccu
pandosi di dimostrarle, come fosse una filosofia o una scienza. E questa fede puo non
essere puramente umana, rna divenire salvifica nella misura in cui si relaziona, anche
implicitamente, con Ia fede in Cristo. Inoltre puo essere rivelativa di verita che non
sono solo razionali, rna soprannaturali, presenti in forma compiuta solo nella
Rivelazione cristiana (semina Verbi).
AI termine di questo capitola, nel quale abbiamo cercato di presentare una prima
rassegna, commentata, dei principali testi di san Tommaso sulla religione (soprattutto
quelli nei quali il lemma «religio>> viene utilizzato espressamente), possiamo gia trar
re a}cune conclusioni provvisorie.
a) Nei testi abbiamo anzitutto trovato una definizione di religione di carattere uni
versale, ben radicata sia nella tradizione filosofico-giuridica greco-romana (soprattut
to in Cicerone come autore privilegiato di riferimento) e cristiana (avendo come auto
re di riferimento sant' Agostino) . Per Tommaso non esistono solo le religioni storiche,
sulle quali non si sofferma che incidentalmente, rna Ia "religione" nella sua dimensio-
149 <<Sed contra, Augustinus dicit contra Faustum, quod omnis religio habuit aliqua signa exteriora, in quibus
conveniebant ad Deum colendum. Sed in ecclesia Dei, post peccatum in hoc mundo peregrinante, est verissima
religio. Ergo oportet in ea esse hujusmodi signa: et haec sunt sacramenta; ergo indigemus eis».
150 <<Ad quartum dicendum, quod fides est primum eorum quae ad religionem requiruntur: quia omnis reli
gio, sive cultus Dei, est quaedam fidei protestatio».
164 ALBERTO STRUMIA
In questa parte della ricerca viene messa a tema Ia questione della verita della reli
gione e dei criteri per poterla riconoscere, a partire dalla sintesi filosofico-teologica
di san Tommaso e con gli strumenti che questa autore ci offre.
II capitola e organizzato secondo lo schema seguente. Nel § 1 prenderemo in con
siderazione alcuni testi fondamentali nei quali Tommaso tratta del problema della
verita in generale, e secondo i suoi diversi aspetti e accezioni, seguendo un approc
cio propriamente filosofico. II §2 sara dedicato al rapporto tra Ia conoscenza della
verita e l'azione della Spirito Santo, sia per quanta riguarda Ia verita in quanta cono
scibile e conosciuta dalla ragione naturale che in quanta recepibile solamente
mediante Ia Rivelazione pubblica o una rivelazione privata. Nel §3 esamineremo i
testi fondamentali di san Tommaso sulla Iegge naturale, e Ia sua relazione con Ia veri
ta secondo I' analogi a che egli stabilisce tra il piano pratico della morale e il piano
speculative della conoscenza. Nel §4 cercheremo di trarre alcune conclusioni in meri
to al problema della verita della religione a partire dal criteria della sua conformita
alla Iegge naturale.
Per pater procedere ad un' analisi di come san Tommaso affronta il problema della
"verita della religione" (in genere) e della "verita di una religione" (in specie), occor
re esaminare, prima, almena nelle sue linee essenziali, il tema della verita in quanta
tale e nelle diverse accezioni secondo le quali egli impiega i termini veritas e verum,
attraverso i testi fondamentali nei quali 1i chiama in causa.'
1 Sui lema della verita della religione, segnaliamo, nell'ambito delle riviste tomistiche, B. MONDIN, Verita e reli
gioni, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 271-287; L.K. DUPRE, A Note on the Idea ofReligious Truth in Christian
Tradition, "The Thomist", 52 (1988), pp. 499-512; M.J. ADLER, Truth in Religion. The plurality of Religions and
the Unity of the Truth. An Essay it1 the Philosophy of Religion, Macmillan, New York 1990; L.J. EWERS, La veri
til delle religioni non-cristiane, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 245-265. Inoltre, tra gli altri srudi:
M.D.G. GNANAPRAKASAM, Religious Truth and the Relation Between Religions, The Christian Literature Society
for India, Madras 1950; E. FRANK, Philosophical Understanding and Religious Truth, Oxford University Press,
-London-New York 1959; S. HOOK (ed.), Religious Experience and Truth, New York University Press, New York
166 ALBERTO STRUMIA
Possiamo evidenziare tre significati principali dei termini "verita" (veritas) e "vero"
(verum): a) una prima accezione corrisponde, in certo modo, a quella che oggi chia
meremmo "verita ontologica" o "autenticita" di una "cosa"; b) una seconda accezione
corrisponde a quella che oggi chiamiamo "verita logica", in quanto riguarda la "veri
ta di un giudizio" e quindi dell'enunciato che lo esplicita verbalmente; c) una terza
accezione, infine, riguarda la conoscenza riflessa, o presa di coscienza, della verita di
1961; P. GUERIN, Write et Religion, Presses Universitaires de France, Paris 1962; C. GoossENS, Towards a Theory
ofRelativity of Truth in Morality and Religion, Lampeter 1991; J.S. O'LEARY, Religious Pluralism and Christian
Truth, Edinburgh University Press, Edinburgh 1996; J. BOBII(, Veritas Divina. Aquinas on the Divine Truth. Some
Philosophy of Religion, St. Augustine's Press, South Bend (IN) 2001; J. RATZINGER, Fede, Verita, Tolleranza. Il
cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003. Gli studi sui tema della verita, in generate e nel
l'opera di san Tommaso, sono assai numerosi. Riportiamo una bibliografia abbastanza ampia, anche se necessa
riamente incompleta, che copre l'arco temporale degli ultimi quarant'anni circa: B. Rioux, L'etre et la verite chez
Heidegger et Saint Thomas d'Aquin, Presses de l'Universite de Montreal, Montreal 1963; L. FONTANA, Filosofia
della verita. Conoscenza formale della verita e riflessione secondo san Tommaso e i tomisti, Asteria, Torino 1966;
A. DONDAINE, Quaestiones disputatae de veritate: Preface, S. Thomae de Aquino Opera omnia iussu Leonis XIII
P.M. edita, vol. 22/1.2 (Ad Sanctae Sabinae, Romae 1970), III-XVI; A.A. MAURER, St. Thomas and Eternal Truths,
"Mediaeval Studies", 32 (1970), p. 91-107; J. OWENS , Judgment and Truth in Aquinas, "Mediaeval Studies", 32
(1970). pp. 138-158; F.M. GENUYT, Write de l 'etre et affirmation de Dieu. Essai sur la Philosophie de Saint
Thomas, Vrin, Paris 1974; F. INCIARTE, El problema de la verdad en la filosofta actual y en Santo Tomas, in J.J.
RODRIGUEZ ROSADO, P. RODRIGUEZ GARCIA (eds.), Veritas et sapientia. En el VII centenario de Santo Tomas de
Aquino. Colecci6n filos6fica, 20 - Colecci6n teol6gica, 11, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 1975;
0. PEGORARO, Note sur la verite chez saint Thomas et M. Heidegger, "Revue Philosophique de Louvain", 74
(1976), pp. 45-55; L. WESTRA, Knowing Un-Truth and the Truth: On Non-Being in Aquinas and Maritain, in J.L.
ALLARD (ed.), Jacques Maritain, philosophe dans la cite, University of Ottawa Press, Ottawa 1985; P. LEE,
Aquinas 011 Knowledge of Truth and Existence, "The New Scholasticism", 60 (1986). pp. 46-71 ; E. RYDEN,
Aquinas on the Metaphorical Expression of Theological Truth, "Heythrop Journal", 27 (1986), pp. 409-419;
J.F. WIPPEL, Truth in Thomas Aquinas [1}, "The Review of Metaphysics", 43 (1989), pp. 295-326; Truth in Thomas
Aquinas [2}, "The Review of Metaphysics", 43 (1990), pp. 543-567; J.A. AERTSEN, Truth as Transcendental in
Thomas Aquinas, "Topoi", 1 1 (1992), pp. 159-171; B.D. MARsHALL, Thomas, Thomisms, and Truth, "The
Thomist", 56 (1992), pp. 499-524; F.J. SELMAN, Saint Thomas Aquinas: Teacher of Truth, T. & T. Clark, Edinburgh
1994; L. DEWAN, St. Thomas's Successive Discussions of the Nature of Truth, in D. OLS (ed.), Sanctus Thomas de
Aquino Doctor hodiernae Humanitatis (Miscellanea offerta dalla Societa internazionale Tommaso D' Aquino a!
suo direttore prof. Abelardo Lobato, O.P. per il suo LXX gentiliaco), Libreria Editrice Vaticana, Citta del Vaticano
1995, pp. 153-168; E.L. KRASEVAC, Aquinas, Veritatis Splendor, and Contemporary Moral Theology, "Listening",
30 (1995), pp. 50-63; A. CONTAT, La relation de verite selon saint Thomas d'Aquin, "Studi Tomistici", 62, Libreria
Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1996; L.J. ELDERS, Il concetto di verita nei commenti biblici di Tommaso,
"Doctor Communis", 50 (1997), pp. 151-167; J. MILBANK, C. PICKSTOCK, Truth in Aquinas, Routledge, London
New York 2001; I. SCHUSSLER, La question de la verite: Thomas d'Aquin, Nietzsche, Kalil, Aristote, Heidegger,
Payot, Lausanne 2001; J.A. AERTSEN, Truth in Thomas Aquinas, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 50-54;
L.J. ELDERS, La verita delle religioni non-cristiane, "Doctor Communis". 2 (2002), pp. 245-265; J.J. McEvoY,
M. DUNNE (eds.), Thomas Aquinas: Approaches to Truth: The Aquinas Lectures at Maynooth, 1996-2001, Four
Courts Press, Dublin - Portland (Oregon), 2002; R. WIELOCKX, Ego sum veritas. Autour de l 'exegese thomasien
ne deJn. 14, 6, "Doctor Communis", 2 (2002), pp. 294-307; S. COLLADO, Eljuicio veritativo en Tomas de Aquino,
"Cuadernos de Anuario Filos6fico", 162, Servicio de Publicaciones de Ia Universidad de Navarra, Pamplona 2003;
J. O'CALLAGHAN, On Milbank and Pickstock's Truth in Aquinas, "Nova et Vetera" (English Edition), 1 (2003),
pp. 199-212; E. REINHARDT, La veritas vitae en los escritos de Tomas de Aquino, "Revista Espanola de Filosofia
Medieval", 10 (2003), pp. 313-320; M.M. WADDELL, Truth or Transcendentals: What Was St. Thomas's Intention
at De Veritate 1.1 ?, "The Thomist", 67 (2003), pp. 197-219; S.T. BONINO, Avant-propos: Trinitas... a qua omnes
veritates derivantur, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 5-9; C. DE BELLY, La verite de l'agir selon saint Thomas
Capitola III - La verita della religione 167
un giudizio ("verita formale"). A questa terzo livello si viene a collocare anche il pro
blema dell'assenso alla verita, qualora il giudizio sia proposto come oggetto di fede al
soggetto e non risulti per se evidente dall'esperienza o da una dimostrazione.
Tutti questi tre aspetti della verita interessano, di conseguenza, anche il problema
della verita della religione, in quanta, il prima permette di definire che cosa sia una
religione vera (quindi offre i criteri per riconoscerla) e che cosa sia da considerarsi
come una degenerazione (corruptio) della religione; mentre il secondo riguarda la
verita dei contenuti dottrinali di una religione e, quindi, permette di stabilire il suo
grado di inclusione o meno nella fede della Chiesa. E, infine, il terzo riguarda la capa
cita di riflessione sui giudizi, quindi di riconoscere e di accettare consapevolmente
come veri i contenuti di una religione da parte di chi ad essa aderisce, o di controbat
terne la validita da parte di chi ritiene di poterla rifiutare ragionevolmente, eventual
mente aderendo ad un'altra religione.
I testi principali nei quali Tommaso affronta direttamente il problema della verita,
sono stati individuati da p. Luigi Fontana o.p., in un prezioso studio sulla verita secon
do san Tommaso,2 nei seguenti otto luoghi:
I Sent, d. 19, q. 5, a. 1 ; De Ver, q. 1 , a. 3; De Ver, q. 1 , a. 9 ; CG, L. 1 , c. 19 ; In Met,
L. 6 , lc. 4; I, q. 16 , a. 2; In De An, L. 3, lc. 1 1 ; In Peri Herm, L. 1 , lc. 3.
Per i nostri scapi sara sufficiente prendere in esame quattro di questi testi e cioe
I Sent, d. 19, q. 5, a. 1;
De Ver, q. 1, a. 3;
De Ver, q. 1, a. 9 ;
I, q. 16 , a. 2.
d'Aquin, "Revue Thomiste". 104 (2004) 103-125; L. DEWAN, Is Truth a Transcendental for St. Thomas Aquinas?,
"Nova et Vetera" (English Edition), 2 (2004), pp. 1-21; G. EMERY, Le Verbe· Verite et /'Esprit de verite. La doc
trine trinitaire de Ia verite chez saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 167-204;
Y. FLOUCAT, La verite comme conformite selon saint Thomas d 'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 49-102;
G. NARCISSE, Le Christ verite selon saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), pp. 205-218;
F.X. PUTALLAZ, Le desir de verite selon saint Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 104 (2004), p. 29-48;
M.M. WADDELL, Natural Theology in St. Thomas's Early Doctrine of Truth, in M.M. WADDELL (ed.), Restoring
Nature: Essays in Thomistic Philosophy and Theology, St. Augustine's Press, South Bend (IN) 2004; V. PossENTI
(a cura di), La questione della vertiii. Filosofia, scienze, teologia, Armando, Roma 2003; IDEM, Ragione e veritii.
L'alleanza socratico-mosaica, Armando, Roma 2005.
2 L. FONTANA, Filosofia della veritii, op. cit.
168 ALBERTO STRUMIA
quali sono le sostanze ( «Un uomo o una pietra»), che non necessitano di essere cono
sciute dall'intelletto umano per poter esistere;3 b) enti "di ragione" o fantastici come
la chimera, che non esistono nella realta esterna alia mente, rna solo come creazione
dell'intelletto umano; c) enti che esistono nell'intelletto "con fondamento reale", in
conseguenza di un'operazione che esso compie a partire da qualcosa che esiste all'e
sterno.
E al terzo livello che, propriamente, si colloca la nozione di verita come adegua
zione (adaequatio), cioe corrispondenza tra la cosa e l'intelletto. E viene detto che cio
che e nella cosa, e "causa" della verita che e nell'intelletto.4
In questo passo, del I Sent, d. 19, non troviamo ancora una chiarificazione detta
gliata della distinzione tra le operazioni dell'intelletto che vengono chiamate in causa
quando si pone il problema della verita. E cioe la simplex apprehensio che astrae dal
l'essenza della cosa (res) la nozione essenziale di essa (universale) senza composizio
ne o divisione, e lo iudicium che collega tra loro due nozioni rappresentative di due
enti (compone e divide, affermando o negando), nel quale risiede primariamente la
verita.5 E non troviamo neppure ancora una chiarificazione piena di come una cosa
possa essere detta vera in se stessa, per rapporto ad una definizione che di essa si puo
predicare, mediante un giudizio vero, o all'intelletto divino che la conosce e ne causa
l'esistenza adeguandola a se.
Ne troviamo un affronto della redditio completa per la quale l'intelletto puo cono
scere la verita del proprio giudizio, a differenza dei sensi che non sanno di essere nella
verita, pur percependo adeguatamente i loro oggetti.
Trattandosi di uno scritto giovanile l'affronto del problema della verita sembra
ancora in fase di elaborazione e nei testi successivi trovera un suo completamento e
3 E cornunque interessante, come si dira in altri testi qui riportati, rilevare che queste cose sono cornunque cono
sciute da quell'intelletto, in senso analogico, che e l'intelletto divino.
4 San Tornrnaso chiarira, progressivarnente, passando dai testi piu giovanili e quelli piu rnaturi, che cio che l'in
telletto coglie della cosa puo essere di un duplice tipo (modo di essere): "l'incornplesso", come l'essenza, puo
essere colla dall'intelletto mediante Ia prima operazione (simplex apprehensio), con un processo di "astrazione"
che genera nell'intelletto Ia nozione essenziale che e l'universale; "il cornplesso", cioe l'unione della sostanza
della cosa con una sua proprieta, che viene colto dall'intelletto urnano mediante la.seconda operazione (iudicium)
che giudica di una cosa quello che e (mediante una cornposizione) e quello che non e (mediante una divisione) ed
espresso nel linguaggio con una proposizione o enunciazione (affermativa nel caso della cornposizione, negativa
nel caso della divisione ). L' intelletto ha poi Ia capacita di rifleltere sull 'alto e sui prodolto dell' alto stesso della
conoscenza: rifleltendo sull'universale puo giungere a dare una definizione della cosa, e rifleltendo sui giudizio,
puo conosceme Ia verita o Ia falsita.
s Corn'e nolo esiste anche una terza operazione dell'intellelto (il ragionarnento) di cui parla Tornrnaso (princi
palrnente nel cornrnento ai Secondi analitici di Aristotele), rna questa non e chiarnata in causa qui, perche del pro
dolto del suo alto si puo stabilire solo una correltezza formale o un non correltezza rispelto a delle regole di dedu
zione, e non si puo parlare di verita, se non in rapporto aile enunciazioni che chiarna in causa (verita dell'antece
dente e del conseguente).
Capitola III - La verita della religione 169
perfezionamento.6 Ai fini del problema della verita della religione il testo in questio
ne, dato il suo affronto filosofico generale, non suggerisce alcun elemento legato ai
caratteri propri della religione, quanto, piuttosto, dei criteri generali di verita che si
possono applicare alla religione come a qualunque altro soggetto di verita. Se consi
deriamo la religione come una "cosa" (res) che esiste al di fuori dell'intelletto (in
quanto si realizza mediante i suoi atti esteriorF) che causa una conoscenza di se nel
l'intelletto (conoscenza che consiste nella "nozione di religione"), allora possiamo
dire che, come ogni altra cosa:
- una religione e vera quando corrisponde a cio che Dio ha stabilito che la reli
gione debba essere, cioe quando adegua la "natura" di religione voluta dal
Creatore: questo sembra essere il fondamento del criterio di verita della religione
che Tommaso individua nella sua conformita alla legge naturale;
- una religione e vera quando si manifesta, per quello che e e falsa quando ha
alcuni elementi che la fanno apparire come una religione rna non e tale, in quanto
non e conforme alla natura di religione (come l'oricalco che appare come oro rna
non ha la natura dell'oro).8
6 Come osserva, in proposito, Fontana: «<n seguito, perc) lo studio del problema lo ha poi condotto a scoprire
che nella seconda operazione dell'intelletto non solo c'e Ia verita, rna c'e pure Ia conoscenza formale di essa. Ed
e su questo punto che si puo parlare di un approfondimento del problema o anche di una evoluzione di pensiero:
nei vari testi, infatti, I' Aquinate descrive in modo diverso Ia presenza della verita nella seconda operazione intel
lettuale; tuttavia tali descrizioni non sono contraddittorie rna complementari tra di !oro, in quanto ognuna esprime
un aspetto diverso e particolare della realta ricca e complessa del giudizio>> (L. FONTANA, Filosofia della verita,
op. cit., p. 55).
7 Come si e visto nel capitolo precedente Tommaso tratta diffusamente degli atti esteriori della religione, che,
per Ia sua stessa essenza, li richiede.
8 Questo aspetto e di estrema importanza anche ai fini di un esame del problema del diritto alia liberta religio
sa e dei diritti civili da riconoscere ad una comunita religiosa: non tutto cio che si dichiara come religione e come
comunita religiosa e, per cio stesso tale.
170 ALBERTO STRUMIA
9 <<Dicendum, quod sicut verum per prius invenitur in intellectu quam in rebus, ita etiam per prius invenitur in
actu intellectus componentis et dividentis quam in actu intellectus quidditatem rerum formantis. Veri enim ratio
consistit in adaequatione rei et intellectus; idem autem non adaequatur sibi ipsi, sed aequalitas diversorum est;
unde ibi primo invenitur ratio veritatis in intellectu ubi primo intellectus incipit aliquid proprium habere quod res
extra animam non habet, sed aliquid ei correspondens, inter quae adaequatio altendi potest. [ . . . ] Sed quando inci
pit iudicare de re apprehensa, tunc ipsum iudicium intellectus est quoddam proprium ei, quod non invenitur extra
in re. Sed quando adaequatur ei quod est extra in re, dicitur iudicium verum; tunc autem iudicat intellectus de re
apprehensa quando dicit aliquid esse vel non esse, quod est intellectus componentis et dividentis; unde dicit etiam
philosophus in VI Metaph., quod compositio et divisio est in intellectu, et non in rebus. Et inde est quod veritas
per prius invenitur in compositione et divisione intellectus>> (De Ver, q. 1, a. 3).
10 0 perche Ia sua definizione rientra come genere nella definizione dell' altro, o perche rappresenta una sua
caralteristica propria o almeno possibile.
11 Tommaso non sembra essersi, qui, ancora accorto del fatto che per adeguarsi alia realta della cosa il giudizio,
composizione o divisione di due nozioni unite da una copula (e), deve avere una corrispeltiva composizione o divi
sione tra due enti nella cosa (Ia sostanza e l'accidente o proprieta). Sara nei testi successivi (quelli qui citati rna
non presi in esame, perche amplierebbero molto Ia trattazione al di fuori del nostro oggetto specifico che e Ia veri
til della religione), quando parlera di corrispondenza (adeguazione) tra complessi e incomplessi presenti nell'in
telletto (Ia simplex apprehensio e il giudizio come alti dell'intellelto; Ia nozione esenziale e l'enunciazione come
loro prodolti) e nella cosa (Ia sostanza e gli accidenti), che chiarira ulteriormente questi argomenti. E chiarira
come, quando ci si riferisce primariamente all' intellelto, Ia corrispondenza che esiste con Ia cosa viene delta
"vero", mentre quando ci si riferisce primariamente alia cosa viene delta "bene" in quanto altrae Ia volonta.
Capitolo III - La verita della religione 171
e che la cosa e, quindi la sua definizione, e vera in quanto adegua, nella sua natura,
l'intelletto divino; l'altra e che la definizione e "falsa" se e contraddittoria in se. Allora
si deve dire semplicemente che la definizione contraddittoria non identifica alcuna
essenza e quindi nessuna cosa. Per cui e falso il giudizio che la attribuisce a qualun
que soggetto.
Si deve dire che, se nel passo precedente veniva chiarito ulteriormente il ruolo di
verita dell'intelletto divino, che rende vere le cose esistenti ponendole in essere secon
do la "natura" corrispondente alla "nozione" che di queste e presente in Esso, qui si
aggiunge, in piu, che le stesse cose, proprio per il fatto di adeguare l'intelletto divino,
adeguano anche quello umano. Questo ad indicare che l'intelletto umano, conoscendo
la verita delle cose (quindi la loro natura) si conforma, in proporzione alla verita cono
sciuta, anche alla verita divina che e causa di ogni verita partecipata.
Applicando questo risultato al problema della verita ontologica della religione pos
siamo dire che la natura della "vera religione" e quella conforme alla nozione di reli
gione presente nell'intelletto divino, e puo essere conosciuta dall'intelletto umano.
Possiamo aggiungere che tale conoscenza, da parte dell'intelletto umano, puo essere
raggiunta esaminando la conformita della religione alla "legge naturale" e, a maggior
ragione, attraverso la Rivelazione, mediante la quale e l'intelletto divino stesso ad
istruire direttamente ed esplicitamente l'intelletto umano anche sulla natura del culto
che deve essergli tributato.
1 2 <<Respondeo dicendum quod verum, sicut dictum est, secundum sui primam rationem est in intellectu. Cum
autem omnis res sit vera secundum quod habet propriam formam naturae suae, necesse est quod intellectus,
inquantum est cognoscens, sit verus inquantum habet similitudinem rei cognitae, quae est forma eius inquantum
est cognoscens. Et propter hoc per conformitatem intellectus et rei veritas definitur. Unde conformitatem islam
cognoscere, est cognoscere veritatem. Hanc autem nullo modo sensus cognoscit, licet enim visus habeat similitu
dinem visibilis, non tamen cognoscit comparationem quae est inter rem visam et id quod ipse apprehendit de ea.
intellectus autem conformitatem sui ad rem intelligibilem cognoscere potest, sed tamen non apprehendit earn
secundum quod cognoscit de aliquo quod quid est; sed quando iudicat rem ita se habere sicut est forma quam de
re apprehendit, tunc primo cognoscit et dicit verum. Et hoc facit componendo et dividendo, nam in omni proposi
tione aliquam formam significatam per praedicatum, vel applicat alicui rei significatae per subiectum, vel remove!
ab ea. Et ideo bene invenitur quod sensus est verus de aliqua re, vel intellectus cognoscendo quod quid est, sed non
quod cognoscat aut dicat verum. Et similiter est de vocibus complexis aut incomplexis. Veritas quidem igitur potest
esse in sensu, vel in intellectu cognoscente quod quid est, ut in quadam re vera, non autem ut cognitum in cogno
scente, quod importat nomen veri; perfectio enim intellectus est verum ut cognitum. Et ideo, proprie loquendo,
veritas est in intellectu componente et dividente, non autem in sensu, neque in intellectu cognoscente quod quid
est. Et per hoc patet solutio ad obiecta>>.
172 ALBERTO STRUMiA
13 Prendendo a prestito una terrninologia tecnica, consueta nella matematica, rna orrnai estrapolata anche ad altri
arnbiti.
14 Una intentio, cioe un illtus-ens, un ente intemo alia mente.
1 5 «Anselmus enim dicit, quod veritas est rectitudo sola mente perceptibilis. Sed sensus non est de natura men
tis. Ergo veritas non est in sensu. Praeterea, Augustinus probat in libro LXXXIII quaestionum, quod veritas corpo-
Capitola III - La verita della religione 173
che viene descritto tra la redditio non completa dei sensi che, pur percependo di per
cepire non ha conoscenza della verita del suo atto di percepire secondo verita, e la red
ditio completa dell'intelletto che conosce la verita del suo atto di conoscere il vero.16
In tema di verita della religione si potrebbe, forse, anche estrapolare la categoria
della redditio, per analogia, secondo uno schema come questo:
reis sensibus non cognoscitur; et rationes eius supra positae sunt. Ergo veritas non est in sensu. Sed contra,
Augustinus, in libro De vera religione, dicit, quod veritas est qua ostenditur id quod est. Sed id quod est, ostendi
tur non tantum intellectui, sed etiam sensui. Ergo veritas non solum est in intellectu sed etiam in sensu. Responsio.
Dicendum, quod veritas est in intellectu et in sensu, sed non eodem modo. In intellectu enim est sicut consequens
actum intellectus, et sicut cognita per intellectum. Consequitur namque intellectus operationem, secundum quod
iudicium intellectus est de re secundum quod est. Cognoscitur autem ab intellectu secundum quod intellectus
reflectitur supra actum suum, non solum secundum quod cognoscit actum suum, sed secundum quod cognoscit
proportionem eius ad rem: quae quidem cognosci non potest nisi cognita natura ipsius actus; quae cognosci non
potest, nisi natura principii activi cognoscatur, quod est ipse intellectus, in cuius natura est ut rebus conformetur;
unde secundum hoc cognoscit veritatem intellectus quod supra seipsum reflectitur. Sed veritas est in sensu sicut
consequens actum eius; dum scilicet iudicium sensus est ' de re, secundum quod est; sed tamen non est in sensu
sicut cognita a sensu: etsi enim sensus vere iudicat de rebus, non tamen cognoscit veritatem, qua vere iudicat:
quamvis enim sensus cognoscat se sentire, non tamen cognoscit naturam suam, et per consequens nee naturam sui
actus, nee proportionem eius ad res, et ita nee veritatem eius. Cuius ratio est, quia ilia quae sunt perfectissima in
entibus, ut substantiae intellectuales, redeunt ad essentiam suam reditione completa: in hoc enim quod cognoscunt
aliquid extra se positum, quodammodo extra se procedunt; secundum vero quod cognoscunt se cognoscere, iam
ad se redire incipiunt, quia actus cognitionis est medius inter cognoscentem et cognitum. Sed reditus isle comple
tur secundum quod cognoscunt essentias proprias: unde dicitur in lib. De causis, quod omnis sciens essentiam
suam, est rediens ad essentiam suam reditione completa. Sensus autem, qui inter cetera est propinquior intellec
tuali substantiae, redire quidem incipit ad essentiam suam, quia non solum cognoscit sensibile, sed etiam cogno
scit se sentire; non tamen completur eius reditio, quia sensus non cognoscit essentiam suam. Cuius bane rationem
Avicenna assignat, quia sensus nihil cognoscit nisi per organum corporate. Non est autem possibile ut organum
corporate medium cadat inter potentiam sensitivam et seipsam. Sed potentiae insensibiles nullo modo redeunt
super seipsas, quia non cognoscunt se agere, sicut ignis non cognoscit se calefacere. Et ex his patet solutio ad
obiecta».
16
Va detto, a scanso di equivoci, che questa redditio camp/eta, non descrive un lavoro di riflessione ingenuo e
facile. Puo essere estremamente laborioso giungere a dimostrare Ia veritii di un giudizio, a partire da veritii note, e
sara compito della teoria della dimostrazione fornire gli strumenti adeguati a questo scopo, evidenziando anche
quali sono le veritii irrinunciabili (problema dei fondamenti).
174 ALBERTO STRUMIA
Non a caso san Tommaso parla di una sorta di "istinto" che muove l'uomo alla religione,
istinto che proviene dallo Spirito Santo. Nella fede della Chiesa, invece, non si ha piu appe
na un istinto17 (simile alla redditio incompleta dei sensi), quanta piuttosto una vera e propria
consapevolezza, un intelligenza (una redditio completa) che proviene dallo Spirito Santo.
In tutta la sua opera 1' Aquinate mette frequentemente in relazione l'azione della
Spirito Santo in ordine alla conoscenza della verita, in ogni sua espressione, sia che si
tratti di "verita naturali" che i sensi e la ragione permettono all'uomo di raggiungere,
sia che si tratti di "verita di fede" che solo un intervento soprannaturale puo comuni
care all'uomo. In entrambi i casi, si tratta di un'azione diretta da Dio alla creatura che
viene attribuita allo Spirito Santo in quanta principia di conoscenza, ovvero, secondo
la formula giovannea allo «Spirito di verita>> (cfr. Gv 14,17; 15,26; 16,13). San
Tommaso, tuttavia, non si limita a riferire la conoscenza del verum a Dio come causa
formale, efficiente ed esemplare di ogni verita, a qualunque livello essa si collochi, rna
la riferisce espressamente allo Spirito Santo, oltre che in forza dell'autorita della
Scrittura, anche perche segue la formula dell'Ambrosiaster, che egli ritiene essere l'au
tentico sant' Ambrogio, e che cita regolarmente, secondo la quale «omne verum a quo
cumque dicatur a Spiritu Sancto est» .18 Sara, quindi, il riferirsi di Tommaso a questa
formula a guidare le considerazioni che qui verranno svolte su questa argomento.19 La
sentenza dell'Ambrosiaster viene riportata da Tommaso, nella maggioranza dei casi,
tra le obiezioni che precedono il respondeo di un articolo, rna anche nei sed contra e
talvolta nel corpo dell' articolo e nelle risposte alle obiezioni.
17 <<Dei cultus religio nominatur: quia huiusmodi actibus quodammodo se homo ligat, ut ab eo non evagetur. Et
quia etiam quodam naturali instinctu se obligatum senti! ut Deo suo modo reverentiam impendat, a quo est sui esse
et omnis boni principium>> (CG, L. III, c. 1 19, n. 7); «ad interiorem cultum, qui consistit in oratione et devotione,
magis inducitur homo ex interiori Spiritus Sancti instinctu>> (/I-ll, q. 122, a. 4 co).
18 I luoghi neUe opere di Tommaso neUe quali questa formula, o una sua parafrasi, viene richiamata, sono ben
ventidue distribuiti in diciotto testi. I riferimenti sono i seguenti: I Sent. d. 19, q. 5, a. 2 ad 5; I Sent. d. 46, q. 1,
a. 4-ex; II Sent. d. 28, q. 1, a. 5, arg. 1 ; Ill Sent. d. 36, q. 1, a. 1, arg. 6; IV Sent. d. 49, q. 5, a. 3b, arg. 10; I-II
q. 109, a. 1, arg. 1 e ad 1 ; Il-l! q. 172, a. 6; De Ver. q. 1, a. 8, sc. 1 ; De Pot. q. 1, a. 3a, arg. 6; Cat. Aur. In Matth.
c. 7, I. 9; Sup. Ev. Jo. c. 1, I. 3; Sup. Ev. Jo. c. 7.
1 9 A proposito di questa formula e del suo utilizzo da parte di san Tommaso si riprendono qui e, in parte si svi
luppano, alcune delle riflessioni che sono state proposte nell'articolo A. STRUMIA, «Omne verum a quocumque
dicatur a Spiritu Saneto est», "Divus Thomas", 34 (2003), pp. 216-227. Cfr. anche G. BIFFI, Liber pastoralis bono
niensis. Omaggio al Card. Giovanni Colombo nel centenario della sua nascita, Edizioni Dehoniane Bologna,
Bologna 2002, pp. 673-698.
Capitola III La verita della religione
- 175
Nella risposta san Tommaso prende in esame uno per uno i diversi tipi di verita, da
quella che indica l'autenticita di qualcosa in rapporto al'intelletto divino che la fa esi
stere, e alla sua definizione che esiste nell'intelletto umano, a quella del giudizio for
mulato dall'intelletto umano, richiamando anche gli elementi fondamentali della sua
teoria cognitiva, concludendo che
tutto questo e da Dio: e Ia forma stessa della cosa con Ia quale viene adeguato l'intel
letto e da Dio, e il vero in quanto bene dell'intelletto, come si dice nel VI libra
dell'Etica. Perche il bene di qualunque cosa consiste nella sua perfetta operazione.
E non si da perfetta operazione dell'intelletto se non nel conoscere il vero; e quindi e
in questo che consiste, come tale, il suo bene. E dal momenta che ogni bene e da Dio,
cosi come ogni forma, bisogna dire assolutamente che ogni verita e da Dio.
[De Ver, q. 1, a. 8]20
20 <<quod totum est a Deo, quia et ipsa forma rei, per quam adaequatur, a Deo est, et ipsum verum sicut bonum
176 ALBERTO STRUMIA
intellectus; ut dicitur in VI Ethic. Quia bonum uniuscuiusque rei consistit in perfecta operatione ipsius rei. Non est
autem perfecta operatio intellectus, nisi secundum quod verum cognoscit; unde in hoc consistit eius bonum, in
quantum huiusmodi. Unde, cum omne bonum sit a Deo, et omnis forma, oportet absolute dicere, quod omnis veri
las sit a Deo>>.
21
<<Mala fieri est verum. Sed nullum malum est a Deo. Ergo videtur quod non omnia vera sint vera Veritate
increata>> (/ Sellt, d. 19, q. 5, a. 2 ag. 5).
22 <<Respondeo dicendum, quod, sicut dictum est, art. antec., ratio veritatis in duobus consistit: in esse rei, et in
apprehensione virtutis cognoscitivae proportionata ad esse rei. Utrumque autem horum quamvis, ut dictum est, dis
tin. 8, quaest. 1, art. 1, reducatur in Deum sicut in causam efficientem et exemplarem; nihilominus tamen quaeli
bet res participat s'uum esse creatum, quo formaliter est, et unusquisque intellectus participat lumen per quod recte
de re judicat, quod quidem est exemplatum a lumine increato. Habet etiam intellectus suam operationem in se, ex
qua completur ratio veritatis. Unde dico, quod sicut est unum esse divinum quo omnia sunt, sicut a principia effec
tivo exemplari, nihilominus tamen in rebus diversis est diversum esse, quo formaliter res est; ita etiam est una
Veritas, scilicet divina, qua omnia vera sunt, sicut principia effectivo exemplari; nihilominus sunt plures veritates
in rebus creatis, quibus dicuntur verae formaliter. [ . . . ) Ad ultimum dicendum, quod quamvis malum non sit
bonum, nee sit a Deo, nihilominus intelligere malum bonum est, et a Deo est; et ideo veritas quae consistit in com
mensuratione intellectus ad privationem existentem extra animam, bona est, et a Deo; et ideo dicit Ambrosius,
quod omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est>>.
Capitolo III - La verita della religione 177
\.._
23 «Quia nisi ab illo [i.e. a Spiritu Sancto] nullus [homo] illuminatur. Hoc intelligitur de Jumine gratiae. Si autem
de lumine 11atura/is intellectus intelligatur, sic absolute omnem hominem illuminat: quia, secundum Ambrosium,
om11e verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est Est enim aliquid quod in se bonum est>> (/ Se11t, d. 46, q. 1,
a. 4 co).
178 ALBERTO STRUMiA
che puo operare anche senza la grazia, rna non senza 1' azione causale di Dio che lo fa
essere quello che e e fa esistere ogni suo atto.
Nel commento alle Sentenze (II Sent, d. 28, q. 1, a. 5, ag.1 }/4 cio che risulta essere
molto interessante, ai fini dell'oggetto da noi considerato, e il riferimento ai doni di
grazia che, come la profezia, sono qualificabili come "carismi" (gratiae gratis datae):
puo essere considerato a questa livello anche il dono di essere fondatore di una reli
gione che si possa ritenere vera? E. significativo rilevare come anche il dono della fede,
in quanta tale, sia qualificato con lo stesso appellativo di gratia gratis data, espres
sione che abitualmente traduciamo con il termine "carisma". Sembrerebbe, dunque,
che nei principi tomisti vi possa essere un qualche spazio per non escludere una qual
che forma di origine soprannaturale anche di una religione vera. Ma questa dovra esse
re ulteriormente verificato anche attraverso altri testi. E, anche ammesso che tale spa
zio effettivamente vi sia, questa origine soprannaturale sarebbe attribuibile solo ad una
religione "vera" e non semplicemente a qualsiasi religione storica: rimane, dunque, il
problema di reperire i criteri di verita della religione e la loro applicazione alle singo
le religioni storiche.
24«Videtur quod sine gratia homo nihil verum scire possit. Primo per id quod dicitur i cor. 12,3: Nemo potest
dicere, "Dominus Jesus", nisi in Spiritu Sancto; ubi dicit Ambrosius quod omne verum, a quocumque dicatur, a
Spiritu Sancto est. Sed Spiritus Sanctus non habitat in nobis nisi per gratiam. Ergo nullum verum dici aut sciri,
sine gratia potest. [ . . . ] Respondeo dicendum, quod verorum quaedam sun! naturali rationi proportionata, quaedam
naturalem rationem excedunt. Ilia naturalem rationem excedunt quae non possunt concludi ex primis principiis per
se notis. Cum enim prima principia sin! sicut instrumenta intellectus agentis, ut Commentator dicit in III De anima,
oportet ea esse proportionata virtuti ejus, sicut organa corporalia sun! proportionata virtuti motivae; unde quae ex
primis principiis concludi non possunt, naturale lumen intellectus excedunt. Hujusmodi autem sun! ea quae fidei
sun!, et futura contingentia, et hujusmodi: et ideo horum verorum cognitio sine lumine gratiae gratis datae haberi
non potest, sicut lumen fidei, et etiam prophetiae, et aliquid hujusmodi. Si autem loquamur de illis veris quae natu
rali rationi proportionata sun!, sciendum est quod circa hoc est duplex opinio. Quidam enim dicunt, ut supra dic
tum est, quod intellectus agens est unus omnium, intellectum agentem Deum esse dicentes: et cum intellectus
agens se habeat hoc modo ad intelligibilia sicut lucidum ad visibilia, volunt quod sicut non potest videri aliquid
visibile nisi per ernissionem radii corporalis, ita non possit intelligi aliquid intelligibile sine nova emissione radii
spiritualis, qui est gratia gratis data. Sed haec positio conveniens non est, ut supra dictum est, dist. 17, qu. 2, art.
2. Aliorum vero opinio est, quod intellectus agens sit quaedam potentia animae rationalis; et hanc sustinendo, non
potest rationabiliter poni, quod oporteat ad cognitionem veri, talis de quo loquimur, aliquod aliud lumen superin
fundi: quia ad hoc verum intelligendum sufficit recipiens speciem intelligibilem, et faciens speciem esse intelligi
bilem in actu>> (ll Sent, d. 28, q. 1, a. 5).
Capitolo III - La verita della religione 179
ragione naturale, cosi come fa accadere, in modo miracoloso, delle cose che anche la
natura potrebbe realizzare» (corpus articuli).
E, ricollegandosi alle obiezioni, segnala che «alla prima obiezione si risponde
dicendo che ogni veritii, da chiunque venga delta, viene dallo Spirito Santo, come da
Colui che infonde la luce naturale che muove a conoscere e a parlare della verita. Ma
non si tratta di una grazia di inabitazione divina, o di infusione di un dono sopranna
turale abituale, rna di una forma di conoscenza o di una capacita di loquela occasio
nale, e specialmente riguardo alle cose di fede alla quali 1' Apostolo si riferisce» (ad
primum).25
25 <<Et tarnen quandoque Deus mirac;ulose per suarn K';atiam aliquos instruit de his quae per naturalern rationern
cognosci possunt, sicut et quandoque rniraculose facit,quaedarn quae natura facere potest. [ . . ] Ad prirnurn ergo
.
dicendum quod omne verum, a quocumque dicatur, est a Spiritu Sancto sicut ab infundente naturale lumen, et
rnovente ad intelligendum et loquendurn veritatern. Non autem sicut ab inhabitante per gratiarn gratum facientern,
vel sicut a largiente aliquod habituale donurn naturae superadditum, sed hoc solurn est in quibusdarn veris cogno
scendis et loquendis; et rnaxirne in illis quae pertinent ad fidem, de quibus apostolus loquebatur» (1-11, q. 109, a. 1).
26 Vale Ia pena ricordare come altrove (/1/ Sent, d. 25, q. 2, a. 2b ad 3"m) Tornrnaso sostiene che non solo i pro
feti dei dernoni, rna anche a persone comuni, senza l'interferenza dei demoni, lo Spirito Santo puo avere ispirato,
Ia conoscenza di alcune verita soprannaturali che, in via ordinaria, sono state cornunicate agli uornini solo aura
verso Ia Rivelazione.
27 <<Videtur quod prophetae daernonum nunquam vera praedicant. Dicit enirn Ambrosius quod omne verum, a
quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est. Sed prophetae daemonurn non loquuntur a Spiritu Sancto, quia non est
conventio Christi ad Belial, ut dicitur II ad Cor. 6, Ergo videtur quod tales nunquam vera praenuntiant. [ . . ] .
Respondeo dicendurn quod sicut se habet bonum in rebus, ita verurn in cognitione. Irnpossibile est autem inveni
ri aliquid in rebus quod totaliter bono privetur. Unde etiarn irnpossibile est esse aliquarn cognitionem quae totali
ter sit falsa, absque adrnixtione alicuius veritatis. Unde et Beda dicit quod nulla falsa est doctrina quae non ali
quando aliqua vera falsis intermisceat. Unde et ipsa doctrina daernonurn, qua suos prophetas instruunt, aliqua vera
continet, per quae receptibilis redditur, sic enirn intellectus ad falsurn deducitur per apparentiarn veritatis, sicut
voluntas ad malum per apparentiam bonitatis. Unde et Chrysostornus dicit, super Matth., concessum est diabolo
180 ALBERTO STRUMIA
vero. Infatti Ambrogio dice che ogni verita, da chiunque venga detta, viene dallo
Spirito Santo. Ma i profeti dei demoni non parlano da parte dello Spirito Santo, per
che non c'e accordo tra Cristo e Belial, come si dice in II Cor 6. Per cui sembra che
costoro non possano mai profetizzare alcuna cosa vera»). Per rispondere egli si basa
sui principio metafisico in base al quale
Ia verita si rapporta alia conoscenza come il bene in relazione aile cose. Come e impos
sibile trovare tra le cose qualcuna che sia totalmente priva di bene, cosi e impossibile
trovare tra le conoscenze qualcuna che sia del tutto falsa, priva di qualche elemento di
verita.
[II-II, q. 172, a. 6, co]
anche Ia dottrina dei demoni, appresa dai suoi profeti, contiene qualche elemento di
verita che Ia rende attrattiva e in forza del quale l'intelletto viene tratto ad accogliere
anche le falsita, fatte apparire come vere, cosi come Ia volonta viene tratta al male fatto
apparire come bene.
[ibidem]
Per la coerenza interna di tutto il discorso rispetto ai principi sui quali si sostiene,
egli deve ammettere, allora, che
i profeti dei demoni non parlano sempre in forza di una rivelazione fatta dai demoni,
rna qualche volta possono parlare per ispirazione divina. [ . . . ] Per cui anche attraverso
i profeti dei demoni puo preannunciare cose vere, per rendere piu credibile Ia verita
mettendola perfino sulla bocca degli avversari. In questo modo, gli uomini credendo a
loro, vengono portati in qualche modo a riconoscere delle cose vere. E cosi che anche
le sibille preannunciarono molte cose vere su Cristo.
[ibidem]
interdum vera dicere, ut mendacium suum rara veritate commendet. [ . . ] Ad primum ergo dicendum quod pro
.
phetae daemonum 11011 semper loquuntur ex daemonum revelatione, sed interdum ex inspiratione divina, sicut
manifeste legitur de Balaam, cui dicitur Dominus esse loculus, Num. 22, licet esset propheta daemonum. Quia
Deus utitur etiam malis ad utilitatem bonorum. Unde et per prophetas daemonum aliqua vera praenuntiat, tum ut
credibilior fiat veritas, quae etiam ex adversariis testimonium habet; tum etiam quia, dum homines talibus credunt,
per eorum dicta magis ad veritatem inducuntur. Unde etiam sibyllae multa vera praedixerunt de Christo. ( . . . ] Sed
et quando prophetae daemonum a daemonibus instruuntur, aliqua vera praedicunt, quandoque quidem virtute pro
priae naturae, cuius auctor est Spiritus Sanctus; quandoque etiam revelatione bonorum spirituum, ut patet per
Augustinum, XII super Gen. ad litt.. Et sic etiam illud verum quod daemones enuntiant, a Spiritu Sancto est>>.
Capitola III La verita della religione
- 181
- talvolta in forza della loro natura [di esseri intelligenti], il cui autore e lo Spirito
Santo
- altre volte per qualche rivelazione degli spiriti buoni, come si Iegge in Agostino nel
libro XII Sulla Genesi alia lettera.
Quindi anche cio che di vero viene detto dai demoni proviene dallo Spirito Santo.
[II-II, q. 172, a. 6, ad 1]
Tali considerazioni sono di interesse anche per il nostro oggetto in quanta trattano,
tra l'altro, della possibilita di un intervento soprannaturale in merito a conoscenze sia
alla portata della ragione naturale che eccedenti le possibilita conoscitive della ragio
ne. In particolare questa testa della II-II, q. 172, a. 6, nel quale si motiva la possibili
ta di una rivelazione di alcuni contenuti veri, pur coesistenti con altri contenuti erro
nei. Sembra legittimo ritenere che, se perfino i profeti dei demoni e le sibille hanna
profetizzato cose vere anche riguardo a Cristo, anche, e a maggior ragione, i fondato
ri di una religione vera - rna anche di una religione falsa (!) - possano avere detto alcu
ne cose vere su Dio e Cristo, che rientrerebbero pertanto, anch'esse, nella categoria dei
semina Verbi.
Sulla base di questi principi tomisti, tuttavia risulta chiaro che, se cosi fosse, basan
dosi solo sulla base di questi elementi, non si potrebbe concludere ne che la religione
di cui si parla sia una vera religio; ne tanto meno che, anche nel caso si tratti di una
religione "vera", tutti i suoi contenuti siano percio stesso accettabili come veri ed esen
ti, quindi, da errore; ne, ancora, che quella religione "vera" sia automaticamente anche
"salvifica" in forza di alcuni contenuti veri.
Questa Spirito e Colui che guida alia corroscenza della verita, perche procede dalla
Verita, come viene detto sopra: Io sono Ia via e Ia verita e Ia vita. Ora, cosi come anche
in noi dalla verita, concepita e considerata, segue l'amore della verita stessa, cosi in
Dio, concepita la Verita, che e il Figlio, procede 1' Amore. E procedendo dalla Verita
conduce alia piena conoscenza di Lui. [ . . . ] Percio Ambrogio dice: ogni verita, da
chiunque venga detta, viene dallo Spirito Santo. [ . . . ] Perche manifestare la verita con-
182 ALBERTO STRUMIA
viene propriamente allo Spirito Santo, che e I' Amore che compie Ia rivelazione dei
segreti.
