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John Berger.
I
Precisione
Obbedienza
Lealtà
Intelligenza
Zelo
Intraprendenza
Affabilità
Dalla finestra della sala da pranzo, col vento nei capelli, Rahel
vedeva la pioggia tambureggiare sul tetto di lamiera arrugginita di
quella che un tempo era la fabbrica di conserve della nonna.
Conserve & Composte Paradiso.
Stava fra la casa e il fiume.
Una volta facevano sottaceti, succhi, conserve, curry e ananas in
scatola. E marmellata di banane (illegalmente) dopo che la FPO) (Food
Product Organization) l'aveva messa al bando perché secondo i loro
standard non era né una marmellata né una gelatina. Troppo liquida per
essere marmellata, troppo densa per essere gelatina. Una consistenza
ambigua, dissero, inclassificabile.
Stando ai loro libri.
Ripensandoci ora, Rahel aveva l'impressione che queste difficoltà
con le classificazioni, nella sua famiglia, andassero molto più a fondo
della semplice questione marmellatagelatina.
Forse Ammu, Estha e lei erano quelli che avevano trasgredito più
gravemente. Ma non erano stati i soli, ce n'erano stati altri. Tutti loro
avevano infranto delle regole. Tutti loro avevano sconfinato in territori
proibiti. Tutti loro avevano violato le leggi che stabilivano chi
bisognava amare e come. E quanto. Le leggi che facevano nonne le
nonne, zii gli zii, madri le madri, cugini i cugini, marmellata la
marmellata e gelatina la gelatina.
C'era stato un tempo in cui glizii erano diventati padri, le madri
amanti e le cugine erano morte e avevano avuto il loro funerale.
Un tempo in cui l'impensabile era diventato pensabile e
l'impossibile era successo davvero.
La polizia trovò Velutha ancor prima del funerale di Sophie Mol.
Aveva i polsi lacerati dove le manette toccavano la pelle. Fredde
manette dall'odore amaro di metallo. Come i corrimano d'acciaio della
corriera e l'odore delle mani del bigliettaio che ci stava attaccato.
Quando tutto fu finito, Baby Kochamma disse: -Raccoglierai ciò
che hai seminato . Come se lei non avesse avuto niente a che fare né
con la Semina né col Raccolto. Con i suoi minuscoli piedi tornò al
ricamo a punto croce. Le loro piccole punte non toccavano mai il
pavimento. Era stata lei ad avere l'idea che Estha fosse Restituito.
Il dolore e l'amarezza di Margaret Kochamma per la morte della
figlia si attorcigliavano dentro di lei come una molla rabbiosa. Non
disse mai niente, ma nei giorni che passò ad Ayemenem prima di
tornare in Inghilterra, prendeva a schiaffi Estha tutte le volte che
poteva.
Rahel stette a guardare Ammu che riempiva il piccolo baule di
Estha.
-Forse hanno ragione loro disse Ammu in un soffio. -Forse un
ragazzino ha bisogno del suo Baba.
Rahel vide che i suoi occhi erano morti, rossi e morti.
II
La falena di Pappachi
Il noto entomologo Shri Benaan John Ipe, figlio del defunto Rev. E. John
Ipe di Ayemenem (noto come Punnyan Kunju), è stato colpito da un grave
attacco di cuore ed è deceduto al Kottayam General Hospital la scorsa
notte. Intorno alle ore 1.05 di mattina aveva accusato dolori al petto, ed era
stato ricoverato d'urgenza. La fine è sopraggiunta alle 2.45. Shri Ipe aveva
goduto di ottima salute fino agli ultimi sei mesi. Lascia la moglie
Soshamma e due figli.
Alla sua morte, Pappachi lasciò bauli stipati di abiti costosi e una
scatola da cioccolatini di latta piena di fermacravatta che Chacko
distribuì a taxisti di Kottayam. I fermacravatta furono fusi e trasformati
in anelli e pendenti per le doti delle figlie nubili.
Quando i gemelli chiesero a cosa servissero i fermacravatta, -Per tenere
ferme le cravatte rispose Ammu, rimasero elettrizzati da questo granello
di logica scoperta in quella che fino ad allora era sembrata una lingua
illogica. Ferma + cravatta = Fermacravatta. Questo, ai loro occhi,
rivaleggiava con la precisione e la logica della matematica.
Fermacravatta dava loro una straordinaria (ed esagerata) soddisfazione,
e un affetto autentico nei confronti della lingua inglese.
Ammu diceva che Pappachi era un incurabile CCP britannico.
CCP era l'abbreviazione di chhichhi poach, che in hindi significava
scopino da cesso. Chacko diceva che la giusta definizione per tipi come
Pappachi era Anglofilo. Disse a Rahel ed Estha di guardare Anglofilo
sul Grande dizionario enciclopedico del Reader" s Digest. Diceva:
Persona ben disposta verso gli inglesi. Poi Estha e Rahel dovettero
cercare disporre.
Diceva:
Alla fine avevano i peli delle braccia ritti, dorati alla luce della
lampada da notte. Mentre leggeva, Ammu faceva la voce stentorea,
come quella di Shere Khan. O piagnucolosa, come quella di Tabaqui.
-Cos'è tutto questo blaterare di scelta? Per il toro che ho appena
ammazzato! Dovro star qui ad ascoltare le tue fandonie. per fare quello
che è solo il mio dovere? Sono io, Shere Kahn, che ti parlo!
-E sono io, Rakshka [la Diavolessa], che rispondo! gridavano i
gemelli con voci squillanti. Non contemporaneamente, ma quasi.
-Il cucciolo d'uomo è mio, Lungri... mio e basta ! Non sarà ucciso.
Vivrà per correre col branco e per cacciare col branco; e alla fine, stai
attento, tu, cacciatore di piccoli cuccioli nudi, tu mangiatore di rane,
assassino di pesci, sarà lui a cacciare te!
Baby Kochamma, che era stata incaricata della loro educazione,
aveva letto loro La tempesta raccontata da Charles e Mary Lamb.
-Là dove l'ape sugge, suggo anch'io saltavano su a dire Estha e
Rahel. -In una primula è il letto mio.
Così quando l'amica missionaria australiana di Baby Kochamma,
la signorina Mitten, una volta che andò in visita ad Ayemenem regalò a
Estha e Rahel un libro per bambini, Le avventure di Susie la
Scoiattolina -, loro si sentirono offesi nel profondo. Prima lo lessero
dall'inizio alla fine. La signorina Mitten, che apparteneva alla setta dei
Cristiani Rinati, disse che era lievemente Seccata con loro, quando
glielo lessero ad alta voce, ma alla rovescia.
-eL erutnevva id cisuS al anilottaiocS. nU onittam id arevamirp
cisuS al anilottaiocS is òilgevs.
Mostrarono alla signorina Mitten come fosse possibile leggere sia
malayalam che Madam I" m Adam al diritto e alla rovescia. Lei non lo
trovò divertente, e saltò fuori che non sapeva neppure cosa fosse il
malayalam. Le dissero che era la lingua che tutti parlavano nel Kerala.
Lei disse che aveva la vaga impressione che invece si chiamasse
keralese. Estha, che ormai provava una vera e propria antipatia per la
signorina Mitten, le disse che per quel che ne sapeva lui la sua era
un'Impressione Profondamente Stupida.
La signorina Mitten si lamentò con Baby Kochamma della villania
di Estha, e anche del fatto che leggevano alla rovescia. Disse a Baby
Kochamma che aveva visto Satana nei loro occhi. anataS ien orol ihcco.
Furono obbligati a scrivere: Non leggeremo più alla rovescia. Non
leggeremo più alla rovescia. Cento volte. Al diritto.
Pochi mesi più tardi la signorina Mitten fu travolta e uccisa da un
camioncino del latte a Hobart, mentre usciva da un campo da cricket. I
gemelli pensarono che c'era una giustizia nascosta, nel fatto che il
camioncino del latte si era rovesciato.
COCHIN
32
Inquilab Zindabad!
Thozhilali Ekta Zindahad!
Tanti anni dopo, in una secca mattina d'autunno, nel nord dello
stato di New York, su un treno domenicale che da Grand Central la
portava a Croton Harmon, Rahel si ricordò tutto all'improvviso.
Quell'espressione sul viso di Ammu. Come una tessera di un puzzle
finita al posto sbagliato. Come un punto di domanda che viaggia per le
pagine di un libro senza mai fermarsi alla fine di una frase.
Quello sguardo come marmo negli occhi di Ammu Il luccicare del
sudore sopra il labbro. E il gelo di quell'improvviso, ferito silenzio.
Che significato aveva tutto questo?
Il treno la domenica era quasi vuoto. Dall'altra parte del corridoio
che divideva i sedili, una donna con le guance ardenti e i baffi tossiva
sputando catarro, che avvolgeva in piccoli cartocci di carta di giornale
strappata dalla pila di giornali della domenica che teneva in grembo.
Sistemava i pacchettini in file ordinate sul sedile vuoto di fronte a lei,
come se stesse mettendo su una scuderia di catarro. E intanto
chiacchierava fra sé e sé, con una voce morbida e piacevole.
La memoria era quella donna sul treno. Folle, per il modo in cui
setacciava cose oscure chiuse in un cassetto e ne emergeva con quelle
più improbabili: uno sguardo sfuggente, una sensazione. L'odore di
fumo. Un tergicristallo. Gli occhi di marmo di una madre. E quasi
normale invece nel modo in cui lasciava larghi tratti di oscurità coperti
da un velo. Nonricordati.
La pazzia della sua compagna di viaggio confortò Rahel. La
portava più addentro al ventre alienato di New York. Via da quell'altra
cosa più terribile, che la perseguitava. Un odore amaro di metallo, come
i corrimano d'acciaio della corriera, e l'odore delle mani del bigliettaio
dopo averli toccati. Un uomo giovane con la bocca da vecchio.
Fuori, l" Hudson luccicava e gli alberi avevano il colore
rossobruno dell'autunno. Era appena un po'"freddo.
-C'è un capezzolo per aria disse Larry McCaslin a Rahel, e posò
dolcemente il palmo della mano, attraverso la sua maglietta di cotone,
su quel capezzolo gelato e sulla sua protesta. Poi si domandò perché
Rahel non sorridesse.
Lei si domandò perché mai, quando pensava a casa sua, era
sempre coi colori del legno scuro e oleoso delle barche e del cuore
vuoto delle lingue di fiamma che guizzavano nelle lampade d'ottone.
L'aveva vista? Era matto sul serio? Sapeva che lei era là?
Non si erano mai sentiti in imbarazzo a esporre i loro corpi l'uno
davanti all'altro, ma non erano mai stati abbastanza vecchi (insieme) per
sapere cosa fosse l'imbarazzo.
Adesso lo erano diventati. Abbastanza vecchi.
Vecchi.
L'età in cui si è vitalmente morituri.
Che parola buffa, vecchio, detta da sola, pensò Rahel. E la Disse
tra Sé: Vecchia.
Rahel sulla porta del bagno. Fianchi stretti. (-Dille che le ci vorrà
un cesareo! aveva detto a suo marito un ginecologo sbronzo mentre
aspettavano il resto al distributore di benzina.) Una lucertola sopra una
carta geografica stampata sulla maglietta stinta. Lunghi capelli incolti,
con un tocco di henne rosso scuro, le allungavano dita disordinate lungo
la schiena. Il diamante nella narice mandava lampi. Qualche volta. E
qualche volta no. Un sottile braccialetto d'oro con teste di serpente
ardeva come un cerchio di luce arancione attorno al suo polso. Esili
serpenti si fronteggiavano sibilando, testa a testa. La fede nuziale che
sua madre aveva fatto fondere. La peluria ammorbidiva la linea delle
sue braccia magre e spigolose.
A un primo sguardo sembrava fosse cresciuta dentro la pelle della
madre. Zigomi alti, fossette profonde quando sorrideva. Ma era più
lunga, più dura e più piatta, più spigolosa di Ammu. Meno attraente,
forse, per quelli che amavano in una donna morbidezza e rotondità.
