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Arundhati Roy

Il Dio Delle Piccole Cose

Titolo originale: the God of small things.

Traduzione di Chiara Gabutti.


A Mary Roy che mi ha cresciuta.
Che mi ha insegnato a dire "scusa"
prima di interromperla in pubblico.
Che mi ha amato tanto da lasciarmi andare.
A LKC, che, come me, è sopravvissuto.
Mai più una storia sarà raccontata
come fosse l'unica.

John Berger.
I

Conserve & composte paradiso.

Maggio ad Ayemenem è un mese caldo, meditabondo. Le giornate


sono lunghe e umide. Il fiume si ritira e corvi neri si rimpinzano di
manghi lucidi sugli alberi verdepolvere, immobili. Maturano le banane
rosse. Si spaccano i frutti dell'albero del pane. Mosconi viziosi ronzano
vacui nell'aria fruttata. Poi si schiantano contro i vetri delle finestre e
muoiono, goffamente inermi sotto il sole.
Le notti sono limpide, ma soffuse di un'attesa fosca e pigra.
Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest,
portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro
e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La
campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano
che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni
diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i
pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e
si riversano nelle strade allagate. Le barche riforniscono i bazar. E nelle
pozzanghere che riempiono le buche lasciate per le strade dal
Dipartimento dei Lavori Pubblici compare qualche pesciolino.
Pioveva, quando Rahel tornò ad Ayemenem. Argentee funi
frustavano la terra sfatta, arandola a colpi di cannone. La vecchia casa
sulla collina portava il ripido tetto a due spioventi calcato sulle orecchie
come un cappello. I muri, striati di muschio, si erano ammorbiditi e
leggermente gonfiati per l'umidità che filtrava dal terreno. Il giardino
incolto e straripante era pieno del sussurro e del trapestio di piccole
vite. Nel sottobosco un serpente sì strofinava contro una pietra lucente.
Gialleranetoro perlustravano speranzose lo stagno melmoso in cerca di
un compagno. Una mangusta fradicia sfrecciò per il viale d'accesso
cosparso di foglie.
La casa sembrava vuota. Porte e finestre serrate. La veranda anteriore
nuda. Senza mobili. Ma la Plymouth azzurrocielo con gli alettoni
cromati era ancora parcheggiata lì fuori e, dentro casa, Baby Kochamma
era ancora viva.
Era la baby-prozia di Rahel, la sorella più giovane di suo nonno. Il
suo vero nome era Navomi, Navomi Ipe, ma tutti la chiamavano Baby.
Diventò Baby Kochamma quando fu grande abbastanza per essere zia.
Rahel non era tornata a trovare lei, però. Né la nipote né la prozia si
facevano illusioni al riguardo. Rahel era venuta per vedere suo fratello,
Estha. Erano gemelli nati da due ovuli diversi. -Dizigotici dicevano i
dottori. Nati da ovuli separati ma fecondati contemporaneamente. Estha,
Esthappen, era più vecchio di diciotto minuti.
Non si erano mai assomigliati in modo particolare, Estha e Rahel,
e nemmeno quando erano bimbetti dalle braccia magroline, il petto
piatto e i ciuffi alla Elvis Presley, non c'erano mai stati i classici -Chi è
Rahel? eQual è Estha? da parte di parenti tutti sorrisi o dei vescovi
sirianoortodossi che visitavano spesso la casa di Ayemenem per le
offerte.
La confusione stava in un posto più profondo, più segreto.
In quei primi anni amorfi, in cui la memoria cominciava appena a
esistere, in cui la vita era piena di Inizi e non conosceva Fine, e Tutto
era Per Sempre, Esthappen e Rahel pensavano a loro due insieme come
Io, e separati, individualmente, come Noi. Quasi fossero una rara specie
di gemelli siamesi, separati nel corpo ma con identità fuse insieme.
Ancora adesso, dopo tutti questi anni, Rahel ricorda di essersi
svegliata una notte ridendo per un sogno buffo fatto da Estha.
Rahel ricorda anche altre cose che non ha il diritto di ricordare.
Per esempio, ricorda (anche se non era presente) che cosa fece a Estha
l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate, quella volta al Cinema
Abilash. Ricorda il sapore dei sandwich al pomodoro, i sandwich di
Estha, quelli che Estha stava mangiando, sul postale per Madras.
E queste sono solo le piccole cose.

Ad ogni modo, lei adesso pensa a Estha e Rahel come Loro,


perché separatamente loro due non sono più quello che Loro sono stati
o quello che Loro pensavano sarebbero stati.
No.
Le loro vite hanno forma e dimensione, adesso. Estha ha la sua e
Rahel pure.
Margini, Bordi, Orli, Confini, Frontiere e Limiti sono comparsi ai
loro orizzonti separati come una banda di folletti maligni. Creature
piccole dalle lunghe ombre, che pattugliano un Limitare Sfocato. Sotto i
loro occhi sono sorte delicate mezzelune e hanno la stessa età di Ammu
quando morì. Trentuno.
Non vecchi.
Non giovani.
Ma vitalmente morituri.

C'era mancato poco che nascessero su una corriera, Estha e Rahel.


L'auto con la quale Baba, il loro padre, stava portando Ammu, la loro
madre, all'ospedale di Shillong si guastò sulla strada tortuosa fra le
piantagioni di tè dell'Assam. Abbandonarono la macchina e fermarono
una corriera affollata delle linee statali. Per la bizzarra compassione dei
poverissimi per quelli che stanno relativamente meglio, o forse solo
perché videro quanto enormemente incinta fosse Ammu, i passeggeri
seduti lasciarono il posto alla coppia e per il resto del viaggio il padre di
Estha e Rahel si affannò a tener ferma la pancia della madre (con loro
dentro) per evitarle i sobbalzi. Questo prima che divorziassero e Ammu
tornasse a vivere nel Kerala.
A sentire Estha, se fossero nati sulla corriera avrebbero avuto
diritto a viaggiare gratis sulle corriere per tutto il resto della vita. Non
era chiaro dove avesse preso una simile informazione, o come facesse a
sapere queste cose, ma per anni i gemelli nutrirono un vago
risentimento nei confronti dei genitori, colpevoli di averli privati di una
vita di viaggi gratis in corriera.
Erano anche convinti che se si moriva investiti sulle strisce
pedonali, il Governo avrebbe pagato il funerale. Avevano la precisa
convinzione che le strisce pedonali servissero proprio a quello. Ad
avere il funerale gratis. Ovviamente non c'erano strisce pedonali per
farsi ammazzare, ad Ayemenem, o quanto a questo neppure a Kottayam,
la città più vicina, ma loro le avevano viste dal finestrino dell'auto a
Cochin, che era a due ore di distanza da Ayemenem.
Il Governo non pagò il funerale di Sophie Mol, perché lei non era
morta sulle strisce pedonali. Il funerale glielo fecero ad Ayemenem,
nella vecchia chiesa con la vernice nuova. Sophie Mol era la cugina di
Estha e di Rahel, la figlia dello zio Chacko. Era venuta a trovarli
dall'Inghilterra. Estha e Rahel avevano sette anni quando Sophie Mol
morì. Sophie Mol quasi nove. Aveva una bara speciale a misura di
bambino.
Foderata di raso.
Manigliata di ottone lucido.
Sophie Mol giaceva nella bara con i suoi pantaloni gialli di tessuto
ingualcibile a zampa d'elefante, i capelli legati da un nastro e la sua
amata borsetta gogo MadeinEngland. Aveva la faccia pallida e rugosa
come il pollice di un lavandaio per essere stata in acqua troppo tempo.
La congregazione si strinse attorno alla bara e la chiesa gialla si gonfiò
come una gola del suono di un triste canto. I preti con le barbe arricciate
fecero oscillare gli incensieri tenendoli per la catena, senza mai
sorridere ai bambini come facevano di solito la domenica.
Sull'altare, le candele alte erano piegate. Quelle corte no.
Un'anziana signora camuffata da lontana parente (che nessuno
riconobbe), che spesso affiorava ai funerali accanto alle salme
(esequiedipendenza? segreta necrofilia?), spruzzò della colonia su un
batuffolo di ovatta e con aria devota e gentilmente provocatoria lo
picchiettò sulla fronte di Sophie Mol. Sophie Mol sapeva di colonia e
legno da bara.
Margaret Kochamma, la mamma inglese di Sophie Mol, non
permise a Chacko, il vero padre di Sophie Mol, di metterle un braccio
attorno alle spalle per consolarla.
La famiglia stava tutta ammucchiata insieme. Margaret
Kochamma, Chacko, Baby Kochamma e, accanto a lei, sua cognata,
Mammachi, la nonna di Estha e di Rahel (e di Sophie Mol). Mammachi
era quasi cieca e quando usciva di casa portava sempre gli occhiali
scuri. Le lacrime le sgocciolavano dietro le lenti e tremolavano lungo la
mascella come gocce di pioggia sul bordo di un tetto. Sembrava piccola
e malata nella sua sari increspata bianco panna. Chacko era l'unico
figlio maschio di Mammachi. Il proprio dolore la addolorava e basta.
Quello di lui la devastava.
Ad Ammu, Estha e Rahel fu permesso di partecipare al funerale,
ma dovettero starsene in disparte. Nessuno li guardava.
In chiesa faceva molto caldo, e gli orli bianchi delle calle si fecero
crespi e si arrotolarono. Un'ape morì dentro un fiore della bara. Le mani
di Ammu tremavano, e con loro il libro degli inni. Aveva la pelle
fredda. Estha le si stringeva vicino, intontito, gli occhi doloranti che
scintillavano come vetro, la guancia bruciante contro la pelle nuda del
braccio di Ammu che tremava insieme al libro degli inni.
Rahel, dall'altra parte, era perfettamente sveglia, ferocemente
vigile e spossata dalla battaglia con la Vita Reale.
Si accorse che Sophie Mol si era svegliata per il proprio funerale.
Mostrò Due Cose a Rahel.
La Cosa Numero Uno era l'alta cupola della chiesa gialla, pitturata
di fresco, che Rahel ancora non aveva mai visto da dentro. Era dipinta
di azzurro, come il cielo, con nuvole vaganti e minuscoli jet che
sfrecciavano sibilando e lasciandosi dietro scie bianche che si
incrociavano tra le nuvole. Vero è (e va detto) che era più facile notare
queste cose stando distesi in una bara e guardando in su, che in piedi nel
banco della chiesa, schiacciata tra fianchi tristi e libri di inni.
Rahel pensò al tipo che si era preso la briga di salire lassù coi
barattoli di vernice, bianca per le nuvole, azzurra per il cielo, color
argento per i jet, e i pennelli e l'acquaragia. Se lo immaginò là in alto,
qualcuno tipo Velutha, col corpo nudo e luccicante, seduto su una tavola
di legno, oscillante sull'impalcatura lassù nella cupola, a dipingere jet
d'argento in un cielo celeste da chiesa.
Pensò cosa sarebbe successo se le corde si fossero spezzate di
colpo. Si immaginò l'uomo che cadeva come una stella scura dal cielo
che lui stesso aveva creato. Sfracellato sul pavimento cocente della
chiesa, sangue scuro che usciva dalla testa e si spargeva intorno come
un segreto.
Esthappen e Rahel avevano già imparato, allora, che il mondo ha
altri modi di sfracellare gli uomini. L'odore gli era già familiare.
Dolcenausea. Come rose vecchie nella brezza.
La Cosa Numero Due che Sophie Mol mostrò a Rahel fu il
pipistrellino.
E così, per tutta la durata del servizio religioso, Rahel stette a
guardare un piccolo pipistrello nero che si arrampicava su per la costosa
sari funebre di Baby Kochamma aggrappandosi con delicati artigli
ricurvi. Quando arrivò al punto che sta fra la sari e il corpetto, a quel
triste rotolo carnoso, allo stomaco nudo, Baby Kochamma strillò e
cominciò a menare colpi in aria col libro degli inni. Il canto si
interruppe e iniziò un - Cosa c'è? Cosa succede? e un frullare peloso e
uno sbattere di sari.
I tristi preti si spolverarono le barbe ricce con le dita inanellate
d'oro, quasi si aspettassero di trovarci dei ragni che in un attimo vi
avevano tessuto la loro ragnatela.
Il pipistrellino volò in alto nel cielo e si trasformò in un jet, ma
senza la scia dietro.
Solo Rahel notò la capriola che Sophie Mol fece in segreto nella
sua bara.
Il triste canto ricominciò e ricantarono lo stesso triste versetto. E
di nuovo la chiesa gialla si gonfiò di voci come una gola.

Quando, nel piccolo cimitero dietro la chiesa, calarono la bara di


Sophie Mol nella fossa, Rahel sapeva che sua cugina non era ancora
morta. Sentì (con le orecchie di Sophie Mol) il rumore soffice del fango
rosso e quello duro della laterite arancione, e vide sciuparsi la
lucentezza del legno della bara. Sentì i tonfi sordi attraverso il legno
lucido della bara, attraverso la fodera di raso della bara. Le voci dei
tristi preti soffocate dal fango e dal legno.

Affidiamo alle tue mani, Padre misericordioso,


L'anima di questa nostra figlia defunta,
E consegnamo il suo corpo alla terra, Terra
alla terra, cenere alla cenere, polvere alla polvere.

Sottoterra Sophie Mol urlò e lacerò la fodera con i denti. Ma non


si sentono le urla attraverso la terra e la pietra.
Sophie Mol era morta perché le mancava l'aria per respirare.
Era stato il suo funerale a ucciderla.
Sulla sua lapide c'era scritto: UN RAGGIO Di SOLE
CONCESSOCI TROPPO BREVEMENTE.
Ammu spiegò più tardi che Troppo Brevemente significava Per
Troppo Poco Tempo.

Dopo il funerale Ammu riportò i gemelli alla stazione di polizia di


Kottayam. Il posto era loro familiare. Ci avevano passato la maggior
parte del tempo, il giorno prima. Anticipando l'aspro, fumoso puzzo di
urina vecchia che permeava le pareti e i mobili, si tapparono il naso
molto prima che l'odore cominciasse.
Ammu chiese di parlare con l'Ufficiale In Capo e quando fu
introdotta nel suo ufficio gli disse che c'era stato un terribile errore e
che voleva fare una dichiarazione. Chiese di vedere Velutha.
I baffi dell'Ispettore Thomas Mathew si arricciavano all'insù come
quelli del cordiale Maharaja nella pubblicità dell'Air India, ma gli occhi
erano furbi e avidi.
-E un po'"troppo tardi per tutto questo, non ti pare? disse. Parlava
la rozza variante dialettale del malayalam di Kottayam. E intanto
fissava i seni di Ammu. Disse che loro sapevano già tutto quello che
c'era da sapere e che la polizia di Kottayam non accettava dichiarazioni
dalle veshya o dai loro figli illegittimi. Ammu disse che questo era da
vedere.
L'Ispettore Thomas Mathew girò attorno alla scrivania e con lo
sfollagente in mano si avvicinò ad Ammu.
-Fossi in te disse. -me ne tornerei tranquillamente a casa.
Poi con lo sfollagente le batté sui seni. Con gentilezza. Tap, tap. Come
se stesse scegliendo dei manghi da una cesta. Indicando quali voleva
che gli venissero incartati e consegnati. L'Ispettore Thomas Mathew
pareva sapere chi poteva maltrattare e chi no. I poliziotti hanno questo
sesto senso.
Dietro di lui un tabellone rosso e blu diceva:

Precisione
Obbedienza
Lealtà
Intelligenza
Zelo
Intraprendenza
Affabilità

Quando lasciarono la stazione di polizia Ammu stava piangendo, per


cui Estha e Rahel non le domandarono cosa volesse dire veshya. O, se
era per quello, nemmeno illegittimo. Era la prima volta che vedevano
piangere la loro madre. Ammu non singhiozzava. La faccia era
immobile come pietra, ma le lacrime le traboccavano dagli occhi e
scorrevano giù per le guance irrigidite. I gemelli stavano male dalla
paura. Le lacrime di Ammu rendevano reale tutto quello che fino a quel
momento era sembrato irreale. Per tornare ad Ayemenem presero la
corriera. Il bigliettaio, un ometto striminzito in divisa color cachi,
scivolò verso di loro reggendosi al corrimano. Bilanciò i fianchi ossuti
contro lo schienale di un sedile e cliccò verso Ammu con la macchinetta
per bucare i biglietti. Per dove? Significava il clicclic. Rahel sentiva
l'odore del fascio di biglietti e l'amaro del corrimano metallico
sprigionarsi dalle mani del bigliettaio.
-E morto gli sussurrò Ammu. -L'ho ucciso io.
-Ayemenem disse in fretta Estha, prima che al bigliettaio
scappasse la pazienza.
Prese i soldi dal borsellino di Ammu. Il bigliettaio gli diede i
biglietti. Estha li ripiegò accuratamente e se li mise in tasca. Poi
circondò con le piccole braccia la sua mamma rigida, piangente.

Due settimane più tardi, Estha venne Restituito. Ammu fu


obbligata a rimandarlo dal padre, che a quel punto aveva abbandonato il
suo lavoro solitario nella piantagione di tè nell'Assam e si era trasferito
a Calcutta, dove lavorava per una ditta che produceva nerofumo. Si era
risposato, aveva smesso di bere (più o meno) e aveva solo delle ricadute
ogni tanto.
Da allora Estha e Rahel non si erano più visti.

Adesso, ventitré anni dopo, il padre aveva riRestituito Estha.


L’aveva rimandato ad Ayemenem con una valigia e una lettera. La
valigia era piena di vestiti nuovi ed eleganti. Baby Kochamma mostrò la
lettera a Rahel. La grafia era inclinata, femminile, da collegio di suore,
ma la firma era quella del padre. O, almeno, il nome era quello. Rahel
non era in grado di riconoscere la firma. La lettera diceva che lui, il loro
padre, aveva lasciato l'impiego alla ditta di nerofumo e stava per partire
per l'Australia, dove aveva trovato lavoro come capo della sicurezza in
una fabbrica di ceramiche, e che non poteva portare Estha
con sé. Augurava tante buone cose a tutti, lì ad Ayemenem, e diceva che
sarebbe passato a trovare Estha se fosse tornato in India, il che tuttavia,
proseguiva, era piuttosto improbabile.
Baby Kochamma disse a Rahel che se voleva poteva tenere la
lettera. Rahel la infilò nella busta. La carta era diventata molle e floscia
come stoffa.
Rahel aveva dimenticato quanto potesse essere umida l'aria
monsonica ad Ayemenem. Gli armadi gonfi gemevano. Le finestre
sprangate si spalancavano all'improvviso. Le pagine, dentro le copertine
dei libri, diventavano molli e ondulate. Alla sera, come idee improvvise,
comparivano strani insetti che finivano ammazzati sulle fioche
lampadine a 40 watt di Baby Kochamma. Di giorno i loro cadaverini
raggrinziti e inceneriti punteggiavano il pavimento e i davanzali, e l'aria
sapeva di Qualcosa che Brucia finché Kochu Maria non li raccattava
con la sua paletta di plastica.
Non era cambiata, la Pioggia di Giugno.
I cieli si aprivano e l'acqua scendeva a torrenti, ridando vita al
vecchio pozzo avaro, verdemuschiando i porcili senza porci,
bombardando a tappeto immobili pozzanghere color tè, proprio come
fanno i ricordi con immobili cervelli color tè. L'erba pareva
verdefradicio, e ben contenta di esserlo. Allegri lombrichi rossocupo si
rotolavano nella fanghiglia. Oscillavano le ortiche verdi. Si inchinavano
gli alberi.
E un po' "più in là, nella pioggia e nel vento, lungo gli argini del
fiume, nell'improvvisa oscurità del giorno pieno di tuoni, Estha
passeggiava. Portava una stinta maglietta color fragola, ma inzuppata e
scurita, e sapeva che Rahel era arrivata.

Estha era sempre stato un bambino silenzioso, così nessuno fu in


grado di stabilire con qualche precisione (l'anno, se non il mese o il
giorno) quando esattamente avesse smesso di parlare. Smesso del tutto,
cioè. Il fatto è che non c'era un –esattamente quando . Estha aveva
chiuso bottega calando a poco a poco la saracinesca. Un acquietarsi
quasi inavvertibile. Come se avesse semplicemente esaurito gli
argomenti di conversazione e non gli restasse altro da dire. Il suo
silenzio non era mai scomodo. Né invadente. Né rumoroso. Non era un
silenzio d'accusa o di protesta, quanto piuttosto una specie di
estivazione, un letargo, l'equivalente sul piano psicologico di quello che
fanno i pesci polmonati, i dipnoi, per sopravvivere alla stagione secca;
salvo che nel caso di Estha la stagione secca sembrava destinata a
durare per sempre.
Col tempo Estha aveva acquisito la capacità di confondersi con
qualsiasi sfondo, librerie, giardini, tende, vani delle porte, strade, di
apparire inanimato e quasi invisibile a un occhio poco addestrato. Di
solito gli estranei ci mettevano un po' prima di notare la sua presenza,
anche quando erano nella stanza assieme a lui. Ci mettevano ancor di
più a notare che non parlava mai. Certi non lo notavano affatto.
Estha occupava pochissimo spazio nel mondo.

Dopo il funerale di Sophie Mol, quando Estha fu Restituito, il


padre lo mandò a studiare in un convitto maschile a Calcutta. Non era
uno studente eccezionale, ma nemmeno troppo scadente, né
particolarmente scarso in alcuna materia. Studente nella media o
Impegno soddisfacente erano i commenti che di solito gli insegnanti
scrivevano nel Rapporto di Fine d'Anno. Non partecipa alle Attività di
Gruppo, era un'altra lamentela ricorrente. Benché non dicessero mai
cosa intendevano per “Attività di Gruppo” .
Estha si diplomò con voti mediocri, ma non volle andare al
college. Invece, con grande imbarazzo iniziale del padre e della
matrigna, cominciò a sbrigare le faccende di casa. Come se a modo suo
cercasse di guadagnarsi vitto e alloggio. Spazzava, passava lo straccio e
faceva lui tutto il bucato. Nei bazar, i venditori seduti dietro piramidi di
verdure lucide e scintillanti impararono a conoscerlo e lo servivano
sempre per primo, fra le proteste degli altri acquirenti. Gli davano delle
latte arrugginite in cui mettere le verdure che sceglieva. Lui non tirava
mai sul prezzo. Loro non lo imbrogliavano mai. Una volta pesate e
pagate, le verdure venivano trasferite nella sporta di plastica rossa di
Estha (le cipolle sotto, melanzane e pomodori in cima) e c'era sempre
un rametto di coriandolo o una manciata di peperoncini verdi gratis.
Estha portava tutto a casa nel tram affollato. Una bolla silenziosa
fluttuante su un mare di rumori.
Durante i pasti Estha, quando voleva qualcosa, si alzava e si
serviva da solo.
Una volta arrivato, il silenzio mise radici in lui e cominciò a
diffondersi. Gli uscì dalla testa e lo avvolse tra le sue braccia melmose.
Lo cullò al ritmo di un battito antico, fetale. Allungò le ventose dei suoi
tentacoli furtivi centimetro dopo centimetro dentro il suo cranio,
ripulendo come con un aspirapolvere le vallette e le colline della
memoria, sloggiando vecchie frasi, scuotendole via dalla punta della
lingua. Spogliò i pensieri delle parole necessarie a descriverli,
lasciandoli nudi e spellati. Indicibili. Intorpiditi. E quindi, agli occhi di
un osservatore esterno, quasi assenti. Lentamente, col passare degli
anni, Estha si ritirò dal mondo. Si abituò alla piovra irrequieta che gli
viveva dentro e che schizzava inchiostro anestetizzante sul passato. A
poco a poco la ragione del silenzio scomparve, seppellita in qualche
punto profondo tra le pieghe consolanti di quella realtà.
Quando Khubchand, il suo amato bastardino di diciassette anni,
cieco, spelacchiato e incontinente, decise di mettere in scena la sua
miserevole e prolissa morte, Estha lo curò e lo assistette fino al
travaglio finale come se ne andasse della propria vita. Negli ultimi mesi
di vita Khubchand, dotato delle migliori intenzioni ma della meno
affidabile delle vesciche, si trascinava fino alla gattaiola della porta che
dava sul giardino sul retro, spingeva la testa fuori e faceva una pipì
intermittente e giallobrillante dentro casa. Poi, con la vescica vuota e la
coscienza limpida, alzava su Estha gli occhi verde opaco piantati nel
cranio grigiastro come due pozzanghere schiumose e ondeggiando
tornava al suo cuscino, lasciando impronte bagnate sul pavimento.
Mentre Khubchand giaceva morente nella cuccia, Estha vedeva la
finestra della camera da letto riflessa nelle sue pupille violacee e lucide.
E il cielo dietro. E una volta un uccello che volava. A Estha, immerso
nell'odore di rose vecchie, insanguinato dal ricordo di un uomo fatto a
pezzi, il fatto che qualcosa di così fragile, di così insopportabilmente
tenero fosse sopravvissuto, avesse avuto il permesso di esistere,
sembrava un miracolo. Un uccello in volo riflesso nelle pupille di un
vecchio cane. La cosa gli strappò un largo sorriso.
Dopo la morte di Khubchand Estha cominciò le sue passeggiate.
Camminava per ore e ore. Dapprima non usciva dal quartiere, ma a
poco a poco si spinse sempre più lontano.
La gente si abituò a vederlo per strada. Un uomo ben vestito dal
passo tranquillo. Il viso gli si scurì e prese l'aspetto di chi vive molto
all'aria aperta. Cominciò a sembrare più saggio di quanto in realtà non
fosse. Come un pescatore in città. Pieno di segreti marini.
Adesso che era stato riRestituito, Estha camminava per tutta
Ayemenem. Certi giorni camminava lungo gli argini del fiume che
puzzava di merda e dei pesticidi portati dai prestiti della Banca
Mondiale. I pesci erano morti quasi tutti. I pochi sopravvissuti avevano
le pinne marce ed erano pieni di pustole.
Altri giorni si incamminava lungo la strada. Oltre le case nuove
fatte coi soldi arrivati dal Golfo Persico, con tanto di riscaldamento e
aria condizionata, per infermiere, muratori, lattonieri e impiegati di
banca che facevano lavori duri e ingrati in posti remoti. Oltre le case
più vecchie, offese e pitturate di verdeinvidia, rannicchiate in fondo ai
loro vialetti privati, fra i loro privati alberi della gomma. Ognuna un
vacillante feudo con un'epopea tutta sua.
Camminava oltre la scuola che il suo bisnonno aveva costruito per
i bambini Intoccabili.
Oltre la chiesa gialla di Sophie Mol. Oltre il Club Giovanile di
Kung Fu di Ayemenem. Oltre l'Asilo Infantile –Teneri Boccioli (per
Toccabili), oltre la bottega di generi alimentari che vendeva riso,
zucchero e banane penzolanti a grappoli gialli dal soffitto. Riviste
semipornografiche dozzinali che parlavano di immaginari maniaci
sessuali del Sud dell'India erano appese con le mollette per i panni alle
corde attaccate al soffitto. Roteavano pigre nella brezza calda, tentando
gli onesti acquirenti di generi alimentari con scorci di donne nude e for
mose che giacevano in pozze di sangue finto.
A volte Estha passava davanti alla Lucky Press, la tipografia del
vecchio Compagno K. N.M. Pillai, un tempo sede del partitO comunista
di Ayemenem, dove si tenevano seminari nel cuore della notte e si
stampavano e diffondevano volantini con i gloriosi versi delle canzoni
del partito marxista. La bandiera che sventolava sul tetto era ormai
vecchia e moscia. Tutto il rosso era stato salassato via.
Il mattino il Compagno Piilai in persona usciva fuori con una
maglia Aertex grigiastra, le palle in evidenza sotto il morbido mundu
bianco. Si ungeva con olio di cocco caldo pepato, massaggiando la
vecchia carne floscia che si staccava con facilità dalle ossa, come
chevvinggum. Il Compagno Pillai ormai viveva da solo. Sua moglie,
Kalyani, era morta di cancro alle ovaie. Suo figlio, Lenin, si era
trasferito a Delhi dove lavorava a contratto per le ambasciate straniere.
Se si trovava davanti a casa intento a ungersi quando Estha
passava, il Compagno Pillai si faceva un dovere di salutarlo.
-Estha Mon! gridava con la voce acuta e stridula, ormai consumata
e fibrosa come una canna da zucchero spogliata della sua scorza.
-Buongiorno! La solita passeggiata igienica?
Estha passava oltre, non sgarbato, non cortese. Tranquillo e basta.
Il Compagno Pillai si dava degli schiaffi dappertutto per favorire
la circolazione. Non capiva se dopo tutti quegli anni Estha lo
riconoscesse ancora. Non che la cosa gli importasse più di tanto. Anche
se la sua parte in tutta la faccenda non era stata per niente trascurabile,
il Compagno Pillai non si considerava affatto responsabile di quello che
era successo. Liquidava l'intera vicenda come l'Inevitabile Conseguenza
di una Politica Necessaria. La vecchia storia delle uova e della frittata.
Ma allora il Compagno K. N.M. Pillai era essenzialmente un uomo
politico. Far frittate era il suo mestiere. Attraversava ilmondo come un
camaleonte. Senza mai uscire allo scoperto, ma anche senza mai lasciar
vedere che faceva così. Ed emergeva sempre incolume dal caos.
Fu il primo ad Ayemenem a sapere del ritorno di Rahel. La notizia,
più che turbarlo, eccitò la sua curiosità. Per lui Estha era quasi un
estraneo. Il suo allontanamento da Ayemenem era stato così brusco e
improvviso, ed era stato tanto tempo prima. Ma Rahel il Compagno
Pillai la conosceva bene. L'aveva vista crescere. Si domandò che cosa
l'avesse indotta a tornare. Dopo tutti quegli anni.