[Sup Johan, c. 14, lc. 4]28
28 <<Sed iste Spiritus ducit ad cognitionem veritatis, quia procedit a Veritate, quae dicit supra eodem: Ego sum
via, et veritas, et vita. Nam, sicut in nobis ex veritate concepta et considerata sequitur amor ipsius veritatis, ita in
Deo concepta Veritate, quae est Filius, procedit Amor. Et sicut ab ipsa procedit, ita in eius cognitionem ducit; infra
c. 14,14: /lie me clarificabit, quia de meo accipiet etc. Et ideo dicit Ambrosius, quod omne verum a quocumque
dicatur a Spiritu Sancto est. I Cor. 12,3: Nemo potest dicere, "Dominus Jesus ", nisi in Spiritu Sancto; infra 15,26:
Cum venerit Paraclitus, quem ego mittam vobis Spiritum veritatis. Manifestare autem veritatem convenit proprie
tati Spiritus Sancti. Est enim Amor qui facit secretorum revelationem; infra 15,15: vos autem dixi amicos, quia
omnia quaecumque audivi a patre meo, nota feci vobis; lob c. 34,33: Annuntiat de ea (scilicet veritate) amico suo.
Recipiunt autem Spiritum Sanctum credentes, et quantum ad hoc dicit quem mundus non potest accipere, et primo
ostendit qui sun! quibus non datur; secundo ostendit quibus datur, ibi vos autem cognoscetis etc. [ . . . ] Datur autem
fidelibus: unde dicit: vos autem, qui movemini a Spiritu Sancto, cognoscetis eum>>.
29 Questo lema dei semi della virtu (oltre a quello dei semi della scienza e della sapienza) e trattato diffusamente
da san Tommaso a proposito delle virtu cardinali e di quelle ad esse collegate soprattutto nel III Sent, che in II-II;
quello che abbiamo riportato qui e pero l'unico in cui si cita anche Ia formula deii'Ambrosiaster. Un riferimento
ai "semi della fede" (seminaria fidei) si trova solo in CA in Mt (c. 28, !c. 2) in riferimento alia missione di getta
re il "seme della fede", e nella Pastil/a in librum Geneseos, che pero non e opera autentica di Tommaso, e nella
quale si fa un riferimento significativo alia nascita del culto della religione e dei germi della fede a! tempo della
Legge mosaica: <<in initio enim legis per mensem decimum propter praeceptorum decalogum designatae apparue
runt prima elementa divini cultus et prima seminaria fidei».
30 R.M. PIZZORNI, II diritto naturale . . , op. cit., p. 92-93.
.
Capitolo III La verita della religione
- 183
gono alle altre virtu, cosl la presenza di una fede germinate che riconosce solo alcune
verita (semi del Verbo) puo coesistere con molti altri errori al riguardo di altre verita
di fede, errori che non possono esservi quando Ia fede teologale e esplicita e piena
come Ia fede della Chiesa. Dice Tommaso: «La virtu si puo considerare sotto un dupli
ce riguardo. Nel primo modo, nel suo stadio iniziale ancora imperfetto, come un seme
di virtu posseduto per natura: in questo senso per virtu si intende una inclinazione
na,turale verso l'atto virtuoso; in questo senso una virtu puo esservi anche senza le
altre. Alcuni, infatti, sono naturalmente inclini alla liberalita e insieme alla lussuria per
Ia loro costituzione fisica, e altri casi simili».31
In altri luoghi san Tommaso tratta del medesimo argomento senza far uso della
dizione «seminaria virtutum», rna utilizzando, in altemativa, Ia formula «inchoatio
virtutis» o una sua variante. Tale utilizzo viene collocato sempre nell'ambito delle
r virtu cardinali, paragonando a volte l'abito virtuoso all'abito conoscitivo, tramite il
quale si acquisisce una scienza, quindi in rapporto alla conoscenza della verita. Egli
afferma che: «Ia naturale inclinazione al bene di una virtu e una sorta di inizio (inchoa
tio) di quella virtu, pur non essendo Ia virtu perfetta».32
Riferendosi alla dottrina etica aristotelica, secondo Ia quale «gli abiti delle virtu
preesistono in noi, prima della loro attuazione, nelle inclinazioni naturali, che sono
come degli inizi (inchoationes) delle virtu, e solo in seguito, mediante l'esercizio delle
opere, giungono alia piena attuazione», Tommaso aggiunge: «A somiglianza di quan
to si verifica per l'acquisizione della scienza: in noi preesistono come i semi della
scienza, cioe i primi concetti dell'intelletto che, vengono conosciuti mediante le "spe
cie" astratte dalle cose sensibili dal lume dell'intelletto agente, sia che siano comples
se come i principi primi (dignitates), sia che siano incomplesse, come le nozioni di
"ente", di "uno", ecc., che l'intelletto coglie immediatamente. In questi principi uni
versali sono presenti le verita successive come in delle ragioni serninali».33
In un terzo ed ultimo testo Tommaso precisa che «c'e un inizio (inchoatio) della
l
31 <<Virtus dupliciter potest �oqs derari. Uno modo secundum esse ipsius imperfectum, secundum quod semina
ria virtutum insunt nobis a natura; et sic virtus dicitur quaedam naturalis inclinatio ad virtutis actum; et hoc modo
una virtus potest haberi sine alia. Quidam enim sunt naturaliter apti ad liberalitatem, quidam sunt proni ad luxu
riam ex natura suae complexionis, et sic etiam contingit in aliis» (III Se111, d. 36. q. 1. a. 1 co).
32 <<Ad tertium dicendum quod naturalis inclinatio ad bonum virtutis, est quaedam inchoatio virtutis, non autem
est virtus perfecta» (I-II, q. 58, a. 4, ad 3wn).
33<<Similiter etiam secundum ipsius sententiam in VI Ethicorum, virtutum habitus ante earum consummationem
praeexistunt in nobis in quibusdam naturalibus inclinationibus, quae sunt quaedam virtutum inchoationes, sed
postea per exercitium operum adducuntur in debitam consummationem. Similiter etiam dicendum est de scientiae
acquisitione; quod praeexistunt in nobis quaedam scientiarum semina, ·scilicet primae conceptiones intellectus,
quae statim lumine intellectus agentis cognoscuntur per species a sensibilibus abstractas, sive sint complexa, sicut
dignitates, sive incomplexa, sicut ratio entis, et unius, et huiusmodi, quae statim intellectus apprehendit. In istis
autem principiis universalibus omnia sequentia includuntur, sicut in quibusdam rationibus seminalibus» (De Ver,
q. 11, a. 1 co).
184 ALBERTO STRUMIA
virtu che e legato alla natura dell'individuo, per il fatto che un uomo per la sua strut
tura psicofisica o per un influsso celeste e orientato all'atto di una certa virtu. Questa
inclinazione e come un inizio di quella virtu, rna non e la virtu perfetta».34
Estrapolando queste considerazioni - per quanto sia possibile farlo, in quanto in
san Tommaso questo ulteriore passaggio non si trova - all' ambito delle virtu teologa
li, e della fede in particolare, si potrebbe dire che questi semi di verita, in quanto sug
geriti soprannaturalmente, per essere portati alla piena conoscenza della verita e alla
virtu perfetta della fede richiedono 1' Annuncio completo del Vangelo di Cristo e la
corrispondente adesione da parte di chi lo riceve, che lo riconosce come l'esplicito
compimento di quanto, implicitamente, attendeva. E questo e un'ulteriore conferma
della necessaria missionarieta della Chiesa, come e stato ribadito piu volte dal
Magistero (cfr. Evangelii nuntiandi, n. 53; Redemptoris missio, nn. 28-29).
34 «Est autem aliqua inchoatio virtutis, quae consequitur naturam individui, secundum quod aliquis homo ex
naturali complexione vel caelesti impressione inclinatur ad actum alicuius virtutis. Et haec quidem inclinatio est
quaedam virtutis inchoatio; non tamen est virtus perfecta» (De Virt., q. 1, a. 8 co).
35 La letteratura sulla Iegge naturale in Tommaso e vastissima. Qui ci limiteremo a riportare alcuni fra gli studi
principali: A.H. CHROUST, The Philosophy of Law from St. Augustine to Thomas Aquinas, "The New
Scholasticism", 20 (1946), pp. 26-71; W. FARRELL, Law in Aristotle and St. Thomas, "The New Scholasticism", 24
(1950), pp. 439-444; P.M. FARRELL, Sources of St. Thomas' Concept of Natural Law, The Thomist 20 (1957),
pp. 237-294; R.A. ARMSTRONG, Primary and Secondary Precepts in Thomistic Natural Law Teaching, M. Nijhoff,
The Hague 1966; D.J. O'CONNOR, Aquinas and Natural Law, New Studies in Ethics: Macmillan, London -
Melbourne 1967; J. DE FINANCE, La nozione di Legge naturale, "Rivista di filosofia neo-scolastica", 61 (1969),
Capitolo III - La verita della religione 185
riali e delle leggi biologiche che guidano l'istinto dei viventi, pen), la "legge naturale"
che orienta l'uomo si offre alla sua ragione e alla sua libera volonta per essere segui
ta e non viene, come tale, eseguita automaticamente. Percio la legge e "originaria
mente naturale": e una legge ontologica che fonda l'etica: «la legge naturale e cosi la
Iegge interiore della nostra natura razionale e non qualcosa di imposto all'uomo dal
l'esterno, sia pure da una particolare disposizione divina, rna e posta nel suo intimo
IV-V, pp. 365-386; L.J. Roos, Natural Law and Natural Right in Thomas Aquinas and Aristotle, Dissertatio doc
toralis: University of Chicago, Chicago 1971; W.E. M AY , The Meaning and Nature of the Natural Law in Thomas
Aquinas, "American Journal of Jurisprudence", 22 (1977), pp. 168-189; E.A. GOERNER, On Thomistic Natural
Law: The Bad Man 's View of Thomistic Natural Right, "Political Theory", 7 (1979), pp. 101-122; E. ANDUJAR, La
loi et le Droit nature/ chez saint Thomas: une bibliographie, "De Philosophia", 3 (1982), pp. 10-32; D.A. DEGNAN
JR., Two Models ofPositive Law in Aquinas: A Study of the Relationship ofPositive Law and Natural Law, "The
Thomist", 46 (1982), pp. 1-32; A. ScoLA, La fondazione teologica della Iegge naturale nello "Scriptum super
Sententiis " di San Tommaso d'Aquino, "Studia Friburgensia," 60, "Kanonistische Abteilung", 2,
Universitiitsverlag, Freiburg (Schweiz) 1982; G. ABBA, Lex et virtus. Studi sull'evoluzione della dottrina morale
di san Tommaso d'Aquino, Las-Roma 1983; V. POSSENTI, Philosophie du Droit et loi naturelle selon Jacques
Maritain, "Revue Thomiste", 83 (1983), pp. 598-608; J. MARJTAJN, Nove lezioni sulla Iegge naturale, Jaca Book,
Milano 1985; T.M. SEEBOHM, Isidore of Seville versus Aristotle in the Questions on Human Law and Right in the
Summa Theologiae of Thomas Aquinas, "Graduate Faculty Philosophy Journal", 1 1 (1986), pp. 83-105;
T.G. BELMANS, L'immutabilite de Ia loi naturelle selon s. Thomas d'Aquin, "Revue Thomiste", 87 (1987), pp. 23-
44; L.J. ELDERS, K. HEDWIG (eds. ), Lex et libertas: Freedom and Law According to St. Thomas Aquinas:
Proceedings of the Fourth Symposium on St. Thomas Aquinas' Philosophy, Rolduc, November 8 and 9, 1986,
"Studi tomistici", 30, Libreria Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1987; T. FuLLER, Compatibilities on the Idea
ofLaw in Thomas Aquinas and Thomas Hobbes, Hobbes Studies (1990), pp. 112-134; J.P. REILLY, Saint Thomas
on Law, "The Etienne Gilson Series", 12, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1990;
M. RHONHEIMER, Legge naturale e ragione pratica. Una visione tomista dell'autonomia morale, Armando, Roma
2001; J. MARITAJN, I diritti dell'uomo e Ia Iegge naturale, Vita e Pensiero, Milano 1991; J. FIESER, The Logic of
Natural Law in Aquinas's Treatise on Law, "Journal of Philosophical Research", 1 7 (1992), pp. 155-172;
J.P. RENTTO, Thomasian Natural Law and the Is-Ought Question, "Vera Lex", 14 (1994), pp. 41-46;
A. VENDEMIATI, La Iegge naturale nella Summa Theologiae di San Tommaso d 'Aquino, Dehoniane, Roma 1995;
M. CARL, Law, Virtue, and Happiness in Aquinas's Moral Theory, "The Thomist", 61 (1997), pp. 425-447;
E.F. ROGERS, The Narrative of Natural Law in Aquinas's Commentary on Romans I, "Theological Studies", 59
(1998), pp. 254-276; P.C. WESTERMAN, The Disintegration of Natural Law Theory: Aquinas to Finnis, "Brill's
Studies in Intellectual Historyj', 84, E.J. Brill, Leiden - New York 1998; S.J. CASSELLI, The Threefold Division of
the Law in the Thought ofAquinas, "Westminster Theological Journal", 61 (1999), pp. 175-207; F. DI BLASI, Dio
e Ia Legge naturale. Una rdettura di Tommaso d'Aquino, Journal of Law and Religion - ETS, Pisa 1999;
J. PETERSON, Natural Law, End� and Virtue in Aquinas, "Journal of Philosophical Research", 24 (1999), pp. 397-
413; J. PORTER, Natural and Divine Law: Reclaiming the Tradition for Christian Ethics, Saint Paul University
Series in Ethics: Novalis - W.B. Eerdmans, Ottawa - Grand Rapids 1999; P.P. CvEK, ThomasAquinas, Natural Law,
and Environmental Ethics, "Vera Lex", 1 (2000), pp. 5-18; D. SULLIVAN, Disagreement and Objectivity in Ethics:
Aquinas on the Common Precepts of the Natural Law, "American Catholic Philosophical Quarterly", 74,
Supplement (2000), pp. 231-244; S. DAVIS, Doing What Comes Naturally: Recent Work on Thomas Aquinas and
the New Natural Law Theory, "Religion", 31 (2001), p. 407-433; R.M. PIZWRNI, Il diritto naturale dalle origini
a S. Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2000; IDEM, Diritto, morale, religione. Il fonda
menlo etico-religioso del diritto secondo San Tommaso d'Aquino, Urbaniana University Press, Citta del Vaticano -
Roma 2001 ; D.M. VAN DRUNEN, Law and Custom: The Thought of Thomas Aquinas and the Future of the
Common Law, P. Lang, New York 2003; J. GOYETTE, M.S. LATKOVIC, R.S. MYERS (EDS.), St. Thomas Aquinas and
the Natural Law Tradition: Contemporary Perspectives, Catholic University of America Press, Washington 2004.
186 ALBERTO STRUMIA
(a natura), e seguendola egli realizza se stesso, la sua umanita, la sua finalita, la sua
perfezione, la sua felicita».36 E questo libera l'etica tomista da qualunque forma di
moralismo. Su questo fondamento originario si devono innestare, poi, anche le leggi
positive, scritte e promulgate dagli uomini per poter conseguire il fine di migliorare le
condizioni della vita individuate e sociale orientandola al conseguimento del bene
comune.37
E proprio per questa sua caratteristica di poter essere assecondata solo attraverso la
liberta, non essendo coercitiva, che la legge naturale puo apparire, in certi periodi della
storia, come quello presente, non oggettivamente fondata, non valida per tutti, addirit
tura inesistente. Ma la sua oggettiva fondatezza, anche quando non sia stata conosciu
ta intellettualmente, a causa di un indebolimento di lucidita della razionalita, si evi
denzia sulla base dell'esperienza, nella scala dei "tempi lunghi" della vita di una socie
ta civile: <<La rinascita del diritto naturale s'impone, dunque, per necessita di vita».38
11 progressivo offuscamento della coscienza individuate e sociale genera un progressi
vo disagio al livello del grado di vivibilita della societa: e questo rappresenta il primo
indizio fenomenologico di un errore teoretico, quello di aver rifiutato le leggi della
conoscenza oggettiva e della morale oggettiva. Alla fine tutto si riconduce sempre ai
fondamenti ontologici dell'essere, della conoscenza e dell'agire.
Qui ci limiteremo, necessariamente, a considerare quegli aspetti fondamentali del
modo in cui san Tommaso tratta i1 problema della legge naturale, che ci sembrano di,
rilievo in rapporto ad una riflessione sulla religione, sia dal punto di vista strettamen
te filosofico che teologico. I nodi teoretici in questione riguardano: a) il parallelismo
tra la conoscenza speculativa e pratica: primi principi e legge naturale, b) i contenuti
della legge naturale comuni a tutti gli uomini, conosciuti con la sola ragione, c) i con
tenuti della legge naturale in quanto rivelati nel Decalogo.
39 Si tratta di un' analogia di proporzionalita propria: Ia ragione speculativa sta alia ragione pratica come Ia
nozione di verita sta alia nozione di Iegge, come i principi primi della ragione speculativa stanno alia Iegge natu
rale, ecc.
Capitolo III - La verita della religione 187
Ma, non ostante questa differenza non secondaria, si riscontra come i caratteri di
entrambi i modi di procedere ("speculativo" e "pratico") riflettano, su due piani diver
si (quello del verum e quello del bonum), una medesima struttura ontologica (quella
dell' ens), e come tutti e tre i piani abbiano in Dio la loro causa (in senso analogico)
efficiente, finale ed esemplare.
Nell'ambito della conoscenza speculativa, la "verita", nota all'Intelletto divino,
viene partecipata all'intelletto umano attraverso la conoscenza delle cose da essa infor
mate e attraverso la conoscenza della verita dell'atto del giudizio. Nell'ambito della
conoscenza pratica e dell'agire, la "legge eterna", nota alla Provvidenza divina, viene
partecipata strutturalmente alla natura umana attraverso la legge naturale, perche prov-
- veda, secondo la debita misura, a se e alle altre creature. Si noti che "verita divina" e
"legge eterna" sono distinguibili solo quoad nos, in quanto, in se stesse, coincidono
con l'essenza "semplicissima" di Dio nel quale non vi e alcuna composizione. Per cui
si puo dire indifferentemente che ogni conoscenza della verita e "partecipazione della
verita divina", ovvero e "partecipazione della legge eterna" .41
Nel testo che segue, tratto dalla I-II, q. 91, a. 2, viene definita la nozione di legge
naturale.
40 <<Aliter !amen circa hoc se habet ratio speculativa, et aliter ratio practica. Quia enim ratio speculativa praeci
pue negotiatur circa necessaria, quae impossibile est aliter se habere, absque aliquo defectu invenitur veritas in
conclusionibus propriis, sicut et in principiis communibus. Sed ratio practica negotiatur circa contingentia, in qui
bus sun! operationes humanae, et ideo, etsi in communibus sit aliqua necessitas, quanta magis ad propria descen
ditur, tanto magis invenitur defectuS>>.
41 «Omins enim cognitio veritatis est quaedam irradiatio et participatio legis aetemae, que est veritas incommu
tabilis>> (1-11, q. 93, a. 2 co). E. Gilson descrive'molto efficacemente questi rapporti di analogia-partecipazione tra
Legge etema/legge naturale, Essere divino/essere creato, Ragione divina/ragione creata, nel modo seguente: «La
Iegge eterna fa una cosa sola colla Sapienza di Dio, che muove e dirige al loro fine tulle le �se che ha creato. [ . . . ]
La Iegge naturale sta alia Iegge eterha come l'essere sta all'Essere, e il pricnipio vale per ogni ordine di creature
indistintamente. ( . . . ] Se Ia ragione e Ia regola che misura Ia banta o Ia malvagita del nostro volere, essa lo deve a
questa regola suprema, che non e essa stessa se non Ia ragione divina splendente in noi per via di partecipazione>>
(E. GILSON, Lo spirito della filosofia medievale, Morcelliana, Brescia 1 96�, pp. 401-402). Per un excursus sui
lema della Iegge etema rimandiamo a R.M. PIZZORNI, Diritto, morale, religione. . . , op. cit., cap. 2.
188 ALBERTO STRUMlA
La legge, essendo regola e misura, puo trovarsi in un soggetto secondo due diverse
modalita:
- nel primo modo come in colui che regola e misura e
- nel secondo come in colui che e regolato e misurato da essa, perche partecipa di
quella regola e misura.
Per cui, dal momento che tutte le cose sono govemate dalla Provvidenza divina, sono
regolate e misurate dalla Legge etema, come si e detto, che ne orienta strutturalmente
i comportamenti e i fini.
Tra tutte, la creatura razionale e govemata dalla Provvidenza divina nel modo piii ele
vato, in quanto diviene essa stessa partecipe del compito di provvedere a se stessa e
agli altri. Per cui in lei viene partecipata la Ragione etema in forza della quale ha una
naturale inclinazione al debito modo di agire e al debito fine. Questa partecipazione
della Legge etema nella creatura razionale si dice legge naturale.
[I-II, q. 91, a. 2 co]42
L' analogia tra il processo speculativo e quello pratico viene dettagliata nel succes
sivo articolo della stessa questione, a conclusione del quale viene fatto anche un rapi
do accenno alla religione che, fondandosi essa stessa sulla legge naturale, non puo che
confermare le consuetudini che si sono consolidate a partire dalla medesima legge
naturale. Si comprende bene, con l'aiuto del parallelismo dei procedimenti della ragio
ne speculativa e pratica qui istituito, come la perdita di riferimento ai principi della
ragione pratica (legge naturale) sia una conseguenza diretta della perdita di riferimen
to ai principi della ragione speculativa (realismo, verita) e come il relativismo religio
so sia una conseguenza inevitabile del relativismo epistemologico ed etico.
C' e una somiglianza nel modo di procedere della ragione pratica e della ragione spe
culativa. Entrambe, infatti, si fondano su dei principi per giungere a delle conclusioni,
come si e visto in precedenza.
- In base a cio si deve dire che, come con la ragione speculativa si giunge alle con
clusioni delle diverse scienze - che non sarebbero a noi naturalmente note, rna sono
state trovate dal laborioso esercizio della ragione - a partire da principi indimostrabi
li "noti strutturalmente" [all'intelletto],
- cosi anche a partire dai precetti della legge naturale, come da principi comuni e indi
mostrabili, bisogna che la ragione umana proceda ad altri che possano essere impie
gati piii in particolare. E queste disposizioni particolari, elaborate dalla ragione umana,
si dicono leggi umane.
42 <<Lex, cum sit regula et mensura, dupliciter potest esse in aliquo, uno modo, sicut in regulante et mensurante;
alio modo, sicut in regulato et mensurato, quia inquantum participat aliquid de regula vel mensura, sic regulatur
vel mensuratur. Unde cum omnia quae divinae providentiae subduntur, a Lege aeterna regulentur et mensurentur,
ut ex dictis pate!; manifestum est quod omnia participant aliqualiter Legem aeternam, inquantum scilicet ex
impressione eius habent inclinationes in proprios actus et fines. Inter cetera autem rationalis creatura excellentio
ri quodam modo divinae Providentiae subiacet, inquantum et ipsa fit Providentiae particeps, sibi ipsi et aliis pro
videns. Unde et in ipsa participatur Ratio aeterna, per quam habet naturalem inclinationem ad debitum actum et
finem. Et talis participatio Legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur».
Capitolo III La verita della religione
- 189
[. . .]
Per questo anche Tullio, nella Retorica dice che l'inizio del diritto muove dalla natu
ra, poi si sono aggiunti elementi di consuetudine e ragionevolezza e, dopo ancora,
quanto era fondato sulla natura e verificato nella consuetudine e stato sancito da un
timore rispettoso delle leggi e dalla religione.
[I-II, q. 91, a. 3 co]43
43 «Similis autem processus esse invenitur rationis practicae et speculativae. Utraque enim ex quibusdam prin
cipiis ad quasdam conclusiones procedit, ut superius habitum est. Secundum hoc ergo dicendum est quod, sicut in
ratione speculativa ex principiis indemonstrabilibus naturaliter cognitis producuntur conclusiones diversarum
scientiarum, quarum cognitio non est nobis naturaliter indita, sed per industriam rationis inventa; ita etiam ex prae
ceptis legis naturalis, quasi ex quibusdam principiis communibus et indemonstrabilibus, necesse est quod ratio
humana procedat ad aliqua magis particulariter disponenda. Et istae particulares dispositiones adinventae secun
dum rationem humanam, dicuntur leges humanae. [ . . . ] Unde et Tullius dicit, in sua Rhetor., quod initium iuris est
a natura profectum; deinde quaedam in consuetudinem ex utilitate rationis venerunt; postea res et a natura profec
tas et a consuetudine probatas legum metus et religio sanxil>>. II riferimento a Cicerone sulla conferma da parte
della religione delle consuetudini fondate sulla Iegge naturale e codificate dalla Iegge umana, si trova anche in
N Sent, d. 33, q. 1, a. 1, ad 2um; 1-I/, q. 95, a. 2 sc.
44 <<Religio autem quae est ad Deum, et pietas quae est ad parentes et conjunctos sanguine vel patria, [ . . . ] red
dun! quod debent, et ex obligatione legis, sed non quantum; quia impossibile est>> (III Sem, d. 33, q. 3, a. 4 co).
190 ALBERTO STRUMIA
Nel prima caso viene chiamata in causa direttamente la "verita ontologica" (auten
ticita) , nel secondo e la "verita logica" ad essere direttamente compromessa e, come
conseguenza, anche la verita ontologica. E questa seconda circostanza si presenta
quando !'errore "logico", che compromette direttamente la verita logica della reli
gione con un contenuto erroneo, coinvolge delle affermazioni che contrastano con la
"definizione" stessa di religione, o con le sue dirette conseguenze. Per cui un tale tipo
di errore compromette anche la verita ontologica di quella religione che ne e porta
trice.46
Nell'art. 2 della q. 94 della /-//"', san Tommaso, dopa un'introduzione che riprende
il tema del parallelismo tra conoscenza speculativa e pratica, arricchendolo con qual
che esempio, entra in maggior dettaglio al riguardo dei contenuti propri della legge
naturale.47
I precetti della Iegge naturale stanno alla ragione pratica come i principi della dimo
strazione stanno alla ragione speculativa, in quanto sia gli uni che gli altri sono dei
principi per se noti.
[I-II, q. 94, a. 2 co]
Tommaso deve chiarire in che sensa gli uni come gli altri debbano intendersi noti
in se stessi, quali siano le somiglianze e quali le differenze.
45 Ad esempio una "religione" che proponesse di credere che Dio non ama tutti gli uomini.
46 Per fare un esempio che prendiamo a prestito dalla geometria. Se si dicesse che <<questo triangolo e equilate
ro e scaleno>> si incorrerebbe in un errore che compromette solo Ia verita "logica" in quanto il predicato <<equila
tero e scaleno» e contraddittorio, rna non si intaccherebbe Ia verita "ontologica" del triangolo (perche sia l'equi
latero che lo scaleno sono autentici triangoli). Se, invece, si dicesse <<questo triangolo equilatero ha quattro !ali>> si
incorrerebbe in un errore che compromette sia Ia verita logica, perche l'afferrnazione e falsa, rna anche quella onto
logica, in quanto il predicato (l'avere quattro lati), che non e contraddittorio in se stesso, e peri'> in contraddizione
con Ia definizione stessa di triangolo e, quindi, non e predicabile di questo soggetto. Cosl, una religione che affer
masse che !'anima umana e mortale, avrebbe un contenuto logicamente falso, rna non sarebbe questo a compro
mettere Ia sua autenticita come religione. Mentre una religione che afferrnasse che Ia bestemmia e una cosa buona,
farebbe una afferrnazione logicamente falsa che rende inautentica quella religione, in quanto contraddice Ia defi
nizione stessa di religione. Per definizione, infatti, Ia religione comporta un rendere onore a Dio con il culto, il che
e contraddetto dall'alto della bestemmia che intende disonorarlo.
47 A noi sorprende come i contenuti qui esposti vengano, da Tommaso, elencati in via piu esemplificativa che
altro: evidentemente al suo tempo essi erano ritenuti pressoche ovvi per il sentire comune, mentre per il sentire
comune odierno, almeno alcuni di essi, sembrano non esserlo quasi piu e occorre giungere a dimostrarli con
costruttivo rigore.
Capitola III - La verita della religione 191
Ora, come I' ente e il prima principia che entra in gioco nell' apprendere come tale, cos!
il bene e il prima principia che entra nella conoscenza pratica, che e ordinata all'agi
re: ogni agente, infatti, agisce in vista di un fine, che rappresenta un bene. Per cui il
prima principia della ragione pratica e quello che si fonda sulla nozione stessa di bene:
"il bene e cio che tutti vogliono".
[ibidem]
Ne derivano una serie di conseguenze che sono i precetti della Iegge naturale che
corrispondono alle inclinazioni insite nella natura (intesa da Tommaso come essenza
dell'uomo e non come spontaneita sregolata) dell'essere umano.
Per cui in base all' ordine delle inclinazioni naturali si ha 1 'ordine dei precetti della
Iegge naturale.
- In prima luogo troviamo nell'uomo l'inclinazione verso il bene secondo la natura
che ha in comune con le altre sostanze, e cioe la tendenza alia conservazione nell'es
sere secondo la propria natura. E in base a tale inclinazione riguardano la Iegge natu
rale le cose per le quali la vita dell'uomo viene conservata e quelle che, al contrario,
la impediscono.
- In secondo luogo, nell'uomo, e presente anche un'inclinazione verso comportamen
ti maggiormente specializzati che ha in comune con gli altri animali. In questa sensa
192 ALBERTO STRUMlA
si dice che sono secondo la legge naturale quei comportamenti che la natura ha inse
gnato a tutti gli animali, come l'unione del maschio e della femmina, l'educazione dei
figli, ecc.
-In terzo luogo, nell'uomo e presente l'inclinazione al bene secondo la natura razio
nale, che gli e propria, come quella che lo spinge a cercare di conoscere la vera natu
ra di Dio, e a vivere in societi'l. In questo senso sono secondo la legge naturale queUe
cose che riguardano tale inclinazione, come l'evitare l'ignoranza, il non offendere le
persone con cui si deve convivere, e tutte le altre cose di questo genere.
[ibidem]48
In relazione alle attivita proprie della natura razionale dell'uomo, che sono parte
costitutiva della sua natura - ovvero sono secondo la legge naturale - san Tommaso,
colloca anche quella di cercare la conoscenza della verita intorno a Dio. Con tale inda
gine razionale l'uomo puo scoprire, oltre all'esistenza di Dio, anche i suoi attributi
fondamentali.
Tra questi ve ne sono alcuni che suscitano, in modo particolare, nell'uomo la con
sapevolezza di essere debitore verso Dio, della propria esistenza e conservazione e del
proprio destino di beatitudine, al quale tende come al sommo bene e fine ultimo della
48 <<Praecepta legis naturae hoc modo se habent ad rationem practicam, sicut principia prima demonstrationum
se habent ad rationem speculativam, utraque enim sunt quaedam principia per se nota. Dicitur autem aliquid per
se notum dupliciter, uno modo, secundum se; alio modo, quoad nos. Secundum se quidem quaelibet propositio
dicitur per se nota, cuius praedicatum est de ratione subiecti, contingit tamen quod ignoranti definitionem subiec
ti, talis propositio non erit per se nota. sicut ista propositio, homo est rationale, est per se nota secundum sui natu
ram, quia qui dicit hominem, dicit rationale, et !amen ignoranti quid sit homo, haec propositio non est per se nota.
Et inde est quod, sicut dicit Boetius, in libro De hebdomad., quaedam sunt dignitates vel propositiones per se notae
communiter omnibus, et huiusmodi sunt illae propositiones quarum termini sunt omnibus noti, ut, omne totum est
maius sua parte, et, quae uni et eidem sunt aequalia, sibi invicem sunt aequalia. [ . . . ] Sicut autem ens est primum
quod cadit in apprehensione simpliciter, ita bonum est primum quod cadit in apprehensione practicae rationis, quae
ordinatur ad opus, omne enim agens agit propter finem, qui habet rationem boni. Et ideo primum principium in
ratione practica est quod fundatur supra rationem boni, quae est, bonum est quod omnia appetunt. Hoc est ergo
primum praeceptum legis, quod bonum est faciendum et prosequendum, et malum vitandum. Et super hoc fun
dantur omnia alia praecepta legis naturae, ut scilicet omnia ilia facienda vel vitanda pertineant ad praecepta legis
naturae, quae ratio practica naturaliter apprehendit esse bona humana. Quia vero bonum habet rationem finis,
malum autem rationem contrarii, inde est quod omnia ilia ad quae homo habet naturalem inclinationem, ratio natu
raliter apprehendit ut bona, et per consequens ut opere prosequenda, et contraria eorum ut mala et vitanda.
Secundum igitur ordinem inclinationum naturalium, est ordo praeceptorum legis naturae. Inest enim primo incli
natio homini ad bonum secundum naturam in qua communicat cum omnibus substantiis, prout scilicet quaelibet
substantia appetit conservationem sui esse secundum suam naturam. Et secundum bane inclinationem, pertinent
ad legem naturalem ea per quae vita hominis conservatur, et contrarium impeditur. Secundo inest homini inclina
tio ad aliqua magis specialia, secundum naturarn in qua communicat cum ceteris animalibus. Et secundum hoc,
dicuntur ea esse de lege naturali quae natura omnia animalia docuit, ut est coniunctio maris et feminae, et educa
tio liberorum, et similia. Tertio modo inest homini inclinatio ad bonum secundum naturarn rationis, quae est sibi
propria, sicut homo habet naturalem inclinationem ad hoc quod veritatem cognoscat de Deo, et ad hoc quod in
societate vivat. Et secundum hoc, ad legem naturalem pertinent ea quae ad huiusmodi inclinationem spectant, utpo
te quod homo ignorantiam vitet, quod alios non offendat cum quibus debet conversari, et cetera huiusmodi quae
ad hoc spectant>>.
Capitola III - La verita della religione 193
propria vita. Si tratta della presa di coscienza del fatto che Dio e creatore, provviden
te, giudice giusto e remuneratore, che si trova in non pochi pensatori e in diverse filo
sofie e tradizioni religiose dell' antichita pre-cristiana.
E da questa scoperta consapevole che trae origine come atto di giustizia "naturale",
in forza di una Iegge scritta nel suo cuore, Ia necessita, per l'uomo di rendere grazie e
onore a Dio mediante i1 culto della religione, che muove da un atteggiamento di inte
riore devozione e trova negli atti esteriori della religione, Ia sua manifestazione visibi
le, sia a livello individuale che sociale.
Non solo per i risultati di questa indagine speculativa, pen), «che solo pochi, a prez
zo di molto tempo e insieme a molti errori»,49 sarebbero in grado di condurre, l'uomo
e spinto a compiere gli atti della virtu di religione, rna principalmente da una sorta di
istintiva consapevolezza, da una forza strutturata con Ia sua stessa natura di creatura
razionale, che precede anche l'indagine speculativa in sensa vero e proprio. E Ia forza
della Iegge naturale.
Dunque, sembra di pater concludere necessariamente che una religione, per essere
detta vera, non puo contraddire i dettami della Iegge naturale che sta all' origine della
religione stessa, come virtu che compie ogni atto di giustizia verso Dio al quale l'uo
mo e debitore ontologicamente di tutto cio che e e di tutto cio che ha.
49 Cfr. /, q. 1, a. 1 co (<<Quia veritas de Deo, per rationem investigata, a paucis, et per Iongum tempus, et cum
admixtione multorum errorum, homini provenirel>>).
50 Si veda, a questo proposito, il seguente passo del /// Sent, d. 24, q. 1, a. 2b, co. <<Fides, ut dictum est, com
paratur ad aliquid dupliciter, scilicet per se et per accidens. et quod per se pertinet ad fidem, pertinet ad earn sem
per et ubique; ideo quod pertinet ad fidem ratione hujus vel illius, non est fidei per se, sed per accidens. ergo quod
simpliciter humanum intellectum excedit ad Deum pertinens, nobis divinitus revelatum, per se ad fidem pertinet;
quod au tern excedit intellectum hujus vel illius, et non omnis hominis, non per se sed per accidens ad fidem per
tine!. Ea autem quae omnem humanum intellectum excedunt non possunt per demonstrationem probari: quia
demonstratio in intellectu principiorum fundatur; et ideo hujusmodi non possunt esse scita, sed quaedam quae sun!
praecedentia ad fidem, quorum non est fides nisi per accidens, inquantum scilicet excedunt intellectum illius homi
nis, et non hominis simpliciter, possunt demonstrari et sciri; sicut hoc quod est Deum esse: quod quidem est cre
ditum quantum ad eum cujus intellectus ad demonstrationem non attingit: quia fides, quantum in se est, ad omnia
quae fidem concomitantur vel sequuntur vel praecedunt sufficienter inclinal>>.
194 ALBERTO STRUMIA
na, rna che viene rivelata sia per renderla piu accessibile a tutti in forma codificata e
inequivocabile - venendo in tal modo in aiuto alla natura umana, decaduta a causa del
peccato originale - sia per promulgarla come legge con l'autorita di Dio stesso.51
San Tommaso dedica un ampio spazio ad esaminare i comandamenti, offrendo,
anche in questa modo, una trattazione del criteria di verita della religione come con
formita alla legge naturale. Innanzitutto egli rileva come i precetti del Decalogo non
sono altro che una forma rivelata della legge naturale. In secondo luogo mette in evi
denza il fatto che essi hanna a che fare con la giustizia, in quanta chiamano in causa
un "dovuto" verso un "altro". In terzo luogo inquadra la religione, la pieta e la giusti
zia comunemente detta, entro la virtu della giustizia, evidenziando come: i primi tre
precetti del Decalogo riguardano la restituzione del "dovuto" a quell' Altro che ha la
massima dignita, cioe a Dio (religione); il quarto precetto riguarda il "dovuto" ai geni
tori, i parenti, i benefattori e la patria (pieta); i restanti sei riguardano la giustizia che
restituisce il "dovuto" da pari a pari (giustizia comunemente detta).
Questa distinzione si trova descritta sinteticamente nella //-//"' alla questione 122,
articolo 1 .
I precetti del Decalogo sono i primi precetti della Iegge ai quali Ia ragione naturale da
il proprio assenso, in quanto le sono del tutto manifesti. Inoltre il carattere di "qualco
sa di dovuto", che si richiede per parlare di precetto, ha a che fare propriamente con Ia
giustizia, che riguarda l'altro, perche per cio che riguarda se stessi sembra, almeno in
prima istanza, che l'uomo sia padrone di se stesso e che possa fare quello che vuole.
Ma nelle cose che riguardano gli altri e chiaro che l'uomo e obbligato a rendere all'al
tro cio che gli e dovuto. Percio bisognava che i precetti del Decalogo riguardassero Ia
giustizia. Per questo
- i primi tre sono inerenti agli atti della religione, che e Ia parte piu elevata della giu
stizia;
- il quarto precetto riguarda l'atto della pieta, che e una parte del Secondo livello della
giustizia;
- i restanti sei riguardano Ia giustizia comunemente detta, che regola i rapporti tra
coloro che sono di pari livello.
[II-II, q. 122, a. 1 co)52
51 A questo proposito il Magistero della Chiesa ha piu volte riproposto Ia dottrina to�ista circa Ia necessita
"morale" della rivelazione di contenuti di per se attingibili con Ia ragione naturale: in particolare si vedano le costi
tuzioni dogmatiche Dei Filius (concilio Vaitcano 1), in particolare a! cap. II, Dei verbum (concilio Vaticano II), n. 6
e l'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, particolarmente a! n. 67.
52 «Respondeo dicendum quod praecepta Decalogi sunt prima praecepta legis, et quibus statim ratio naturalis
assentit sicut manifestissimis. Manifestissime autem ratio debiti, quae requiritur ad praeceptum, apparel in iusti
tia, quae est ad alterum, quia in his quae spectant ad seipsum, videtur primo aspectui quod homo sit sui dominus,
et quod Iicea! ei facere quodlibet; sed in his quae sunt ad alterum, manifeste apparel quod homo est alteri obliga
tus ad reddendum ei quod debet. Et ideo praecepta Decalogi oportuit ad iustitiam pertinere. Unde tria prima prae
cepta sunt de actibus religionis, quae est potissima pars iustitiae; quartum autem praeceptum est de actu pietatis,
quae est pars iustitiae secunda; alia vero sex dantur de actibus iustitiae communiter dictae, quae inter aequales
attenditur>>.
Capitola III La verita della religione
- 195
In questo modo viene dato il fondamento "legale" della religione, in quanto gli atti
della religione sono comandati dalla legge naturale, il cui contenuto e espresso, in
forma rivelata, nel Decalogo. In particolare, in quest'ultimo, essi sono codificati nei
primi tre precetti che vengono, cosi, a stabilire, con il loro contenuto, anche i caratte
ri irrinunciabili di autenticita di una religione, cioe della sua "verita ontologica".
Secondo Tommaso tali caratteri sono, dunque:
- il "monoteismo" che riconosce un unico Dio con i suoi "veri" attributi (primo
comandamento)
il rispettoso "nominare" Dio, chiamandolo in causa (secondo comandamento)
i1 "culto" pubblico (terzo comandamento)
con tutte le conseguenze che ne derivano.
Gli articoli 2, 3 e 4 della stessa questione53 analizzano questi tre caratteri di una reli
gione che si possa riconoscere come autentica, e, quindi, offrono un criterio utilizza
bile anche ai fini di un suo riconoscimento legislativo. Mancando la prima caratteri
stica una religione degenera in ateismo (se non riconosce alcun Dio), in idolatria e
superstizione (se riconosce piu di uno o riconosce come Dio una creatura).54 Mancando
la seconda, degenera in irreligiosita, in quanto manca del dovuto rispetto nel rapporto
con Dio. Mancando la terza, si riduce a devozione privata, a spiritualismo e intimismo.
Queste tre caratteristiche devono sussistere insieme per poter parlare di autentica reli
gione.
I restanti comandamenti del Decalogo enunciano la legge naturale per cio che
riguarda i1 rapporto con i1 prossimo e non direttamente i1 rapporto dell'uomo con Dio.
In questo senso non chiamano in causa "direttamente" la religione, tuttavia la chia
mano in causa in forma "indiretta". Una !oro violazione, infatti, compromette l'auten-
ticita del "culto" reso a Dio, perche non si puo rendere onore ( culto) al Creatore com
piendo un'ingiustizia nei confronti delle Sue creature. Di conseguenza, qualunque vio
lazione della legge naturale compromette, in misura piii o meno rilevante, la stessa
"verita ontologica" di una religione.55
Cosl, ad esempio, una religione che prevedesse i sacrifici umani non puo essere cer
tamente considerata "vera", autentica religione. In termini piii vicini a noi, non sareb
be da considerare autentica una religione che predichi 1' odio e la violenza. In questi
casi non si tratterebbe semplicemente di compromettere la "verita" logica, rna si ver
rebbe ad intaccare la "verita ontologica", contraddicendo la natura, la definizione stes
sa della religione.56
La medesima problematica del rapporto tra legge naturale rivelata (lex divina) e reli
gione e trattata dall' Aquinate anche nella Summa contra gentiles (L. 3, cc. 1 18-121): e
significativo osservare come in questa luogo, il termine religio compaia solo 2 volte,
essendo di fatto sostituito con il termine cultus (46 volte) e soprattutto, come cio che in
II-11, q. 122, si riferisce alla religio, venga ora riferito alla recta fides (6 volte) .
E necessario che noi veniamo guidati alia fede vera dalla Iegge divina. Infatti Ia Iegge
divina ha lo scopo di ordinare l'uomo ad essere interamente di Dio.
E come l'uomo puo essere interamente di Dio amandolo, con Ia sua volonta, cosi lo e
credendo in Lui con il proprio intelletto.
Non certo credendo a delle falsita, perche Dio che e Ia verita non puo proporre all'uo
mo niente di falso. Per cui chi crede a delle falsita non sta credendo in Dio.
[CG, L. 3, c. 118, n. 3]58
55 Questo modo di considerare Ia religione va ben a! di Ia della semplice analisi storico fenomenologica, che
considera "religione" ogni forma di culto, organizzata in una modalita collettiva, tributata ad un'entita che venga
riconosciuta come un dio da coloro che Ia praticano. Piuttosto tende ad identificare l'autenticita delle espressioni
religiose sulla base di una definizione di religione che risponde alia vera natura del culto, come Dio stesso rivela
di desiderarlo (nel Decalogo) e come una ragione naturale rigorosamente impiegata, metafisicamente e antropo
logicamente attrezzata, e in grado di conoscere. Cfr. anche A. ALEssi, Sui selllieri del sacra , op. cit., p. 321.
...
56 «Ogni qual volta viene fatta violenza in nome della religione, dobbiamo chiarire a tutti che, in tali circostan
ze, non ci troviamo di fronte alia vera religione>> (Giovanni Paolo II, Discorso in occasione dell'incontro con i capi
musulmani, Ahuja, 22 marzo 1998, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana,
vol. XX1.1, Citta del Vaticano, p. 607, testo inglese).
57 Cfr. IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4"m; II-II, q. 94, a. 1, ad l"m; II-II, q. 100, a. 1 , ad 1"'" ; Contra imp, ps I.
58 «Oportet igitur quod ex lege divina in fidem rectam inducamur. Item lex divina ad hoc ordinal hominem ut sit
totaliter subditus Deo. Sed sicut homo subditur deo amando quantum ad voluntatem, ita subditur Deo credendo
quantum ad intellectum. Non autem credendo aliquid falsum: quia a Deo, qui est veritas, nullum falsum homini
proponi potest; unde qui credit aliquod falsum, non credit Deo>>.
Capitola III La verita della religione
- 197
Dal momenta che lo scopo principale della Iegge divina e che l'uomo sia interamente
di Dio e gli tributi un particolare riverente ossequio, non solo con il cuore, rna anche
con le parole e i gesti, in Es 20, dove viene epsosta Ia Iegge divina, si proibisce il poli
teismo, quando si dice (v. 3) non avrai altri dei al di fuori di me, non ti farai alcuna
scultura o immagine [ . . ]».59.
59 «Quia igitur haec est principalis legis divinae intentio ut homo deo subdatur, et ei singularem reverentiam
exhibeat non solum corde, sed etiam ore et opere corporali; ideo primitus, exod. 20, ubi lex divina proponitur,
interdicitur cultus plurium deorum, ubi dicitur: 3 non habebis deos alienos coram me, et non facies tibi sculptile,
neque omnem similitudinem, [ )».
...
60 Un'indagine sui passi di Tommaso, nei quali tale formula viene impiegata, non ha portato, pero, ad acquisire
nuovi elementi degni di rilievo ai fini del nostro problema, per cui omettiamo di riportame i risultati.
198 ALBERTO STRUMIA
ta Ia perdita dello statuto di religione, cioe della loro autenticita? Si puo ritenere auten
tica una domanda che non sa riconoscere Ia risposta? Rimane l'aspetto fenomenologi
co della religione, quello istituzionale, quello cultuale e culturale, oltre alia sincerita
dei seguaci che in buona fede Ia praticano, rna viene irreparabilmente compromessa Ia
natura della religione che e quella di rendere il dovuto onore a Dio («verra I' ora in cui
chiunque vi uccidera credera di rendere culto a Dio», Gv 16,2).
stemologico, un nuovo problema che e quello di dare una risposta corretta al proble
ma della fondazione universale della stessa nozione di legge naturale. L' Aquinate,
dunque, utilizza in ordine al problema dell'autenticita della religione, oltre alla sua
epistemologia, anche la sua dottrina sulla legge naturale.
Ai nostri giorni, si deve rilevare come il relativismo etico, che si accompagna a
quello epistemologico, non consente, quindi, di parlare adeguatamente di una religio
ne vera, in senso oggettivo, per due ragioni: perche vi sono sempre maggiori difficol
ta a riconoscere una verita oggettiva e ad ammettere una legge oggettiva, essendoci,
invece, maggiore facilita a considerare semplicemente una verita oggettivata e una
legge oggettivata, cioe poste positivamente, per convenzione. Si apre per noi, allora, il
duplice problema di una fondazione dell'epistemologia e di una fondazione dell'etica.
Si puo, dunque, concludere che non si puo sviluppare una teologia delle religioni di
ispirazione tomistica se non a partire da questi due fondamenti: quello dell'esistenza
della verita oggettiva e di una legge naturale conoscibile da tutti almeno nei suoi prin
cipi. In via provvisoria questi due fondamenti possono essere presupposti dalla teolo
gia, in attesa che una disciplina esterna alla teologia, a carattere scientifico-filosofico,
ne dia adeguata fondazione.
11 problema della verita logica della religione, cioe dei suoi enunciati dottrinali,
viene ricondotto da Tommaso ad altri due problemi: quello della fede/credenza, e quel
lo della/e rivelazione/i. 11 punto di raccordo tra religione e credenza consiste .nella tesi
secondo cui ogni religione e manifestativa di una forma di fede. 11 raccordo tra reli
gione e rivelazione/rivelazioni, si pone, poi, a due livelli: al livello della verita, in
quanto ogni verita e comunque causata dallo Spirito Santo, in quanto Dio e la verita
prima, causa di tutte le altre, ed in quanto Egli si e rivelato in Gesu Cristo. A livello
della fede, in quanto fede in Dio che si rivela: questo sara oggetto del prossimo capi
tola del nostro lavoro.