Solo i suoi occhi erano incontestabilmente più belli. Grandi. Luminosi.
Occhi da annegarcisi, aveva detto Larry McCaslin, scoprendolo a sue
spese.
Cinema Abilash
Du du du (Rahel pensò)
tre ragazze col tutù.
Fermatevi un po'
Lento esclamò.
Pensava che Lento fosse una persona. Lento Kurien. Lento Kutty.
Lento Mol. Lento Kochamma.
Lento Kutty. Svelto Vergbese. E Kuriakose. Tre fratelli forforosi.
Ammu la fece in un batter d'occhio. Contro la parete della tazza, perché
non si sentisse il rumore. La durezza presa dal padre le aveva
abbandonato gli occhi, che erano di nuovo Ammuocchi. Aveva
profonde fossette nel suo sorriso e non sembrava più arrabbiata. Per
Velutha o le bolle di saliva.
Era un Buon Segno.
Estha Da Solo, nel LUI, doveva pisciare, tra palline di canfora e
cicche di sigaretta, nell'orinatoio. Pisciare nella tazza sarebbe stato un
Disonore. Per pisciare nell'orinatoio, era troppo basso. Gli occorreva
dell'Altezza. Cercò l'Altezza e, in un angolo del LUI, la trovò. Una
scopa sudicia, una bottiglia ammaccata piena a metà di un liquido
lattiginoso (fenolo) con delle cose nere che galleggiavano dentro. Uno
straccio afflosciato e due latte rugginose piene di niente. Avrebbero
potuto contenere prodotti delle Conserve Paradiso. Rondelle di ananas
sciroppate. O fette. Fette di ananas. L'onore era salvo grazie alle latte di
sua nonna; Estha Da Solo sistemò le latte rugginose piene di niente
davanti all'orinatoio. Ci salì sopra, un piede su ciascuna, e pisciò con
cura, senza quasi oscillare. Come un Uomo. Le cicche di sigaretta,
prima umide, adesso erano inzuppate, e giravano vorticosamente.
Difficile accenderle... Quando ebbe finito, Estha spostò le latte davanti
al lavandino con lo specchio. Si lavò le mani e si bagnò i capelli. Poi,
reso nano dalle dimensioni del pettine di Ammu, troppo grosso per lui,
ricostruì con cura il suo ciuffo. Prima tutti i capelli indietro, poi in
avanti e arrotolati di fianco, proprio sul bordo della fronte. Rimise il
pettine in tasca, scese dalle latte e le rimise al loro posto con la
bottiglia, lo straccio e la scopa. Fece un inchino a tutti. All'intero
plotone. La bottiglia, la scopa, le latte, lo straccio floscio.
- Inchino , disse, e sorrise, perché da quando era più piccolo gli era
rimasta l'impressione che si dovesse dire - Inchino quando ci si
inchinava. Che per farlo si dovesse dirlo. - Inchino, Estha , dicevano. E
lui faceva l'inchino e diceva: -Inchino , e loro si guardavano e ridevano,
e lui si allarmava.
Estha Da Solo dai denti disuguali.
Fuori, rimase ad aspettare sua madre, sua sorella e la sua
babyprozia. Quando uscirono, Ammu disse: -Tutto okay, Esthappen?
Estha disse: - Okay , e annuì con precauzione per non disfare il
ciuffo.
Okay? Okay. Rimise il pettine nella borsa di lei. Ammu sentì
un'improvvisa fitta d'amore per quel suo piccolo riservato e dignitoso
con le scarpe beige a punta, che aveva appena portato a termine il primo
compito da adulto. Gli passò le dita amorevoli fra i capelli,
distruggendo il ciuffo.
L'Uomo con la Torcia d'acciaio Eveready disse che il film era già
cominciato, che dovevano sbrigarsi. Salirono di corsa i gradini rossi
coperti dal vecchio tappeto rosso. Scale rosse con rosse chiazze di sputo
negli angoli rossi. L'Uomo con la Torcia appallottolò il suo mundu e se
lo tenne ripiegato sotto le palle, con la sinistra. Mentre saliva, i muscoli
dei polpacci si irrigidivano sotto la pelle come pelose palle di cannone.
Teneva la torcia con la destra. Con la mente correva avanti.
- E da tanto che è cominciato , disse.
Così si persero l'inizio. Si persero la tenda di velluto a pieghe che
saliva lentamente, con i bulbi di luce nei grappoli di nappine gialle, e la
musica che doveva essere Baby Elephant Walk da Hatari! O la Colonel
Bogey" s March.
Ammu prese Estha per mano. Baby Kochamma, mentre saliva
ansimando, prese Rahel. Baby Kochamma, appesantita dai suoi meloni,
non voleva ammettere neppure con se stessa che non vedeva l'ora di
godersi il film. Preferiva pensare che lo stava facendo solo per amore
dei bambini. Nel suo cervello teneva un archivio ordinato e organizzato
delle Cose che Faceva Per Gli Altri, e delle Cose che Gli Altri Non
Avevano Fatto Per Lei.
Quel che amava di più erano le prime scene con le suore, e sperava
di non essersele perse. Ammu spiegava a Estha e Rahel che la gente
amava sempre di più ciò in cui si poteva meglio Identificare. Rahel
pensò che forse lei si Identificava meglio con Christopher Plummer, che
faceva la parte del comandante von Trapp. Chacko non si identificava
per niente con lui e lo chiamava Comandante von Ciapp Trapp.
Rahel era come una zanzara eccitata al guinzaglio. Volava. Senza
peso. Su per i gradini. Due giù. Uno su. Faceva cinque gradini mentre
Baby Kochamma ne saliva uno.
Si mette i bigodini
sotto il velo. Io lo so!
La voce era fuori dal film. Era chiara e forte, e tagliava l'oscurità
gracchiante di ventilatori e noccioline masticate. C'era una suora tra il
pubblico. Le teste ruotavano come tappi di bottiglia. Le nuche tutte nere
si trasformarono in facce con labbra e baffi. Labbra sibilanti con denti
da squalo. Molte. Come francobolli su una cartolina.
- Shhh! dicevano in coro.
A cantare era Estha. Una suora col ciuffo. Suor Elvis Pelvis.
Non poteva farne a meno.
- Buttatelo fuori! disse il Pubblico quando lo scovò.
Stazitto o Vafuori. Vafuori o Stazitto.
Il pubblico era un Grande Uomo. Estha era un Piccolo Uomo, con
i biglietti.
- Estha, per amor del cielo, stà ZITTO ! disse Ammu in un potente
bisbiglio.
Ed Estha stette ZITTO. Le labbra e i baffi si girarono di nuovo.
Ma allora, senza preavviso, la canzone ricominciò, ed Estha non poteva
fermarla.
- Ammu, non posso andare fuori a cantarla? chiese Estha (prima
che Ammu gli desse uno schiaffo). -Torno dopo la canzone.
- Ma non pensare che ti porti ancora in giro con me , disse Ammu.
- Ci stai mettendo tutti in imbarazzo.
Ma Estha non poteva trattenersi. Si alzò per uscire. Oltrepassò
l'arrabbiata Ammu. E Rahel, concentrata sullo schermo attraverso le
ginocchia. E Baby Kochamma. E il Pubblico che dovette spostare di
nuovo le gambe. Inquaeinlà. La scritta sopra la porta diceva USCITA
con lettere di luce rossa. Estha uscì.
Nell'atrio, le aranciate aspettavano. Le limonate aspettavano. Le
cioccolate squagliate aspettavano. I divanetti da auto blu elettrico, di
pelle e gommapiuma, aspettavano. I manifesti Presto su questi schermi!
aspettavano.
Estha Da Solo sedette sul divanetto da auto di pelle e
gommapiuma, nell'atrio della Sala della Principessa del Cinema
Abilash, e cantò. Con voce da suora, chiara come acqua limpida.
Prendere
un raggio di luna
non si può
cantava Estha.
-Ehi! disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate. - Guarda che
questa è la mia ora di Pausa. Presto dovrò alzarmi e lavorare. Perciò
non posso farti star qui a cantare canzoni inglesi. Smettila. Il suo
orologio da polso d'oro era quasi nascosto dai peli ricciuti
dell'avambraccio. La catena d'oro era quasi nascosta dai peli del petto.
La camicia sintetica bianca era aperta fin dove iniziava il rigonfiamento
del ventre. Aveva l'aspetto di un orso ingioiellato e poco amichevole.
Dietro di lui c'erano specchi in cui la gente poteva guardarsi mentre
beveva bevande fredde, rinfrescanti. Per rifarsi i ciuffi e sistemare le
basette. Gli specchi guardavano Estha.
- Potrei compilare un Reclamo Scritto contro di te , disse l'Uomo a
Estha. -Che ne dici? Ti piacerebbe un Reclamo Scritto?
Estha smise di cantare e si alzò per rientrare in sala.
- Già che sono in piedi , disse l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate, - già che mi hai svegliato durante la mia Ora di Pausa, già
che mi hai disturbato, almeno vieni a prendere una bibita. E il minimo
che puoi fare.
Aveva una faccia non rasata e tutta mascelle. I suoi denti, come
tasti di pianoforte ingialliti, guardavano il piccolo Elvis the Pelvis.
- No, grazie , disse Elvis educatamente. - La mia famiglia mi sta
aspettando. E ho finito la mia paghetta.
- Porchetta? disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate con i
denti che continuavano a guardarlo. - Prima le canzoni inglesi, e adesso
la Porchetta! Ma dove vivi? Sulla luna?
Estha si girò per andarsene.
- Aspetta un attimo! disse brusco l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate. - Solo un attimo! disse ancora, più gentilmente. - Mi
sembrava di averti fatto una domanda.
I suoi denti gialli erano magnetici. Guardavano, sorridevano,
cantavano, annusavano, si muovevano. Ti ipnotizzavano.
-Ti ho chiesto dove vivi , disse, tessendo la sua odiosa tela.
-Ayemenem , disse Estha. -Vivo ad Ayemenem. Mia nonna è la
padrona delle Conserve & Composte Paradiso. E il socio occulto.
- Ah sì, eh? disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate. -E con
chi va a occultarsi? Fece una risata cattiva che Estha non capì. - Non
importa. Non capiresti.
-Vieni, prendi una bibita , disse. -Una Bibita Fredda E" gratis.
Vieni. Vieni e raccontami di tua nonna.
Estha andò. Attratto dai denti gialli.
- Qui. Dietro il banco , disse l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate. Abbassò la voce a un sussurro. - Dev'essere un segreto,
perché le bibite non sono permesse prima dell'intervallo. E un Atto
Severamente Vietato.
- Passibile di Denuncia , aggiunse dopo una pausa.
Estha andò dietro il Banco dei Rinfreschi per la sua Bibita Fredda
Gratis. Vide i tre sgabelli alti, sistemati in fila perché l'Uomo delle
Aranciate e delle Limonate ci potesse dormire. Il legno lucido per l'uso.
- Ora, se gentilmente mi vuoi tenere questo , disse l'Uomo delle
Aranciate e delle Limonate porgendo a Estha il pene, attraverso il dhoti
di morbida mussola bianca, - io ti preparo la bibita. Arancia? Limone?
Estha lo prese, perché doveva.
- Arancia? Limone? disse l'Uomo. - Limonearancia?
Prese una bottiglia fredda e una cannuccia. Così adesso lui teneva
una bottiglia in una mano e un pene nell'altra. Duro, bollente, venoso.
Niente a che vedere con un raggio di luna.
La mano dell'Uomo delle Aranciate e delle Limonate si chiuse su
quella di Estha. L'unghia del pollice era lunga come quella di una
donna. Mosse la mano di Estha su e giù. Prima piano. Poi in fretta.
La limonata era fredda e dolce. Il pene bollente e duro.