Fino all'arrivo di Rahel c'era stato silenzio nel cervello di Estha.


Ma lei aveva portato con sé il rumore di treni in corsa e la luce e
l'ombra che ti cadono addosso quando stai seduto vicino al finestrino. Il
mondo, chiuso fuori da anni, improvvisamente dilagò e ora Estha, con
tutto quel rumore, non riusciva più a sentire se stesso. Treni. Traffico.
Musica. La Borsa Valori. Era esplosa una diga e acque furibonde
spazzavano via tutto in un moto vorticoso. Comete, violini, parate,
solitudine, nuvole, barbe, bigotti, elenchi, bandiere, terremoti,
disperazione, tutto era trascinato via in un vortice disordinato.
Ed Estha, camminando lungo l'argine del fiume, non riusciva a
sentire il bagnato della pioggia o il brivido improvviso del cucciolo
infreddolito che l'aveva temporaneamente adottato e che gli sguazzava
accanto. Superò il vecchio albero di mangostano fermandosi sull'orlo di
uno sperone di laterite che si allungava nel fiume. Si accoccolò sui
talloni e si dondolò sotto la pioggia. Il fango molle sotto le suole faceva
dei versi risucchianti e scurrili. Il cucciolo infreddolito rabbrividiva, e
guardava.
Baby Kochamma e Kochu Maria, la cuoca nanerottola dal cuore
inacetato e dalla collera facile, erano le uniche persone rimaste nella
casa di Ayemenem quando Estha venne riRestituito. Mammachi, la
nonna, era morta. Chacko si era trasferito in Canada e gestiva un poco
redditizio commercio di antichità.
Quanto a Rahel...
Quando Ammu morì (dopo la sua ultima visita ad Ayemenem,
gonfia di cortisone e con un rumore nel petto che sembrava un uomo
che gridava in lontananza), Rahel andò alla deriva. Da una scuola
all'altra. Passava le vacanze ad Ayemenem praticamente ignorata da
Chacko e Mammachi (rammolliti dal dolore, sprofondati nella
disperazione come un paio di bevitori di toddy) e praticamente
ignorando Baby Kochamma. Per quel che riguardava l'educazione di
Rahel, Chacko e Mammachi cercarono di occuparsene, senza riuscirci.
Fornivano il necessario (cibo, vestiti, tasse scolastiche), ma negavano
l'interessamento.
La Perdita di Sophie Mol si aggirava con passi felpati attorno alla
Casa di Ayemenem, come una quieta cosina in calzettoni. Si
nascondeva nei libri e nel mangiare. Nella custodia del violino di
Mammachi. Nelle croste delle pustole sulle caviglie di Chacko, che gli
davano sempre tanto pensiero. Nelle sue gambe fiacche, da donna.
E strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a
lungo del ricordo della vita che essa ha rubato. Nel corso degli anni, il
ricordo di Sophie Mol (la ricercatrice di piccole perle di saggezza: Dove
vanno a morire gli uccelli vecchi? Perché quelli che muoiono non
piombano giù dal cielo come pietre? L'araldo di dure realtà: Voi due
siete tutti negri, io solo a metà. La guru del sangue sparso: Ho visto un
incidente dove a un uomo gli erano schizzati fuori gli occhi e gli
dondolavano in fondo a un nervo come yoyo) pian piano sbiadì, la
Perdita di Sophie Mol crebbe robusta e vitale. Sempre presente.
Come un frutto di stagione. Di ogni stagione. Fissa come un impiego
statale. E accompagnò Rahel per tutta l'infanzia (da una scuola all'altra)
finché non diventò donna.
All'eta di undici anni, al Convento di Nazareth, Rahel finì per la
prima volta sulla lista nera perché l'avevano sorpresa davanti al cancello
del giardino della direttrice che decorava con dei fiorellini un
monticello di sterco fresco di vacca. Il giorno dopo, davanti a tutta la
scuola, dovette cercare –depravazione sul vocabolario e leggerne ad alta
voce il significato. -La qualità o condizione di chi è depravato o
corrotto lesse Rahel con una fila di suore dalle bocche rigide sedute
dietro di lei e, davanti, un mare di allieve ridacchianti. –Qualità
pervertita; perversione morale; (teol.) la corruzione innata della natura
umana dovuta al peccato originale. "Sia gli eletti che i noneletti
vengono al mondo in uno stato di totale dealienazione da Dio, e, lasciati
a se stessi, non possono far altro che peccare.' J. H. Blunt.
Sei mesi più tardi, in seguito alle ripetute lagnanze da parte delle
ragazze più grandi, Rahel venne espulsa. L'avevano accusata (del tutto a
ragione) di appostarsi dietro le porte e spintonare apposta le allieve più
grandi. Quando il preside la interrogò sulla faccenda (fu allettata,
bacchettata, affamata), alla fine Rahel ammise di averlo fatto per
scoprire se i seni facevano male. Ma, in quella cristiana istituzione, i
seni non erano riconosciuti. Non si credeva alla loro esistenza e, dato
che non esistevano, come potevano dolere?
Fu la prima di tre espulsioni. La seconda perché fu sorpresa a
fumare. La terza perché aveva dato fuoco allo chignon posticcio della
Direttrice del convitto, chignon che, sotto coercizione, Rahel confessò
di aver rubato.
In ciascuna delle scuole che frequentò gli insegnanti notarono che:
a) era una ragazzina molto beneducata;
b) non aveva amici.
La sua pareva una forma molto civile e solitaria di corruzione. E
proprio per questo motivo, tutti loro ne convenivano (assaporando la
professorale disapprovazione, tastandola con la punta della lingua,
succhiandola come una caramella), ancor più grave. Era, si
sussurravano a vicenda, come se non sapesse comportarsi da ragazza.

E non è che fossero troppo fuori strada.


Stranamente, la mancanza di attenzioni aveva provocato in lei
un'imprevista liberazione dello spirito.
Rahel crebbe senza direttive. Senza nessuno che le combinasse un
matrimonio. Senza nessuno che le fornisse una dote e quindi senza che
un marito obbligatorio si profilasse all'orizzonte.
Finché non faceva troppe storie, era libera di condurre le proprie
indagini personali: sui seni e su quanto dolevano. Sugli chignon e su
quanto facilmente prendevano fuoco. Sulla vita e su come andava
vissuta.
Finite le scuole superiori, Rahel ottenne l'ammissione a un
mediocre corso di architettura a Delhi. Non era il risultato di un serio
interesse per l'architettura. E nemmeno di un interesse superficiale, in
verità. E solo che le capitò di dare l'esame di ammissione e di passarlo.
La commissione restò impressionata più dalle dimensioni (enormi) delle
sue nature morte a carboncino che dalla sua maestria. Quel disegno
sciatto, spericolato, fu scambiato per sicurezza artistica, benché, in
verità, la loro autrice non fosse affatto un'artista.
Rahel passò otto anni al college senza finire il corso quinquennale
e senza laurearsi. Le tasse scolastiche erano basse e non era difficile
sopravvivere abitando all'ostello, mangiando nelle mense universitarie
gratuite, assistendo raramente alle lezioni e lavorando invece come
disegnatrice in tetri studi di architetti che sfruttavano il lavoro a buon
mercato degli studenti per fare i disegni di presentazione e per scaricare
la colpa su di loro se i disegni non andavano bene. I compagni,
specialmente i ragazzi, erano intimiditi dalla sua imprevedibilità e dalla
sua quasi selvaggia mancanza di ambizione. Giravano alla larga. Non la
invitavano mai nelle loro graziose casette o alle loro feste chiassose.
Persino i professori diffidavano di lei: diffidavano dei suoi disegni di
edifici bizzarri e poco funzionali presentati su una carta marrone da
quattro soldi e della sua indifferenza alle loro critiche accalorate.
Di tanto in tanto scriveva a Chacko e Mammachi, ma non tornò
mai ad Ayemenem. Nemmeno quando morì Mammachi. Nemmeno
quando Chacko emigrò in Canada.
Dopo un po'"che frequentava il corso di architettura conobbe Larry
McCaslin, che era a Delhi per raccogliere materiale per la sua tesi di
dottorato su Ergonomia e architettura locale. Lui notò Rahel per la
prima volta nella biblioteca universitaria, e poi di nuovo, qualche giorno
dopo, al Khan Market. Portava dei jeans e una maglietta bianca. Si era
avvolta attorno al collo una vecchia coperta patchwork, che si
trascinava dietro come una cappa. I capelli scompigliati erano tirati
indietro per sembrare lisci, mentre non lo erano. Un minuscolo
diamante le luccicava in una narice. Aveva clavicole assurdamente belle
e un bel passo atletico.
Ecco qualcosa di eccitante, si disse Larry McCaslin e la seguì in
una libreria dove nessuno dei due guardò i libri.
Rahel si lasciò attrarre dal matrimonio come un viaggiatore si
lascia attrarre da un sedile libero nella sala d'aspetto di un aeroporto.
C'era la sensazione di Mettersi Giù Comodi. Andò a Boston con Larry
McCaslin.
LarrY era così alto che quando stringeva la moglie tra le braccia,
la guancia di lei contro il suo cuore, le vedeva il cocuzzolo, lo scuro
groviglio dei capelli. E mettendole un dito sull'angolo della bocca
sentiva una lievissima pulsazione. Adorava ritrovare quel posto. E il
debole, incerto saltellare proprio sotto la sua pelle. Lo sfiorava,
ascoltando con gli occhi, come un futuro padre sente i calci del bambino
non ancor nato nella pancia della madre.
La stringeva come se fosse un dono. Dato a lui per amore.
Qualcosa di piccolo e silenzioso. Di insopportabilmente prezioso. Ma
quando facevano l'amore, Larry era ferito dagli occhi di Rahel.
Sembravano appartenere a qualcun altro. Qualcuno che stava a
guardare. Che guardava l'oceano dalla finestra. O una barca sul fiume.
O, nella nebbia, un passante col cappello.
Era esasperato perché non capiva cosa significasse quello sguardo.
Lo collocava a metà strada fra indifferenza e disperazione. Non sapeva
che in certi posti, come quello da cui veniva Rahel, diversi tipi di
disperazione si contendevano il primato. E che la disperazione
personale non poteva mai essere disperata abbastanza. Che qualcosa
accadeva quando il tumulto dentro una persona si abbandonava sfinito
davanti al tempio del vasto, violento, volteggiante, incalzante, ridicolo,
pazzo, velleitario tumulto generale di una nazione. Che il Grande Dio
ululava come il vento rovente ed esigeva adorazione. E allora il Piccolo
Dio (accogliente e modesto, privato e limitato) se ne fuggiva scottato,
ridendo quasi stupito della propria temerarietà. Assuefatto alla continua
conferma della sua irrilevanza, diventava flessibile e indifferente.
Niente contava molto. Molto contava niente. E meno qualcosa contava,
meno ancora contava. E niente era mai abbastanza importante. Perché
erano successe Cose Peggiori. Nel paese da dove lei veniva, sospeso per
l'eternità fra il terrore della guerra e l'orrore della pace, Cose Peggiori
continuavano a succedere.
Così il Piccolo Dio rideva con la sua risata vacua e se la filava via
allegramente. Come un ragazzo ricco in calzoni corti. Fischiettava,
prendeva a calci i sassi. La sua fragile baldanza gli veniva dalla relativa
piccolezza della sua sfortuna. Il Piccolo Dio si arrampicava dentro gli
occhi delle persone e si trasformava in un'espressione esasperante.
Quella che Larry McCaslin vedeva nello sguardo di Rahel, quindi,
non era affatto disperazione, ma una specie di ottimismo forzato. E un
vuoto dove prima c'erano le parole di Estha. Ma come avrebbe potuto
capirlo? Capire che il vuoto di uno dei gemelli era semplicemente una
variante del silenzio dell'altro. Che le due cose si completavano. Come
cucchiai infilati uno nell'altro. Come i corpi di due amanti abituali.
Dopo il divorzio Rahel lavorò per qualche mese come cameriera in
un ristorante indiano di New York. E poi per diver si anni come cassiera
notturna nella cabina a prova di proiettile di un distributore di benzina
fuori Washington, dove ogni tanto gli ubriachi vomitavano nel cassetto
per i soldi e i magnaccia le facevano offerte di lavoro ben più lucrose.
Due volte vide uomini uccisi a colpi di pistola attraverso il finestrino
dell'auto. E una volta vide buttar giù da un'auto in corsa un tizio con un
coltello piantato nella schiena.
Poi Baby Kochamma le scrisse che Estha era stato riRestituito.
Rahel si licenziò dal distributore di benzina e lasciò l'America senza
rimpianti. Per tornare ad Ayemenem. Da Estha, sotto la pioggia.

Nella vecchia casa sulla collina, Baby Kochamma sedeva al tavolo


da pranzo strofinando un cetriolo appassito per toglierne la parte amara,
densa e spumosa. Aveva addosso una camicia da notte floscia, a quadri,
di tela crespa con maniche a palloncino e macchie gialle di curcuma.
Sotto il tavolo faceva dondolare i minuscoli piedi ben curati, come un
bambino su una sedia troppo alta. Erano gonfi per l'edema,
assomigliavano a cuscini gonfiabili a forma di piede. Ai vecchi tempi,
ogni volta che degli ospiti arrivavano ad Ayemenem, Baby Kochamma
si sentiva in dovere di richiamare l'attenzione sulla grossezza dei loro
piedi. Chiedeva di provare le pantofole dell'ospite e diceva: -Guardate
come mi stanno grandi! Poi ciabattava per tutta la casa con quelle
pantofole, sollevando appena la sari perché tutti trasecolassero davanti
alla piccolezza dei suoi piedi.
Lavorava al suo cetriolo con un'aria di malcelato trionfo. Era felice
che Estha non avesse rivolto la parola a Rahel. Che l'avesse guardata e
poi avesse proseguito oltre. Nella pioggia. come faceva con tutti gli
altri.
Baby Kochamma aveva ottantatré anni. Gli occhi spalmati come
burro dietro le lenti spesse degli occhiali.
-Te l'avevo detto, no? disse a Rahel. -Cosa ti aspettavi? Un
trattamento speciale? Ha perso il cervello, te lo dico io! Non riconosce
più la gente! Cosa pensavi?
Rahel non disse niente.
Sentiva il ritmo del dondolio di Estha e il bagnato della pioggia
sulla sua pelle. Sentiva il rauco, affannoso mondo che abitava dentro la
sua testa.
Baby Kochamma guardò Rahel preoccupata. Si stava già pentendo
di averle scritto del ritorno di Estha. Ma cos'altro poteva fare, del resto?
Tenerselo sul groppone per tutta la vita? E perché avrebbe dovuto? Non
era mica responsabile di Estha.
O sì?
Il silenzio sedeva tra pronipote e babyprozia come una terza
persona. Un estraneo. Enfatico. Maligno. Baby Kochamma si disse che
doveva ricordarsi di chiudere a chiave la porta della sua camera da letto,
la sera. Poi cercò di pensare a qualcosa da dire.
-Cosa ne dici della mia pettinatura?
Con la mano del cetriolo si toccò i capelli e si lasciò dietro un
ciuffo amaro e vischioso di schiuma di cetriolo.
A Rahel non venne niente da dire. Stette a guardare Baby
Kochamma che pelava il cetriolo. Il petto costellato di pezzetti di buccia
gialla. I capelli, tinti di nero, erano sistemati attorno al cranio come un
nastro srotolato. La tintura aveva macchiato la fronte di grigio chiaro,
dotandola di una seconda, indistinta attaccatura di capelli. Rahel notò
che aveva cominciato a usare del trucco. Rossetto. Kohl. Un tocco
sbarazzino di fard. E siccome la casa era sempre sbarrata e buia, e
siccome Baby Kochamma credeva solo nelle lampadine da 40 watt, la
bocca fatta col rossetto era leggermente spostata rispetto a quella vera.
Era dimagrita in viso e nelle spalle, e la sua figura da tonda era
diventata conica. Ma seduta al tavolo da pranzo, con gli enormi fianchi
nascosti, riusciva a sembrare quasi fragile. La fioca luce della sala da
pranzo le aveva cancellato le rughe dalla faccia facendola apparire, in
un modo strano, scavato, più giovane. Portava un mucchio di gioielli. I
gioielli della defunta nonna di Rahel. Tutti. Anelli luccicanti. Orecchini
di diamanti. Braccialetti d'oro e al collo una catena d'oro piatta di
meravigliosa fattura, che ogni tanto accarezzava per assicurarsi che
fosse ancora lì, che fosse proprio sua. Come una giovane sposa che non
creda alla propria fortuna.
Vive la vita alla rovescia, pensò Rahel.
Era un'osservazione stranamente azzeccata. Baby Kochamma, in
effetti, aveva vissuto sempre alla rovescia. Da giovane aveva rinunciato
al mondo, e adesso, da vecchia, sembrava accoglierlo a braccia aperte.
Lo abbracciava, e il mondo abbracciava lei.
A diciott'anni Baby Kochamma si era innamorata di un monaco
irlandese giovane e bello, padre Mulligan, che dal seminario di Madras
era stato mandato in missione per un anno nel Kerala. Studiava i testi
sacri dell'induismo per poterli confutare a ragion veduta.
Ogni giovedì mattina padre Mulligan arrivava ad Ayemenem per
far visita al padre di Baby Kochamma, il reverendo E. John Ipe,
sacerdote della chiesa di Mar Thoma. Il reverendo Ipe era celebre nella
locale comunità cristiana come l'uomo che aveva ricevuto la
benedizione personale del Patriarca di Antiochia, capo supremo della
chiesa sirianoortodossa: l'episodio faceva ormai parte del folklore di
Ayemenem.
Nel 1876, quando il padre di Baby Kochamma aveva sette anni, suo
padre l'aveva portato a vedere il Patriarca in visita presso i
sirianoortodossi del Kerala. Si trovarono proprio accanto a un gruppo di
persone che il Patriarca salutava, davanti alla veranda più occidentale di
Kalleny House, a Cochin. Approfittando dell'opportunità, il padre disse
qualcosa all'orecchio del figlioletto e lo spinse avanti. Il futuro
reverendo, piegandosi sui talloni, rigido per la paura, posò le labbra
atterrite sull'anello che il Patriarca portava al dito medio, inumidendolo
di saliva. Il Patriarca si pulì l'anello sulla manica e benedisse il
ragazzino. E molti anni dopo, quando era ormai adulto e prete, il
reverendo Ipe continuava a essere conosciuto come Punnyan Kanju, il
Piccolo Benedetto, e la gente scendeva il fiume in barca fin da Alleppey
ed Ernakulam per fargli benedire i propri figli.
Nonostante la differenza d'età fra padre Mulligan e il reverendo
Ipe fosse notevole e nonostante appartenessero a due diverse
denominazioni della Chiesa (il cui unico sentimento comune era
l'ostilità reciproca), ciascuno apprezzava la compagnia dell'altro e molto
spesso padre Mulligan veniva invitato a fermarsi a pranzo. Dei due
uomini, solo uno riconobbe l'eccitazione sessuale che cresceva come
una marea nella ragazza snella che ciondolava attorno al tavolo
parecchio tempo dopo che era stato sparecchiato.
All'inizio Baby Kochamma tentò di sedurre padre Mulligan con
ben orchestrate esibizioni settimanali di carità. Ogni giovedì mattina,
proprio quando si attendeva l'arrivo di padre Mulligan, Baby
Kochamma prendeva un povero bambino del villaggio e lo sottoponeva
a un bagno forzato, armata di un duro pezzo di sapone rosso che gli
graffiava le costole sporgenti.
-Buongiorno, padre! gridava Baby Kochamma quando lo vedeva
arrivare, con un sorriso che contrastava con la morsa ferrea con cui
teneva il braccio scivoloso di sapone di qualche magro ragazzino.
-Buongiorno a te, Baby! diceva padre Mulligan fermandosi a
chiudere l'ombrello.
-C'è una cosa che vorrei tanto chiederle, Padre diceva Baby
Kochamma. -Nella Prima lettera ai Corinzi, capitolo dieci, versetto
ventitré, è scritto: "Tutte le cose sono lecite per me, ma non tutte sono
vantaggiosé. Ecco, padre, com'è possibile che tutte le cose siano lecite
per Lui? Sì, insomma, posso capire che certe cose sono lecite, ma...
Padre Mulligan non era semplicemente lusingato dall'emozione
che suscitava nell'attraente ragazza che gli stava davanti, con gli occhi
ardenti e la bocca tremante e tutta da baciare. C'era qualcosa di più. Era
giovane anche lui, e non poteva ignorare del tutto che le solenni
spiegazioni con cui dileguava quei fasulli dubbi biblici stonavano con
l'elettrizzante promessa che emanava dai suoi fulgidi occhi di smeraldo.
Ogni giovedì, intrepidi sotto lo spietato sole di mezzogiorno, si
mettevano accanto al pozzo. La ragazza e il prode gesuita, entrambi
vibranti di una passione assai poco cristiana. Usando la Bibbia come
scusa per stare insieme.
E regolarmente, nel mezzo della conversazione, l'infelice
ragazzino tutto insaponato riusciva a sgusciar via e padre Mulligan di
colpo tornava in sé ed esclamava: -Oo! Sarà meglio acchiapparlo prima
che lo acchiappi il raffreddore .
Poi riapriva l'ombrello e si allontanava con la sua tonaca color
cioccolato e i sandali comodi, come un cammello che allunga il passo
per non mancare al suo appuntamento. Se ne andava tenendo al
guinzaglio il cuore dolorante di Baby Kochamma, che lo seguiva da
vicino sobbalzando su foglie e sassolini. Tutto ammaccato e quasi in
pezzi.
Passò un intero anno di giovedì. E arrivò il giorno in cui padre
Mulligan dovette tornare a Madras. Visto che la carità non aveva
prodotto alcun risultato tangibile, la giovane e disperata Baby
Kochamma puntò tutto sulla fede.
Rivelando una caparbia determinazione a perseguire uno scopo (il
che allora era considerato brutto in una ragazza, come una deformità
fisìca: un labbro leporino, forse, o un piede equino), Baby Kochamma
sfidò la volontà del padre e si fece cattolica romana. Ottenendo una
dispensa speciale del Vaticano, chiese di prendere i voti ed entrò in
convento a Madras come novizia. In qualche modo sperava che questo
le avrebbe fornito l'occasione di incontri legittimi con padre Mulligan.
S'immaginava loro due insieme, in buie stanze sepolcrali con pesanti
tende di vè lluto, che discutevano di teologia. Era tutto quello che
desiderava. Che avesse mai osato sperare. Stargli accanto, e basta.
Abbastanza vicina da sentire l'odore della sua barba. Da vedere il ruvido
tessuto della sua tonaca. Da amarlo solo con lo sguardo.
Capì molto presto l'inutilità dei suoi sforzi. Scoprì che le Sorelle
Anziane monopolizzavano preti e arcivescovi con dubbi biblici molto
più sofisticati di quanto avrebbero mai potuto essere i suoi. E potevano
passare anni e anni prima che le riuscisse anche solo di avvicinarsi a
padre Mulligan. La vita in convento cominciò a intristirla e a
tormentarla. Le venne un ostinato sfogo allergico in testa dovuto al
costante sfregamento del soggolo. Si rese conto che parlava inglese
molto meglio delle altre. Cosa che la isolò più che mai.
Dopo nemmeno un anno dal suo ingresso in convento, il padre
cominciò a ricevere lettere sconcertanti. -Carissimo papà, sto bene e
sono felice al servizio di Nostra Signora. Ma Kohinoor sembra infelice
e ha nostalgia di casa. -Carissimo papà, oggi Koinoor ha vomitato dopo
pranzo e le è venuta la febbre. -Carissimo papà, a quanto pare il vitto
del convento non va bene per Kohinoor, anche se io lo trovo
buonissimo. -Carissimo papà, Kohinoor sta male perche sembra che i
suoi non capiscano e non abbiano a cuore il suo benessere . ..
A parte il famoso diamante (famoso a quel tempo), considerato il
più grande del mondo, il reverendo E. John Ipe non conosceva altri
Kohinoor. Si domandò come una ragazza dal nome musulmano fosse
finita in un convento di suore cattoliche.
Fu la madre di Baby Kochamma a capire, alla fine: Kohinoor altri
non era che la stessa Baby Kochamma. Si ricordòche tanto tempo prima
aveva mostrato a Baby Kochamma una copia del testamento di suo
padre (il nonno di Baby Kochamma), in cui il vecchio, parlando dei
propri nipoti, aveva scritto: -Ho sette gioielli, uno dei quali è il mio
Kohinoor . Il testamento proseguiva indicando le piccole somme di
denaro e i gioielli di scarso valore che andavano a ciascun nipote, senza
mai chiarire quale dei sette fosse il suo Kohinoor. La madre di Baby
Kochamma si rese conto che sua figlia, per qualche ragione a lei ignota,
aveva deciso che il nonno si riferiva a lei; e dopo tutti quegli anni in
convento, sapendo che le lettere prima di essere imbucate venivano lette
dalla Madre Superiora, aveva resuscitato Kohinoor per comunicare alla
famiglia tutti i suoi tormenti. Il reverendo Ipe andò a Madras a levare
sua figlia dal convento. Lei fu contenta di andarsene, ma rifiutò di
riconvertirsi e per il resto dei suoi giorni fu cattolica romana. Il
reverendo Ipe si rese conto che a quel punto sua figlia si era fatta una -
reputazione ed era improbabile che trovasse marito. Decise che, dal
momento che non si sarebbe sposata, non c'era niente di male a farla
studiare. Così arrangiò le cose in modo che potesse seguire un corso
all'università di Rochester, in America.
Due anni più tardi, Baby Kochamma tornò da Rochester con un
diploma di Giardinaggio Ornamentale, più innamorata che mai di padre
Mulligan. Della ragazza snella e attraente di un tempo non era rimasta
traccia. Negli anni trascorsi a Rochester, Baby Kochamma era diventata
grassa. Anzi, a dirla tutta, era obesa. Persino il timido, piccolo sarto
Chellappen a Chungam Bridge si impuntava a farle pagare i corpetti
lostesso prezzo dei camicioni.
Perché non se ne stesse a rimuginare, suo padre la incaricò di
occuparsi del verde davanti alla Casa di Ayemenem, dove lei fece
crescere un giardino irto e aspro, che la gente andava a vedere fin da
Kottayam.
Era un appezzamento circolare e in pendenza, circondato da un
ripido vialetto di ghiaia. Baby Kochamma lo trasformò in un
lussureggiante labirinto di siepi nane, rocce e gargoyle. Il fiore che
preferiva era l'anturio. L'Anthurium andreanum. Ne aveva un'intera
collezione. Coltivava il -rubrum il -luna di miele e un'infinità di altre
varietà giapponesi. La loro unica spata lucida va dal nero screziato al
rosso sangue e all'arancione acceso. Gli spadici sono sporgenti e sempre
gialli. Al centro del giardino di Baby Kochamma, circondato da ciuffi di
canne e di phlox, un putto di marmo pisciava il suo incessante arco
argenteo dentro una bassa vasca dove fioriva un unico loto blu. Ai
quattro angoli della vasca, quattro gnomi rosa di gesso di Parigi, con le
guance rosse e il berretto rosso a punta.
Baby Kochamma passava i pomeriggi in giardino. In sari e
stivaloni di gomma. Maneggiava un enorme paio di cesoie con i suoi
guanti da giardinaggio di un arancione brillante. Come un domatore di
leoni, domava tortuosi rampicanti e ammansiva cactus irsuti. Teneva a
freno le piante bonsai e coccolava rare orchidee. Ingaggiò una battaglia
contro il clima. Cercò di far crescere le stelle alpine e lo psidio
giapponese.
Tutte le sere si incremava i piedi con vera crema di latte e si
toglieva le pellicine dalle unghie.
E ora, dopo aver resistito a più di mezzo secolo di cure incessanti
e meticolose, il giardino ornamentale era stato abbandonato. Lasciato a
se stesso, si era inselvatichito, come un circo i cui animali avessero
dimenticato i loro giochi di abilità. L'erbaccia che la gente chiamava
patcha comunista (perché prosperava nel Kerala come il comunismo)
soffocò le piante più esotiche. Solo i rampicanti continuarono a
crescere, come le unghie déi piedi di un cadavere. Arrivarono alle narici
degli gnomi di gesso rosa e fiorirono dentro le loro teste vuote, dando
loro un'espressione un po'"stupita, come di uno che è lì lì per starnutire.
La ragione di tale improvviso e sbrigativo abbandono era un
nuovo amore. Baby Kochamma aveva fatto installare un'antenna
parabolica sul tetto della casa di Ayemenem; e adesso presiedeva il
Mondo dal soggiorno di casa grazie alla tivù via satellite. L'assurda
eccitazione che questo provocava in Baby Kochamma non era difficile
da capire. Non fu una cosa graduale. Accadde tutto in una notte.
Bionde, sesso, musica, guerre, carestie, calcio, colpi di stato, arrivarono
tutti con lo stesso treno. Disfarono tutti insieme le valigie. Scesero nello
stesso albergo. E ad Ayemenem, dove un tempo il rumore più forte era
quello musicale della tromba della corriera, adesso si potevano far
arrivare guerre, carestie, pittoreschi massacri e Bill Clinton con la stessa
facilità con cui si chiamano i domestici. Così tutto quel suo giardino
ornamentale avvizzì e morì, mentre Baby Kochamma seguiva il
campionato NBA di basket, gli incontri di cricket e tutti i tornei di
tennis del Grande Slam. Durante la settimana guardava Beautiful e
Santa Barbara, in cui algide bionde con il rossetto e le pettinature rigide
di lacca seducevano androidi e difendevano i loro imperi sessuali. Baby
Kochamma adorava quei loro abiti luccicanti e quelle battute caustiche
e maligne. Durante il giorno le tornavano in mente brandelli sparsi di
dialogo e ridacchiava tra se.
Kochu Maria, la cuoca, portava pesanti orecchini d'oro che le
avevano deformato per sempre i lobi delle orecchie. Lei amava
ilWrestling Mania Show, dove Hulk Hogan e Mister Perfect, col collo
più largo della testa, indossavano luccicanti pagliaccetti di lycra e si
picchiavano brutalmente. La risata di Kochu Maria aveva quel suono
leggermente crudele che si sente talvolta in quella dei bambini piccoli.
Stavano tutto il giorno sedute in salotto, Baby Kochamma sulla
poltrona di vimini o sulla chaiselongue (dipendeva dalle condizioni dei
piedi), Kochu Maria seduta accanto a lei sul pavimento (facendo lo
zapping ogni volta che poteva), rinchiuse assieme in un rumoroso
silenzio televisivo. I capelli dell'una di un bianco candido, quelli
dell'altra neri come il carbone. Partecipavano a tutti i concorsi,
approfittavano di tutte le offerte che venivano reclamizzate e una volta
avevano vinto una maglietta, un'altra un thermos che Baby Kochamma
teneva chiuso a chiave nell'armadio.
Baby Kochamma amava la casa di Ayemenem e coccolava i mobili
che aveva ereditato, vivendo più a lungo di tutti gli altri. Il violino e il
leggio di Mammachi, gli armadi di Uty, le poltrone di vimini, i letti di
Delhi, la toilette viennese coi pomelli d'avorio pieni di crepe. Il tavolo
da pranzo di palissandro costruito da Velutha.
Le carestie della BBC e le guerre televisive che incontrava
surfando da un canale all'altro la atterrivano. Le vecchie paure della
Rivoluzione e del pericolo marxistaleninista erano state risvegliate in lei
dai nuovi allarmi televisivi riguardo al numero crescente di disperati e
reietti. Pulizia etnica, carestia e genocidio erano per lei minacce dirette
alla sua mobilia.
Teneva porte e finestre sempre chiuse, a meno che non le stesse
usando. Apriva le finestre con obiettivi precisi. Per una Boccata d'Aria
Fresca. Per Pagare il Latte. Per Far Uscire una vespa Intrappolata (che
Kochu Maria doveva inseguire per tutta la casa armata di uno straccio).
Chiudeva a chiave persino il triste frigorifero dalla vernice
scrostata dove teneva la sua scorta settimanale di focaccine alla crema
che Kochu Maria le portava dal Forno Centrale di Kottayam, e le due
bottiglie di acqua di riso che lei beveva al posto della semplice acqua.
Sul ripiano sotto il termostato conservava i resti del servizio da pranzo
di Mammachi, quello coi disegni cinesi blu.
La dozzina di flaconi di insulina che Rahel le aveva portato stava
nello scomparto del burro e del formaggio. Baby Kochamma sospettava
che di questi tempi anche i tipi dall'aria più ingenua e innocente
potessero essere trafugatori di terraglie, smaniosi divoratori di focaccine
alla crema o ladri diabetici che battevano Ayemenem in cerca di
insulina d'importazione.