A proposito della dottrina della ispirazione/rivelazione Tommaso propane una
visione del tutto unitaria, dal punto di vista cognitivo, in merito al modo con cui Dio
eleva la mente (ispirazione) mediante 1' azione della grazia, fino a renderla adeguata a
ricevere quelle verita (rivelazione) che essa non sarebbe in grado di raggiungere con
le sue forze naturali. Questo processo cognitivo si realizza, secondo il modello di
Tommaso, allo stesso modo nell'autore sacro e nel singolo che riceve una forma pri
vata di rivelazione. La questione dei semina Verbi, la dove sono caratterizzabili come
aventi un'origine che eccede le capacita della ragione naturale, sembra potersi spiega
re correttamente ricorrendo a questo modello. L'Aquinate, negli esempi che riporta,
riferisce esplicitamente a profezie intorno a Cristo, tali forme di rivelazione privata, e
non appena a riferimenti alla paternita di Dio nei confronti degli uomini, o ad altri
attributi divini la cui conoscenza richiede la Rivelazione. Da questo punto di vista si
puo rilevare come la sua concezione sia addirittura eccedente rispetto alle esigenze
della odierna teologia delle religioni, in merito alla questione dei semina Verbi. Questo
200 ALBERTO STRUMiA
argomento, che nel presente capitola e stato inquadrato in rapporto alia questione della
verita, nel prossimo capitola verra approfondito in rapporto alia questione della rive
lazione e della ispirazione.
Nel capitola seguente affronteremo anche il problema dell'eventuale valore salvifi
co delle religioni, a partire dagli elementi che sembrano pater essere ricavati dalla dot
trina tomista della fede implicita, e cercheremo di vedere se e come le religioni pos
sano avere un ruolo di mediazione della fede in ordine alia salvezza.
CAPITOLO IV
in questo capitola si indagheranno i termini del rapporto tra religione, fede, rive
lazione e salvezza, cercando di individuare elementi di collegamento tra le conside
razioni che abbiamo svolto a partire da una visione tomista e la dottrina teologica piu
generale dei semina Verbi. Nel § 1 esamineremo le relazioni intercorrenti, nei testi di
san Tommaso, tra religione e fede, e in quale senso si possa oggi intendere e in certo
modo estendere, a nostro avviso, 1' affermazione secondo la quale ogni religione e una
sorta di <<protestatio fidei»; cercheremo di vedere, anche, quale rapporto vi sia, a par
tire dai testi tomisti, tra religione e salvezza, tra appartenenza ad una religione e
appartenenza alia Chiesa. Nel §2 studieremo il rapporto tra religione e rivelazione,
prendendo in considerazione il termine "rivelazione" sia nell'accezione che lo riferi
sce all'unica Rivelazione pubblica custodita dalla Chiesa, sia in quella che lo riferi
sce aile rivelazioni private autentiche o presunte. Infine, nel §3 vedremo come lo stes
so Dottore Angelico affronta i problemi del "dialogo" con i non cristiani e della tol
leranza.
1 «Poiche l'uomo dipende totalmente da Dio come suo Creatore e Signore e Ia ragione creata e sottomessa com
pletamente alia verita increata, noi siamo tenuti, quando Dio si rivela, a prestargli, con Ia fede, Ia piena sottomis
sione della nostra intelligenza e della nostra volonta Quanto a questa fede, inizio dell'umana salvezza, Ia Chiesa
cattolica professa che essa e una virtu soprannaturale, per Ia quale sotto l'ispirazione divina e con l'aiuto della gra
zia, noi crediamo vere le cose da Lui rivelate, non a causa dell'intrinseca verita delle cose percepite dalla luce natu
rale della ragione, rna a causa dell'autorita di Dio stesso, che le rivela, il quale non puo ne ingannarsi ne inganna
re. "La fede infatti", secondo Ia testimonianza dell'Apostolo, "e fondamento delle cose che si sperano e prova di
quelle che non si vedono" (Eb 11,1). Nondimeno, perche l'ossequio della nostra fede fosse conforme alia ragio
ne, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua
Rivelazione: cioe fatti divini e in primo luogo i miracoli e le profezie che, manifestando in modo chiarissimo l'on
nipotenza e Ia scienza infinita di Dio, sono segni certissimi della divina Rivelazione, adatti a ogni intelligenza. Per
questo Mose e i profeti, e soprattutto lo stesso Cristo Signore, fecero molti chiarissimi miracoli e profezie. Cosl
degli apostoli leggiarno: "Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con !oro e
confermava Ia parola con i prodigi che l'accompagnavano" (Me 16,20). E di nuovo sta scritto: "E cosl abbiamo
conferma migliore della parola dei profeti, alia quale fate bene a volgere I' attenzione, come a lampada che brilla
in luogo oscuro" (2 Pt 1,19). Quantunque l'assenso della fede non sia affatto un moto cieco dello spirito, nessu
no, tuttavia, puo prestare i1 proprio consenso alia predicazione del Vangelo, come e necessario per ottenere Ia sal-
202 ALBERTO STRUMIA
Vaticano I e nella costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano IJ.2 In alcuni brevi
passi, san Tommaso introduce 1' affermazione secondo la quale la religione e una sorta
di testimonianza, di manifestazione, fatta mediante atti esteriori,3 di (una) fede («quae
dam fidei protestatio»), come ad esempio nel brevissimo testo gia riportato nel capi
tolo II.
La fede e Ia prima cosa che si richiede nella religione: perche ogni religione, o
culto di Dio, e una manifestazione di una qualche forma di fede.
[IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1 ad 4um]4
vezza, senza l'illuminazione e l'ispirazione dello Spirito Santo, che rende a tutti soave l'aderire e il credere alia
verita. Percio Ia fede in se stessa, anche se non opera per mezzo della carita, e un dono di Dio, e l'atto di fede e
un'opera che riguarda Ia salvezza, con cui l'uomo offre a Dio stesso Ia sua Iibera obbedienza, acconsentendo e
cooperando alia sua grazia, alia quale potrebbe resistere. lnoltre, con fede divina e cattolica, si deve credere tutto
cio che e contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che Ia Chiesa propone di credere come divinamen
te rivelato sia con un giudizio solenne, sia nel suo Magistero ordinario e universale. Poiche "senza Ia fede e impos
sibile essere graditi a Dio" (Eb 1 1,6) e condividere le condizioni di suoi figli, nessuno puo essere mai giustificato
senza di essa e nessuno conseguira Ia vita etema se in essa non "perseverera fino alia fine" (Mt 10,22; 24,13).
Perche potessimo soddisfare al dovere di abbracciare Ia vera fede e di perseverare costantemente in essa, Dio, per
mezzo del Figlio suo Unigenito, ha istituito Ia Chiesa, e l'ha provvista con note evidenti della sua istituzione, per
che potesse essere riconosciuta da tutti come Ia custode e Ia maestra della parola rivelata. Nella sola Chiesa catto
lica, infatti, si riscontrano tutti quei segni cosl numerosi e cosl mirabili disposti da Dio per far chiaramente appa
rire Ia credibilita della fede cristiana. La Chiesa, anzi, a causa della sua ammirabile propagazione, della sua emi
nente santita, della sua inesausta fecondita in ogni bene, a causa della sua cattolica unita e della sua incrollabile
stabilita, e per se stessa un grande e perenne motivo di credibilita e una irrefragabile testimonianza della sua mis
sione divina. Sicche essa, come vessillo levato tra le nazioni, invita a se quelli che ancora non hanno creduto e
aumenta nei suoi figli Ia certezza, che Ia fede da !oro professata poggia su un solidissimo fondamento. A questa
testimonianza si aggiunge l'aiuto efficace della grazia che viene dall'alto. II benignissimo Signore, infatti, con Ia
sua grazia incita e aiuta gli erranti, perche possano "giungere alia conoscenza della verita" (J Tm 2,4) e conferma
con essa quelli che ha fatto passare dalle tenebre alia luce meravigliosa, perche perseverino in questa luce, non
abbandonando alcuno, se non e abbandonato. Per cui, non e affatto uguale Ia condizione di quelli che grazie al
celeste dono della fede hanno aderito alia verita cattolica e di quelli che, guidati da opinioni umane, seguono una
falsa religione. Quelli che, infatti, hanno ricevuto Ia fede sotto il Magistero della Chiesa non possono mai avere un
giusto motivo per mutare o dubitare della propria fede. Stando cosl le cose, "ringraziando con gioia il Padre, che
ci ha messi in grado di partecipare alia sorte dei santi nella luce" (Col 1,12), non trascuriamo una cosl grande sal
vezza, rna "tenendo fisso lo sguardo su Gesu, autore e perfezionatore della fede" (Eb 12,2), "manteniamo senza
vacil!are Ia professione della nostra speranza" (Eb 10,23)>> (Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei
Filius, cap. III, in DH, nn. 3008-3014).
2 << Con Ia divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti etemi della sua volonta
riguardo alia salvezza degli uomini, "per renderli cioe partecipi di quei beni divini, che trascendono Ia compren
sione della mente umana". II santo Concilio professa che "Dio, principio e fine di tutte le cose, puo essere cono
sciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a partire dalle cose create" (cfr. Rm 1 ,20); rna insegna
anche che e merito della Rivelazione divina se "tutto cio che nelle cose divine non e di per se inaccessibile alia
umana ragione, puo, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma
certezza e senza mescolanza d'errore">>, (Dei Verbum, n. 6).
3 Per un'analisi della religione, nei suoi diversi aspetti, come esteriorizzazione della fede, si puo vedere util
mente il cap. 6 di A. ALEsSI, Sui sentieri del sacro. lntroduzione alla filosofia della religione, Libreria Editrice
Salesiana, Roma 1998.
4 «Ad quartum dicendum, quod fides est primurn eorum quae ad religionem requiruntur: quia omnis religio, sive
cultus Dei, est quaedam fidei protestatio>>. Oltre ai passi riportati nel presente capitolo cfr. anche IV Sent, d. 1 , q. 1 ,
a . 2c, a d 2 � e Contra imp, p s I .
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 203
Tuttavia Tommaso non da qui prova di queste affermazioni che, nel contesto del
discorso, appaiono come ben note ai suoi contemporanei, e non bisognose di alcuna
giustificazione di fronte all'interlocutore. A proposito di questa formula occorre fare
una precisazione in merito alla traduzione. Infatti, dal momenta che la lingua latina
manca dell'articolo, la traduzione di «quaedam fidei protestatio» presenta una certa
ambiguita. Potremmo tradurre: «una qualche manifestazione/testimonianza della
fede», intendendo che ci si riferisce alla fede cristiana; oppure: «una qualche manife
stazione/testimonianza di fede», lasciando nella genericita questa "fede", ovvero
intendere che si tratti della «manifestazione/testimonianza di una qualche forma di
fede». Senza preoccuparci troppo di una rigida esegesi del testa e del contesto in cui
tale formula e stata effettivamente impiegata da Tommaso/ ci e sembrato utile, ai fini
di una possibile teologia delle religioni, prendere in considerazione gli sviluppi che
potrebbero emergere dalla seconda possibilita di traduzione, che ci e parsa compatibi
le con i principi di una teologia tomistica. In questo caso il termine fides si puo com
parare con una forma di credenza religiosa.
Tra i diversi testi nei quali Tommaso parla della religio come di una quaedam fidei
protestatio, quello appena riportato e particolarmente importante, perche "esplicita" il
fatto (che comunque e di per se ovvio) che, per poter dare una testimonianza sincera
di fede, la fede stessa deve essere presupposta e, quindi la religione, sinceramente pro
fessata, presuppone una qualche forma di fede. Senza una fede non si da religione: si
puo avere un sensa religioso personale, una ricerca filosofica religiosamente orienta
ta, rna non una religione con una sua organizzazione cultuale, sociale, pubblica, ecc.
Altrove, addirittura si aggiunge anche che la religione e una manifestazione esterna
non solo di una "fede", rna anche di una "speranza" e di una sorta di "carita" (cfr. II
II, q. 101, a. 3, ad 1 •m).6 Tuttavia, come egli precisa, la religione non si identifica con
la fede, rna ne e solamente un'espressione esteriore.7 Tanto e vero che potrebbe acca
dere anche che venga data una testimonianza insincera con atti esterni di religione che
non corrispondono ad una fede interiore, o viceversa che gli atti esterni apparissero
contrari alla religione, al di la dell'intenzione di chi li compie. Infatti, come afferma
1' Aquinate, «la religione consiste in una forma di manifestazione di una fede, che
q. 101, a. 3, ad 1 "m). Una bella presentazione di come le virtu teologali influiscono sulla virtu di religione e vice
versa si puo trovare in D. MONGILLO, La virtu di religione secondo S. Tommaso, Pontificium Athenaeum
Angelicum, Romae 1962, pp. 54-67.
7 <<Ad primum ergo dicendum quod sicut religio non est fides, sed fidei protestatio per aliqua exteriora signa, ita
superstitio est quaedam infidelitatis protestatio per exteriorem cultum>> (II-II, q. 94, a. 1, ad 1 •m).
204 ALBERTO STRUMlA
pen) talvolta qualcuno potrebbe non avere nel cuore, cosi anche i vizi contro la r e l i
gione sono una forma d i manifestazione d i una infedelta, che talvolta potrebbe non
esserci nell'intenzione».8 Altrove egli aggiunge una precisazione particolarmente
importante, la dove afferma che la fede e la causa della religione: «la fede e la causa
della religione, i1 suo principia. Infatti nessuno deciderebbe di tributare un culto a Dio,
se non ritenesse, per fede, che Dio e creatore, governatore e remuneratore degli atti
umani».9
Ma di che tipo di fede si tratta? E quale relazione puo avere con la fede della
Chiesa? Certamente nella sua pienezza la religione praticata dai fedeli cristiani catto
lici e la manifestazione esteriore della fede della Chiesa, virtu teologale esplicita e
piena. In quest' ottica per "fede" si intende inequivocabilmente la fede virtu teologale
e per "religione" si intende la christiana religio. Questo e il modo secondo il quale
sembrano essere stati interpretati, tradizionalmente, i testi di Tommaso sull'argomen
to.10 In questa interpretazione la dizione «omnis», riferita a religio dovrebbe significa
re "ogni atto di religione", piuttosto che "ogni religione".
Tuttavia, a nostro avviso, sembra legittimo, andando probabilmente al di la di un'er
meneutica letterale del testo, interpretare i testi dell' Aquinate, meno restrittivamente,
attribuendo alla religio dei gradi di perfezione diversificati nel modo di attuarsi, cul
minanti nella christiana religio, per trarne dei principi utili in vista del nostro proble
ma. Ogni religione (e non tanto ogni atto di religione), nella misura in cui e "vera",
cioe conforme alla legge naturale, e manifestazione esteriore di una qualche fede, piu
o meno implicita, iniziale, incompleta fin che si vuole, rna pur sempre di una fede in
Dio creatore, provvidente e remuneratore. Addirittura anche in una religione non
autentica vi e una sorta di fede, rna questa non avrebbe come oggetto Dio creatore e
provvidente, rna qualcosa d'altro, erroneamente considerato come un dio. Questo
modo di interpretare i testi in questione sembra essere sostanzialmente in sintonia
anche con il modo in cui Tommaso ha affrontato altri problemi. Si pensi, ad esempio,
al problema della verita, in relazione al quale egli non ha esitato a riconoscere che
omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est, e che, addirittura, i profeti del
8 «Ad primum ergo dicendum quod sicut religio consistit in quadam fidei protestatione, quam tamen interdum
aliquis non habet in corde; ita etiam vitia opposita religioni habent quandam protestationem infidelitatis, licet
quandoque non sit infidelitas in mente>> (//-//, q. 100, a. 1, ad 1 �).
9 «Fides est religionis causa et principium. Non enim aliquis eligeret cultum Deo exhibere, nisi fide teneret
Deum esse creatorem, gubematorem et remuneratorem humanorum actuum>> (De Trin, ps. 3, a. 2 co, n. 5).
10 Sembra essere questa i1 significato in cui viene intesa Ia religione, come protestatio della fede cattolica, ad
esempio, nella studio gia citato di Padre Dalmazio Mongillo: <<Per lui [san Tommaso] la religione e una "prate
statio" della fede, speranza e carita, cioe delle virtu che per prime, ordinano l'uomo a Dio. Avendo Dio per ogget
to immediato, le virtu teologali causano, con il loro impero, !'alto della religione Ia quale opera alcune case in ordi
ne a Dio. [ . . . ] Gli atti del culto sono percio, un attestato, una prova, della nostra fede in Lui, della nostra sepran
za nella sua onnipotenza soccorritrice, del nostro amore per Ia sua banta infinita>> (D. MONGILW, La virtU di reli·
gione... , op. cit., pp. 54-55).
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 205
demonio possono dire qualche verita, la quale comunque viene da Dio, anche quando
fosse suggerita lora dal demonio stesso per attrarre gli uditori (cfr. supra, capitola Ill).
Per cercare di chiarire i termini di questa fede, che si presuppone in ogni autentica
religione, cercheremo di esaminare alcuni elementi del trattato sulla fede della stesso
Dottore Angelico.
11
Altri luoghi del Magistero in cui si tratta della "credenza" neUe religioni a confronto con Ia "fede" della
Chiesa sono stati presi in esame nel Capitolo I.
12
<<L' uomo non e fatto per vivere solo. Egli nasce e cresce in una famiglia, per inserirsi piu tardi con il suo lavo
ro nella societa. Fin dalla nascita, quindi, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto il lin
guaggio e Ia formazione culturale, rna anche molteplici verita a cui, quasi istintivamente, crede. La crescita e Ia
maturazione personale; comunque, implicano che queste stesse verita possano essere messe in dubbio e vagliate
attraverso Ia peculiare attivita critica del pensiero. Cio non toglie che, dopo questo passaggio, queUe stesse verita
siano "ricuperate" sulla base dell' esperienza che se ne e fatta, o in forza del ragionamento successivo>> (Fides et
ratio, n. 31).
13
<<Nel credere, ciascuno si affida aile conoscenze acquisite da altre persone. E ravvisabile in cio una tensione
significativa: da una parte, Ia conoscenza per credenza appare come una forma imperfetta di conoscenza, che deve
perfezionarsi progressivamente mediante l'evidenza raggiunta personalmente; dall'altra, Ia credenza risulta spes
so umanamente piu ricca della semplice evidenza, perche include un rapporto interpersonale e mette in gioco non
solo le personali capacita conoscitive, rna anche Ia capacitii piu radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in
un rapporto piu stabile ed intimo con !oro>> (ivi, n. 32).
206 ALBERTO STRUMlA
14 <<Nonostante questo, nella vita di un uomo Ie verita semplicemente credute rimangono molto piu numerose di.
quelle che egli acquisisce mediante Ia personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare criticamente gli
innumerevoli risultati delle scienze su cui Ia vita modema si fonda? Chi potrebbe controllare per conto proprio il
flusso delle informazioni, che giomo per giomo si ricevono da ogni parte del mondo e che pure si accettano, in
linea di massima, come vere? Chi, infine, potrebbe rifare i cammini di esperienza e di pensiero per cui si sono
accumulati i tesori di saggezza e di religiosita dell'umanita? L' uomo, essere che cerca Ia verita, e dunque anche
colui che vive di credenza>> (ibidem).
15
<<Da quanto ho fin qui detto, risulta che l'uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente interminabi
le: ricerca di verita e ricerca di una persona a cui affidarsi. La fede cristiana gli viene incontro offrendogli Ia pos
sibilita concreta di vedere realizzato Io scopo di questa ricerca. Superando lo stadio della semplice credenza, infat
ti, essa immette l'uomo in quell'ordine di grazia che gli consente di partecipare al mistero di Cristo, nel quale gli
e offerta Ia conoscenza vera e coerente del Dio Uno e Trino. Cosi in Gesu Cristo, che e Ia Verita, Ia fede ricono
sce I' ultimo appello che viene rivolto all'umanita, perche possa dare compimento a cio che sperimenta come desi
derio e nostalgia» (ivi, n. 33).
16
<<Deve essere, quindi, fermamente ritenuta Ia distinzione tra Ia fede teologale e Ia credenza nelle altre reli
gioni. Se Ia fede e I'accoglienza nella grazia della verita rivelata, "che permette di entrare all'intemo del mistero,
favorendone Ia coerente intelligenza", Ia credenza nelle altre religioni e quell' insieme di esperienza e di pensiero,
che costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosita, che I'uomo nella sua ricerca della verita ha ideato e
messo in atto nel suo riferimento al Divino e all'Assoluto. Non sempre tale distinzione viene tenuta presente nella
riflessione attuale, per cui spesso si identifica Ia fede teologale, che e accoglienza della verita rivelata da Dio Uno
e Trino, e Ia credenza nelle altre religioni, che e esperienza religiosa ancora alia ricerca della verita assoluta e priva
ancora dell'assenso a Dio che si rivela. Questo e uno dei motivi per cui si tende a ridurre, fino talvolta ad annul
larle, le differenze tra i1 cristianesimo e Ie altre religioni» (Dominus Jesus, n. 7). Su questi temi si puo vedere, ad
esempio, I' articolo di A.-M. LEONARD, L 'uomo in cammino verso Ia fede. Credenza e fede, in L 'Osservatore roma
no, 7 novembre 1998, che prende Ie mosse dalla Fides et ratio per delineare i compiti della teologia fondamenta
le oggi.
17 Sarebbe fuorviante ricercare il Tommaso il lemma <<credentia», trasponendolo dall'italiano in Iatino, in quan
to quest'ultimo significa per lui i1 credito in denaro che viene dato in prestito ad interesse; di conseguenza esso
compare solo nei luoghi nei quali si tratta dell'usura.
18
<<Quamquam et ipsum credere, nihil aliud est, quam cum assensione cogitare» (De praedestinatione sancto
rum tiber unus, ad Prosperum et Hilarium, 2, 5). Difficile e rendere in italiano il latino agostinainao <<cogitare»:
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 207
Un altro aspetto legato all'esperienza del soggetto che crede, e quello delle conse
guenze morali che derivano dal credito dato ad una persona e ai suoi insegnamenti,
cioe il passaggio da un'adesione puramente teorica («assenso nozionale»), al cambia
mento nella condotta di vita che comporta un' adesione pratica ( «assenso reale» ). Si
tratta di un elemento di particolare rilievo nell'ambito dell'adesione ad una religione,
ed in particolare alia fede cristiana, sia se viene considerato sotto 1' aspetto del carisma
trainante di un fondatore, che sotto l'aspetto degli elementi motivanti di colui che si
letteralmente sta per pensare, rna queso verbo in italiano esprime principalmente il giudcare e il ragionare, rna non
l'intuire immediatamente e neppure i1 senso di apprezzamento e di attrattiva per un bene che deriva dalla fede. E
sembrato, allora, meglio tradurre con considerare, soluzione che se pur non del tutto soddisfacente, sembra espri
mere meglio le diverse sfumature di signficato che qui entrano in gioco.
19 A proposito della dimensione dell'esperienza di fede del soggetto che crede in Cristo vanno ricordati come
studi ormai divenuti riferimenti classici, J. MOUROUX, Ia credo in te. Struttura personale della fede, Morcelliana,
Brescia 1966 e, dello stesso autore, L'esperienza cristiana. Introduzione a una teologia, Morcelliana, Brescia
1956.
20 <<Fidelis credit homini non inquantum homo, sed inquantum Deus in eo loquitur, quod ex certis experimentis
colligere potest>>. Infatti: <<credere homini absque ratione probabili est nimis cito credere: quia cognitio unius
hominis non est naturaliter ordinata ad cognitionem alterius, ut per ipsam reguletur. Sed hoc modo ordinata est ad
veritatem primam>> (III Sent, d. 24, q. 1, a. 3b ad 1 'm).
208 ALBERTO STRUMIA
converte e aderisce ad una fede religiosa. Questo passaggio e stato evidenziato assai
efficacemente da J.H. Newman nella sua Grammatica dell'assenso: «A questi assensi
si da talora il nome di credenze, convinzioni, certezze. [ . . . ] Senza provare un assenso
del genere, anche se possediamo un' apprensione piena ed un pieno assenso nozionale
manchiamo d'un vero ancoraggio intellettuale [ . . . ] sia per quanta conceme la nostra
condotta sia in fatto d'azione sociale o politica e di religione. Solo una siffatta cre
denza [ . . . ] riesce a creare eroi, santi, grandi capi politici, predicatori, riformatori».21
Tommaso non si cimenta nel dettaglio di questa tipo di descrizioni esperienziali,
perche non e questa lo scopo delle sue opere, ne il suo stile di teologo sistematico.
Egli, piuttosto, offre l'analisi degli elementi metafisici e teologici che sono alia base
di questi fattori dell'esperienza: questi sono da ritrovarsi nel gioco della mutua
influenza di intelletto e volonta, nella comune azione dei sensi e delle passioni sulla
razionalita, nell'opera della grazia sull'animo umano. Tutto questa viene come pre
supposto quando egli affronta il trattato sulla fede, avendone gia parlato diffusamente
nei trattati sull'uomo delle sue opere (cfr. ad es., J, qq. 75-102).
Pur riconoscendo che la trattazione di san Tommaso, in questa contesto, non verte
direttamente ne sulla nozione di credenza ne su quella di religione, riteniamo che una
riflessione a partire dal concetto di verita possa aiutare a comprendere gli elementi di
veridicita presenti anche nel campo della credenza e della religione.
La domanda in un certo sensa nuova, che oggi in piil si apre con 1' avvio di una teo
logia delle religioni, e se vi sia uno "spazio", sia epistemologico che teologico, tra la
semplice "credenza" umana, che di per se e frutto della ragione naturale (intelletto
mosso dalla volonta) e la "fede" come virtu teologale, completa (perfecta) che richie
de necessariamente l'azione della grazia, per collocarvi quella "credenza religiosa"
che si attua nell'ambito di una "religione vera" e che potrebbe, in alcuni casi, anche
accogliere elementi di contenuto propri della Rivelazione e non raggiungibili a livello
puramente naturale.22 Che tipo di fede si richiederebbe per una simile adesione?
Sembrerebbe qualcosa di piil di una fede "implicita" dei singoli individui, in quanta si
attua mediatamente, attraverso l'appartenenza ad una comunita che professa una reli
gione: probabilmente si potrebbe chiamare fede "incoativa",23 o "incompleta", che
21
J.H. NEWMAN, La grammatica dell'assenso, Jaca Book, Milano 1980, p. 54.
22 Ricordiamo che una religione e da ritenersi vera, per Tommaso, se e conforme aile Iegge naturale (cfr. il pre
cedente Capitola III).
23 Questo !ermine viene utilizzato due volte, ad esempio nel documento del Pontificio Consiglio Per II Dialogo
Interreligioso e della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio, anche se non e abbi
nato letteralmente al !ermine "fede", rna sembra esserlo sostanzialmente: «I membri delle altre tradizioni religio
se sono ordinati o orientati (ordinalltur) alia Chiesa, in quanto essa e il sacramento in cui il regno di Dio e "miste
riosamente" presente, giacche, nella misura in cui essi rispondono alia chiamata di Dio percepita nella !oro
coscienza, sono salvati in Gesu Cristo e condividono quindi gia, in qualche modo, Ia realta significata dal Regno.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 209
"attinge" alla fede virtu teologale solo semina/mente, come attraverso dei seminaria
virtutis di cui Tomrnaso parla a proposito delle virtu cardinali: quindi non e virtu, ne
tanto meno virtu teologale, pur essendo qualcosa di piu di una semplice disposizione
alla virtu, possedendo gia qualche
E quindi puo ricevere, per azione della grazia, anche quei "semi di verita" che si
propongono come oggetti materiali del credere, senza che sia del tutto noto l'oggetto
formale (veritas divina) rivelato esplicitamente e completamente solo in Cristo e
custodito nella fede della Chiesa. Sulla base del breve passaggio di //-//, q. 101, a. 3,
ad 1 in cui si accenna al fatto che la religione e una manifestazione di una sorta di
u rn
"speranza" e di una sorta di "carita", si potrebbe forse addirittura azzardare che que
sta fede "incoativa" possa essere, in qualche modo accompagnata da qualche "seme di
carita".24
Ma oltre alla possibilita teorica di una simile eventualita, per verificarne l'applica
bilita, occorrerebbe vedere se, storicamente, una simile situazione sia, o sia stata mai,
presente in una qualche religione conosciuta.
La missione della Chiesa e far crescere i l Regno del Signore nostro e del suo Cristo (cfr. Ap 1 1,15), d i cui e serva.
Una parte di questo ruolo consiste quindi nel riconoscere che Ia realta incoativa di questo Regno si puo trovare
anche oltre i confini della Chiesa, per esempio nei cuori dei seguaci di altre tradizioni religiose, nella misura in cui
vivono valori evangelici e rimangono aperti all'azione dello Spirito. Si deve tuttavia rammentare che questa real
til e in verita allo stato incoativo; essa trovera il suo completamento nell' essere ordinata al regno di Cristo gia pre
sente nella Chiesa, rna che si realizzera pienamente solo nel mondo che verra>> (n. 35).
24 Si puo forse rilevare, a questo proposito, una certa consonanza con il passo agostiniano dei Soliloqui: <<O Dio,
che sei amato da ogni essere che puo amare, ne sia esso cosciente o no>> (Soliloqui, L. I, 1,2).
25 E utile ricordare Ia cronologia secondo Ia quale si susseguono queste opere: 1252-56 il Sent; 1257-58 la q. 14
del De Ver; 1271-72 Ia /l-/lae; 1272-73 (?) Sup Hebr, e notare come, pur nel passaggio dalle opere giovanili a
quelle mature Tommaso mantiene inalterata Ia sua epistemologia e Ia sua dottrina di fondo sull'argomento.
210 ALBERTO STRUMiA
l'enunciazione, concede o nega. Percio in questa operazione si trova Ia fede, che com
porta un assenso.26
11 testo della Summa omette questa premessa sulle operazioni dell'intelletto, che
assume come nota e ovvia, e passa direttamente a considerare il secondo passaggio.
Mentre il primo si trova anche nel commento alia Lettera agli Ebrei.
26 <<Respondeo dicendum ad primam quaestionem, quod, sicut dicit philosophus in III De anima, duplex est ope
ratio intellectus. una quae comprehendit quidditates simplices rerum; et haec operatio vacatur a philosophis for
matio vel simplex intelligentia; et huic intellectui responde! vox incomplexa significans hunc intellectum: unde
sicut in voce incomplexa non invenitur veritas et falsitas, ita nee in hac operatione intellectus: et ideo sicut vox
incomplexa propter hoc quod non est in ea veritas et falsitas, non conceditur nee negatur; ita secundum bane ope
rationem intellectus non assentit vel dissentit: et propter hoc in hac operatione non potest inveniri fides, cujus est
assentire; sed in alia operatione, qua intellectus componit et dividit, in qua jam invenitur verum et falsum, sicut in
enuntiatione: et propter hoc intellectus in hac sua operatione assentit vel dissentit, sicut et enuntiatio conceditur
aut negatur: Et ideo in hac operatione invenitur fides, quae habet assensum».
27 <<Intellectus enim nostri, secundum philosophum in Lib. De anima, duplex est operatio. Una qua format sim
plices rerum quidditates; ut quid est homo, vel quid est animal: in qua quidem operatione non invenitur verum per
se et falsum, sicut nee in vocibus incomplexis. Alia operatio intellectus est secundum quam componit et dividit,
affirmando vel negando: et in hac iam invenitur verum et falsum, sicut et in voce complexa, quae est eius signum.
Non autem invenitur credere in prima operatione, sed solum in secunda: credimus enim vero, et discredimus fal
sum. Unde etiam et apud Arabes prima intellectus operatio vacatur imaginatio intellectus, secunda autem vocatur
fides, ut patet ex verbis Commentatoris in III De anima».
212 ALBERTO STRUMIA
- e come accade nel possesso abituale della scienza. L'attitudine a cogliere intuitiva
mente e a conoscere mediante la scienza dimno entrambe una certezza e una visione
piena.28
11 testa ha una struttura diversa rispetto ai precedenti per quanto riguarda 1' ordine
secondo il quale vengono introdotti i diversi passaggi, e contiene delle digressioni sul
"vero" e il "bene" in rapporto all'intelletto e alla volonta e sul rapporto tra fede e spe
ranza, rese necessarie per commentare la definizione di fede di Eb 11,1: «La fede e
fondamento delle cose che si sperano e prova di queUe che non si vedono (est autern
fides substantia sperandarum rerum, argumentum non apparentium)». Tuttavia l'im
pianto epistemologico e sostanzialmente lo stesso degli altri testi.
Ora, "assentire" viene da "sentenza" che, come dice Isacco, e l'aderire ad una delle
due parti di una contraddizione: dunque chi da l'assenso determina l'intelletto a favo
re di una delle due parti di una contraddizione. E questo puo accadere in tre modi, in
dipendenza di un triplice modo di valutare da parte del nostro intelletto.
11 primo modo che l'autore presenta, coerentemente con la sua teoria cognitiva, e
quello del processo astrattivo con il quale l'intelletto agente smaterializza l'oggetto
osservato per offrime un'informazione (forma, species) universale all'intelletto possi-
28 «In actibus autem intellectus differentia est. Quidam enim sunt habitus intellectus, qui important omnimodam
certitudinem ad completam visionem eius quod intelligitur, sicut patet de intellectu, qui est habitus primorum prin
cipiorum, quia, qui intelligit quod omne totum est maius sua parte, videt hoc, et est certus. Hoc etiam facit habi
tus scientiae, et sic talis habitus intellectus et scientia, faciunt certitudinem et visionem>>.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 213
bile. A questa livello l'intelletto opera da solo, senza intervento della volontiL Questa
non ha ancora a che fare con il credere, rna e, piuttosto un "vedere".
In un primo modo l'intelletto puo essere considerato come a se stante. E in questa caso
esso viene determinato dalla presenza di qualcosa di intelligibile, come la materia
viene determinata dalla presenza di una forma. Questa succede per queUe cose che
sono rese intelligibili immediatamente dall'intelletto agente, come i primi principi dei
quali si ha una comprensione (immediata]. Come del resto accade anche per quanta
riguarda la stima compiuta dalla nostra parte sensitiva, per il modo in cui cio che e sen
sibile e sottoposto ai sensi, il principale e piu preciso dei quali e la vista. Ed e per que
sta ragione che questa modalita di conoscere dell'intelletto e chiamata anche "visione".
29 <<Cum autem ab assentiendo sententia dicatur, quae, ut dicit Isaac, est determinata acceptio alterius partis con
tradictionis; oportet quod qui assentit, intellectum ad alteram partem contradictionis determine!. Quod quidem
contingit tripliciter, secundum triplicem nostri intellectus considerationem. Potest enim intellectus noster conside
rari uno modo secundum se; et sic determinatur ex praesentia intelligibilis, sicut materia determinatur ex praesen
tia formae: et hoc quidem contingit in his quae statim lurnine intellectus agentis intelligibilia fiunt, sicut sunt prima
principia, quorum est intellectus: et similiter determinatur judicium sensitivae partis ex hoc quod sensibile subja
cet sensibus, quorum principalior et certior est visus; et ideo praedicta cognitio intellectus vocatur visio. Alio modo
potest considerari intellectus noster secundum ordinem ad rationem, quae ad intellectum terminatur, dum resol-
214 ALBERTO STRUMlA
Lo stesso tema viene affrontato in altri due testi, piu brevi, tratti dal De veritate e
dalla Summa theologiae.
vendo conclusiones in principia per se nota, earum certitudinem efficit: et hoc est assensus scientiae. Tertio modo
consideratur intellectus in ordine ad voluntatem; quae quidem omnes vires animae ad actus suos movet: et haec
quidem voluntas determinat intellectum ad aliquid quod neque per seipsum videtur, neque ad ea quae per se viden
tur, resolvi posse determinat, ex hoc quod dignum reputat illi esse adhaerendum propter aliquam rationem, qua
bonum videtur ei illi rei adhaerere; quamvis ilia ratio ad intellectum terminandum non sufficiat propter imbecilli
tatem intellectus, qui non videt per se hoc cui assentiendum ratio judicat; neque ipsum ad principia per se nota
resolvere valet: et hoc assentire proprie vocatur credere. Unde et fides captivare dicitur intellectum, inquantum non
secundum proprium motum ad aliquid determinatur, sed secundum imperium voluntatis: et sic in credente ratio
per se intellectum non terminal, sed mediante voluntate».
30 <<Intellectus autem possibilis, cum, quantum est de se, sit in potentia respectu omnium intelligibilium forma
rum, sicut et materia prima respectu omnium sensibilium formarum; est etiam, quantum est de se, non magis deter
minatus ad hoc quod adhaereat compositioni quam divisioni, vel e converso. Omne autem quod est indetermina
tum ad duo, non determinatur ad unum eorum nisi per aliquid movens ipsum. Intellectus autem possibilis non
movetur nisi a duobus; scilicet a proprio obiecto, quod est forma intelligibilis, scilicet quod quid est, ut dicitur in
III De anima, et a voluntate, quae movet omnes alias vires, ut Anselmus dicit».
31 Tommaso inserisce, per inciso, anche una breve divagazione sui Verbo divino e il verbo dell'intelletto umano
che abbiamo omesso per non spezzare Ia Jogica del discorso che qui ci interessava direttamente. Inoltre aggiunge
anche un terzo significato di «cogitare» che si riferisce alia facolta «cogitativa», Jegata al rapporto Ira J'intelletto
e i sensi, che pure e stata omessa per Ia medesima ragione.
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 215
32 «Respondeo dicendum quod cogitare tripliciter sumi potest. Uno modo, communiter pro qualibet actuali con
sideratione intellectus, sicut augustinus dicit, in XIV De Trin., bane nunc dico intelligentiam qua intelligimus cogi
tantes. alio modo dicitur cogitare magis proprie consideratio intellectus quae est cum quadam inquisitione, ante
quam perveniatur ad perfectionem intellectus per certitudinem visionis. [ . . . ] Et secundum hoc cogitatio proprie
dicitur motus animi deliberantis nondum perfecti per plenam visionem veritatis. [ . . . ] Si igitur cogitare sumatur
communiter, secundum primum modum, sic hoc quod dicitur cum assensione cogitare non dicit totam rationem
eius quod est credere, nam per hunc modum etiam qui considerat ea quae scit vel intelligit cum assensione cogi
tat. Si vero sumatur cogitare secundo modo, sic in hoc intelligitur tota ratio huius actus qui est credere>>.
33 «Fides autem neutrum horum dicit simpliciter, quia nee cum primis est sibi evidens, nee cum duobus ultimis
dubitat, sed determinatur ad alteram partem, cum quadam certitudine et firma adhaesione per quamdam electio
nem voluntariam. Hanc autem electionem facit divina auctoritas, per quam electionem determinatur intellectus, ut
firmiter inhaereat his quae sunt fidei, et eis certissime assentiatur. Et ideo credere est cum assensu cognoscere».
216 ALBERTO STRUMIA
Quando la ragione che orienta verso una delle due parti non basta da sola a deterrni
nare l'intelletto, perche non risolve le conclusioni in principi per se noti, ne e suffi
ciente a determinare la volonta al punto di farle ritenere un bene, l'aderire ad una di
esse, allora l'uomo considera un'opinione cio a cui aderisce, e il suo intelletto non e
univocamente deterrninato, perche gli rimane sempre qualcosa che lo spinge in senso
contrario e sta da una parte con un certo timore dell'altra. Per cui chi ha solo un'opi
nione non da un assenso.35
11 dubbio e quello di colui che non prende posizione, rna sospende il giudizio per
mancanza di elem�nti sicuri. Questa posizione e assolutamente incompatibile con la
fede, che e certa della scelta da prendere.
Quando un uomo non ha una ragione che lo fa pendere da una parte piu che dall'altra,
o perche non ne ha affatto, per mancanza di cognizioni, o perche ne ha di peso equi-
34 Questo atteggiamento non spegne il desiderio di ricerca, rna non nel senso di cercare un'altemativa a cio in
cui gia si crede, rna piuttosto nel senso di approfondire Ia conoscenza del proprio oggetto fino alia visione chiara
di esso: <<Cognitio fidei non quiescit desiderium, sed magis ipsum accendit, quia unusquisque desiderat videre
quod credit>> (<<La conoscenza mediante Ia fede non acquieta il desiderio, rna piuttosto lo eccende maggiormente,
percbe uno desidera vedere cio in cui crede») (CG, L. III, c. 40).
35 Vale Ia pena riportare qui, a proposito di "opinioni", un breve passaggio in cui, in tempi piu vicini a noi
J.H. Newman (1801-1890) ha caratterizzato le opinioni: <<Per "opinioni" d'un uomo si intende per lo piu il com
plesso di nozioni che egli ha accumulate e che non e facilmente disposto a ripudiare, benche non ne abbia prove
bastanti e non se le configuri molto chiaramente», J.H. NEWMAN, La grammatica dell'assenso, op. cit., p. 36. E
sulla credenza Ia breve definizione dello stesso autore: <<Per "prestare credenza" aile proposizioni intendo press' a
poco lo stesso che "non dubitame"», ivi, p. 33.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 217
valente per l'una come per l'altra, essendo in dubbio, allora in nessun modo da un
assenso, perche il suo giudizio non e determinato e non si sbilancia.
36 <<Patel ergo ex praedictis, quod cum assensione cogitare separat credentem ab omnibus aliis. Cum enim cogi
tatio discursum rationis importet, intelligens assensum sine cogitatione habet: quia intellectus principiorum est,
quae quisque statim probat audita, secundum Boetium in lib. De hebdomadibus. Sciens autem et assensum et cogi
tationem habet; sed non cogitationem cum assensu, sed cogitationem ante assensum: quia ratio ad intellectum
resolvendo perducit, ut dictum est; credens autem habet assensum simul et cogitationem; quia intellectus ad prin
cipia per se nota non perducitur: unde, quantum est in se, adhuc habet motum ad diversa, sed ab extrinseco deter
minatur ad unum, scilicet ex voluntate».
218 ALBERTO STRUMiA
all'assenso verso quanto viene detto, anche se l'intelletto non e vi stato indotto da
qualcosa che ha compreso da solo.
Per questo Agostino dice che l'uomo e capace di altre cose anche non volendo, ma del
credere solo se lo vuole.
Molto puntuale e anche Ia precisazione del modo paritetico in cui intelletto e volon
ta cooperano alia fede con i loro atti.
Nella fede, invece, assenso e ragionamento operano in certo modo alia pari. Perche
l'assenso non e causato dal ragionamento, rna dalla volonta, come si e detto. Ma, poi
eM [in questo caso] l'intelletto non viene determinato univocamente al proprio punto
di arrivo, come nel caso della visione intellettuale di qualcosa di intelligibile, ne deri
va che il suo movimento di ricerca non viene fermato, e continua a ragionare e a ricer
care intorno a cio che crede e che accetta fermamente. In se stesso esso non e soddi
sfatto, ne univocamente determinato, rna e determinato solo in forza di qualcosa di
esterno ad esso. Per questo si dice che l'intelletto del credente e "accattivato", tratte
nuto da qualcosa d'altro, che non viene da se stesso ("riducendo in cattivita ogni intel
letto, ecc.", II Cor. 10,5). Per cui anche nel credente puo sorgere un moto in contrario
a cio che egli crede fermamente, a differenza di cio che accade a colui che coglie
immediatamente con l'intelligenza o, mediatamente, con la scienza.37
37 «Sed in fide est assensus et cogitatio quasi ex aequo. Non enim assensus ex cogitatione causatur, sed ex volun
tate, ut dictum est. Sed quia intellectus non hoc modo terminatur ad unum ut ad proprium terminum perducatur,
qui est visio alicuius intelligibilis; inde est quod eius motus nondum est quietatus, sed adhuc habet cogitationem
et inquisitionem de his quae credit, quamvis eis firmissime assentiat. Quantum enim est ex seipso, non est ei sati
sfactum, nee est terminatus ad unum; sed terminatur tantum ex extrinseco. Et inde est quod intellectus credentis
dicitur esse captivatus, quia tenetur terminis alienis, et non propriis. II Corinth. 10,5: in captivitatem redigentes
omnem intellectum et cetera. lode est etiam quod in credente potest insurgere motus de contrario eius quod fir
missime tenet, quamvis non in intelligente vel sciente. Sic igitur per assensum separatur credere ab operatione qua
intellectus inspicit formas simplices quidditates, et a dubitatione, et opinione; per cogitationem vero ab intellectu;
sed per hoc quod habet assensum et cogitationem quasi ex aequo et simul a scientia».
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 219
- o per il fatto di aderire ad una delle due parti, rna con il timore che sia l'altra [ad
essere vera], come accade a chi ha un' opinione.
- Mentre l'atto del credere e caratterizzato da un'adesione ferma ad una delle due
parti, come quella di chi conosce mediante Ia dimostrazione scientifica o Ia compren
sione immediatamente intuitiva. Pur non essendo Ia sua conoscenza perfetta come in
una visione del tutto manifesta, come anche accade a chi dubita, sospetta o ha un'opi
nione.
Per cui e proprio del credente il considerare dando un assenso; ed e questo che distin
gue l'atto del credere da tutti gli altri atti dell'intelletto che hanno a che fare con il vero
e il falso.38
38 «Actuum enim ad intellectum pertinentium quidam habent firmam assensionem absque tali cogitatione, sicut
cum aliquis considerat ea quae scit vel intelligit, talis enim consideratio iam est formata. Quidam vero acius intel
lectus habent quidem cogitationem informem absque firma assensione, sive in neutram partem declinent, sicut
accidit dubitanti; sive in unam partem magis declinent sed tenentur aliquo levi signo, sicut accidit suspicanti; sive
uni parti adhaereant, tamen cum formidine alterius, quod accidit opinanti. Sed actus iste qui est credere habet fir
mam adhaesionem ad unam partem, in quo convenit credens cum sciente et intelligente, et tamen eius cognitio non
est perfecta per manifestam visionem, in quo convenit cum dubitante, suspicante et opinante. Et sic proprium est
credentis ut cum assensu cogitet, et per hoc distinguitur iste actus qui est credere ab omnibus actibus intellectus
qui sunt circa verum vel falsum».
39 «Ad prirnum ergo dicendum quod fides non habet inquisitionem rationis naturalis demonstrantis id quod cre
ditur. Habet tamen inquisitionem quandam eorum per quae inducitur homo ad credendum, puta quia sunt dicta a
Deo et miraculis confirmata».
220 ALBERTO STRUMIA
La fede, in realta, si colloca in una situazione intermedia, perche si e detto che la fede
induce un assenso nell'intelletto. Ora [l'assenso] puo avere due motivi.
- In un primo modo l'intelletto e indotto ad assentire dall'evidenza dell'oggetto, che e
immediatamente conoscibile in se stesso, come accade per i primi principi, o puo esse
re conosciuto riconducendolo a qualcosa di noto in se stesso, come accade nella scien
za astronomica.
- In un altro modo esso assente a qualcosa non per l'evidenza dell'oggetto che non lo
convince a sufficienza, per cui non e certo, rna lo lascia
= nel dubbio, quando non ha piu ragioni in favore di una parte di quante ne abbia per
l'altra;
= nell'opinione, quando ha delle ragioni a favore di una delle due parti, rna non e sicu
ro e teme che possa essere vera l'altra.40
40 <<Quaedam vero alia sunt, quae neutrum faciunt, scilicet dubitatio et opinio. Fides vero tenet medium inter
ista, quia dictum est quod fides facit assensum in intellectu, quod potest esse dupliciter. Uno modo quia intellec
tus movetur ad assentiendum ex evidentia obiecti, quod est per se cognoscibile, sicut in habitu principiorum, vel
cognitum per aliud quod est per se cognoscibile, sicut patet in scientia astronomiae. Alio modo assentit alicui non
propter evidentiam obiecti a quo non movetur sufficienter; unde non est certus, sed vel dubitat, scilicet quando non
plus habet rationem ad unam partem, quam ad aliam, vel opinatur, si habet quidem rationem ad unam partem, non
omnino quietantem ipsum, sed cum formidine ad oppositum>>.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 221
- riguardo all' atto interiore della fede, che oltre ad avere Dio come oggetto, a) lo
riconosce come fonte autorevole di rivelazione (credere Deo) e b) come bene
supremo che muove Ia volonta verso di Lui, inducendo a credere (credere in
Deum).
Occorre precisare che, a differenza dell'atto interiore, l'atto esteriore non specifica
in modo determinante Ia fede differenziandola da altre credenze religiose, in quanta
I' atto esteriore e proprio della religione prima che della fede e serve a manifestarla
pubblicamente. Potremmo dire che l'atto esteriore e cio che fa si che una fede si espri
ma, si dichiari e si strutturi in una religione.
Prima differenza specifica: Ia distinzione tra credenza e fede per rapporto all'oggetto
del credere
Se Ia "credenza", il "credere" in sensa generico, puo indirizzarsi verso qualunque
oggetto, anche di natura non religiosa, Ia fede, nel sensa proprio del termine, ha per
Tommaso come oggetto, formalmente inteso, Ia verita divina. Tutto cio che Ia fede
propane "materialmente" da credere (contenuti della Scrittura, della dottrina del
Magistero, ecc.) e comunque in funzione della verita divina.