I tasti del pianoforte guardavano.
-Così tua nonna ha una fabbrica? disse l'Uomo delle Aranciate e
delle Limonate. - Che genere di fabbrica?
- Molti prodotti , disse Estha senza guardare, con la cannuccia in
bocca. - Succhi di frutta, salamoie, marmellate, curry. Fette di ananas.
-Bene , disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate.
- Benissimo.
La sua mano strinse più forte quella di Estha. Stretta e sudata. E
sempre più veloce.
Attorno a un palazzo
corre un povero cane pazzo
presto date un pezzo di pane
a quel povero pazzo cane.
V
Il Paese degli Dei
Anni più tardi, quando Rahel vi tornò, il fiume la salutò col sorriso
spettrale di un teschio: buchi dove prima c'erano i denti e una mano
scheletrica che si sollevava da un letto d'ospedale.
Due cose erano successe.
Lui si era ristretto. E lei era cresciuta.
A valle avevano costruito uno sbarramento per l'acqua salata, in
cambio di voti da parte della potente lobby dei coltivatori di riso. Lo
sbarramento regolava il flusso di acqua salata dalle lagune che si
aprivano sul Mare Arabico. Così adesso avevano due raccolti all'anno
invece di uno. Più riso in cambio di un fiume.
Sebbene fosse giugno, e piovoso, il fiume adesso era solo un
rigagnolo gonfio. Un sottile nastro di acqua fangosa che lambiva
stancamente le due rive fangose, decorato qua e là dall'occhieggiare
argentato di un pesce morto. Era soffocato da alghe grasse, le cui brune
radici pelose oscillavano come sottili tentacoli sotto l'acqua. Uccelli
acquatici dalle ali di bronzo le attraversavano. Con i loro piedi piatti,
prudenti.
Una volta il fiume aveva il potere di evocare la paura. Di cambiare
le vite. Ma adesso i suoi denti erano stati limati, lo spirito svanito. Era
solo un lento, limaccioso nastro verde che traghettava spazzatura fetida
nel mare. Sacchetti di plastica dai colori brillanti sbocciavano sulla sua
superficie viscosa e piena di alghe, come aerei fiori subtropicali.
I gradini di pietra, che una volta avevano condotto i bagnanti
all'acqua e i pescatori al pesce, erano completamente scoperti e
conducevano da un nessunposto a un altro nessunposto, come un
assurdo monumento con niente da commemorare. Le felci si facevano
strada tra le crepe.
Sull'altra riva, le ripide sponde fangose si trasformavano di colpo
nelle basse mura di fango di un sobborgo di casupole diroccate. I
bambini sporgevano il sedere dal bordo e facevano i loro bisogni
direttamente nel fango vischioso e risucchiante del letto scoperto del
fiume. I più piccoli lasciavano che le loro scie gocciolanti ,color senape
scendessero da sole fino al fiume. Alla fine, verso sera, il fiume si
riscuoteva per accettare le offerte giornaliere e trascinarle nel fango fino
al mare, lasciando linee ondulate di spessa feccia bianca al suo
risveglio. A monte, madri pulite lavavano panni e vasellame in affluenti
non inquinati. La gente faceva il bagno. Torsi separati dal corpo si
insaponavano, sistemati come busti scuri su un nastro verde ondulato e
sottile.
Nelle giornate calde l'odore di merda saliva dal fiume e si posava
su Ayemenem come un cappello.
Nell'entroterra, dall'altra parte, una catena di alberghi a cinque
stelle aveva comprato il Cuore di Tenebra.
Dal fiume non si poteva più raggiungere la Casa della Storia (dove
un tempo mormoravano gli antenati con l'alito che sapeva di mappe
ingiallite e le unghie dei piedi spesse). Aveva voltato la schiena ad
Ayemenem. Gli ospiti dell'albergo venivano traghettati attraverso le
lagune dritto da Cochin. Arrivavano con il motoscafo, aprendo una V di
schiuma nell'acqua e lasciandosi dietro una pellicola arcobaleno di
benzina.
Dall'hotel si godeva una bella vista, ma anche lì l'acqua era densa
e avvelenata. Avevano messo cartelli di Vietato bagnarsi scritti con
grafia elaborata. Avevano costruito un muro alto per chiudere fuori il
suburbio e impedirgli di invadere la proprietà di Kari Saipu. Ma per
l'odore non c'era molto da fare.
Però avevano una piscina per nuotarci dentro. E tanduri di pesce
fresco e crepe suzette nel menu.
Gli alberi erano ancora verdi, il cielo ancora azzurro, ed era già
qualcosa. Così andavano avanti a pubblicizzare a destra e a manca il
loro paradiso puzzolente. - Il Paese degli Dei , lo definivano nei
dépliant; perché - e loro, la gente furba dell'hotel, lo sapevano - alla
puzza, come alla povertà degli altri, bisognava semplicemente fare
l'abitudine. Una questione di disciplina. Di Rigore e Aria Condizionata.
Nient'altro.
** kathakali è la tipica forma di danza del Kerala. Si è sviluppato nella sua forma attuale a
partire dal ZVII secolo. Gli argomenti descritti sono presi dai grandi poemi epici indiani, il
Mahabharata (come in questo caso) e il Ramayana (N.d.T.)
Le rappresentazioni avevano luogo accanto alla piscina. Mentre i
tamburi tambureggiavano e i danzatori danzavano, gli ospiti
dell'albergo sguazzavano nell'acqua con i loro figli. Mentre Kunti
rivelava il suo segreto a Kama sulla riva del fiume, coppie amoreggianti
si rubavano l'un l'altra l'olio doposole. Mentre padri giocavano giochi
sessuali sublimati con figlie rimaste adolescenti, Putana allattava il
piccolo Krishna al suo seno avvelenato. Bhima sbudellava Dushasana e
inzuppava nel sangue i capelli di Draupadi.
La veranda posteriore della Casa della Storia (dove si era riunito
un gruppo di poliziotti Toccabili, e dove avevano fatto scoppiare un'oca
gonfiabile) era stata chiusa e trasformata nell'ariosa cucina dell'albergo.
Quel che di peggio vi si poteva combinare, adesso, erano kebab o crème
caramel. Il Terrore era passato. Vinto dall'odore di cibo. Zittito dai
brontolii dei cuochi. Dall'allegro tritatrita di aglio e zenzero. Dallo
Sventramento di piccoli animali: porcellini, capretti. Dai cubetti di
carne. Dal pesce diliscato.
Qualcosa giaceva sepolto nel terreno. Sotto l'erba. Sotto ventitré
anni di pioggia di giugno.
Una piccola cosa dimenticata.
Niente di cui il mondo avrebbe sentito la mancanza.
Un orologio da bambino di plastica, con le ore dipinte sopra.
Dieci alle due, diceva.
Una banda di bambini seguì Rahel nella sua passeggiata.
-Ciao, hippy , dissero, con venticinque anni di ritardo.
- Cometichiami?
Poi qualcuno le tirò un sasso, e la sua infanzia fuggì agitando le
braccia sottili.
Sulla via del ritorno, aggirando la Casa di Ayemenem, Rahel
sbucò nella via principale. Anche qui le case erano nate come funghi, ed
era solo il fatto che se ne stavano rannicchiate sotto gli alberi e che gli
stretti sentieri che le congiungevano con la via principale non erano
rotabili a dare ad Ayemenem un'apparenza di quiete rurale. In realtà la
popolazione si era gonfiata fino a farle raggiungere le dimensioni di una
cittadina. Dietro la fragile facciata verdeggiante viveva una calca di
persone che si poteva radunare quasi senza preavviso. Per picchiare a
morte un conducente d'autobus distratto. Per rompere i finestrini di una
macchina che aveva osato avventurarsi fuori il giorno di uno sciopero
dell'Opposizione. Per rubare l'insulina d'importazione di Baby
Kochamma e le sue focaccine alla crema, che venivano dritte dritte dal
Forno Centrale di Kottayam.
Fuori dalla Lucky Press, il Compagno K. N.M. Pillai era in piedi
accanto al muretto di confine e parlava con un uomo dall'altra parte. Le
braccia del Compagno Pillai erano incrociate sul petto, e le mani
stringevano le ascelle con atteggiamento possessivo, come se qualcuno
gliele avesse appena chieste in prestito e lui avesse rifiutato di darle via.
L'uomo di là del muro faceva scorrere un mazzo di fotografie in un
sacchetto di plastica con aria di interessamento forzato. Le foto erano
per la maggior parte del figlio del Compagno K. N.M. Pillai, Lenin, che
viveva e lavorava a Delhi - facendo l'imbianchino, l'idraulico e
l'elettricista - per l'ambasciata tedesca e quella olandese. Per placare
ogni timore dei suoi datori di lavoro riguardo alle sue simpatie
politiche, si era leggermente modificato il nome. Levin, si faceva
chiamare adesso. P. Levin.
Rahel cercò di passare inosservata, anche se era assurdo pensarlo.
-Aiyyo, Rahel Mol! disse il Compagno K. N.M. Pillai,
riconoscendola all'istante. - Orkunnilley? Il Compagno Zio? - Uwer ,
disse Rahel.
Si ricordava di lui? Ma certo che si ricordava.
La domanda e la risposta non erano che un preambolo di cortesia.
Entrambi sapevano che ci sono cose che si possono dimenticare. E cose
che non si possono dimenticare – che siedono in scaffali pieni di
polvere come uccelli impagliati con occhi obliqui e minacciosi.
-Allora! disse il Compagno Pillai. -Penso che sei in Ameirica
adesso, eh?
- No , disse Rahel. - Sono qui.
- Sissì , sembrava un po'"impaziente. - Ma per il resto sei in
Ameirica, credo.
Il Compagno Pillai scrociò le braccia. I suoi capezzoli
occhieggiarono verso Rahel dalla cima del muro, come gli occhi di un
Sanbernardo.
- Riconosciuta? chiese il Compagno Pillai all'uomo delle foto,
indicando Rahel col mento.
L'uomo non l'aveva riconosciuta.
- La figlia della figlia della vecchia Kochamma delle Conserve
Paradiso , disse il Compagno Pillai.
L'uomo sembrò perplesso. Era chiaramente un forestiero. E non un
mangiatore di sottaceti. Il Compagno Pillai tentò un'altra strada.
-Punnyan Kunju? chiese. Il Patriarca d'Antiochia fece una breve
apparizione su per aria e agitò la mano rinsecchita.
Per l'uomo delle foto, le cose cominciarono a collocarsi al posto
giusto. Annuì con entusiasmo.
- Il figlio di Punnyan Kunju? Benaan John Ipe? Che prima stava a
Delhi? disse il Compagno Pillai.
- Uwer; uwer, uwer , disse l'uomo.
- La figlia di sua figlia è questa qui. Sta in Ameirica adesso.
L'uomo annuiva come se ne andasse della sua vita mentre l'albero
genealogico di Rahel si chiariva davanti ai suoi occhi.
- Uwer, uwer, uwer. In Ameirica, adesso. Sì? Non era una
domanda. Era ammirazione allo stato puro.
Ricordò vagamente l'ombra di uno scandalo. Aveva dimenticato i
particolari, ma si ricordava che c'entravano sesso e morte. Era stato sui
giornali. Dopo un breve silenzio e un'altra serie di piccoli su e giù del
capo, l'uomo porse al Compagno Pillai il sacchetto di fotografie.
- Okay, compagno, io vado.
Doveva prendere la corriera.
VI
Canguria a Cochin
Tacco punta
Tacco punta
C'era
Una ragazza
Alta e
Magra e
Bionda
I capelli
I capelli
Avevano il chiaro colore del
Gin nnn ger (sinìssinìs, dès)
C'era
Una ragazza...