Non si fidava nemmeno dei gemelli. Li giudicava Capaci di Tutto.


Ma proprio Tutto. Potevano perfino riprendersi indietro il loro regalo,
pensò, e con una fitta si rese conto con quale velocità aveva
ricominciato a pensarli come un'unica cosa. Dopo tutti quegli anni.
Decisa a non permettere che il passato le strisciasse addosso, modificò
all'istante il suo pensiero. Lei. Lei era capacissima di riprendersi il suo
regalo.
Guardò Rahel in piedi accanto al tavolo da pranzo e notò in lei la
stessa aria stranamente furtiva, la stessa capacità di restare
perfettamente immobile e silenziosa di cui Estha sembrava maestro.
Baby Kochamma si sentiva leggermente intimidita dalla sua calma.
-Allora! disse. La voce stridula, esitante. -Che programmi hai?
Quanto ti fermi? Hai deciso?
Rahel tentò di dire qualcosa. Venne fuori un verso scheggiato.
Come un pezzo di latta. Andò alla finestra e l'aprì. Per una Boccata
d'Aria Fresca.
-Sprangala quando hai finito disse Baby Kochamma, e chiuse il
viso come chiudeva i suoi armadi.

Dalla finestra non si vedeva più il fiume.


Si vedeva, finché Mammachi non aveva fatto chiudere la veranda
sul retro con la prima porta a soffietto di Ayemenem. I ritratti a olio del
reverendo E. John Ipe e di Aleyuty Ammachi (i bisnonni di Estha e
Rahel) erano stati tolti dalla veranda di dietro e messi in quella davanti.
Adesso erano appesi lì, il Piccolo Benedetto e sua moglie, ai due
lati della testa di bufalo impagliata appesa al muro.
Il reverendo Ipe rivolgeva il suo baldanzoso, avito sorriso alla
strada invece che al fiume.
Aleyuty Ammachi sembrava più esitante, quasi volesse girarsi
dall'altra parte ma non potesse farlo. Forse non era stato facile per lei
abbandonare il fiume. Gli occhi erano rivolti nella stessa direzione in
cui guardava suo marito. Ma col cuore guardava dalla parte opposta. I
pesanti, opachi orecchini d'oro kunukku (testimonianza della Bontà del
Piccolo Benedetto) le avevano allungato i lobi e pendevano giù fino alle
spalle. Dai buchi nelle orecchie si vedevano il fiume infocato e gli
alberi scuri che si piegavano sull'acqua. E i pescatori nelle loro barche.
E i pesci.
Anche se dalla casa non si vedeva più il fiume, la casa conservava
ancora un senso di fiume, come una conchiglia conserva sempre il senso
del mare.
Una sensazione rapida, ondulata e guizzante.

Dalla finestra della sala da pranzo, col vento nei capelli, Rahel
vedeva la pioggia tambureggiare sul tetto di lamiera arrugginita di
quella che un tempo era la fabbrica di conserve della nonna.
Conserve & Composte Paradiso.
Stava fra la casa e il fiume.
Una volta facevano sottaceti, succhi, conserve, curry e ananas in
scatola. E marmellata di banane (illegalmente) dopo che la FPO) (Food
Product Organization) l'aveva messa al bando perché secondo i loro
standard non era né una marmellata né una gelatina. Troppo liquida per
essere marmellata, troppo densa per essere gelatina. Una consistenza
ambigua, dissero, inclassificabile.
Stando ai loro libri.
Ripensandoci ora, Rahel aveva l'impressione che queste difficoltà
con le classificazioni, nella sua famiglia, andassero molto più a fondo
della semplice questione marmellatagelatina.
Forse Ammu, Estha e lei erano quelli che avevano trasgredito più
gravemente. Ma non erano stati i soli, ce n'erano stati altri. Tutti loro
avevano infranto delle regole. Tutti loro avevano sconfinato in territori
proibiti. Tutti loro avevano violato le leggi che stabilivano chi
bisognava amare e come. E quanto. Le leggi che facevano nonne le
nonne, zii gli zii, madri le madri, cugini i cugini, marmellata la
marmellata e gelatina la gelatina.
C'era stato un tempo in cui glizii erano diventati padri, le madri
amanti e le cugine erano morte e avevano avuto il loro funerale.
Un tempo in cui l'impensabile era diventato pensabile e
l'impossibile era successo davvero.
La polizia trovò Velutha ancor prima del funerale di Sophie Mol.
Aveva i polsi lacerati dove le manette toccavano la pelle. Fredde
manette dall'odore amaro di metallo. Come i corrimano d'acciaio della
corriera e l'odore delle mani del bigliettaio che ci stava attaccato.
Quando tutto fu finito, Baby Kochamma disse: -Raccoglierai ciò
che hai seminato . Come se lei non avesse avuto niente a che fare né
con la Semina né col Raccolto. Con i suoi minuscoli piedi tornò al
ricamo a punto croce. Le loro piccole punte non toccavano mai il
pavimento. Era stata lei ad avere l'idea che Estha fosse Restituito.
Il dolore e l'amarezza di Margaret Kochamma per la morte della
figlia si attorcigliavano dentro di lei come una molla rabbiosa. Non
disse mai niente, ma nei giorni che passò ad Ayemenem prima di
tornare in Inghilterra, prendeva a schiaffi Estha tutte le volte che
poteva.
Rahel stette a guardare Ammu che riempiva il piccolo baule di
Estha.
-Forse hanno ragione loro disse Ammu in un soffio. -Forse un
ragazzino ha bisogno del suo Baba.
Rahel vide che i suoi occhi erano morti, rossi e morti.

Consultarono una Gemellologa di Hyderabad. L'esperta scrisse che


non era consigliabile separare i gemelli monozigoti, ma che i gemelli
dizigoti non erano diversi dai comuni fratelli e che, Sì, avrebbero
provato il dolore naturale cui vanno incontro i figli di famiglie separate,
ma niente più di questo. Niente fuori dall'ordinario.
E così Estha fu messo su un treno col suo piccolo baule e le sue
scarpe beige a punta avvolte dentro la borsa da viaggio cachi. Prima
classe, tutta la notte sul postale per Madras e poi con un amico del
padre fino a Calcutta.
Aveva un portavivande con sandwich al pomodoro. E un thermos
Aquila con su un'aquila. E delle immagini terribili nella testa.
Pioggia. Acqua impetuosa, nero inchiostro. E un odore.
Dolcenausea. Come rose vecchie nella brezza.
Ma peggio di tutto, portava in sé il ricordo di un uomo giovane
con la bocca da vecchio. Il ricordo di una faccia gonfia e di un sorriso
maciullato, sottosopra. Di una pozza di liquido chiaro che si allargava e
di una lampadina nuda riflessa nella pozza. Di un occhio iniettato di
sangue che si era aperto, aveva vagato e poi si era fissato su di lui. Su
Estha. E cosa aveva fatto Estha? Aveva guardato dritto quella faccia
tanto amata e aveva detto: Sì.
Sì, è stato lui.
La parola che la piovra di Estha non riusciva mai a raggiungere:
Sì. Non bastava passare l'aspirapolvere. Si era ficcata in qualche piega o
fessura, come un filamento di mango fra i molari, che, per quanti sforzi
tu faccia, non riesci a togliere.

Da un punto di vista strettamente pratico, si potrebbe forse dire


che tutto cominciò con l'arrivo di Sophie Mol ad Ayemenem. Forse è
vero che tutto può cambiare in un giorno. Che poche manciate di ore
possono condizionare l'esito di vite intere. E quando lo fanno, quelle
poche manciate di ore, come i resti tratti in salvo da una casa
incendiata, l'orologio annerito, la foto strinata, il mobile bruciacchiato,
vanno disseppellite dalle rovine ed esaminate. Conservate. Spiegate.
Cose normali, piccoli fatti, sventrati e ricostruiti. Impregnati di
significati nuovi. Tutto a un tratto diventano lo scheletro sbiancato di
una storia.
Eppure, dire che tutto cominciò con l'arrivo di Sophie Mol ad
Ayemenem è solo uno dei modi di considerare la faccenda.
Si potrebbe sostenere altrettanto giustamente che in realtà tutto
ebbe inizio migliaia di anni prima. Molto prima che arrivassero i
marxisti. Prima che gli inglesi conquistassero il Malabar, prima della
dominazione portoghese, prima dell'arrivo di Vasco de Gama, prima che
lo Zamorin conquistasse Calicut. Prima che i cadaveri dei tre vescovi
sirianoortodossi dalle tonache viola uccisi dai portoghesi venissero
ripescati in mare, con grovigli di serpenti marini nel petto e ostriche
incollate alle barbe aggrovigliate. Si potrebbe sostenere che cominciò
prima che il cristianesimo arrivasse dal mare e si diffondesse nel Kerala
come il tè da una bustina immersa nell'acqua.
Che tutto cominciò davvero nei giorni in cui furono fissate le
Leggi dell'Amore. Le leggi che stabiliscono chi si deve amare, e come.
E quanto.
E tuttavia, per ragioni strettamente pratiche, in un mondo
irrimediabilmente pratico...

II

La falena di Pappachi

... era una giornata azzurrocielo del dicembre sessantanove (il


millenovecento non si dice). Era quel momento in cui, nella vita di una
famiglia, arriva qualcosa a stanare la sua intima morale dal comodo
riparo dove sta nascosta e a farla salire come una bolla in superficie e
star lì un po'"a galleggiare. In bella vista. Perché tutti vedano.
Una Plymouth azzurrocielo, col sole negli alettoni,superava veloce
le risaie e i vecchi alberi della gomma diretta a Cochin. Più a est, su una
piccola nazione dai paesaggi simili (giungla, fiumi, risaie, comunisti),
venivano sganciate abbastanza bombe da seppellirla tutta sotto dieci
centimetri d'acciaio. Qui, comunque, era tempo di pace e la famiglia
sulla Plymouth viaggiava senza timori o presentimenti.
La Plymouth un tempo era appartenuta a Pappachi, il nonno di
Rahel ed Estha. Adesso che era morto, la Plymouth apparteneva a
Mammachi, la nonna, e Rahel ed Estha erano nella Plymouth e stavano
andando a Cochin per vedere Tutti insieme appassionatamente per la
terza volta. Sapevano a memoria tutte le canzoni.
Dopo il film sarebbero andati all" Hotel Sea Queen col suo odore
di cibi stantii. Avevano prenotato. Il mattino dopo, di buon'ora,
dovevano andare all'aeroporto di Cochin a prendere l'ex moglie di
Chacko, la loro zia inglese, Margaret Kochamma, e la cugina, Sophie
Mol, che arrivavano da Londra per passare il Natale ad Ayemenem.
All'inizio di quello stesso anno il secondo marito di Margaret
Kochamma, Joe, era morto in un incidente stradale. Quando Chacko
aveva saputo dell'incidente le aveva invitate ad Ayemenem. Diceva che
non sopportava che passassero un solitario, triste Natale in Inghilterra.
In una casa troppo piena di ricordi.
Ammu sosteneva che Chacko non aveva mai smesso di amare
Margaret Kochamma. Mammachi non era d'accordo. Le piaceva pensare
che invece non l'avesse mai amata.
Rahel ed Estha non avevano mai visto Sophie Mol. Però ne
avevano sentito parlare molto, nell'ultima settimana. Da Baby
Kochamma, da Kochu Maria e persino da Mammachi. Nemmeno loro
l'avevano mai vista, ma si comportavano come se la conoscessero già.
Era stata la settimana del Cosa Ne Penserà Sophie Mol? Per tutta quella
settimana Baby Kochamma era stata a origliare le conversazioni private
dei gemelli, e ogni volta che li pescava a parlare in malayalam
imponeva loro una piccola multa, prelevata alla fonte. Dalla loro
paghetta. Li obbligava a scrivere delle frasi, i loro -penso li chiamava,
Parlerò sempre in inglese. Parlerò sempre in inglese. Cento volte.
Quando avevano finito, Baby Kochamma cancellava tutto con una
penna rossa per essere sicura che non riciclassero le vecchie frasi in
occasione di nuovi castighi.
Pretese che imparassero una canzone inglese da cantare in
macchina durante il ritorno. Dovevano sillabare bene le parole e stare
molto attenti alla pronuncia. ProooNuuuNciiiaaa.

RejOice in the Lord OrOrlways


And again I say rejOice
RejOice
RejOice
And again I say rejOice.

Il nome completo di Estha era Esthappen Yako. Quello di Rahel


era Rahel. Al Momento Attuale non avevano cognome, perché Ammu
stava pensando di riprendere il suo cognome da nubile, anche se diceva
che fra il cognome del marito e quello del padre a una donna non
restava poi granché da scegliere.
Estha aveva le sue scarpe beige a punta e il ciuffo alla Elvis. Uno
Speciale Ciuffo da Gita. La canzone di Elvis che gli piaceva di più era
Party: -Some people like to rock, some people like to roli mugolava
quando non c'era nessuno a guardarlo, strimpellando la racchetta del
volano e arricciando le labbra come Elvis. -But moonin'an'agroonin"
gonna satisfy mah soul, less have a pardy...
Estha aveva sonnacchiosi occhi a mandorla e dei nuovi denti
davanti, che ancora non erano lunghi uguali. I denti nuovi di Rahel
erano lì che aspettavano dentro le gengive, come parole in una penna.
Era una cosa che sconcertava tutti, il fatto che diciotto minuti di
differenza comportassero una tale discrepanza nella crescita dei denti.
A Rahel, gran parte dei capelli stavano ritti sul capo come una
fontana. Erano tenuti insieme da un LoveinTokyo, due palline alle due
estremità di un elastico, niente a che vedere con l'Amore o con Tokyo.
Nel Kerala i LoveinTokyo hanno superato l'esame del tempo, e ancora
oggi se li chiedete in una rispettabile merceria per signora, è questo che
vi danno. Due palline e un elastico.
L'orologio giocattolo di Rahel aveva l'ora dipinta sopra. Dieci alle
due. Una delle sue ambizioni era quella di possedere un orologio vero
sul quale cambiare l'ora tutte le volte che voleva (perché, secondo il suo
modo di vedere, era a questo che serviva il Tempo). I suoi occhiali da
sole con le lenti rosse e la montatura gialla rendevano il mondo rosso.
Ammu diceva che facevano male agli occhi e l'aveva consigliata di
metterli solo ogni tanto.
Il suo Vestito da Aeroporto era nella valigia di Ammu. Aveva
degli speciali mutandoni in tinta.
Chacko era al volante. Aveva quattro anni più di Ammu. Rahel ed
Estha non potevano chiamarlo Chachen perché quando lo facevano lui li
chiamava Chetan e Cheduthi**. Se lo chiamavano Ammaven lui li
chiamava Appoi e Ammai. - Se lo chiamavano Zio in inglese, lui li
chiamava Ziette, il che In Pubblico era piuttosto imbarazzante. Così lo
chiamavano Chacko. La camera di Chacko era stipata di libri dal
pavimento al soffitto. Lui li aveva letti tutti e ne citava lunghi brani
senza alcun motivo apparente. O quanto meno senza un motivo che gli
altri potessero capire. Quella mattina, per esempio, mentre varcavano in
macchina il cancello di casa e gridavano ciao ciao a Mammachi che li
guardava dalla veranda, Chacko a un tratto aveva detto: -Gatsby alla
fine se la cavò; ma quello che consumava Gatsby, quella polvere
ripugnante che galleggiava sulla scia dei suoi sogni, ridusse
temporaneamente il mio interesse per le rudimentali sofferenze degli
uomini e la loro ebbrezza affannosa .
C'erano così abituati che nessuno si prese la briga di darsi gomita-

** Chachen: “papà”; Chetan: “fratello maggiore; Cheduthi: “moglie del fratello


maggiore”; Ammaven: “zio”; Appoi: “zio paterno”; Ammai: “zio materno (N.d.T.)

te o di fare l'occhiolino. Chacko aveva studiato a Oxford con una borsa


di studio Rhodes, e a lui erano consentiti eccessi ed eccentricità che
erano proibiti a tutti gli altri. Chacko sosteneva che stava scrivendo una
Biografia della Famiglia che la Famiglia gli avrebbe impedito di
pubblicare a suon di quattrini. Ammu diceva che se in famiglia c'era un
candidato al ricatto biografico, quello era proprio Chacko.
Allora, ovviamente. Prima del Terrore.
Nella Plymouth, Ammu era seduta davanti, vicino a Chacko.
Quell'anno compiva ventisette anni, e nella bocca dello stomaco
ospitava la fredda consapevolezza che per lei la vita era già vissuta. La
sua opportunità l'aveva avuta. Ma aveva commesso un errore. Aveva
sposato l'uomo sbagliato.
Ammu aveva finito le scuole lo stesso anno in cui suo padre aveva
deciso di andare in pensione, lasciare Delhi e ritirarsi ad Ayemenem.
Pappachi era convinto che per una donna l'istruzione universitaria fosse
una spesa inutile, per cui Ammu non aveva avuto altra scelta che andare
con loro. C'era ben poco da fare per una ragazza ad Ayemenem, a parte
aspettare proposte di matrimonio e intanto aiutare la madre nelle
faccende di casa. Ma poiché suo padre non aveva abbastanza soldi per
mettere insieme una dote decente, le proposte non arrivavano.
Passarono due anni. Il suo diciottesimo compleanno venne e se ne andò.
Inosservato, o quanto meno non rilevato dai suoi genitori. Ammu
cominciava a disperarsi. Passava le giornate sognando di scappare da
Ayemenem, dalle grinfie del padre irascibile e della madre piena di
amarezza e di disturbi. Escogitò vari piccoli piani. Alla fine uno
funzionò. Pappachi accettò di lasciarle passare l'estate con una lontana
zia che viveva a Calcutta.
Là, al ricevimento di nozze di qualcun altro, Ammu conobbe il suo
futuro marito.
Lavorava nell'Assam come vicedirettore di una piantagione di tè
ed era a Calcutta in vacanza. I suoi un tempo erano ricchi zamindar,
emigrati a Calcutta dal Bengala orientale dopo la Spartizione.
Lui era un uomo piccolo ma ben fatto. Piacente. Portava occhiali
antiquati, che gli conferivano un'aria affidabile e non si accordavano
affatto col suo fascino un po'"rozzo e col suo umorismo primitivo ma
del tutto disarmante. Aveva venticinque anni e già da sei lavorava nella
piantagione di tè. Non era stato al college, il che forse spiegava il suo
umorismo da scolaretto. Chiese la mano di Ammu cinque giorni dopo
che si erano conosciuti. Ammu non finse di essere innamorata di lui. Si
limitò a soppesare i pro e i contro, e accettò. Pensava che qualsiasi cosa,
chiunque sarebbe stato meglio che tornare ad Ayemenem. Scrisse ai
suoi per informarli della decisione. Non risposero.
Ammu ebbe un'elaborata cerimonia nuziale nello stile di Calcutta.
In seguito, ripensando a quella giornata, Ammu capì che lo scintillio un
po'"febbrile negli occhi del novello sposo non era dovuto all'amore o
all'eccitazione in vista dei piaceri della carne, bensì a otto whisky
abbondanti, o giù di lì. Lisci. Senza ghiaccio.
Il suocero di Ammu era presidente del Consiglio
d'amministrazione delle Ferrovie ed era stato campione di boxe a
Cambridge. Era segretario della BABA (Bengal Amateur Boxing
Association. Il suo regalo di matrimonio fu una Fiat rosa cipria che
guidò lui stesso dopo la cerimonia, carica di tutti i gioielli e di gran
parte degli altri regali che gli sposi avevano ricevuto. Morì prima che
nascessero i gemelli, sul tavolo operatorio mentre gli asportavano la
cistifellea. Alla cremazione assistettero tutti i pugili del Bengala. Una
congregazione di prefiche coi nasi rotti e le mascelle sporgenti.
Quando Ammu e suo marito si trasferirono nell'Assam, Ammu,
bella, giovane e spavalda, diventò subito il cuore del Circolo dei
Piantatori. Con la sari portava corpetti scollatissimi sulla schiena e una
borsetta di lamé argentato con il manico a catenella. Fumava sigarette
lunghe con un bocchino d'argento e imparò a fare perfetti anelli di
fumo. Venne fuori che il marito non era semplicemente un forte
bevitore, ma un vero e proprio alcolizzato, con tutta la tortuosità e il
tragico fascino degli alcolizzati. C'erano cose di lui che Ammu non
arrivò mai a capire. Molto tempo dopo averlo lasciato, ancora non
smetteva di domandarsi perché mai mentisse spudoratamente quando
non ce n'era bisogno. Soprattutto quando non ce n'era bisogno.
Chiacchierando con gli amici era capace di sostenere che adorava il
salmone affumicato, mentre Ammu sapeva benissimo che invece lo
odiava. Oppure tornava dal circolo dicendo che aveva visto
Incontriamoci a St Louis, mentre in realtà davano The Bronze
Buckaroo. Quando lei lo metteva di fronte alle sue bugie, lui non dava
mai spiegazioni né offriva scuse. Ridacchiava e basta, spingendo Ammu
a un livello di esasperazione che non avrebbe mai pensato di
raggiungere.
Ammu era incinta di otto mesi, quando scoppiò la guerra con la
Cina. Era l'ottobre del 1962. Le mogli e i figli dei piantatori furono
evacuati dall'Assam. Ammu, troppo incinta per viaggiare, restò nella
piantagione. In novembre, dopo un viaggio in autobus tra scossoni da
far rizzare i capelli in testa, con voci di occupazione cinese e di
imminente sconfitta dell'India, nacquero Estha e Rahel. Al lume di
candela. In un ospedale con le finestre oscurate. Vennero fuori senza
tanto trambusto, a diciotto minuti di distanza l'uno dall'altra. Due
bambini piccoli al posto di uno grosso. Due foche gemelle, scivolose
per via dei succhi della madre. Grinzose per lo sforzo di nascere. Ammu
controllò che non avessero difetti fisici, e poi chiuse gli occhi e si
addormentò.
Contò quattro occhi, quattro orecchie, due bocche, due nasi, venti
dita delle mani e venti perfette unghie dei piedi.
Non si accorse che c'era in loro un'unica anima siamese. Era felice
che fossero nati. Il padre, steso su una dura panca nel corridoio
dell'ospedale, era ubriaco.
Quando i gemelli ebbero due anni, il vizio del bere, aggravato
dalla vita solitaria nella piantagione di tè, l'aveva ormai condotto a uno
stato di stupore alcolico. Passava giorni interi senza alzarsi dal letto e
non andava a lavorare. Alla fine il direttore della piantagione, un
inglese, il signor Hollick, lo convocò nel suo bungalow per -un
discorsetto serio .
Ammu restò sulla veranda di casa aspettando il ritorno del marito.
Era sicura che il signor Hollick voleva parlargli solo per dirgli che era
licenziato. Fu sorpresa quando lo vide tornare abbattuto ma non
distrutto. Il signor Hollick gli aveva fatto una proposta, raccontò ad
Ammu, ma prima di accettare doveva parlarne con lei. Iniziò con
qualche esitazione, evitando lo sguardo della moglie, ma prese coraggio
man mano che proseguiva.
Hollick era stato franco, con il suo giovane assistente. Lo aveva
informato delle lagnanze ricevute sia dagli operai sia dagli altri
vicedirettori.
-Temo di non avere alternative disse, -devo chiederti didimetterti.
Lasciò che il silenzio facesse la sua parte. Permise all'uomo pieno
di pentimento che era seduto dall'altra parte del tavolo di cominciare a
tremare. Lo lasciò piangere. E poi parlò.
-Bè, in effetti, un'alternativa potrebbe esserci... forse riusciamo a
escogitare qualcosa. Pensa in positivo, è quello che dico sempre.
Considera quel che c'è di buono nelle cose. Hollick fece una pausa per
ordinare una tazza di caffè nero. -Sei un uomo molto fortunato, sai?
Magnifica famiglia, bellissimi bambini e una moglie attraente... Accese
una sigaretta e lasciò bruciare il fiammifero finché non riuscì più a
tenerlo tra le dita. -Una moglie estremamente attraente...
Il pianto cessò. Due occhi bruni e perplessi fissarono altri due
occhi verdi opachi e venati di rosso. Finito il caffè, Hollick propose a
Baba di andarsene via per un po'. Una vacanza. In una clinica, forse, per
disintossicarsi. Per tutto il tempo che gli ci voleva per riprendersi. E
mentre lui era via, Hollick suggerì che Ammu stesse nel suo bungalow
per essere -tenuta d'occhio.
Nella piantagione circolava già un bel numero di bambini laceri
dalla pelle chiara, lascito del signor Hollick alle raccoglitrici che gli
andavano a genio. Questa era la sua prima incursione nella cerchia dei
dirigenti.
Ammu guardò la bocca di suo marito che si muoveva formando le
parole. Non disse niente. Lui si sentì a disagio e poi si infuriò per quel
silenzio. All'improvviso si scagliò su di lei, l'afferrò per i capelli, le
dette un pugno e poi perse i sensi per lo sforzo. Ammu prese dalla
libreria il libro più pesante che riuscì a trovare, l'Atlante mondiale del
Reader" s Digest, e lo colpì più forte che poté. Sulla testa. Sulle gambe.
Sulla schiena e sulle spalle. Quando lui riprese conoscenza, si stupì
vedendosi coperto di lividi. Si scusò, strisciando, per la propria
violenza, ma poi cominciò subito a tormentarla perché l'aiutasse nella
sua transazione. Questo rientrava in uno schema fisso. Prima la violenza
da ubriaco, poi il doposbronza molesto. Ad Ammu ripugnava l'odore
medicinale di alcol stantio che trasudava dalla pelle di lui, e il vomito
secco che gli incrostava la bocca tutte le mattine. Quando i suoi eccessi
di violenza cominciarono a includere anche i bambini, ed ebbe inizio la
guerra col Pakistan, Ammu lasciò suo marito e tornò, indesiderata, dai
suoi genitori ad Ayemenem. Tornò a tutto quello da CUi era fuggita
solo pochi anni prima. Salvo che adesso aveva due bambini piccoli. E
più nemmeno un sogno.
Pappachi non credette alla sua storia; non perché stimasse suo
marito, ma semplicemente perché non credeva che un inglese,
qualunque inglese, potesse insidiare la donna di un altro.
Ammu amava i suoi bambini (ovvio), ma la loro vulnerabilità
attonita e la loro disponibilità ad amare le persone che non li amavano
veramente la esasperavano e qualche volta la spingevano a picchiarli...
solo per il loro bene, per educarli.
Era come se la finestra dalla quale era sparito il loro padre fosse
rimasta aperta per far entrare chiunque, senza problemi.
I suoi gemelli le sembravano due ranocchi sperduti, assorbiti l'uno
nell'altra, che saltellavano a braccetto in una strada piena di traffico
pesante. Del tutto dimentichi di quello che i camion fanno ai ranocchi.
Ammu li proteggeva con ferocia. La sua opera di sentinella la esauriva,
rendendola tesa e nervosa. Era svelta a sgridare i suoi figli, ma
altrettanto svelta a offendersi per un torto fatto a loro.
Quanto a lei, sapeva che non le era rimasta alcuna possibilità.
C'era solo Ayemenem, adesso. Una veranda davanti e una veranda di
dietro. Un fiume torrido e una fabbrica di conserve.
E sullo sfondo il costante, assordante, lamentoso miagolio della
locale disapprovazione.
Nel giro di pochi mesi, dopo il ritorno a casa dai suoi, Ammu
imparò a riconoscere in un attimo la faccia ripugnante della
comprensione, e a disprezzarla. Vecchie amiche con barbe incipienti e
svariati doppimenti si sobbarcavano viaggi notturni ad Ayemenem per
compiangerla per il divorzio. Le strizzavano un ginocchio e
gongolavano. Lei doveva lottare contro l'impulso di schiaffeggiarle. O
di torcere loro i capezzoli. Con una chiave inglese. Come Charlot in
Tempi moderni.
Quando si guardava nelle foto del matrimonio, Ammu sentiva che
la do nna che le restituiva lo sguardo non era lei. Era una sciocca sposa
tutta ingioiellata. Con i puntini bianchi di pasta di sandalo sulle
sopracciglia arcuate. Mentre si guardava conciata a quel modo, la sua
morbida bocca si piegava in un sorrisetto amaro al ricordo, non del
matrimonio in se stesso, ma del fatto di essersi prestata a farsi
addobbare con tanta cura prima di salire al patibolo. Sembrava così
assurdo. Così futile.
Come pulire la legna da ardere.
Andò dall'orefice del villaggio e fece fondere la pesante fede
matrimoniale per trasformarla in un braccialetto sottile, con due teste di
serpente, che conservò per Rahel.
Ammu sapeva che le cerimonie nuziali non erano cosa che si
potesse evitare del tutto. Non in pratica, almeno. Ma per il resto dei suoi
giorni si dichiarò favorevole ai matrimoni informali, in abiti normali.
Così erano meno mostruosi, secondo lei.
Di tanto in tanto, quando ascoltava alla radio le sue canzoni
preferite, qualcosa dentro di lei si rimescolava. Un dolore liquido le si
diffondeva sottopelle, e come una maga svaniva da questo mondo per
riapparire in un posto migliore, più felice. In giorni come quelli attorno
a lei c'era un'aria di irrequietezza e di indomabilità. Come se avesse per
il momento messo da parte i suoi doveri di madre e donna divorziata.
Persino il suo fermo passo materno diventava una camminata diversa,
più selvaggia. Si metteva dei fiori nei capelli e portava nello sguardo
magici segreti. Non parlava con nessuno. Passava ore e ore sulla sponda
del fiume con la sua radiolina di plastica a forma di mandarino. Fumava
e faceva nuotate notturne.
Che cos'era che avvicinava Ammu a questo Limite Pericoloso?
Che le dava quest'aria di imprevedibilità? Era quello che si stava
combattendo dentro di lei. Un misto di cose immescolabili. L'infinita
tenerezza della maternità e la rabbia temeraria del pilota suicida. Questo
le cresceva dentro, e alla fine la portò ad amare di notte l'uomo che i
suoi figli amavano di giorno. A usare di notte la barca che loro usavano
di giorno. La barca su cui Estha era seduto, e che Rahel scoprì.
Nelle giornate in cui la radio suonava le canzoni di Ammu la gente
l'evitava compiendo larghi giri attorno a lei, perché tutti convenivano
che era meglio semplicemente Lasciarla Stare.
Altri giorni, quando sorrideva le si formavano fossette profonde.
Aveva un viso delicato e finemente cesellato, sopracciglia nere
arcuate come l'ala di un gabbiano in volo, un naso piccolo e diritto e la
pelle di un luminoso brunonocciola. In quel giorno di dicembre
azzurrocielo i suoi capelli selvaggi e ricciuti sfuggivano a ciocche nel
vento della corsa in macchina. Le spalle, nella blusa senza maniche
della sari, splendevano come se le avessero pulite con una speciale cera
lucidaspalle. Certe volte era la donna più bella che Estha e Rahel
avessero mai visto. E certe volte no.