I testi principali che documentano questa prima differenza che specifica Ia fede
sana:
41 <<Respondeo dicendum, ad primam quaestionem, quod in objecto alicujus potentiae contingit tria considera
re: scilicet id quod est formale in objecto, et id quod est materiale, et id quod est accidentale; sicut patet in objec
to visus: quia formale in ipso est lumen, quod facit colorem visibilem actu; materiale vero ipse color, qui est poten
tia visibilis; accidentale vero, sicut quantitas et alia hujusmodi, quae colorem comitantur. Et quia unumquodque
222 ALBERTO STRUMIA
agit secundum quod est in actu et per suam formam, objectum autem est activum in virtutibus passivis; ideo ratio
objecti, ad quam proportionatur potentia passiva, est id quod est formale in objecto; et secundum hoc diversifi
cantur potentiae et habitus, qui ex ratione objecti speciem recipiunt: et haec tria est invenire in objecto fidei. Cum
enim fides non assentiat alicui, nisi propter veritatem primam credibilem, non habet quod sit actu credibile nisi ex
veritate prima, sicut color est visibilis ex luce; et ideo veritas prima est formale in objecto fidei, et a qua est tota
ratio objecti. Quidquid autem est illud quod de Deo creditur, sicut est passum esse, vel aliquid hujusmodi, hoc est
materiale in objecto fidei; ea autem quae ex istis credibilibus consequuntur, sunt quasi accidentaliter. et ideo con
cedendum est, quod objectum fidei, proprie loquendo, est veritas prima>>.
42 <<Responsio. Dicendum, quod per se obiectum fidei veritas prima est. Quod sic accipi potest. Nullus enim
habitus rationem virtutis habet nisi ille cuius actus semper est bonus; aliter enim non esset perfectio potentiae. Cum
igitur actus intellectus sit bonus ex hoc quod verum considerat, oportet quod habitus in intellectu existens virtus
esse non possit, nisi sit talis quo infallibiliter verum dicatur; ratione cuius opinio non est virtus intellectualis, sed
scientia et intellectus, ut dicitur in VI Ethic. Hoc autem fides non potest habere quae virtus ponitur ex ipsa rerum
evidentia, cum sit non apparentium. Oportet igitur quod hoc habeat ex hoc quod adhaeret alicui testimonio, in quo
infallibiliter veritas invenitur. Sicut autem omne esse creatum, quantum est de se, vanum est et defectibile, nisi ab
ente increato contineretur; ita etiam omnis creata veritas defectibilis est, nisi quatenus per veritatem increatam rec
tificatur. Unde neque hominis neque angeli testimonio assentire infallibiliter in veritatem duceret, nisi in quantum
in eis loquentis Dei testimonium consideratur. Unde oportet quod fides, quae virtus ponitur, faciat intellectum
hominis adhaerere illi veritati quae in divina cognitione consistit, transcendendo proprii intellectus veritatem. Et
sic fidelis per simplicem et semper eodem modo se habentem veritatem liberatur ab instabili erroris varietate, ut
dicit Dionysius, capit. VII De divinis Nomin. Veritas autem divinae cognitionis hoc modo se habet, quod primo et
principaliter est ipsius rei increatae; creaturarum vero quodammodo consequenter, in quantum Deus cognoscendo
seipsum alia omnia cognoscit. Et ita fides, quae hominem divinae cognitioni coniungit per assensum, ipsum Deum
habet sicut principale obiectum; alia vero quaecumque sicut consequenter adiuncta>>.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 223
E interessante osservare come, per inciso, nello stesso articolo si precisa anche che
«l'opinione non e una virtu intellettuale», contrariamente a quanto sostiene il relativi
smo epistemologico, «dal momento che l'atto dell'intelletto e buono per il fatto di con
siderare il "vero"» e «perche un atto dell'intelletto sia una virtu occorre che enunci
infallibilmente il "vero">>.
Se consideriamo la ragione formate del suo oggetto, essa non e altro che la verita
prima, perche la fede della quale parliamo non da il suo assenso a niente se non per
che e rivelato da Dio. Per cui considera Ia verita divina come un termine medio.
Se, invece, consideriamo materialmente cio a cui la fede da il suo assenso, non solo e
Dio stesso, rna vi sono molte altre cose. Ma tutte cadono anche sotto l'assenso della
fede perche sono in ordine a Dio, in quanto cioe per un qualche effetto dell'azione
della divinita l'uomo e aiutato [attraverso di esse] a tendere verso l'esperienza di Dio.
E, quindi, anche in questo senso l'oggetto della fede e, in certo modo, la verita prima,
in quanto niente rientra nell'orizzonte della fede se non in ordine a Dio, come accade
per la medicina il cui oggetto e la salute e niente e considerato dalla medicina se non
per la salute. 43
43 «Respondeo dicendum quod cuiuslibet cognoscitivi habitus obiectum duo habet, scilicet id quod materialiter
cognoscitur, quod est sicut materiale obiectum; et id per quod cognoscitur, quod est formalis ratio obiecti. Sicut in
scientia geometriae materialiter scita sunt conclusiones; formalis vero ratio sciendi sunt media demonstrationis,
per quae conclusiones cognoscuntur. Sic igitur in fide, si consideremus formalem rationem obiecti, nihil est aliud
quam veritas prima, non enim fides de qua loquimur assentit alicui nisi quia est a Deo revelatum; unde ipsi veri
tali divinae innititur tanquam medio. Si vero consideremus materialiter ea quibus fides assentit, non solum est ipse
Deus, sed etiam multa alia. Quae tamen sub assensu fidei non cadunt nisi secundum quod habent aliquem ordinem
ad Deum, prout scilicet per aliquos divinitatis effectus homo adiuvatur ad tendendum in divinam fruitionem. Et
ideo etiam ex hac parte obiectum fidei est quodammodo veritas prima, inquantum nihil cadit sub fide nisi in ordi
ne ad Deum, sicut etiam obiectum medicinae est sanitas, quia nihil medicina considerat nisi in ordine ad sanita
tem>>.
224 ALBERTO STRUMIA
esista una forma di vita exta-terrestre, ad esempio, rientra nella credenza, mentre cre
dere che esista Dio, che sia onnipotente, creatore, ecc., rientra propriamente nella fede,
come qui intesa.
Possiamo aggiungere, tenendo conto di tutto quanto si e visto finora, che questo
primo livello della fede e comune sia alla fede della Chiesa che ad una qualunque
"vera religione". Una credenza religiosa "non vera" puo cadere nell' errore di non esse
re una religione "autentica" (venir meno della verita ontologica della religione) oppu
re in quello di portarsi su un oggetto improprio, o di credere cose non vere su Dio
(venir meno della verita logica della religione).
Abbiamo, cosi, individuato un primo senso in cui si puo dire che ogni religione e
una manifestazione di una forma di "fede". Fino a questo punto ci muoviamo ancora
a livello del senso religioso naturale e della ragione naturale che puo giungere,
mediante la ricerca filosofica, fino a dimostrare l' esistenza di Dio e a conosceme gli
attributi principali. Tuttavia, per la maggior parte degli uomini che aderiscono ad una
religione vera, tali verita di ragione non sono attinte per dimostrazione, rna per fede,
attraverso il credito dato a coloro che propongono quella religione come vera, dopo
aveme vagliato, in qualche modo, i motivi di credibilita.
Va notato, pero, che due dei passi di san Tommaso appena riportati (quello del De
veritate e quello della Summa) parlano comunque di un Dio che si rivela per proporsi
come oggetto della fede e non di una semplice ricerca umana di Dio. Questo pone il
problema del rapporto tra fede e rivelazione, e tra religione e rivelazione, di cui ci
dovremo occupare nella prossima sezione di questo capitolo (infra, §2). Qui possiamo
caratterizzare questa seconda differenza, seguendo sempre l'opera del Dottore
Angelico, per rapporto all'atto interiore della fede.
Seconda differenza specifica: la distinzione tra credenza e fede per rapporto all' atto
interiore del credere
L' atto della fede si differenzia dalla semplice credenza non solo per l' oggetto che e
Dio stesso (credere Deum) e non un uomo o un oggetto di qualunque altra natura, rna
anche per la fonte da cui proviene cio che viene proposto da credere, alla quale viene
dato credito, che e ancora una volta Dio (credere Deo), e per il bene conveniente che
muove la volonta all'assenso del credere, attirandola verso di se, che e sempre Dio
(credere in Deum).
I luoghi in cui viene trattata questa seconda differenza, che specifica ulteriormente
la fede rispetto alla credenza, sono
- 1/-II, q. 1, a. 2
A proposito della seconda questione si deve dire che, come risulta chiaro da quanto si e
gia detto, l'atto di colui che crede dipende da tre cose: dall'intelletto che viene determi
nato verso una sola delle due parti [della contraddizione], dalla volonta che determina
l'intelletto con Ia sua decisione, e da una ragione che orienta Ia volonta. E in rapporto a
queste si designano i tre [modi] dell'atto di fede.
- Per il fatto che l'intelletto viene determinato ad una sola parte, l'atto di fede e un "cre
dere Dio", perche l'oggetto della fede e Dio, in quanto e considerato in se stesso, o [per
che si considerano] le cose che lo riguardano, o le cose che vengono da Lui.
- Per il fatto che l'intelletto e determinato dalla volonta, l'atto di fede e un "credere in
Dio", un tendere verso di Lui per amore: perche amare e proprio della volonta.
- Per il fatto, poi, che c'e una ragione che orienta Ia volonta all'atto di fede, e un "cre
dere a Dio": Ia ragione per Ia quale Ia volonta e orientata ad assentire a cose che non
vede e il fatto che e Dio a parlare, come quando un uomo crede a cose che non vede sulla
base della testimonianza di una persona affidabile che ha visto quelle stesse cose che lui
non vede.44
"Credere a Dio" e "credere in Dio" non designano atti diversi, rna diverse circostanze
dello stesso atto della virtu.
- Nella fede, infatti, c'e un aspetto che riguarda Ia conoscenza, per il fatto che Ia fede e
"argomento", e in quanto al suo principia di argomentazione l'atto di fede si dice un "cre
dere a Dio'': colui che crede viene motivato ad assentire a qualcosa perche e detta da Dio.
44 «Ad secundam quaestionem dicendum, quod sicut ex praedictis pate!, actus credentis ex tribus dependet, sci
licet ex intellectu, qui terminatur ad unum; ex voluntate, quae determinat intellectum per suum imperium; et ex
ratione, quae inclinat voluntatem: et secundum hoc tres actus assignantur fidei. Ex hoc enim quod intellectus ter
minatur ad unum, actus fidei est credere Deum, quia objectum fidei est Deus secundum quod in se consideratur,
vel aliquid circa ipsum, vel ab ipso. Ex hoc vero quod intellectus determinatur a voluntate, secundum hoc actus
fidei est credere in Deum, ides! amanda in eum tendere: est enim voluntatis amare. Secundum autem quod ratio
voluntatem inclinat ad actus fidei, est credere Deo: ratio enim qua voluntas inclinatur ad assentiendum his quae
non vide!, est quia Deus ea dicit: sicut homo in his quae non vide!, credit testimonio alicujus boni viri qui vide! ea
quae ipse non vide!».
226 ALBERTO STRUMIA
- Quanto alia conclusione alia quale da l'assenso viene detto un "credere Dio": perche
la verita prima e l'oggetto proprio della fede.
- In rapporto a cio che riguarda la volonta l'atto di fede, poi, si dice un "credere in Dio".
45 «Ad septimum dicendum, quod credere Deo et credere Deum et credere in Deum non nominant diversos
actus, sed diversas circumstantias eiusdem actus virtutis. In fide enim est aliquid ex parte cognitionis, prout fides
est argumentum. Et sic, quantum ad huius argumentationis principium, actus fidei dicitur credere Deo: ex hoc enim
movetur ad assentiendum credens alicui, quia est divinitus dictum. Sed quantum ad conclusionem cui assentit,
dicitur credere Deum: veritas enim prima est proprium obiectum fidei. Sed quantum ad id quod est voluntatis, dici
tur actus fidei credere in Deum. Non est autem actus virtutis perfecte, nisi has omnes circumstantias habeat>>.
46 <<Respondeo dicendum quod actus cuiuslibet potentiae vel habitus accipitur secundum ordinem potentiae vel
habitus ad suum obiectum. Obiectum autem fidei potest tripliciter considerari. Cum enim credere ad intellectum
pertineat prout est a voluntate motus ad assentiendum, ut dictum est, potest obiectum fidei accipi vel ex parte ipsius
intellectus, vel ex parte voluntatis intellectum moventis. Si quidem ex parte intellectus, sic in obiecto fidei duo pos
sunt considerari, sicut supra dictum est. Quorum unum est materiale obiectum fidei. Et sic ponitur actus fidei cre
dere Deum, quia, sicut supra dictum est, nihil proponitur nobis ad credendum nisi secundum quod ad Deum per-
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 227
In ordine ad una teologia delle religioni, osserviamo che viene individuata in tal
modo una seconda differenza specifica della fede rispetto alla semplice credenza, che
si aggiunge alia prima. Questa restringe notevolmente il campo delle religioni che
hanna in comune questa ulteriore differenza con Ia fede della Chiesa, in quanta sup
pone Ia fede in un "Dio personale" che si rivela e si presenta come un bene che attrae
verso di se Ia volonta a dare l'assenso alia sua rivelazione. Si puo dire, allora, che una
"religione vera" che riconosce un Dio personale che rivela se stesso, ad esempio, aura
verso un testa sacra di cui e autore, o almena ispiratore di alcuni contenuti, possiede
un tale tipo di fede. Mentre restano escluse da questa livello quelle credenze religiose
che credono in una divinita impersonale diffusa panteisticamente nel cosmo, o che e
totalmente incomunicabile all'uomo.
Si deve anche tenere in particolare considerazione il rilievo fatto da san Tommaso
nel secondo testa che qui abbiamo riportato (dal De veritate), nel quale si fa notare
come l'atto di fede non sia "completo" se non include tutti i tre aspetti del credere
Deum, credere Deo, credere in Deum. Questa ci permette di dettagliare ulteriori diver
sificazioni tra le religioni, in quanta sono espressione (protestatio) di una forma di
fede. Quando, infatti, i tre aspetti dell'atto di fede sono presenti insieme si puo parla
re di un atto di fede perfetto, rna quando almena uno, o addirittura due, degli aspetti
non sono presenti si ha semplicemente una "credenza religiosa" che solo "incoativa
mente", o "seminalmente", puo dirsi propria di una "virtu della fede". Certamente e
indispensabile alia credenza religiosa che I' atto del credere abbia Dio come oggetto
materiale, per cui il credere Deum non puo mai mancare in una religione.47 Possono,
allora, verificarsi solo le seguenti possibilita:
A) l'atto del credere si limita al solo credere Deum: credere che Dio esiste e possie
de determinati attributi;
B) l'atto del credere include solo due dei tre modi:
Bl) il credere Deum e il credere in Deum: credere a Dio, ai suoi attributi e amar
lo in quanta sommo bene che attrae Ia nostra volonta;
B2) il credere Deum e il credere Deo: credere all'esistenza di Dio, ai suoi attri
buti, a cio che egli rivela di se e a Lui in quanta autorita rivelante.
tine!. Aliud autem est formalis ratio obiecti, quod est sicut medium propter quod tali credibili assentitur. Et sic
ponitur actus fidei credere Deo, quia, sicut supra dictum est, formale obiectum fidei est veritas prima, cui inhaeret
homo ut propter earn creditis assentiat. Si vero consideretur tertio modo obiectum fidei, secundum quod intellec
tus est motus a voluntate, sic ponitur actus fidei credere in Deum, veritas enim prima ad voluntatem refertur secun
dum quod habet rationem finis».
47 Questa richiesta, necessaria per parlare di religione in senso antropologico e non solo fenomenologico, e quel
la che ha sempre reso difficile considerare "religione" in senso proprio, ad esempio, una "visione" come il buddi
smo (cfr. J.P. DoUGHERTY, The Logic of Religion, The Catholic University of America Press, Washington D.C.
2003, p. 2-3).
228 ALBERTO STRUMIA
- sono espressione del senso religioso naturale dell'uomo singolo e dei popoli, al
quale propongono una risposta frutto della indagine razionale, non priva di una
certa azione guida della grazia e della guida di un "istinto dello Spirito Santo" che
suggerisce alla ragione Ia direzione nella quale indagare e il modo di indagare;
- propongono I'esistenza di Dio e le verita sui suoi attributi come oggetto di fede
ai !oro aderenti che non sono in grado di conoscerle dimostrativamente;
- esprimono un culto sia personale che collettivo verso Dio (cosa che non si
richiede nell' ambito della filosofia)
- sono tanto piu "vere" quanto piu sono conformi alla Iegge naturale
- non credono in una rivelazione che proviene direttamente ed esplicitamente da
Dio, quanto nell'insegnamento di maestri fondatori, di uomini saggi che hanno
riflettuto su Dio e vissuto devotamente. In linguaggio teologico si direbbe che non
conternplano una fides quae.
A proposito di questo tipo di "fede" che non e perfetta in quanto si limita al solo
credere Deum, Tommaso precisa sinteticamente - parlando di coloro che non hanno Ia
fede della Chiesa (infideles) pur credendo in Dio - che si tratta di una fede non solo
quantitativamente, se cosi possiamo esprimerci, rna anche qualitativamente diversa
dalla fede perfetta, in quanto Ia pienezza della fede e come un "tutto" che non si ricon
duce alla semplice "somma delle parti" .49
Alia terza obiezione si risponde dicendo che "credere Dio" non conviene agli infedeli
[non cristiani] nello stesso senso in cui si da nell'atto di fede. Perche non credono che
Dio sia come lo dichiara la fede [della Chiesa]. Per cui non credono al vero Dio, per
che come dice il Filosofo nel IX libro della Metafisica, nel semplice "non conoscere
completamente" sta gia un difetto di conoscenza.
[II-II, q. 2, a. 2, ad 3um]
48 Nel senso che dispongono esclusivamente di quella forma cosmica di rivelazione che e il creato in quanto tale.
49 <<Ad tertium dicendum quod credere Deum non convenit infidelibus sub ea ratione qua ponitur actus fidei.
Non enim credunt Deum esse sub his conditionibus quas fides determinat. Et ideo nee vere Deum credunt, quia,
ut philosophus dicit, IX Metaphys., in simplicibus defectus cognitionis est solum in non attingendo totaliter».
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 229
B2) Le religioni per le quali la "fede" si limita al credere Deum e al credere Deo
Questa ultima categoria delle religioni dalla fede "incompleta" e quella delle reli
gioni che credono "a Dio" che si rivela, attraverso dei libri ritenuti sacri, degli uomini
di Dio considerati non solo come saggi che parlano in nome di se stessi, rna come
"profeti" che parlano in nome di Dio, che pur essendo semplici uomini sono ritenuti
da Lui ispirati, illuminati. Se queste sono le possibilita che si possono astrattamente
concepire, si deve, pero, rilevare che da un punto di vista concreto, la fenomenologia
della religione evidenzia come, storicamente, siano di questo tipo tutte le religioni
socialmente organizzate, cioe tali da andare oltre la semplice manifestazioni indivi
duale del senso religioso. E questo pare anche logico dal momento che ogni religione
necessita di un fondatore che ne apre il percorso storico.51
50 Come spiega Jo studio piu volte citato di Alessi: <<Accanto al senso del fascino l'incontro con il sacro deter
mina l'insorgere della fede religiosa. [ . . . ) La fiducia fa assegnamento sulla potenza e bonta, disponibilita al soc
corso e gioia di dare, proprie della divinita. [ . . . ] Fiducia e sicurezza si tramutano quindi in speranza che non e
altro se non Ia fede rivolta al futuro. [ . . . ] In quanto percepito come valore supremo e sorgente di ogni bene, in
quanto volonta salvifica benevolente e misericordiosa, Ia presenza dell'assoluto genera nel credente sentimenti di
amore intenso verso Ia divinita» (A. ALESSI, Sui sentieri del sacra... , op. cit., p. 234). Si deve bene tenere presen
te, perc), come di ben altra natura, rispetto alia manifestazione impersonale e generica del sacro (ierofania), e Ia
Rivelazione di un Dio personale che si rivolge all'uomo e prende una came umana.
5 1 Ancora Alessi rileva come «Ia prima caratteristica che connota J'esperienza religiosa e l'aspetto di risposta
ad una chiamata inattesa, sconvolgente, che viene da una potenza superiore. Sia neUe forme primitive di religiosi
ta, sia in queUe piu evolute il credente si sente interpellato da una diversa realta, totalmente altra. L'iniziativa non
e dell'uomo, rna del sacro che irrompe nella quotidianita sollecitando una presa di posizione in pro o in contra.
Profeti, guru, santoni, mistici, sacerdoti, sciamani, anime illuminate, hanno Ia comune consapevolezza che Ia Joro
230 ALBERTO STRUMIA
Dunque non si darebbero religioni senza una qualche forma di rivelazione, autenti
ca o presunta, fatta ad un singolo, o fissata in un testo. Anche Romano Guardini, rile
va - in un bel testo che sembra riassumere, con lo stile esperienziale e nel contempo
rigoroso che gli e proprio, diversi tratti del rapporto tra religione, rivelazione e fede -
come Ia "pretesa" di fondarsi su una sorta di rivelazione, alia quale si guarda con fede,
e tipica di molte religioni: «Viste dalla prospettiva cristiana, nel complesso esse appar
tengono alia religiosita "naturale", alia immediatezza religiosa. Pur con tutta l'interio
rita e il fervore dell'esperire vissuto numinoso, pur con tutta Ia significativita di con
tenuti speculativi e terminologici, pur con tutta l'energia di formare l'uomo e dar con
figurazione all'esistenza, tuttavia esse rimangono, in ultima analisi, non vincolanti,
non normative. Di fronte ad esse - anche di fronte aile forme di divinita "monoteisti
che" - e impossibile quell'atto che fonda l'atteggiamento vetero e neo-testamentario,
Ia "fede", per il fatto che tutte non scaturiscono da quella modalita del "darsi", che si
chiama ' Rivelazione' nell' Antico e Nuovo Testamento. [ . . . ] Ora pen) anche Ia scien
za generale delle religioni rivendica per se il concetto di rivelazione. Essa constata che
molte religioni cercano di dimostrarsi assolute con l'appellarsi a un'ispirazione cele
ste. Ovvero indaga 1' esperienza vissuta dei fondatori di religioni mostrando che si
verifica l'irruzione di un nuovo contenuto religioso, fino a quel momento nascosto,
nella coscienza di una persona dotata di capacita da veggente, di un "profeta", un even
to personale, che poi acquista significato anche per Ia generalita. [ . . . ] A questa espe
rienza vissuta poi si ordina una particolare forma di convinzione, che non si puo scuo
tere con obiezioni o argomenti tratti dal campo profano, poiche e fondata in un'espe
rienza numinosa, proveniente da altrove: Ia "fede"».52
Questa osservazione/conclusione e in accordo con una riflessione della contempo
ranea fenomenologia delle religioni, che tende a ridurre Ia differenza esistente fra reli
gione naturale e religione rivelata (impieghiamo qui il termine "rivelazione" in senso
generico) in quanto ogni religione prevede una certa forma di rivelazione della divini
ta, nella natura, attraverso dei mediatori, secondo diverse modalita di comunicazione,
ispirazione, ecc.
esperienza !rae fondamento da un'iniziativa che li trascende, in una chiamata che ha nel tutt'altro i1 punto di par
tenza. E l'assoluto che si rivela» (ivi, p. 226). Lo stesso concetto viene espresso efficacemente anche da Julien Ries
con una formula sintetica: «Insomma, ogni fenomeno religioso e una "ierofania"» (J. RIES, II sacra nella storia
religiosa dell'umanitii, Jaca Book, Milano 1982, p. 61).
52 R. GUARDINI, Fede, religione, esperienza. Saggi teologici, Morcelliana, Brescia 1984, pp. 76-77, 78. E signi
ficativa !'idea di una sorta di ispirazione profetica che puo essere all'origine di una religione. Immediatamente di
seguito egli precisa, peril: <<Sarebbe cio rivelazione e fede nel senso biblico? No, rna solo un tipo determinato, par
ticolarmente intenso, d'esperienza religiosa>>. Tommaso si spinge, piu in Ia di Guardini, sia perche descrive il pro
cesso ispirativo del profeta come quello di un autore della Sacra Scrittura, collocandoli come in un unico "gene
re", sia perche ammette tranquillamente che un veggente pagano possa ricevere elementi di ispirazione di origine
soprattnaturale. E in questo senso sembra essere orientato a riconoscere che Ira i semina Verbi, come oggi noi li
chiamiamo, possano esservi anche contenuti di natura soprannaturale.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 231
C) La/e religione/i in cui la fede possiede le tre caratteristiche del credere Deum,
credere in Deum, credere Deo.
Questa compresenza delle tre caratteristiche della fede e certamente propria della
vera religione nella sua pienezza, quale e il cristianesimo. Tuattavia e legittimo chie
dersi se vi siano anche delle religioni non cristiane53 neUe quali l'atto di fede e com
pleto in quanta possiede simultaneamente le tre dimensioni del credere Deum, crede
re in Deum, credere Deo, pur potendo essere imperfetto quanto al contenuto della
rivelazione, che puo essere incompleto o interpretato inautenticamente. E questa
riguarda principalmente un'inadeguatezza nel modo del credere Deum. In questa
ambito rientra la fede54 dell'ebraismo; piu problematica e la fede dell' Islam, per i1
modo di concepire Dio e la sua possibilita di essere oggetto di amore e di fruizione da
parte dell'uomo. Aspetto, questa, che riguarda i1 credere in Deum.
Vedremo, ora, come san Tommaso affronta il problema della fede "esplicita" e della
fede "implicita" nei diversi luoghi della sua opera, per pater comprendere meglio, ai
fini del nostro problema, in che sensa si possa parlare di una fede "incoativa" in una
"vera" religione, una fede che e propria dell'indiviuduo, rna che e in qualche modo
favorita e manifestata in un contesto sociale generato dall'appartenenza ad una reli
gione; e per tentare di individuare elementi utili ad una migliore comprensione del rap
porto tra religione, verita e salvezza.
Quest'ultimo problema riveste, infatti, due aspetti che per Tommaso sono insepa
rabili: quello della conoscenza, per fede, di alcune verita su Dio e quello della salvez
za. La salvezza richiede la conoscenza per fede esplicita di alcune verita su Dio, men
tre altre verita, possono rimanere implicite, in quanta si puo presupporre che colui che
ha fede esplicita nelle prime, 1' avrebbe anche neUe seconde se gli fossero comunicate
adeguatamente.
Sembra, allora, che si possa chiamare "incoativa" una fede - la cui espressione este
riore si attua, non appena individualmente, rna espressamente attraverso l'adesione a
53 Altra questione e quella delle confessioni cristiane non cattoliche; o addirittura quella delle religioni post-cri
stiane, nel sensa di religioni che rifiutano "positivamellte" di riconoscere in Gesu Cristo il Figlio di Dio fatto
uomo, unico salvatore. Per tutte queste il punto debole sta nello stesso credere Deum, in cio che credeono su Dio,
che e in parte erroneo, e nel credere Deo, in quanto non credono che sia Dio ad avere rivelato alcune cose.
54 Va ricordato che stiamo qui parlando del tipo di fede di cui una religione e manifestazione esteriore e non
della religione nel suo complesso, ne degli altri aspetti che Ia caratterizzano. Una religione potrebbe anche posse
dere elementi di verita a! riguardo della fede ed essere inadeguata nel modo di esprimerla esteriorrnente, o nel non
essere in tutto conforrne alia Iegge naturale.
232 ALBERTO STRUMlA
una vera religione, l'appartenenza alia comunita da essa convocata e le pratiche del
suo culto, fede che il singolo non avrebbe avuto senza conoscere quella religione - che
e esplicita riguardo alle verita necessarie per la salvezza e rimane implicita rispetto ad
altre. In particolare potrebbe essere esplicita anche al riguardo di qualche verita "in
piu", oltre a queUe strettamente indispensabili alia salvezza. In ogni caso cia che e sal
vifico e l'oggetto, la res a cui termina esplicitamente, o implicitamente, la fede, ogget
to che e in ogni caso Cristo Salvatore, e la fede e salvifica in quanta si porta, ultima
mente, su questa res.
- Si deve dire che e "implicito" cio in cui sono come contenute piu cose in una sola;
mentre "esplicito" e cio in cui ciascuna di queUe cose viene considerata in se stes
sa. Tutto questo si puo trasferire dalle cose materiali anche a queUe spirituali. Per
cui quando i "piu" sono contenuti virtualmente in "uno", si dice che si trovano in
questo implicitamente, come le conclusioni lo sono nei principi.
- E contenuto esplicitamente, invece, cio che e in atto in qualcosa. Per cui chi cono
sce i principi universali possiede una conoscenza solo implicita delle conclusioni
particolari che da questi derivano. Chi, invece, considera in atto le conclusioni, si
deve dire che le conoce esplicitamente.
Allo stesso modo diciamo di credere
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 233
55 <<Dicendum, quod implicitum proprie dicitur esse illud in quo quasi in uno multa continentur; explicitum
autem in quo unumquodque ipsorum in se consideratur. Et transferuntur haec nomina a corporalibus ad spiritua
lia. Unde quando aliqua multa, virtute continentur in aliquo uno, dicuntur esse in illo implicite, sicut conclusiones
in principiis. Explicite autem continetur in aliquo quod in eo actu existit: unde ille qui cognoscit aliqua principia
universalia, habet implicitam cognitlonem de omnibus conclusionibus particularibus: qui autem conclusiones actu
considerat, dicitur eas explicite cognoscere. Unde et explicite dicimur aliqua credere, quando eis actu cogitatis
adhaeremus; implicite vero quando adhaeremus quibusdam, in quibus sicut in universalibus principiis isla conti
nentur: sicut qui credit fidem Ecclesiae esse veram, in hoc quasi implicite credit singula quae sub fide Ecclesiae
continentur».
56 Anche nel caso del Battesimo dei bambini inconsapevoli si richiede Ia consapevolezza dei genitori che di essi
soim responsabili, in !oro vece.
57 Ne sono prova le filosofie "religiose" del distacco da ogni emozione e forma di coinvolgimento.
234 ALBERTO STRUMlA
58 <<Ad secundam quaestionem dicendum, quod actus fidei ad hoc est necessarius ad salutem, quia intentionem
dirigit in omnibus actibus aliarum virtutum; et ideo tantum oportet habere unicuique de fide explicita, quantum
sufficit ad dirigendum ipsum in finem ultimum. Unde non est de necessitate salutis ut homo omnes articulos fidei
explicite cognoscat: quia sine aliquorum explicatione potest homo habere rectam intentionem in finem>>.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 235
11 caso del tempo che precede il peccato d 'origine ha per noi un valore puramente
teorico, tuttavia e significativo, il fatto che si parli comunque del Redentore che, evi
dentemente e previsto nel piano divino e che viene conosciuto dall'uomo implicita
mente attraverso la fede nella Provvidenza di Dio che, all'occorrenza non fara manca
re agli uomini i mezzi per conseguire liberamente il fine ultimo, che e la beatitudine.
Nel primo stato, prima del peccato, non era necessario a nessun uomo avere una fede
esplicita nel Redentore, perche non sussisteva ancora nessuno stato di schiavitu, rna
era sufficiente avere una fede implicita nella conoscenza che Dio ne ha, cioe credere
che Dio provvede a tutto cio che e necessario all'uomo per Ia sua salvezza.
A proposito del secondo tempo della storia Tommaso non si estende a trattare sulla
conoscenza da parte degli uomini del loro stato di peccato e della necessita di, una sal
vezza, come farebbe probabilmente un autore moderno, rna si concentra sul dato che
vi sono alcuni uornini che, per una qualche forma di rivelazione privata alla quale
hanno prestato fede, sono a conoscenza dell'esistenza di un Salvatore che dovra veni
re nella storia. Ed e attraverso il credito prestato a questi uomini che anche gli altri pos
sono giungere ad avere una fede, indiretta e quindi implicita, nel medesimo Salvatore
e cosi giungere a quel livello indispensabile di conoscenza della verita che permette di
accogliere la salvezza.
Nel secondo stato, dopo il peccato e prima dell'avvento di Cristo, alcuni avevano una
fede esplicita nel Redentore, perche era stata fatta loro una qualche rivelazione; costo
ro venivano detti i "maggiori": gli altri, i "minori" avevano una fede implicita aura
verso Ia fede dei "maggiori", per cui a loro il sacramento della Redenzione veniva pro
posto sotto i segni dei sacrifici.
11 terzo e ultimo tempo della storia e quello che segue la venuta e la manifestazio
ne del Salvatore. La fede esplicita in Gesu Cristo e richiesta nella misura in cui e nota
l'esistenza e la venuta del Salvatore. L' Aquinate precisa che questa e stata predicata e
sembra dare per scontato che lo sia e debba comunque esserlo, confermando implici
tamente la necessita della missione da parte della Chiesa. Non solo, rna si dice anche
che occorre chi «istruisca», ad indicare che la conoscenza di Cristo deve essere corri
spondente alla verita, come e affidata alla Chiesa. Chi mancasse ancora di questi ele
menti non e, comunque privata della possibilita di conseguire la salvezza, perche Dio
stesso non priva della grazia necessaria per salvarsi. Viene, infine aggiunta la clausola
«Senza sua colpa», ad indicare che vi e sempre e comunque la possibilita di un rifiuto
libero, volontario della salvezza.59
59 <<Ad secundam quaestionem dicendum, quod ad fidem redemptoris tripliciter se habet humanum genus secun
dum diversa tempora. In prima enim statu ante peccatum non oportebat ab aliquo homine haberi fidem explicitam
de redemptore, quia nondum servitus erat inducta; sed sufficiebat habere fidem implicitam in cognitione Dei, ut
scilicet homo credere! quod Deus ei provideret in eis quae essen! necessaria ad salutem. In secunda autem statu
post peccatum ante adventum Christi quidam habebant fidem explicitam de redemptore, quibus revelatio facta erat,
236 ALBERTO STRUMIA
Nel terzo stato, dopo l'avvento di Cristo, essendo stato completato visibilmente e cor
poralmente il mistero della Redenzione e predicato, tutti sono tenuti a credere esplici
tamente. E se qualcuno manca di chi lo istruisca, Dio stesso glielo rivelera, affinche
non sia privato della salvezza senza sua colpa.
[III Sent, d. 25, q. 2, a. 2b co]
E cio che si richiede al fedele come conoscenza esplicita e tratto dalla Scrittura
stessa:
E si tratta delle due cose che l'Apostolo dice in Eb 1 1,6: Chi infatti s 'accosta a Dio
deve credere che egli esiste e che egli ricompensa co/oro che lo cercano. Dunque
chiunque e in ogni tempo e tenuto a credere esplicitamente
- che Dio esiste
- e governa con provvidenza le realta umane.
Tommaso ha spiegato piu volte che nella conoscenza della Provvidenza di Dio e
inclusa implicitamente la conoscenza del Salvatore, in quanta credere in Dio che
provvede alle necessita degli uomini comporta il credere che Egli intervenga a salvar-
qui majores dicebantur: quidam autem, ut minores, fidem implicitam habebant in fide majorum; unde eis sacra
mentum redemptionis sub signis sacrificiorum proponebatur. In tertio autem statu post adventum Christi, quia jam
mysterium redemptionis impletum est corporaliter et visibiliter, et praedicatum, omnes tenentur ad explicite cre
dendum: et si aliquis instructorem non habere!, Deus illi revelaret, nisi ex culpa sua removeret>>.
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 237
li quando cio si renda necessario per il loro bene. 11 fatto che vi sia una differenza nel
livello delle conoscenze umane, per cui non tutti possono essere studiosi e scienziati,
oltre ad essere constatabile, e anche questione di impossibilita pratica e di economia
di tempo. Questa situazione che si verifica per qualunque tipo di conoscenza, si pre
senta anche riguardo alla dottrina della fede. A questa considerazione fanno riscontro
testi del Magistero recenti, precedentemente citati, come Fides et ratio, n. 32.
Continua, san Tommaso, nel testo del De veritate:
E impossibile, infatti, a chiunque, in questa vita conoscere esplicitamente tutta quella
scienza di Dio che costituisce Ia nostra beatitudine, rna e possibile per qualcuno, gia
in questa vita, conoscere esplicitamente tutte quelle cose che vengono proposte al
genere umano, fin da ora, come dei rudimenti attraverso i quali dirigersi verso il fine.
Di costui si dice che possiede una fede completamente esplicita. Ma questa grado di
completezza non e di tutti, per cui nella Chiesa vengono costituiti dei gradi, in base ai
quali alcuni vengono preposti ad altri allo scopo di istruirli nella fede. Per cui non tutti
sono tenuti a credere tutto esplicitamente, rna solo coloro che sono costituiti maestri
di fede, come i prelati e coloro ai quali e affidata Ia cura delle anime.
60 «Sciendum est igitur, quod aliquid est in fide ad quod omnes et omni tempore explicite credendum tenentur;
quaedam vero sunt in ea, quae omni tempore sunt explicite credenda, sed non ab omnibus; quaedam vero ab omni
bus, sed non omni tempore; quaedam vero nee ab omnibus nee omni tempore. Quod enim oporteat omni tempore
aliquid explicite credi ab quolibet fideli, ex hoc apparel, quia acceptio fidei se habet in nobis respectu ultimae per
fectionis, sicut acceptio discipuli de his quae sibi primo a magistro traduntur, per quae in anteriora dirigitur. Non
posset autem dirigi, nisi actu aliqua consideraret. Unde oportet quod discipulus aliquid actualiter aliquid conside
randum accipiat; et similiter oportet quod fidelis quilibet aliquid explicite credat. Et haec sunt duo ilia quae apo
stolus dicit Hebr., XI, 6: accedentem ad Deum oportet credere quia est, et inquirentibus se remunerator est. Unde
quilibet tenetur explicite credere, et omni tempore, Deum esse, et habere providentiam de rebus humanis. Non est
autem possibile ut aliquis in statu viae explicite cognoscat omnem illam scientiam quam Deus habet, in qua nostra
beatitudo consistit; sed possibile est aliquem in statu viae explicite cognoscere omnia ilia quae proponuntur huma-
238 ALBERTO STRUMIA
Nelle risposte alle obiezioni si chiarisce, poi, il fatto che Dio stesso provvede straor
dinariamente a dare la grazia della conoscenza esplicita delle verita necessarie alia sal
vezza a chi, senza colpa, si trova neUe condizioni di non poterla attingere per via ordi
naria.61 Al di la della modalita con cui cio possa avvenire Tommaso ribadisce sempre
i due principi secondo i quali:
- una qualche forma di fede esplicita, per quanta incoativa, in Dio che non abban
dona, rna provvede alia salvezza, e necessaria;
- Dio mette ogni uomo di buona volonta in condizione di essere salvato.
Rinunciare al prima principia, come oggi si potrebbe essere inclinati a fare, signi
ficherebbe rendere del tutto implicita, e alia fine insignificante, la fede in Cristo
unico Salvatore, e rinunciare al secondo significherebbe rifiutare a priori la salvez
za a chi non lo conosce. La seconda obiezione su questa punta e molto precisa.
Non siamo tenuti a compiere cio che non e nelle nostre possibilita. Ma per poter cre
dere esplicitamente qualcosa abbiamo bisogno di ascoltarla interiormente o esterior
mente: Ia fede, infatti, scaturisce dall'ascolto (cfr. Rm 10,17), e ascoltare non e in
potere di qualcuno se non c'e chi gli parla. E quindi non puo essere necessario alla sal
vezza il credere qualcosa esplicitamente.
[De Ver, q. 14, a. 1 1 , ag. 2]62
no generi in hoc statu ut rudimenta quaedam quibus se in finem dirigat: et talis dicitur habere perfectam fidem
quantum ad explicationem. Sed haec perfectio non est omnium; unde et gradus in Ecclesia constituuntur, ut qui
dam aliis praeponantur ad erudiendum in fide. Unde non tenentur ornnes explicite credere omnia quae sunt fidei;
sed solum illi qui eruditores fidei instituuntur: sicut sunt praelati et habentes curam animarum. Nee tamen isti
etiam secundum omne tempus tenentur omnia explicite credere. Sicut enim est profectus unius hominis in fide per
successiones temporum, ita etiam et totius humani generis: unde dicit Gregorius: per successiones temporum ere
vii divinae cognitionis augmentum. Plenitudo autem temporis, quasi perfectio aetatis humani generis, est in tem
pore gratiae; unde in hoc tempore maiores, omnia quae sunt fidei, explicite credere tenentur. Sed temporibus prae
cedentibus etiam maiores non tenebantur ad credendum omnia explicite; plura autem explicite credebantur post
tempus legis et prophetarum quam ante. In statu igitur ante peccatum non tenebantur explicite credere ea quae sunt
de redemptore, quia adhuc necessitas redemptoris non erat; implicite tamen haec credebant in divina providentia;
in quantum scilicet Deum credebant diligentibus se provisurum de omnibus necessariis ad salutem. Sed ante pec
catum et post, ornni tempore necessarium fuit a maioribus explicitam fidem de Trinitate habere; non autem a mino
ribus post peccatum usque ad tempus gratiae; ante peccatum enim forte talis distinctio non fuisset, ut quidam per
alios erudirentur de fide. Et similiter etiam post peccatum usque ad tempus gratiae maiores tenebantur habere
fidem de redemptore explicite; minores vero implicite, vel in fide patriarcharum et prophetarum, vel in divina pro
videntia. Tempore vero gratiae omnes, maiores et minores, de Trinitate et de redemptore tenentur explicitam fidem
habere. Non tamen omnia credibilia circa Trinitatem vel redemptorem minores explicite credere tenentur, sed soli
maiores. Minores autem tenentur explicite credere generales articulos, ut Deum esse trinum et unum, filium Dei
esse incamatum, mortuum, et resurrexisse, et alia huiusmodi, de quibus Ecclesia festa facit>>.
61
In particolare nell'adprimum si porta l'esempio emblematico dell'episodio di Cornelio narrato in At 10.
62 «Praeterea, ad illud quod non est in potestate nostra, non tenemur. Sed ad hoc quod explicite aliquid creda
mus, indigemus auditu interiori vel exteriori: fides enim est ex auditu, ut dicitur Rom., 10,17: et audire non est in
potestate alicuius, nisi sit qui loquatur. Et sic non est de necessitate salutis quod aliquid explicite credatur>>.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 239
A questa obiezione la risposta lascia a Dio la scelta delle strade, senza rinunciare al
principia della fede esplicita, almeno incoativa.
Alia seconda obiezione si risponde dicendo che, benche non sia in nostro potere cono
scere da noi stessi le verita della fede, se noi abbiamo fatto tutto quanta e nelle nostre
possibilita, seguendo la guida della ragione naturale, Dio non ci fara mancare cio che
ci e necessaria.
[De Ver, q. 14, a. 11, ad 2um]63
In ogni caso per Tommaso e chiaro che se c'e salvezza, in qualunque forma, ordi
naria o straordinaria, e anche se questa fosse data senza alcuna forma di rivelazione o
ispirazione, questa sarebbe comunque per la fede in Cristo mediatore, perche solo in
Lui si possono verificare e di fatto si sono verificate le condizioni necessarie per ope
rare la salvezza dell'uomo (v. infra, il quarto passaggio).
Se alcuni, poi, si sono salvati senza che sia stata fatta loro alcuna rivelazione, non si
sono salvati senza la fede in Cristo mediatore. Perche anche se costoro non ebbero una
fede esplicita, la ebbero comunque implicita [in Lui] nella divina Provvidenza, cre
dendo che Dio e il liberatore degli uomini, secondo i modi che a Lui piacciono [ . . . ]
[II-II, q. 2, a. 7, ad 3um]64
La via data agli uomini per giungere alia beatitudine e il mistero dell'incamazione e
della passione di Cristo, come si dice in At 4, non vi e infatti altro nome dato agli
uomini nel quale e stabilito che possiamo essere salvati. Quindi e necessaria che il
mistero dell'incamazione di Cristo sia creduto in qualche modo da tutti in ogni tempo,
anche se in diversi modi, secondo i tempi e le persone.
63 <<Ad secundum dicendum, quod quamvis non sit in potestate nostra cognoscere ea quae sunt fidei, ex nobis
ipsis; tamen, si nos fecerimus quod in nobis est, ut scilicet ductum rationis naturalis sequamur, Deus non deficiet
nobis ab eo quod est nobis necessarium». Cfr. anche l'analoga risposta in /// Sent, d. 25, q. 2, a. la, ad 1 um.
64 «Si qui tamen salvati fuerunt quibus revelatio non fuit facta, non fuerunt salvati absque fide mediatoris. Quia
etsi non habuerunt fidem explicitam, habuerunt tamen fidem implicitam in divina providentia, credentes Deum
esse liberatorem hominum secundum modos sibi placitos [ . . . ]>>.
240 ALBERTO STRUMlA
Prima dello stato di peccato, l'uomo aveva una fede esplicita nell'incamazione di
Cristo, in quanto culmine della gloria, e non nella liberazione dal peccato mediante la
passione e la risurrezione, perche l'uomo non era a conoscenza in anticipo del pecca
to futuro.
Dopo il peccato il mistero di Cristo e stato creduto esplicitamente non solo in rappor
to all'incamazione, rna anche alia passione e alia risurrezione, mediante le quali il
genere umano e liberato dal peccato e dalla morte. Di altro, infatti, i vari sacrifici offer
ti prima della legge e sotto la legge non erano prefigurativi se non della passione di
Cristo. Coloro che erano maggiormente investiti di responsabilita ne conoscevano il
significato esplicitamente, mentre gli altri, sotto il velo di tali sacrifici, credendo che
questi fossero stati divinamente disposti in relazione al Cristo che doveva venire, ne
avevano solo una conoscenza in qualche modo velata.
E, come si e detto sopra, conobbero tanto piu distintamente cio che riguarda i rnisteri
di Cristo, quanto piu furono prossimi a Cristo stesso.
[//-//, q. 2, a. 7 co]65
65 «Respondeo dicendurn quod, sicut supra dictum est, illud proprie et per se pertinet ad obiectum fidei per quod
homo beatitudinem consequitur. Via autem hominibus veniendi ad beatitudinem est mysterium incamationis et
passionis Christi, dicitur enim Act. 4, non est aliud nomen datum hominibus in quo oporteat nos salvos fieri. Et
ideo mysterium incamationis Christi aliqualiter oportuit omni tempore esse creditum apud omnes, diversimode
!amen secundum diversitatem temporum et personarum. Nam ante statum peccati homo habuit explicitam fidem
de Christi incamatione secundum quod ordinabatur ad consummationem gloriae, non autem secundum quod ordi
nabatur ad liberationem a peccato per passionem et resurrectionem, quia homo non fuit praescius peccati futuri.
Videtur autem incamationis Christi praescius fuisse per hoc quod dixit, propter hoc relinquet homo patrem et
matrem et adhaerebit uxori suae, ut habetur Gen. 2; et hoc apostolus, ad Ephes. 5, dicit sacramentum magnum esse
in Christo et Ecclesia; quod quidem sacramentum non est credibile primum hominem ignorasse. Post peccatum
autem fuit explicite creditum mysterium Christi non solum quantum ad incamationem, sed etiam quantum ad pas
sionem et resurrectionem, quibus humanum genus a peccato et morte liberatur. Aliter enim non praefigurassent
Christi passionem quibusdam sacrificiis et ante legem et sub lege. Quorum quidem sacrificiorum significatum
explicite maiores cognoscebant, minores autem sub velamine illorum sacrificiorum, credentes ea divinitus esse
disposita de Christo venturo, quodammodo habebant velatam cognitionem. Et sicut supra dictum est, ea quae ad
mysteria Christi pertinent tanto distinctius cognoverunt quanto Christo propinquiores fuerunt. Post tempus autem
gratiae revelatae tam maiores quam minores tenentur habere fidem explicitam de mysteriis Christi; praecipue
quantum ad ea quae communiter in Ecclesia sollemnizantur et publice proponuntur, sicut sunt articuli incamatio
nis, de quibus supra dictum est. Alias autem subtiles considerationes circa incamationis articulos tenentur aliqui
magis vel minus explicite credere secundum quod convenit statui et officio uniuscuiusque».
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 241
il peccato. Si tratta di un testa che mette in evidenza i contenuti della fede che deve
essere esplicita in ogni uomo dopo la venuta di Cristo e dopo che l'annuncio cristiano
sia giunto al suo orecchio, accompagnato da una sufficiente istruzione, come e stato
precisato in precedenza.
La fede esplicita e necessaria a dirigere la mente verso il fine ultimo. E, poiche
l'uomo era stato sviato da quel fine, a causa del peccato, e non poteva esservi ricon
dotto se non dal mediatore di Dio e degli uomini, il Signore nostro Gesu Cristo, ne
consegue che, dopo il peccato, occorre avere una conoscenza esplicita del
Redentore, e specificamente riguardo a cio attraverso cui ci ha ricondotti al fine,
sconfiggendo il nemico che ci teneva prigionieri. E per ricondurci al fine occorre
vano quattro cose.