Gemelli a colazione
Andranno benone
VII
Quaderni “Saggezza”
Nello studio di Pappachi, le falene e le farfalle montate sui supporti si
erano disintegrate in mucchietti di polvere iridescente che incipriavano
il fondo degli espositori di vetro, lasciando nudi in tutta la loro crudeltà
gli spilli che erano serviti per impalarle. La stanza era infestata dalla
muffa e dall'abbandono. Un vecchio hulahop verde fosforescente
pendeva da un gancio di legno sul muro, aureola in disuso di un enorme
santo. Una colonna di luccicanti formiche nere attraversava il
davanzale, con i sederi ritti come una fila di leziose ballerine in un
musical di Busby Berkeley. Stagliate contro il sole. Lustre e belle.
Rahel (su uno sgabello sopra un ta volo) frugava in uno scaffale di
libri con le ante di vetro opache e sporche. Le impronte dei suoi piedi
nudi spiccavano distintamente sulla polvere che copriva il pavimento.
Portavano dalla porta al tavolo (trascinato accanto allo scaffale), allo
sgabello (trascinato fino al tavolo e poi sollevato su di esso). Stava cer
andò qualcosa. La sua vita aveva forma e dimensione, adesso. Aveva
mezzelune sotto gli occhi e una squadra di folletti maligni al suo
orizzonte.
Sull'ultimo ripiano, la rilegatura in pelle della raccolta di Pappachi
del Patrimonio entomologico dell'India si era staccata dai volumi e si
era deformata fino a sembrare amianto ondulato. Il pesciolino d'argento
aveva scavato dei tunnel attraverso le pagine, aprendosi
indiscriminatamente la strada tra una specie e l'altra e trasformando le
informazioni catalogate in un giallo merletto.
Rahel frugò dietro la fila di libri ed estrasse delle cose nascoste.
Una conchiglia liscia e una con le punte.
Un contenitore di plastica per lenti a contatto. Una piccola ventosa
arancione.
Un crocifisso d'argento appeso a una collana di perline. Il rosario
di Baby Kochamma.
Lo sollevò contro la luce. Ogni grano riuscì golosamente ad
acchiappare la sua porzione di sole.
Nel rettangolo di luce sul pavimento dello studio cadde un'ombra. Rahel
si girò verso la porta con la sua collana di luce.
-Pensa, è ancora qui. L'ho rubato. Dopo che tu sei stato Restituito.
La parola scivolò fuori con facilità. Restituito. Come se fosse
l'unico motivo per cui esistevano i gemelli. Per essere prestati e
restituiti. Come i libri della biblioteca.
Estha non sollevava lo sguardo. Aveva la testa piena di treni. Il
suo corpo tagliava la luce che proveniva dalla porta. Un buco a forma di
Estha nell'Universo.
Dietro ai libri, le dita incuriosite di Rahel incontrarono qualcosa.
Un'altra gazza ladra aveva avuto la sua stessa idea. Lo tirò fuori e tolse
la polvere con la manica della camicia. Era un pacchetto piatto avvolto
in plastica trasparente e sigillato con il nastro adesivo. Un foglietto di
carta infilato all'interno diceva: Esthappen e Rahel. La scrittura di
Ammu.
Dentro c'erano quattro quaderni sbrindellati. Sulle copertine era
scritto Quaderni per esercizi Saggezza, con uno spazio per Nome,
Scuola / College, Classe, Materia. Due portavano il suo nome e due
quello di Estha.
Sul retro della copertina di uno dei quaderni c'era scritto qualcosa
con una calligrafia infantile. La forma, faticosamente ottenuta, di
ciascuna lettera e gli spazi irregolari fra una parola e l'altra
testimoniavano la lotta per governare una matita vagabonda e dotata di
volontà propria. Il senso, invece, era nettissimo: Odio la signorina
Mitten e Penso che Ha le Muttande ROTTE.
Sulla copertina del quaderno, Estha aveva levato il suo cognome
con lo sputo, grattando via metà della carta. Su quel pasticcio aveva
scritto a matita: Sconosciuto. Esthappen Sconosciuto. (Il cognome era
rimandato a un Tempo a Venire, mentre Ammu sceglieva fra quello del
marito e quello del padre.) Dopo Classe c'era scritto: 6 anni. Dopo
Materia: Componimenti.
Rahel sedette a gambe incrociate (sullo sgabello sulla tavola).
- Esthappen Sconosciuto , disse. Aprì il quaderno e lesse ad alta
voce.
Quando Uliesse venne a casa suo figlio venne e disse padre pensavo che
non tornavi. molti principi vennero e tutti volevano sposare Penne Lope, ma
Penne Lope disse che l'uomo che riesce a infilzare nei dodici aneli può sposarmi.
e tutti fallirono. E uliesse venne al palazzo vestito come un medicante e chiese se
poteva provare. gli uomini risero tuti e dissero se non possiamo noi neanche tu. il
figlio di uliesse gli disse basta e disse lasciate che prova e lui prese larco e tirò
proprio in mezzo ai dodici aneli.
VIII
Dal suo posatoio sul pozzo, un cuculo arruffato emise il suo hwup
hwup e scosse le ali rossoruggine.
Una cornacchia rubò un pezzo di sapone che le fece le bolle nel
becco.
Nella cucina scura e fumosa, Kochu Maria, la piccola, era ritta
sulle punte per glassare l'alta torta a due strati del BENVENUTA A
CASA CARA SOPHIE MOL. Benché in quel periodo anche molte
donne cristiane avessero iniziato a portare la sari, Kochu Maria
indossava ancora il suo chatta immacolato a mezze maniche con lo
scollo a V e il mundu bianco, che si raccoglieva in un gonfio ventaglio
di stoffa sul suo didietro. Il ventaglio di Kochu Maria era nascosto bene
o male dall'assurdo e incongruo grembiulino da cameriera a scacchi
bianchi e blu, con le gale, che Mammachi insisteva a farle portare
quand'era in casa.
Aveva avambracci corti e grossi, dita come salsicciotti da cocktail
e un naso ampio e carnoso con le narici dilatate. Profonde pieghe di
pelle collegavano il naso al mento da entrambe le parti e separavano
quel tratto del suo viso dal resto, come il grugno di un animale. La testa
era troppo grande rispetto al corpo. Kochu Maria sembrava un feto
fuggito dal suo vaso di formaldeide in un laboratorio biologico,
raggrinzito e ispessito per l'età.
Teneva delle banconote umide nel busto, che le fasciava
strettamente il torace per appiattire i poco cristiani seni. I suoi orecchini
kunukku erano grossi e d'oro massiccio. I lobi delle orecchie le si erano
allungati per il peso fino a diventare anelli che le pendevano ai lati del
collo, con gli orecchini seduti dentro come bambini giulivi su una (poco
girevole) giostra. Una volta il lobo sinistro le si era spaccato ed era stato
ricucito dal Dottor Verghese Verghese. Kochu Maria non poteva
smettere di portare i suoi orecchini kunukku: come avrebbe fatto
altrimenti la gente a sapere che, a dispetto del suo umile lavoro come
cuoca (settantacinque rupie al mese), lei era una Cristiana
SirianoOrtodossa, una Mar Thomita? Non una Pelaya, o una Pulaya, o
una Paravan. Ma una Toccabile Cristiana di casta elevata (in cui il
cristianesimo era penetrato come il tè che si spande da una bustina).
Farsi ricucire un lobo spaccato era di gran lunga l'altemativa migliore.
Kochu Maria non aveva ancora fatto conoscenza con la
televisionomane che era dentro di lei. La drogata di Hulk Hogan. Non
aveva mai visto un televisore. Non avrebbe neppure mai pensato che
esistesse qualcosa come la televisione. Se qualcuno avesse insinuato
che esisteva, Kochu Maria l'avrebbe preso come un insulto alla sua
intelligenza. Kochu Malia era a conoscenza delle versioni che gli altri
avevano del mondo esterno. Il più delle volte le riteneva un affronto
deliberato alla sua mancanza di istruzione e alla sua (precedente)
credulità. Con un volontario e risoluto rovesciamento della propria
naturà, adesso Kochu Maria aveva adottato la politica di non credere
quasi mai a quello che chiunque le diceva. Qualche mese prima, in
luglio, quando Rahel le aveva detto che un astronauta americano di
nome Neil Armstrong aveva passeggiato sulla luna, era sbottata in una
risata sarcastica, ribattendo che un acrobata malayaii di nome O.
Muthachen aveva camminato a testa in giù sul sole. Con una matita in
equilibrio sul naso. Gli americani esistevano, questo era pronta ad
ammetterlo, anche se non ne aveva mai visto uno. Arrivava perfino a
credere che Neil Armstrong potesse rientrare in qualche assurda
categoria di nomi. Ma quella storia di camminare sulla luna?
Nossignore. E non si fidò nemmeno delle confuse foto in bianco e nero
apparse sul - Malayala Manorama , che lei non era in grado di leggere.
Restò salda nella sua convinzione che Estha, quando diceva: - Et
tu, Kochu Maria! la stesse insultando in inglese. Pensava che la frase
significasse una cosa come: - Kochu Maria, tu, brutta nanerottola nera! .
Aspettava solo l'occasione giusta per lamentarsi di lui.
Finì di glassare la torta. Poi gettò il capo all'indietro e si strizzò la
glassa che rimaneva sulla lingua. Spire senza fine di dentifricio al
cioccolato su una lingua rosa da Kochu Maria. Quando Mammachi
chiamò dalla veranda (-Kochu Mariye! Sento la macchina! ) aveva la
bocca piena di glassa al cioccolato e non riuscì a rispondere. Quando
l'ebbe ingoiata tutta, si passò la lingua sui denti e fece una serie di
schiocchi con la lingua contro il palato, come se avesse appena
mangiato qualcosa di aspro.
Poi entrò nella Commedia Kochu Maria, piccola dietro l'alta torta.
- E arrivata la torta , disse con voce più alta del normale a
Mammachi.
Kochu Maria parlava sempre a Mammachi a voce alta, perché
dava per scontato che una vista debole incidesse automaticamente anche
sugli altri sensi.
- Kando, Kochu Mariye? disse Mammachi. - Hai visto la nostra
Sophie Mol?
- Kandoo, Kochamma , disse Kochu Maria a voce superalta. - L'ho
vista
Sorrise a Sophie. Un sorriso superlargo. Era alta esattamente come
Sophie. Più bassa di un sirianoortodosso, a dispetto dei suoi sforzi
disperati.
- Ha i colori di sua madre , disse Kocnu Maria.
- Il naso di Pappachi , insistette Mammachi.
- Questo non lo so, però è molto bella , urlò Kochu Maria.
- Sundarikutty. E un angioletto.
-L'hai vista? disse Kochu Maria quando portò a Rahel la sua fetta
di torta. Alludeva a Sophie Mol. - Quando cresce, diventa la tua
Kochamma, e aumenta i nostri salari, e ci regala delle sari di nylon per
Onam. Kochu Maria faceva collezione di sari, anche se non ne aveva
mai indossato una, e con tutta probabilità non l'avrebbe mai fatto.
- E con ciò? disse Rahel. - Io sarò in Africa, allora.
- In Africa? Kochu Maria ridacchiò sotto i baffi. - L'Africa è piena
di brutta gente nera e di zanzare.
- Qui l'unica brutta sei tu , disse Rahel, e aggiunse (in inglese): -
Stupida nana!
-Cos'hai detto? disse Kochu Maria con aria minacciosa. - Non
dirmelo. Lo so.; Ho sentito. Lo dico a Mammachi. Aspetta e vedrai!
Rahel andò dietro il vecchio pozzo, dove di solito c'era qualche
formica da uccidere. Formiche rosse, che quando le schiacciavi
mandavano un odore acido di scoreggia. Kochu Maria la seguì con il
vassoio della torta.
Rahel disse che non ne voleva, di quella stupida torta.
- Kushumbi , disse Kochu Maria. - Le persone gelose vanno dritte
all'inferno.
- Chi è geloso?
- Io non lo so. Dimmelo tu , disse Kochu Maria dal grembiule con
le gale e dal cuore inacetato.