Sul sedile posteriore della Plymouth, seduta tra Estha e Rahel,


stava Baby Kochamma. Ex suora e incombente babyprozia. Alla
maniera in cui spesso gli sfortunati non amano i compagni di sfortuna,
Baby Kochamma non amava i gemelli, perché li considerava dei
randagi senza padre, segnati dal destino. Peggio ancora, erano degli
Ibridi MezziIndù, che nessun sirianoortodosso con un minimo di
rispetto per se stesso avrebbe mai sposato. Era abbastanza acuta da
accorgersi che soffrivano (come lei) vivendo nella Casa di Ayemenem,
la casa della nonna materna, dove in realtà non avevano alcun diritto di
stare. Baby Kochamma ce l'aveva con Ammu perché la vedeva ribellarsi
a un destino che lei, Baby Kochamma, sentiva di aver accettato con
stile. Il destino della disgraziata donnasenzaUomo. Lei, la triste Baby
Kochammasenzapadre Mulligan. Aveva cercato di convincere se stessa,
nel corso degli anni, che il suo amore non consumato per padre
Mulligan era dovuto solo al proprio riserbo e alla propria
determinazione di fare le cose come si deve.
Abbracciava con convinzione l'opinione comune che una figlia
sposata non avesse alcuna posizione di rilievo nella casa dei suoi
genitori. Una figlia divorziata, poi... secondo Baby Kochamma non
aveva proprio nessuna posizione in nessun posto. E se si trattava di una
figlia divorziata dopo un matrimonio d'amore, bè, non c'erano parole
che potessero descrivere l'indignazione di Baby Kochamma per un
simile oltraggio. Se si prendeva poi una figlia divorziata di un
matrimonio d'amore e intercastale... Baby Kochamma preferiva
conservare in proposito un fremente silenzio.
I gemelli erano troppo piccoli per capire tutto questo, perciò Baby
Kochamma invidiava loro i momenti di gioia suprema: quando una
libellula che avevano catturato sollevava con le zampe un sassolino dal
palmo della loro mano, o quando avevano il permesso di fare il bagno ai
maiali, o quando trovavano un uovo, caldo del calore della gallina. Ma
più di tutto li invidiava per il conforto che si davano l'un l'altro. Si
aspettava da loro qualche segno di infelicità. Come minimo.

Al ritorno dall'aeroporto, Margaret Kochamma si sarebbe seduta


davanti con Chacko perché era stata sua moglie. Sophie Mol sarebbe
stata tra loro due. Ammu doveva spostarsi dietro.
Ci sarebbero stati due thermos d'acqua. Acqua bollita per Margaret
Kochamma e Sophie Mol, acqua del rubinetto per tutti gli altri.
Il bagaglio avrebbe trovato posto nel baule.
Per Rahel baule era una bella parola. Molto più bella, ad ogni
modo, di tarchiato. Tarchiato era una parola tremenda. Come il nome di
un nano. Koshy Umen il Tarchiato: un gradevole nano borghese,
timorato di dio), con il sedere basso e la scriminatura da un lato.
Sul portapacchi della Plymouth c'era un tabellone di legno a
quattro lati montato su un supporto di latta che diceva, su tutti e quattro
i lati, in caratteri elaborati: Conserve e Composte Paradiso. Sotto la
scritta erano dipinti i vasetti della marmellata di frutti misti e della
conserva piccante di lime in olio di semi, con etichette che dicevano, in
caratteri elaborati: Conserve e Composte Paradiso. Accanto ai vasetti
c'era una lista di tutti i prodotti Paradiso e un danzatore kathakali con la
faccia verde e le gonne turbinanti. Lungo il bordo serpeggiante della sua
gonna c'era scritto, su una riga serpeggiante: Imperatori del Reame del
Gusto, contributo non richiesto del Compagno K. N.M. Pillai. Era la
traduzione letterale di Ruchi lokathinde RajaiJu, che suonava
leggermente meno assurdo di Imperatori del Reame del Gusto. Ma dato
che il Compagno Pillai aveva già stampato le etichette, nessuno ebbe
cuore di fargli rifare l'intera partita. Così, purtroppo, Imperatori del
Reame del Gusto divenne un elemento permanente delle etichette delle
Conserve Paradiso.
Ammu diceva che il danzatore kathakali c'entrava come i cavoli a
merenda. Chacko sosteneva che conferiva Colore Locale al prodotto e
sarebbe tornato loro molto utile quando fossero entrati nel Mercato
d'Oltremare.
Ammu diceva che quel tabellone li rendeva ridicoli. Come un
circo ambulante. Con gli alettoni.

Mammachi aveva cominciato a fare conserve da vendere subito dopo


che Pappachi era andato in pensione e da Delhi si era trasferito ad
Ayemenem. La Società Biblica di Kottayam organizzava una fiera e
chiese a Mammachi di fare un po'"della sua famosa marmellata di
banana e del suo mango tenero sott'olio. Si vendette tutto in fretta, e
Mammachi scoprì di avere più ordinazioni di quante riuscisse a
soddisfarne. Elettrizzata dal successo, decise di continuare con le
conserve e le marmellate, e presto si ritrovò occupata tutto l'anno.
Pappachi, da parte sua, aveva reagito male all'ignominia della pensione.
Aveva diciassette anni più di Mammachi, e si rese conto con sgomento
di essere un uomo anziano con una moglie nel fiore degli anni. Sebbene
Mammachi avesse le cornee coniche e fosse già praticamente cieca,
Pappachi non la aiutava con le conserve, perché riteneva che fare
conserve non fosse un lavoro consono a un ex funzionario di alto rango
del Governo. Era sempre stato un uomo geloso, perciò se la prese a
male per le attenzioni che sua moglie all'improvviso riscuoteva.
Ciondolava fra i recipienti con i suoi immacolati abiti su misura,
tracciando cerchi astiosi attorno a monticelli di peperoncini rossi e
curcuma gialla appena polverizzata, guardando Mammachi
sovrintendere all'acquisto, alla pesatura, alla salatura e all'essiccazione
di lime e manghi teneri. Tutte le sere la batteva con un vaso da fiori di
bronzo. Le botte non erano una novità. Nuova era la frequenza con la
quale venivano somministrate. Una notte Pappachi frantumò l'archetto
del violino di Mammachi e lo gettò nel fiume.
Poi Chacko tornò a casa per una vacanza estiva da Oxford. Era
diventato un uomo grande, e a quell'epoca era forte per tutto il remare
che aveva fatto. Una settimana dopo il suo arrivo sorPrese Pappachi che
picchiava Mammachi nello studio. Chacko irruppe nella stanza, afferrò
la manovaso di Pappachi e gliela torse dietro la schiena.
-Non voglio che succeda mai più disse a suo padre.-Mai più.
Per il resto della giornata Pappachi se ne stette sulla veranda,
seduto e immobile come una pietra, a fissare il giardino ornamentale,
ignorando i piatti di cibo che Kochu Maria gli metteva davanti. Più
tardi, quella sera, andò nello studio e portò fuori la sua sedia a dondolo
preferita, di mogano. La collocò nel mezzo del vialetto d'accesso e la
ridusse in pezzi piccolissimi con una chiave inglese da idraulico. La
lasciò là. nel chiaro di luna, un mucchio di vimini verniciato e legno
Scheggiato. Non toccò mai più Mammachi. Ma neppure le parlò più per
il resto della sua vita. Quando gli serviva qualcosa usava Kochu Maria o
Baby Kochamma come intermediarie.
Alla sera, quando sapeva che attendevano qualche visita, lui
sedeva nella veranda e cuciva sulle sue camicie dei bottoni che non si
erano mai staccati, per dare l'impressione che Mammachi lo trascurasse.
Nel suo piccolo, riuscì a intaccare ulteriormente l'immagine che
Ayemenem aveva delle donne sposate che lavoravano.
Comprò la Plymouth azzurrocielo da un vecchio inglese, a
Munnar. Diventò uno spettacolo familiare, ad Ayemenem: Pappachi che
costeggiava con aria d'importanza la stretta stradina con la sua grossa
automobile, tutto elegante di fuori, ma sudando in abbondanza dentro i
suoi vestiti di lana. Non permetteva a Mammachi e a nessuno della
famiglia di usare la macchina, e nemmeno di sedercisi dentro. La
Plymouth era la vendetta di Pappachi.
Pappachi era stato Entomologo Imperiale al Pusa Institute. Dopo
l'Indipendenza, quando gli inglesi se n'erano andati, la sua designazione
cambiò da Entomologo Imperiale a Condirettore, Entomologia. L'anno
che andò in pensione era salito al rango che equivaleva a Direttore.
Il grande scacco della sua vita era che la farfalla notturna che lui
aveva scoperto non portasse il suo nome.
Era caduta nel suo drink una sera mentre era seduto sulla veranda
di un ostello, dopo una lunga giornata passata sul campo. Levandola dal
bicchiere notò i ciuffi dorsali insolitamente fitti. La guardò più da
vicino. Con eccitazione crescente la preparò, la misurò e la mattina
successiva la piazzò al sole per qualche ora in modo che l'alcol
evaporasse. Quindi tornò a Delhi con il primo treno. Dritto verso
l'esame tassonomico e, sperava, verso la fama. Dopo sei insostenibili
mesi di ansia, con gran disappunto si sentì dire che alla fin fine la sua
falena era stata identificata come una razza abbastanza insolita di
unaspecie conosciuta, che apparteneva alla famiglia tropicale delle
Lymantriidae.
Ma la vera mazzata arrivò vent'anni più tardi, quando, in seguito a
un radicale rimescolamento tassonomico, i lepidotterologi decisero che
la falena di Pappachi era in effetti una specie distinta, e pertanto di un
genere sconosciuto alla scienza. A quel tempo, ovviamente, Pappachi
era già in pensione e si era trasferito ad Ayemenem. Era troppo tardi per
affermare il suo diritto sulla scoperta. La sua farfalla prese il nome del
Direttore Incaricato del Dipartimento di Entomologia, un funzionario di
grado inferiore che a Pappachi non era mai piaciuto.
Negli anni a venire, benché il carattere di Pappachi fosse difficile
già prima della scoperta della farfalla, la Falena di Pappachi fu ritenuta
responsabile del suo umore nero e degli improvvisi scoppi di collera. Il
suo spettro funesto, grigio, peloso e con ciuffi dorsali insolitamente
fitti, infestò tutte le case in cui lui visse. Tormentò lui e i suoi figli, i
figli dei figli.
Anche nella calura soffocante di Ayemenem, ogni giorno che dio
mandava in terra, Pappachi portava un abito a tre pezzi ben stirato e il
suo orologio d'oro da taschino. Sul suo tavolo da toilette, accanto alla
colonia e al pettine d'argento, teneva una fotografia che lo ritraeva da
giovane, con i capelli lisciati all'indietro; era una fotografia scattata in
uno studio di Vienna, dove aveva seguito il corso di sei mesi che gli
aveva dato la possibilità di candidarsi per il posto di Entomologo
Imperiale. Era stato in quei pochi mesi passati a Vienna che Mammachi
aveva preso le sue prime lezioni di violino. Lezioni che vennero
bruscamente interrotte quando l'insegnante di Mammachi,
LaunskyTieffenthal, commise l'errore di dire a Pappachi che sua moglie
aveva un talento eccezionale e che, secondo lui possedeva la classe di
una concertista.
Mammachi ritagliò e incollò sull'album di famiglia l'annuncio
della morte di Pappachi comparso sull'Indian Express. Diceva:

Il noto entomologo Shri Benaan John Ipe, figlio del defunto Rev. E. John
Ipe di Ayemenem (noto come Punnyan Kunju), è stato colpito da un grave
attacco di cuore ed è deceduto al Kottayam General Hospital la scorsa
notte. Intorno alle ore 1.05 di mattina aveva accusato dolori al petto, ed era
stato ricoverato d'urgenza. La fine è sopraggiunta alle 2.45. Shri Ipe aveva
goduto di ottima salute fino agli ultimi sei mesi. Lascia la moglie
Soshamma e due figli.

Mammachi pianse tanto, al funerale di Pappachi, che le lenti a


contatto le uscirono di posto. Ammu disse ai gemelli che Mammachi
piangeva perché ormai si era abituata a suo marito, e non perché lo
amasse davvero. Si era abituata a vederlo gironzolare attorno alla
fabbrica di conserve, e si era abituata a una razione di botte di tanto in
tanto. Gli esseri umani sono creature abitudinarie, diceva Ammu, ed è
sorprendente a cosa sono capaci di adattarsi. Vi basta guardarvi attorno,
diceva Ammu, per vedere che le botte col vaso di bronzo non sono che
quisquilie.
Dopo il funerale Mammachi chiese a Rahel di aiutarla a
localizzare le lenti a contatto e a rimuoverle con la piccola ventosa
arancione che serviva allo scopo. Rahel chiese a Mammachi se, dopo la
sua morte, poteva ereditare la ventosa. Ammu la portò fuori dalla stanza
e le dette uno schiaffo.
-Non voglio mai più sentirti parlare della morte delle persone
davanti a loro disse.
Estha disse che Rahel se lo meritava, per essere stata tanto
insensibile.
La fotografia di Pappachi a Vienna, con i capelli leccati
all'indietro, fu incorniciata e appesa nel salotto.
Era un uomo fotogenico, azzimato e strigliato con cura, con una
testa piuttosto grossa per un uomo piccolo. Aveva un incipiente
doppiomento, che si accentuava quando guardava in basso o annuiva.
Nella fotografia era stato attento a tenere la testa abbastanza alta da
nascondere il doppiomento, ma non tanto alta da apparire superbo. I
suoi occhi marrone chiaro erano cortesi ma maligni, come se facesse
uno sforzo per essere civile nei confronti del fotografo mentre meditava
di ammazzargli la moglie. Aveva una piccola protuberanza carnosa al
centro del labbro superiore, che ricadeva su quello inferiore in una
specie di broncio effeminato, di quelli che vengono ai bambini che si
succhiano il dito. Sul mento gli si allungava una fossetta, indizio di una
latente violenza omicida. Una sorta di crudeltà contenuta. Indossava
jodhpur cachi, benché non fosse mai salito su un cavallo in vita sua. Gli
stivali da cavallerizzo riflettevano le luci dello studio del fotografo. In
grembo teneva un frustino di avorio lavorato.
C'era, nella fotografia, un'immobilità vigile, che comunicava un
brivido segreto alla stanza calda in cui era appesa.

Alla sua morte, Pappachi lasciò bauli stipati di abiti costosi e una
scatola da cioccolatini di latta piena di fermacravatta che Chacko
distribuì a taxisti di Kottayam. I fermacravatta furono fusi e trasformati
in anelli e pendenti per le doti delle figlie nubili.
Quando i gemelli chiesero a cosa servissero i fermacravatta, -Per tenere
ferme le cravatte rispose Ammu, rimasero elettrizzati da questo granello
di logica scoperta in quella che fino ad allora era sembrata una lingua
illogica. Ferma + cravatta = Fermacravatta. Questo, ai loro occhi,
rivaleggiava con la precisione e la logica della matematica.
Fermacravatta dava loro una straordinaria (ed esagerata) soddisfazione,
e un affetto autentico nei confronti della lingua inglese.
Ammu diceva che Pappachi era un incurabile CCP britannico.
CCP era l'abbreviazione di chhichhi poach, che in hindi significava
scopino da cesso. Chacko diceva che la giusta definizione per tipi come
Pappachi era Anglofilo. Disse a Rahel ed Estha di guardare Anglofilo
sul Grande dizionario enciclopedico del Reader" s Digest. Diceva:
Persona ben disposta verso gli inglesi. Poi Estha e Rahel dovettero
cercare disporre.
Diceva:

1. Collocare, distribuire, ordinare secondo un criterio.


2. Preparare, provvedere.
3. Mettere nella condizione conveniente, appropriata, adatta.

Chacko disse che nel caso di Pappachi significava 3. Mettere nella


condizione conveniente, appropriata, adatta. Il che voleva dire, spiegò
Chacko, che Pappachi era stato messo nella condizione conveniente,
appropriata, adatta per fargli amare gli inglesi.
Chacko disse ai gemelli che, sebbene odiasse ammetterlo, tutti
loro erano Anglofili. Erano una famiglia di Anglofili. Rivolti nella
direzione sbagliata, intrappolati fuori dalla loro storia e incapaci di
ricalcare i propri passi perché le impronte erano state spazzate via.
Spiegò loro che la storia era come una grande casa di notte. Con tutte le
luci accese e gli antenati dentro che sussurrano.
-Per capire la storia disse Chacko, -dobbiamo entrare e ascoltare
quel che dicono. E leggere i libri e osservare i quadri sulle pareti. E
annusare gli odori.
Estha e Rahel non avevano dubbi che la casa di cui parlava
Chacko fosse quella sulla sponda opposta del fiume, al centro di una
piantagione abbandonata di alberi della gomma, dove loro non erano
mai stati. La casa di Kari Saipu. Il Sahiò Nero. L'inglese che era -
diventato un nativo . Che parlava malayalam e portava il mundu. Il
Kurtz di Ayemenem. E Ayemenem era il suo privato Cuore di Tenebra.
Si era sparato in testa dieci anni prima, quando i genitori del suo
giovane amante gli avevano portato via il ragazzo per mandarlo a
scuola. Dopo il suicidio, la proprietà era diventata oggetto di liti feroci
fra il cuoco di Kari Saipu e il suo segretario. La casa era rimasta vuota
per anni. Pochissimi l'avevano vista all'interno. Ma i gemelli riuscivano
a immaginarsela.
La Casa della Storia.
Con freddi pavimenti di pietra, le pareti scure e ombre
beccheggianti a forma di nave. Grasse lucertole lucide abitavano dietro
a vecchie fotografie e antenati cerei e friabili, con unghie dei piedi
coriacee e aliti che sapevano di mappe ingiallite, spettegolavano tra loro
con sibilanti bisbigli.
-Ma noi non possiamo entrarci spiegò Chacko, -perché siamo stati
chiusi fuori. E quando guardiamo dentro attraverso le finestre, vediamo
solo ombre. E quando cerchiamo di sentire qualcosa, sentiamo solo
bisbigli. E non riusciamo a decifrarli, quei bisbigli, perché le nostre
menti sono invase da una guerra. Una guerra che abbiamo vinto e perso.
Il tipo peggiore di guerra. Una guerra che fa prigionieri i sogni e li
Risogna. Una guerra che ci ha costretto ad ammirare i nostri
conquistatori e a disprezzare noi stessi.
-A sposare i nostri conquistatori, sarebbe meglio dire disse Ammu
asciutta, riferendosi a Margaret Kochamma. Chacko la ignorò. Fece
cercare ai gemelli il significato di Disprezzare. Diceva: Svalutare
apertamente come indegno di sé; non tenere in nessun conto;
disdegnare.
Chacko disse che nel contesto della guerra di cui parlava - la
Guerra dei Sogni, Disprezzare comprendeva tutti quei significati.
-Noi siamo Prigionieri di Guerra disse Chacko. -I nostri sogni
sono stati manipolati. Non apparteniamo a nessun posto. Navighiamo
senza ormeggi in un mare agitato. Non ci sarà mai permesso di
attraccare. I nostri dolori non saranno mai abbastanza tristi. Le nostre
gioie mai abbastanza felici. I nostri sogni mai abbastanza grandiosi. Le
nostre vite mai abbastanza importanti. Per contare qualcosa.
Quindi, per dare a Estha e Rahel il senso della prospettiva storica
(benché la prospettiva fosse una cosa di cui, nelle settimane a venire,
Chacko stesso sarebbe stato desolatamente privo), parlò loro della
Donna Terra. Disse loro di immaginare che la terra, vecchia di
quattromilaseicento milioni di anni - fosse una donna di quarantasei
anni, vecchia, diciamo, come il Maestro Aleyamma, che dava loro
lezioni di malayalam. C'era voluta tutta la vita della Donna Terra perché
la terra diventasse ciò che era. Perché gli oceani si separassero. Perché
le montagne si sollevassero dal suolo. La Donna Terra aveva undici
anni, disse Chacko, quando apparve il primo organismo monocellulare.
I primi animali, creature come i vermi e le meduse, apparvero quando
aveva già quarant'anni. E ne aveva più di quarantacinque, giusto sei
mesi prima, quando i dinosauri vagavano per il pianeta.
-La civiltà umana come noi la conosciamo disse Chacko ai
gemelli, -è iniziata solo due ore fa, nella vita della Donna Terra. Quel
che noi ci mettiamo per andare in macchina da Ayemenem a Cochin.
Era un pensiero solenne e schiacciante, disse Chacko (Schiacciante
era una bella parola, pensò Rahel. Schiacciandosene in giro senza un
pensiero al mondo), quello che l'intera storia contemporanea, le guerre
mondiali, la Guerra dei Sogni, L'Uomo sulla Luna, e scienza,
letteratura, filosofia, le conquiste della conoscenza non fossero nulla più
di un battito di ciglia della Donna Terra.
-E noi, miei cari, così come siamo e saremo, rappresentiamo solo
un luccichio nei suoi occhi disse Chacko in un superbo finale, steso sul
letto a fissare il soffitto.
Quando era di quell'umore, Chacko usava la sua voce da
Conferenza. Nella sua stanza calava un'atmosfera da chiesa. Non gli
importava che ci fosse qualcuno ad ascoltarlo o meno. E se c'era, non
gli importava che questo qualcuno capisse quello che stava dicendo.
Ammu li chiamava i suoi Momenti Oxfordiani.
Più tardi, alla luce di ciò che accadde, luccichio sembrò la parola
meno adatta per descrivere l'espressione degli occhi della Donna Terra.
Luccichio è una parola dagli orli arricciati e festosi.
Anche se la Donna Terra lasciò un'impressione profonda sui
gemelli, era la Casa della Storia, così a portata di mano, ad affascinarli
sul serio. Ci pensavano spesso. La casa sull'altra sponda del fiume.
Incombente nel Cuore della Tenebra.
Una casa dove non potevano entrare, piena di sussurri che non
potevano capire.
Allora non sapevano che presto ci sarebbero entrati. Che
avrebbero attraversato il fiume e sarebbero stati là dove non dovevano
essere, con un uomo che non dovevano amare. Che sarebbero stati a
guardare, con occhi larghi come piattini mentre la storia si rivelava loro
nella veranda posteriore.
Mentre gli altri bambini della loro età imparavano altre cose, Estha
e Rahel impararono che la storia pone le sue condizioni e riscuote ciò
che le è dovuto da coloro che infrangono le sue leggi. Sentirono il suo
colpo sordo e nauseante. Annusarono il suo odore, e non lo
dimenticarono mai più.
L'odore della storia.
Come vecchie rose nella brezza.
Quell'odore avrebbe indugiato per sempre nelle cose di tutti i
giorni. Negli appendiabiti. Nei pomodori. Nell'asfalto delle strade. In
certi colori. Nei piatti al ristorante. Nell'assenza di parole. E nel vuoto
degli occhi.
Dovevano crescere in modo da convivere con ciò che era
accaduto. Avrebbero tentato di dire a se stessi che in termini di ere
geologiche quello era un evento insignificante. Solo un battito di ciglia
della Donna Terra. Che erano successe Cose Peggiori. Che Cose
Peggiori continuavano a succedere. Ma quel pensiero non li avrebbe
consolati.
Chacko disse che andare a vedere Tutti insieme appassionatamente
era un esercizio protratto di Anglofilia.
Ammu disse: -Oh, andiamo, tutto il mondo vede Tutti insieme
appassionatamente. E un Successo Mondiale .
-Ciononostante, mia cara disse Chacko con la sua voce da
Conferenza. -Ciò. Non. Ostante.
Mammachi diceva spesso che Chacko era probabilmente uno degli
uomini più intelligenti dell'India. -Secondo chi? diceva sempre Ammu. -
Che prove ci sono? A Mammachi piaceva raccontare la storia (una
storia riferita da Chacko) di quando uno dei professori di Oxford aveva
detto che, secondo la sua opinione, Chacko era brillante, e fatto di stoffa
primoministeriale.
Al che Ammu ogni volta diceva: -Ha! Ha! Ha! come un
personaggio dei fumetti.
Diceva:
a) Andare a Oxford non rende necessariamente una persona
intelligente.
b) L'intelligenza non fa necessariamente un buon primo ministro.
c) Se uno non riesce nemmeno a gestire una fabbrica di conserve
in modo che renda, come potrebbe governare un intero paese?
E, più importante di tutto:
d) Tutte le madri indiane hanno l'ossessione dei loro figli maschi e
sono quindi dei giudici molto parziali.
Chacko diceva:
a) Non si va a Oxford. Si frequenta Oxford.
b) Dopo aver frequentato Oxford non si può far altro che venir giù.
-Giù per terra, vuoi dire? chiedeva Ammu. -Perché è questo quello
che hai fatto. Come i tuoi famosi aeroplani.
Ammu diceva che il triste ma del tutto prevedibile destino degli
aeroplani di Chacko era un buon metro per misurare le sue attitudini.
Una volta al mese (salvo che durante i monsoni) arrivava un pacco
con la VPP per Chacko. Conteneva sempre un kit per aeromodelli in
balsa. Di solito Chacko ci metteva dagli otto ai dieci giorni ad
assemblare l'aeromodello, con i sottili serbatoi per il carburante e le
eliche col motore. Una volta finito, portava Estha e Rahel nelle risaie di
Nattakom perché lo aiutassero a farlo volare. Nessuno volò mai per più
di un minuto. Mese dopo mese, gli aeroplani montati con cura da
Chacko si schiantavano nelle risaie verdefango in mezzo alle quali
Estha e Rahel scattavano, come cani da riporto ben addestrati, per trarre
in salvo i resti.
Una coda, un serbatoio, un'ala.
Un motore ferito.
La stanza di Chacko era stipata di aeroplani di legno rotti E ogni
mese arrivava un altro kit. Chacko non attribuiva mai la colpa degli
incidenti al materiale difettoso.