- Primo occorreva che venisse costituito un nostro difensore: e questo e avvenuto
con la Nativita.
- Secondo che combattesse per noi: e questo e accaduto con la Passione.
- Terzo che risultasse vincitore: il che e accaduto con la Risurrezione.
- Quarto che rendesse partecipi tutti della sua vittoria: e questo avverra nel giudi-
zio quando rendera il bene ai buoni e il male ai malvagi.
Queste sono le cose che si devono principalmente sapere esplicitamente intomo al
Redentore.
Tuttavia e possibile che, Secondo i diversi tempi, la chiarezza e esplicitezza di que
ste sia cresciuta prima della venuta di Cristo, per cui quanto piu si era vicini all'av
vento del Salvatore tanto piu si percepivano i sacramenti della salvezza, come dice
Gregorio.
[III Sent, d. 25, q. 2, a. 2c co]66
66 «Ad tertiam quaestionem dicendum, quod fides explicita ad hoc necessaria est quod in finem ultimum inten
tionem dirigat. Et quia per peccatum homo ab illo fine abductus fuerat, et non poterat reduci nisi per mediatorem
Dei et hominum dominum Jesum Christum; ideo post peccatum oportuit haberi cognitionem explicitam de
redemptore, et praecipue quantum ad ea quibus nos in finem reduxit victo hoste a quo captivi detinebamur. Ad hoc
autem quod nos in finem reduceret, quatuor requirebantur. Primum est quod propugnator noster institueretur; quod
factum est in nativitate. Secundum est quod propugnaret; quod factum est in passione. Tertium est quod vinceret;
quod factum est in resurrectione, quando aetemitatis aditum devicta morte reseravit. Quarto quod victoriae suae
omnes suos participes faceret; et hoc erit in judicio, quando bonis bona et malis mala reddet. Et ideo isla praeci
pue requirebantur ut de redemptore explicite scirentur. Tamen possibile est quod secundum diversa tempora horum
distinctio et explicatio ante Christi adventum creverit, ut quanto adventui salvatoris viciniores existerent, tanto
sacramenta salutis plenius perceperint, ut dicit Gregorius>>.
67 Oggi ci puo sembrare un po' dura questa terrninologia cosl oggettiva ("maggiori" e "minori") e preferirem
mo, probabilmente utilizzare una terrninologia piu soft, come, ad esempio "fratelli maggiori" e "fratelli minori",
piu compensiva di elementi soggettivi, che non intendono urtare, discriminare, incolpare . . . E se in questo puo
esserci una delicatezza psicologica e forse anche un po' moralistica, non si puo eccedere fino al punto di lasciarsi
242 ALBERTO STRUMiA
condizionare dal soggettivismo e dal relativismo, e tener conto che trovarsi oggettivamente nella situazione di
"maggiori" o di "minori" non e necessariamente un vanto o una colpa e non e mancanza di caritii, rna a! contrario
e un dovere di caritii il puntualizzare Ia veritii. Deve essere, in ogni caso, chiaro che non si tratta di quell' essere
fratelli nel senso derivante dall' adozione filiale che consegue al Battesimo, rna di una fratellanza in senso analo
gico, che deriva dalla comune natura umana, alia quale si aggiunge una credenza religiosa in Dio e in alcune auten
tiche veritii su di Lui.
68 E anche all'interno della stessa Chiesa, in ordine a! problema ecumenico, nel rapporto tra le diverse confes
sioni non cattoliche e Ia Chiesa cattolica. E bene sottolineare che, comunque, queste tre applicazioni hanno carat
tere analogico e non univoco, in quanto e ben diversa Ia natura della fede in una religione non cristiana, nella
Chiesa cattolica e in una confessione non cattolica.
69 Questa differenziazione tra "maggiori" e "minori" nell'ambito di una religione, pur espressa con un linguag
gio diverso e collocata in un contesto filosofico ben lontano da quello tomistico, si ritrova anche nella fenomeno
logia della religione: «Esiste comunque anche una differenza tra personalitii storiche particolari (i cosiddetti "geni
religiosi" [i "maggiori"]) che essendo latori di rivelazioni divine particolari e possedendo una forza mitopoietica
speciale, diventano foote prima e riferimento centrale di vasti movimenti religiosi e sono in grado di trasmettere
energia religiosa, e le personalitii comuni [i "minori") che possono soltanto riprendere [ . . . ) i1 mondo simbolico
espresso da una grande personalitii>> (R. GARAVENTA, II problema dell'apriori religioso, ovvero e veramente pos
sibile un dialogo tra le religioni universali?, in R. CiPRIANI, G. MURA (a cura di), II fenomeno religioso oggi.
Tradizione, mutamento, negazione, Urbaniana University Press, Cittii del Vaticano - Roma 2002, p. 121).
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 243
dello stesso mistero di Cristo. Una sorta di "carisma"70 dato ad alcuni per il bene di
tutti i loro seguaci, attraverso il cammino dell'appartenenza ad una religione; in secon
do luogo colora, se ve ne sono, che hanno il compito di istruire e governare la cornu
nita religiosa.
Mentre i "minori" sarebbero i semplici seguaci che credono a cia che viene loro
proposto dai "maggiori", dando loro una ragionevole fiducia. In quanto la religione e
una manifestazione esteriore (protestatio) di una qualche forma di fede, i "maggiori",
cioe i fondatori e i maestri, nell'ambito di una religione vera, potrebbero essere colo
ra ai quali e data una forma di fede incoativa piu esplicita in un Dio creatore e prov
vidente di quanto non sia data ai loro seguaci, i quali, seguendoli parteciperebbero, piu
implicitamente, della medesima fede. Si tratterebbe, comunque, di una differenza solo
di intensita e di chiarezza di comprensione della natura di Dio creatore e provvidente
che, comunque, sia i "maggiori" che i "minori" (appartenenti a quella religione)
dovrebbero avere esplicitamente per salvarsi, e alla quale potrebbe, eventualmente in
alcuni casi aggiungersi qualche barlume di contenuto ulteriore comune con la rivela
zione giudeo-cristiana. In taluni casi questo contenuto di provenienza giudeo-cristiana
potrebbe essere giunto al fondatore anche per una sorta di "contaminazione" con la
cultura di popoli di tale fede. 71
Dal punto di vista della comprensione esplicita della vera fede, tuttavia, i "maggio
ri" sono da ritenersi tali non tanto in quanto sono fondatori o maestri di una qualun
que forma di religiosita, rna in quanto lo sono di una religione "vera", e in rapporto a
quanto di vero su Dio sono in grado di insegnare.
I "minori" non hanno una fede implicita nella fede dei "maggiori" se non in quanto i
"maggiori" aderiscono alla dottrina divina. [ . . . ]
Non e una conoscenza umana ad essere regola della fede, rna Ia verita divina.
[II-II, q. 2, a. 6, ad 3umf2
70 Si e impiegato il termine "carisma", in senso analogico perche in questa caso e dato a! di fuori della Chiesa
visibile, rna come il carisma in senso proprio e dato dallo Spirito Santo ed e un dono straordinario dato per l'uti
lita di altri, e non tanto del soggetto che lo riceve. Puo trattarsi di una illuminazione interiore o di una rivelazione
privata che acquista una sorta di valore pubblico attraverso il costituirsi di una comunita di seguaci che praticano
un culto religioso per manifestare una fede in Dio, piu esplicita nel fondatore e nei maestri e maggiormente impli
cita nei seguaci.
71 Tommaso accenna fugacemente (in II Sem, d. 11, q. 2, a. 5 co) ad una «utilita che i giudei portavano a! regno
dei persiani, in quanta attraverso di !oro si diffondeva Ia conoscenza di Dio che essi avevano ricevuto (utilitas quam
judaei faciebant in regno persarum, dum per eos Dei notitia diffundebatur)».
72 <<Minores non habent fidem implicitam in fide maiorum nisi quatenus maiores adhaerent doctrinae divi
nae. [ . . . ] Unde humana cognitio non fit regula fidei, sed veritas divina».
244 ALBERTO STRUMIA
La fede dei "maggiori" e dei "minori" nel rapporto tra le religioni e la Chiesa
Dall'altro lato, se si considera il rapporto tra la fede di cui e espressione esteriore
una religione non cristiana e la fede della Chiesa, si puo dire che i cristiani rappresen
tano comunque dei "maggiori", nei confronti dei non cristiani, i quali si trovano ine
vitabilmente nella posizione di "minori", dal punta di vista dei contenuti che la fede
nella loro religione propane loro da credere, se messi a confronto con la pienezza di
verita dei contenuti della fede della Chiesa.73
Colora che appaiono "maggiori" dall'interno di una religione non cristiana - in
quanta fondatori o maestri dei semplici seguaci che sono dei "minori", in rapporto a
loro - sarebbero pur sempre essi stessi "minori" rispetto ad un qualunque cristiano, in
quanta quest'ultimo ha una fede esplicita in Cristo Salvatore, mentre il fondatore o il
maestro di una religione "vera", che come tale non si oppone lucidamente e positiva
mente al cristianesimo/4 potrebbe avere, al piu, una fede implicita in Cristo mediato
re, attraverso una fede esplicita nella Provvidenza di Dio. Questa considerazione sem
bra trovare anche una conferma nel seguente passo di san Tommaso nel quale si fa un
confronto tra i "maggiori" tra i pagani che, sono da considerarsi, comunque dei "mino
ri" dal punta di vista della fede della Chiesa.
I gentili non si possono considerare dei maestri della fede divina e, per quanto fosse
ro dei sapienti in rapporto alla sapienza del mondo, sono da annoverare tra i "minori".
[De Ver, q. 14, a. 11 ad 5umf5
Di conseguenza una religione non cristiana non potrebbe mai essere considerata sal
vifica in se stessa (esplicitamente, direttamente, immediatamente), rna soltanto (impli
citamente, indirettamente, mediatamente) attraverso la fede esplicita della Chiesa in
Cristo Salvatore di tutti gli uomini. E comunque la fede della Chiesa in Cristo
Salvatore a "prestare" una sorta di partecipazione alla salvezza alle religioni e ai loro
aderenti.
In questa sensa le religioni sarebbero:
- da un lato preparatorie alla fede della Chiesa, come il battesimo di Giovanni
Battista era preparatorio al Battesimo di Cristo
73 Ovviamente qui non si fa una questione di moralita, di confronto tra i comportamenti di un cristiano piu o
meno buono con un non cristiano piu o meno buono, rna tra le verita che ciascuna fede propone da credere.
74 Anche se per accidens, incomprensioni storiche potessero avere ingenerato incomprensioni e forme di con
trapposizione.
15 <<[ . . . ) gentiles non ponebantur ut instructores divinae fidei. Unde, quantumcumque essent sapientes sapientia
saeculari, inter minores computandi sun!>>. Di uno di questi "maggiori" si potrebbe dire, e a maggior ragione, che
<<il piu piccolo nel regno dei cieli e piu grande di lui» (cfr. Mt 11,11; Lc. 7,28).
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 245
Tutto questo sembra coerente con il fatto che la Chiesa e il Corpo di Cristo nella sto
ria e, ben difficilmente si potrebbe pensare ad un'azione mediatrice di Cristo Capo
(della Chiesa) che sia, in qualche modo, indipendente dal resto del Suo Corpo. Cosl
l'unicita di Cristo mediatore si viene a riflettere sull'unicita della Chiesa mediatrice
della salvezza: la dinamica della fede dei "maggiori" e della fede dei "minori" ne
descriverebbe la modalita di attuazione nel rapporto tra la fede delle religioni vere
e propria teologia delle religioni, parlando di una sorta di <<interpretazione collettiva» e non solo individuale della
questione della fede implicita e della fede esplicita, cosl come si trovano in Tommaso e nei suoi commentatori:
«[ . . . ] queste spiegazioni riprendono tutto il loro valore e possono essere adottate senza pericolo, una volta che, con
un'interpretazione collettiva, si e riconosciuto che per l'umanita presa in blocco non poteva esserci alcuna salvez
za fuori della Chiesa, che questa era una necessita rigorosa, una necessita di mezzo da cui niente potrebbe dis
pensare. Cosl il problema della "salvezza degli infedeli" riceve una soluzione di un'estrema ampiezza, e nel mede
simo tempo si e allontanato ogni lassismo che Ia comprometterebbe. All'indifferenza non e offerto alcun incorag
giamento. Diviene comprensibile che Ia Chiesa [ . . . ] sappia "far grazia al paganesimo senza diminuire il carattere
proprio d'esser sola a salvare le anime"; e se si pensa che, malgrado tutto, Ia formula "fuori della Chiesa nessuna
salvezza" da un suono piuttosto rude, niente impedisce di darle una forma positiva, e di dire [ . . . ] non gia "fuori
della Chiesa sarete dannati", rna: "sarete salvi per mezzo della Chiesa, soltanto per suo mezzo"» (H. DE LUBAC,
Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, Jaca Book, Milano 1978, p. 172).
246 ALBERTO STRUMIA
( oltre che dei singoli uomini) e la fede della Chiesa. «Se dunque Cristo e uno, anche
questo suo "corpo" puo soltanto essere uno, nonostante la discontinuta nella quale
empiricamente si presenta. E tale unita non puo essere utopia, o semplice proiezione
verso i1 "tempo escatologico"; deve invece esistere corporalmente, quindi realmente
anche nella storia. Se dunque e vero ohe tutta la salvezza scaturisce da Cristo (in qual
siasi modo cio avvenga), e che la Chiesa non e separabile da lui, allora e inconfutabi
le che questa Chiesa partecipa alla sua universale mediazione, e che dev' essere neces
sariamente coinvolta in ogni riferimento a Cristo».79 E in ogni caso escluso che gli atti
di culto, i riti, le formule, i gesti che vengono compiuti nel contesto di una religione
non cristiana possano avere un valore salvifico in se stessi, quasi fossero paragonabili
ai sacramenti della Chiesa. Essi possono avere, al piu, un valore di preparazione nei
confronti di quelli.
I sacramenti della Iegge naturale non avevano efficacia ex opere operata, rna solo in
forza della fede [ . . . ] diversamente e dei sacramenti della Iegge nuova che conferisco
no Ia grazia ex opere operata.
[IV Sent, d. 2, q. 1, a. 4d, ad 2um ]80
Ma non si puo dire neppure che sono contro la fede della Chiesa e, quindi che ne
sono del tutto esclusi, coloro che non credono esplicitamente tutto cio che essa inse
gna, per ignoranza e senza ostinazione.
Nella fede della Chiesa, vi sono alcune cose che uno e tenuto a credere esplicitamen
te. E se qualcuno e in errore, e con ostinazione, riguardo a queste va considerato infe
dele ed eretico. Ve ne sono altre che uno non e tenuto a conoscere esplicitamente e uno
non diviene [infedele o] eretico se e in errore riguardo ad esse [ . . . ] fino a che non
venga a conoscenza che Ia sua posizione e contraria alia fede della Chiesa.
79 J. RIJZINGER, /11 cammi11o verso Gesu Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 65-66.
80 «Ad secundum dicendum, quod sacramenta ilia legis naturae non habebant aliquam efficaciam ex opere ope
rato, sed solum ex fide; [ . . . ] non autem ita est de sacramentis novae legis, quae ex opere operato gratiam confe
runt».
81
«[ . . ] illi qui nunquam fuerunt de fide ecclesiae, non reputantur haeretici, si perversam fidem habeant, ut
.
judaei vel pagani: quia nunquam fuerunt partes hujus totius quod est ecclesia» (IV Se11t, d. 13, q. 2, a. 1, ad 7um).
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 247
Perche non si distacca dalla fede della Chiesa se non chi sa che cio da cui si allontana
e contrario alia fede della Chiesa.
[IV Sent, d. 13, q. 2, a. 1, ad 6um)82
Qui si dice che coloro che non hanno la fede della Chiesa hanno una «fides perver
sa», cioe un fede distorta. Questo non sembra, tuttavia escludere che non possano
appartenere a una "vera religio". E anzi sembra permettere di concludere che: una
"vera religio" che non sia la fede della Chiesa e si una forma di ''fides mediatoris" che
salva, rna e in qualche misura "perversa ", cioe "distorta" e quindi imperfetta, non
piena. Diversa e la situazione di quanti, lucidamente e senza scusanti, si accaniscono
contro la fede della Chiesa.
Co/oro che non hanno il carattere battesimale non appartengono alla Chiesa
Per l'appartenenza alla Chiesa si richiede, come condizione necessaria, il carattere
sacramentale del Battesimo.83 In questa sensa non si puo certamente qualificare come
appartenenza alla Chiesa il rapporto che oggi viene detto di "inclusione" di colora che
aderiscono ad una "vera religio" non essendo cristiani battezzati.
Vale la pena riportare ancora due testi di san Tommaso particolarmente suggestivi.
Nel prima si abbozza una sorta di teologia inclusiva della fede: citando un com
menta di Agostino, si parte dalla fede dei pagani che conoscevano Dio solo come crea
tore del mondo, passando per quella dei giudei che conoscevano Dio come unico e non
equiparabile agli idoli, qualificati come falsi dei, per giungere alla fede in Dio rivela
to da Cristo come Padre.
II Signore dice (Gv 17), Padre ho manifestato il tuo nome agli uomini. E Agostino
cosi spiega: non il tuo nome con il quale vieni chiamato "Dio", ma quello con il
quale vieni chiamato "Padre mio". Poi aggiunge:
- come Dio che ha fatto questo mondo e noto a tutte le genti;
- come Dio che non e da adorare insieme ai falsi dei e noto in Giudea;
- come Padre di Cristo che toglie il peccato del mondo, ora si e manifestato ad essi
[cioe agli apostoli], un nome questo che prima era sconosciuto.
82
<<Ad sextum dicendum, quod in fide sunt aliqua ad quae explicite cognoscenda omnis homo tenetur; unde si
in his aliquis errat, infidelis reputatur, et haereticus, si pertinaciam adjungat. Si autem sunt aliqua ad quae explici
te credenda homo non tenetur, non efficietur haereticus in his errans [ . . . ] quousque hoc sibi innotescat, quod fides
ecclesiae contrarium habet: quia non discedit per se loquendo a fide ecclesiae nisi ille qui scit hoc a quo recedit,
de fide ecclesiae esse>>. II testo specifica, poi, che ciii vale anche riguardo aile opinioni teologiche, fino a che Ia
Chiesa non si esprima direttamente in merito aile tesi in questione. Questo aspetto, perii, non riguarda il nostro
problema, per questo e stato omesso.
83 Cfr. IV Sent, d. 18, q. 2, a. 3c, ad 1""'. La condizione necessaria non e di per se sufficiente, perii, a garantire Ia
comunione parziale o piena con Ia Chiesa, dalla quale occorre non essere esclusi per appartenervi.
248 ALBERTO STRUMIA
Dunque prima della venuta di Cristo non era noto che in Dio vi fosse una patemita
e una filiazione. Dunque la Trinita non era creduta esplicitamente.
[II-II, q. 2, a. 8, ag. 2]84
Alla obiezione che intende negare la fede esplicita nella Trinita, prima di Cristo,
Tommaso poi risponde che tale fede era implicitamente inclusa nella fede dei "maiores".
Prima dell'avvento di Cristo la fede nella Trinita era nascosta nella fede dei "mag
giori". Ma attraverso Cristo e stata manifestata al mondo per mezzo degli Apostoli.
[II-II, q. 2, a. 8, ad 2um]85
Si deve dire che la fede, come anche ogni altra forma di conoscenza, ha una dupli
ce materia:
- la materia "nella quale" [essa si attua, che e il soggetto della fede], che sono i cre
denti stessi;
- la materia "della quale" [si fa professione, che e l'oggetto della fede], che sono le
cose credute.
Ed e in relazione ad entrambe che la fede cristiana puo dirsi "cattolica".
- Da parte di coloro che credono, perche e vera quella fede (come dice l 'Apostolo
in Rm 3) che e testimoniata dalla Legge e dai Profeti. E dal momento che al tempo
dei Profeti i diversi popoli tributavano culti a dei diversi, e solo il popolo di Israele
tributava il culto dovuto al Dio vero, per cui non c'era un'unica religione universa
le, lo Spirito Santo predisse che il culto del vero Dio avrebbe dovuto essere assun
to da tutti. Per cui in Is 45 si dice: davanti a me si pieghera ogni ginocchio e ogni
lingua mi proclamera, profezia che si compira attraverso la fede e la religione cri
stiana. Per questo si dice "cattolica", perche viene recepita dagli uomini di qualun
que condizione. [ . . . ]
- Da parte delle cose credute, poi, nella fede cristiana si trova l'universalita. Presso
gli antichi furono escogitate diverse strade, attraverso le quali gli uomini, cercava
no, o almeno credevano, di rispondere aile diverse esigenze. Alcuni riponevano il
bene dell'uomo nelle sole realta materiali: nelle ricchezze, negli onori o nei piace-
84 <<Praeterea, Dominus dicit, Joan. 17: Pater, manifestavi nomen tuum hominibus, quod exponens Augustin us
dicit, non illud nomen tuum quo vocaris Deus, sed illud quo vocaris Pater meus. Et postea subdit etiam, in hoc
quod Deus fecit hunc mundum, notus in omnibus gentibus; in hoc quod non est cum diis fa/sis colendus, notus in
ludaea Deus,· in hoc vero quod Pater est huius Christi per quem to/lit peccatum mundi, hoc nomen eius, prius
occultum, nunc manifestavit eis. Ergo ante Christi adventum non erat cognitum quod in deitate esset patemitas et
filiatio. Non ergo trinitas explicite credebatur».
85 <<Ad secundum dicendum quod ante Christi adventum fides Trinitatis erat occulta in fide maiorum. Sed per
ri. Altri nei soli beni dell'anima: nelle virtu morali o intellettuali. Altri ancora, come
dice Agostino ne La cittii di Dio, pensavano di dover adorare gli dei per ottenere dei
beni in questa vita, e altri per ricevere dei beni dopo questa vita. E Porfirio diceva,
come riporta sempre Agostino nel X libro de La cittii di Dio, che [ . . . ] non si era mai
sentito parlare di una setta che disponesse di una via universale di liberazione del
l' anima.
[De Trin, ps. 2, q. 3, a. 3 co, nn. 1-2]86
1 .4. L' INFEDELTA COME NON CONOSCENZA E COME OPPOSIZIONE ALLA FEDE
Nel momenta in cui una religione si opponesse, poi, lucidamente e positivamente
aHa fede della Chiesa, per ragioni dottrinali e non solamente storiche contingenti,
sarebbe falsa almena nei contenuti con i quali si oppone alla fede della Chiesa e non
sarebbe in alcun modo salvifica. I suoi seguaci, che si salvino, non si salverebbero gra
zie aHa loro appartenenza religiosa, rna per altri motivi, legati alla loro retta coscienza
e con l'attenuante di un'ignoranza forse invincibile e comunque non pienamente
responsabile. Questa ci introduce all'argomento della infedelta del quale san
Tommaso tratta diffusamente e che pure dobbiamo qui prendere in parte in considera
zione.
Sotto il titolo di "infedelUt" san Tommaso racchiude due tipi di mancanza di fede:
l'uno dovuto alla mancanza di fede non responsabile, dovuta aHa non conoscenza, o
aHa non comprensione della verita proposta da credere; l'altro dovuto al rifiuto respon
sabile e determinato delle verita di fede conosciute.
L'infedelta si puo intendere in due modi.
- In un primo modo come pura negazione, dicendo che e infedele colui che sem
plicemente non ha la fede.
- In un secondo modo come opposizione alla fede, nel senso che uno prova un'av
versione al sentime parlare o prova disprezzo per la fede, come dice Is 53, chi ha
creduto ascoltandoci? E questa e 1' infedelta nel senso pieno del termine. In questo
senso l'infedelta e un peccato.
86 «Responsio. Dicendum quod fides sicut et quaelibet alia cognitio duplicem habet materiam, scilicet in qua, id
est ipsos credentes, et de qua, id est res creditas, et ex parte utriusque materiae fides christiana catholica dici potest.
Ex parte quidem credentium, quia illam fidem veram asserit apostolus Rom. 3, quae est testificata a lege et pro
phetis. Cum autem prophetarum tempore diversae gentes diversorum deorum cultibus insisterent, solus autem
populus israel deo vero cultum debitum exhiberet, et sic non esset una universalis religio, praedixit per eos spiri
tus sanctus cultum veri dei ab omnibus esse assumendum. Unde dicitur Is. 45: mihi curvabitur omne genu et con
fitebitur omnis lingua; quod quidem per christianam fidem et religionem impletur. Unde merito catholica nomina
tur, utpote a cuiuslibet condicionis hominibus recepta. [ . . . ] Sed ex parte etiam rerum creditarum in fide Christiana
universalitas invenitur. Fuerunt namque antiquitus diversae artes et viae, quibus hominibus quantum ad diversa
providebatur vel provided credebatur. Quidam namque bonum hominis in solis corporalibus ponebant, vel in divi
tiis vel honoribus aut voluptatibus. Quidam in solis animae bonis, ut in virtutibus moralibus vel intellectualibus.
Quidam etiam, ut Augustinus dicit in libro de civitate Dei, aestimabant deos esse colendos propter temporalia bona
istius vitae, quidam vero propter bona quae sunt post vitam. Porphyrius etiam ponebat [ . . . ), ut Augustinus dicit X
De civitate Dei, nondum esse receptam unam sectam, quae universalem contineat viam animae Iiberandae>>.
250 ALBERTO STRUMlA
Se, invece, prendiamo l'infedelta nel sensa della pura negazione, come accade a
colora che non hanna mai sentito parlare della fede, [questa] non ha ragione di pec
cato, quanta piuttosto di una pena, perche una simile ignoranza delle cose divine e
una conseguenza del peccato originate.
[II-II, q. 10, a. 1 co]87
Ai nostri giorni la situazione che si presenta ai nostri occhi e spesso una sorta di
mescolanza di entrambe le due forme di infedelta, nel senso che, in molti, il pregiu
dizio di una opposizione alla fede - indotto il piu delle volte da un contesto cultura
le dettato da quei "maiores" che sono i rappresentanti della cultura comunemente dif
fusa, che determinano il modo di pensare dei "minores" - si unisce ad una non cono
scenza, o a un fraintendimento di cia che la fede e e effettivamente propone da cre
dere.
Si ha un'infedelta insieme ad una ignoranza, e un rifiuto di cio che riguarda Ia fede;
e se il rifiuto della fede e in se stesso un peccato dei piu gravi, l'ignoranza costitui
sce una certa scusante, soprattutto se uno non pecca con malizia [ . . . ].
[II-II, q. 10, a. 3, ad 1um]88
Questo, da un lato, certamente riduce (rna non elimina del tutto) la responsabilita di
questi "minores" che vivono nel pregiudizio, nell'indifferenza, o nella ricerca di altro,
mentre dall'altro accresce la responsabilita sia dei "maiores" della cultura in genere,
che anche di quelli che sono "maiores" nella fede che hanno il compito di istruire i
"minores".
E fuor di dubbio che, per san Tommaso, la Sacra Scrittura contiene l'autentica e
completa Rivelazione il cui contenuto Dio stesso propone da credere agli uomini,
mediante la fede nella Sua autorita divina - la cui autentica interpretazione e affidata
al Magistero della Chiesa - e che non vi possono essere altre rivelazioni che ad essa
aggiungono qualcosa.
87 «Respondeo dicendum quod infidelitas dupliciter accipi potest. Uno modo, secundum puram negationem, ut
dicatur infidelis ex hoc solo quod non habet fidem. Alio modo potest intelligi infidelitas secundum contrarietatem
ad fidem, quia scilicet aliquis repugnat auditui fidei, vel etiam contemnit ipsam, secundum illud Isaiae LIII, quis
credidit auditui nostro? Et in hoc proprie perficitur ratio infidelitatis. Et secundum hoc infidelitas est peccatum. Si
autem accipiatur infidelitas secundum negationem puram, sicut in illis qui nihil audierunt de fide, non habet ratio
nem peccati, sed magis pocnae, quia talis ignorantia divinorum ex peccato primi parentis est consecuta».
88 <<Ad secundum dicendum quod infidelitas habet et ignorantiam adiunctam, et habet renisum ad ea quae sunt
fidei, et ex hac parte habet rationem peccati gravissimi. Ex parte autem ignorantiae habet aliquam rationem excu
sationis, et maxime quando aliquis ex malitia non peccat [ . . . )».
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 251
La nostra fede si fonda sulla rivelazione fatta agli apostoli e ai profeti, i quali scrisse
ro i libri canonici e non ad una rivelazione, se ce ne fu qualcuna, fatta ad altri dottori.
[/, q. 1, a. 8, ad 2um]89
Egli non ha, pero, alcuna difficolta, come si e gia evidenziato, ad ammettere che vi
siano state prima di Cristo, delle forme di rivelazione privata, a singole persone, che
hanpo svelato anticipatamente delle verita su Cristo, che sono un patrimonio gia inclu
so nella Rivelazione affidata alla Chiesa. Anzi, sembra propenso a ritenere che siano
state anche frequenti, in ordine alla salvezza dei singoli.
E probabile, tuttavia, che, prima della venuta di Cristo, il mistero della nostra
Redenzione sia stato divinamente rivelato anche a molti tra i gentili.
[De Ver, q. 14, a. 1 1 ad 5um]90
89 «lnnititur enim fides nostra revelationi apostolis et prophetis factae, qui canonicos libros scripserunt, non
divinitus revelatum».
91 «Et singulis temporibus non defuerunt aliqui prophetiae spiritum habentes, non quidem ad novam doctrinam
Siamo consapevoli del fatto che san Tommaso impiegasse il termine "rivelazione"
in modo diverso da noi oggi: per lui "rivelazione" era quasi sinonimo di cia che noi
denotiamo con la parola "ispirazione", mentre quest'ultimo termine denotava propria
mente il processo cognitivo che prelude alla "rivelazione" (cfr. infra, §2.1). Per noi
"Rivelazione" ha un significato molto pili ampio e teologicamente rilevante: e la dona
zione personale e libera di Dio che si comunica al mondo; nella comprensione della
Rivelazione gioca, inoltre, un ruolo importante la Tradizione, oltre alla Scrittura e 1' e
sperienza stessa della Chiesa.92
92 Cfr. sull'argomento: J. RATZINGER, Die Geschichtstheologie des hl. Bonaventura, Schnell & Steiner, Miinchen
1959.
93 Si puii trattare, per lui, sia di conoscenze irraggiunbili dalla sola ragione naturale che di conoscenze razio
nalmente attignbili, che vengono date comunque soprannutralmente, per una ispirazione che le rivela a! soggetto.
94 <<Omnia vero quae ad cognitionem pertinent, sub prophetia comprehendi possunt. Nam prophetica revelatio
se extendit non solum ad futuros hominum eventus, sed etiam ad res divinas, et quantum ad ea quae proponuntur
omnibus credenda, quae pertinent ad fidem, et quantum ad altiora mysteria; quae sunt perfectorum, quae pertinent
ad sapientiam; est etiam prophetica revelatio de his quae pertinent ad spirituales substantias, a quibus vel ad bonum
vel ad malum inducimur, quod pertinet ad discretionem spirituum; extendit etiam se ad directionem humanorum
actuum, quod pertinet ad scientiam; ut infra patebit». Dalla nozione di profezia, nel senso comune del !ermine, che
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 253
Cia che ci interessa, ai fini del nostro problema, non e l'intera dottrina tornista della
profezia, quanto questa nozione di "ispirazione", come un rivelarsi al soggetto di con
tenuti di conoscenza, e il modello del processo cognitivo che la realizza. Secondo il
modello che viene ricavato dalla descrizione della profezia presente nella Sacra
Scrittura:
a) la mozione dello Spirito Santo eleva le capacita cognitive della mente per ren
derla atta a conoscere cia che Dio vuole comunicarle: e questa prima azione sopran
naturale parte da Dio stesso e costituisce l'ispirazione;
b) nella mente cosi elevata vengono impressi dei contenuti di conoscenza che essa
non conosceva da sola: e questa seconda operazione viene detta rivelazione. Questa,
propriamente, riguarda conoscenze di per se inattingibili dalla ragione umana di
chiunque (revelatum "per se ), rna in taluni casi pua riguardare anche conoscenze
"
che, almeno per alcuni uomini, possono essere raggiungibili anche con la sola ragio
ne (revelatum "per accidens ").95
I passi tomisti nei quali si parla della profezia sono assai numerosi.96 Tra i principa
li si possono citare almeno le intere questioni:
De Ver, q. 12;
II-II, qq. 171-174.
e le intere lezioni di commenti biblici:
Sup Is, cp. 1;
Sup I Cor, 14, 1. 1;
Sup Heb, 11, 1. 7;
oltre a:
- CG, L. 3, c. 154, nn. 18 e 22;
Per i nostri scopi e sufficiente considerare i seguenti passi della Summa Theologiae
e della Summa contra gentiles.
consiste nella predizione corretta dei "futori contingenti" (detta profezia in senso "proprio", in Sup Is, cp. 1 , 1. 1,
mentre le altre forme sono dette qui "improprie"), alia conoscenza piu generale di cio che e lontano dalla nostra
portata, e che eccede le possibilitii della ragione (cfr. Sup I Cor, cp. 14, l. 1), fino alia conoscenza stessa dell'cs
senza di Dio (cfr. De ver, q. 12, a. 1 co).
95 «Quaedam enim sunt procul utpote ornnem cognitionem humanam excedentia, ut Dcum esse trinum et unum,
et alia huiusmodi: et talia non sunt conclusiones scientiarum. Quaedam vero sunt procul utpote exc:edentia cogni
tionem alicuius hominis, non cognitionem humanam simpliciter; utpote quae a doctis per demonstrationem sc:iun
tur, sed indocti naturali cognitione ad ea non pertingunt, sed quandoque elevantur ad ea revelationc divilla» (De
Ver, q. 12, a. 2 co).
96 I! lemma prophetia compare nelle opere autentiche ben 662 volte.
254 ALBERTO STRUMlA
97 «In prophetia requiritur quod intentio mentis elevetur ad percipienda divina, unde dicitur Ezech. 2, fili homi
nis, sta super pedes tuos, et loquar tecum. Haec autem elevatio intentionis fit spiritu sancto movente, unde ibi sub
ditur, et ingressus est in me spiritus, et statuit me super pedes meos. Postquam autem intentio mentis elevata est
ad supema, percipit divina, unde subditur, et audivi loquentem ad me. Sic igitur ad prophetiam requiritur inspira
tio quantum ad mentis elevationem, secundum illud lob XXXII, inspiratio omnipotentis dat intelligentiam, reve
latio autem, quantum ad ipsam perceptionem divinorum, in quo perficitur prophetia; per ipsam removetur obscu
ritatis et ignorantiae velamen, secundum illud lob XII, qui revelat profunda de tenebris». Vale Ia pensa precisare
come Tommaso abbia impiegato piu volte, anche trattando della profezia (cfr. ad es. ll-ll, q. 171, a. 2co), il termi
ne «lumen>> (Ia dottrina del lumen ricorre con grande frequenza in tutta Ia sua opera), che e pen) piu generico del
termine «inspiratio>>, tanto che egli puo applicarlo secondo un'ampiezza che, oltre a considerare Ia luce in senso
fisico (<<lumen corporale>>, <<lumen in aere»), spazia dal livello della ragione naturale (<<lumen naturalis rationis>>),
a quello che eccede Ia ragione stessa (<<lumen intelligibile excedens lumen naturalis rationis>>, <<lumen fidei>>), fino
a! <<lumen gloriae». E in questo ad 4um, egli precisa come il <<lumen propheticum>> che non e un habitus perma
nente (<<per modum formae permanentis»), si possa attuare mediante un duplice processo cognitivo: quello ele
vante della <<inspiratio>> e successivamente quello della vera e propria «revelatiO>>. In questo senso Ia <<inspiratio»
indica i1 primo livello cognitivo attraverso cui si realizza il <<lumen propheticum>>.
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 255
La profezia e ordinata alia conoscenza della verita divina, in vista della contempla
zione della quale, non solo siamo istruiti nella fede, rna siamo guidati anche nel
nostro agire, secondo quanto dice il salmo, manda Ia tua luce e Ia tua verita, che mi
condurranno. E Ia nostra fede consiste principalmente in due cose.
- In primo luogo, nella vera conoscenza di Dio; cfr. Eb 11, chi infatti s 'accosta a
Dio deve credere che egli esiste;
- in secondo luogo, nel mistero dell'incamazione di Cristo; cfr. Gv 14, credete in
Dio e credete anche in me.
Quanta alia conoscenza dell'esistenza di Dio e dei suoi principali attributi, cia che
Tommaso afferma in merito alia profezia dell' Antico Testamento, ha un qualche valo
re, pur con le debite differenze, anche in rapporto alle religioni (e filosofie), quando
alcune delle stesse verita, come dei semina Verbi, sono state additate dai loro fondato
ri e maestri.
Se, dunque, parliamo della profezia in quanto e ordinata alia fede in Dio, questa si svi
luppo secondo una triplice distinzione di tempi, e cioe: prima della Legge, sotto Ia
Legge e sotto Ia Grazia. Prima della Legge, Abramo e gli altri padri furono istruiti pro
feticamente su cio che riguarda Ia fede in Dio. E per questo vengono chiamati "profe
ti"; cfr. il detto del salmo, non disprezzate i miei profeti, con riferimento particolare ad
Abramo e Isacco.
Per quanta riguarda Ia conoscenza di Cristo, si rileva che Ia vicinanza a Lui com
porta una maggior prossimita alle verita credute nella fede della Chiesa. Tommaso lo
dice intendendo Ia prossimita in sensa cronologico, rna ovviamente questa vale anche
nel senso della "inclusione" nella Chiesa.
Quanto alla fede nell'incamazione di Cristo, e chiaro che coloro che furono piu vici
ni a Cristo, sia prima che dopo, nella maggior parte dei casi, furono istruiti piu piena
mente su di essa. E di piu dopo che prima, come dice l'Apostolo agli Efesini (cap. 3).
256 ALBERTO STRUMIA
E anche dal punto di vista della funzione moralizzatrice le religioni, quando sono
autentiche, hanno una funzione di richiamo ad una condotta buona che consente di
governare Ia vita di una nazione.
In ordine ad una guida per 1' agire umano, la rivelazione profetica non si diversifica
secondo un criterio temporale, rna secondo le situazioni delle persone; come si dice in
Pr 29, se venisse meno Ia profezia, if popolo si disso/verebbe nella corruzione. Per cui
in ogni tempo gli uomini vengono istruiti divinamente su come agire, in vista della sal
vezza degli eletti.
[II-II, q. 174, a. 6 cot8
2.1.2. Testo della "Summa contra gentiles " - Rivelazione, Scrittura e interpretazione
Questo testo della Summa contra gentiles (CG, L. 3, c. 154, n. 18), ha un carattere
e uno scopo molto diversi ed e particolarmente importante: lo scopo dell' opera essen
do apologetico, tiene in particolare rilievo sia Ia prospettiva storica che il problema
della Scrittura, includendo anche il problema ermeneutico.99
98 «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, prophetia ordinatur ad cognitionem divinae veritatis, per cuius
contemplationem non solum in fide instruimur, sed etiam in nostris operibus gubernamur, secundum illud Psalmi,
emitte lucem tuam et veritatem tuam, ipsa me deduxerunt. Fides autem nostra in duobus principaliter consistit,
primo quidem in vera Dei cognitione, secundum illud Heb. 1 1 , accedentem ad Deum oportet credere quia est;
secundo, in mysterio incarnationis Christi, secundum illud loan. 14, creditis in Deum, et in me credite. Si ergo de
prophetia loquamur inquantum ordinatur ad fidem deitatis, sic quidem crevit secundum tres temporum distinctio
nes, scilicet ante legem, sub lege, et sub gratia. Nam ante legem, Abraham et alii patres prophetice sunt instructi
de his quae pertinent ad fidem deitatis. Unde et prophetae nominantur, secundum illud Psalmi, in prophetis meis
nolite malignari, quod specialiter dicitur propter Abraham et Isaac. Sub lege autem, facta est revelatio prophetica
de his quae pertinent ad fidem deitatis excellentius quam ante, quia iam oportebat circa hoc instrui non solum spe
ciales personas aut quasdam familias, sed totum populum. Unde dominus dicit Moysi, Exod. 6, ego dominus, qui
apparui Abraham, Isaac et Jacob in Deo omnipotente, et nomen meum Adonai non indicavi eis, quia scilicet prae
cedentes patres fuerunt instructi in communi de omnipotentia unius Dei, sed Moyses postea plenius fuit instructus
de simplicitate divinae essentiae, cum dictum est ei, Exod. 3, ego sum qui sum; quod quidem nomen significatur a
Iudaeis per hoc nomen Adonai, propter venerationem illius ineffabilis nominis. Postmodum vero, tempore gratiae,
ab ipso filio Dei revelatum est mysterium Trinitatis, secundum illud Matth. ult., euntes, docete omnes gentes, bap
tizantes eos in nomine patris et filii et spiritus sancti. In singulis tamen statibus prima revelatio excellentior fuit.
Prima autem revelatio ante legem facta est Abrahae, cuius tempore coeperunt homines a fide unius Dei deviare, ad
idololatriarn declinando, ante autem non erat necessaria talis revelatio, omnibus in cultu unius Dei persistentibus.
Isaac vero facta est inferior revelatio, quasi fundata super revelatione facta Abrahae, unde dictum est ei, Gen. 26,
ego sum Deus patris tui Abraham. Et similiter ad Iacob dictum, Gen. 28, ego sum Deus Abraham, patris tui, et
Deus Isaac. Similiter etiam in statu legis, prima revelatio facta Moysi fuit excellentior, supra quam fundatur omnis
alia prophetarum revelatio. Ita etiam in tempore gratiae, super revelatione facta apostolis de fide unitatis et
Trinitatis fundatur tota fides Ecclesiae, secundum illud Matth. 16, super hanc petram, scilicet confessionis tuae,
aedificabo Ecclesiam meam. Quantum vero ad fidem incarnationis Christi, manifestum est quod quanto fuerunt
Christo propinquiores, sive ante sive post, ut plurimum, plenius de hoc instructi fuerunt. Post tamen plenius quam
ante, ut apostolus dicit, ad Ephes. 3. Quantum vero ad directionem humanorum actuum, prophetica revelatio diver
sificata est, non secundum temporis processum, sed secundum conditionem negotiorum, quia, ut dicitur Prov. 29,
cum defecerit prophetia, dissipabitur populus. Et ideo quolibet tempore instructi sunt homines divinitus de agen
dis, secundum quod erat expediens ad salutem electorum>>.
99 In questo senso siamo molto piu vicini all'impostazione moderna della teologia.
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 257
In prima luogo si presenta la profezia come elemento probante della storicita dei
Vangeli: cio che questi narrano e storico e non un'invenzione fantastica, rna l'attuarsi
di quanto fu previsto dai profeti.
Cio che costituisce l'oggetto della predicazione della fede e attestato, in un altro modo,
anche dalla profezia. Infatti, sono avvenimenti storici quelli che vengono predicati per
essere accolti mediante la fede, come la nascita di Cristo, la Sua passione e risurre
zione, ecc.
E perche non si pensi che questi sono stati inventati da coloro che li predicano, siano
avvenuti a caso, sono resi credibili dal fatto di essere stati predetti molto tempo prima
dai profeti.
[CG, L. 3, c. 154, n. 18]100
In secondo luogo si motiva: a) la necessita della Scrittura, come forma nella quale
e stato necessaria fissare la Rivelazione della quale, nei testi precedenti, si e descritto
il processo cognitivo; b) la necessita di un'interpretazione autentica della Scrittura nei
tempi successivi.
Dopo il livello di coloro che ricevono la Rivelazione immediatamente da Dio, si rende
necessaria un secondo livello di azione della grazia. Infatti gli uomini ricevono la
Rivelazione da Dio non solo per il tempo presente, rna anche per istruire tutti quelli
dei tempi futuri.
- E per questo fu necessaria che non ci si lirnitasse a narrare a voce, ai presenti, cio
che veniva rivelato, rna che lo si scrivesse ad istruzione di quelli che sarebbero venuti
dopo.
- E fu necessaria anche che ci fossero alcuni che interpretassero questi scritti. E que
sto deve avvenire con la grazia divina, cos! come per grazia fu data la Rivelazione.
[CG, L. 3, c. 154, n. 19]101
100 <<Attestatur autem praedicationi fidei prophetia per alium modum: inquantum scilicet aliqua fide tenenda
praedicantur quae temporaliter aguntur, sicut nativitas Christi, passio et resurrectio, et huiusmodi; et ne huiusmo
di ficta a praedicantibus esse credantur, aut casualiter evenisse, ostenduntur Ionge ante per prophetas praedicta>>.
101 <<Post gradum autem illorum qui immediate revelationem a Deo recipiunt, est necessarius alius gratiae gra
dus. Quia enim homines revelationem a Deo accipiunt non solum pro praesenti tempore, sed etiam ad instructio
nem omnium futurorum, necessarium fuit ut non solum ea quae ipsis revelantur, sermone narrarentur praesentibus;
sed etiam scriberentur ad instructionem futurorum. Unde et oportuit aliquos esse qui huiusmodi scripta interpre
tarentur. Quod divina gratia esse oportet, sicut et ipsa revelatio per gratiam dei fuit>>.
258 ALBERTO STRUMlA
Sebbene alcuni padri dell' Antico Testamento avessero ricevuto una grazia personale
in pienezza, tuttavia il loro non era ancora il tempo della grazia, a causa dell'impedi
mento del peccato originale, al quale non era stato dato ancora il rimedio della morte
di Cristo nella natura umana, per cui non doveva essere significata la pienezza di gra
zia come fosse gia presente, rna solo come futura, attraverso le apparizioni e i sacra
menti della Legge.
[/ Sent, d. 16, q. 1, a. 2 ad 1umJI02
102
<<Ad primum igitur dicendum, quod quamvis aliqui patres veteris testamenti gratiam plenissirnam acceperint
persona/em, tamen quia nondum erat tempus gratiae, propter impedimentum originalis peccati, a quo nondum
morte christi natura humana remedium acceperat, ideo non debuit significari plenitudo gratiae ut praesens, sed tan
tum ut futura in apparitionibus et legalibus sacramentis».
103
<<Ad tertium dicendum, quod quamvis aliis gentibus non esset data lex divinitus communiter omnibus sicut
judaeis, ex quibus nasciturus erat Christus, et sic oportebat in eis potius fidem vigere; tamen multis etiam gentili
bus revelationes per angelos factae sunt etiam de Christo, sicut patet de Sybilla, quae de Christo expresse prophe
tavit. In historiis romanis etiam Jegitur, quod temporibus Constantini imperatoris inventum fuit in grascia quod
dam corpus in sepulcro quodam habens Jaminam auream supra pectus, in qua scriptum erat: Christus nascetur ex
virgine et credo i11 eum. 0 sol, sub Irenes et Constantini temporibus iterum me videbis. llli etiam quibus specialis
Capitolo IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 259
Un altro breve riferimento alle Sibille si trova anche nel cenno seguente, la dove si
parla dei profeti del demonio.
Per cui anche le Sibille predissero molte cose vere intomo a Cristo.
[II-II, q. 172, a. 6, ad 1umJ 106
revelatio facta non fuerat, salvari poterant, etiam si nihil de Lege Moysi audissent, neque aliquid de ea scirent, quia
Lex ilia non erat omnibus data, sed tantum judaeis; unde alii non peccabant si legis observantias non servarent.
Secus autem est de Lege Christi, quae omnibus pronuntiata est. Salvabantur tamen fide implicita redemptoris,
implicando fidem suam in cognitione Dei, vel eorum qui a Deo docti erant, indeterminate, quicumque illi essen!;
sicut majores judaeorum quantum ad ea quae eis nondum fuerant revelata, dum contrarium pertinaciter non tene
rent contra praedicantem fidem>>.
104 «Probabile tamen est multis etiam gentilibus ante Christi adventum mysterium redemptionis nostrae fuisse
divinitus revelatum, sicut pate! ex sibyllinis vaticiniis>>.
105
«Ad tertium dicendum quod multis gentilium facta fuit revelatio de christo, ut patet per ea quae praedixerunt.
Nam lob 19 dicitur, scio quod redemptor meus vivit. Sibylla etiam praenuntiavit quaedam de Christo, ut
Augustinus dicit. Invenitur etiam in historiis romanorum quod tempore Constantini Augusti et Irenae matris eius
inventum fuit quoddam sepulcrum in quo iacebat homo auream laminam habens in pectore in qua scriptum erat,
Christus nascetur ex virgine et credo in eum. 0 sol, sub Irenae et Constantini temporibus iterum me videbiS>>.
106
«Unde etiam Sibyllae multa vera praedixerunt de Christo».
260 ALBERTO STRUMiA
avrebbero, naturalmente, Gesu Cristo come contenuto esplicito, rna delle verita su Dio,
sull'immortalita dell'anima umana, ecc., e altro ancora.