Rahel si infilò gli occhiali da sole e fissò lo sguardo sulla
Commedia. Tutto era Color Rabbia. Sophie Mol, in piedi fra Margaret
Kochamma e Chacko, aveva l'aria di chi si aspetta uno schiaffo. Rahel
scoprì un'intera colonna di succose formiche. Stavano andando in
chiesa. Tutte vestite di rosso. Doveva ucciderle prima che ci
arrivassero. Spiaccicate, spiaccicate con un sasso. Le formiche
puzzolenti in chiesa non possono starci.
Le formiche fecero un debole rumore crocchiante mentre la vita le
abbandonava. Come un elfo che mangia un biscotto o del pane tostato.
La Chiesa delle Formiche sarebbe rimasta vuota e il Vescovo
Formica sarebbe stato lì ad aspettare, col suo buffo vestito da Vescovo
Formica, scuotendo fuori l'incenso da un incensiere d'argento. Non
sarebbe arrivato nessuno.
Dopo aver aspettato per un ragionevole tempo formichesco,
avrebbe aggrottato le sue buffe sopracciglia da formica e scosso
tristemente il capo. Avrebbe dato un'occhiata alle vetrate colorate in
stile formichesco e, vinito di guardarle, avrebbe chiuso a chiave la
chiesa con un'enorme chiave e la chiesa sarebbe rimasta al buio. Poi
sarebbe tornato a casa da sua moglie e (sempre che non fosse morta)
avrebbero fatto il loro formichescoPistolino Pomeridiano.
IX
Tre giorni prima del Terrore, Velutha aveva lasciato che gli
pitturassero le unghie con lo smalto rosso Cutex scartato da Ammu.
Ecco come lo trovò la Storia, quando andò a trovarlo quel giorno nella
veranda posteriore. Un falegname con le unghie sgargianti. Il branco di
Poliziotti Toccabili l'aveva guardato e aveva riso.
- E questo cos'è? aveva detto uno di loro. – Una checca?
Un altro aveva sollevato uno stivale con un millepiedi arrotolato
nelle fessure delle suole. Rossoruggine scuro. Un milione di zampe.
L'ultima lingua di luce scivolò giù dalla spalla del putto. L'oscurità
inghiottì il giardino. Tutto intero. Come un pitone. Nella casa si
accesero le luci.
Rahel vedeva Estha nella sua camera, seduto sul letto ordinato.
Guardava fuori, attraverso l'inferriata della finestra, nel buio. Non
poteva vederla, seduta com'era nell'oscurità, che guardava dentro, nella
luce.
Erano una coppia di attori intrappolati in un'astrusa
rappresentazione, senza traccia di trama o di storia. Incespicavano nella
parte, covando il dolore di qualcun altro. Soffrendo la sofferenza di
qualcun altro.
In certo modo incapaci di cambiare recita. O di comprarsi qualche
mediocre esorcismo da un consulente con un po'"di fantasia, che li
mettesse a sedere e dicesse loro, in uno dei tanti modi possibili: - Non
siete voi i Peccatori. Voi siete Quelli che l" Hanno Subito, il Peccato.
Siete solo dei bambini. Non avete il controllo della situazione. Voi siete
le vittime, non i carnefici .
Compiere quel passo li avrebbe aiutati. Se solo fossero riusciti a
infilarsi, anche temporaneamente, il tragico cappuccio della vittima.
Allora sarebbero stati in grado di affrontare la cosa a viso aperto, e di
accendere in sé la rabbia per ciò che era accaduto. O di cercare un
risarcimento. E forse, alla fine, di esorcizzare i ricordi che li
perseguitavano.
Ma la rabbia non era alla loro portata, e non c'era modo di
affrontare a viso aperto questa Altra Cosa che reggevano nella loro
appiccicosa Altra Mano, come un'immaginaria arancia. Non c'era
nessun posto dove appoggiarla. Non potevano liberarsene. Dovevano
continuare a portarla. Con cura e per sempre.
Esthappen e Rahel sapevano entrambi che c'erano stati vari altri
carnefici (oltre a loro) quel giorno. Ma la vittima era una sola. E la
vittima aveva unghie rossosangue e una foglia sulla schiena che faceva
arrivare puntuale il monsone.
Si era lasciato alle spalle un buco nell'Universo, attraverso il quale
l'oscurità si era riversata come catrame liquido. Attraverso il quale la
loro madre l'aveva seguito senza nemmeno girarsi a salutare. Li aveva
abbandonati lì, a vagare nel buio, senza ormeggi, in un posto privo di
fondamenta.
Maschiofemmina.
Maschiofemmina.
Maschiofemmina.
Maschiofemmina.
I gemelli non erano ammessi.
Il resto della ricetta era scritto nella nuova calligrafia migliore di
Estha. Angolosa, puntuta. Inclinata all'indietro come se le lettere
fossero riluttanti a formare le parole, e le parole riluttanti a unirsi in
frasi compiute.
Thiyome
Thithome
Tharaka
Thithome
Thim.
Pa peraperaperaperakka
(Signor guguggugugguava)
Ende parambil thuralley
(Non cagare nel mio recinto)
Chetetde parambil thurikko
(Puoi cagare qui vicino nel recinto di mio fratello)
Pa peraperaperaperakka
(Signor guguggugugguava)
Kochu Thomban
Il pessimista e l’ottimista
Quando Chacko finì i soldi e non riuscì a trovare un altro lavoro, scrisse
a Mammachi, dicendole del matrimonio e chiedendole dei soldi.
Mammachi ne fu distrutta, ma impegnò di nascosto i suoi gioielli e fece
in modo di spedirgli il denaro in Inghilterra. Non bastò. Non bastava
mai.
Quando nacque Sophie Mol, Margaret Kochamma aveva deciso
che, per il bene di sua figlia e per il proprio, doveva lasciare Chacko.
Gli chiese il divorzio.
Chacko tornò in India, dove trovò lavoro con facilità. Per qualche
anno insegnò al Madras Christian College, e dopo la morte di Pappachi
tornò ad Ayemenem portandosi dietro la sigillatrice Bharat, il remo di
Balliol e un cuore spezzato.
Mammachi accolse con grande gioia il ritorno del figlio nella sua
vita. Lo nutrì, rammendò la sua roba, fece mettere fiori freschi nella sua
camera tutti i giorni. Chacko aveva bisogno dell'adorazione di sua
madre. Anzi, la pretendeva, sebbene per questo la disprezzasse e la
punisse con segreti espedienti. Cominciò a coltivare la sua corpulenza e
a compiacersi del suo sfacelo fisico. Portava rozze camicie sahariane
sui mundu bianchi e i sandali di plastica più brutti che riusciva a trovare
al mercato. Se Mammachi aveva degli ospiti, dei parenti o un vecchio
amico di Delhi venuto a trovarla, Chacko aveva l'abitudine di comparire
alla tavola da lei imbandita con eleganza - con le sue squisite
composizioni floreali di orchidee e col servizio buono a disegni cinesi -
e mettersi a tormentare una vecchia crosta, o a grattarsi i grossi calli
nerastri che si era lasciato crescere sui gomiti.
I suoi bersagli preferiti erano gli ospiti di Baby Kochamma -
vescovi cattolici o membri del clero in visita - che spesso si fermavano
per uno spuntino. In loro presenza Chacko si levava i sandali per dar
aria a una rivoltante pustola piena di pus che gli si era formata su un
piede e che era dovuta al diabete.
- Il signore abbia pietà di questo povero lebbroso , diceva, mentre
Baby Kochamma tentava disperatamente di distrarre i suoi ospiti dallo
spettacolo togliendo con le dita le briciole di biscotto e i pezzetti di
sfogliatine alla banana che costellavano le loro barbe.
Ma di tutte le segrete punizioni con le quali Chacko tormentava
Mammachi, la peggiore e la più mortificante era ricordare Margaret
Kochamma. Ne parlava spesso, e con un orgoglio speciale. Come se
l'ammirasse per aver divorziato da lui.
- Ne ha preso uno migliore, al mio posto , diceva a Mammachi, la
quale si ritraeva come avesse denigrato lei e non se stesso.
Provate a immaginarlo.
Il lavoro è lotta
I - no sembravano ruggiti.
Kalyani tornò portando a Chacko un bicchiere di acciaio
inossidabile di caffè fatto col filtro e un piatto di acciaio con delle
sfogliatine di banana (giallo brillante con i semini neri al centro).
-E andato a Olassa. Dovrebbe tornare da un momento all'altro ,
disse. Parlando di suo marito, lo chiamava addeham, che era la forma di
rispetto per - lui , mentre - lui la chiamava edi, che stava più o meno per
- Ehi, tu!
Era una donna bella e opulenta, con la pelle di un bruno dorato e
gli occhi grandi. I capelli lunghi e ricci erano umidi e sciolti sulle
spalle, intrecciati solo all'estremità. Le avevano bagnato il dietro
dell'aderente camicetta rosso cupo, macchiandola di un rosso ancor più
cupo e aderente. Dove terminavano le maniche, la carne soffice delle
braccia prorompeva in un rigonfiamento sontuoso, che ricadeva sui
gomiti ornati da fossette. Il mundu bianco e la kavani erano stirati e
inamidati. Odorava di sandalo e dei ceci verdi schiacciati che usava al
posto del sapone. Per la prima volta in tanti anni, Chacko la guardò
senza che si destasse in lui il minimo desiderio sessuale. Lui aveva sua
moglie (Ex moglie, Chacko!) a casa. Con lentigginidabraccia e
lentigginidaschiena. Col vestito blu e le gambe sotto.
Il giovane Lenin apparve sulla porta in pantaloncini rossi di
tessuto elastico. Si mise su una sola delle sue gambette sottili, come una
cicogna, e torse la tenda col pizzo rosa fino a farla diventare un palo,
fissando Chacko con gli stessi occhi di sua madre. Aveva sei anni, e
aveva passato da tempo l'età in cui si ficcava le cose su per il naso.
- Mon, vai a chiamare Latha , gli disse la signora Pillai.
Lenin restò dov'era e, sempre fissando Chacko, strillò senza
sforzo, come solo i bambini sanno fare: - Latha! Latha! Ti vogliono!
- Nostra nipote di Kottayam. La figlia del suo fratello maggiore ,
spiegò la signora Pillai. - Ha vinto il Primo Premio di Recitazione al
Festival della Gioventù di Trivandrum, la settimana scorsa.
Una ragazzina di dodici o tredici anni dall'aspetto battagliero uscì
fuori dalla tenda col pizzo. Indossava una lunga gonna stampata che le
andava dritta fino alle caviglie e un corto corpetto bianco, con due
pieghe che segnavano il posto dei seni ancora a venire. I capelli
cosparsi d'olio erano divisi a metà. Ciascuna delle spesse trecce lucenti
era voltata all'insù a formare un anello, e legata con un nastro, e così le
pendevano ai lati della faccia come il disegno di due grandi orecchie
sospese non ancora colorato all'interno.
- Lo sai chi è questo? chiese la signora Pillai a Latha.
Latha scosse il capo.
- Chacko saar. Il Modalali della nostra fabbrica.
Latha lo guardò con una compostezza e una mancanza di curiosità
insolite per una tredicenne.
- Ha studiato a Londra Oxford , disse la signora Pillai.
- Vorresti fargli la tua recitazione?
Latha acconsentì senza esitare. Divaricò leggermente i piedi.
- Rispettabile Presidente , si inchinò in direzione di Chacko. -
Onorevoligiudici e... girò lo sguardo sul pubblico immaginario
accalcato nella stanza piccola e calda, - cari amici. Fece una pausa
teatrale.
- Oggi vorrei recitare per voi una poesia di Sir Walter Scott dal
titolo Lochinvar. Allacciò le mani dietro la schiena. Le cadde un velo
sugli occhi. Fissò uno sguardo vacuo al di sopra della testa di Chacko.