Fu solo dopo la morte di Pappachi che Chacko smise di lavorare


come lettore al Madras Christian College, e si trasferì ad Ayemenem
con i suoi sogni da Rematore di Balliol e da Barone delle Conserve.
Riscattò la pensione e il fondo di previdenza per comprare una
macchina sigillatrice Bharat. Il suo remo (con i nomi dei compagni di
regata incisi in oro) pendeva dal muro della fabbrica, sostenuto da due
anelli d'acciaio.
Fino all'arrivo di Chacko, la fabbrica era un'impresa piccola ma
redditizia. Mammachi la mandava avanti come una grande cucina.
Chacko la fece registrare come società e informò Mammachi che lei era
il socio occulto. Investì in macchinari (macchine imbottigliatrici,
calderoni, fornelli) e aumentò la forza lavoro. Quasi subito ci fu lo
scivolone finanziario, ammortizzato artificiosamente con assurdi prestiti
bancari ottenuti ipotecando le risaie di famiglia che circondavano la
Casa di Ayemenem. Sebbene Ammu lavorasse per la fabbrica tanto
quanto Chacko, ogni volta che trattava con ispettori alimentari o tecnici
della sanità lui diceva sempre la mia fabbrica, i miei ananas, le mie
conserve. Dal punto di vista legale era nel giusto perché Ammu, come
figlia femmina, non aveva diritti sulla proprietà.
Chacko disse a Rahel ed Estha che Ammu non aveva diritto a stare
in nessun posto. Non aveva Locustandi.
-Grazie alla nostra meravigliosa società maschile sciovinista .
disse Ammu.
Disse Chacko: -Quello che è tuo è mio e quello che è mio è
sempre mio .
Aveva una risata sorprendentemente forte, per un uomo della sua
taglia e grassezza. E quando rideva si scuoteva tutto senza in apparenza
muoversi.
Finché Chacko non arrivò ad Ayemenem, la fabbrica di
Mammachi era senza un nome. Tutti si riferivano alle sue conserve e
marmellate chiamandole il Mango Tenero di Sosha o la Marmellata di
Banana di Sosha. Sosha era il nome di battesimo di Mammachi.
Soshamma.
Fu Chacko a battezzare la fabbrica Conserve & Composte
Paradiso, e fece fare le etichette con disegni e scritte alla tipografia del
Compagno K. N.M. Pillai. In principio voleva chiamarla Conserve &
Composte Zeus, ma l'idea fu bocciata perché tutti dissero che Zeus era
troppo sconosciuto e non aveva rilevanza locale, mentre Paradiso sì. (Il
suggerimento avanzato dal compagno Pillai, Conserve Parashuram**,
fu bocciato per il motivo opposto: troppa rilevanza locale.)
Fu Chacko che fece fare il cartellone dipinto e lo fece installare sul
tetto della Plymouth.

E adesso, sulla strada per Cochin, il tabellone sferragliava


mandando segnali di un crollo imminente.
Nei pressi di Vaikom dovettero fermarsi a comprare della corda
per fissarlo più saldamente. Questo fece perdere altri venti minuti.
Rahel cominciava a temere di non arrivare in tempo per Tutti insieme
appassionatamente.
Poi, quando già si stavano avvicinando ai sobborghi di Cochin, il
braccio bianco e rosso del passaggio a livello si abbasso. Rahel sapeva
perché era successo: perché lei stava sperando che non succedesse.
Non aveva ancora il controllo sulle sue Speranze. Estha diceva che
era un Brutto Segno.

** Parashuram è il nome della sesta incarnazione di Vishnu, distruttore degli Kshatriya, la


casta dei guerrieri (N.d.T.)
Così adesso avrebbero perso l'inizio del film. Quando Julie
Andrews si vede prima come un puntolino sulla montagna e poi diventa
sempre più grande finché esplode sullo schermo con la sua voce come
acqua tiepida e l'alito alla menta.
Il cartello rosso sul braccio bianco e rosso diceva STOP, in bianco.
-POTS disse Rahel.
Un cartellone giallo diceva Sii INDIANO, COMPRA INDIANO,
in rosso.
-ONAIDNI ARPMOC, ONAIDNI IlS disse Estha.
I gemelli erano precoci, quanto a letture. Avevano già scorso in
lungo e in largo Il vecchio cane rOm, Janet e John e i loro libri di lettura
della serie Ronald legge con noi. Di sera Ammu leggeva loro Il libro
della giungla di Kipling:

Ora Chil il Nibbio rinchiude la notte


che Bat il Pipistrello aveva liberato...

Alla fine avevano i peli delle braccia ritti, dorati alla luce della
lampada da notte. Mentre leggeva, Ammu faceva la voce stentorea,
come quella di Shere Khan. O piagnucolosa, come quella di Tabaqui.
-Cos'è tutto questo blaterare di scelta? Per il toro che ho appena
ammazzato! Dovro star qui ad ascoltare le tue fandonie. per fare quello
che è solo il mio dovere? Sono io, Shere Kahn, che ti parlo!
-E sono io, Rakshka [la Diavolessa], che rispondo! gridavano i
gemelli con voci squillanti. Non contemporaneamente, ma quasi.

-Il cucciolo d'uomo è mio, Lungri... mio e basta ! Non sarà ucciso.
Vivrà per correre col branco e per cacciare col branco; e alla fine, stai
attento, tu, cacciatore di piccoli cuccioli nudi, tu mangiatore di rane,
assassino di pesci, sarà lui a cacciare te!
Baby Kochamma, che era stata incaricata della loro educazione,
aveva letto loro La tempesta raccontata da Charles e Mary Lamb.
-Là dove l'ape sugge, suggo anch'io saltavano su a dire Estha e
Rahel. -In una primula è il letto mio.
Così quando l'amica missionaria australiana di Baby Kochamma,
la signorina Mitten, una volta che andò in visita ad Ayemenem regalò a
Estha e Rahel un libro per bambini, Le avventure di Susie la
Scoiattolina -, loro si sentirono offesi nel profondo. Prima lo lessero
dall'inizio alla fine. La signorina Mitten, che apparteneva alla setta dei
Cristiani Rinati, disse che era lievemente Seccata con loro, quando
glielo lessero ad alta voce, ma alla rovescia.
-eL erutnevva id cisuS al anilottaiocS. nU onittam id arevamirp
cisuS al anilottaiocS is òilgevs.
Mostrarono alla signorina Mitten come fosse possibile leggere sia
malayalam che Madam I" m Adam al diritto e alla rovescia. Lei non lo
trovò divertente, e saltò fuori che non sapeva neppure cosa fosse il
malayalam. Le dissero che era la lingua che tutti parlavano nel Kerala.
Lei disse che aveva la vaga impressione che invece si chiamasse
keralese. Estha, che ormai provava una vera e propria antipatia per la
signorina Mitten, le disse che per quel che ne sapeva lui la sua era
un'Impressione Profondamente Stupida.
La signorina Mitten si lamentò con Baby Kochamma della villania
di Estha, e anche del fatto che leggevano alla rovescia. Disse a Baby
Kochamma che aveva visto Satana nei loro occhi. anataS ien orol ihcco.
Furono obbligati a scrivere: Non leggeremo più alla rovescia. Non
leggeremo più alla rovescia. Cento volte. Al diritto.
Pochi mesi più tardi la signorina Mitten fu travolta e uccisa da un
camioncino del latte a Hobart, mentre usciva da un campo da cricket. I
gemelli pensarono che c'era una giustizia nascosta, nel fatto che il
camioncino del latte si era rovesciato.

Automobili e corriere si erano fermate dall'altra parte del


passaggio a livello. Un'ambulanza con su scritto Ospedale del Sacro
Cuore era piena di gente diretta a un matrimonio. La sposa guardava
fuori dal finestrino posteriore, il viso in parte nascosto dalla vernice
scrostata della grande croce rossa.
Le corriere avevano tutte nomi di ragazze. Lucykutty, Millykutty,
Bina Mol. In malayalam, Mol sta per Bimba e Mon per Bimbo. Bina
Mol era piena di pellegrini che si erano fatti rasare il capo a Tirupati.
Rahel vide una fila di teste pelate ai finestrini e, sotto di loro, delle
striature regolari di vomito. Nutriva una grande curiosità per il vomito.
Lei non aveva mai vomitato. Neanche una volta. Estha sì, e quando
vomitava la sua pelle diventava bollente e arrossata e i suoi occhi belli e
indifesi, e Ammu gli voleva più bene del solito. Chacko diceva che
Estha e Rahel erano sani in modo indecente. E anche Sophie Mol.
Diceva che era perché non soffrivano le conseguenze di un Matrimonio
tra Consanguinei, come molti sirianoortodossi. E i parsi.
Mammachi diceva che ciò di cui soffrivano i suoi nipoti era molto
peggio del Matrimonio fra Consanguinei. Alludeva al fatto che i loro
genitori erano divorziati. Come se queste due fossero le uniche scelte
possibili per le persone: Matrimonio fra Consanguinei o Divorzio.
Rahel non sapeva esattamente cos'era che la faceva soffrire, ma di
tanto in tanto si esercitava a fare espressioni tristi e sospirava davanti
allo specchio.
-Questa è la cosa di gran lunga migliore di tutte quelle che ho fatto
diceva a se stessa tristemente. Quella era Rahel che faceva Sydney
Carton che faceva Charles Darnay mentre stava in piedi sui gradini del
patibolo aspettando di essere ghigliottinato, nella versione a fumetti
delle Due città.
Si domandò perché i pellegrini avessero vomitato in maniera così
uniforme, e se avevano vomitato insieme in un unico conato ben
sincronizzato (con la musica, magari, al ritmo di un bhajan da corriera),
o separatamente, uno alla volta.
All'inizio, quando il passaggio a livello si era appena chiuso, l'Aria
era piena del rumore impaziente dei motori in folle. Ma quando l'uomo
che manovrava il passaggio a livello uscì dalla sua cabina e, con le sue
gambe arcuate e l'andatura zoppa e ciondolante, se ne andò fino al
chiosco del tè, segnalando così che l'attesa sarebbe stata lunga, i
guidatori spensero il motore e si sparpagliarono lì intorno per
sgranchirsi le gambe.
Con un cenno casuale del capo, annoiata e sonnolenta, la Divinità
dei Passaggi a Livello riunì mendicanti coperti di bende, uomini con
carrettini che vendevano cocco fresco e parippu vada su foglie di
banano. E bevande fresche. Coca Cola, Fanta, Rosemilk. Un lebbroso
con le bende macchiate mendicava ai finestrini delle auto.
-Quello lì mi sembra Mercurocromo disse Ammu guardando il suo
sangue stranamente brillante.
-Complimenti disse Chacko. -Lei parla come una vera borghese.
Ammu sorrise e si scambiarono una stretta di mano, come se le
venisse conferito sul serio il Certificato di Merito per essere
un'Autentica Borghese. Momenti come quelli i gemelli li raccoglievano
con cura e li infilavano come perle preziose in una (un po'"rada)
collana.
Rahel ed Estha schiacciarono il naso contro i rispettivi finestrini.
Volevano tanto le ciambelle con dietro l'immagine offuscata di quei
bambini. -No disse Ammu, con fermezza e convinzione.
Chacko si accese una Charminar. Aspirò profondamente e poi si
tolse dalla lingua una strisciolina di tabacco.
Dentro la Plymouth non era facile per Rahel vedere Estha, con
Baby Kochamma che si ergeva tra di loro come una collina. Ammu
aveva insistito che viaggiassero separati per evitare baruffe fra loro.
Quando litigavano, Estha chiamava Rahel Insetto Stecco Profugo. Rahel
chiamava il fratello Elvis the Pelvis e faceva un balletto buffo e
contorto che mandava Estha su tutte le furie. Quando proprio se le
davano, le loro forze si bilanciavano a tal punto che le battaglie
andavano avanti in eterno, e gli oggetti che si trovavano nel mezzo,
lampade da tavolo, portaceneri e caraffe d'acqua, venivano rotti o
danneggiati senza rimedio.
Baby Kochamma si teneva stretta allo schienale del sedile
anteriore con le braccia tese. Quando l'auto era in movimento, il grasso
delle braccia dondolava come bucato pesante al vento. Adesso pendeva
come una tenda di carne, separando Estha da Rahel.
Dalla parte di Estha c'era la baracca del tè, dove si vendevano tè e
stantii biscotti al glucosio in vasi di vetro scuro con le mosche. C'era
limonata, in spesse bottiglie con tappi blu di marmo per mantenere
l'effervescenza. E contenitori rossi per il ghiaccio che dicevano
abbastanza tristemente: Tutto va meglio con Coca Cola.
Murlidharan, il matto del passaggio a livello, stava appollaiato in
perfetto equilibrio sulla pietra miliare con le gambe incrociate. Le palle
e il pene gli ciondolavano giù, puntando verso la scritta che diceva:

COCHIN
32

Murlidharan era nudo, salvo il sacchetto di plastica che qualcuno


gli aveva calcato in testa come un trasparente cappello da cuoco,
attraverso il quale si vedeva il paesaggio, confuso, a forma di cappello
da cuoco, ma senza interruzioni. Non avrebbe potuto togliersi quel
copricapo nemmeno se avesse voluto, perché era senza braccia. A
ridurlo così era stata un'esplosione a Singapore nel'42, pochi giorni
dopo che era scappato di casa per unirsi all'Esercito Nazionale Indiano.
Dopo l'Indipendenza lo avevano registrato come Combattente di Primo
Grado per la Libertà, e gli era stata data una tessera per viaggiare gratis
sui treni, in prima classe, per tutto il resto della vita. Aveva perso anche
quella (insieme al cervello), così non poteva più vivere sui treni o nelle
sale d'aspetto delle stazioni. Murlidharan non aveva casa, nessuna porta
da chiudere a chiave, ma teneva le sue vecchie chiavi legate con cura
attorno alla vita. In un mazzo luccicante. La sua testa era piena di
armadi stipati di segrete delizie.
Una sveglia. Una macchina rossa col clacson musicale. Una
tinozza rossa per fare il bagno. Una moglie con un diamante. Una
ventiquattrore con documenti importanti. Un Eccomi di ritornO
dall'ufficio. Un Mi dispiace, Colonnello Sabhapathy, temo di dover dire
la mia. E sfogliatine alla banana per i bambini.
Guardava i treni andare e venire. Contava le sue chiavi.
Guardava governi nascere e cadere. Contava le sue chiavi.
Guardava i bambini offuscati ai finestrini delle auto coi nasi
vogliosi di ciambelle.
I senzatetto, i disgraziati, i malati, gli esseri piccoli e sperduti, tutti
passavano in fila davanti alla sua finestra. E lui continuava a contare le
sue chiavi.
Non era mai sicuro di quale armadio gli sarebbe capitato di dover
aprire, o quando. Sedeva sulla pietra miliare rovente, con i capelli
ingarbugliati e gli occhi come finestre, ed era felice di poter girare lo
sguardo di tanto in tanto. Di avere le sue chiavi da contare e ricontare.
I numeri gli facevano bene.
Dare i numeri era bello.
Murlidharan contando muoveva le labbra, e pronunciava
parole ben definite.
Onner.
Kunder.
Munner.
Estha notò che i capelli erano grigi e ricciuti. I peli delle ascelle,
non protette dalle braccia, erano neri e sottili, e quelli del ventre neri e
robusti. Un uomo con tre tipi di peli. Estha si domandò come poteva
essere. Cercò di pensare a chi poteva chiederlo.

L'Attesa colmò Rahel finché non fu lì lì per esplodere. Guardò


l'orologio. Erano dieci alle due. Pensò a Julie Andrews e a Christopher
Plummer che si baciavano di lato in modo che i loro nasi non entrassero
in collisione. Si domandò se la gente si bacia sempre di lato. Cercò di
pensare a chi poteva chiederlo.
Poi, da lontano, un ronzio si avvicinò all'ingorgo di macchine e lo coprì
come una trapunta. I guidatori che si stavano sgranchendo le gambe
rientrarono nei veicoli sbattendo le portiere. Mendicanti e venditori
scomparvero. In pochi minuti sulla strada non era rimasto nessuno.
Tranne Murlidharan. In bilico col sedere sulla pietra miliare rovente.
Imperturbabile e solo lievemente incuriosito.
Ci fu del trambusto. E il fischietto di un poliziotto.
Da dietro la linea del traffico in attesa comparve una colonna di
uomini con bandiere rosse e striscioni e un ronzio che cresceva e
cresceva.
-Tirate su i finestrini disse Chacko. -E state calmi. Non ci faranno
del male.
-Perché non vai a raggiungerli, compagno? disse Ammu a
Chacko. -Guido io.
Chacko non disse niente. Un muscolo si tese sotto lo strato di
grasso che gli copriva la mascella. Gettò via la sigaretta e alzo il
finestrino.

Chacko si autoproclamava marxista. Chiamava nella sua stanza le


donne bellocce che lavoravano alla fabbrica e, col pretesto di istruirle
sui diritti dei lavoratori e sulle leggi sindacali, le corteggiava
spudoratamente. Le chiamava Compagna e insisteva che anche loro lo
chiamassero Compagno (cosa che le faceva ridacchiare). Con loro
grande imbarazzo e disappunto di Mammachi, le costringeva a sedersi a
tavola con lui a prendere il tè.
Una volta ne aveva persino portato un gruppo ad assistere alle
elezioni che il sindacato teneva ad Alleppey. All'andata avevano preso
la corriera, al ritorno la barca. Erano tornate felici, con braccialetti di
vetro e fiori tra i capelli.
Ammu diceva che erano tutte fesserie. Il tipico caso del principino
spodestato che gioca a Compagno! Compagno! L'avatar oxfordiano
della vecchia mentalità da zamindar, un proprietario terriero che impone
le sue attenzioni a donne che dipendono da lui per sopravvivere.
Mentre i manifestanti si avvicinavano, Ammu chiuse il finestrino.
Altrettanto fece Estha. E Rahel. (Con grande sforzo, perché il pomello
nero della maniglia si era staccato.)
All'improvviso la Plymouth azzurrocielo parve di un'opulenza
fuori luogo, in quella strada stretta e piena di buche. Come una signora
dalle forme prorompenti che cerca di strizzarsi in un corridoio stretto.
Come Baby Kochamma in chiesa, quando andava a ricevere la
comunione.
-Guardate in basso! disse Baby Kochamma, mentre il fronte del
corteo si avvicinava alla macchina. -Evitate di guardarli negli occhi. E
quello a provocarli davvero.
Su un lato del collo una vena le pulsava.
In pochi minuti la strada fu sommersa da migliaia di persone in
marcia. Isoleautomobili in un fiume di gente. L'aria era rossa di
bandiere, che si abbassarono e poi si risollevarono mentre i manifestanti
si chinavano per passare sotto il passaggio a livello e si spargevano sui
binari come un'ondata fiammeggiante.
Il suono di migliaia di voci si stese sul traffico congelato come un
Ombrello di Rumore.

Inquilab Zindabad!
Thozhilali Ekta Zindahad!

-Lunga vita alla Rivoluzione ! gridavano. -Lavoratori di Tutto il


Mondo Unitevi!
Persino Chacko non riusciva a spiegare in maniera esauriente
perché il partito comunista riscuotesse tanti consensi in Kerala, più che
in qualsiasi altra zona dell'India, tranne forse il Bengala.
C'erano svariate teorie in lizza. Una era che poteva dipendere dal
gran numero di cristiani presenti nello stato. Il venti per cento della
popolazione del Kerala era composto da sirianoortodossi, che credevano
di essere discendenti del centinaio di bramini che san Tommaso
apostolo convertì al cristianesimo quando si avviò verso oriente dopo la
Resurrezione. Come struttura, sosteneva questa argomentazione per
molti aspetti rudimentale, il marxismo era un semplice sostituto del
cristianesimo. Si sostituisca Marx a Dio, la borghesia a Satana, la
società senza classi al Paradiso, il Partito alla Chiesa e l'itinerario resta
lo stesso, con la stessa meta. Una corsa a ostacoli con un premio alla
fine. Laddove la mentalità indù deve operare aggiustamenti più
complessi.
Una seconda teoria era che il motivo risiedeva nel livello di
alfabetizzazione relativamente alto dello stato. Forse. Peccato che l'alto
grado di alfabetizzazione fosse dovuto proprio al movimento comunista.
Il segreto, in realtà, era che il comunismo si era insinuato
insidiosamente nel Kerala. Sotto le spoglie di un movimento riformista
che non si metteva mai in aperto contrasto con i valori di una comunità
estremamente tradizionalista e dominata dal sistema delle caste. I
marxisti lavoravano all'interno delle barriere sociali: non le sfidavano
mai, e allo stesso tempo non mostravano di non farlo. Offrivano una
rivoluzionecocktail. Un mix inebriante di marxismo orientale e
induismo ortodosso, insaporito da uno spruzzo di democrazia.
Sebbene Chacko non avesse la tessera del partito, si era convertito
quasi subito ed era rimasto, in mezzo a tutte le sue traversie, un
sostenitore attivo.
Studiava all'università di Delhi, durante l'euforia del 1957 quando
i comunisti avevano vinto le elezioni per l'Assemblea di Stato e Nehru li
aveva invitati a formare il governo. L'eroe di Chacko, il Compagno E.
M.S. Nambudiripad, il fiammeggiante bramino che era il gran sacerdote
del marxismo in Kerala, divenne Primo Ministro del primo governo
comunista eletto democraticamente. Di punto in bianco i comunisti si
trovarono nella posizione straordinaria, assurda, dicevano i detrattori, di
dover governare un popolo e allo stesso tempo fomentare la rivoluzione.
Il Compagno E. M.S. Nambudiripad sviluppò una sua teoria su come
andava condotta una simile impresa. Chacko studiò il suo saggio, La
transizione pacifica al comunismo, con l'ossessiva diligenza
dell'adolescente e l'ardente, cieca adesione del fanatico. Il saggio
spiegava in dettaglio con quali mezzi il governo del Compagno E. M.S.
Nambudiripad si proponeva di rafforzare le riforme agrarie,
neutralizzare la polizia, sovvertire il potere giudiziario e -Fermare la
Mano del governo Reazionario e Antipopolare del Congresso .
Sfortunatamente, prima della fine dell'anno, la parte Pacifica della
Transizione Pacifica si esaurì.
Tutte le mattine a colazione, l'Entomologo Reale si faceva beffe
del suo polemico figlio marxista leggendo a voce alta i resoconti
riportati dai giornali dei disordini, degli scioperi e degli incidenti
causati dalla brutalità della polizia che dilaniavano il Kerala.
-E allora, Karl Marx! sogghignava Pappachi quando C` hacko si
metteva a tavola. -Che cosa ne facciamo adesso di questi dannati
studenti? Questi stupidi crumiri si ribellano al Governo del Popolo.
Dobbiamo annientarli? Di certo gli studenti non fanno più parte del
Popolo, adesso...
Nei due anni successivi il contrasto politico, alimentato dal Partito
del Congresso e dalla Chiesa, scivolò nell'anarchia. Quando Chacko
prese la laurea e partì per Oxford per prenderne un'altra, il Kerala era
sull'orlo di una guerra civile. Nehru sciolse il governo comunista e
proclamò nuove elezioni. Il Partito del Congresso tornò al potere.
Fu solo nel 1967, quasi dieci anni dopo la sua prima salita al
potere, che il partito del Compagno E. M.S. Nambudiripad tornò al
governo. Questa volta faceva parte di una coalizione formata da quelli
che adesso erano due partiti distinti, il Partito Comunista Indiano e il
Partito Comunista Indiano (Marxista). Il PCI e il PCI( M).
Pappachi nel frattempo era morto. Chacko aveva divorziato. E le
Conserve Paradiso avevano compiuto sette anni.
Il Kerala barcollava per le conseguenze della carestia e di un
monsone mancato. La gente moriva. La fame doveva per forza essere in
cima alla lista delle priorità di qualsiasi governo.
Durante il suo secondo governo, il Compagno E. M.S. si
preoccupò di incoraggiare con mezzi più sobri la Transizione Pacifica.
Questo gli attirò le ire del Partito Comunista Cinese. Lo tacciarono di -
cretinismo parlamentare e lo accusarono -di provvedere al benessere del
popolo, offuscando così la coscienza del popolo e distraendolo dalla
Rivoluzione .
Pechino spostò il suo appoggio alla più nuova e più militante
fazione del PCI( M), i naxaliti, che aveva organizzato un'insurrezione
armata a Naxalbari, un villaggio del Bengala. I naxaliti avevano riunito
i contadini in unità combattenti, conquistato la terra, cacciato i
proprietari e insediato Tribunali del Popolo per giudicare i Nemici di
Classe. Il movimento naxalita si diffuse nel paese e riempì di terrore
ogni cuore borghese.
Nel Kerala i naxaliti soffiarono un vento di eccitazione e paura in
un'aria già carica di terrore. Al Nord erano iniziate le uccisioni. Quel
maggio comparve sui giornali la fotografia confusa di un proprietario
terriero di Palghat legato a un lampione e decapitato. La testa giaceva lì
di fianco, a una certa distanza dal corpo, in una pozza scura che sarebbe
potuta essere acqua o sangue. Difficile a dirsi, in bianco e nero. Nella
luce grigia che precede l'alba.
Gli occhi, pieni di sorpresa, erano aperti.
Il Compagno E. M.S. Nambudiripad (Lacché, Fantoccio dei
Sovietici) espulse i naxaliti dal suo partito e proseguì nel tentativo di
imbrigliare la rabbia per i suoi fini parlamentari. La marcia che si
snodava ai lati della Plymouth azzurrocielo in quella giornata
azzurrocielo di dicembre faceva parte di quel processo. Era una
manifestazione organizzata dal Sindacato Marxista di
TravancoreCochin. I compagni di Trivandrum avrebbero marciato fino
alla Segreteria per presentare la Carta delle Richieste del Popolo al
Compagno E. M.S. in persona. L'orchestra che presenta una petizione al
suo direttore. Chiedevano che i lavoratori delle risaie, costretti a
lavorare nei campi per undici ore e mezza al giorno, dalle sette di
mattina alle sei e mezzo di sera -, potessero prendersi un'ora di pausa
per il pranzo. Che gli stipendi delle donne venissero aumentati da una
rupia e venticinque paisa al giorno a tre rupie, e quelli degli uomini da
due rupie e venticinque paisa a quattro rupie e cinquanta paisa al
giorno. Chiedevano anche che gli Intoccabili non fossero più chiamati
col loro nome di casta. Chiedevano di non essere più chiamati Achu
Parayan, o Kelan Parazan, o Kuttan Pulayan, ma solo Achu, Kelan o
Kuttan.
Re del Riso. conti del Caffè e Generali della Gomma, vecchi
compagni di collegio, scendevano dai loro immensi, isolati
possedimenti e sorseggiavano birra gelata al Sailing Club. Sollevavano i
bicchieri: -Chiamatela come vi pare...dicevano, e ridacchiavano per
nascondere il panico che cresceva.