Certamente l'ottica con la quale oggi guardare a questo tipo di rivelazioni, si inse
risce in un clima molto diverso, rna i1 nodello della ispirazione-rivelazione proposto
da Tommaso pare applicabile anche per descrivere il processo cognitivo che permette
il formarsi dei semina Verbi presso culture e religioni non cristiane, attraverso la
mediazione di singole persone che, profeticamente, le comunicano ad un gruppo e ad
un intero popolo, attraverso gli insegnamenti creduti aderendo ad una religione.
E interessante anche rilevare come la fede in queste rivelazioni private appaia, in
certo modo, contrapposta alla fede implicita di colora che si sono salvati senza tali
rivelazioni, come una sorta di livello intermedio che si colloca tra la "fides implicita"
e la "fides esplicita" della Chiesa.
Sembra trattarsi, come si e osservato in precedenza, di una fede che e "incoativa",
cioe parzialmente esplicita rna incompleta, nel senso che e
- esplicita in rapporto al contenuto particolare conosciuto tramite la rivelazione
privata
....:. distorta in rapporto ad almeno alcuni di quei contenuti che sono creduti rna non
fanno parte della rivelazione privata, siano essi attingibili o non attingibili dalla
ragione naturale.
107 II !ermine communicatio riveste il duplice significato di comunicazione e di comunione. Sull'impiego del !er
mine "communicatio", specialmente in relazione a! dialogo in san Tommaso, rinviamo a: J. BoBIK, Aquinas on
communicatio: The Foundation ofFriendship and caritas, "The Modern Schoolman" (1986), pp. 1-18; A. MAIO,
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 261
ll concetto di comunicazione. Saggio di lessicografia filosofica e teologica sui tema di communicare in Tommaso
d'Aquino, Editrice Pontificia Universita Gregoriana, Roma 1998; L.J. Elders, II dialogo in san Tommaso, "Doctor
Communis", n.s. 1, (2001), pp. 133-153.
108
<<Ad primum ergo dicendum quod nominum multiplicitas non attenditur secundum nominis praedicationem,
sed secundum significationem, hoc enim nomen homo, de quocumque praedicetur, sive vere sive false, dicitur uno
modo. Sed tunc multipliciter diceretur, si per hoc nomen homo intenderemus significare diversa, pula, si unus
intenderet significare per hoc nomen homo id quod vere est homo, et alius intenderet significare eodem nomine
lapidem, vel aliquid aliud. Unde pate! quod catholicus dicens idolum non esse Deum, contradicit pagano hoc asse
renti, quia uterque utitur hoc nomine Deus ad significandum verum Deum. Cum enim paganus dicit idolum esse
Deum, non utitur hoc nomine secundum quod significat deum opinabilem, sic enim verum dicere!, cum etiam
catholici interdum in tali significatione hoc nomine utantur, ut cum dicitur, omnes dii gentium daemonia>>.
262 ALBERTO STRUMiA
erronei, con argomenti razionali e non con pure e semplici prese di posizione immoti
vate. 11 punta fondamentale per il dialogo e, allora, in prima luogo, la questione della
verita in se stessa e, in secondo luogo, quella della verita di una religione.
Secondo elemento: la fermezza della fede e la chiarezza sulla propria identita cristiana
11 secondo elemento necessaria ad un dialogo interreligioso che sia autenticamente
tale, consiste nella solidita della fede e nella chiara consapevolezza e conoscenza della
propria identita cristiana. Per cui e sconsigliabile che nel dialogo si impegnino colora
che hanna idee confuse e una fede instabile.
Bisogna distinguere a seconda delle situazioni delle persone, dei compiti e dei
tempi.
- Se alcuni sono ben fermi nella fede e dal dialogo con i non cristiani puo scaturi
re il loro avvicinamento alia fede, piuttosto che un allontanamento dei fedeli, non si
deve impedire un tale dialogo, specialmente se ci sia una situazione in cui e urgen
te stabilire una chiarezza di posizioni.
- Se invece si tratta di persone impreparate e dalla fede inconsistente, che potreb
bero rimanere disorientate, vanno dissuase e sconsigliate dall'avere eccessiva con
fidenza con i non cristiani, se non vi e una vera necessita.
[II-II, q. 10, a. 9 cojHJ9
Non si puo parlare di dialogo se chi lo istituisce si colloca nella posizione di chi
considera le verita, che sono oggetto della propria fede, come "opinioni" delle quali si
109 <<Videtur esse distinguendum secundum diversas conditiones personarum et negotiorum et temporum. Si
enim aliqui fuerint firrni in fide, ita quod ex communione eorum cum infidelibus conversio infidelium magis spe
rari possit quam fidelium a fide aversio; non sun! prohibendi infidelibus communicare qui fidem non susceperunt,
scilicet paganis vel iudaeis, et maxime si necessitas urgeat. Si autem sint simplices et infirrni in fide, de quorum
subversione probabiliter timeri possit, prohibendi sunt ab infidelium communione, et praecipue ne magnam fami
liaritatem cum eis habeant, vel absque necessitate eis communicent». Questo testo e stato tradotto con una mag
giore liberta e facendo uso di una terrninologia piu vicina a quella odiema, per facilitare il lettore nel riconoscere
Ia fondatezza e l'attualita dei principi che san Tommaso offre a noi anche oggi su questo problema, a proposito del
quale le ambiguita, il disorientamento e Ie falsificazioni sono tanto frequenti.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 263
puo dubitare. Infatti, sulla base dei testi precedentemente esaminati, colui che dubita
non puo considerarsi credente.
- Da parte di chi sostiene il dibattito, bisogna considerare, anzitutto, l'intento. Se
dialoga mettendo in dubbio la propria fede, con un'incertezza sulla verita della fede,
con l'intento di metterla alla prova con i vari argomenti, pecca di dubbiosita com
portandosi come un non credente. Se, invece, dialoga sulla fede per snidare gli erro
ri delle altre posizioni, allora svolge un compito pregevole.
- Da parte di coloro che assistono ascoltando, bisogna distinguere se sono prepara
ti e fermi nella fede, o impreparati e incerti nella fede
[ibidem]
1 10 <<Respondeo dicendum quod in disputatione fidei duo sunt consideranda, unum quidem ex parte disputantis;
aliud autem ex parte audientium. Ex parte quidem disputantis est consideranda intentio. Si enim dispute! tanquam
de fide dubitans, et veritatem fidei pro certo non supponens, sed argumentis experiri intendens, procul dubio pee
cat, tanquam dubius in fide et infidelis. Si autem dispute! aliquis de fide ad confutandum errores, vel etiam ad exer
citium, laudabile est. Ex parte vero audientium considerandum est utrum illi qui disputationem audiunt sint
instructi et firmi in fide, aut simplices et in fide titubantes. Et coram quidem sapientibus in fide firmis nullum peri
culum est disputare de fide. Sed circa simplices est distinguendum. Quia aut sunt sollicitati sive pulsati ab infide
libus, pula iudaeis vel haereticis sive paganis, nitentibus corrumpere in eis fidem, aut omnino non sunt sollicitati
super hoc, sicut in terris in quibus non sunt infideles. In primo casu necessarium est publice disputare de fide,
dummodo inveniantur aliqui ad hoc sufficientes et idonei, qui errores confutare possint. Per hoc enim simplices in
fide firmabuntur; et tolletur infidelibus decipiendi facultas; et ipsa tacitumitas eorum qui resistere deberent per
vertentibus fidei veritatem esset erroris confirmatio. [ . . . ] In secundo vero casu periculosum est publice disputare
de fide coram simplicibus; quorum fides ex hoc est firmior quod nihil diversum audierunt ab eo quod credunt. Et
ideo non expedit eis ut verba infidelium audiant disceptantium contra fidem».
264 ALBERTO STRUMlA
Alcuni tra loro, come i maomettani e i pagani, non hanno in comune con noi il rico
noscimento dell'autorita di alcuna parte della Scrittura, a partire dalla quale possano
essere convinti, cosa che invece avviene per i giudei con i quali possiamo discutere a
partire dall'Antico Tenstamento, o per gli eretici con i quali possiamo utilizzare anche
il Nuovo Testamento.
Quelli non riconoscono ne l'uno ne l'altro. Per cui e necessaria ricorrere alia ragione
naturale, che tutti sono costretti a riconoscere. Questa, tuttavia, e insufficiente a tratta
re a pieno le realta divine.
(CG, L. 1, c. 2, n. 4] 111
L'importanza del ruolo della ragione naturale, come fondamento umano universale
del dialogo, e messa bene in evidenza dall' Aquinate come condizione imprescindibi
le, anche se non sufficiente per affrontare le tematiche della fede religiosa. Come si e
gia ampliamente rilevato in precedenza, oggi, il relativismo filosofico ha ulteriormen
te indebolito anche il riconoscimento del livello della ragione naturale; di conseguen
za il terreno comune a partire dal quale fondare il dialogo e divenuto via via piu ristret
to. Rimane il terreno della scienza che possiede ancora una base di capacita dimostra
tiva riconosciuta. Tuttavia se, come rileva Tommaso, la "ragione filosofica" naturale
che, al suo tempo si estendeva, nella pienezza dei suoi poteri, a tutti i campi della real
til era «insufficiente (deficiens)» per trattare le realta divine, quanto piu lo e oggi la
"ragione scientifica", i cui oggetti e soprattutto i cui metodi, sono ancora piu ristretti.
Cio che occorre, per mettere a punto un dialogo non illusorio, o solamente "politico",
rna di confronto tra dei contenuti di conoscenza, e la messa a punto di una razionalita
metodologicamente "scientifica" che si estenda a tutti gli oggetti dell'esperienza
umana, con dei metodi non riduttivi, rna il piu possibile adeguati agli oggetti stessi.
Una sorta di ricostruzione della metafisica, dell'antropologia, che viene generata a
partire da una necessita fondazionale delle discipline che oggi vengono riconosciute
come scienze.
111 «[ .. ] quidam eorum, ut mahumetistae et pagani, non conveniunt nobiscum in auctoritate alicuius scripturae,
.
per quam possint convinci, sicut contra iudaeos disputare possumus per vetus testamentum, contra haereticos per
novum. Hi vero neutrum recipiunt. Unde necesse est ad naturalem rationem recurrere, cui omnes assentire cogun
tur. Quae !amen in rebus divinis deficiens est>>.
Capitola IV - Religione, fede, rivelazione e salvezza 265
1 12 <<Respondeo dicendurn quod in infidelitate, sicut dictum est, duo possunt considerari. Quorum unum est com
paratio eius ad fidem. Et ex hac parte aliquis gravius contra fidem peccat qui fidei renititur quam suscepit quam
266 ALBERTO STRUMIA.
Un testo che e interessante per chiarire i termini di cia che oggi viene chiamata "tol
leranza", in quanto mette in luce la differenza tra gli errori in merito alla conoscenza
della verita che, in questo caso e verita in materia di fede, e gli errori morali del sog
getto che non conosce, o non accoglie, o rifiuta dopo averla in un primo tempo accol
ta, la verita conosciuta. In un contesto di relativismo tendono, invece, a svanire entram
bi e vengono meno i criteri di confronto e valutazione. Per questo il problema episte
mologico e primario anche in ordine alla praticabilita di un dialogo non apparente.
Per Tommaso, la tolleranza non viene motivata in forza del relativismo e dell' equi
valenza di ogni opinione religiosa, rna per una sorta di "pazienza storica": come Dio
tollera alcuni mali in vista di un cammino delle persone, cosi devono fare anche gli
uomini e anche la Chiesa. Questo rende ancora piu responsabile la Chiesa nei con
fronti della verita alla quale tutti devono essere pazientemente guidati e nella quale
tutti devono essere istruiti con delle ragioni adeguate. In ogni caso non si tratta di una
tolleranza nei confronti degli errori dottrinali che devono essere denunciati, rna nei
confronti dei riti religiosi, quando questi non siano socialmente pericolosi.
II modo di governare umano deriva dal modo di governare divino e quindi deve imi
tarlo. Ora Dio, pur essendo onnipotente e sommamente buono, permette talvolta che
nell'universo si verifichino dei mali che potrebbe impedire, rna non lo fa per non
rimuovere anche, con essi, dei beni piu grandi o per evitare dei mali ancora peggiori.
Cosi anche nel modo di governare degli uomini coloro che sono a capo, opportuna
mente tollerano alcuni mali, per non impedire alcuni altri beni, o per evitare mali peg
giori [ . . . ]. E cosi, benche gli infedeli, con i Ioro riti, pecchino, si possono tollerare o
per un qualche bene che a loro possa venire, o per evitare qualche male.
Dal fatto che i giudei osservano i loro riti, nei quali un tempo veniva prefigurata Ia
verita della nostra fede, ne viene il bene della testimonianza della nostra stessa fede
anche da parte di coloro che l'avversano e, come in figura, viene rappresentato cio che
noi crediamo. Per questo possono essere tollerati quanto ai loro riti.
Mentre i riti degli altri infedeli, che non portano in se alcuna verita o una utilita, non
si possono tollerare allo stesso livello, se non accidentalmente per evitare qualche
male, come uno scandalo o un dissidio che potrebbe insorgere, o un ostacolo alia sal
vezza di coloro che, tollerati, un po' alia volta possono convertirsi alia fede.
Per questa ragione, talvolta, Ia Chiesa ha tollerato anche i riti degli eretici e dei paga
ni, in presenza di un gran numero di infedeli.
[II-II, q. 10, a. 1 1 co] 113
qui renititur fidei nondum susceptae, sicut gravius peccat qui non implet quod promisit quam si non impleat quod
nunquam promisit. Et secundum hoc infidelitas haereticorum, qui profitentur fidem evangelii et ei renituntur cor
rumpentes ipsam, gravius peccant quam iudaei, qui fidem evangelii nunquam susceperunt. Sed quia susceperunt
eius figuram in veteri lege, quam male interpretantes corrumpunt, ideo etiam ipsorum infidelitas est gravius pec
catum quam infidelitas gentilium, qui nullo modo fidem evangelii susceperunt. Aliud quod in infidelitate conside
ratur est corruptio eorum quae ad fidem pertinent. Et secundum hoc, cum in pluribus errent gentiles quam iudaei,
et iudaei quam haeretici, gravior est infidelitas gentilium quam iudaeorum, et iudaeorum quam haereticorum, nisi
forte quorundam, pula manichaeorum, qui etiam circa credibilia plus errant quam gentiles».
113 «Respondeo dicendum quod humanum regimen derivatur a divino regimine, et ipsum debet imitari. Deus
autem, quarnvis sit omnipotens et summe bonus, permittit tamen aliqua mala fieri in universo, quae prohibere pos-
Capitola IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 267
set, ne, eis sublatis, maiora bona tollerentur, vel etiam peiora mala sequerentur. Sic igitur et in regimine humano
illi qui praesunt recte aliqua mala tolerant, ne aliqua bona impediantur, vel etiam ne aliqua mala peiora incurran
tur [ . . . ]. Sic igitur, quamvis infideles in suis ritibus peccent, tolerari possunt vel propter aliquod bonum quod ex
eis provenit, vel propter aliquod malum quod vitatur. Ex hoc autem quod iudaei ritus suos observant, in quibus
olim praefigurabatur veritas fidei quam tenemus, hoc bonum provenit quod testimonium fidei nostrae habemus ab
hostibus, et quasi in figura nobis repraesentatur quod credimus. Et ideo in suis ritibus tolerantur. Aliorum vero infi
delium ritus, qui nihil veritatis aut utilitatis afferunt, non sunt aliqualiter tolerandi, nisi forte ad aliquod malum
vitandum, scilicet ad vitandum scandalum vel dissidium quod ex hoc posse! provenire, vel impedimentum salutis
eorum, qui paulatim, sic tolerati, convertuntur ad fidem. Propter hoc enim etiam haereticorum et paganorum ritus
aliquando ecclesia toleravit, quando erat magna infidelium multitudo». Un'analisi approfondita degli argomenti
trattati in questo testo si puii trovare in A. BROADIE, Medieval Jewry through the Eyes ofAquinas, in G. VERBEKE
and D. VERHELST (edd.), Aquinas and Problems of His Time, Leuven University Press - Martinus Nijhoff, The
Hague, Louvain 1976, pp. 57-68 , in particolare aile pp. 66-67.
114 Del resto gia san Giovanni Damasceno aveva computato I' islam tra le eresie (cfr. Capitolo I, nota 25).
268 ALBERTO STRUMiA
Cosi risulta chiaro che quanti prestano fede ai suoi detti credono con troppa inge
nuitii.
[CG, L. 1, c. 6, n. 7] 115
Testa n. 2
[ . . . ] in tutto il mondo e stata edificata Ia Chiesa. Poi [alcuni] sono ritornati all'infe
delta, attraverso l'eresia nicolaita e maomettana.
[In Psal, ps. 2, n. 6] 116
Testa n. 3
[ . . . ] questo e il piu grande di tutti i miracoli, che a partire da pochi si son convertiti
alia fede un'infinita di uomini; a partire da pochi che predicavano Ia poverta si sono
convertiti i ricchi; a partire da degli ignoranti che predicavano delle cose superiori alia
ragione [umana] si sono convertiti i sapienti e i filosofi (Per tutta Ia terra si diffonde
Ia /oro voce e ai confini del mondo Ia loro parola, ecc., cfr. Sa/ 18,5). Se si obietta che
anche Ia Iegge di Maometto e stata accolta da molti, si deve dire che non e Ia stessa
cosa, perche egli li ha soggiogati opprimendoli con Ia forza delle armi; mentre gli apo
stoli, morendo essi stessi hanno attratto gli altri alia fede, e con segni e prodigi. Quello
proponeva cose che spingono a! piacere e alia dissolutezza, mentre Cristo e gli apo
stoli richiamavano a non attaccarsi alle cose terrene.
[Sup I Cor, c. 15, lc. 1 ] 117
115 <<Hi vero qui sectas errorum introduxerunt processerunt via contraria: ut pate! in mahumeto qui carnalium
voluptatum promissis, ad quorum desiderium carnalis concupiscentia instigat, populus illexit. Praecepta etiam tra
didit promissis conformia, voluptati carnali habenas relaxans, in quibus in promptu est a carnalibus hominibus obe
diri. Documenta etiam veritatis non attulit nisi quae de facili a quolibet mediocriter sapiente naturali ingenio
cognosci possint: quin potius vera quae docuit multis fabulis et falsissimis doctrinis immiscuit. Signa etiam non
adhibuit supernaturaliter facta, quibus solis divinae inspirationi conveniens testimonium adhibetur, dum operatio
visibilis quae non potest esse nisi divina, ostendit doctorem veritatis invisibiliter inspiratum: Sed dixit se in armo
rum potentia missum, quae signa etiam latronibus et tyrannis non desunt. Ei etiam non aliqui sapientes, in rebus
divinis et humanis exercitati, a principio crediderunt: sed homines bestiales in desertis morantes, omnis doctrinae
divinae prorsus ignari, per quorum multitudinem alios armorum violentia in suam legem coegit. Nulla etiam divi
na oracula praecedentium prophetarum ei testimonium perhibent: quin potius quasi omnia veteris et novi testa
menti documenta fabulosa narratione depravat, ut pate! eius legem inspicienti. Unde astuto consilio libros veteris
et novi testamenti suis sequacibus non reliquit legendos, ne per eos falsitatis argueretur. Et sic pate! quod eius die
tis fidem adhibentes leviter credunl>>. Rimandiamo R.-A. GAUTHIER, Somme Contre le Gemils. Introduction
(Collection Philosophie Europeenne), Paris 1993: La religion musulmane, pp. 119-128 e all'articolo di E. PIATII,
ll colltesto teologico dell'apprezzamento dell'lslam di S. Tommaso, in D. LoRENZ, S. SERAFINI (eds.), Istituto San
Tommaso. Studi 1995, Roma 1995, pp. 294-307, per un commento apprfondito di questo testo.
11 6 «[ . . . ]
quia per totum mundum aedificata est ecclesia. Sed postmodum per nicolaum haereticum, et mahu
metum ad infidelitatem redierunl>>.
111 «Sed hoc Augustinus dicit pertinere ad eminentiam huius fidei, faciens tale argumentum: ad credenda ea quae
sunt fidei, aut sun! miracula facta, aut non. [ . . . ] hoc est maximum omnium miraculorum, quod per quosdam pau
cos conversi sunt ad fidem infinita multitudo hominum; per pauperes, praedicantes paupertatem, divites; per idio
tas, praedicantes ea quae rationem excedunt, conversi sunt sapientes et philosophi. Ps. 38,5: in omnem terram exi
vit sonus eorum, etc.. Sed si obiiciatur, quod etiam lex mahometi recepta est a rnultis, dicendum quod non est simi
le, quia ille opprimendo et vi armorum subiugavit eos; sed isti apostoli moriendo, ipsi alios ad fidem duxerunt, et
faciendo signa et prodigia. Ille enim proponebat quaedam quae ad delicias et lascivias pertinent, sed Christus et
apostoli terrenorum contemptum>>.
Capitolo IV Religione, fede, rivelazione e salvezza
- 269
1 Cfr. l'intero documento del Pontificio Consiglio della Cultura e Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso, Gesu Cristo portatore dell'acqua viva. Una rijlessione cristiana sui "New Age", 3.2.2003, Libreria
Editrice Vaticana, Cilia del Vaticano 2003, e in particolare §2.2.3.
272 ALBERTO STRUMIA
stasia che si legano, a volte, anche a gravi fenomeni di satanismo organizzato in sette.
Come ha rilevato Giovanni Paolo II: «La cultura europea da l'impressione di una "apo
stasia silenziosa" da parte dell'uomo sazio che vive come se Dio non esistesse».2
Oggi, la maggior parte dei fenomeni di degenerazione della religione, nelle aree di
cultura tradizionalmente cristiana, sono la conseguenza di una progressiva corruzione
della fede cristiana; e anche san Tommaso fa riferimento a questa possibilita di dege
nerazione.3
La vicenda della ragione. Alle deviazioni propriamente "dottrinali" sono, dunque,
da aggiungere quelle "filosofiche" che minano alla radice anche l'impianto teologico.
11 relativismo filosofico e religioso, sul quale si e particolarmente insistito nei capito
li precedenti, impedisce poi, addirittura, di stabilire una gerarchia delle verita/falsita
presenti nelle diverse credenze.
In sintesi, ci sembra, dunque di pater rilevare, per orientare il nostro approccio alla
"corruzione della religione", che vi sono almena tre livelli di degenerazione da pren
dere in considerazione:
2 Ecclesia in Europa, n. 9.
3 Cfr. II-II, q. 10, a. 6 co.
Capitolo V Corruzione della religione
- 273
In questa prima parte del capitola non possiamo che limitarci a tracciare, per sommi
capi, le linee di quel disegno che raffigura il problema epistemologico primario, sia
nell'antichita che ai nostri giorni: il problema dei fondamenti della conoscenza della
verita. Si tratta di una questione di ordine filosofico, il cui affronto costituisce una con
dizione previa all'affronto di qualsiasi problema teologico e, in particolare, di teologia
delle religioni. Per questa riteniamo utile dedicare ad esso la presente sezione di que
sta capitola.
Come puo l'uomo conoscere di essere nella verita, ovvero che una data proposi
zione e vera? Dalla risposta a questa domanda dipende, ovviamente, il valore (cono
scitivo o strumentale) che si attribuisce aHa scienza, il valore universale che si ricono
sce ai fondamenti del diritto (diritti della persona umana, delle nazioni, ecc.), il valo
re conoscitivo e salvifico che si riconosce alle religioni e, in particolare al cristianesi
mo come portatore della verita piena e della salvezza di tutti gli uomini, e tutte le con
seguenze derivanti dalla conoscenza dell'esistenza di verita oggettive riconoscibili
come tali da tutte le culture.4
11 mondo antico, fino all'epoca di san Tommaso, aveva cercato ed era riuscito ad ela
borare una sintesi di pensiero capace di «salvare la certezza della conoscenza della
verita (salvare certam cognitionem veritatis)».5 11 mondo moderno, partendo da una
istanza "critica" ha via via messo in dubbio i presupposti stessi di questa elaborazio
ne, giungendo progressivamente a ridurre la consistenza di tale certezza, gli spazi epi
stemologici in cui essa possa ancora sussistere, fino a farli del tutto scomparire.
Ricorrendo al linguaggio di Tommaso, potremmo dire che la nozione di "verita" e
divenuta del tutto equivalente a quella di una "opinione", non solo non dimostrabile,
rna neppure confutabile, in quanta non sarebbe dimostrabile neppure l'opinione che la
contraddice: un enunciato, come oggi si dice nel linguaggio scientifico, "indecidibile".
Questa percorso storico, che e tracciato neUe sue grandi linee, anche nel quarto
capitola dell'enciclica Fides et ratio, ripropone il problema ai nostri giorni: e possibi
le salvare La certezza della conoscenza della verita oggi, attraverso una revisione
"super-critica" del metoda "critico" della modernita, capace di servirsi degli strumen
ti, del linguaggio formalizzato di cui oggi disponiamo? 11 fatto che il pensiero moder
no abbia (di)mostrato l'impossibilita di autofondare la verita delle proprie conoscen
ze, va interpretato come una impossibilita assoluta che non puo non condurre al rela
tivismo e al nichilismo, o come i1 sintomo di una impostazione riduttiva del problema
4 Dal punto di vista cognitivo, antropologico e metafisico questo e il lema della redditio camp/eta di cui si e trat
tato nel Capitolo III, che qui viene visto nelle sue essenziali Iappe storiche, e rapportato alia questione della cor
ruzione della religione.
5 I, q. 84, a. 1 co.
274 ALBERTO STRUMlA
che necessita di una revisione dei presupposti dai quali si e partiti e del metodo in base
al quale si e proceduto? 11 pensiero moderno non ha forse rigettato a priori qualche
principia irrinunciabile in vista di una fondazione della conoscenza della realta, che
puo e deve essere recuperato a partire da una revisione ancor piii critica dei suoi fon
damenti e in un serio confronto con il pensiero antico e medioevale? Un esito positi
vo di questa operazione pare, oggi, tanto piii necessaria e urgente, quanto piii si con
statano, nei loro effetti negativi per la stessa convivenza sociale, civile e internaziona
le, le conseguenze degli esiti teoretici estremi ai quali e giunta la modernita.
Qui, in particolare, ci interessa evidenziare come dal risultato positivo della ricerca
sui fondamenti della verita, viene a dipendere anche la possibilita di un'autentica teo
logia "scientifica" e, di conseguenza, anche di una "teologia della religione" vera
mente sistematica. Naturalmente il teologo non e tenuto ad accollarsi direttamente il
lavoro sui fondamenti della conoscenza, proprio del filosofo, che puo presupporre
come un dato acquisito dalla filosofia; tuttavia i1 problema rimane e una sua mancata
soluzione positiva (una soluzione negativa o addirittura la teorizzazione della impos
sibilita della soluzione), vengono a compromettere, inevitabilmente, anche il valore
veritativo di una costruzione teologica conseguente. Si direbbe che, ai nostri giorni, la
disciplina teologica si trova, di fatto, a poggiare su una una duplice forma di creden
za: l'una che le e propria e le e indispensabile, rappresentata dalla fede teologale rivol
ta alla Rivelazione (come e giusto che sia), e l'altra dovuta alla debolezza della ragio
ne, che non e piii in grado di dare fondamento razionale alla stessa nozione di verita.
Per cui la teologia si trova nelle condizioni di dover "credere" anche a quelle verita di
ragione che la filosofia un tempo sapeva dimostrare. Questa seconda forma di creden
za si presenta come una sorta di fede "filosofica " nella ragione, nella verita razionale
che, in via provvisoria, puo essere legittimamente desunta anche dalla stessa
Rivelazione come un revelatum per accidens, rna che, in una prospettiva scientifica
dovrebbe essere razionalmente giustificata e non semplicemente creduta.
L' esame dei testi tomisti e particolarmente utile, a questo punto, in quanto, da un
lato, il cammino di "corruzione" della razionalita e quindi della nozione di verita
ripercorre, in un certo modo, in senso inverso, I' opera costruttiva della razionalita anti
ca e, dall'altro lato, in quanto aiuta ad individuare anche una possibile linea da segui
re per una costruzione odierna di una razionalita oggettivamente fondata. Questa
dovra, pero, essere perseguita con gli strumenti e le tecniche di cui oggi siamo in pos
sesso.6 Inoltre essa permette di evidenziare quegli elementi del metodo antico, che il
6 Pensiamo, qui, rna I'idea e tutta da mettere alia prova e da verificare attraverso i suoi frutti, alia messa a punto
di una sorta di "ontologia formale" (come oggi Ia si chiama), come una dilatazione della teoria dei fondamenti
della matematica e delle scienze; o forse a una teoria dei fondamenti dell'ermeneutica, e comunque a piste che,
pur partendo da ambiti conoscitivi diversi dovrebbero potersi incontrare in una teoria comune dei fondamenti (un
tempo Ia metafisica), anche se formulata e ottenuta, inizialmente, con linguaggi diversi che, alia fine risultino pero
equivalenti.
V Corruzione della religione
- 275
1.1. UNA PRIMA FORMA DI "CORRUZIONE" DELLA RAZIONALITA: LA RINUNCIA ALLA CER
TEZZA DELLA CONOSCENZA DELLA VERITA
Iniziamo con l'esame di un primo testo, che si trova nel trattato De homine della
Summa theologiae (I, q. 84, a. leo), che e particolarmente interessante, perche, in esso,
Tommaso traccia sinteticamente il percorso costruttivo della sua teoria cognitiva, a
partire da un sintetico, rna preciso, esame critico delle tesi di autori classici che lo
hanno preceduto. Inoltre esso ci fa vedere con quale "metodo scientifico" egli proce
da nel rivedere criticamente le teorie materialistiche e quelle platoniche e in che modo
avanzi le sue ipotesi esplicative che risolvono le difficolta delle teorie precedenti. Cia
che e rilevante e il fatto che, un simile modo di procedere appare percorribile, nelle sue
linee metodologiche essenziali, anche oggi e le sue ipotesi possono risultare pure oggi
geniali e risolutive, a condizione che si riesca a dare loro una formulazione che si serve
dei linguaggi formali dei quali siamo ora in possesso, opportunamente rivisitati e
ampliati.
Tommaso pone alla radice del materialismo l'impostazione di coloro che, indagan
do la natura delle cose, ritennero che nel mondo non vi fossero altro che "corpi".7
Potremmo commentare che si tratta della tesi "materialista" che e tipica dell'indagine
dei fisici e che accomuna, pur con le enormi differenze di strumenti sia matematici che
tecnici, i filosofi ionici - detti, appunto fisici (naturales) - e i fisici moderni. E la tesi
piu semplice che si possa concepire: si cerca di spiegare la realta sulla base di cia che
7 <<Respondeo dicendum, ad evidentiam huius quaestionis, quod primi philosophi qui de naturis rerum inquisi
verunt, putaverunt nihil esse in mundo praeter corpus» (/, q. 84, a. 1 co).
276 ALBERTO STRUMIA
L' osservazione del moto estern a ed interna dei carpi suscita, in un prima tempo, la
convinzione dell'impossibilita di conoscere qualcosa di stabile - cioe che "e" e "rima
ne" - e che corrisponda a cia che si osserva, cioe di vero.
La cosa osservata sfugge prima ancora di pater essere colta, e una volta che fosse
colta nell'istante, cia che di essa si e conosciuto non sarebbe piu corrispondente a cia
che e ora e a cia che sara. In termini moderni, diremmo che la fisica sente il bisogno,
per essere una scienza, di mettersi alla ricerca degli "invarianti", di cia che permane,
non ostante il mutamento, durante il mutamento e che costituisce, in qualche modo,
anche la legge del mutamento.
Diremmo che si inizia la ricerca dell'identita9 del corpo, di un principia che lo man
tiene se stesso attraverso il mutamento. L'osservabile e il mutamento, mentre il prin-
8 «Et quia videbant omnia corpora mobilia esse, et putabant ea in continuo fluxu esse, aestimaverunt quod nulla
certitudo de rerum veritate haberi posset a nobis. quod enim est in continuo fluxu, per certitudinem apprehendi non
potest, quia prius labitur quam mente diiudicetur, sicut Heraclitus dixit quod non est possibile aquam fluvii cur·
rentis bis tangere, ut recital philosophus in IV Metaphys>>. Come osservava R. Masi, nel suo classico studio sulla
struttura della materia: <<II concetto di forma che e alia base della dottrina ilemorfica e di tutta Ia fisica aristoteli
ca era stato frainteso dalla scolastica della decadenza: Ia forma che nel pensiero genuino di Aristotele e di
S. Tommaso e una realta incompleta e parziale, un "ens quo", veniva, invece descritta come una sostanza comple
ta, un "ens quod", implicando cosl una sequela di contraddizioni» (R. MAS!, Struttura della materia. Esse/IZa meta·
fisica e costituzione fisica, Morcelliana, Brescia 1957, p. 85). Per cui, respinta Ia nozione univocizzata e non piu
genuinamente aristotelica di "forma", i nuovi "filosofi della natura" non ebbero altra altemativa che adottare come
principia interpretativo dell'universo fisico Ia "materia", intesa altrettanto univocamente. Di conseguenza Ia fisica
newtoniana non poteva che nascere "materialista".
9 E interessante notare come questo !ermine <<identita» sia presente nella fisica, nella matematica e nella fila
sofia.
Capitolo V Corruzione della religione
- 277
cipio che mantiene il corpo identico a se stesso non e osservabile, rna il supporlo divie
ne indispensabile per spiegare l'osservabile. Incomincia ad insinuarsi nella scienza la
necessita di ammettere il non osservabile come principio esplicativo dell' osservabile.
In termini ontologici, nasce il problema dell' individuazione dell' essenza delle cos e.
E l'indagine su cia che permane che apre lo spazio teoretico alla nozione di verita,
con la caratteristica di una, almeno relativa, durevolezza e stabilita, quando non di una
assoluta invariabilita ed immutabile eternita.
Dopo questi giunse Platone che, per salvare la certezza della conoscenza della verita
da parte del nostro intelletto, ipotizzo che, oltre ai corpi esistesse un altro genere di
enti, distinto dalla materia e non mutevole, che chiamo specie o idee, possedendo in
parte una delle quali, ciascuno degli oggetti singolari e sensibili puo essere identifica
to come uomo, cavallo, o qualcosa d'altro.
[ibidem]'0
Nella prospettiva platonica, viene in tal modo salvata la conoscenza di verita stabi
li e sicure. Si cerca di spiegare sia 1' osservazione del moto dei corpi che la conoscen
za delle cose che, pure, fa parte dell'esperienza dell'uomo.
A questo punto inizia il lavoro "critico" che deve controllare se questa ipotesi spie
ga correttamente tutti i dati dell'esperienza che sono disponibili, e se tale ipotesi e
10
«His autem superveniens Plato, ut posse! salvare certam cognitionem veritatis a nobis per intellectum habe
ri, posuit praeter isla corporalia aliud genus entium a materia et motu separatum, quod nominabat species sive
ideas, per quarum participationem unumquodque istorum singularium et sensibilium dicitur vel homo vel equus
vel aliquid huiusmodi».
11
<<Sic ergo dicebat scientias et definitiones et quidquid ad actum intellectus pertinet, non referri ad isla corpo
ra sensibilia, sed ad ilia immaterialia et separata; ut sic anima non intelligat ista corporalia, sed intelligat horum
corporalium species separataS>>.
278 ALBERTO STRUMIA
La teoria viene, cosi, criticata, corretta e perfezionata, rna non accantonata alia
prima difficolta. II cedere alia tentazione di considerare Ia conoscenza della verita
come impossibile, in forza dei limiti di una teoria che n�n regge al vaglio di una criti
ca attenta, avrebbe rappresentato un atto di rinuncia alia scienza.
Se e vero che Platone e stato in grado di concepire due tipi (Tommaso parlera di
analogia) di ente, quello materiale (i corpi) e quello immateriale (le idee), tuttavia il
suo errore e consistito, per esprimerci con il linguaggio di oggi, nell' aver cercato una
spiegazione, in un certo modo, ancora "riduzionista" che supponeva, implicitamente,
che il modo di esistere dell'idea di una cosa nella nostra mente dovesse essere identi
co (riducibile) al modo di esistere della stessa nella realta esterna alia mente.
L'analogia dell'ente, intravista nel distinguere un modo di essere materiale da un
modo di essere ideale, non viene ipotizzata anche a livello dei modi di esistere delle
idee, per le quali si ipotizza, invece, un modo univoco di esistenza, identico nella
mente e fuori di essa.
Sembra, pen), che Platone si sia allontanato dalla verita, per il fatto che, avendo capi
to che ogni conoscenza avviene attraverso una sorta di principia di somiglianza, ha
ritenuto che la forma della cosa conosciuta necessariamente debba esistere in chi
conosce nello stesso modo in cui esiste nella cosa conosciuta.
[ibidem] 13
12 «Sed hoc dupliciter apparel falsum. primo quidem quia, cum illae species sint immateriales et immobiles,
excluderetur a scientiis cognitio motus et materiae (quod est proprium scientiae naturalis) et demonstratio per cau
sas moventes et materiales. Secundo autem, quia derisibile videtur ut, dum rerum quae nobis manifestae sunt noti
tiam quaerimus, alia entia in medium afferamus, quae non possunt esse earum substantiae, cum ab eis differant
secundum esse, et sic, illis substantiis separatis cognitis, non propter hoc de istis sensibilibus iudicare possemus>>.
13 «Videtur autem in hoc Plato deviasse a veritate, quia, cum aestimaret omnem cognitionem per modum ali
cuius similitudinis esse, credidit quod forma cogniti ex necessitate sit in cognoscente eo modo quo est in cogni
to».
V Corruzione della religione
- 279
Tommaso spiega cio che si puo ritenere corretto nella spiegazione platonica e cio
che va modificato. Platone comprese, correttamente, che la forma della cosa cono
sciuta esiste, nella mente in modo universale, immateriale e statico,
Egli comprese, correttamente, che la forma della cosa conosciuta esiste, nell'intellet
to in modo universale, immateriale e statico, in conseguenza dello stesso modo di !avo
rare dell'intelletto che conosce in maniera universale e con un certo grado di necessi
ta; perche il modo di agire e conseguente alia forma del soggetto che agisce.
[ibidem]14
Ma, e in questo consiste la revisione critica, dalla conoscenza del modo di esistere
di una realta nella mente non si puo dedurre che essa esista, fuori di essa, nello stesso
modo; al piu lo si puo ipotizzare.
Ma questa ipotesi non e necessaria e, quindi, e sovrabbondante e puo essere elimi
nata.
Da questo egli ritenne di poter dedurre che le realta conosciute dovessero necessaria
mente esistere, autonomamente [fuori dell'intelletto], nello stesso modo, cioe come
immateriali e immutabili. Ma questa ipotesi non e necessaria.
[ibidem]'5
E puo essere sostituita con un'altra ipotesi che estende, in una maniera opportuna,16
alle realta immateriali una proprieta che si trova anche in quelle materiali, cioe l'ipo
tesi della diversificazione dei modi di essere delle cose.
Questa nuova ipotesi, viene da Tommaso ritenuta piu "semplice", e meno artificio
sa, perche si fonda su un dato osservativo (il diverso modo di essere di certe proprieta
nei diversi corpi materiali).
Inoltre, essa si rivelera, poi anche molto piu "potente", in quanto trovera applica
zioni di carattere universale, in tutta la sintesi aristotelico-tomista, in ogni settore disci
plinare.17
14 <<Consideravit autem quod forma rei intellectae est in intellectu universaliter et immaterialiter et immobiliter,
quod ex ipsa operatione intellectus apparel, qui intelligit universaliter et per modum necessitatis cuiusdam; modus
enim actionis est secundum modum formae agentis>>. E significativo e importante, rilevare come, ai nostri giomi,
Ia teoria dell'informazione e le scienze cognitive siano, in larga misura, concordi nel superamento del materiali
smo scientifico per il fatto che riconoscono all'informazione, una carattere di immaterialita, al di Ia del fatto che
essa sia concretamente veicolata da un supporto fisico materiale.
15 «Et ideo existimavit quod oporteret res intellectas hoc modo in seipsis subsistere, scilicet immaterialiter et
immobiliter. Hoc autem necessarium non est».
16 E che sara da precisare, poi, con una adeguata teoria, che altro non e che Ia dottrina dell' analogia entis.
17 «Quia etiam in ipsis sensibilibus videmus quod forma alio modo est in uno sensibilium quam in altero, pula
cum in uno est albedo intensior, in alio remissior, et in uno est albedo cum dulcedine, in alio sine dulcedine. Et per
hunc eti;un modum forma sensibilis alio modo est in re quae est extra animam, et alio modo in sensu, qui suscipit
formas sensibilium absque materia, sicut colorem auri sine auro. Et similiter intellectus species, corporum, quae
280 ALBERTO STRUMIA
La perdita di una teoria dell'analogia nella filosofia e nella scienza moderne sem
bra essere uno dei punti nodali, causa di quella "corruzione della razionalita", che
comporta la perdita del realismo conoscitivo e i1 graduale degrado della nozione di
"verita" ad "opinione" indecidibile; ed e significativo che le domande sui fondamenti
logici e ontologici delle scienze odierne stiano aprendo delle nuove strade in vista di
un recupero di tale teoria.18
sunt materiales et mobiles, recipit immaterialiter et immobiliter, secundum modum suum, nam receptum est in
recipiente per modum recipientis. Dicendum est ergo quod anima per intellectum cognoscit corpora cognitione
immateriali, universali et necessaria».
18 Siamo, certo, solo agli inizi, rna e interessante notare come, ad esempio, in ambito matematico la teoria dei
tipi di Russell, o I' idea della distinzione delle classi in proprie e improprie di GOdel, abbiano introdotto una diver
sificazione nei "modi di essere" di un insieme. L'idea stessa di concepire e incominciare ad elaborare quella che
oggi viene chiamata ontologia formate, lascia intendere che inizia ad essere maturo il tempo in cui dalla teoria
degli insiemi si cerchi di passare ad una teoria degli enti; cosi come all'epoca di Cantor era maturato il tempo di
passare da una matematica dei numeri ad una degli insiemi. Per una panoramica a carattere intedisciplinare e una
bibliografia su queste problematiche si possono vedere: F. BERTELE, A. OLMI, A. SALUCCI e A. STRUMIA, Scienza,
analogia, astrazione. Tommaso d'Aquino e le scienze della complessitii, 11 Poligrafo, Padova 1999; G. BASTI,
Filosofia della natura e della scienza, Lateran Unviersity Press, Roma-Citta del Vaticano 2002; G. TANZELLA-NITTI
e A. STRUMIA (a cura di), Dizionario [/lterdisciplinare di Scienza e Fede, op. cit. (in particolare le voci ANALOGIA;
COMPLESSITA; FINALITA; LoGICA; MATERIA; RIDUZIONISMO; CANTOR; GODEL); una breve introduzione si trova
anche in A. STRUMIA, Le scienze e la pienezza della razionalitii, Cantagalli, Siena 2003.
Capitolo V Corruzione della religione
- 281
- perche la stessa filosofia prima non li dimostra direttamente in quanto sono indimo
strabili. Anche se alcuni hanno tentato di dimostrarli, come risulta nel IV libro della
Metafisica.
- E perche, anche se non si possono dimostrare direttamente, tuttavia il filosofo primo
offre una sorta di dimostrazione nel senso che, per poterli contraddire, coloro che Ii
vogliono rifiutare, devono ammetterne la validita, pur non accettandoli per la loro evi
denza.
' [In Post. Anal., L. I, 1. 20, n. 5]19
I trascendentali
Riprendendo la problematica della irrinunciabilita di alcuni principi, della quale si
e detto sopra, si puo osservare come vi sia anche un livello di irrinunciabilita meno
estremo di quello a cui si e fatto riferimento, rna pur sempre decisivo: e quella irri-
19 <<Ouaecunque autem scientia argumentatur circa communia rerum, oportet quod argumentetur circa principia
communia, quia veritas principiorum communium est manifesta ex cognitione terminorum communium, ut entis
et non entis, totius et partis, et similium. Dicit autem signanter: et si aliqua scientia tentet monstrare communia
quia philosophia prima non demonstrat principia communia, sunt enim indemonstrabilia simpliciter; sed aliqu l
errantes tentaverunt ea demonstrare, ut patet in iv metaphysicae. Vel etiam quia, etsi non possunt demonstrari sim
pliciter, tamen philosophus primus tentat ea monstrare eo modo, quo est possibile, scilicet contradicendo neganti
bus ea, per ea quae oportet ab eis concedi, non per ea, quae sunt magis nota>>. -
282 ALBERTO STRUMiA
II filosofo dimostra, nel III libro della Metafisica, che ente non puo essere il genere di
qualcosa, perche ogni genere comporta delle differenze che sono al di fuori dell' es-
'
20 «Sed in hoc decipiebantur, quia utebantur ente quasi una ratione et una natura sicut est natura alicuius gene
ris; hoc enirn est irnpossibile. Ens enirn non est genus, sed rnultipliciter dicitur de diversis».
Capitolo V Corruzione della religione
- 283
senza del genere stesso; mentre non si da nessuna differenza al di fuori dell'ente, per
ch€ il non ente non puo costituire una differenza (in quanto non esiste].
(/, q. 3, a. 5 cof1
Occorre, allora, ampliare la teoria in maniera tale da pater comprendere delle nozio
ni che non sono definibili con una definizione univoca, cioe che non sono racchiudi
bili in un unico genere. Ricompare 1' analogia entis, alia quale si e prima accennato.
In alternativa si dovrebbe rinunciare, nell'ambito della teoria stessa, all'utilizzo di
nozioni come "cosa", "ente", ecc., che oltre ad essere impiegate continuamente nel lin
guaggio comune, sono praticamente inevitabili per una scienza che tenti di descrivere
adeguatamente l'esperienza umana. A questa livello si deve ammettere che una scien
za, che pretenda di comprendere esclusivamente delle nozioni univoche, e inevitabil
mente riduttiva, inadeguatamente descrittiva dell'esperienza e propane una razionalita
valida solo in una certa misura, rna "corrotta" nella misura in cui esclude troppi ele
menti fondamentali della realta.
21 <<Ostendit autem philosophus in III Metaphys., quod ens non potest esse genus alicuius, omne enim genus
habet differentias quae sunt extra essentiam generis; nulla autem differentia posset inveniri, quae esset extra ens;
quia non ens non potest esse differentia».
22
Cfr. /, q. 2, a. 3.
23 Ho preferito rendere il latino <<contingentia» che nell'articolo di san Tommaso si riferisce alia "terza via" con
"possibilita", piuttosto che con "contingenza", pur rappresentando quest' ultimo !ermine una eventualita che si rea
lizza e non solo una possibilita teorica, perche il !ermine "possibilita" rende l'idea che Dio e Ia "condizione di pos
sibilita" che e "necessaria" per i1 realizzarsi di tutte Je cose contingenti; mentre i1 !ermine "contingenza" non ha
una tale valenza. Si sarebbe potuto dire, meglio, Ia "condizione di ogni contingenza", oppure Ia "possibilita di ogni
contingenza", rna non Ia "contingenza di ogni contingenza". Per non rinunciare al gioco della ripetizione del mede
simo !ermine, impiegato analogicamente si e preferita Ia formula "possibilita di ogni possibilita".
24 Anche se queste formule non si trovano cosi espresse nell'articolo citato che descrive Je "cinque vie", tutta
via si possono reperire altrove formule simili, riferite a Dio, nell'opera di san Tommaso: <<actualitas omnium
actuum, et [ . . ] perfectio omnium perfectionum» (De Pot, q. 7, a. 2, ad 9-), «causa omnium causarum» (De ver,
.
delle cause", "uno dei massimi", "uno dei fini", allo stesso livello degli altri, 25 perche,
in tal caso esso dovrebbe, a sua volta essere "motore che muove se stesso", "causa che
causa se stessa", "massimo che supera se stesso", "fine che tende a se stesso". Ma que
sta e contraddittorio26 perch€ uno stesso ente non puo essere insieme in potenza e in
atto secondo lo stesso aspetto. Di conseguenza, o si rinuncia a queste nozioni, o si
ammette che il "motore di tutti i motori" sia "motore" secondo una modalita diversa
(analogica) rispetto tutti agli altri motori e, non potendo essere motore anche di se stes
so, sia "motore immobile", perche non puo essere mosso, pena una contraddizione. E
cosi la "causa di tutte le cause" non puo che essere "incausata", il "possibile di tutti i
possibili" non puo che essere "necessaria", il "massimo di tutti i massimi" non puo che
essere "insuperabile", il "fine di tutti i fini" non puo che essere "in-fini-to".