Mentre parlava, oscillava leggermente. Subito Chacko pensò che si
trattasse di una traduzione in malayalam di Lochinvar. Le parole
inciampavano una nell'altra. L'ultima sillaba di ogni parola si attaccava
alla prima sillaba di quella successiva. Il tutto a una notevole velocità.
prestatemi orrICCHIO
gridò Lenin dal cortile, sovrastando il rumore delle corriere che
passavano.
Lo gridò tutto d'un fiato, senza esitare una sola volta. Mica male,
considerato che aveva solo sei anni e che non capiva una parola di
quello che stava dicendo. Seduto dentro casa, guardando il demonietto
della polvere che piroettava nel cortile (futuro prestatore di servizi a
contratto con un bambino e uno scooter Bajaj), il Compagno Pillai
sorrise con orgoglio.
- Lui è il primo della classe. Quest'anno avrà una doppia
promozione.
C'era una buona dose di ambizione stipata in quella stanzetta
calda.
Qualunque cosa il Compagno Pillai tenesse nascosta nella sua
credenza con le tendine, non si trattava certo di aeroplanini di balsa
rotti.
Chacko, dal canto suo, fin dal momento in cui era entrato in quella
casa, o forse dal momento in cui era arrivato il Compagno Pillai, si era
trovato vittirna di un curioso processo di esautorazione. Come un
generale cui avessero strappato le stellette, Chacko frenava il suo
sorriso. Conteneva la propria espansività. Se qualcuno l'avesse visto lì
per la prima volta avrebbe potuto credere che era una persona riservata.
Quasi timida.
Con l'istinto infallibile di chi ha imparato a lottare sulla strada, il
Compagno Pillai sapeva che le ristrettezze in cui si trovava (la casa
piccola e afosa, la madre borbottante, l'evidente vicinanza alle masse
lavoratrici) gli dava un potere su Chacko che in quei tempi rivoluzionari
nessun tipo di educazione oxfordiana poteva reggere.
Teneva la sua povertà puntata alla testa di Chacko come un fucile.
Chacko tirò fuori un pezzo di carta spiegazzato sul quale aveva tentato
di tracciare lo schizzo approssimativo di una nuova etichetta che voleva
far stampare al Compagno Pillai. Era per un nuovo prodotto che le
Conserve & Composte Paradiso avevano in programma di lanciare in
primavera. Aceto Sintetico da Cucina. Il disegno non era il forte di
Chacko, ma il Compagno Pillai riuscì a cogliere l'essenziale. Il logo del
danzatore kathakali gli era familiare, e anche lo slogan sul bordo della
gonna che diceva Imperatori del Reame del Gusto (una sua idea) e il
carattere tipografico che avevano scelto per Conserve & Composte
Paradiso.
- Stesso disegno. Sola differenza nel testo, suppongo , disse il
Compagno Pillai.
- E nel colore del bordo , disse Chacko. - Giallo senape invece di
rosso.
Il Compagno Pillai si spinse gli occhiali sopra la testa per leggere
ad alta voce. Immediatamente le lenti si coprirono di olio per capelli.
-Aceto Sintetico da Cucina , disse. -Tutto in maiuscole, suppongo.
- Blu di Prussia , disse Chacko.
- Preparato a Base di Acido Acetico?
-Blu reale , disse Chacko. -Come quello che abbiamo messo per i
peperoni verdi.
- Contenuto netto. Partita n., Data di conf:, Data di Scadenza,
Prezzo Max al Dett. Rupie stesso Blu reale.
Chacko assentì.
- Si certifica che la qualità e la natura dell'aceto contenuto in
questa bottiglia sono garantite secondo quanto dichiara l'etichetta.
Ingredienti: Acqua e Acido Acetico. Questo in rosso, suppongo.
Il Compagno Pillai usava - suppongo per travestire le domande da
affermazioni. Odiava fare domande, a meno che non fossero personali.
Le domande erano una volgare ostentazione d'ignoranza.
Quando ebbero finito di discutere delle etichette per l'aceto,
Chacko e il Compagno Pillai avevano entrambi attirato il loro imbuto di
zanzare.
Si accordarono sulla data di consegna.
- La marcia di ieri è stata un successo, allora? disse Chacko,
affrontando finalmente la vera ragione della sua visita.
- Finché le richieste non sono soddisfatte, compagno, non
possiamo dire se è Successo o NonSuccesso , un'inflessione
panflettistica filtrò dalla voce del Compagno Pillai. – Fino allora, la
lotta deve proseguire.
- Ma c'è stata una buona Adesione , lo pungolò Chacko, cercando
di sfoggiare lo stesso idioma.
-Certo, sicuro , disse il Compagno Pillai. -I compagni hanno
presentato un Memorandum al Direttivo del Partito.Ora vediamo.
Dobbiamo solo aspettare e vedere come va a finire.
- Li abbiamo incontrati per la strada, ieri , disse Chacko.
- Il corteo.
- Sulla strada di Cochin, suppongo , disse il Compagno Pillai. - Ma
secondo fonti di Partito la Risposta di Trivandrum era molto meglio.
-C'erano un sacco di compagni anche a Cochin , disse Chacko. -
Anzi, mia nipote ha visto il giovane Velutha fra loro.
- Oo, hai capito... il Compagno Pillai fu colto alla sprovvista.
Velutha era un argomento che aveva intenzione di affrontare con
Chacko. Un giorno o l'altro. Finalmente. Ma non in modo così diretto.
La sua mente ronzava come il ventilatore da tavolo. Era incerto se far
uso dell'imbeccata che gli era offerta o lasciare l'argomento a un'altra
occasione. Decise di approfittarne subito.
- Sì. E un buon lavoratore , disse pensieroso. – Molto intelligente.
- Sì, è così , disse Chacko. - Un falegname eccellente con il
cervello di un ingegnere. Se non fosse per...
- Non lavoratore in quel senso, compagno , disse il Compagno
Pillai. - Lavoratore per il Partito.
La madre del Compagno Pillai continuava a dondolarsi e a
borbottare. C'era qualcosa di rassicurante nel ritmo dei suoi borbottii.
Come il ticchettare di un orologio. Un suono che quasi non si notava,
ma quando smetteva se ne sentiva la mancanza.
- Ah, capisco. Così ha la tessera?
- Oh, sì , disse dolcemente il Compagno Pillai. - Oh, sì.
Il sudore gocciolava tra i capelli di Chacko. Si sentiva come se un
gruppo di formiche fosse in visita turistica al suo cranio. Si grattò la
testa a lungo, con tutt'e due le mani. Muovendo tutto lo scalpo su e giù.
- Oru kaaryam parayattey? Il Compagno Pillai passò al malayalam
e a un tono confidenziale, da cospiratore. – Ti parlo da amico, keto. In
forma riservata.
Prima di andare avanti, il Compagno Pillai studiò Chacko,
cercando di calcolare le sue reazioni. Chacko stava esaminando
l'impasto grigio di sudore e forfora che gli era rimasto sotto le unghie.
-Quel Paravan ti procurerà dei guai , disse. –Ascolta me... trovagli
un lavoro da qualche altra parte. Mandalo via.
Chacko era perplesso di fronte alla svolta che aveva preso la
conversazione. La sua intenzione era stata solo quella di scoprire che
cosa stava succedendo, a che punto stavano le cose. Si era aspettato
qualche resistenza, perfino una discussione, e invece gli veniva offerta
una sorniona, malintesa complicità.
- Mandarlo via? Ma perché? Non ho obiezioni sul fatto che abbia
la tessera. Ero solo curioso, nient'altro... Pensavo che magari tu gli
avevi parlato , disse Chacko. - Ma sono sicuro che sta solo facendo dei
tentativi. Mette alla prova la forza delle sue ali. E un ragazzo sensibile,
compagno. Io mi fido di lui...
- Non è così , disse il Compagno Pillai. - Può essere molto okay
come persona. Ma gli altri lavoratori non sono contenti di lui. Vengono
da me a lamentarsi... Vedi, compagno, dal punto di vista locale, queste
questioni di casta hanno radici molto profonde.
Kalyani posò sul tavolo un bicchiere d'acciaio pieno di caffè
fumante per suo marito.
- Guarda lei, per esempio. Padrona di questa casa.Neanche lei
farebbe mai entrare qui i Paravan e gente di quel tipo. Mai. Neanche io
posso convincerla. La mia stessa moglie. Naturalmente dentro casa lei è
il Boss. Rivolse a sua moglie un sorriso affettuoso e ammiccante. -Allay
edi, Kalyani?
Kalyani abbassò lo sguardo e sorrise, riconoscendo timidamente la
propria intolleranza.
- Lo vedi? disse trionfante il Compagno Pillai. – Lei capisce
l'inglese molto bene. Solo non lo parla.
Chacko sorrise apatico.
- Hai detto che i miei operai sono venuti a lamentarsi da te...
- Oh, sì. Esatto , disse il Compagno Pillai.
- Di qualcosa in particolare?
- Niente di particolare , disse il Compagno K. N.M. Pillai.
- Ma vedi, compagno, ogni beneficio che gli concedi, naturalmente
gli altri si risentono. Lo vedono come una parzialità. Dopotutto,
qualunque lavoro lui fa, falegname o elettricista o diosacosa, per loro è
solo un Paravan. E un condizionamento che hanno fin dalla nascita. Io
l'ho detto che è sbagliato. Ma parliamoci chiaro, compagno. Cambiare è
una cosa, accettare i cambiamenti è un'altra. Dovresti essere prudente.
Meglio per lui se lo mandi via...
-Mio caro amico , disse Chacko, -questo è impossibile. Per noi
Velutha è inestimabile. E lui a mandare avanti la fabbrica,
praticamente... e il problema non si risolve mandando via tutti i
Paravan. Quel che è sicuro è che dobbiamo imparare ad affrontare
questa situazione assurda.
Al Compagno Pillai non piaceva che lo chiamassero Mio caro
Amico. Gli suonava come un insulto espresso con cortesia, il che
naturalmente lo rendeva un doppio insulto: l'insulto in se stesso e il
fatto che Chacko pensasse che lui non l'avrebbe capito. Il suo umore
cambiò di colpo.
- Può darsi , disse caustico. - Ma Roma non fu fatta in un giorno.
Tieni in mente, compagno, che qui non siamo nel tuo college di Oxford.
Quello che per te è assurdo, per le Masse è qualcos'altro.
Lenin, che aveva preso la magrezza del padre e gli occhi della
madre, apparve sulla porta, senza fiato. Aveva finito di gridare tutto il
discorso di Antonio e una buona parte di Lochinvar prima di accorgersi
di essere rimasto senza pubblico. Riprese la sua posizione fra le
ginocchia del Compagno Pillai.
Batté le mani al di sopra della testa di suo padre, facendo una
carneficina di zanzare. Contò le carcasse schiacciate sui palmi delle
mani. Alcune erano gonfie di sangue fresco. Le mostrò a suo padre, il
quale lo spedì dalla madre perché lo ripulisse.
Il silenzio che era caduto fra loro fu di nuovo invaso dai borbottii
dell'anziana signora Pillai. Arrivò Latha, portandosi dietro Pothachen e
Mathukutty. Gli uomini furono fatti aspettare fuori. La porta venne
lasciata accostata. Quando il Compagno Pillai parlò, lo fece in
malayalam e si assicurò che la sua voce fosse abbastanza alta da essere
sentita dal pubblico là fuori.
- Naturalmente, il tribunale in cui i lavoratori esprimono le loro
lamentele è il Sindacato. E in questo caso, quando il Modalali stesso è
un Compagno, sarebbe un peccato che le parti non si unissero per
abbracciare la Lotta del Partito.
- A questo ho pensato , disse Chacko. - Ho intenzione di
organizzarli ufficialmente in un sindacato. Potranno eleggere i loro
rappresentanti.
- Ma, compagno, non puoi organizzargli tu la rivoluzione al loro
posto. Puoi solo creare consapevolezza. Educarli. Sono loro che devono
iniziare la lotta. Loro che devono vincere la propria paura.