Quel giorno i manifestanti erano operai e studenti del partito e gli


stessi lavoratori delle risaie. Toccabili e Intoccabili. Sulle spalle
portavano un barilotto pieno di rabbia antica, acceso da una miccia
recente. C'era una frangia di questa rabbia che era naxalita, ed era
nuova.
Attraverso il finestrino della Plymouth, Rahel vedeva che la parola
che quelli gridavano più forte era Zindabad. E che quando la
pronunciavano le vene del collo si gonfiavano. E che le braccia che
reggevano bandiere e striscioni erano nodose e forti.
L'interno della Plymouth era rovente e silenzioso.
Il terrore di Baby Kochamma se ne stava arrotolato sul pavimento
della macchina come un sigaro fradicio e appiccicaticcio. E questo era
solo l'inizio. Era la paura che nel corso degli anni sarebbe aumentata
fino a consumarla. Che l'avrebbe obbligata a sprangare porte e finestre.
Che le avrebbe regalato due attaccature di capelli e una doppia bocca.
Anche la sua era una paura annosa, antica. La paura di essere
spossessata.
Cercò di contare i grani verdi del suo rosario, ma non riusciva a
concentrarsi. Una mano aperta batté contro il finestrino. Un pugno
chiuso si abbatté sul cofano rovente dell'auto Che si spalancò. La
Plymouth assunse l'aspetto dì un ossuto animale azzurro che allo zoo
chiede del cibo.
Una focaccia.
Una banana.
Un altro pugno calò, e il cofano si richiuse. Chacko aprì il
finestrino e si rivolse all'uomo che aveva dato il pugno.
-Grazie, keto! disse. -Valarey grazie!
-Non essere così riconoscente, compagno disse Ammu. -E stato
solo un caso. Non aveva intenzione di essere d'aiuto. Come poteva mai
sapere che in questa vecchia macchina batte un cuore sinceramente
marxista?
-Ammu disse Chacko con voce ferma e deliberatamente casuale, -è
mai possibile che tu riesca a impedire al tuo dozzinale cinismo di
deformare qualsiasi cosa?
Il silenzio riempì la macchina come una spugna satura. Quel
dozzinale penetrò come un coltello in una cosa molle. Il sole brillò, con
un sospiro di raccapriccio. Ecco il guaio delle famiglie. Come odiosi
dottori, sapevano esattamente dove faceva male.

Fu proprio in quell'istante che Rahel vide Velutha. Velutha, il


figlio di Vellya Paapen. Velutha, il suo più caro amico. Velutha che
marciava portando una bandiera rossa. Con una camicia bianca e il
mundu e le vene del collo rabbiose. Di solito non portava la camicia.
Rahel in un lampo fece scendere il finestrino.
-Velutha! Velutha! lo chiamò.
Per un istante lui si sentì gelare, e si fermò, in ascolto, con la sua
bandiera. Quella che sentiva era una voce familiare in circostanze
alquanto insolite. Rahel, in piedi sul sedile dell'auto, era spuntata dal
finestrino della Plymouth come il corno pendulo e disarticolato di un
erbivoro a forma di automobile. Con una fontana stretta da un
LoveinTokyo e occhiali da sole di plastica rossi con la montatura gialla
-Velutha! Iuiday! Velutha! E anche le sue vene del collo si
gonfiarono.
Lui fece qualche passo di lato e scomparve con destrezza in mezzo
alla rabbia che lo circondava.
Dentro la macchina Ammu si girò, e i suoi occhi erano pieni di
collera. Schiaffeggiò i polpacci di Rahel, che erano l'unica parte di lei
rimasta nell'auto da poter schiaffeggiare. Polpacci e piedi bruni nei
sandali Bata.
-Smettila! disse Ammu.
Baby Kochamma la tirò giù, e Rahel atterrò sul sedile con un tonfo
sorpreso. Pensò che ci fosse un equivoco.
-Era Velutha! spiegò con un sorriso. -E aveva una bandiera!
La bandiera le era sembrata più interessante dell'equipaggiamento.
La cosa giusta che deve avere un amico.
-Sei una bambina stupida e sciocca! disse Ammu.
La sua rabbia improvvisa e feroce sospinse Rahel contro lo schienale.
Rahel era perplessa. Perché Ammu era tanto arrabbiata? Per cosa?
-Ma era lui, davvero! disse Rahel.
-Stà zitta! disse Ammu.
Rahel vide che Ammu aveva un velo di sudore sulla fronte e sopra
il labbro superiore, e che gli occhi le si erano fatti duri come pezzi di
marmo. Come quelli di Pappachi nella foto di Vienna. (Come
sussurrava la Falena di Pappachi nelle sue vene infantili!)
Baby Kochamma richiuse il finestrino di Rahel.

Tanti anni dopo, in una secca mattina d'autunno, nel nord dello
stato di New York, su un treno domenicale che da Grand Central la
portava a Croton Harmon, Rahel si ricordò tutto all'improvviso.
Quell'espressione sul viso di Ammu. Come una tessera di un puzzle
finita al posto sbagliato. Come un punto di domanda che viaggia per le
pagine di un libro senza mai fermarsi alla fine di una frase.
Quello sguardo come marmo negli occhi di Ammu Il luccicare del
sudore sopra il labbro. E il gelo di quell'improvviso, ferito silenzio.
Che significato aveva tutto questo?
Il treno la domenica era quasi vuoto. Dall'altra parte del corridoio
che divideva i sedili, una donna con le guance ardenti e i baffi tossiva
sputando catarro, che avvolgeva in piccoli cartocci di carta di giornale
strappata dalla pila di giornali della domenica che teneva in grembo.
Sistemava i pacchettini in file ordinate sul sedile vuoto di fronte a lei,
come se stesse mettendo su una scuderia di catarro. E intanto
chiacchierava fra sé e sé, con una voce morbida e piacevole.
La memoria era quella donna sul treno. Folle, per il modo in cui
setacciava cose oscure chiuse in un cassetto e ne emergeva con quelle
più improbabili: uno sguardo sfuggente, una sensazione. L'odore di
fumo. Un tergicristallo. Gli occhi di marmo di una madre. E quasi
normale invece nel modo in cui lasciava larghi tratti di oscurità coperti
da un velo. Nonricordati.
La pazzia della sua compagna di viaggio confortò Rahel. La
portava più addentro al ventre alienato di New York. Via da quell'altra
cosa più terribile, che la perseguitava. Un odore amaro di metallo, come
i corrimano d'acciaio della corriera, e l'odore delle mani del bigliettaio
dopo averli toccati. Un uomo giovane con la bocca da vecchio.
Fuori, l" Hudson luccicava e gli alberi avevano il colore
rossobruno dell'autunno. Era appena un po'"freddo.
-C'è un capezzolo per aria disse Larry McCaslin a Rahel, e posò
dolcemente il palmo della mano, attraverso la sua maglietta di cotone,
su quel capezzolo gelato e sulla sua protesta. Poi si domandò perché
Rahel non sorridesse.
Lei si domandò perché mai, quando pensava a casa sua, era
sempre coi colori del legno scuro e oleoso delle barche e del cuore
vuoto delle lingue di fiamma che guizzavano nelle lampade d'ottone.

Era proprio Velutha.


Almeno di quello Rahel era sicura. L'aveva visto. Lui aveva visto
lei. Lei l'avrebbe riconosciuto in ogni situazione.-E se non avesse
indossato una camicia, l'avrebbe riconosciuto anche di spalle.
Conosceva la sua schiena. Ci era stata sopra, chissà quante volte. Aveva
una voglia marrone chiaro a forma di foglia appuntita. Lui diceva che
era una foglia fortunata, che faceva sì che il monsone arrivasse
puntuale. Una foglia marrone su una schiena nera. Una foglia autunnale
di notte.
Una foglia fortunata, ma non abbastanza.

Velutha non doveva diventare falegname.


Fu chiamato Velutha, che in malayalam significa –bianco perché
era così nero. Suo padre, Vellya Paapen, era un Paravan. Un gran
bevitore di toddy. Aveva un occhio di vetro. Stava lavorando un blocco
di granito con un martello quando una scheggia gli era entrata
nell'occhio sinistro, spaccandolo giusto a metà.
Da piccolo Velutha andava sempre con Vellya Paapen all'entrata
posteriore della Casa di Ayemenem per consegnare le noci di cocco
raccolte nel campo. Pappachi non permetteva che i Paravan entrassero
in casa. Nessuno lo faceva. Non potevano toccare niente che venisse
toccato dai Toccabili. Caste indù e caste cristiane. Mammachi diceva a
Estha e Rahel che lei si ricordava di un tempo, quando era ragazza, in
cui si pretendeva che i Paravan camminassero all'indietro con uno
scopino, spazzando le proprie impronte così che i bramini o i
sirianoortodossi non si contaminassero passando accidentalmente su
un'impronta di Paravan. Ai tempi di Mammachi i Paravan, come gli altri
Intoccabili, non potevano camminare sulle strade pubbliche, non
potevano coprirsi la parte superiore del corpo, non potevano portare
l'ombrello. Dovevano mettersi le mani davanti alla bocca quando
parlavano, perché il loro fiato non contaminasse coloro cui si
rivolgevano.
Quando gli inglesi arrivarono nel Malabar, un certo numero di
Paravan, Pelaya e Pulaya (tra cui il nonno di Velutha, Kelan) si
convertirono al cristianesimo e si unirono alla chiesa anglicana per
sfuggire al flagello dell'Intoccabilità. Come incentivo supplementare
ebbero anche un po'"di cibo e di denaro. Li chiamavano i -cristiani del
riso . Non gli ci volle molto per capire che erano caduti dalla padella
nella brace. Furono costretti a frequentare chiese separate, con riti
separati e preti separati. Come favore speciale ebbero persino un loro
vescovo paria. Dopo l'Indipendenza scoprirono di non aver diritto a
nessuna agevolazione statale, come posti di lavoro riservati o prestiti
bancari a tasso ridotto, perché ufficialmente, sulla carta, loro erano
cristiani, perciò senza casta. Era un po'"come se fossero costretti a
spazzar via le loro impronte senza scopino. O, peggio, come se proprio
non fosse loro consentito di lasciare impronte.
Fu Mammachi, mentre era in vacanza da Delhi e dall'Entomologia
Imperiale, a notare per prima la notevole abilità manuale del piccolo
Velutha. Velutha aveva undicì anni allora quasi tre anni meno di Ammu.
Era come un piccolo prestigiatore. Sapeva costruire giocattoli elaborati:
piccoli mulini a vento, sonagli, minuscoli cofanetti con le radici di
palma essiccate, sapeva intagliare barche perfette dai fusti della tapioca
e ricavare figurine dalle noci di anacardio. Li portava ad Ammu,
tenendoli sul palmo ben aperto (come gli era stato insegnato) in modo
che lei per prenderli non fosse costretta a toccarlo. Sebbene fosse più
giovane di lei, la chiamava Ammukutty, Piccola Ammu. Mammachi
convinse Vellya Paapen a mandarlo alla scuola per Intoccabili fondata
da suo suocero, Punnyan Kunju.
Velutha aveva quattordici anni quando Johann Klein, un
falegname della corporazione bavarese dei falegnami, arrivò a
Kottayam e si fermò tre anni alla Christian Mission Society, a dirigere
un laboratorio con falegnami locali. Tutti i pomeriggi, dopo la scuola,
Velutha prendeva una corriera per Kottayam, dove lavorava con Klein
fino all'imbrunire. A sedici anni Velutha aveva terminato le superiori ed
era un falegname finito. Aveva i suoi attrezzi da falegname e uno
spiccato gusto tedesco. Costruì per Mammachi una tavola da pranzo
stile Bauhaus con dodici sedie di palissandro e una tradizionale
chaiselongue bavarese col legno dell'albero del pane. Per le
rappresentazioni della Natività che Baby Kochamma organizzava
ognianno, le costruì una serie di ali d'angelo con una struttura di fil di
ferro da adattare alle spalle dei bambini a mò di zaino, nuvole di cartone
tra le quali far apparire l'arcangelo Gabriele e una mangiatoia
smontabile in cui far nascere Gesù. Quando l'arco argentato del suo
putto in giardino si seccò inspiegabilmente, fu il dottor Velutha a
rimettergli in sesto la vescica.
Oltre all'abilità come falegname, Velutha aveva la mano felice con
le macchine. Mammachi (con impenetrabile logica da Toccabile) diceva
spesso che, se solo non fosse stato un Paravan, sarebbe potuto diventare
ingegnere. Riparava radio, orologi, pompe dell'acqua. In casa faceva da
elettricista e da idraulico.
Quando Mammachi decise di far chiudere la veranda sul retro, fu
Velutha a disegnare e costruire la porta a soffietto, che divenne poi
l'ultimo grido della moda ad Ayemenem.
Velutha conosceva più di chiunque altro i macchinari della
fabbrica.
Quando Chacko lasciò il lavoro a Madras e tornò ad Ayemenem
con una macchina sigillatrice Bharat, fu Velutha a montarla e a farla
funzionare. Era Velutha che si occupava della manutenzione della
nuova macchina inscatolatrice e dell'affettatrice automatica di ananas.
Velutha che oliava la pompa dell'acqua e il piccolo generatore diesel.
Velutha che inventò le superfici da taglio rivestite di alluminio facili da
tenere pulite, e le fornaci a livello del terreno per la bollitura della
frutta.
Il padre di Velutha, Vellya Paapen, ad ogni modo, era un Paravan
di quelli Di Una Volta. Aveva visto i Giorni del Camminare all'Indietro
e la sua gratitudine nei confronti di Mammachi e della sua famiglia per
tutto quello che avevano fatto per lui era ampia e profonda come un
fiume in piena. Quando ebbe l'incidente con la scheggia di granito,
Mammachi si occupò di procurargli un occhio di vetro e lo pagò di
tasca sua. Lui non aveva ancora esaurito il suo debito lavorando per lei
e, sebbene sapesse che nessuno se lo aspettava e che non ci sarebbe mai
riuscito, gli sembrava di andare in giro con un occhio non suo. La
gratitudine gli allargava il sorriso e gli iincurvava la schiena.
Vellya Paapen era preoccupato per il suo figlio minore. Non
avrebbe saputo dire cosa lo spaventasse. Non era niente che lui avesse
detto. O fatto. Non era quello che diceva, ma come lo diceva. Non era
quello che faceva, ma come lo faceva.
Forse era solo che gli mancava un minimo di esitazione. Era una
sicurezza ingiustificata, la sua. Nel modo di camminare. Nel modo di
tenere la testa. La sua maniera tranquilla di offrire suggerimenti senza
esserne richiesto. O la sua maniera tranquilla di ignorare i suggerimenti
senza dare l'impressione di ribellarsi.
Tutte qualità, queste, perfettamente accettabili e perfino
desiderabili in un Toccabile. Vellya Paapen pensava però che in un
intoccabile avrebbero potuto (e di fatto potevano, anzi, dovevano)
essere interpretate come insolenza.
Vellya Paapen cercò di mettere in guardia Velutha. Ma dato che
non poteva dire con precisione cosa lo preoccupasse, Velutha fraintese
il suo confuso interessamento. Gli sembrò quasi che il padre fosse
invidioso del suo rapido apprendimento e delle sue doti naturali. Le
buone intenzioni di Vellya Paapen degenerarono presto in brontolii e
litigi, un'atmosfera pesante finì per crearsi tra padre e figlio. Con grande
dolore della madre, Velutha cominciò a non tornare a casa. Lavorava
fino a tardi. Pescava del pesce nel fiume e lo cuoceva su un fuoco
all'aperto. Dormiva fuori, sulle rive del fiume.
E poi un giorno sparì. Per quattro anni nessuno seppe dove era
andato. Si diceva che lavorasse in un cantiere per il Dipartimento
dell'Edilizia e della Pubblica assistenza a Trivandrum. E, più di recente,
si era sparsa la voce inevitabile che fosse diventato un naxalita. Che
fosse stato in prigione. Qualcuno disse di averlo visto a Quilon.
Quando sua madre, Chella, morì di tubercolosi, non ci fu mezzo di
mettersi in contatto con lui. Poi Kuttappen, il fratello maggiore, cadde
da una palma da cocco e si lesionò la spina dorsale. Era paralizzato e
inabile al lavoro. Velutha seppe dell'incidente solo un anno dopo.
Adesso erano cinque mesi che era tornato ad Ayemenem. E non
aveva mai detto dov'era andato o che cosa aveva fatto.
Mammachi lo riassunse come falegname e lo incaricò della
manutenzione generale. Questo provocò un forte risentimento tra gli
altri operai Toccabili della fabbrica, perché, a loro modo di vedere, i
Paravan non dovevano diventare falegnami. E certo un Paravan
figliolprodigo non andava ripreso a lavorare.
Per farli contenti, e sapendo bene che nessun altro l'avrebbe
assunto come falegname, Mammachi pagava Velutha meno di un
falegname Toccabile, ma più di un Paravan. Mammachi non lo
incoraggiava a entrare in casa (tranne quando aveva qualcosa da fargli
riparare o montare). Pensava che avrebbe dovuto provare gratitudine per
essere ammesso nei locali della fabbrica a toccare le cose che toccavano
i Toccabili. Diceva che era un grande passo avanti per un Paravan.
Quando tornò ad Ayemenem dopo anni di assenza, Velutha
possedeva ancora la medesima sveltezza. La sicurezza. E adesso Vellya
Paapen temeva per lui più di prima. Ma questa volta pensò alla sua
tranquillità. Non disse niente.
Niente, almeno, finché il Terrore non si impadronì di lui. Finché
non vide, notte dopo notte, una piccola imbarcazione passare il fiume a
remi. Finché non la vide ritornare all'alba. Finché non seppe cosa il suo
intoccabile figlio aveva toccato. Più che toccato.
Penetrato.
Amato.
Quando il Terrore prese possesso di lui, Vellya Paapen andò da
Mammachi. Fissò dritto davanti a sé con l'occhio a credito. Pianse con il
proprio. Una guancia luccicava di lacrime, l'altra era asciutta. Scosse il
capo di qua e di là e poi ancora di qua, finché Mammachi non gli ordinò
di smettere. Il corpo gli tremava tutto come se avesse la malaria.
Mammachi gli ordinò di smettere di tremare, ma lui non ci riuscì,
perché non si può dare ordini alla paura. Nemmeno a quella di un
Paravan. Vellya Paapen raccontò a Mammachi quello che aveva visto.
Domandò il perdono di Dio per aver generato un mostro. Si offrì di
uccidere il figlio con le sue stesse mani. Di distruggere ciò che aveva
creato.
Dalla camera accanto Baby Kochamma sentì il trambusto e andò a
vedere cosa succedeva. Si trovò davanti Dolore e Disperazione, e in
segreto, nel profondo del cuore, esultò.
Disse (fra le altre cose): -Come fa lei a sopportare l'odore? Non
hai notato che questi Paravan mandano un odore particolare?
E con gesti teatrali rabbrividì per il disgusto, come un bambino
forzato a mangiare gli spinaci. Lei preferiva un odore gesuiticoirlandese
a un odore di Paravan.
Di gran lunga. Di gran lunga.

Velutha, Vellya Paapen e Kuttappen vivevano in una baracca di


laterite a valle del fiume rispetto alla casa di Ayemenem. Per Esthappen
e Rahel, una corsa di tre minuti tra le palme da cocco. Erano appena
arrivati ad Ayemenem con Ammu ed erano troppo piccoli per ricordare
Velutha prima che se ne andasse. Ma in quei mesi trascorsi dal suo
ritorno erano diventati grandissimi amici. Avevano il divieto di andare a
casa sua. ma ci andavano lo stesso.
Stavano con lui per ore, accosciati per terra, punti interrogativi
accoccolati in una pozza di trucioli di legno, e si chiedevano come mai
Velutha sembrava sempre sapere quali forme levigate lo aspettassero
all'interno di un pezzo di legno. Adoravano il modo in cui il legno, nelle
sue mani, sembrava ammorbidirsi e diventare malleabile come
plastilina. Stava insegnando loro a usare la pialla. La sua casa (nei
giorni di bel tempo) odorava di trucioli di legno fresco e di sole. Di
curry di salmone rosso cotto con tamarindo nero. Secondo Estha. Il
miglior curry di pesce del mondo.
Era stato Velutha a costruire per Rahel le canne da pesca più
fortunate e a insegnare a pescare a lei e a Estha.
E in quella giornata di dicembre azzurrocielo era lui che Rahel
aveva visto attraverso le lenti rosse degli occhiali da sole lui che
marciava con una bandiera rossa al passaggio a livello prima di Cochin.
I fischi d'acciaio dei poliziotti. Rumore. Attraverso l'ombrello
bucherellato Rahel vide pezzi di cielo rosso. E nel cielo rosso dei nibbi
di un rosso acceso volteggiavano in cerca di topi da catturare. Nei gialli
occhi rapaci c'era una strada e c'erano rosse bandiere che marciavano. E
una camicia bianca su una schiena nera con una voglia.
Che marciava.
Terrore, sudore e talco si mescolavano in una pasta rosa nelle
pieghe del grasso collo di Baby Kochamma. La saliva le si coagulava in
piccole bolle bianche all'angolo della bocca. Immaginò di aver visto nel
corteo un uomo che assomigliava alla foto, comparsa sul giornale, del
naxalita chiamato Rajan, che si diceva si stesse spostando da Palghat
diretto a sud. Immaginò che l'avesse guardata dritto negli occhi.
Un uomo con una bandiera rossa e la faccia simile a un nodo aprì
la portiera di Rahel, che non era bloccata. Il riquadro della portiera era
pieno di uomini che si erano fermati a guardare. -Caldo, piccola? chiese
gentilmente l'uomonodo a Rahel, in malayalam. E poi, meno
gentilmente: -Dì al tuo papà che ti compri l'aria condizionata! e squittì
beandosi della propria arguzia e del proprio tempismo. Rahel gli sorrise
di rimando, deliziata che Chacko fosse stato preso per suo padre. Come
una famiglia normale.
-Non rispondere! disse Baby Kochamma in un sussurro rauco. -
Guarda in basso! Guarda in basso e basta!
L'uomo con la bandiera spostò la sua attenzione su di lei, che
guardava fissa il pavimento della macchina. Come una sposa timida e
spaventata data in matrimonio a un estraneo.
-Salve, sorella disse l'uomo in un inglese compito. –Vuoi dirmi il
tuo nome, per favore?
Visto che Baby Kochamma non rispondeva, si girò verso i suoi
colleghi importunatori.
-Non ha nome.
-Che ne dici di Modalali Mariakutty? suggerì qualcuno con una
risatina. Modalali in malayalam significa proprietario terriero.
-A, B, C, D, X Y, Z disse qualcuno, del tutto fuori tema.
Altri studenti si affollarono intorno alla macchina. Tutti portavano
in testa fazzoletti da naso o salviette stampate a disegni di Bombay per
difendersi dal sole. Sembravano comparse scappate dal set della
versione malayalam di Sinbad il marinaio.
L'uomonodo offrì come regalo la sua bandiera rossa a Baby
Kochamma. -Tieni disse. -Prendila.
Baby Kochamma la prese, senza guardarlo.
-Falla sventolare ordinò lui.
Lei fu costretta a farla sventolare. Non aveva scelta. Odorava di
stoffa nuova e di negozio. Secco e polveroso. Cercò di sventolarla come
se non stesse sventolandola sul serio.
-Adesso dì Inquilab Zindabad !
-Inquilab Zindabad sussurrò Baby Kochamma.
-Brava ragazza.
La folla ruggì dalle risa. Vi fu un fischio acuto.
-Okay, allora disse l'uomo a Baby Kochamma in inglese, come se
avessero appena concluso felicemente una trattativa d'affari. -Byebye!
Richiuse, sbattendola, la portiera azzurrocielo. Baby Kochamma
sobbalzò. La folla attorno alla macchina si disperse per proseguire la
sua marcia.
Baby Kochamma arrotolò la bandiera rossa e la mise sul ripiano
dietro il sedile posteriore. Ripose il rosario nel corpetto dove lo teneva
in mezzo ai suoi meloni. Cercò di sembrare indaffarata per salvare un
po'"di dignità.
Dopo che gli ultimi uomini furono passati, Chacko disse che
adesso potevano tirar giù i finestrini.
-Sei sicura che fosse lui? chiese Chacko a Rahel.
-Chi? disse Rahel, di colpo sulla difensiva.
-Sei sicura che fosse Velutha?
-Eeeeehhhh...? disse Rahel cercando di guadagnare tempo per
decifrare i frenetici segnali che Estha le stava inviando col pensiero.
-Ho detto: sei sicura che l'uomo che hai visto fosse Velutha? disse
Chacko per la terza volta.
-Mmm... nsì... nn... nnquasi disse Rahel.
-Sei quasi sicura? disse Chacko.
-No... sembrava quasi Velutha disse Rahel. -Gli assomigliava...
-Quindi non sei sicura?
-Praticamente no. Rahel gettò uno sguardo di traverso a Estha per
riscuotere la sua approvazione.
-Doveva essere lui disse Baby Kochamma. -E Trivandrum che l'ha
ridotto a quel modo. Van tutti là e poi tornano credendosi dei grandi
politici.
Nessuno parve particolarmente colpito dalla sua analisi.
-Dovremmo tenerlo d'occhio disse Baby Kochamma. –Se comincia
a diffondere questa storia dei sindacati nella fabbrica. Ho notato dei
segni, qualche villania, dell'ingratitudine... L'altro giorno gli ho chiesto
di aiutarmi con le rocce della mia aiuola sassosa e lui...
-Ho visto Velutha a casa, prima di partire disse Estha in tono
brillante. -Quindi non poteva essere lui.
-Per il suo bene spero di no disse Baby Kochamma cupamente. -E
la prossima volta, Esthappen, non interrompere.
Era seccata che nessuno le avesse chiesto notizie dell'aiuola
sassosa.

Nei giorni che seguirono Baby Kochamma concentrò su Velutha


tutta la sua furia per l'umiliazione pubblica che aveva subito. L'appuntì
come una matita. Nella sua testa lui arrivò a rappresentare l'intera
manifestazione. E l'uomo che l'aveva costretta a sventolare la bandiera
del partito marxista. E l'uomo che l'aveva battezzata Modalali
Mariakutty. E tutti quelli che l'avevano derisa.
Cominciò a odiarlo.
Dal modo in cui Ammu teneva la testa, Rahel capì che era ancora
arrabbiata. Rahel guardò il suo orologio. Dieci alle due. Ancora nessun
treno in vista. Appoggiò il mento sul davanzale del finestrino. Sentiva il
rivestimento grigio che imbottiva la portiera attorno al finestrino
premere contro la pelle del mento. Si tolse gli occhiali da sole per
vedere meglio la rana morta spiacCicata sulla strada. Era talmente
morta e spiaccicata, talmente piatta, che aveva più l'aspetto di una
macchia a forma di rana sulla strada che di una rana vera. Rahel si
chiese se la signorina Mitten fosse stata spiaccicata in una macchia a
forma di signorina Mitten dal camioncino del latte che l'aveva investita.