La classe universale
Si potrebbe pensare, e lo si e fatto regolarmente nel corso della storia del pensiero,
che la linea di ragionamento appena presentata segua un modo di argomentare del pas
sato, oggi impresentabile, inaccettabile in una prospettiva scientifica. In realta non e
per nulla cosi. Infatti, possiamo ritrovare lo stesso modo di procedere nella scienza a
noi contemporanea. Un problema simile a quelli antichi ai quali abbiamo fatto riferi
mento, si e presentato ai matematici, nell' ambito della teoria degli insiemi o classi. Un
ambito apparentemente molto diverso, perch€ ha a che fare con gli insiemi dei mate
matici piuttosto che con gli enti dei filosofi. Sta di fatto, pero che, dal punto di vista
logico (e ontologico) gli insiemi sono essi stessi degli enti e, come tali, portano con se
alcuni caratteri di questi ultirni. Senza entrare in dettagli troppo tecnici ci limiteremo
a dire che, parlando in termini intuitivi, un insieme si puo caratterizzare come colle
zione di oggetti qualunque e che, a sua volta puo essere parte di una collezione piu
grande che lo contiene. Cosi come delle matite possono essere collocate dentro un
astuccio, che a sua volta puo essere collocato, con altri oggetti, dentro una cartella,
ecc. I matematici concepirono anche l'idea di un "insieme di tutti gli insiemi", o
"insieme universale", rna si accorsero ben presto che questa nozione comportava una
contraddizione, perch€ questa avrebbe dovuto contenere anche l'insieme di tutti i suoi
sottoinsiemi che lo include a sua volta e che, quindi sarebbe risultato piu universale
dell'insieme universale, il che e contraddittorio. A questa punto si presentavano due
alternative: rinunciare alia nozione di "insieme universale", e questa fu la strada pro
pasta da Russell e Whitehead; oppure pensare ad una diversificazione tra le classi che
distingueva due possibili modi di essere delle classi: le classi improprie o insiemi che
possono a lora volta essere elementi di altre classi, e le classi proprie che possono con
tenere altri insiemi rna non essere elementi di alcun insieme. Questa fu la strada segui
ta da Godel.27
Questa seconda tipologia di classi eliminava la contraddizione e permetteva di intro
durre senza problemi la nozione di classe universale, come una classe propria. Pur con
le debite differenze, sulle quali qui non possiamo soffermarci, c'e una certa somi
glianza tra le classi improprie28 e i generi universali e, rispettivamente, tra le classi pro
prie e i trascendentali. Ma, in ogni caso il metoda con cui si e proceduto distinguendo
le classi in proprie e improprie, e del tutto simile a quello che ha permesso, nell'anti
chita, di distinguere i trascendentali dai generi universali, e anche il motore immobile
dai motori mobili, ecc.
27 K. GODEL, Opere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 38-42; A. STRUMIA, La fede e il risanamento
della ragione come ragione, "Divus Thomas", 40 (2005), pp. 155-178.
28 Non a caso nell'interpretazione puramente estensionale della logica si rappresentano frequentemente gli uni·
giunti a teorizzare la sua completa mutabilita nel tempo e quindi la sua stessa impos
sibilita e conseguente non esistenza, non solo di fatto, rna anche di principia.
Lo stesso san Tommaso si e posto il problema, pur a partire da un quadro culturale
nel quale la questione appariva molto meno rilevante e in termini ben diversi da quan
ta non lo sia ai nostri giorni.
Innanzitutto egli parte dalla constatazione che tutti conoscono la verita almena dei
principi della legge naturale, il che risulta da un data riscontrabile, oggi diremmo,
fenomenologicamente.
Nessuno puo conoscere la Legge eterna per quello che e in se stessa, se non i beati sol
tanto, che vedono Dio nella sua essenza. Ma ogni creatura razionale la conosce, come
per irradiazione, in "misura" piu o meno ampia. Ogni conoscenza della verita e una
sorta di irradiazione, e partecipazione della Legge eterna, che e la verita immutabile,
come dice Agostino ne La vera religione. Tutti conoscono la verita in qualche misura,
almeno per quanto riguarda i principi della legge naturale. Quanto agli altri principi,
alcuni hanno parte alla conoscenza della verita in grado piu o meno elevato e, quindi,
in grado piu o meno elevato conoscono la Legge eterna.
[/-/[, q. 93, a. 2 cof9
29 «Respondeo dicendum quod dupliciter aliquid cognosci potest, uno modo, in seipso; alia modo, in suo effec
tu, in quo aliqua similitudo eius invenitur; sicut aliquis non videns salem in sua substantia, cognoscit ipsum in sua
irradiatione. Sic igitur dicendum est quod legem aeternam nullus potest cognoscere secundum quod in seipsa est,
nisi solurn beati, qui Deurn per essentiam vident. Sed omnis creatura rationalis ipsam cognoscit secundum aliquam
eius irradiationem, vel maiorem vel minorem. Omnis enim cognitio veritatis est quaedam irradiatio et participatio
legis aeternae, quae est veritas incommutabilis, ut Augustin us dicit, in libro De vera relig Veritatem autem omnes
..
aliqualiter cognoscunt, ad minus quantum ad principia communia legis naturalis. In aliis vero quidam plus et qui
dam minus participant de cognitione veritatis; et secundum hoc etiam plus vel minus cognoscunt legem aetemam>>.
Capitolo V Corruzione della religione
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misura comuni, rna deve giudicare su aspetti contingenti e singolari, per cui «anche se
nei principi comuni vi e un certo grado di necessarieta, quanto piii si scende nel parti
colare, tanto piii emergono gli errori». Di conseguenza
per quanto riguarda le conclusioni della ragione pratica non c'e una stessa verita e ret
titudine presso tutti, ne e nota allo stesso modo tra coloro che ne hanno una stessa in
comune. C'e, comunque, un principio comune di verita e rettitudine: quello per cui "si
deve agire in modo ragionevole". E da questo principio segue [ad esempio] come con
clusione specifica che si devono rendere i prestiti.
[/-//, q. 94, a. 4 co]30
30 <<Sed quantum ad proprias conclusiones rationis practicae, nee est eadem veritas seu rectitudo apud omnes;
nee etiam apud quos est eadem, est aequaliter nota. Apud omnes enim hoc rectum est et verum, ut secundum ratio
nero agatur. Ex hoc autem principio sequitur quasi conclusio propria, quod deposita sint reddenda>>.
3 1 <<Sic igitur dicendum est quod lex naturae, quantum ad prima principia communia, est eadem apud omnes et
secundum rectitudinem, et secundum notitiam. Sed quantum ad quaedam propria, quae sunt quasi conclusiones
principiorum communium, est eadem apud ornnes ut in pluribus et secundum rectitudinem et secundum notitiam,
sed ut in paucioribus potest deficere et quantum ad rectitudinem, propter aliqua particularia impedimenta (sicut
etiam naturae generabiles et corruptibiles deficiunt ut in paucioribus, propter impedimenta), et etiam quantum ad
notitiam>>.
32 <<Et hoc propter hoc quod aliqui habent depravatam rationem ex passione, seu ex mala consuetudine, seu ex
mala habitudine naturae; sicut apud germanos olim latrocinium non reputabatur iniquum, cum tamen sit expresse
contra legem naturae, ut refert Iulius Caesar, in libro De bello gallico>>.
288 ALBERTO STRUMlA
accadere che si presenti alterata, in qualche raro caso, a causa di qualche particolare
motivo che ostacola l'osservanza qualche precetto.
[I-II, q. 94, a. 5 cop3
Alcune aggiunte sono state fatte anche ad opera di una divina rivelazione e sono,
quindi, accolte per fede. In tal modo la legge naturale non viene cambiata, rna inte
grata, attraverso la Rivelazione. Anche se il testo non lo dice esplicitamente, potrem
mo intendere che possano esserci anche delle integrazioni della legge naturale che pro
vengono dalle norme proprie di una religione, ritenuta fondata su una qualche forma
di rivelazione. Evidentemente, se la religione in questione e '�vera" (sia nel senso della
autenticita, che riguardo ai contenuti che propone da credere), queste integrazioni non
potranno essere contrarie alla legge naturale stessa, rna dovranno aiutame la com
prensione e l'applicazione.
Altre aggiunte, e sono le piu numerose, sono queUe della legge positiva umana che
regola la convivenza civile dei popoli che non possono che dettagliare e aiutare a
meglio attuare la legge naturale. Una legge positiva che contrasti la legge naturale non
ha per Tommaso alcun valore obbligante e deve essere, anzi, disattesa come "corru
zione" dello stesso concetto di legge.
Quindi ogni Iegge stabilita dagli uomini ha ragione di Iegge in tanto in quanta deriva
dalla Iegge naturale. E se discordasse dalla Iegge naturale, non sarebbe una Iegge, rna
una corruzione della Iegge.
[I-II, q. 95, a. 2 co]34
Quanta e stabilito dalla Iegge viene considerato come giusto. Ma ci sono molte leggi
stabilite dagli uomini che sono contra Ia Iegge naturale.
33 <<Lex naturalis poles! intelligi mutari dupliciter. uno modo, per hoc quod aliquid ei addatur. Et sic nihil pro
hibet legem naturalem mutari, multa enim supra legem naturalem superaddita sunt, ad humanam vitam utilia, tam
per legem divinam, quam etiam per leges humanas. Alio modo intelligitur mutatio legis naturalis per modum sub
tractionis, ut scilicet aliquid desinat esse de lege naturali, quod prius fuit secundum legem naturalem. Et sic quan
tum ad prima principia legis naturae, lex naturae est omnino immutabilis. Quantum autem ad secunda praecepta,
quae diximus esse quasi quasdam proprias conclusiones propinquas primis principiis, sic lex naturalis non immu
tatur quin ut in pluribus rectum sit semper quod lex naturalis habet. Potest !amen immutari in aliquo particulari, et
in paucioribus, propter aliquas speciales causas impedientes observantiam talium praeceptorum>>.
34 <<Unde omnis lex humanitus posita intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur. Si vero
in aliquo, a lege naturali discordet, iam non erit lex sed legis corruptio» . .
290 ALBERTO STRUMIA
Dunque si deve dire che la legge naturale puo essere rimossa dal cuore degli uomini.
[I-ll, q. 94, a. 6, ag. 3P5
La risposta mette in evidenza, ancora una volta, i1 fatto che i vizi personali e i costu
mi di una cultura corrotta possono causare una parziale incomprensione della Iegge
naturale e una sorta di parziale rimozione, rna mai una rimozione totale, perche que
sta equivarrebbe ad una totale perdita delle capacita razionali.
Della legge naturale fanno parte, in primo luogo, alcuni precetti assolutamente comu
ni a tutti e a tutti noti, e in secondo luogo, alcuni altri precetti piu particolari, che deri
vano dai primi come una sorta di conseguenze immediate.
- Quanto ai principi primari comuni, questi non possono essere in alcun modo rimos
si completamente dal cuore di nessun uomo. Possono risultare rimossi solo riguardo
ad un ambito di comportamento particolare, a causa della concupiscenza, o di qualche
altra passione, come si e gia detto.
- Quanto agli altri precetti [derivati dai primari come] secondari, la legge naturale puo
essere rimossa dal cuore degli uomini, a causa di cattive persuasioni, allo stesso modo
di come si incorre in errori neUe discipline speculative riguardo alle conclusioni neces
sarie, o a causa di cattive consuetudini e di costumi di vita corrotti. Come accadeva
presso coloro che non consideravano peccato il furto o i vizi contro natura, come dice
anche 1 'Apostolo in Rm 1.
[I-ll, q. 94, a. 6, cop6
Ai nostri giorni, Ia Iegge naturale tende ad essere considerata da parte di molti, una
concezione del passato, appartenente alia riflessione medioevale, frutto di una filoso
fia fondata sui realismo ingenuo (cfr. supra, capitola 3, §3). Contemporaneamente,
pen), ci si rende conto che, il venir meno di questa nozione ha compromesso alia radi
ce i fondamenti stessi del diritto. Gli stessi diritti inalienabili della persona umana sono
considerati, dopo una fase un po' entusiastica che ha portato alia Carta internaziona
le dei diritti umani, sempre piu una creazione dell'Occidente cristiano.
Contemporaneamente, pen), non mancano anche dei segnali di una certa sensibilita e
attenzione per il cristianesimo - presso popolazioni tradizionalmente non cristiane,
35 <<Illud quod lege statuitur, inducitur quasi iustum. Sed multa sunt ab hominibus statuta contra legem naturae.
Ergo lex naturae potest a cordibus hominum aboleri>>.
36 <<Ad legem naturalem pertinent primo quidem quaedam praecepta communissima, quae sunt omnibus nota,
quaedam autem secundaria praecepta magis propria, quae sunt quasi conclusiones propinquae principiis. Quantum
ergo ad ilia principia communia, lex naturalis nullo modo potest a cordibus hominum deleri in universali. Deletur
tamen in particulari operabili, secundum quod ratio impeditur applicare commune principium ad particulare ope
rabile, propter concupiscentiam vel aliquam aliam passionem, ut supra dictum est. Quantum vero ad alia praecep
ta secundaria, potest lex naturalis deleri de cordibus hominum, vel propter malas persuasiones, eo modo quo etiam
in speculativis errores contingunt circa conclusiones necessarias; vel etiam propter pravas consuetudines et habi
tus corruptos; sicut apud quosdam non reputabantur latrocinia peccata, vel etiam vitia contra naturam, ut etiam
apostolus dicit, ad Rom. 1».
Capitolo V Corruzione della religione
- 291
anche per la maturata esigenza civile di un maggior rispetto della persona, indipen
dentemente dalla sua condizione sociale, dalle sue origini, dal sesso, ecc. - ricono
sciuto come portatore per eccellenza di tale rispetto della persona umana, e sostenito
re dell'esistenza di una legge naturale, che ha un fondamento razionale e non neces
sariamente di fede.37
Sembra illusorio il recupero dei diritti della persona, della stesso diritto alla liberta
religiosa, senza il riconoscimento di una legge naturale comune a tutte le culture e a
tutte le civilta. «Potremmo cosi ripetere con Giovanni Paolo II [discorso all'ONU,
1995, n. 3] che la legge naturale e come una "grammatica" comune soggiacente a tutte
le culture e condizione sine qua non per un fecondo dialogo internazionale»,38 e che
occorre un serio lavoro culturale, filosofico e scientifico per ridare gli adeguati «fon
damenti antropologici e etici» ai diritti sanciti dalla Dichiarazione dei diritti umani del
1948.39
Emerge cosi, anche a livello pratico, un insieme di "principi irrinunciabili", come si
e vista per il livello della ragione speculativa. Comunque, ormai, si deve constatare che
il legittimo tentativo di partire, almena, dall'individuazione di valori di fatto condivi
si da tutti, pare troppo debole e inefficace se non e sostenuto anche da una ragione spe
culativa in grado di argomentare intorno alla verita, sulla base di un metoda scientifi
co comune. «Si tratta di un "minimum etico" condiviso dall'intero corpo sociale; rna
cosi si ha un diritto delle regole, e un diritto dei valori, che puo definirsi diritto debo
le, da alcuni ritenuto l'unico possibile nelle societa dalle molte etiche, proprio percbe
non farebbe scelte valoriali che si basano sulla "legge naturale" scritta nella natura del
l'uomo e delle case. Ma cosi le norme delle varie convenzioni non sono compiuta
mente giuridiche, rna piuttosto dichiarazioni di buone intenzioni».40 Jacques Maritain
- che pure guardava con speranza a questa via di convergenza pratica che partiva da
37 Sulla problernatica dei diritti urnani e del Ioro fondarnento nella Iegge naturale si possono vedere nurnerosi
studi, tra i quali segnaliarno, oltre al classico saggio di J. MARITAIN, I diritti dell'uomo e Ia Iegge naturale, Vita e
Pensiero, Milano 1991, anche i piu recenti lavori seguenti: A. ScoLA, L 'alba della dignitii umana: Ia fondazione
dei diritti umani nella dottrina di Jacques Maritain, Jaca Book, Milano 1982; L. CORRADINI E AL. (a cura di), I
diritti umani, presente e futuro dell'uomo, Cosenza 1986; V. POSSENTI, La democrazia e il cristianesimo, "Annales
Theologici", 6 (1992), pp. 55-73; E. FISCHETII, La libertii religiosa come fondamento dei diritti umani nel magi
stero di Giovanni Paolo II, 1978-1995, Pontificia Universitas Lateranensis, Rorna 1999 (estratto di tesi dottorale);
S. CORSI (a cura di), Individui senza volto. Diritti universali e ricerca dell'identitii in una societii multiculturale,
Cantagalli, Siena 2003.
38 R. PIZWRNI, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Dornenicano, Bologna
2000, p. 575. Cfr. anche ivi, p. 553: <<Altrirnenti non vi e base sicura e unica per i diritti dell'uorno, non vi e garan
zia di rispetto per Ia persona urnana, per i gruppi sociali, per i popoli, costituiti sernpre da persone».
39 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo diplomatico (9 gennaio 1989), n. 7, in Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, vol. Xll/1, Libreria Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1989, p. 69.
40 R.M. PIZWRNI, Diritto, morale, religione. Il fondamento etico-religioso del diritto secondo San Tommaso
d'Aquino, Urbaniana University Press, Citta del Vaticano - Rorna 2001, p. 301.
292 ALBERTO STRUMIA
un accordo minima tra i popoli - osservava gia all'inizio degli anni cinquanta del XX
secolo, che «questa e senza dubbio molto poco, e l'ultimo rifugio dell'accordo intel
lettuale fra uomini».41 Egli constata come non si puo non «essere sorpresi nel vedere
sistemi che teoricamente si combattono convergere nelle lora conclusioni pratiche»,42
quasi a riprova che c' e una legge naturale che non puo non affiorare anche quando non
viene riconosciuta.
Tuttavia una simile convergenza pratica difficilmente potrebbe essere stabile, dura
re nel tempo se non giunge a darsi un fondamento teorico comune, e soprattutto se si
parte dalla negazione teoretica della stessa possibilita di un simile fondamento, quale
e la legge naturale: «Per una filosofia che riconosca solo il fatto, il concetto di valore
- intendo valore obiettivamente vera in se - non e concepibile. [ . . . ] Se 1' affermazione
del valore e della dignita dell'uomo intrinseci e un'assurdita, un'assurdita risulta pure
1' affermazione dei diritti naturali dell' uomo».43
A piu di mezzo, secolo da quando queste parole furono pronunciate, assistiamo alla
lora esplicita conferma storica: «Basta pensare a cio che accade o e accaduto in con
vegni e congressi internazionali o in altri momenti di confronto tra delegazioni di stati
diversi, dove esponenti di paesi non europei, di paesi non occidentali, avanzano sem
pre piu di frequente la tesi [ . . . ] secondo la quale i diritti umani sono un prodotto tipi
co della cultura occidentale».44 Attraverso quale via, allora, mostrare alle nazioni che
non si tratta di un «prodotto» arbitrario, rna piuttosto di una scoperta di portata uni
versale, una scoperta di valore "scientifico" e, come tale, non relativo rna assoluto?
Le religioni, oggi, sono chiamate, come lo stesso Magistero ha piu volte ribadito, a
contribuire al riconoscimento dei diritti umani e, proprio perche, non potrebbero nep
pure considerarsi "vere religioni" quando non 1i rispettassero, o anche solo fossero
indifferenti al problema. In tal caso, concordemente con il criteria di san Tommaso,
non sarebbero conformi alla legge naturale e quindi non potrebbero essere autentiche
religioni.
A questa proposito G. Mura si domanda: «Come e possibile oggi considerare la
"verita" della religione, o di "una religione", trascurando la questione della sua con
cezione e del suo rispetto dei diritti umani? La religione, ogni religione, deve passare
al vaglio critico dei diritti dell'uomo: quale la concezione della donna, della liberta,
41 J. MARITAIN, L 'uomo e lo stato, Vita e pensiero, Milano 1981, p. 91. L'argomento dei diritti dell'uomo occu
pa l'intero capitolo IV del libro (pp. 89-128). Cfr. anche J. MARJTAJN, Il contadino della Caronna, Morcelliana,
Brescia 1977, pp. 103-1 10, in riferimento ad un celebre discorso pronunciato dall'autore, in apertura della Seconda
·
della persona, della giustizia? Come ha scritto Moltmann, le religioni mondiali oggi
devono essere misurate e giudicate prima che in chiave metafisica, dal duro tribunale
dei diritti umani, perche una religione che non umanizza non puo essere "vera" o
comunque universale».45
45 G. MuRA, introduzione al volume R. CIPRIANI, G. MuRA (a cura di), II fenomeno religioso oggi. Tradizione,
mutamento, negazione, Urbaniana University Press, Citta del Vaticano - Roma 2002, pp. 21-22.
46 «Deinde considerandum est de vitiis religioni oppositis. Et primo, de illis quae cum religione conveniunt in
hoc quod exhibent cultum divinum; secundo, de vitiis manifestam contrarietatem ad religionem habentibus, per
contemptum eorum quae ad cultum divinum pertinent. Primum autem horum pertinet ad superstitionem; secun
dum ad irreligiositatem. Unde primo considerandum est de ipsa superstitione, et de partibus eius; deinde de irre
ligiositate et partibus eiuS>> (II-II, q. 92 pr).
47 Per una visione generale sulla questione dell'ateismo e dei diversi filoni di pensiero nei quali si manifesta, che
qui sono stati indicati, e un'ampia bibliografia in merito rimandiamo a G. MuRA, voce Ateismo in G. TANZELLA
Ntrrt e A. STRUMIA (a cura di), Dizionario interdisciplinare. . . , op. cit., vol. 1, pp. 133-152 e dello stesso autore
anche Ia voce Agnosticismo, in ibidem, vol. 1, pp. 35-47. Segnaliamo, inoltre, G. MORRA, Dio senza Dio: ateismo,
secolarizzazione, esperienza religiosa, Patron, Bologna 1970; C. FABRO, L'uomo e il desiderio di Dio, Studium,
Roma 1975; J. MARITAIN, II significato dell'ateismo contemporaneo, Morcelliana, Brescia 1977; H. DE LUBAC, II
dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1979; G.B. MONDIN (a cura di), L 'ateismo, natura e cause,
Massimo, Milano 1981; M.J. BUCKLEY, At the origins ofmodern atheism, Yale University Press, New Haven (CT)
- London 1987; A. DEL NOCE, II problema dell'ateismo (1964), II Mulino, Bologna 1990.
294 ALBERTO STRUMIA
2.2.1. La superstizione
Nella nostra esposizione seguiremo, in ogni caso, l'ordine del trattato tomista, ini
ziando dalla superstizione. A proposito della superstizione Tommaso si chiede, anzi
tutto, «prima, se la superstizione sia un vizio contrario alla religione. Secondo, se
abbia piu parti o specie».50 Egli rileva subito come !'errore di fonda della superstizio
ne consista nel fatto di rendere il culto che si deve solo a Dio anche a cia che non e
Dio, come a oggetti o creature di altra natura. Si tratta di una forma di "eccesso", non
nell'intensita del culto dovuto a Dio, alla quale non si possono porre limiti, rna nella
estensione del culto al di fuori dell'ambito dovuto.
48 «La religione e qualcosa che appartiene all'anima umana nella sua dimensione puramente psichica, rna non
ha niente a che fare con Ia sua attesa di trascendenza che qualifica I' atto religioso, quale e stato testimoniato non
solo dalla tradizione ebraico cristiana, rna evidenziato con chiarezza dalla modema fenomenologia della religio·
ne, e in particolare da Rudolf Otto e Max Scheler>> (G. MuRA, La simbologia dell' «anima» e degli dei nella psi
cologia archetipica, in R. CIPRIANI e G. MURA (a cura di), 1/ fenomeno religioso oggi... , op. cit., p. 1 62).
49 Per una bibliografia sui fenomeno delle nuove forme di degenerazione della religione rinviamo a R. CIPRIANI,
G. MuRA (a cura di), 1/ fenomeno religioso oggi... , op. cit. e, inoltre a A. PORCARELLI, voce New Age in
G. TANZEUA-NITTJ, A. STRUMIA (a cura di), Dizionario lnterdisciplinare... , op. cit., vol. 1, pp. 1044-1061 e a!
documento del Pontificio Consiglio della Cultura e Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Gesu Cristo
portatore dell'acqua viva. Una riflessione cristiana sui "New Age", gia citato.
so «Circa primum quaeruntur duo. Primo, utrum superstitio sit vitium religioni contrarium. Secunda, utrum
La religione e una virtu morale. Ogni virtu morale si trova a meta, come si e spiegato
[tra l'eccesso e il difetto]. Dunque un vizio si puo opporre alla virtu in due modi, o per
eccesso o per difetto. E il giusto mezzo della virtu puo essere oltrepassato non solo
rispetto alla quantita, rna anche per altri motivi. Per cui, in alcune virtu, come la
magnanimita e la magnificenza, il vizio oltrepassa il giusto mezzo, non con il tendere
a qualcosa di piu della virtu stessa, o di meno, rna per il fatto di dare qualcosa a chi
non si deve o quando non si deve, e per simili circostanze; come risulta secondo il
/ Filosofo, nel IV libro de L'Etica. Cosi, dunque, la superstizione e un vizio che si oppo
ne alla religione, per eccesso, non perche offra un culto eccessivo rispetto alla vera
religione, rna perche lo tributa a chi non deve, o nel modo che non deve.
[II-II, q. 92, a. 1 coP1
51 «Religio est virtus moralis. Omnis autem virtus moralis in medio consistit, ut supra habitum est. Et ideo
duplex vitium virtuti morali opponitur, unum quidem secundum excessum; aliud autem secundum defectum.
Contingit autem excedere medium virtutis non solum secundum circumstantiam quae dicitur quantum, sed etiam
secundum alias circumstantias. Unde in aliquibus virtutibus, sicut in magnanimitate et magnificentia, vitium exce
dit virtutis medium non quia ad maius aliquid tendat quam virtus, sed forte ad minus, transcendit tamen virtutis
medium, inquantum facit aliquid cui non debet, vel quando non debet, et similiter secundum alia huiusmodi; ut
patet per philosophum, in IV Ethic. Sic igitur superstitio est vitium religioni oppositum secundum excessum, non
quia plus exhibeat in cultum divinum quam vera religio, sed quia exhibet cultum divinum vel cui non debet, vel
eo modo quo non debet>>.
296 ALBERTO STRUMlA
- Oppure a cio a cui non lo si deve, cioe a una qualunque creatura. E questo e un altro
genere di superstizione, che si suddivide in molte specie, secondo i diversi fini.
[II-II, q. 92, a. 2 co]52
11 fine puo essere quello di onorare l'oggetto indebito come fosse Dio: «percio la
prima specie di questo secondo genere e l'idolatria, che tributa un culto divino a una
creatura»; o quello di carpire delle conoscenze divine, «e la superstizione che si oppo
ne a questo e la divinazione che consulta i demoni per questo fine, stabilendo con essi
dei patti, taciti o manifesti»; o quello di onorare il proprio oggetto di culto secondo
determinate osservanze di comportamento (segni e scongiuri), «e in questo la super
stizione si traduce nell'osservanza di gesti e comportamenti indebiti».
L'idolatria
Nel bell'articolo seguente (II-II, q. 94, a. 1) san Tommaso ripercorre, con una pano
ramica storica, gli aspetti filosofico-religiosi della superstizione e dell'idolatria, nel
mondo a lui noto.
E superstizione il prestare un culto divino a una creatura. E il culto divino, cosi come
veniva prestato aile creature materiali sensibili, con segni sensibili, come sacrifici, gio
chi e altre cose del genere, veniva prestato anche a creature rappresentate con forme e
figure sensibili, chiamate "idoli". [ . . . ] Ora, tra gli idolatri vi erano tre distinte opinio
ni.
- Alcuni pensavano che certi uomini, come Giove, Mercurio, ecc., di cui veneravano
le immagini, fossero delle divinita.
- Altri pensavano che il mondo fosse come un unico Dio, e non tanto per Ia sua parte
materiale, rna per Ia sua anima, che essi ritenevano essere Ia divinita e, come l'uomo
e detto "sapiente" non per il corpo, rna per Ia sua anima, cosi essi affermavano che Dio
non sarebbe altro che ['anima che con il moto e l'intelligenza, governa il mondo (cfr.
Agostino, La citta di Dio, L. VII).
- lnfine, i platonici ritenevano che esistesse si un unico Dio supremo, causa di tutte le
cose. Ma ammettevano anche l'esistenza di alcune sostanze spirituali, create dal Dio
supremo, che denominavano "dei", per una sorta di partecipazione della divinita, e che
52 <<Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, vitium religionis consistit in hoc quod transcenditur vir
tutis medium secundum aliquas circumstantias. Ut autem supra dictum est, non quaelibet circumstantiarum cor
ruptarum diversitas variat peccati speciem, sed solum quando referuntur ad diversa obiecta vel diversos fines,
secundum hoc enim morales actus speciem sortiuntur, ut supra habitum est. Diversificatur ergo superstitionis spe
cies, primo quidem, ex parte obiecti. Potest enim divinus cultus exhiberi vel cui exhibendus est, scilicet deo vero,
modo tamen indebito, et haec est prima superstitionis species. Vel ei cui non debet exhiberi, scilicet cuicumque
creaturae. Et hoc est aliud superstitionis genus, quod in multas species dividitur, secundum diversos fines. Divini
cultus ordinatur enim, primo, divinus cultus ad reverentiam deo exhibendam. Et secundum hoc, prima species
huius generis est idololatria, quae divinam reverentiam indebite exhibet creaturae. Secundo, ordinatur ad hoc quod
homo instruatur a Deo, quem colit. Et ad hoc pertinet superstitio divinativa, quae daemones consulti per aliqua
pacta cum eis inita, tacita vel expressa. Tertio, ordinatur divinus cultus ad quandam directionem humanorum
actuum secundum instituta dei, qui colitur. Et ad hoc pertinet superstitio quarundam observationum».
Capitolo V Corruzione della religione
- 297
noi diremmo piuttosto "angeli". Dopo questi ponevano le anime dei corpi celesti, e al
di sotto i demoni, che affermavano essere come animali aerei; al di sotto ancora vi
erano le anime umane che, in base ai loro meriti pensavano dovessero essere aggrega
te agli dei o ai demoni. A tutti questi esseri tributavano onori divini, come dice
Agostino (cfr. La citta di Dio, L. XVIII).
[II-II, q. 94, a. 1 cof3
Diverse di queste forme di idolatria trasformano un po' il loro aspetto, il loro modo
di presentarsi e si riformulano nei diversi tempi razionalmente deboli della storia, rna
tendono a ricomparire immutate nella loro essenza. Per questo l'analisi dell'idolatria
presentata in questo articolo rimane perfettamente valida anche oggi.
Le ultime due opinioni rappresentano cio che essi chiamano "teologia fisica", che i
filosofi studiavano indagando il cosmo e insegnavano nelle scuole. L' opinione che si
occupava del culto degli uomini riguardava Ia cosiddetta "teologia mitologica" che,
affidata alia creativita dei poeti, veniva rappresentata nei teatri. L'opinione, poi, che si
rifaceva aile immagini, costituiva Ia "teologia civile", che era celebrata nei templi dai
pontefici. Tutte queste cose rientrano nella superstizione e nell'idolatria. Di qui le
parole di Agostino, del II libro de La dottrina cristiana: e superstizioso tutto cio che e
stato inventato dagli uomini con Ia fabbricazione e il cu/to degli idoli allo scopo di
adorare una creatura o una parte del creato come fosse Dio.
[ibidemf4
53 <<Et ideo, cuicumque creaturae divinus cultus exhibeatur, superstitiosum est. Huiusmodi autem cultus divinus,
sicut creaturis sensibilibus exhibebatur per aliqua sensibilia signa, puta sacrificia, ludos et alia huiusmodi; ita etiam
exhibebatur creaturae repraesentatae per aliquam sensibilem formam seu figuram, quae idolurn dicitur. [ . . . ]
Horum tamen fuit triplex opinio. Quidam enim aestimabant quosdam homines deos fuisse, quos per eorum ima
gines colebant, sicut Iovern, Mercuri urn, et alios huiusmodi. Quidam vero aestimabant totum mundum esse unum
Deum, non propter corporalem substantiam, sed propter animam, quam Deum esse credebant, dicentes Deum nihil
aliud esse quam animam motu et ratione mundum gubemantem; sicut et homo dicitur sapiens propter animam, non
propter corpus. Unde putabant toti mundo, et omnibus partibus eius, esse cultum divinitatis exhibendum, caelo,
aeri, aquae, et omnibus huiusmodi. Et ad haec referebant nomina et imagines suorum deorum, sicut varro dicebat,
et narrat Augustinus, VIII De Civ. Dei. Alii vero, scilicet platonici, posuerunt unum esse summum Deum, causam
omnium; post quem ponebant esse substantias quasdam spirituales a summo deo creatas, quas deos nominabant,
participatione scilicet divinitatis, nos autem eos angelos dicimus; post quos ponebant animas caelestium corporum;
et sub his daemones, quos dicebant esse aerea quaedam animalia; et sub his ponebant animas hominum, quas per
virtutis meritum ad deorum vel daemonum societatem assumi credebant. Et omnibus his cultum divinitatis exhi
bebant, ut Augustinus narrat, in XVIII De Civ. Dei>>. II lema dell'idolatria viene trattato ampliamente, seguendo Ia
stessa linea, anche nella Summa contra gentiles, inserendolo nel quadro della trattazione del culto di adorazione
(latria), dovuto solo a Dio (cfr. CG, L. 3, c. 120).
54 <<Has autem duas ultimas opiniones dicebant pertinere ad physicam theologiam, quam philosophi considera
bant in mundo, et docebant in scholis. Aliam vero, de cultu hominum, dicebant pertinere ad theologiam fabularem,
quae secundum figmenta poetarum repraesentabatur in theatris. aliam vero opinionem, de imaginibus, dicebant
pertinere ad civilem theologiam, quae per pontifices celebrabatur in templis. Omnia autem haec ad superstitionem
idololatriae pertinebant. Unde Augustinus dicit, in II De Doct. Christ., superstitiosum est quidquid institutum ab
hominibus est ad facienda et colenda idola pertinens, vel ad colendam sicut Deum creaturam partemve ullam crea
turae>>.
298 ALBERTO STRUMlA
Le tre "teologie" delle quali si parla, sembrano essersi evolute e aver subito qualche
mutazione "genetica": oggi troviamo, ad esempio, una sorta di rinata attenzione-ado
razione astrologica (spesso parallela o anche antagonista di quella scientifica) per il
cosmo e per la natura; delle forme di culto degli uomini, detti frequentemente "divi" e
che si propongono come modelli da emulare; il culto di immagini e insegne oggi ha
acquisito, con i mezzi di stampa e di comunicazione elettronica a distanza, una dimen
sione totalizzante, soprattutto sotto la forma della pubblicita.
E non manca, da parte di alcune nuove forme di "religiosita" panteista, anche il
ritorno all'idea dell' anima del mondo/5 e alle credenze e alla pratica di certe forme di
magia, talvolta non senza connubi con il satanismo. Dal punta di vista psicologico,
potremmo dire che l'idolatria - quando non e totalmente ingenua, come, forse, lo fu
presso i nuclei piu primitivi degli insediamenti umani del paleolitico - fa cosciente
mente dell'idolo un dio ("si fa" un dio), pur sapendo che non e il vera Dio; non
riuscendo a trovare o decidendo di abbandonare il vera Dio, perche ritenuto troppo
lantana, troppo poco tangibile, si crea un "surrogato" della divinita al quale tributare
un culto, come se fosse Dio. Questa operazione crea, negli idolatri, una sorta di appa
gamento psicologico, anche se non totale, almena parzialmente soddisfacente del
sensa religioso naturale. E il processo lucido di autoconvincimento dell'ottenuto appa
gamento e tanto piu forte quanta piu il fenomeno idolatrico diventa collettivo, 0 addi
rittura di massa, mentre tende a spegnersi quando la moda di un certo "culto", di un
certo personaggio o di un certo comportamento, viene superata da una nuova corren
te di pensiero. L'innescarsi di questa meccanismo psicologico si trova gia descritto
assai bene nella narrazione biblica della fabbricazione del vitello d'oro, in Es 32,1-6.
Certamente, pero, questi culti fittizi non rispondono alle domande serie della vita
dell'uomo e lasciano, col tempo, il vuoto, l'insoddisfazione. Ed e a questa punta che
non deve mancare la proposta di una esperienza religiosa pienamente vera, quella cri
stiana vissuta nella Chiesa. Come il Magistero ha piu volte richiamato, gli uomini
hanna il «diritto» di ricevere 1' Annuncia della verita (cfr. ad esempo, Evangelii nun
tiandi, n. 53; Catechesi tradendae, n. 14).
La divinazione
Diverse delle forme di idolatria, poi, non sono fini a se stesse, rna sono "interessa
te" ad una sorta di "uso" strumentale di colui o di cia al quale si attribuisce un culto
surrettizio. L'idolo si presenta, all'idolatra, con un duplice volta, come una specie di
Giano bifronte: una delle sue facce si presenta artificiosamente come "divina" e quin
di "da" all'idolo dei poteri sovraumani; l'altra faccia e, al contrario, e "sub-umana", e
quella di un artefatto, di un oggetto costruito dall'uomo, del quale egli e pienamente
55 <<Ouidam vero, Deum esse animam mundi aestimantes, crediderunt>> (CG, L. 3, c. 120, n. 2).
Capitolo V - Corruzione della religione 299
56 A proposito della paura dell'uomo contemporaneo di fronte ai prodotti della sua intelligenza, cfr. Redemptor
hominis, n. 15.
57 Si tratta di un' analisi della causalita che, espressa in termini odiemi si potrebbe, pur con le dovute precisa
zioni, interpretare in termini di causa/ita deterministica Iii dove Tommaso parla di cause necessarie, di causa/ita
probabilistica dove parla di cause che producono il loro effetto ut in pluribus e di causa/ita caotica o impredici
bile dove parla di cause ad utrumlibet. Naturalmente Ia schematizzazione e restrittiva per Ia ristrettezza filosofica
che ancora Ia nostra scienza e in grado di esibire, rna e sufficiente a mostrare delle linee di orientamento che in
essa stanno maturando. Cfr. su questo argomento A. STRUMIA, voce Determinismo I indeterminismo, in Dizionario
111terdisciplinare , op. cit., vol. 1, pp. 373-381.
...
300 ALBERTO STRUMIA
11 primo modo e quello sul quale si basano quelle regolarita "necessarie" che la
scienza moderna constata e descrive mediante quelle leggi che chiamiamo "determi
nistiche" (che vengono normalmente formulate da noi con il linguaggio matematico).
Questa predicibilita "calcolabile", degli eventi, non ha a che fare con la divinazione,
in quanta si tratta di una conoscenza che l 'uomo acquisisce con i suoi sensi e la sua
intelligenza, senza carpirla alla divinita.
Alcune [cause] producono il loro effetto sempre e necessariamente. In tal caso gli
effetti futuri possono essere previsti e predetti con certezza in base alta conoscenza
delle loro cause. Cosi gli astronomi prevedono con certezza le eclissi future.
[II-II, q. 95, a. leo)58
11 secondo modo e quello sul quale si basano, invece, quelle regolarita "probabili",
che la scienza moderna constata e descrive mediante quelle leggi che chiamiamo "sta
tistiche", che servono a descrivere comportamenti che, singolarmente presi sono
impredicibili, rna che nella maggioranza dei casi (ut in pluribus), oggi diremmo nel
l'ordine dei "grandi numeri", presentano mediamente delle regolarita.
Altre cause possono produrre i loro effetti in modo non necessario e regolare, rna solo
nella maggior parte dei casi, perche a volte non ottengono l' effetto. Mediante questo
tipo di cause si possono si conoscere gli eventi futuri, rna non con certezza, rna solo
ipoteticamente, come gli astronomi, con l'osservazione del cielo cercano di conosce
re e prevedere la pioggia o la siccita, e i medici la guarigione o la morte.
[ibidemP9
58 «Quaedam enim producunt ex necessitate et semper suos effectus. Et huiusmodi effectus futuri per certitudi
nem praenosci possunt et praenuntiari ex consideratione suarum causarum, sicut astrologi praenuntiant eclipses
futuras».
59 <<Quaedam vero causae producunt suos effectus non ex necessitate et semper, sed ut in pluribus, raro tamen
deficiunt. Et per huiusmodi causas possunt praenosci futuri effectus, non quidem per certitudinem, sed per quon
dam coniecturam, sicut astrologi per considerationem stellarum quaedam praenoscere et praenuntiare possunt de
pluviis et siccitatibus, et medici de sanitate vel morte>>.
60 Per Tommaso il motivo per cui tali cause non producono sempre il loro effetto e individuato in qualche causa
impediente che interferisce con esse. La scienza recente propone diverse spiegazioni e interpretazioni in proposi
to, distinguendo diversi tipi di impredicibilita; e alcune questioni sono tuttora aperte, come quella dell'interpreta
zione della meccanica quantistica. Ma non e questa Ia sede per approfondimenti, per una presentazione dei quali,
in una prospettiva interdisciplinare, possiamo rinviare a G. TANZELLA-NITII e A. STRUMIA (a cura di), Dizionario
lnterdisciplinare... , op. cit., voci Determinismo/indeterminismo; Meccanica; Meccanica quantistica.
Capitolo V Corruzione della religione
- 301
Ed e interessante rilevare come egli riesca a collocare nell' ambito della sua scienza
anche questa tipo di causalita, che e propria della libera volonta di un essere raziona
le: per lui la volonta e una causa che puo stare accanto alle cause di natura fisica, dif
ferendo da queste per il fatto di essere completamente indeterminata, fino a quando il
suo effetto non viene posto in atto.
Gli effetti di una causa libera, di conseguenza, non sono predicibili in quanta una
stessa causa puo produrre, alternativamente, degli effetti opposti.
Ci sono poi altre cause che, considerate in se stesse, possono indifferentemente pro
durre effetti tra loro contrari. Questo riguarda, in particolare, le facolta razionali che,
come dice il Filosofo, sono capaci di atti opposti.
E gli effetti di queste, come pure quelli che derivano, come eventi rari, da cause fisi
che, non possono essere conosciuti in precedenza con l'analisi delle loro cause, per
che queste non sono univocamente determinate verso i loro effetti.
Percio non si possono conoscere i loro effetti se non osservandoli direttamente.
[ibidem]61
11 considerare questi eventi, in se stessi, prima che avvengano, e proprio solo di Dio,
che nella Sua eternita vede il futuro come presente, come si e spiegato nella Prima
parte. Da cui le parole di Is 41, annunziate le cose che verranno in futuro, e conosce
remo che siete dei. Se, dunque, qualcuno presume, in qualsiasi modo, di conoscere e
di predire il futuro senza una rivelazione di Dio, usurpa evidentemente un prerogativa
divina.
Da qui alcuni vengono detti "divini", come spiega Isidoro neUe Etimologie: sono detti
"indovini ", o "divini ", come fossero pieni di Dio; ma essi Jingono di essere ripieni di
divinita e, con astuzia fraudolenta fanno credere alta gente di predire il futuro.
[ibidem]62
61 «Ouaedam vero causae sunt quae, si secundum se considerentur, se habent ad utrumlibet, quod praecipue
videtur de potentiis rationalibus, quae se habent act opposita, secundum philosophum. Et tales effectus, vel etiam
si qui effectus ut in paucioribus casu accidunt ex naturalibus-causis, per considerationem causarum praenosci non
possunt, quia eorum causae non habent inclinationem determinatam ad huiusmodi effectus. Et ideo effectus huiu
smodi praenosci non possunt nisi in seipsis considerentur>>.
62 «Sed considerare huiusmodi in seipsis antequam fiant, est Dei proprium, qui solus in sua aetemitate videt ea
quae futura sunt quasi praesentia, ut in primo habitum est, unde dicitur Isaiae 41, annuntiate quae futura sunt in
futurum, et sciemus quoniam dii estis vos. Si quis ergo huiusmodi futura praenoscere aut praenuntiare quocumque
modo praesumpserit, nisi Deo revelante, manifeste usurpat sibi quod Dei est. et ex hoc aliqui divini dicuntur, unde
dicit Isidorus, in libro Etymol., divini dicti quasi deo pleni, divinitate enim se plenos simulant, et astutia quadam
fraudulentiae hominibus futura coniectant>>.
302 ALBERTO STRUMIA
Egli e in grado, quindi, di concludere che «non c'e alcuna divinazione nella previ
sione di eventi che avvengono per una legge necessaria, o altamente probabile, che puo
essere conosciuta dall'intelligenza dell'uomo», ovvero scientificamente, e tanto meno
nel conoscere per una [autentica] rivelazione divina eventi futuri contingenti: in que
sto caso non e l'uomo che "divina", che cerca di fare qualcosa di divino, rna piuttosto
accoglie, riceve qualcosa di divino.
Si parla, invece, di "divinare" o "indovinare", quando si cerca di usurpare indebita
mente la facolta di predire il futuro. E questo e un peccato; per cui la divinazione e
sempre un peccato, e Girolamo dice che Ia divinazione si deve considerare sempre un
male.
[ibidem ]63
63 <<Divinatio ergo non dicitur si quis praenuntiet ea quae ex necessario eveniunt vel ut in pluribus, quae huma
na ratione praenosci possunt. Neque etiam si quis futura alia contingentia, Deo revelante, cognoscat, tunc enim
non ipse divinat, idest, quod divinum est facit, sed magis quod divinum est suscipit. Tunc autem solum dicitur divi
nare quando sibi indebito modo usurpat praenuntiationem futurorum eventuum. Hoc autem constat esse peccatum.
unde divinatio semper est peccatum. Et propter hoc hieronymus dicit, super michaeam, quod divinatio semper in
malam partem accipitur».
64 Cfr. anche il passo seguente: <<Dicit enim Maximus Valerius quod observatio auguriorum et somniorum et
huiusmodi ad religionem pertinent, qua idola colebantur. Et ideo in veteri lege, simul cum idololatria, haec omnia
prohibebantur: dicitur enim Deut. 18,9 ne imitari velis abominationes illarum gentium, quae scilicet idolis servie
bant; nee inveniatur in te qui lustre! filium suum aut flliam ducens per ignem; aut qui ariolos sciscitetur, et obser
ve! somnia atque auguria; nee sit maleficus neque incantator; neque qui pythones consulat nee divinos, et quaerat
a mortuis veritatem» (CG, L. 3, c. 154, n. 17).
Capitolo V Corruzione della religione
- 303
degli auguri; il terzo consiste nel compiere noi stessi qualcosa per scoprire cose occul
te. Questa e il campo dei sortilegi.65
Nell'interessante articolo 5 della questione 95 della Secunda secundae, viene dimo
strata l'infondatezza scientifica della divinazione astrologica. Nell'articolo 1 della
stessa questione, I' Aquinate aveva mostrato le ragioni per cui la divinazione, in gene
rale, e illecita, in quanta gli effetti delle cause libere sono inconoscibili all'uomo, ora
egli spiega con maggiore dettaglio, come sia impossibile dedurre tale conoscenza dal
moto degli astri. L' astrologia, come ogni forma di divinazione, si fonda su una errata
concezione della causalita, ed e nello spazio aperto da tale ignoranza che «si inserisce
I' opera del demonio». E per questa essa e anche illecita, oltre che inefficace. Egli spie
ga come, sebbene i moti degli astri siano predicibili scientificamente dagli astronomi,
in quanta sono regolati da leggi fisiche deterministiche, dalla conoscenza di questi
moti e impossibile risalire alia conoscenza degli eventi futuri determinati da cause
libere.66
I moti degli astri, infatti, non possono essere effetto degli eventi futuri, in base ai
quali questi ultimi possano essere conosciuti, ne essere ad essi concomitanti per il fatto
di avere con quelli una causa in comune.
Ci furono alcuni che dissero che le stelle non producono, rna piuttosto significano, o
indicano, gli eventi che vengono previsti a partire dalla loro osservazione. Ma questo
e irragionevole. Infatti, un segno materiale o e effetto di cio di cui e segno, come il
fumo che e segno del fuoco dal quale e causato, oppure ha in comune con esso una
stessa causa, per cui, indicando Ia causa indica anche l'effetto; come l'arcobaleno che
indica, talvolta, il sereno perche Ia sua causa e Ia stessa che produce il sereno. Ma non
si puo dire che Ia posizione e i movimenti dei corpi celesti siano effetto degli eventi
futuri. E neppure e possibile ricollegarli a una causa superiore comune di ordine mate
riale.
[II-II, q. 95, a. 5co]67
Se di una causa comune si puo parlare, questa non e di ordine fisico, rna e la
Provvidenza divina, «rna questa govema i moti e la posizione dei corpi celesti secondo
modalita [e leggi causali] diverse da come govema gli eventi futuri contingenti».
Escludendo, quindi, che i moti degli astri possano essere un "segno" degli eventi futuri,
rimane solo Ia possibilita che siano causa di questi, rna anche tale possibilita e infon
data: infatti, oltre agli eventi del tutto casuali, le leggi che govemano i moti celesti, non
regolano il comportamento delle facolta imrnateriali come l'intelletto e Ia volonta.