- Paura di chi? sorrise Chacko. - Di me?
- No, non di te, mio caro compagno. Di secoli di oppressione.
Poi il Compagno Pillai, in tono di provocazione, citò il Presidente
Mao. In malayalam. Con un'espressione sul viso stranamente uguale a
quella di sua nipote.
- La rivoluzione non è un pranzo di gala. La rivoluzione è
un'insurrezione, un atto violento col quale una classe ne abbatte un'altra.
E così, siglato il contratto per le etichette dell'Aceto Sintetico da
Cucina, il Compagno Pillai bandì abilmente Chacko dai ranghi degli
Abbattitori per ricacciarlo in quelli infidi di Coloro da Abbattere.
Sedevano uno vicino all'altro su sedie pieghevoli di metallo, nel
pomeriggio del Giorno In Cui Sophie Mol Arrivò, sorseggiando caffè e
sgranocchiando sfogliatine di banana. Staccandosi con la lingua i grumi
gialli che si appiccicavano al palato.
Il Piccolo Uomo Magro e il Grande Uomo Grasso. Avversari da
fumetto di una guerra ancora a venire.
Era la prima lezione che aveva imparato a scuola. Una poesia sul
treno.
Cominciò a contare. Qualcosa. Qualsiasi cosa. Uno due tre quattro
cinque sei sette otto nove dieci undici dodici tredici quattordici quindici
sedici diciassette diciotto diciannove venti ventuno ventidue ventitré
ventiquattro venticinque ventisei ventisette ventotto ventinove...
Lo schema della macchina cominciò a confondersi. Le linee nette
a impastarsi. Le istruzioni non si capivano più. La strada gli veniva
incontro, e l'oscurità divenne fitta. Glutinosa. Farsi largo attraverso di
essa divenne uno sforzo. Come nuotare sott'acqua.
Sta succedendo, lo informò una voce. E" cominciato.
La sua mente, all'improvviso assurdamente vecchia, uscì
galleggiando dal corpo e restò sospesa sopra di lui nell'aria,
farfugliando da lì ammonimenti inutili.
La mente guardò in basso e vide il corpo di un giovane uomo che
camminava nell'oscurità e nella pioggia battente. Più di ogni altra cosa,
quel corpo desiderava dormire. Dormire e svegliarsi in un altro mondo.
Respirando il profumo della pelle di lei nell'aria. Con il corpo di lei sul
suo. Forse non l'avrebbe vista mai più. Dov'era? Cosa le avevano
fatto? Le avevano fatto del male?
Continuò a camminare. Il suo viso non era né levato verso la
pioggia, né chinato a evitarla. Per lui la pioggia non era la benvenuta,
ma nemmeno una cosa da cui fuggire.
Anche se la pioggia aveva lavato via la saliva di Mammachi dalla
sua faccia, non aveva eliminato la sensazione che provava: come se
qualcuno gli avesse staccato la testa e avesse vomitato nel suo corpo.
Vomito grumoso che gli scorreva dentro. Sul cuore. Sui polmoni. Un
lento e spesso sgocciolio alla bocca dello stomaco. Tutti gli organi
immersi nel vomito. La pioggia non poteva far niente al riguardo.
Sapeva cosa doveva fare. Il libretto d'istruzioni gli indicava la
direzione giusta. Doveva andare dal Compagno Pillai. Non sapeva più
perché. I piedi lo portarono alla Lucky Press, che era sprangata, e poi
attraverso lo stretto cortile alla casa del Compagno Pillai.
Il semplice sforzo di alzare il braccio per bussare lo esaurì.
XV
La traversata
XVI
SoddisfAzione.
Per Uomini d'Azione
Precisione
Obbedienza
Lealtà
Intelligenza
Zelo
Intraprendenza
Affabilità
Salvare Ammu
Alla stazione di polizia, l'Ispettore Thomas Mathew mandò a prendere
due cocacole. Con la cannuccia. Un agente le portò su un vassoio di
plastica, e le offrì a due bambini infangati seduti davanti alla scrivania
dell'Ispettore, le teste che sporgevano solo un po'"dall'ammasso
disordinato di carte e pratiche che la copriva.
E così, per la seconda volta nel giro di due settimane, ecco della
Paura in bottiglia per Estha. Fredda. Frizzante. A volte le Cose
andavano peggio con Coca Cola.
Le bollicine gli andarono su per il naso. Gli venne da ruttare.
Rahel ridacchiò, poi soffiò nella cannuccia finché la bevanda non si
versò ribollendo sul suo vestito. E sul pavimento. Estha lesse ad alta
voce il cartello appeso al muro.
- enoisicerP , disse. - enoisicerP, azneidebbO.
- àtlaeL, aznegilletnI , disse Rahel.
- oleZ.
- aznednerpartnI.
- àtilibaffA.
L'Ispettore Thomas Mathew conservò la calma, questo gli va
riconosciuto. Avvertì lo stato confusionale che cresceva in quei due
bambini. Notò le loro pupille dilatate. L'aveva già visto altre volte... la
valvola di scarico della mente umana. Il suo modo di far fronte a un
trauma. Ne tenne conto, e formulò le domande con intelligenza.
Facendole apparire innocue. Fra un - Quand'è il tuo compleanno, Mon?
e un - Qual è il tuo colore preferito, Mol?
A poco a poco, in una forma frammentaria e scollegata, le cose
cominciarono ad andare al loro posto. I suoi uomini gli avevano riferito
delle pentole e delle padelle. Della stuoia di paglia. Dei giocattoli
impossibilidadimenticare. Quelle cose adesso cominciavano ad
acquistare un senso, e l'Ispettore Thomas Mathew non ne fu affatto
contento. Mandò una jeep a prendere Baby Kochamma. Quando lei
arrivò, fece in modo che i bambini non fossero nella stanza. Non la
salutò.
- Si sieda , disse.
Baby Kochamma intùì che qualcosa andava terribilmente storto.
- Li avete trovati? Va tutto bene?
- Non c'è niente che vada bene , le assicurò l'Ispettore.
Dal suo sguardo e dal tono della sua voce, Baby Kochamma si rese
conto che questa volta aveva a che fare con una persona diversa. Non
l'accomodante ufficiale di polizia del loro precedente incontro. Si lasciò
cadere su una sedia. L'Ispettore Thomas Mathew non stette a misurare
le parole.
La polizia di Kottayam aveva agito in base alla testimonianza
giurata firmata da lei. Il Paravan era stato preso. Sfortunatamente, nel
corso dell'arresto era rimasto gravemente ferito. E con ogni probabilità
non avrebbe superato la notte. Ma adesso i bambini dicevano che erano
andati là di loro spontanea volontà. Che la loro barca si era capovolta e
la bambina inglese era annegata per disgrazia. Il che addossava alla
polizia la responsabilità della Morte di un Uomo Sotto Custodia, che era
Tecnicamente innocente. Era un Paravan, vero. Aveva agito male, vero
anche questo. Ma quelli erano tempi agitati, e tecnicamente, per legge,
si trattava di un uomo innocente. Il caso non esisteva.
- Tentata violenza carnale? suggerì debolmente Baby Kochamma.
- E dov'è la denuncia della vittima? E stata sporta? Ha reso una
dichiarazione? L'ha portata con sé? Il tono dell'Ispettore era bellicoso.
Quasi ostile.
Baby Kochamma sembrava essersi come ritirata. Dagli occhi e
dalle mascelle pendevano pieghe di pelle. La paura le fermentò dentro,
e la saliva prese un sapore amaro. L'Ispettore spinse verso di lei un
bicchiere d'acqua.
- La questione è molto semplice. La vittima della violenza deve
sporgere denuncia. Oppure, i bambini devono identificare ¡l Paravan
come loro rapitore in presenza di un testimone della polizia.
Altrimenti... Aspettò che Baby Kochamma alzasse gli occhi su di lui. -
Altrimenti devo accusarla di aver reso una falsa dichiarazione. Reato
penale.
Il sudore macchiava di blu la camicetta azzurra di Baby
Kochamma. L'Ispettore Thomas Mathew non le fece fretta. Si rendeva
conto che, dato il clima politico del momento, anche lui poteva trovarsi
in guai molto seri. Sapeva bene che il Compagno K. N.M. Pillai non
avrebbe perso una simile opportunità. Si sarebbe preso a calci per aver
agito tanto impulsivamente. Si infilò l'asciugamano stampato sotto la
camicia e si asciugò il sudore sul petto e sotto le ascelle. L'ufficio era
tranquillo. I rumori normali di una stazione di polizia, i passi pesanti
degli stivali, l'occasionale grido di dolore di qualcuno che veniva
interrogato, sembravano distanti, come se venissero da qualche altro
posto.
- I bambini faranno quello che gli viene detto , disse Baby
Kochamma. - Potrei rimanere qualche istante sola con loro?
- Come desidera. L'Ispettore si alzò per lasciare l'ufficio.
- Per favore, mi dia cinque minuti prima di farli entrare.
L'Ispettore Thomas Mathew assentì con un cenno del capo e uscì.
Baby Kochamma si asciugò il viso lustro e sudato. Allungò il
collo, guardando in su verso il soffitto per tergersi, con l'orlo del pallu,
il sudore che aveva nelle pieghe tra i rotoli di grasso sul collo. Baciò il
suo crocifisso.
Ave Maria, piena di grazia...
La memoria la tradì e non riuscì ad andare avanti.
La porta si aprì. Estha e Rahel vennero fatti entrare Incrostati di
fango. Zuppi di Coca Cola.
La vista di Baby Kochamma li rese all'improvviso sobri. La falena
con i ciuffi dorsali inusitatamente lunghi spalancò le ali su tutt'e due i
loro cuori. Perché era venuta lei? Dov'era Ammu? Era ancora chiusa in
camera?
Baby Kochamma li guardò con severità. Rimase a lungo in
silenzio. Quando parlò, la sua voce era aspra ed estranea.
- Di chi era la barca? Dove l'avete presa?
- Era nostra. E quella che abbiamo trovato. Velutha ce l'ha
aggiustata , bisbigliò Rahel.
- Da quanto l'avevate?
- L'abbiamo trovata il giorno che è arrivata Sophie Mol.
- E avete rubato degli oggetti da casa e li avete portati di là dal
fiume con la barca?
- Volevamo solo giocare...
- Giocare? E così che lo chiamate?
Baby Kochamma li fissò a lungo prima di parlare di nuovo.
- Il corpo della vostra graziosa cuginetta è steso in salotto. I pesci
le hanno mangiato gli occhi. Sua madre non ha ancora smesso di
piangere. E questo lo chiamate giocare?
Un improvviso soffio di vento fece oscillare le tende a fiori della
finestra. Fuori, Rahel vedeva le jeep parcheggiate. E la gente che
camminava. Un uomo cercava di avviare la sua motocicletta. Ogni volta
che saltava sopra il pedale dell'avviamento, l'elmetto gli scivolava di
lato.
Dentro l'ufficio dell'Ispettore, la Falena di Pappachi si agitava.
- E una cosa terribile far morire una persona , disse Baby
Kochamma. - E la cosa peggiore che si possa fare. Perfino Dio non
perdona cose simili. Lo sapete, vero?
Due teste annuirono due volte.
- Eppure... li guardò tristemente, - voi l'avete fatto. Li guardò
dritto negli occhi. - Siete due assassini. Aspettò che il concetto
penetrasse a fondo.
- Voi sapete che io so che non è stato un incidente. Io so
com'eravate gelosi di lei. E se il giudice me lo chiede, al processo, io
dovrò dirglielo, non credete? Non posso mica dire una bugia, no? Dette
un colpetto alla sedia accanto a lei. - Qui, venite a sedervi...
Quattro glutei di due obbedienti sederini si strizzarono sulla sedia.