Con la certezza di un sincero credente, Vellya Paapen aveva


assicurato ai gemelli che non esisteva al mondo niente di simile a un
gatto nero. Disse che c'erano solo buchi a forma di gatto nero,
nell'Universo.
C'erano talmente tante macchie sulla strada.
Macchie a forma di signorina Mitten spiaccicata nell'Universo.
Macchie a forma di rana spiaccicata nell'Universo.
Cornacchie spiaccicate che avevano tentato di mangiare le
macchie a forma di rana spiaccicata nell'Universo.
Cani spiaccicati che mangiavano le macchie a forma di cornacchia
spiaccicata nell'Universo.
Piume. Manghi. Sputi.
Lungo tutta la strada per Cochin.
Il sole splendeva attraverso il finestrino della Plymouth
direttamente su Rahel. Lei chiuse gli occhi e splendette di rimando.
Anche attraverso le palpebre la luce era brillante e caldissima. Il cielo
era arancione e le palme da cocco erano anemoni di mare che agitavano
i loro tentacoli nella speranza di catturare e mangiare qualche nuvola
ignara. Un serpente trasparente a macchie, con la lingua biforcuta,
attraversò fluttuando il cielo. Poi un soldato romano trasparente su un
cavallo pezzato. La cosa strana dei soldati romani dei fumetti, secondo
Rahel, era la quantità di roba che accatastavano sull'armatura e
sull'elmo e poi, dopo tutto quello sforzo, lasciavano le gambe scoperte.
Non aveva il minimo senso. Da un punto di vista climatico e da ogni
altro punto di vista.
Ammu aveva raccontato loro la storia di Giulio Cesare e di come
fosse stato pugnalato da Bruto, il suo migliore amico, davanti al Senato.
E di come fosse caduto con tutti i coltelli nella schiena dicendo: -Et tu,
Brute? Allora cadi, o Cesare .
-Questo sta semplicemente a dimostrare disse Ammu, -che non ti
puoi fidare di nessuno. Madre, padre, fratello, migliore amico. Nessuno.
Quanto ai bambini, bisognava vedere, diceva (quando glielo
chiedevano). Diceva che era possibilissimo, per esempio, che Estha
crescendo diventasse un Porco Maschio Sciovinista.
Alla sera, Estha si alzava in piedi sul letto col lenzuolo avvolto
attorno al corpo ed esclamava: -Et tu, Brute?... Allora cadi, o Cesare e
piombava sul letto senza piegare le ginocchia, come un morto
pugnalato. Kochu Maria, che dormiva per terra su una stuoia, disse che
si sarebbe lamentata con Mammachi.
-Dì a tua madre che ti porti a casa di tuo padre disse. –Là potrai
rompere tutti i letti che vorrai. Questi non sono letti tuoi. Questa non è
casa tua.
Estha risorgeva dalla morte e in piedi sul letto diceva: -Et tu,
Kochu Maria?... E allora cadi, o Estha! e moriva di nuovo.
Kochu Maria era sicura che Et tu fosse un'oscenità in inglese e
aspettava l'occasione giusta per lamentarsi di Estha con Mammachi.
La donna nell'automobile vicina aveva briciole di biscotto sulle
labbra. Suo marito accese una sigaretta curva, la sigaretta del
dopobiscotto. Mandò due sbuffi di fumo dalle narici e per un fuggevole
istante assunse l'aspetto di un cinghiale. La Signora Cinghiale chiese a
Rahel come si chiamava, facendo la Voce da Bambina.
Rahel la ignorò e fece senza volerlo una bolla di saliva.
Ammu odiava che facessero le bolle di saliva. Diceva che le
facevano venire in mente Baba. Il loro padre. Diceva che lui faceva
continuamente bolle con la saliva e faceva saltellare la gamba. Secondo
Ammu, solo gli impiegati si comportavano a quel modo, non gli
aristocratici.
Gli aristocratici erano persone che non facevano bolle con la saliva
e non facevano saltellare la gamba. E nemmeno facevano gluglu
inghiottendo.
Ammu diceva che sebbene Baba non fosse un impiegato, spesso si
comportava come uno di loro.
Quando erano da soli, Estha e Rahel a volte facevano finta di
essere due impiegati. Facevano le bolle di saliva e facevano saltellare le
gambe e glugluavano come tacchini. Ricordavano il padre, che avevano
conosciuto tra una scenata e l'altra. Una volta li aveva fatti tirare dalla
sigaretta e poi si era irritato perché loro l'avevano succhiata e avevano
bagnato il filtro con la saliva.
-Non è mica una caramella, dannazione! aveva detto, ed era
arrabbiato sul serio.
La ricordavano, la sua rabbia. E quella di Ammu. Ricordavano una
volta che erano stati sballottati qua e là in una stanza, da Ammu a Baba
e da Baba ad Ammu, come palle da biliardo. Ammu spingeva via Estha:
-Ecco, prenditene uno. Non posso badare a tutti e due . Più tardi,
quando Estha aveva - domandato spiegazioni ad Ammu su
quell'episodio, lei l'aveva stretto tra le braccia e gli aveva detto che
doveva smetterla di immaginarsi le cose.
Nell'unica fotografia di lui che avessero mai visto (Ammu
permetteva loro di guardarla di tanto in tanto), portava una camicia
bianca e gli occhiali. Aveva l'aspetto di un giocatore di cricket, bello e
studioso. Con un braccio sosteneva Estha, che era sulle sue spalle. Estha
sorrideva, col mento appoggiato sulla testa di suo padre. Con l'altro
braccio si stringeva Rahel al corpo. Lei appariva scontrosa e di
malumore, con le gambe infantili ciondoloni. Qualcuno aveva dipinto
delle macchie rosa sulle loro guance.
Ammu disse che lui li aveva presi in braccio solo per la fotografia
e anche allOra era talmente ubriaco che lei temeva che li avrebbe
lasciati cadere. Perciò lei era lì accanto, appena fuori dall'inquadratura,
pronta a prenderli se fosse successo. Comunque, tranne che per le
guance, Estha e Rahel pensavano che fosse una foto carina.
-Vuoi smetterla! dìsse Ammu, talmente forte che Murlidharan, che
era saltato giù dalla sua pietra miliare per sbirciare nella Plymouth,
indietreggiò, i monconi che ballonzolavano allarmati.
-Cosa? disse Rahel, ma capì immediatamente cosa doveva
smettere. La bolla di saliva. -Scusa, Ammu.
-Le scuse non servono a resuscitare un morto disse Estha.
-Oh, andiamo! disse Chacko. -Non puoi imporle quel che deve fare
con la sua saliva!
-Fatti gli affari tuoi gli scoccò Ammu.
-Le suscita dei ricordi spiegò Estha, nella sua saggezza, a Chacko.
Rahel si infilò gli occhiali da sole. Il Mondo diventò color rabbia.
-Togliti quei ridicoli occhiali! disse Ammu.
Rahel si tolse i ridicoli occhiali.
-E fascista, il modo in cui li tratti disse Chacko. –Anche i bambini
hanno qualche diritto, per dio!
-Non pronunciare il nome di Dio invano disse Baby Kochamma.
-Non l'ho fatto disse Chacko. -L'ho pronunciato per un ottimo
motivo.
-Smettila di atteggiarti come il Grande Salvatore dei bambini!
disse Ammu. -Quando si arriva al dunque non te ne importa un
accidente di loro. E neanche di me.
-Dovrebbe importarmene? disse Chacco. -Sono io responsabile di
loro? Disse che Ammu, Estha e Rahel erano macine da mulino appese al
suo collo.
La parte posteriore delle gambe di Rahel si fece umida e sudata.
La pelle scivolava sulla tappezzeria di fintapelle del sedile. Lei ed Estha
conoscevano le macine da mulino. Negli Ammutinati del Bounty gli
uomini che morivano in mare venivano avvolti in lenzuoli bianchi e
gettati fuori bordo con macine da mulino legate al collo, per evitare che
i cadaveri salissero in superficie. Estha non era sicuro di come facessero
a decidere quante macine portarsi dietro prima di salpare.
Estha chinò la testa in grembo.
Il ciuffo si disfece.

Il rombo lontano di un treno filtrò sulla strada macchiata di rana. Le


foglie di igname che crescevano su entrambi i lati del binario
cominciarono a chinarsi in un consenso di massa. Sìsìsìsìsì.
I pellegrini calvi su Bina Mol attaccarono un altro bhajan.
-Ma ti dico io, questi indù disse piamente Baby Kochamma. -Non
hanno il senso della privacy.
-Hanno le corna e sono coperti di scaglie disse Chacko con
sarcasmo. -E ho sentito anche che i loro bambini nascono dalle uova.
Rahel aveva due bozzi sulla fronte, ed Estha diceva che sarebbero
cresciuti fino a diventare delle corna. O almeno uno dei due, perché lei
era mezza indù. Non era stata abbastanza pronta da chiedergli delle sue,
di corna. Perché qualsiasi cosa fosse Lei, anche Lui lo era.
Il treno passò sferragliando sotto una colonna di fumo nero e
denso. C'erano trentadue carrozze e le porte erano stipate di giovani
uomini con i capelli tagliati a caschetto, diretti al Limitare del Mondo
per vedere cosa succedeva alla gente che cadeva giù. Quelli che
allungavano troppo il collo cadevano giù dal bordo anche loro. E
nell'oscurità palpitante i loro caschetti si rivoltavano all'insù.
Il treno era passato talmente veloce che era difficile immaginare
che tutti avessero aspettato così tanto per così poco. Le foglie di igname
continuarono ad annuire per molto tempo dopo che il treno fu passato,
come se fossero del tutto d'accordo con lui e non nutrissero il benché
minimo dubbio.
Una garza sottile di polvere di carbone discese come una sudicia
benedizione a ricoprire dolcemente il traffìco.
Chacko avviò la Plymouth. Baby Kochamma cercò di mostrarsi
allegra. Iniziò una canzone.

Com'è triste la sera


quando è l'ora di andar
e gli amici dobbiam lasciar.
Ma c'è un orologio
che ogni sera lassù
ci chiama con il suo...

Guardò Estha e Rahel aspettando che dicessero cucu.


Non lo dissero.
Cominciò a soffiare una brezza odorosa di automobili. Alberi
verdi e pali del telefono sfrecciavano dai finestrini. Uccelli silenziosi
scivolavano via su fili in movimento, come bagagli non reclamati
all'aeroporto.
Una pallida, enorme lunadìgiorno era appesa in cielo, e li seguiva
ovunque andassero. Grande come il ventre di un bevitore di birra.
III

Grande uomo Laltain


Piccolo uomo Mombatti

Il sudiciume aveva stretto d'assedio la casa di Ayemenem in ogni


fessura e si abbarbicava alle imposte. come un esercito medievale che
avanza sul castello nemico. Si raggrumava
I moscerini ronzavano nelle teiere. Insetti morti giacevano nei vasi
vuoti.
Il pavimento era vischioso. I muri bianchi erano coperti di
macchie grigie. I cardini e le maniglie d'ottone erano opachi e unti, a
toccarli. Gli scarichi dell'acqua, usati di rado, erano incrostati di
sporcizia. Le lampadine erano ricoperte da un velo di grasso. Le sole
cose che splendevano erano gli scarafaggi giganti che razzolavano in
giro come lustri fattorini sul set di un film.
Baby Kochamma aveva smesso di accorgersi di tutto questo tanto
tempo prima. Kochu Maria, che notava tutto, aveva smesso di
curarsene.
La chaiselongue sulla quale Baby Kochamma si stendeva aveva
gusci rotti di noccioline infilati tra le crepe dell'imbottitura marcia.
Con un gesto inconscio di teledemocrazia, padrona e serva
pescavano entrambe nella stessa scatola di noccioline senza guardare.
Kochu Maria se le lanciava in bocca. Baby Kochamma le deponeva
decorosamente nella sua.
In The best of Donahue il pubblico in studio guardava un filmato
dove un cantante di strada nero cantava Somewhere Over the Rainbow
in una stazione della metropolitana. Il suo canto era sincero, come se
credesse veramente alle parole della canzone. Baby Kochamma cantò
con lui, la voce sottile e tremula ispessita da una poltiglia di noccioline.
Sorrise mentre le tornavano in mente le parole della canzone. Kochu
Maria la guardò come se fosse ammattita, poi si impadronì di una
quantità di noccioline maggiore di quella che le spettava. Quando
doveva prendere le note alte (i where e i somewhere, per esempio), il
cantante di strada gettava la testa all'indietro e il suo palato rosa e
grinzoso riempiva il teleschermo. Era tutto stracciato, come una
rockstar, ma i denti mancanti e il pallore malaticcio della pelle
parlavano chiaramente di una vita di disagi e privazioni. Doveva
smettere di cantare tutte le volte che un treno arrivava o partiva, il che
succedeva spesso.
Poi le luci nello studio si alzarono e Donahue presentò l'uomo del
filmato che, a un segnale prestabilito, cominciò a cantare proprio dal
punto esatto in cui aveva dovuto interromperSi (per un treno): un'abile e
toccante vittoria del Canto sulla Metropolitana.
Poi il cantante fu interrotto di nuovo nel mezzo della canzone,
questa volta da Phil Donahue, che gli mise un braccio attorno alle spalle
dicendogli: -Grazie, grazie davvero .
Ma essere interrotti da Phil Donahue era ovviamente tutta un'altra
cosa che essere interrotti dal rombo della sotterranea. Era un piacere.
Un onore.
Il pubblico in studio applaudì e parve commosso.
L'ambulante risplendeva di Felicità da Prima Serata, e per qualche
istante la povertà passò in ultima fila. Cantare nello show di Donahue
era stato il suo sogno, disse, senza rendersi conto che gli avevano
appena rubato anche quello.
Ci sono grandi sogni e sogni piccoli. -Grande Uomo Laltain,
sahiò, Piccolo Uomo Mombatti diceva, a proposito dei sogni, un
vecchio coolie del Bihar che Estha incontrava sempre alla stazione in
occasione delle gite scolastiche.
Grande Uomo Lanterna. Piccolo Uomo Candela di Sego.
Uomo Enorme Luci Stroboscopiche, avrebbe potuto dire. E
Piccolo Uomo Stazione di Sotterranea.
I maestri contrattavano con lui mentre arrancava dietro a loro con i
bagagli dei ragazzi, le gambe arcuate più arcuate che mai, con gli
scolari crudeli che scimmiottavano la sua andatura. Palle tra Parentesi,
lo chiamavano.
Uomo Piccolissimo Vene Varicose, non diceva mai, ma avrebbe
potuto, mentre si allontanava barcollando con meno della metà dei soldi
che aveva chiesto e meno di un decimo di quelli che gli sarebbero
spettati.

Fuori aveva smesso di piovere. Il cielo grigio aveva cagliato e le


nuvole si erano ridotte a piccoli grumi, come imbottitura per materassi
di infima qualità.
Esthappen comparve sulla porta della cucina, fradicio (e più
assennato di quanto non fosse in realtà). Dietro a lui l'erba alta mandava
bagliori. Il cucciolo si fermò sui gradini accanto a lui. Dal fondo
incurvato della grondaia arrugginita che bordava il tetto scivolavano giù
gocce di pioggia, come grani scintillanti di un pallottoliere. Baby
Kochamma alzò lo sguardo dalla televisione.
-Ecco che arriva annunciò a Rahel, senza curarsi di abbassare la
voce. -Stà a vedere, adesso. Non dirà niente. Se ne andrà dritto dritto in
camera sua. Stà a vedere!
Il cucciolo colse l'occasione per tentare un'entrata in scena
combinata. Kochu Maria picchiò forte sul pavimento col palmo della
mano, dicendo: -Via! Via! Poda Patti!
Il cucciolo saggiamente rinunciò, sembrava abituato al ripetersi di
quel copione.
-Guarda! disse Baby Kochamma. Appariva eccitata. –Andrà dritto
nella sua camera a lavarsi i vestiti. E pulitissimo...e non dirà una sola
parola!
Aveva l'aria di un guardiacaccia che punta un animale nell'erba.
Era orgogliosa della sua abilità di prevederne i movimenti. Della sua
superiore conoscenza di gusti e abitudini.
I capelli di Estha si erano attaccati al cranio a ciuffi, come petali
rovesciati di un fiore. In mezzo luccicavano fette di bianco cuoio
capelluto. Dei rivoletti d'acqua gli correvano giù per il viso e il collo. Si
diresse verso la sua camera.
Un'aureola di gioia maligna si formò sul capo di Baby Kochamma.
-Visto? disse.
Kochu Maria approfittò dell'occasione per cambiare canale e
guardarsi un po'"di wrestling.
Rahel seguì Estha nella sua stanza. La stanza di Ammu. Un tempo.

La stanza aveva custodito i suoi segreti. Non rivelava niente.


Nécon lenzuola stropicciate, né con una scarpa spaiata gettata in un
angolo, né con un asciugamano umido abbandonato sulla spalliera di
una sedia. O un libro letto a metà. Era come una stanza d'ospedale dopo
il passaggio dell'infermiera. Il pavimento era pulito, i muri bianchi.
L'armadio chiuso. Le scarpe al loro posto. Il cestino della carta straccia
vuoto.
La pulizia ossessiva della stanza era il solo segno di una volontà
attiva da parte di Estha. L'unico, debole indizio che Estha avesse, forse,
qualche Progetto di Vita. Era appena un sussurro che indicava una
nonvolontà a sopravvivere con gli avanzi lasciati da altri. Vicino alla
finestra c'era un ferro da stiro sulla sua asse da stiro. Una pila di panni
stropicciati aspettava la stiratura.
Il silenzio stava sospeso in aria come una segreta perdita. Gli
spettri terribili di giocattoli impossibilidadimenticare si affollavano
sulle pale del ventilatore da soffitto. Una fionda. Un koala della Qantas
(dalla signorina Mitten) con gli occhibottoni allentati. Un'oca gonfiabile
(bruciata dalla sigaretta di un poliziotto). Due penne a sfera con dentro
silenziosi scorci di strade e rossi autobus londinesi che galleggiavano su
e giù.
Estha aprì il rubinetto e l'acqua tambureggiò in un secchio di
plastica. Si spogliò nel bagno risplendente. Sgusciò fuori dai jeans
bagnati. Rigidi. Blu scuro. Difficili da sfilare. Si levò la maglietta color
fragole ammaccate passandola per la testa; braccia lisce, snelle e
muscolose si intrecciarono al di sopra del corpo. Non sentì che sua
sorella era sulla porta.
Rahel guardò lo stomaco risucchiato in dentro e le costole
sollevate mentre la maglietta bagnata si staccava come una buccia dalla
sua pelle, lasciandola umida e color miele. La faccia, il collo e la V alla
base della gola erano più scure del resto del corpo. Anche le sue braccia
erano bicolori. Più pallide dove cominciavano le maniche della camicia.
Un uomo marrone scuro col segno di vestiti chiari color miele.
Cioccolata con uno spruzzo di caffè. Zigomi alti e occhi tormentati. Un
pescatore in un bagno piastrellato di bianco, con segreti marini negli
occhi.

L'aveva vista? Era matto sul serio? Sapeva che lei era là?
Non si erano mai sentiti in imbarazzo a esporre i loro corpi l'uno
davanti all'altro, ma non erano mai stati abbastanza vecchi (insieme) per
sapere cosa fosse l'imbarazzo.
Adesso lo erano diventati. Abbastanza vecchi.
Vecchi.
L'età in cui si è vitalmente morituri.
Che parola buffa, vecchio, detta da sola, pensò Rahel. E la Disse
tra Sé: Vecchia.

Rahel sulla porta del bagno. Fianchi stretti. (-Dille che le ci vorrà
un cesareo! aveva detto a suo marito un ginecologo sbronzo mentre
aspettavano il resto al distributore di benzina.) Una lucertola sopra una
carta geografica stampata sulla maglietta stinta. Lunghi capelli incolti,
con un tocco di henne rosso scuro, le allungavano dita disordinate lungo
la schiena. Il diamante nella narice mandava lampi. Qualche volta. E
qualche volta no. Un sottile braccialetto d'oro con teste di serpente
ardeva come un cerchio di luce arancione attorno al suo polso. Esili
serpenti si fronteggiavano sibilando, testa a testa. La fede nuziale che
sua madre aveva fatto fondere. La peluria ammorbidiva la linea delle
sue braccia magre e spigolose.
A un primo sguardo sembrava fosse cresciuta dentro la pelle della
madre. Zigomi alti, fossette profonde quando sorrideva. Ma era più
lunga, più dura e più piatta, più spigolosa di Ammu. Meno attraente,
forse, per quelli che amavano in una donna morbidezza e rotondità.
Solo i suoi occhi erano incontestabilmente più belli. Grandi. Luminosi.
Occhi da annegarcisi, aveva detto Larry McCaslin, scoprendolo a sue
spese.

Rahel cercò qualche segno di se stessa nella nudità del fratello.


Nella forma delle ginocchia. L'arco del piede. La curva delle spalle.
L'angolo in cui il resto del braccio si univa al gomito. Il modo in cui le
unghie dei piedi guardavano in su alle estremità. Gli incavi scolpiti sui
lati dei solidi, bellissimi glutei. Prugne sode. Il didietro degli uomini
non cresce mai. Come la cartella della scuola, evoca immediatamente
ricordi d'infanzia. I due segni della vaccinazione sul braccio brillavano
come monete. Lei li aveva sulla coscia.
Alle ragazze li fanno sempre sulla coscia, diceva Ammu.
Rahel guardava Estha con la curiosità di una madre che esamina il
suo bambino bagnato. Sorella fratello. Donna uomo. Gemello gemello.
Esaminò all'istante i diversi scenari.
Lui era un estraneo, nudo, incontrato per caso. Era colui che aveva
conosciuto prima che iniziasse la Vita. Quello che una volta l'aveva
condotta (a nuoto) attraverso la vagina della loro bella madre. Entrambe
le cose erano insopportabili nella loro polarità. Nella loro irriducibile
separatezza.
Una goccia di pioggia lampeggiò all'estremità del lobo
dell'orecchio di Estha. Spessa, argentea nella luce, come una pesante
perla di mercurio. Lei si avvicinò. La toccò. La staccò.
Estha non si girò a guardarla. Si ritrasse in un'immobilità più
immobile. Come se il suo corpo avesse la facoltà di rinchiudere i propri
sensi all'interno (annodati, in forma di uovo), lontano dalla superficie
della sua pelle, in un recesso più profondo e inaccessibile.
La Quiete si rimboccò la gonna e guizzò, come la Donna Ragno,
su per i muri scivolosi del bagno.
Estha mise i suoi panni bagnati in un secchio e cominciò a lavarli
con un sapone blu elettrico, che si sbriciolava.
IV

Cinema Abilash

Il Cinema Abilash si reclamizzava come la prima


salacinematografica del Kerala con uno schermo per il CinemaScope da
70 mm. Per ribadire il concetto, la facciata era una copia in cemento
dello schermo curvo del cinemascope. In cima (lettere di cemento,
illuminazione al neon) c'era - Cinema Abilash in inglese e in
malayalam.
I gabinetti si chiamavano LUI e LEI. LEI per Ammu, Rahel e
Baby Kochamma. LUI solo per Estha, perché Chacko era andato a
informarsi delle prenotazioni all" Hotel Sea Queen.
- Ce la fai da solo? chiese Ammu preoccupata.
Estha annùì.
Attraverso la porta di formica rossa che si richiudeva lentamente
da sé, Rahel seguì Ammu e Baby Kochamma nel LEI. Si girò per
salutare con la mano, là in fondo al pavimento di marmo lucidooleoso,
Estha Da Solo (con un pettine), con le sue scarpe beige a punta. Estha
aspettò nella sudicia entrata di marmo con i solitari specchi che lo
guardavano finché la porta rossa non ebbe portato via sua sorella. Poi si
voltò e si diresse verso LUI.
Una volta dentro il LEI, Ammu suggerì a Rahel di stare sospesa
senza sedersi per fare pipì. Disse che le Tazze nei Bagni Pubblici erano
Luride. Come i Soldi. Non sai mai chi li ha toccati. Lebbrosi. Macellai.
Meccanici. (Pus. Sangue. Morchia.)
Una volta che Kochu Maria l'aveva portata con sé a comprare la
carne, Rahel aveva notato che sulla banconota verde da cinque rupie che
il macellaio aveva dato loro di resto c'era un sottile filamento di carne
rossa. Kochu Maria l'aveva spazzato via col pollice. Il SuCCO aveva
lasciato uno sbaffo rosso. Poi aveva infilato il denaro nel busto. Denaro
sporco di sangue.
Rahel era troppo piccola per stare in equilibrio sopra la tazza, così
Ammu e Baby Kochamma la sostennero, le gambe agganciate alle loro
braccia. I piedi vari chiusi nei sandali Bata. Su per aria, con le mutande
giù. Per un attimo non accadde niente, e Rahel guardò la madre e la
babyprozia con gli occhi pieni di impertinenti punti interrogativi (e
adesso?).
- Su , disse Ammu.. - Psssss...
Psss per il suono della Pipì. Mmmm per il Suono della
Mmmmuuusica.
Rahel ridacchiò. Ammu ridacchiò. Baby Kochamma ridacchiò.
Quando il rivoletto cominciò, aggiustarono la sua posizione aerea.
Rahel non provava imbarazzo. Finì, e Ammu prese la carta igienica.
- Tu o io? disse Baby Kochamma ad Ammu.
- Lo stesso , disse Ammu. - Vai pure tu.
Rahel le tenne la borsa. Baby Kochamma sollevò la sari sgualcita.
Rahel studiava le enormi gambe della sua babyprozia. (Anni dopo,
durante una lezione di storia letta a voce alta a scuola - L'imperatore
Babir aveva la carnagione color del grano e cosce come pilastri- questa
scena le si presentò davanti agli occhi. Baby Kochamma appollaiata
come un grande uccello su una tazza pubblica. Vene blu, come ricami
grumosi che le attraversavano gli stinchi traslucidi. Ginocchia con le
fossette. E i peli. Poveri piccoli piedi, troppo minuscoli per portare un
simile peso!) Baby Kochamma aspettò per la metà della metà di un
istante. Testa spinta in avanti. Sorriso scemo. Petto oscillante. Meloni
chiusi in un corpetto. Il didietro che si alzava e si abbassava. Quando
arrivò il suono gorgogliante e ribollente, Rahel lo ascoltò con gli occhi.
Un ruscello giallo traboccante da un passo di montagna.
A Rahel tutto questo piaceva. Tenere la borsa. Tutte che
pisciavano davanti a tutte. Come amiche. Allora non sapeva quanto
fosse preziosa quella sensazione. Come amiche. Non sarebbero mai più
state insieme così. Ammu, Baby Kochamma e lei.
Quando Baby Kochamma ebbe finito, Rahel guardò l'orologio.
- Ci hai messo molto, Baby Kochamma , disse. – Sono dieci alle
due.

Du du du (Rahel pensò)
tre ragazze col tutù.
Fermatevi un po'
Lento esclamò.

Pensava che Lento fosse una persona. Lento Kurien. Lento Kutty.
Lento Mol. Lento Kochamma.
Lento Kutty. Svelto Vergbese. E Kuriakose. Tre fratelli forforosi.
Ammu la fece in un batter d'occhio. Contro la parete della tazza, perché
non si sentisse il rumore. La durezza presa dal padre le aveva
abbandonato gli occhi, che erano di nuovo Ammuocchi. Aveva
profonde fossette nel suo sorriso e non sembrava più arrabbiata. Per
Velutha o le bolle di saliva.
Era un Buon Segno.
Estha Da Solo, nel LUI, doveva pisciare, tra palline di canfora e
cicche di sigaretta, nell'orinatoio. Pisciare nella tazza sarebbe stato un
Disonore. Per pisciare nell'orinatoio, era troppo basso. Gli occorreva
dell'Altezza. Cercò l'Altezza e, in un angolo del LUI, la trovò. Una
scopa sudicia, una bottiglia ammaccata piena a metà di un liquido
lattiginoso (fenolo) con delle cose nere che galleggiavano dentro. Uno
straccio afflosciato e due latte rugginose piene di niente. Avrebbero
potuto contenere prodotti delle Conserve Paradiso. Rondelle di ananas
sciroppate. O fette. Fette di ananas. L'onore era salvo grazie alle latte di
sua nonna; Estha Da Solo sistemò le latte rugginose piene di niente
davanti all'orinatoio. Ci salì sopra, un piede su ciascuna, e pisciò con
cura, senza quasi oscillare. Come un Uomo. Le cicche di sigaretta,
prima umide, adesso erano inzuppate, e giravano vorticosamente.
Difficile accenderle... Quando ebbe finito, Estha spostò le latte davanti
al lavandino con lo specchio. Si lavò le mani e si bagnò i capelli. Poi,
reso nano dalle dimensioni del pettine di Ammu, troppo grosso per lui,
ricostruì con cura il suo ciuffo. Prima tutti i capelli indietro, poi in
avanti e arrotolati di fianco, proprio sul bordo della fronte. Rimise il
pettine in tasca, scese dalle latte e le rimise al loro posto con la
bottiglia, lo straccio e la scopa. Fece un inchino a tutti. All'intero
plotone. La bottiglia, la scopa, le latte, lo straccio floscio.
- Inchino , disse, e sorrise, perché da quando era più piccolo gli era
rimasta l'impressione che si dovesse dire - Inchino quando ci si
inchinava. Che per farlo si dovesse dirlo. - Inchino, Estha , dicevano. E
lui faceva l'inchino e diceva: -Inchino , e loro si guardavano e ridevano,
e lui si allarmava.
Estha Da Solo dai denti disuguali.
Fuori, rimase ad aspettare sua madre, sua sorella e la sua
babyprozia. Quando uscirono, Ammu disse: -Tutto okay, Esthappen?
Estha disse: - Okay , e annuì con precauzione per non disfare il
ciuffo.
Okay? Okay. Rimise il pettine nella borsa di lei. Ammu sentì
un'improvvisa fitta d'amore per quel suo piccolo riservato e dignitoso
con le scarpe beige a punta, che aveva appena portato a termine il primo
compito da adulto. Gli passò le dita amorevoli fra i capelli,
distruggendo il ciuffo.
L'Uomo con la Torcia d'acciaio Eveready disse che il film era già
cominciato, che dovevano sbrigarsi. Salirono di corsa i gradini rossi
coperti dal vecchio tappeto rosso. Scale rosse con rosse chiazze di sputo
negli angoli rossi. L'Uomo con la Torcia appallottolò il suo mundu e se
lo tenne ripiegato sotto le palle, con la sinistra. Mentre saliva, i muscoli
dei polpacci si irrigidivano sotto la pelle come pelose palle di cannone.
Teneva la torcia con la destra. Con la mente correva avanti.
- E da tanto che è cominciato , disse.
Così si persero l'inizio. Si persero la tenda di velluto a pieghe che
saliva lentamente, con i bulbi di luce nei grappoli di nappine gialle, e la
musica che doveva essere Baby Elephant Walk da Hatari! O la Colonel
Bogey" s March.
Ammu prese Estha per mano. Baby Kochamma, mentre saliva
ansimando, prese Rahel. Baby Kochamma, appesantita dai suoi meloni,
non voleva ammettere neppure con se stessa che non vedeva l'ora di
godersi il film. Preferiva pensare che lo stava facendo solo per amore
dei bambini. Nel suo cervello teneva un archivio ordinato e organizzato
delle Cose che Faceva Per Gli Altri, e delle Cose che Gli Altri Non
Avevano Fatto Per Lei.
Quel che amava di più erano le prime scene con le suore, e sperava
di non essersele perse. Ammu spiegava a Estha e Rahel che la gente
amava sempre di più ciò in cui si poteva meglio Identificare. Rahel
pensò che forse lei si Identificava meglio con Christopher Plummer, che
faceva la parte del comandante von Trapp. Chacko non si identificava
per niente con lui e lo chiamava Comandante von Ciapp Trapp.
Rahel era come una zanzara eccitata al guinzaglio. Volava. Senza
peso. Su per i gradini. Due giù. Uno su. Faceva cinque gradini mentre
Baby Kochamma ne saliva uno.

I’ m Popeye the sailor man tu-tu


I live in a cara-van tu-tu
I op-en the door

And fallon the floor

I’m Popeye the sailor man tu-tuuu

Uno su. Due giù. Uno su. Hop, hop.


- Rahel , disse Ammu, - non hai ancora imparato la lezione, eh?
E la lezione di Rahel era: L'Impazienza Conduce Sempre alle
Lacrime. Tu-tu.