AI controllo della causalita dei corpi celesti sfuggono gli atti del libero arbitrio, che e
una facolta della volonta e della ragione. Infatti, l'intelletto, o ragione, non e di natu
ra corporea, ne consiste nell'atto di un organo corporeo, e neppure lo e la volonta, che
e nella ragione, come dice il Filosofo nel III libro de L 'anima. Ma nessun corpo puo
agire su una realta incorporea. Percio e impossibile che i corpi celesti agiscano diret
tamente sull'intelletto e la volonta.
[ibidem]68
Tommaso precisa come il mettere sullo stesso piano le leggi che govemano i moti
celesti e quelle dell'intelletto e della volonta, equivarrebbe a sostenere Ia tesi materia
lista che nega Ia natura immateriale e spirituale di tali facolta: «Ammettere questa
equivarrebbe a negare Ia differenza tra l'intelletto e i sensi», e questa equivarrebbe a
negare Ia possibilita stessa di quella conoscenza universale che caratterizza Ia creatu
ra razionale, distinguendola da tutte le altre.
AI piu possono influire sull'agire in un dato modo, come dei fattori di predisposizio
ne, influendo [fisicamente] sui corpo umano e quindi sulle facolta sensitive che, ser
vendosi di organi corporei, possono condizionare gli atti umani. Siccome, pero, le
facolta sensitive sono governate anche dalla ragione, come dice il Filosofo nel III libro
de L'anima e nel primo de L'Etica, questa influenza non impone alcuna necessita al
libero arbitrio e l'uomo puo agire contrastandola.
[ibidem]69
2.2.2. L 'irreligiosita
Se Ia superstizione, nelle diverse forme, si contrappone alia religione "per eccesso",
l'irreligiosita vi si oppone "per difetto", in quanta disprezza direttamente Dio e l'ono
re che gli e dovuto, come accade nell'afto del tentare Dio, e della spergiurare; oppure
disprezza le case sacre, come nel caso del sacrilegio e della simonia.70 Ci limitiamo a
68 «Subtrahuntur causalitati caelestium corporum actus liberi arbitrii, quod est facultas voluntatis et rationis.
Intellectus enim, sive ratio, non est corpus nee actus organi corporei; et per consequens nee voluntas, quae est in
ratione, ut patet per philosophum, in iii de anima. Nullum autem corpus poles! imprimere in rem incorpoream.
Unde impossibile est quod corpora caelestia directe imprimant in intellectum et voluntatem».
69 «Possunt tamen ad hoc dispositive inclinare, inquantum imprimunt in corpus humanum, et per consequens in
vires sensitivas, quae sunt actus corporalium organorum, quae inclinant ad humanos actus. Quia tamen vires sen
sitivae obediunt rationi, ut patet per philosophum, in III De anima et in I Ethic., nulla necessitas ex hoc libero arbi
trio imponitur, sed contra inclinationem caelestium corporum homo potest per rationem operari>>.
70 <<Deinde considerandum est de vitiis religioni oppositis per religionis defectum, quae manifestam contrarie
tatem ad religionem habent, unde sub irreligiositate continentur. Huiusmodi autem sunt ea quae pertinent ad con
temptum sive irreverentiam dei et rerum sacrarum. Primo ergo considerandum est de vitiis quae pertinent directe
Capitola V - Corruzione della religione 305
Come si e gia rilevato, interrogarsi sulla "corruzione della religione", vorrebbe dire
oggi interrogarsi sulle manifestazioni della degenerazione della fede cristiana, sia per
quanto riguarda l'atteggiamento e la consapevolezza del soggetto dell'atto di fede, sia
per i1 contenuto della dottrina alla quale presta fede. In tal modo la degenerazione della
religione viene a rientrare piu propriamente nel quadro dell'eresia, quando non in
quello dell'apostasia.
ad irreverentiam dei; secunda, de his quae pertinent ad irreverentiam rerum sacrarurn» (II-11, q. 97 pr); «Deinde
considerandum est de vitiis ad irreligiositatem pertinentibus quibus rebus sacris irreverentia exhibetur. Et primo,
de sacrilegio; secunda, de simonia>> (II-II, q. 99 pr).
71 G. COTitER, Definizione e tipologia dell'ateismo, in G.B. MONDIN (a cura di), L'ateismo, natura e cause,
Massimo, Milano 1981, p. 22.
72 Sui rapporto Ira materialismo e ateismo si veda G. MuRA, voce Ateismo in G . TANZELlA-NITII e A. STRUMIA
'
3.1. LA CORRUZIONE DELIA RELIGIONE COME CONSEGUENZA DELL ERESIA
Tommaso precisa, per definire il senso in cui si deve intendere propriamente il ter
mine "eresia", che essa e propria di chi intende essere cristiano, rna si discosta dalle
verita di fede che Cristo stesso ha insegnato mediante Ia Rivelazione e la Tradizione,
affi.date all'autentica interpretazione della Chiesa.
Ci sono due modi in cui si puo deviare alia fede autentica.
- Il primo modo e quello di chi non vuole credere in Cristo stesso, e questo e un erro
re voluto riguardo al fine stesso della fede; questa e un'infedelta simile a quella dei
pagani e dei giudei [che vogliano deliberatamente rifiutarlo] ;
- i l secondo modo e quello di chi intende credere in Cristo, rna e in errore riguardo ai
mezzi che sceglie per credergli, perche non sceglie cio che Cristo ha realmente tra
mandato, rna quello che gli suggerisce la propria mente. Per cui l'eresia e quella spe
cie di infedelta che riguarda propriamente coloro che professano la fede in Cristo, rna
corrompono i suoi dogmi.
[II-II, q. 11, a. 1 cor3
Ora queste deviazioni dalla autentica dottrina della fede cattolica, possono riguar
dare direttamente una verita di fede, oppure le "premesse" che sono alla base della
fede, in quanta sono erronee in se stesse.
Ora ci sono due modi in cui qualcosa puo avere a che fare con la fede, come si e gia
detto.
- In un modo, direttamente e principalmente, come nel caso degli articoli di fede;
- in un secondo modo, indirettamente e secondariamente, come nel caso di quelle
premesse dalle quali segue, come conseguenza, anche la corruzione di un articolo
di fede.
E in entrambi i modi puo manifestarsi l'eresia, o al contrario la fede autentica.
[II-II, q. 1 1, a. 2 cor4
Possiamo osservare, alla luce del precedente articolo, come della corruzione di que
ste premesse ci siamo gia occupati in precedenza trattando della corruzione della
nozione di verita in se stessa (§1) e della corruzione della verita della religione nella
73 «A ;ectitudine igitur fidei Christianae dupliciter aliquis potest deviare. Uno modo, quia ipsi Christo non vult
assentire, et hie habet quasi malam voluntatem circa ipsum finem. Et hoc pertinet ad speciem infidelitatis
Paganorum et ludaeorum. Alio modo, per hoc quod intendit quidem Christo assentire, sed deficit in eligendo ea
quibus Christo assentiat, quia non eligit ea quae sunt vere a Christo tradita, sed ea quae sibi propria mens sugge
rit. Et ideo haeresis est infidelitatis species pertinens ad eos qui fidem Christi profitentur, sed eius dogmata cor
rumpunt».
74 «De haeresi nunc loquimur secundum quod importat corruptionem fidei Christianae. Non autem ad corrup
tionem fidei Christianae pertinet si aliquis habeat falsam opinionem in his quae non sunt fidei, pula in geometri
calibus vel in aliis huiusmodi, quae omnino ad fidem pertinere non possunt, sed solum quando aliquis habet fal
sam opinionem circa ea quae ad fidem pertinent. Ad quam aliquid pertinet dupliciter, sicut supra dictum est, uno
modo, directe et principaliter, sicut articuli fidei; alio modo, indirecte et secundario, sicut ea ex quibus sequitur
corruptio alicuius articuli. Et circa utraque potest esse haeresis, eo modo quo et fides>>.
Capitolo V - Corruzione della religione 307
sua autenticita (§2), quando si corrompe la nozione di legge naturale nella sua essen
za (§2.1), o in un aspetto particolare leso da un vizio contro la religione (§2.2).
Ora dobbiamo rilevare come, di fatto, in un'eresia che colpisce direttamente la fede
sono coinvolte quasi sempre anche delle degenerazioni a livello delle premesse, degli
errori filosofici concomitanti che favoriscono quell'eresia rendendola pensabile, for
mulabile e ne facilitano la diffusione, soprattutto quando gli errori nelle premesse sono
divenuti, in qualche modo, parte della mentalita e della cultura comune. Ai nostri gior
ni, per fare un esempio gia messo in luce, possiamo affermare che, da una prospettiva
cattolica, }'errore filosofico del relativismo e la premessa che rende pensabile e favo
risce la diffusione dell'eresia che nega l'unicita di Gesu Cristo come unico salvatore
di tutti gli uomini.
Di piu, si deve constatare come, oggi, Ia degenerazione della fede cattolica non si
limita aile forme dirette di eresia, rna si accompagna assai di frequente con una corru
zione della stessa religione. Non e ormai infrequente il caso di battezzati che accetta
no dottrine e principi morali non conformi alia fede della Chiesa, e in certo modo con
trari anche ad una autentica esperienza religiosa. 75 Tommaso accenna ad una situazio
ne simile quando dice che
e piu grave l'infedelta ( . . . ] di quegli eretici, come per esempio i manichei, che giun
gono a dei livelli di errore, sulle questioni dottrinali, maggiori degli stessi gentili.
[II-II, q. 10, a. 6 cor6
Questa evenienza che, per I' Aquinate sembra essere un'eccezione, ai nostri giorni,
assume un rilievo consistente al constatare che Ia deviazione dalla retta dottrina della
fede porta con se anche una sorta di allontanamento, non solo dalla fede della Chiesa,
rna anche dall'autentica religione e dalla retta ragione. In questo caso si tende a pas
sare, secondo Ia prospettiva tornista, da forme di eresia a vere e proprie forme di apo
stasia, per quanto non apparenti e non riconosciute come tali. lnfatti «puo accedere di
allontanarsi da Dio con un rifiuto esplicito della mente nei confronti dei comanda
menti di Dio, [ . . . ] pur rimanendo ancora legati a Lui dalla fede. Ma se uno abbando
na anche Ia fede, allora pare proprio essersi allontanato completamente da Dio» (II-II,
q. 12, a. leo). Posizioni di questo tipo si accompagnano facilmente anche aile piu
diverse forme di superstizione, di idolatria, di divinazione e di irreligiosita (v. supra,
75 Per una panoramica sulla situazione della religiosita in ltalia, cfr. F. GARELLI, Religione e Chiesa in Jtalia, II
Mulino, Bologna 1991; IDEM, Forza della religione e debolezza della fede, II Mulino, Bologna 1996;
S. BURGAlASSI, S. MARTELLI, C. PRANDI, lmmagini della religiosittl ill ltalia, Angeli, Milano 1993; G. MORRA,
Religione civile, frammentazione sociale, post-modernittl. Quali valori comuni tra i giovani del Sud e del Nord
Italia?, Angeli , Milano 1999.
76 <<Et secundum hoc [ . . . ] gravior est infidelitas [ . . . ] quorundam, pula manichaeorum, qui etiam circa credibi
§2.2), e in taluni casi mescolano o contrappongono alla fede e alla religione anche la
credenza nella "reincarnazione", pratiche magiche,77 e fenomeni di satanismo. E inte
ressante notare che di questa fenomenologia troviamo puntuale trattazione nell'opera
tomista. Ne diamo qui almena un accenno.
In realta, 1' argomentazione, per quanta annunciata come «facile» richiede una certa
ampiezza. E interessante e il fatto che Tommaso, svolgendola in un'opera apologetica,
porta argomentazioni di ragione, "scientifiche" diremmo oggi, e non risolve la que
stione limitandosi semplicemente ad affermare che la dottrina dell'eternita dell' anima
77 II riferimento qui non e tanto ai frequenti episodi di creduloneria verso astrologi e sedicenti maghi, quanta ai
e della trasmigrazione delle anime e contraria al dogma, come fa, invece, rapidamen
te commentando il Vangelo di Matteo.79
La natura propria di ogni forma consiste nell'unirsi alia propria materia. Se non fosse
cosi il composto di materia e forma che ne risulterebbe non avrebbe un'unita "fisica".
[ivi, n. 10]80
Se per un'anima l'essere unita a un certo corpo o no fosse una possibilita variabile in
natura, significherebbe che sarebbe accidentale per un'anima essere unita a un corpo.
E di conseguenza l'essere umano che ne deriverebbe non sarebbe un essere [creato]
per se stesso, rna per caso.
[ivi, n. 14]81
Tanto meno si potrebbe pensare che l' anima possa passare da un corpo umano ad
uno animate o addirittura inanimato, perche I' anima, per pater svolgere le sue attivita
richiede di disporre di un corpo dotato di un grado di complessita e di organizzazione
pari a quella di un corpo umano.
79 <<Per hoc autem amovetur quaedam haeresis, quae posuit transmigrationem animae, quod anima videlicet exi
bat de uno corpore, et intrabat aliud corpus>> (Sup Matth, cp. 1 1 , lc. 1).
80 <<Unicuique formae naturale est propriae materiae uniri: alioquin constitutum ex forma et materia esse! ali
Non potrebbe unirsi ad un altro tipo di corpo meno complesso. Perche bisognerebbe
che quel corpo avesse, tra tutti corpi complessi, un grado di complessita di un livello
ad essa adeguato. Infatti noi osserviamo che i corpi complessi sono governati da un
livello di informazione (forma) tanto piu elevata quanto piu alto e il grado di com
plessita che hanno raggiunto. E cosi, quelli che sono governati dal grado informazio
ne (forma) piu elevato devono essere i piu complessi. [ . . . ] E il livello di complessita
piu adeguato all'intelligenza e quello del corpo umano. Percio, se una sostanza intel
lettuale deve unirsi ad un corpo complesso, questo deve essere della stessa natura del
corpo umano. E il livello di informazione (forma) adeguato per governarlo, come sog
getto (substantia) intelligente, deve essere della stessa natura dell'anima umana. Se
non fosse cosi non ci sarebbe nessuna differenza [neppure di complessita] tra Ia spe
cie di un uomo e quella di un dato animale.
[CG, L. 2 , c. 90, n. 2] 82
82 «Quod autem nulli corpori elementari substantia intellectualis uniatur ut forma nisi humano, evidenter appa
rel. Si enim alteri corpori uniatur, aut unitur corpori mixto, aut simplici. Non autem potest uniri corpori mixto.
Quia oporteret illud corpus maxime esse aequalis complexionis, secundum suum genus, inter cetera corpora rnixta:
cum videamus tanto corpora mixta nobiliores formas habere quanto magis ad temperamentum mixtionis perve
niunt; et sic, quod habet formam nobilissimam, utpote substantiam intellectualem, si sit corpus mixtum, oportet
esse temperatissimum. Unde etiam videmus quod mollities camis et bonitas tactus, quae aequalitatem complexio
nis demonstrant, sunt signa boni intellectus. complexio autem maxime aequalis est complexio corporis humani.
Oportet igitur, si substantia intellectualis uniatur alicui corpori mixto, quod illud sit eiusdem naturae cum corpore
humano. forma etiam eius esset eiusdem naturae cum anima humana, si esset substantia intellectualis. Non igitur
esset differentia secundum speciem inter illud animal et hominem». Notiamo quanto sia attuale l'approccio alia
complessita che le nostre scienze stanno scoprendo da qualche decennio come fondamentale in ordine alia gestio
ne di un alto livello di informazione.
Capitolo V Corruzione della religione
- 311
Solitamente si chiamano "miracoli" quegli eventi, che talvolta si verificano per opera
divina, e che vanno al di sopra del comune ordine stabilito delle cose: rimaniamo
meravigliati, infatti, tutte le volte che osserviamo un fenomeno di cui non conosciamo
la causa. Ma, poiche Ia causa, a volte, e nota ad alcuni e sconosciuta ad altri, puo suc
cedere che alcuni restino meravigliati e altri no, di fronte a certi eventi: un astronomo
non si meraviglia osservando un' eclissi di sole, perche ne conosce Ia causa. [ . . . ]
Propriamente, pero, un miracolo e qualcosa Ia cui causa e intimamente nascosta. [ . . . ]
Ma una causa che sia intimamente nascosta ad ogni uomo e solo Dio. Per cui, in senso
' proprio, si devono chiamare miracoli quelli che avvengono al di sopra dell'ordine sta
bilito delle cose, per opera di Dio.
[CG, L. 3, c. 101, n. 1)83
83 «Haec autem quae praeter ordinem communiter in rebus statutum quandoque divinitus fiunt, miracula dici
solen!: admiramur enim aliquid cum, effectum videntes, causam ignoramus. Et quia causa una et eadem a quibu
sdam interdum est cognita et a quibusdam ignota, inde contingit quod videntium simul aliquem effectum, aliqui
mirantur et aliqui non mirantur: astrologus enim non miratur videns eclipsim solis, quia cognoscit causam; [ . . . )
Illud ergo simpliciter mirum est quod habet causam simpliciter occultam: [ . . . ] Causa autem simpliciter occulta
omni homini est Deus: probatum enim est supra quod eius essentiam nullus homo in statu huius vitae intellectu
capere potest. Illa igitur proprie miracula dicenda sunt quae divinitus fiunt praeter ordinem communiter observa
tum in rebus>>.
84 «Quod enim est sub ordine totaliter constitutum, non potest supra ordinem ilium operari. Omnis autem crea
tura constituta est sub ordine quem Deus in rebus statui!. Nulla ergo creatura potest supra hunc ordinem operari.
Quod est miracula facere».
85 «[ . . . ] substantiis separatis multo magis obedit materia ad productionem alicuius effectus, quam contrariis
agentibus in materia. Unde [ . . . ] ad apprehensionem praedictarum substantiarum sequitur interdum effectus aliquis
in istis inferioribus, vel pluviarum, vel sanitatis alicuius infirmi, absque aliquo corporeo agente medio».
312 ALBERTO STRUMlA
Ma quello che puo avvenire per azione dei corpi celesti, puo essere solo un effetto
naturale: non sono che delle informazioni (formae) naturali queUe che possono giun
gere fino a noi da parte dei corpi celesti.
[ivi, n. 6]88
Rimane, dunque, solo la possibilita che questi effetti siano ottenuti mediante l'azione
di una creatura intelligente, alla quale si rivolge la richiesta di chi si serve di determi
nate formule che vengono pronunciate [allo scopo].
Ne e indizio il fatto che le espressioni delle quali si servono i maghi sono invocazio
ni, suppliche, giuramenti, comandi che si rivolgono come ad un'altro al quale si parla.
[CG, L. 3, c. 105, n. 6]89
d) che solo il demonio si presta a tale tipo di collaborazione per destare meraviglia
nell'uomo e farlo schiavo del suo potere. Non e opera di un'intelligenza supe
riore buona quella che collabora con chi cerca delle conoscenze e dei poteri che
sovvertono 1' ordine delle cose, con la divinazione e la magia. Mentre i miracoli
autentici vengono compiuti sempre a gloria di Dio e mai per la voglia di vedere
accresciuto il proprio potere.
86 Cioe non quella che viene fatta credere tale con l'inganno, approfittando della credulita dell'interlocutore. Qui
Tommaso esamina le condizioni "scientifiche" di possibilita della magia; stara poi alia verifica sperimentale valu
tare se e quando queste effettivamente si verifichino, ovvero se e quando la magia effettivamente esista.
87 «Fuerunt autem quidam dicentes quod huiusmodi opera nobis mirabilia quae per artes magicas fiunt, non ab
aliquibus spiritualibus substantiis fiunt, sed ex virtute caelestium corporum. Cuius signum videtur quod ab exer
centibus huiusmodi opera stellarum certus situs consideratur. Adhibentur etiam quaedam herbarum et aliarum cor
poralium rerum auxilia, quasi ad praeparandam inferiorem materiam ad suscipiendam influentiam virtutis caele
stis».
88 «Quod virtute caelestium corporum fit, est effectus naturalis: nam formae naturales sunt quae in inferioribus
causantur ex virtute caelestium corporum. Quod igitur nulli rei potest esse naturale, non potest fieri virtute caele
stium corporum>>.
89 «Relinquitur igitur quod effectus huiusmodi compleantur per aliquem intellectum ad quem sermo proferentis
huiusmodi voces dirigitur. Huius autem signum est: nam huiusmodi significativae voces quibus magi utuntur, invo
cationes sunt, supplicationes, adiurationes, aut etiam imperia, quasi ad alterum colloquentis>>.
Capitola V Corruzione della religione
- 313
Prestare aiuto ad azioni che sono contrarie alia virtu non e indice di un'intelligenza
disposta al bene.
[CG, L. 3, c. 106, n. 2]90
Ogni forma di divinazione che viene compiuta mediante l'invocazione dei demoni e
illecita per due ragioni.
- La prima e legata al principia in base al quale viene attuata Ia divinazione, che e un
patto con un demonio che viene esplicitamente stabilito mediante l'invocazione del
demonio stesso. [ . . . ] E sarebbe un cosa ancora piu grave se si offrisse un sacrificio o
si compissero riti di riverenza verso il demonio cosi invocato.
- La seconda ragione e legata all' evento futuro [che viene predetto]. II demonio, infat
ti, che vuole Ia perdizione degli uomini, con i suoi responsi, anche se a volte puo
preannunciare delle cose vere, cerca di convincere gli uomini a credergli, cercando di
indirizzarli verso qualcosa che sia loro di danno.
[//-//, q. 95, a. 4 co]92
Si direbbe che, oggi, il satanismo abbia assunto, addirittura un volto ancora piu sot
tile e pericoloso.93 Chi e attratto dai riti satanici in quanto tali, non li compie tanto per
conoscere il futuro attraverso la divinazione: chi vuole sapere qualcosa sul proprio
90 «Praestare enim patrocinium aliquibus quae sunt contraria virtuti, non est alicuius intellectus bene dispositi>>.
91 Cfr. anche De Pot, q. 6, a. 10.
92 «Respondeo dicendum quod omnis divinatio quae fit per invocationes daemonum est illicita, duplici ratione.
Quarum prima sumitur ex parte principii divinationis, quod scilicet est pactum expresse cum daemone initum per
ipsam daemonis invocationem. Et hoc est omnino illicitum. Unde contra quosdam dicitur Isaiae 28, dixistis, per·
cussimus foedus cum morte, et cum inferno fecimus pactum. Et adhuc gravius esset si sacrificium vel reverentia
daemoni invocato exhiberetur. Secunda ratio sumitur ex parte futuri eventus. Daemon enim, qui intendit perditio
nem hominum, ex huiusmodi suis responsis, etiam si aliquando vera dicat, intendit homines assuefacere ad hoc
quod ei credatur, et sic intendit perducere in aliquid quod sit saluti humanae nocivum>>.
93 Cfr. su questi argomenti, M. INTROVIGNE, Lo spiritismo: Seminario internazionaie sui spiritismo e nuove reii
gioni, Leumann-Elledici, Torino 1989; IDEM, Studi scientifici recenti sui satanismo, Quadrivium, Genova 1989;
IDEM, Indagine sui satanismo: satanisti e anti-satanisti dai Seicento ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1994.
314 ALBERTO STRUMIA
Nei precedenti capitoli della nostra ricerca abbiamo cercato di individuare degli ele
menti di risposta - a partire dai testi di san Tommaso e dai principi che guidano la sua
opera - ad alcuni quesiti che emergono anche ai nostri giorni e ci sono parsi di pri
maria importanza in ordine all'elaborazione di una teologia in grado di riconoscere la
"vera religione". I principali tra questi sono: a) il problema della individuazione di una
definizione di religione che abbia carattere universale e nel contempo sia fondata
oggettivamente e non frutto di una pura convenzione; b) la questione della verita della
religione e dei criteri per stabilirla, sia quanto alia sua autenticita, che quanto alia veri
ta dei contenuti che propone da credere; c) il problema del rapporto tra religione e
fede, e se e come in ogni religione sia presente una forma di fede; d) la questione del
rapporto tra religione e rivelazione, e se in Tommaso siano presenti elementi ricondu
cibili in qualche misura alia dottrina dei semina Verbi; e) il problema del valore salvi-
Capitolo V Corruzione della religione
- 315
fico delle religioni: se a partire da Tommaso siano reperibili elementi utili alla formu
lazione di un modello di tipo inclusivista e quale sia la relazione tra la Chiesa e le reli
gioni; f) la questione della necessita o meno di segni visibili della religione e, quindi,
di una sua dimensione pubblica. Questi stessi oggetti di indagine possono essere visti,
oltre che sotto il profilo "positivo" che caratterizza la "vera" religione, anche da un
punto di vista "negativo", ovvero da quello della degenerazione o corruzione della reli
gione. Un'analisi della religione, da questo Secondo punto di vista, e quanto si e cer
cato di fare in questo quinto capitolo.
11 quadro che ne e emerso ci ha permesso di individuare il dato secondo cui la cor
ruzione della religione e, di regola, legata da un rapporto di causa-effetto, da un lato
con un degrado delle "premesse filosofiche" che sono necessarie alla fede e alla reli
gione autentica e, dall'altro, con un degrado del modo di aderire alla stessa fede cri
stiana. Sembrano essere senz'altro questi i due fattori determinanti che stanno all'ori
gine anche delle altre forme di corruzione della religione, cause che san Tommaso
aveva gia considerato come fattori responsabili della corruzione delle fede. Attraverso
un paragone con la situazione contemporanea, e poi possibile notare che il livello
"filosofico" della corruzione della religione intacca, principalmente, la nozione stessa
di "verita" (relativismo filosofico) e la nozione di "legge naturale" (relativismo etico),
mentre il livello "dottrinale" della corruzione della fede riguarda i "contenuti" che la
religione propone da credere, che spesso provengono da forme di eresia cristiana che
degenerano, talvolta, in vere e proprie forme di apostasia. Vengono cosi compromes
se sia la verita ontologica che la verita logica della religione.
Dopo avere evidenziato questi due elementi di carattere contestuale, attraverso i
testi di san Tommaso, ci siamo addentrati negli argomenti mediante i quali egli esa
mina e critica i vizi contro la religione e contro la fede che ad essa si ricollega, come
atto di giudizio che la religione ha il compito di manifestare esteriormente. Abbiamo
potuto, in questo modo, mettere a confronto le diverse forme di irreligiosita, di idola
tria e di superstizione, fino alla magia e al satanismo e riscontrare come le definizio
ni, le classificazioni e le argomentazioni proposte dall' Aquinate siano di particolare
valore anche ai nostri giorni e offrano delle linee guida di carattere epistemologico,
antropologico e metafisico per meglio valutare la nozione di religione ed il suo impie
go in un contesto propriamente teologico.
CONCLUSION!
A partire dai testi di san Tommaso d' Aquino sono stati individuati, nel corso di que
sta lavoro, diversi elementi di interesse che possono, a nostro avviso, offrire degli
I
zionato ad un modo di pensare ritenuto, ormai, non piu utilizzabile. In ogni caso non
sara campi to di tale teologia quella di "dimostrare", piu di quanto non lo sia quello di
"illustrare" e "descrivere" l'esperienza religiosa, secondo una modalita compatibile
con la dottrina cattolica.
In una teologia delle religioni di tipo tendenzialmente "autonomo" - ovvero una
teologia che estenda, essa stessa, un quadro filosofico di riferimento, letto dalla stessa
logica della Rivelazione - oltre ad accogliere quei medesimi risultati tomisti che pos
sono interessare la teologia narrativa, si cerchera di non limitarsi a ripresentarli in una
nuova veste e ad applicarli ai problemi odiemi, rna ci si chiedera anche in quale modo,
oggi, dare di questi una "motivazione teorica" e una "verifica" nell'esperienza. A que
sto scopo, una teologia di questa tipo potrebbe tentare di elaborare una certa base filo
sofica, mediante la quale recuperare anche i risultati filosofici piu notevoli, e percepi
ti come sempre attuali, del tomismo. Nel contempo ci si servira delle nuove acquisi
zioni delle scienze ausiliarie, anche in vista della verifica empirica di alcune delle pro
prie conclusioni.
Infine, una teologia delle religioni di tipo essenzialmente "tradizionale" - che si
giovi, cioe di quadri filosofici classici compiuti, come furono ad esempio il platonismo
e 1' aristotelismo - potra decidere di assumere anche in toto il percorso tomista, sia
neUe sue conclusioni teologiche che neUe sue premesse e nei suoi metodi filosofici,
cercando di applicarli direttamente, per quanto possibile, alla soluzione dei nuovi pro
blemi, riformulandone quando si ritenga necessaria il linguaggio e inquadrandoli nel
contesto culturale odiemo. A questo scopo occorrera, certamente, un preciso lavoro di
esplicazione e ritraduzione del linguaggio, di ripulitura da elementi evidentemente
legati solo al contesto storico, che oggi e cambiato, rna si potra salvare la sostanza sia
della parte metafisica e antropologica, che di quella propriamente teologica.
Interessante e utile sara poi il confronto con i risultati delle scienze e con le domande
fondazionali da esse emergenti, oltre ad un lora impiego per una verifica empirica
delle conclusioni in merito alla religione.
Occorre osservare come, a differenza dell'approccio modemo, quello di Tommaso
non si concentra sulle singole religioni storiche, alle quali si trovano pochi riferimen
ti nella sua opera, quanta sulla nozione di religione come tale, sugli elementi che la
caratterizzano dal punta di vista della sua natura essenziale, rilevati sia fenomenologi�
camente, sia sulla base di considerazioni di tipo antropologico (la natura razionale del
l'uomo), cognitivo (il suo modo di conoscere per astrazione dai sensi all'intelletto),
morale (il cercare di rendere all'altro cio che gli e dovuto, che e proprio della virtu
della giustizia), legale (il riferimento alla legge naturale) e teologico (l'ossequio della
creatura al suo creatore e la fede in Dio che si rivela, si incama e salva in Gesu Cristo).
Per cui si puo sicuramente affermare che per Tommaso non esistono solo le religioni,
rna Ia "religione" nella sua accezione universale, ed e di questa che egli da una defi
nizione e offre una dottrina filosofica e teologica. Di conseguenza il contributo che egli
Conclusioni 319
puo offrire ad una teologia delle religioni puo risultare di grande utilita, proprio per la
visione unitaria della religione che e in grado di offrire. Si potrebbe dire che egli non
ci offre tanto una teologia delle religioni, quanto una teologia della religione.
Tdmmaso offre alla teologia i1 grande vantaggio di un affronto molto ampio al pro
blema della religione, capace di cogliere i1 fenomeno religioso nella sua generalita.
Iniziamo ricordando la definizione proposta dall' Aquinate. Nei testi abbiamo anzitut
to trovato una definizione di religione che ha i1 suo fondamento sia nella tradizione
filosofico-giuridica greco-romana (soprattutto in Cicerone), che in quella cristiana
(riferendosi principalmente ad Agostino). E si deve precisare che, anche se i1 contesto
della trattazione e collocato, nella quasi totalita dei testi, nell'ambito della dottrina
morale della giustizia (in quanto la religione riguarda i1 rapporto dell'uomo con
l 'Altro, che in questo caso e Dio), la teoria della religione che egli presenta non e sola
mente una dottrina morale. La religione e da lui definita come «il rendere un culto ceri
moniale ad una qualche natura superiore» (III Sent, d. 9, q. 1, a. 1d), «il rendere a Dio
cio che gli e dovuto» (I-II, q. 60, a. 3), e «consiste [ . . . ] nel culto divino» (CG, L. III,
c. 130, n. 6).
Esaminata alla luce della situazione contemporanea, nella prospettiva tomista va
messo in luce preliminarmente i1 dato metodologico di fonda a partire dal quale egli
affronta tutta la problematica della religione: per 1' Aquinate ogni atto di religione e
un actus humanus e non un semplice actus hominis, in quanto coinvolge la raziona
lita dell'uomo (intelletto e volonta). In questo egli si differenzia da molta fenomeno
logia e filosofia della religione moderna che riduce i1 fondamento antropologico della
religione ad un istinto pre-razionale, emozionale, innato nell'uomo, esclusivamente
ad un "sentimento" che viene detto "religioso" in ordine al tipo di atti che induce a
compiere.
limitarsi solo ad atti e abiti interiori, come quello della devotio, che pure costituisce
l'atto principale della religio. La religione deve essere anche manifestazione esteriore,
un «porre attenzione a compiere degli atti cerimoniali» (III Sent, d. 33, q. 3, a. 4), deve
esprimersi visibilmente con un culto pubblico, regolamentato da un rituale cerimonia
le, per essere qualificata come religione. Questo elemento e molto importante e viene
a contrastare una certa tendenza spiritualista che interiorizza eccessivamente 1' espe
rienza religiosa, con la conseguenza di renderla un fatto tendenzialmente privato, un'e
sperienza solo soggettiva, intimistica, quando non addirittura prevalentemente psico
logica e, nel contempo una tendenza spontaneista che rifiuti ogni regola e rituale litur
gico.
Non disconoscendo affatto il grande contributo scientifico degli studi sul senso reli
gioso e l'arricchimento spirituale che la messa a punto di tale nozione ha conferito alla
stessa esperienza cristiana, occorre non ridurre la religione esclusivamente a questo
aspetto. Si tratta di un principia tornistico che ha un pieno riscontro fenomenologico,
documentato attraverso lo studio delle forme di culto e delle tracce visibili da esse con
segnate alla storia passata e al presente.
che fonda filosoficamente sulla sua teoria cognitiva, secondo la quale tutta la nostra
conoscenza proviene dall'esperienza sensibile e, per astrazione, giunge dai sensi alla
mente, al livello intellettuale e spirituale. Aile realta spirituali si giunge come condot
ti per mano (manuductione) da segni esteriori, visibili e tangibili («la mente umana,
per essere unita a Dio, ha bisogno di esservi come condotta per mano da cose sensibi
li, perche le realta invisibili si colgono con l'intelligenza solo mediante quelle visibi
li>>, f/-1/, q. 81, a. 7). Di conseguenza, una teologia delle religioni di ispirazione tomi
sta non potra mai essere totalmente spiritualista, rna dovra sempre tenere nel debito
canto il rapporto tra l'anima e il corpo, tra i sensi e l'intelletto. Vale anche la pena nota
re, incidentalmente, come questa teoria cognitiva, si confronti molto bene con la nostra
scienza cognitiva piu recente che studia il rapporto tra il corpo e la mente, dalla quale
una teologia delle religioni (come anche una filosofia della religione) non potra del
tutto prescindere.
legare tra loro gli aspetti antropologici e quelli propriamente teologici, secondo una
logica che e quella della natura dell' uomo e contemporaneamente quella
dell'Incarnazione. Questa precisione nell'analizzare gli atti esteriori della religione,
tuttavia, non viene in alcun modo a scapito del fatto che, secondo Tommaso, sono gli
atti interiori (devozione e preghiera) a causare quelli esterni: la devozione, in quanto
dimensione interiore della religione e essenziale e principale, mentre l'aspetto esterio
re e funzionale a quello interiore ( «1' elemento principale e la devozione della mente,
ed e secondario cio che riguarda gli aspetti esteriori legati al corpo», 11-11, q. 84, a. 3).
E insieme alla devozione, egli pone, naturalmente, la preghiera tra gli atti interiori
della religione. Nel corso della ricerca abbiamo potuto rilevare come, illustrando le
motivazioni della preghiera, Tommaso offra un'analisi significativa per rispondere ad
obiezioni ricorrenti anche ai nostri giorni, fondate spesso su un'erronea concezione
della causalita, e in particolare di quella divina, da alcuni concepita solo in forma rigi
damente deterministica, o al contrario, da altri sostituita interamente con i1 caso (cfr.
11-11, q. 83, a. 2).
Questo della verita e un problema innanzitutto filosofico, che diviene anche teologi
co, nella prospettiva di Tommaso, dal momenta che egli sa riconoscere l'origine divi
na di ogni verita che ha in Dio (Veritas prima) la sua causa prima efficiente ed esem
plare (cfr. supra, cap. III, §2).
Ai nostri giorni la questione della verita si avvicina anche significativamente agli
interessi delle scienze e della loro teoria dei fondamenti, che mostrano, non di rado, di
giungere a problematiche assai vicine a queUe della logica e della metafisica greca e
medioevale. Non si puo neppure mancare di notare come, dal punto di vista del dirit
to, si cerchi, talvolta, un recupero indiretto del criteria tomistico di autenticita della
religione, in rapporto alia legge naturale, attraverso la problematica dei diritti fonda
mentali della persona umana, la violazione dei quali viene indicata come un indizio di
inautenticita di una religione.
La riflessione che 1'Aquinate svolge sulla verita formale - cioe sulla consapevolez
za dell'intelletto umano di saper riconoscere di essere nella verita, - letta in una pro
spettiva moderna, mostra anche la valenza esistenziale della dimensione religiosa, in
quanto si ricollega all'esperienza del vero che il soggetto compie, vivendo un'appar
tenenza religiosa autentica, e in tutta la sua pienezza, nell'esperienza cristiana, aUra
verso 1' appartenenza ecclesiale.
fede non ha per oggetto una domanda, quanta piuttosto una risposta gia trovata, alia
quale si aderisce.
In terzo luogo, e questa e un aspetto di grande importanza, l'orizzonte di una fede
si apre anche a quello di una rivelazione: in tal modo l'approccio tomista sembra pater
favorire l'indagine in merito a queUe religioni che si basano su forme di rivelazione
affidate a libri ritenuti sacri e/o a tradizioni orali. A questa proposito Tommaso, con Ia
I
futuri che riguardano gli uomini, rna anche alle realta divine, e alle case che vengono
proposte a tutti come oggetto di fede, e ai misteri piu elevati attingibili dai piu esper
ti, che riguardano la sapienza» (II-II, q. 171, pr).
La dottrina dei seminaria virtutis. Di una certa importanza collaterale alla stessa
problematica, e risultata essere anche la dottrina dei seminaria virtutum (cfr. III Sent,
d. 36. q. 1 . a. 1), cioe dei semi delle virtu che, pur essendo sviluppata da Tommaso nel
contesto delle virtu cardinali, parrebbe pater essere applicata anche in ordine alla fede.
Essa costituisce verosimilmente un tema da approfondire ( «Virtus [ . . . ] potest consi
derari [ . . . ] secundum esse ipsius imperfectum, secundum quod seminaria virtutum
insunt nobis a natura; et sic virtus dicitur quaedam naturalis inclinatio ad virtutis
actum» (III Sent, d. 36. q. 1. a. 1).
Il ruolo dello Spirito Santo nella comunicazione della verita. Di un certo interesse
e sembrata anche la pista che si e aperta seguendo i numerosi testi nei quali Tommaso
riporta la massima di colui che egli ritiene essere il grande Ambrogio, seconda la quale
ogni forma di verita ha origine da Dio e viene dallo Spirito Santo («veritas a quocum
que dicatur a Spiritu Sancto est»). Le considerazioni che 1' Aquinate svolge in questi
testi, sono parse di interesse per il nostro oggetto, in quanta trattano della possibilita
di un intervento soprannaturale in merito sia a conoscenze alla portata della ragione
naturale, come pure a conoscenze che siano eccedenti le capacita della ragione. In par
ticolare nel passo della II-II, q. 172, a. 6, egli motiva la possibilita di una rivelazione
di alcuni contenuti veri, pur coesistenti con altri contenuti erronei. Sembra legittimo
ritenere che, se perfino «i profeti dei demoni» e «le sibille» hanna profetizzato cose
vere anche riguardo a Cristo, anche, e a maggior ragione, i fondatori di una religione
vera - rna addirittura anche di una religione falsa - possano avere detto alcune cose
vere su Dio e Cristo, che rientrerebbero, pertanto, nella categoria dei semina Verbi.
Queste forme di profezia, non costituiscono, tuttavia, in alcun modo delle espres
sioni riconducibili ad un'azione dello Spirito Santo autonoma e, tanto meno contrap
posta, all'unica mediazione di Cristo. Se si vuole essere fedeli a quanta 1'Aquinate
afferma, non e mai possibile scorporare la persona della Spirito Santo dalle altre, per
quanta riguarda le azioni ad extra della Trinita, tra le quali vanno collocate anche l'i
spirazione-rivelazione e l'intera opera della Redenzione. Per cui un approccio tomisti
co alla religione non consentira mai di teorizzare un'economia della Rivelazione e
della Salvezza autonoma da parte della Spirito, o addirittura contrapposta a quella del
Verbo incarnato in Gesu Cristo. Non e, poi, nemmeno lontanamente pensabile, nel
contesto tomistico, scorporare il Gesu storico dal Verbo, rendendolo una sorta di
"genere universale logico" (o in termini kantiani, di a priori trascendentale) che si
"specifica" nelle diverse religioni, "individualizzzandosi" nei singoli fondatori. La
mediazione della salvezza avviene, per lui, sempre e solo in Cristo unico salvatore. E
le modalita in cui puo attuarsi la salvezza, da quella ordinaria che si attua nell'appar-
Conclusioni 327
tenenza alla Chiesa visibile, mediante una fede esplicita in Cristo salvatore, a queUe
straordinarie che si attuano in forza di una fede implicita, sono sempre ricondotte alla
mediazione dell'unico mediatore, Gesu Cristo.
misura meno implicita negli appartenenti ad una certa religione, che per lui sono stati
dei maestri (dei fratelli in qualche modo "maggiori", per estendere, per analogia,
anche l'uso di questa terminologia di Tommaso) ed e stata, percio convincente, indu
cendolo ad aderire con una fede che si appoggiava sulla loro. Tuttavia, quella fede di
coloro che sono "maggiori" per i1 singolo aderente ad una religione non cristiana,
rimane "implicita" in rapporto alla fede della Chiesa, nella quale solo si trova la espli
cita fede in Cristo salvatore e si trovano gli unici maestri (a pieno titolo "maggiori")
che possiedono una fede veramente esplicita in Lui.
Si tratta, in ogni caso di una via di salvezza straordinaria, rispetto alla via ordinaria
dell'accoglimento diretto della fede della Chiesa. In questo modo si potrebbe dire che
tra le religioni "vere", possono essercene alcune (non tutte) che, oltre a costituire una
forma di preparazione alla fede della Chiesa, offrono una via di salvezza non autono
mamente, rna in quanto, dispongono i loro appartenenti ad una fede implicita in Cristo
salvatore, fede che si rende esplicita solo nella fede della Chiesa. Secondo la termino
logia tomista queste devono essere necessariamente religioni la cui fede, oltre a carat
terizzarsi per il credere Deum, deve connotarsi almeno anche per i1 credere in Deum,
per poter riconoscere Dio come essere personale provvidente. Il campo delle religioni
che possiedono queste caratteristiche puo apparire, forse, troppo ristretto, rna non si
deve dimenticare che la salvezza non e preclusa a quanti praticano religioni che non
possiedono queste caratteristiche: semplicemente si deve dire che la salvezza, in tal
caso, non e raggiunta attraverso queUe religioni, rna per una via che rimane sostan
zialmente individuate, o comunque indipendente da esse.
Al di la del "processo" cognitivo con il quale tutto il percorso di implicitezza ed
esplicitezza della fede viene reso possibile, anche una teologia delle religioni pura
mente narrativa, sembra potere accogliere bene questa concezione e trarne anche la
conclusione, da noi proposta e sintetizzata nella formula sine ecclesia nulla salus. E
che, quindi come non si da un'economia della salvezza delle religioni indipendente da
Cristo, non si da neppure economia salvifica attraverso Cristo che possa essere indi
pendente dalla Chiesa, anche quando tutto questo avvenisse senza una visibile appar
tenenza ad essa. Questo modello offrirebbe anche una sorta di descrizione-spiegazio
ne di quella "inclusione" nella Chiesa, che sembrerebbe coinvolgere quanti apparten
gono ad una religione non cristiana autentica, e che si troverebbe ad un livello inter
medio tra il semplice "ordinamento" e la visibile sacramentale "appartenenza" in forza
del Battesimo. Si noti come, questo modello che potrebbe, forse, apparire eccessiva
mente teocentrico, e in realta cristocentrico ed insieme ecclesiocentrico, in quanto il
fattore decisivo in ordine alla salvezza e la fede in Cristo, mediata dalla Chiesa, fede
che puo rimanere, eccezionalmente, "implicita" in quanto contenuta nella fede "espli
cita" in Dio provvidente, raggiunta attraverso l'appartenenza ad una religione: si trat
ta di un Cristo "velato" agli occhi del credente, rna unico efficace mediatore della sal
vezza e pienamente "svelato" attraverso la Chiesa e nella Chiesa.
328 ALBERTO STRUMIA
misura meno implicita negli appartenenti ad una certa religione, che per lui sono stati
dei maestri (dei fratelli in qualche modo "maggiori", per estendere, per analogia,
anche l'uso di questa terminologia di Tommaso) ed e stata, percio convincente, indu
cendolo ad aderire con una fede che si appoggiava sulla loro. Tuttavia, quella fede di
coloro che sono "maggiori" per i1 singolo aderente ad una religione non cristiana,
rimane "implicita" in rapporto alla fede della Chiesa, nella quale solo si trova la espli
cita fede in Cristo salvatore e si trovano gli unici maestri (a pieno titolo "maggiori")
che possiedono una fede veramente esplicita in Lui.
Si tratta, in ogni caso di una via di salvezza straordinaria, rispetto alla via ordinaria
dell'accoglimento diretto della fede della Chiesa. In questo modo si potrebbe dire che
tra le religioni "vere", possono essercene alcune (non tutte) che, oltre a costituire una
forma di preparazione alla fede della Chiesa, offrono una via di salvezza non autono
mamente, rna in quanto, dispongono i loro appartenenti ad una fede implicita in Cristo
salvatore, fede che si rende esplicita solo nella fede della Chiesa. Secondo la termino
logia tomista queste devono essere necessariamente religioni la cui fede, oltre a carat
terizzarsi per i1 credere Deum, deve connotarsi almeno anche per il credere in Deum,
per poter riconoscere Dio come essere personale provvidente. 11 campo delle religioni
che possiedono queste caratteristiche puo apparire, forse, troppo ristretto, rna non si
deve dimenticare che la salvezza non e preclusa a quanti praticano religioni che non
possiedono queste caratteristiche: semplicemente si deve dire che la salvezza, in tal
caso, non e raggiunta attraverso queUe religioni, rna per una via che rimane sostan
zialmente individuate, o comunque indipendente da esse.
Al di la del "processo" cognitivo con il quale tutto il percorso di implicitezza ed
esplicitezza della fede viene reso possibile, anche una teologia delle religioni pura
mente narrativa, sembra potere accogliere bene questa concezione e trarne anche la
conclusione, da noi proposta e sintetizzata nella formula sine ecclesia nulla salus. E
che, quindi come non si da un'economia della salvezza delle religioni indipendente da
Cristo, non si da neppure economia salvifica attraverso Cristo che possa essere indi
pendente dalla Chiesa, anche quando tutto questo avvenisse senza una visibile appar
tenenza ad essa. Questo modello offrirebbe anche una sorta di descrizione-spiegazio
ne di quella "inclusione" nella Chiesa, che sembrerebbe coinvolgere quanti apparten
gono ad una religione non cristiana autentica, e che si troverebbe ad un livello inter
medio tra il semplice "ordinamento" e la visibile sacramentale "appartenenza" in forza
del Battesimo. Si noti come, questo modello che potrebbe, forse, apparire eccessiva
mente teocentrico, e in realta cristocentrico ed insieme ecclesiocentrico, in quanto il
fattore decisivo in ordine alla salvezza e Ia fede in Cristo, mediata dalla Chiesa, fede
che puo rimanere, eccezionalmente, "implicita" in quanto contenuta nella fede "espli
cita" in Dio provvidente, raggiunta attraverso l'appartenenza ad una religione: si trat
ta di un Cristo "velato" agli occhi del credente, rna unico efficace mediatore della sal
vezza e pienamente "svelato" attraverso la Chiesa e nella Chiesa.
Conclusioni 329
Deum, puo essere un mezzo straordinario di salvezza per il suoi seguaci, in quanto li
conduce ad una fede implicita in Cristo unico mediatore della Salvezza, fede che
potrebbero non essere in grado di possedere senza Ia loro appartenenza religiosa. In
essa la salvezza non e in alcun modo autonoma, rna giunge mediata, di fatto, anche se
non visibilmente, dalla fede della Chiesa, la sola nella quale la fede in Cristo e pro
fessata esplicitamente.
Per quanto riguarda Ia "corruzione della religione", come si e visto, la sintesi tomi
sta ci offre molti criteri chiarificatori, che ai nostri giorni sembrano essere particolar
mente utili.
re una rilevanza crescente, anche a causa dell'incrementarsi del numero di persone che
si lasciano coinvolgere in esperienze di questo genere. Le risposte di Tommaso in ter
mini della dottrina della causalita, di analisi della complessita del corpo umano in
relazione alle facolta della sua mente e dell' anima, sono di un'attualita scientifica sor
prendente, per lo studioso che sappia tradurne il linguaggio in termini moderni, senza
ridurne la portata filsofico-teologica. Una teologia delle religioni completa non potra
non elaborare un capitolo approfondito dedicato a questi temi senza riferirsi in larga
misura all' opera di Tommaso, con una particolare attenzione, oltre che al trattato De
religione della Summa theologiae, anche al terzo libro della Summa contra gentiles.
* * *
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