- Dovrò dir loro che per voi andare al fiume era assolutamente
contrario alle Regole. E che l'avete obbligata a seguirvi, anche se
eravate al corrente che non sapeva nuotare. Che l'avete spinta fuori
dalla barca nel mezzo del fiume. Non è stato un incidente, vero?
Quattro piattini la fissavano, affascinati dalla storia che stava
raccontando. E poi, cos'è successo?
- Così, adesso, dovrete andare in prigione , disse Baby Kochamma
dolcemente. - E anche vostra madre andrà in prigione, per colpa vostra.
Vi piacerebbe?
Occhi spaventati e una fontana la guardarono.
- In tre prigioni differenti. Lo sapete come sono le prigioni in
India?
Due teste si scossero due volte.
Baby Kochamma mise in piedi la sua storia. Disegnò vividi scorci
(tratti dalla sua fantasia) della vita in prigione. Il cibo pieno di
scarafaggi. La chiichhi a mucchi nei cessi come morbide montagne
marroni. Le cimici. Le botte. Indugiò a descrivere i lunghi anni che
Ammu avrebbe passato rinchiusa a causa loro. Descrisse la donna
vecchia e malata, coi capelli pieni di pidocchi che sarebbe stata quando
fosse uscita... sempre se non fosse morta in prigione, cioè.
Sistematicamente, con la sua voce dolce e partecipe, dipinse il macabro
futuro che c'era in serbo per loro. Quando ebbe fatto svanire ogni raggio
di speranza e distrutto completamente le loro vite, come una fata
madrina prospettò loro una soluzione. Dio non li avrebbe mai perdonati
per quello che avevano fatto. Ma qui, sulla Terra, c'era un modo per
rimediare in parte al danno. Per salvare la loro mamma dall'umiliazione
e dalla sofferenza che le avrebbero provocato. A patto che sapessero
essere pratici.
- Per fortuna , disse Baby Kochamma, - per fortuna vostra, la
polizia ha commesso un errore. Un fortunato errore. Fece una pausa. -
Sapete qual è, vero?
C'erano delle persone imprigionate nel fermacarte di vetro sulla
scrivania del poliziotto. Estha le vedeva. Una donna e un uomo che
ballavano il valzer. Lei aveva un vestito bianco con le gambe sotto.
- Vero?
C'era un valzer da fermacarte, che suonava. Mammachi lo suonava
con il suo violino.
Rararararam.
Param param.
- Le cose stanno così , stava dicendo la voce di Baby Kochamma. -
Quello che è fatto è fatto. L'Ispettore dice che morirà comunque. Quindi
per lui non ha importanza quello che penserà la polizia. L'importante è
se voi volete andare in prigione e far andare in prigione Ammu a causa
vostra. Sta a voi deciderlo.
Nel fermacarte c'erano delle bolle, e sembrava che l'uomo e la
donna ballassero sott'acqua. Avevano l'aria felice. Forse stavano per
sposarsi. Lei in bianco. Lui con l'abito nero e il farfallino. Si
guardavano negli occhi, intenti.
- Se volete salvarla, tutto quello che dovete fare è andare con lo
Zio con i grandi misha. Vi farà una domanda. Una sola. Non dovrete far
altro che dire "Sì". Poi potremo tornarcene tutti a casa. E facilissimo.
Un piccolo prezzo da pagare.
Baby Kochamma seguì lo sguardo di Estha. Era tutto quello che
poteva fare per non afferrare il fermacarte e scagliarlo fuori dalla
finestra. Il cuore le martellava nel petto.
- Allora! disse con un sorriso brillante e malfermo: la tensione che
cominciava a farsi sentire nella voce. - Cosa devo dire allo Zio
Ispettore? Cos'abbiamo deciso? Volete salvare Ammu o mandarla in
prigione?
Come se stesse offrendo loro la scelta tra due cose divertenti.
Andare a Pesca o Fare il Bagno ai Maiali? Fare il Bagno ai Maiali o
Andare a Pesca?
I gemelli alzarono gli occhi su di lei. Non contemporaneamente
(ma quasi) due voci spaventate sussurrarono: - Salvare Ammu .
Negli anni successivi avrebbero rivissuto mentalmente la scena.
Da bambini. Da adolescenti. Da adulti. Erano stati costretti con
l'inganno a fare quello che avevano fatto? Erano stati vittime di un
trucco?
In un certo senso, sì. Ma le cose non erano così semplici. Tutt'e
due sapevano che era stata data loro una possibilità di scelta. E come
avevano scelto in fretta! C'era voluto meno di un secondo prima di
alzare gli occhi e dire (non contemporaneamente, ma quasi): -Salvare
Ammu . Salvare noi. Salvare nostra madre.
Baby Kochamma risplendette. Il sollievo funzionò da lassativo.
Aveva bisogno di andare in bagno. Un bisogno urgente. Aprì la porta e
chiese dell'Ispettore.
- Sono dei bravi bambini , gli disse quando l'Ispettore arrivò. -
Verranno con lei.
- Non c'è bisogno che vengano tutt'e due. Uno basterà , disse
l'ispettore Thomas Mathew. - Uno dei due. Mol. Mon. Chi è che vuol
venire con me?
- Estha. Baby Kochamma aveva scelto. Sapendo che lui fra i due
era il più dotato di senso pratico. Il più malleabile. Il più lungimirante.
Il più responsabile. - Vai tu. Dabravoragazzo.
Piccolo Uomo. Viveva in un caravan. Tutu.
Estha andò.
L'Ambasciatore E. Pelvis. Con gli occhi a piattino e il ciuffo
disfatto. Un ambasciatore basso di statura affiancato da un poliziotto
alto, in una terribile missione, giù nelle viscere della stazione di polizia
di Kottayam. I loro passi echeggiavano sul pavimento di pietra.
Rahel rimase nell'ufficio dell'Ispettore ad ascoltare i rumori
volgari del sollievo di Baby Kochamma, che gocciolava giù per la tazza
nel bagno dell'Ispettore. - Lo scarico non funziona , disse uscendo. - E
così imbarazzante. Imbarazzante che l'Ispettore vedesse il colore e la
consistenza dei suoi escrementi.
XX
Il postale pe Madras
Ventitré anni dopo, Rahel, una donna scura con la maglietta gialla,
si gira verso Estha nel buio.
- Esthapappychachen Kuttappen Peter Mon , dice.
Sussurra.
Muove la bocca.
La bocca della loro bella mamma.
Estha, seduto molto diritto, in attesa di essere arrestato, allunga le
dita per toccarla. Per toccare le parole che emette. Per prendere il
sussurro. Le sue dita ne seguono il contorno. Il tocco dei denti. La sua
mano viene afferrata e baciata.
Premuta contro una guancia fredda, bagnata di gocce di pioggia.
Non c'è molto da dire per chiarire quello che accadde poi. Niente
che (secondo il codice di Mammachi) servisse a separare il Sesso
dall'Amore. O le Necessità dai Sentimenti.
Tranne forse una cosa, e cioè che non c'era nessun osservatore a
osservare attraverso gli occhi di Rahel. Non c'era nessuno alla finestra a
guardare l'oceano. O una barca sul fiume. O, nella nebbia, un passante
col cappello.
Tranne che forse era un po'"fredda. Un po'"bagnata. Ma molto
tranquilla. L'Aria.
Ma cosa c'era da dire?
Solo che ci furono lacrime. Solo che il Silenzio e il Vuoto si
unirono come due cucchiai. Solo che ci fu un annusare nell'incavo alla
base di una gola graziosa. Solo che una spalla color miele scuro portò il
segno di un semicerchio di denti. Solo che si abbracciarono stretti per
molto tempo, dopo che fu finito. Solo che quello che divisero, quella
notte, non era felicità, ma un dolore spaventoso.
Solo che ancora una volta trasgredirono le Leggi dell'Amore. Che
stabiliscono chi si deve amare. E come. E quanto.
**Ruby Thursday, dei Rolling Stones. “Non c’è tempo da perdere/l’ho sentita che
diceva/spendi I tuoi sogni prima/ che scivolino via/ e muoiano./ Se perdi i tuoi sogni/ perderai
la testa (N.d.T)
guardando le stelle. Fratello paralizzato e padre guercio avevano
mangiato la cena che lui aveva preparato e stavano gia dormendo.
Perciò lui era libero di starsene disteso nel fiume e andare lentamente
alla deriva con la corrente. Un tronco d'albero. Un sereno coccodrillo.
Le palme da cocco si chinavano sul fiume e lo guardavano galleggiare
via. I bambù gialli gemevano. I piccoli pesci si prendevano la libertà di
civettare con lui. Gli davano lievissimi morsi.
Si girò di scatto e cominciò a nuotare. Controcorrente. Si girò
verso la riva per un'ultima occhiata, tenendosi a galla in posizione
verticale, sentendosi sciocco per essere stato così sicuro. Così certo.
Quando la vide, il colpo lo fece quasi andare a fondo. Gli ci volle
tutta la sua forza per mantenersi a galla. Sbatté le gambe, dritto in
mezzo al fiume scuro.
Lei non si accorse della sua testa che sobbalzava sul fiume. Poteva
essere qualsiasi cosa. Una noce di cocco che galleggiava. E, comunque,
non stava guardando. Aveva la testa affondata tra le braccia.
Lui la guardò. Prese tempo.
Se avesse saputo che stava per entrare in un tunnel che come unica
uscita aveva l'annientamento, se ne sarebbe andato?
Forse.
O forse no.
Chi può dirlo?
Anche dopo, nelle tredici notti che seguirono la prima, per istinto
si aggrapparono alle Piccole Cose. Le Grandi Cose stavano acquattate
dentro. Sapevano che non c'era posto dove potessero andare. Non
avevano niente. Nessun futuro. Perciò si aggrappavano alle piccole
cose.
Ridevano delle formiche che li pizzicavano sul sedere. Dei bruchi
impacciati che scivolavano dal bordo delle foglie, degli scarafaggi
rovesciati che non riuscivano a raddrizzarsi. Di una coppia di pesciolini
che andavano sempre a cercare Velutha nel fiume per morsicarlo. Di
una mantide religiosa particolarmente devota. Del ragno minuscolo, che
viveva in una crepa del muro della veranda posteriore della Casa della
Storia, e si mimetizzava coprendosi il corpo con dei rimasugli. Il
frammento di un'ala di vespa. Un pezzetto di ragnatela. Polvere. Foglie
marce. Il torace vuoto di un'ape morta. Velutha lo battezzò Chappu
Thamhuran. Lord Spazzatura. Una notte contribuirono ad arricchire il
suo guardaroba con una scaglia di buccia d'aglio, e restarono
profondamente offesi quando la respinse assieme a tutto il resto della
sua armatura, dalla quale emerse di cattivo umore, nudo e color del
moccio. Come se deplorasse il loro gusto in fatto di vestiti. Per qualche
giorno rimase in quella condizione suicida di sdegnosa nudità. Il guscio
smesso dei rifiuti se ne stava lì rigido, come un'idea del mondo
superata. Come una concezione filosofica ormai antiquata. Poi andò in
frantumi. A poco a poco, Chappu Thamburan accumulò un nuovo
completo.
Senza dirselo, e senza neppure ammetterlo con se stessi, legavano
il loro destino (il loro Amore, la loro Follia, la loro Speranza, la loro
Gioia Infinita) a quello del ragno. Tutte le notti controllavano (con
panico sempre crescente) che avesse superato la giornata. Si
preoccupavano della sua fragilità. Delle sue minuscole dimensioni.
Dell'adeguatezza del suo travestimento. Del suo orgoglio
autodistruttivo. Cominciarono ad amare il suo gusto eclettico. La sua
dinoccolata dignità.
L'avevano scelto perché sapevano di dover riporre la loro fiducia
nella fragilità. Attaccarsi alla Piccolezza. Tutte le volte che si
separavano, pretendevano l'uno dall'altro solo una piccola promessa.
- Domani?
- Domani.
Sapevano che le cose possono cambiare in un giorno. E su questo
avevano ragione.
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