Arrivarono nell'atrio della Sala della Principessa. Superarono il


Banco dei Rinfreschi, dove aspettavano le aranciate. E le limonate.
L'arancia troppo arancia. Il limone troppo limone. Le cioccolate troppo
squagliate.
L'Uomo della Torcia aprì la pesante porta della Sala della
Principessa, introducendoli nell'oscurità smossa dai ventilatori e dal
masticare di noccioline. Sapeva di fiato di persone e olio per capelli. E
vecchi tappeti. Un magico odore di Tutti insieme appassionatamente,
che Rahel ricordò e tesaurizzò. Gli odori, come la musica, accendono i
ricordi. Respirò a fondo e lo imbottigliò per i posteri.
Estha aveva i biglietti. Piccolo Uomo. Che viveva in un caravan.
Tu-tu.
L'uomotorcia puntò la luce sui biglietti rosa. Fila J Numeri
17,18,19, 20. Estha, Ammu, Rahel, Baby Kochamma. Schiacciarono
passando gli spettatori irritati, che spostavano le gambe in qua e in là
per fare spazio. Bisognava abbassare i sedili delle poltrone. Baby
Kochamma tenne il sedile di Rahel mentre lei ci si arrampicava sopra.
Non era abbastanza pesante, così il sedile si richiuse ripiegandola su se
stessa come il ripieno di un panino, e lei guardò attraverso le ginocchia.
Due ginocchia e una fontana di capelli. Estha, più dignitoso, sedette sul
bordo della sua poltrona.
L'ombra delle pale dei ventilatori cadeva sui bordi dello schermo,
dove non c'era il film.
Via la torcia. Avanti il Successo Mondiale.
L'inquadratura si sollevò nel cielo austriaco azzurrocielo (un
colore da automobile) con il limpido, triste suono delle campane della
chiesa.
In lontananza, là sotto, nel cortile del convento, i ciottoli
rilucevano. Le suore ci camminavano sopra. Come lenti sigari. Suore
tranquille si affollavano tranquillamente attorno alla Reverenda Madre,
che non leggeva mai le loro lettere. Si radunavano come formiche
attorno a un pezzetto di pane raffermo. Sigari attorno al Sigaro Regina.
Niente peli sulle ginocchia. Niente meloni nei corpetti. E l'alito alla
menta. Avevano delle lamentele da fare, alla loro Reverenda Madre.
Dolci lamentele in musica, su Julie Andrews, che era ancora su per i
monti a cantare La musica va per le valli in fiore ed era di nuovo in
ritardo per la messa.

Lei canta, ride, corre e scherza


e tante cose ancor

spifferavano le suore canterine,

e balla il valzer pure entrando in chiesa.


Può stare ovunque eccetto che in convento...

Qualcuno fra il pubblico si stava girando.


- Shhh! dicevano.
Shh! Shh! Shh!

Si mette i bigodini
sotto il velo. Io lo so!

La voce era fuori dal film. Era chiara e forte, e tagliava l'oscurità
gracchiante di ventilatori e noccioline masticate. C'era una suora tra il
pubblico. Le teste ruotavano come tappi di bottiglia. Le nuche tutte nere
si trasformarono in facce con labbra e baffi. Labbra sibilanti con denti
da squalo. Molte. Come francobolli su una cartolina.
- Shhh! dicevano in coro.
A cantare era Estha. Una suora col ciuffo. Suor Elvis Pelvis.
Non poteva farne a meno.
- Buttatelo fuori! disse il Pubblico quando lo scovò.
Stazitto o Vafuori. Vafuori o Stazitto.
Il pubblico era un Grande Uomo. Estha era un Piccolo Uomo, con
i biglietti.
- Estha, per amor del cielo, stà ZITTO ! disse Ammu in un potente
bisbiglio.
Ed Estha stette ZITTO. Le labbra e i baffi si girarono di nuovo.
Ma allora, senza preavviso, la canzone ricominciò, ed Estha non poteva
fermarla.
- Ammu, non posso andare fuori a cantarla? chiese Estha (prima
che Ammu gli desse uno schiaffo). -Torno dopo la canzone.
- Ma non pensare che ti porti ancora in giro con me , disse Ammu.
- Ci stai mettendo tutti in imbarazzo.
Ma Estha non poteva trattenersi. Si alzò per uscire. Oltrepassò
l'arrabbiata Ammu. E Rahel, concentrata sullo schermo attraverso le
ginocchia. E Baby Kochamma. E il Pubblico che dovette spostare di
nuovo le gambe. Inquaeinlà. La scritta sopra la porta diceva USCITA
con lettere di luce rossa. Estha uscì.
Nell'atrio, le aranciate aspettavano. Le limonate aspettavano. Le
cioccolate squagliate aspettavano. I divanetti da auto blu elettrico, di
pelle e gommapiuma, aspettavano. I manifesti Presto su questi schermi!
aspettavano.
Estha Da Solo sedette sul divanetto da auto di pelle e
gommapiuma, nell'atrio della Sala della Principessa del Cinema
Abilash, e cantò. Con voce da suora, chiara come acqua limpida.

Ma come potremo far


se ferma non riesce a star?

L'uomo dietro il Banco dei Rinfreschi, che si era addormentato su


una fila di sgabelli aspettando l'intervallo, si svegliò. Vide, con occhi
ingommati e semichiusi, Estha Da Solo con le sue scarpe beige a punta.
E il suo ciuffo disfatto. L'Uomo strofinò il bancone di marmo con uno
straccio color sporco. E aspettò. E aspettando strofinava. E strofinando
aspettava. E guardava Estha che cantava.

Cosa potremmo fare di Mariii...aaa?


Prendere l'acqua in mano non si può.

-Ehi! Eda cherukka! disse l'Uomo delle Aranciate e delle


Limonate, con voce ghiaiosa, spessa di sonno. - Che cosa diavolo pensi
di fare?

Prendere
un raggio di luna
non si può

cantava Estha.
-Ehi! disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate. - Guarda che
questa è la mia ora di Pausa. Presto dovrò alzarmi e lavorare. Perciò
non posso farti star qui a cantare canzoni inglesi. Smettila. Il suo
orologio da polso d'oro era quasi nascosto dai peli ricciuti
dell'avambraccio. La catena d'oro era quasi nascosta dai peli del petto.
La camicia sintetica bianca era aperta fin dove iniziava il rigonfiamento
del ventre. Aveva l'aspetto di un orso ingioiellato e poco amichevole.
Dietro di lui c'erano specchi in cui la gente poteva guardarsi mentre
beveva bevande fredde, rinfrescanti. Per rifarsi i ciuffi e sistemare le
basette. Gli specchi guardavano Estha.
- Potrei compilare un Reclamo Scritto contro di te , disse l'Uomo a
Estha. -Che ne dici? Ti piacerebbe un Reclamo Scritto?
Estha smise di cantare e si alzò per rientrare in sala.
- Già che sono in piedi , disse l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate, - già che mi hai svegliato durante la mia Ora di Pausa, già
che mi hai disturbato, almeno vieni a prendere una bibita. E il minimo
che puoi fare.
Aveva una faccia non rasata e tutta mascelle. I suoi denti, come
tasti di pianoforte ingialliti, guardavano il piccolo Elvis the Pelvis.
- No, grazie , disse Elvis educatamente. - La mia famiglia mi sta
aspettando. E ho finito la mia paghetta.
- Porchetta? disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate con i
denti che continuavano a guardarlo. - Prima le canzoni inglesi, e adesso
la Porchetta! Ma dove vivi? Sulla luna?
Estha si girò per andarsene.
- Aspetta un attimo! disse brusco l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate. - Solo un attimo! disse ancora, più gentilmente. - Mi
sembrava di averti fatto una domanda.
I suoi denti gialli erano magnetici. Guardavano, sorridevano,
cantavano, annusavano, si muovevano. Ti ipnotizzavano.
-Ti ho chiesto dove vivi , disse, tessendo la sua odiosa tela.
-Ayemenem , disse Estha. -Vivo ad Ayemenem. Mia nonna è la
padrona delle Conserve & Composte Paradiso. E il socio occulto.
- Ah sì, eh? disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate. -E con
chi va a occultarsi? Fece una risata cattiva che Estha non capì. - Non
importa. Non capiresti.
-Vieni, prendi una bibita , disse. -Una Bibita Fredda E" gratis.
Vieni. Vieni e raccontami di tua nonna.
Estha andò. Attratto dai denti gialli.
- Qui. Dietro il banco , disse l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate. Abbassò la voce a un sussurro. - Dev'essere un segreto,
perché le bibite non sono permesse prima dell'intervallo. E un Atto
Severamente Vietato.
- Passibile di Denuncia , aggiunse dopo una pausa.
Estha andò dietro il Banco dei Rinfreschi per la sua Bibita Fredda
Gratis. Vide i tre sgabelli alti, sistemati in fila perché l'Uomo delle
Aranciate e delle Limonate ci potesse dormire. Il legno lucido per l'uso.
- Ora, se gentilmente mi vuoi tenere questo , disse l'Uomo delle
Aranciate e delle Limonate porgendo a Estha il pene, attraverso il dhoti
di morbida mussola bianca, - io ti preparo la bibita. Arancia? Limone?
Estha lo prese, perché doveva.
- Arancia? Limone? disse l'Uomo. - Limonearancia?
Prese una bottiglia fredda e una cannuccia. Così adesso lui teneva
una bottiglia in una mano e un pene nell'altra. Duro, bollente, venoso.
Niente a che vedere con un raggio di luna.
La mano dell'Uomo delle Aranciate e delle Limonate si chiuse su
quella di Estha. L'unghia del pollice era lunga come quella di una
donna. Mosse la mano di Estha su e giù. Prima piano. Poi in fretta.
La limonata era fredda e dolce. Il pene bollente e duro.
I tasti del pianoforte guardavano.
-Così tua nonna ha una fabbrica? disse l'Uomo delle Aranciate e
delle Limonate. - Che genere di fabbrica?
- Molti prodotti , disse Estha senza guardare, con la cannuccia in
bocca. - Succhi di frutta, salamoie, marmellate, curry. Fette di ananas.
-Bene , disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate.
- Benissimo.
La sua mano strinse più forte quella di Estha. Stretta e sudata. E
sempre più veloce.

Attorno a un palazzo
corre un povero cane pazzo
presto date un pezzo di pane
a quel povero pazzo cane.

Dalla cannuccia fradicia (quasi piatta per la saliva e la paura),


saliva la dolcezza liquida al limone. Soffiando nella cannuccia (mentre
l'altra mano si muoveva), Estha produceva bolle nella bottiglietta. Bolle
di limone sciropposo della bibita che non riusciva a bere. Nella testa
fece una lista della produzione di sua nonna.

SALAMOIE SUCCHI MARMELLATE


Mango Arancia Banana
Peperoni verdi Uva Frutti misti
Zucca amara Ananas Pompelmo
Aglio Mango
Lime piccante

Poi la faccia rugosapelosa si contrasse, e la mano di Estha diventò


umida, calda e appiccicosa. C'era del bianco d'uovo sopra. Bianco
d'uovo bianco. In camicia.
La bibita era fredda e dolce. Il pene era molle e raggrinzito come
un borsellino di pelle. Col suo straccio color sporco l'uomo pulì la mano
sinistra di Estha.
- Adesso finisci la tua bibita , disse, e spremette affettuosamente
una chiappetta di Estha. Prugne sode dentro pantaloni a tubo. E scarpe
beige a punta. - Non devi sprecarla , disse. - Pensa a tutta quella povera
gente che non ha niente da bere e da mangiare. Sei un ragazzo ricco e
fortunato, con la Porchetta e la fabbrica della nonna da ereditare.
Dovresti Ringraziare Dio di non avere preoccupazioni. Adesso finisci di
bere.
E così, dietro al Banco dei Rinfreschi, nell'atrio della Sala della
Principessa del Cinema Abilash, il cinema con il primo schermo per il
CinemaScope, da 70 mm, Esthappen Yako finì la sua bottiglietta
gratuita di frizzante paura al gusto di limone. Il suo limonelimone,
freddissimo. Dolcissimo. Le bollicine gli salirono su per il naso. Presto
gli sarebbe stata data un'altra bottiglia (paura frizzante e gratuita). Ma
questo ancora non lo sapeva. Teneva la sua Altra Mano appiccicosa
lontana dal corpo.
Non doveva toccare niente.
Quando Estha ebbe finito la sua bibita, l'Uomo delle Aranciate e
delle Limonate disse: - Finito? Bravo ragazzo .
Prese la bottiglia vuota e la cannuccia appiattita, e rispedì Estha a
Tutti insieme appassionatamente.
Dentro, nell'oscurità all'olio per capelli, Estha tenne con attenzione
la sua Altra Mano in alto, come se reggesse un'arancia immaginaria.
Scivolò tra il Pubblico (le gambe si mossero inquaeinlà), oltrepassò
Baby Kochamma, Rahel (ancora strizzata nella poltrona), Ammu
(ancora arrabbiata). E si sedette, sempre reggendo la sua arancia
appiccicosa.
Ed ecco il Comandante von CiappTrapp. Christopher Plummer.
Arrogante. Testardo. Con la bocca come una fenditura. E un fischietto
acuto, stridulo da poliziotto. Un Comandante con sette figli. Bambini
puliti, come un pacchetto di mentine. Faceva finta di non amarli, ma
non era vero. Li amava. E lui amava lei (Julie Andrews), lei amava lui,
loro amavano i bambini, i bambini li amavano. Tutti si amavano a
vicenda. Erano bambini puliti e bianchi e i loro letti erano soffici letti di
piuma.
La casa in cui vivevano aveva un lago e dei giardini, una gran
scalinata, porte bianche e finestre bianche, e tende a fiori.
I lindi ragazzini bianchi, perfino i più grandi, avevano paura dei
tuoni. Per far loro coraggio, Julie Andrews li fece entrare tutti nel suo
letto pulito, e cantò loro una canzone pulita che parlava delle cose che
piacevano a lei. Ecco alcune delle cose che le piacevano:

1) Sciarpe di lana e guantoni felpati


2) Torte di mele e biscotti croccanti
3) La cioccolata che è dentro i bignè
4) Le camicette di bianco picché
5) ecc.

Dopodiché, nei cervelli di due gemelli dizigoti che si trovavano tra


il pubblico del Cinema Abilash, nacquero alcune domande che
esigevano una risposta, come per es.:
a) Il Comandante von Trapp faceva ballare la gamba?
No.
b) Il Comandante von Trapp faceva le bolle con la saliva? Eh? Le
faceva?
Ma no di certo.
c) Faceva gluglu inghiottendo?
No.

Oh, Comandante von Trapp, Comandante von Trapp, potresti


amare quel piccoletto con l'arancia nella sala puzzolente?
Ha appena preso in mano il coso dell'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate, ma potresti amarlo lo stesso?
E la sua sorella gemella? Che allunga il collo verso l'alto con la
sua fontanella di capelli legata in un LoveinTokyo? Potresti amare
anche lei?
Il Comandante von Trapp, da parte sua, aveva anche lui qualche
domanda.

a) Sono bambini bianchi e puliti?


No. (Ma Sophie Mol lo è.)
b) Fanno le bolle di saliva?
Sì. (Ma Sophie Mol non le fa.)
c) Fanno ballare le gambe? Come impiegati?
Sì. (Ma Sophie Mol non lo fa.)
d) Hanno per caso, uno dei due o tutti e due, tenuto in mano
cosi di sconosciuti?
N... NnnSì. (Ma Sophie Mol non l'ha fatto.)

- Allora sono spiacente , disse il Comandante von Trapp, -è fuori


discussione. Non posso amarli. Non posso essere il loro Baba. Oh no.
Il Comandante von Trapp non poteva.

Estha chinò la testa in grembo.


- Cosa c'è? chiese Ammu. - Se hai di nuovo le paturnie ti porto
dritto a casa. Stà su, per favore. E guarda. Ti abbiamo portato qui per
quello.
Finisci di bere.
Guarda il film.
Pensa a tutta quella povera gente.
Ricco ragazzo fortunato con Porchetta. Niente preoccupazioni.
Estha si drizzò e guardò. Aveva lo stomaco pesante. Provava una
sensazione come di verde, di acqua spessa, di grumosità, di alghe, di
qualcosa di fluttuante, qualcosa di profondo senza fondo.
- Ammu? disse.
- Che c'E? Il C'E schioccato, ringhiato, sputato fuori.
- Mi sento di vomitare , disse Estha.
- Ti senti solo o stai per? La voce di Ammu era preoccupata.
- Non lo so.
- Andiamo fuori a provare? disse Ammu. - Starai meglio dopo.
- Okay , disse Estha.
Okay? Okay.
- Dove state andando? volle sapere Baby Kochamma.
- Estha prova a vomitare , disse Ammu.
- Dove state andando? chiese Rahel.
- Mi sento di vomitare , disse Estha.
- Posso venire a vedere?
- No , disse Ammu.
Ancora fra il Pubblico, (gambe inquaeinlà). Prima per cantare.
Adesso per provare a vomitare. Uscire dall'USCITA. Fuori, nell'atrio di
marmo, l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate stava mangiando una
caramella. Le sue guance erano gonfie di caramella in movimento.
Produceva suoni molli e risucchianti, come acqua versata da un catino.
C'era un pacchetto verde di Perry sul bancone. Le caramelle erano
gratis, da quest'uomo. Aveva una fila di caramelle gratis in vasetti scuri.
Strofinava il bancone di marmo con il suo straccio color sporco, che
teneva nella mano pelosa dell'orologio. Quando vide quella donna
luminosa, dalle spalle eleganti e il ragazzino, un'ombra gli scivolò sul
viso. Poi sorrise col suo sorriso da pianoforte ambulante.
- Di nuovo fuori, digià? disse.
Estha aveva già dei conati di vomito. Ammu lo condusse come in
sogno al bagno della Sala della Principessa. LEI.
Venne sollevato e incuneato fra il lavandino sporchino e il corpo
di Ammu. Le gambe penzoloni. Il lavandino aveva rubinetti d'acciaio e
macchie di ruggine. E una ragnatela bruna di crepe sottili, come la carta
stradale di qualche grande e intricata città.
Estha ebbe un conato, ma non venne fuori niente. Solo pensieri. Che
fluttuarono fuori e poi fluttuarono dentro. Ammu non poteva vederli.
Gravavano come nubi tempestose sulla città di Lavandino. Ma le donne
e gli uomini di Lavandino continuavano le loro solite attività. Le
macchine e i bus di Lavandino sfrecciavano come sempre. La vita, a
Lavandino, andava avanti.
- No? disse Ammu.
- No disse Estha.
No? No.
-Allora lavati la faccia , disse Ammu. -Un po’ d'acqua aiuta
sempre. Lavati la faccia e andiamo a prendere una limonata frizzante.
Estha si lavò la faccia e le mani, le mani e la faccia. Aveva le
ciglia bagnate e incollate insieme.
L'Uomo delle Aranciate e delle Limonate chiuse il pacchetto verde
delle caramelle e ripassò la piega con l'unghia laccata del pollice.
Schiacciò una mosca con un giornale arrotolato. Con delicatezza, la
spinse oltre l'orlo del bancone, sul pavimento. Restò lì sulla schiena,
agitando debolmente le zampine.
- Bravo ragazzo, questo qua , disse ad Ammu. – Canta benissimo.
- E mio figlio , disse Ammu.
- Davvero? disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate, e
guardò Ammu con i denti. - Davvero? Non sembra abbastanza vecchia!
- Non si sente bene , disse Ammu. - Pensavo che una bibita fresca
poteva farlo star meglio.
- Ma certo , disse l'Uomo. - Certocertocerto. Limonearancia?
Arancialimone?
Temibile, temuta domanda.
-No, grazie. Estha guardò Ammu. Onde verdi, alghe, profondo
senza fondo.
- E lei? domandò l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate ad
Ammu. - Coca Cola, Fanta? Gelato? Rosemilk?
- No. Per me no. Grazie , disse Ammu. Donna luminosa, con le fossette
profonde.
- Tenga , disse l'Uomo allungando una manciata di caramelle,
come una hostess generosa. - Queste sono per il suo piccolo Mon.
- No, grazie , disse Estha guardando Ammu.
- Prendile, Estha , disse Ammu. - Non essere villano.
Estha le prese.
- Dì Grazie , disse Ammu.
-Grazie , disse Estha. (Per le caramelle e per il bianco d'uovo
bianco.)
- Non c'è di che , disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate in
inglese.
- Allora! disse. - Mon dice che siete di Ayemenem?
- Sì , disse Ammu.
-Ci vengo spesso , disse l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate.
- I parenti di mia moglie sono di Ayemenem. So dov'è la vostra
fabbrica. Conserve Paradiso, vero? Me l'ha detto lui. Il suo Mon.
Sapeva dove trovare Estha. Ecco cosa voleva dire. Era un
avvertimento.
Ammu vide gli occhi di suo figlio lucidi come bottoni e
febbricitanti.
- Dobbiamo andare , disse. - Non possiamo rischiare che gli venga
la febbre. Domani arriva sua cugina , spiegò allo Zio. E poi aggiunse
casualmente: - Da Londra .
- Da Londra? Un rispetto nuovo baluginò negli occhi dello Zio.
Una famiglia con agganci a Londra.
- Estha, tu stai qui con lo Zio. Vado a prendere Baby Kochamma e
Rahel , disse Ammu.
- Vieni , disse lo Zio. - Vieni e siediti con me sullo sgabello alto.
- No, Ammu! No, Ammu, no! Voglio venire con te!
Ammu, sorpresa dall'insolita nota di querula insistenza di suo
figlio, di solito così tranquillo, si scusò con lo Zio delle Aranciate e
delle Limonate.
- Di solito non fa così. Vieni, allora, Esthappen.

Di nuovo l'odore di là dentro. Ombre di ventilatori. Nuche. Colli.


Colletti. Capelli. Crocchie. Trecce. Code di cavallo.
Una fontanella stretta da un LoveinTokyo. Una ragazzina e una ex
suora.
I sette ragazzi alla menta del Comandante von Trapp avevano fatto
il loro bagno alla menta e si erano disposti in una fila mentosa, con i
capelli leccati, a cantare con docili voci alla menta per la donna che a
momenti riusciva a sposare il Comandante. La bionda Baronessa che
splendeva come un diamante.
La musica va
per le valli in fior.

- Dobbiamo proprio andare , disse Ammu a Baby Kochamma e


Rahel.
- Ma Ammu! disse Rahel. - Non è ancora successo niente di
Importante! Non l'ha ancora baciata! Non ha ancora strappato la
bandiera di Hitler! Rolf il Postino non li ha ancora traditi!
- Estha si sente male , disse Ammu. - Andiamo!
- Non sono ancora arrivati i soldati nazisti!
- Dai , disse Ammu. - Alzati!
- Non hanno ancora cantato C'era un pastore che pascolava!
- Estha deve star bene per Sophie Mol, non è vero? Disse Baby
Kochamma.
- No, che non deve , disse Rahel, ma più a se stessa che agli altri.
- Cos'hai detto? disse Baby Kochamma, cogliendo il tono generale
ma non le parole.
- Niente , disse Rahel.
- Ti ho sentito, invece , disse Baby Kochamma.

Fuori, lo Zio stava risistemando le sue bottigliette scure.


Strofinava via con lo straccio color sporco le macchie rotonde che
avevano lasciato sul suo Banco dei Rinfreschi di marmo, preparandosi
per l'Intervallo. Era un Lindo Zio delle Aranciate e delle Limonate.
Aveva un cuore da hostess intrappolato in un corpo da orso.
- Allora andate?
- Sì , disse Ammu. - Dove possiamo trovare un taxi?
-Fuori dal cancello, su per la strada a sinistra , disse, guardando
Rahel. - Non mi ha detto che aveva anche una piccola Mol. Ed
estraendo altre caramelle: - Tieni, Mol... per te .
-Prendi le mie! disse Estha in fretta, perché non voleva che Rahel
si avvicinasse all'uomo.
Ma Rahel si era già avviata. Mentre gli si avvicinava lui le sorrise,
e qualcosa in quel sorriso da pianoforte ambulante, qualcosa nello
sguardo fermo con cui sostenne il suo fece sì che si ritraesse da lui. Era
la cosa più repellente che avesse mai visto. Si girò a guardare Estha.
Indietreggiò per allontanarsi dall'uomo peloso.
Estha premette le caramelle Perry nella sua mano e lei sentì le dita
calde di febbre con le punte gelide come la morte.
- Ciao, Mon , disse lo Zio a Estha. - Ci vediamo ad Ayemenem,
una volta o l'altra.
E così, i gradini rossi, ancora. Questa volta Rahel si trascinava.
Lenta. No, non voglio andare. Una tonnellata di mattoni al guinzaglio.
- Gentile, il tizio delle Aranciate e delle Limonate , disse Ammu.
- Tsé! disse Baby Kochamma.
- Non sembra, ma è stato sorprendentemente gentile con Estha ,
disse Ammu.
- E allora perché non te lo sposi? disse petulante Rahel.
Il tempo si fermò sulla scala rossa. Estha si fermò. Baby
Kochamma si fermò.
- Rahel , Ammu disse.
Rahel agghiacciò. Le spiaceva da matti per quello che aveva detto.
Non sapeva da dove le fossero venute quelle parole. Non sapeva di
averle dentro di sé. Ma erano fuori, adesso, e non sarebbero rientrate.
Ciondolavano sulla scalinata rossa come impiegati in un ufficio statale.
Qualcuna in piedi, qualcuna seduta che faceva ballare la gamba.
-Rahel , disse Ammu. -Ti rendi conto di quel che hai detto?
Due occhi spaventati e una fontana si girarono verso Ammu.
- Va tutto bene. Non aver paura disse Ammu. - Rispondimi e basta.
Ti rendi conto?
- Di cosa? disse Rahel con la più sottile delle sue voci.
- Di quello che hai detto , disse Ammu.
Due occhi spaventati e una fontana si girarono verso Ammu -Lo
sai cosa succede quando ferisci le persone? Disse Ammu. - Quando le
ferisci, cominciano a volerti meno bene. Ecco cosa fanno le parole
sbadate. Fanno sì che gli altri ti vogliano un po' meno bene.
Una fredda farfalla nottuma con ciuffi dorsali inusitatamente fitti
atterrò leggera sul cuore di Rahel. Dove le sue zampette ghiacciate la
toccarono le venne la pelledoca. Sei pelledoche sul suo cuore sbadato.
La sua Ammu le voleva un po'"meno bene.
E ora, fuori dal cancello, su per la strada, a sinistra. Il pOsteggio
dei taxi. Una madre ferita, una ex suora, un bimbo caldo e uno freddo.
Sei pelledoche e una farfalla notturna.
Il taxi sapeva di sonno. Vecchi panni arrotolati. Fazzoletti fradici.
Ascelle. Era la casa del taxista, dopotutto. Lui ci viveva. Era l'unico
posto che aveva per immagazzinare i suoi odori. I sedili li avevano
uccisi. Sventrati. Dal sedile posteriore un fascio di sudicia gommapiuma
gialla si spandeva e tremolava come un fegato itterico. L'autista si
muoveva a scatti, vigile come un piccolo roditore, un furetto. Aveva il
naso aquilino da antico romano e baffi alla Little Richard. Era così
piccolo che guardava la strada attraverso il volante. Da fuori vedevano
un taxi con i passeggeri, ma senza guidatore. Guidava veloce,
aggressivo, sfrecciando negli spazi vuoti e sospingendo le altre
macchine fuori dalle loro corsie. Accelerando ai passaggi pedonali.
Saltando i semafori.
- Perché non usa un cuscino, o un guanciale o qualcosa del genere?
suggerì Baby Kochamma con voce amichevole. - Riuscirebbe a vederci
meglio.
- Perché non ti fai gli affari tuoi, sorella? suggerì l'autista con voce
poco amichevole.
Mentre costeggiavano il mare color dell'inchiostro, Estha mise la
testa fuori dal finestrino. Poteva gustare in bocca la calda brezza salata.
La sentiva mentre gli sollevava i capelli Sapeva che se Ammu avesse
scoperto quello che aveva fatto con l'Uomo delle Aranciate e delle
Limonate, avrebbe voluto meno bene anche a lui. Molto meno. Sentì lo
sconvolgimento della vergogna, pesante, che rivoltava la nausea nel suo
stomaco. Desiderava il fiume. Perché l'acqua aiuta sempre.
L'appiccicosa notte al neon scorreva fuori dai finestrini del taxi. Era
caldo dentro il taxi, e tranquillo. Baby Kochamma sembrava colorita ed
eccitata. Soddisfatta di non essere lei la causa del trambusto. Tutte le
volte che un cane randagio schizzava in strada, l'autista faceva uno
sforzo disperato per ammazzarlo.
La farfalla sul cuore di Rahel spalancò le ali di velluto, e il gelo le
strisciò nelle ossa.
Nel parcheggio dell’Hotel Sea Queen la Plymouth azzurrocielo
spettegolava con altre auto più piccole. Hslip Hslip Hsnuhsnah. Una
gran signora a un party di piccole signore. Gli alettoni che svolazzavano
eccitati.

-Camere numero 313 e 327 , disse l'uomo alla reception.


- Niente aria condizionata. Letti gemelli. L'ascensore è chiuso per
riparazioni.
Il ragazzo d'albergo che li accompagnò di sopra non era un
ragazzo. Aveva lo sguardo offuscato e gli mancavano due bottoni sul
logoro vestito marrone, da cui spuntava la canottiera grigiastra. Doveva
portare il suo stupido cappello da fattorino tutto da una parte, la dura
cinghia di plastica affondata nel doppiomento floscio. Sembrava una
crudeltà inutile obbligare un vecchio a portare un cappello tutto da una
parte in quel modo e invertire arbitrariamente la direzione che sceglie
l'età per far pendere il mento dei vecchi.
Altri gradini rossi da salire. Lo stesso tappeto rosso li aveva
seguiti dall'entrata del cinema. Magico tappeto volante.
Chacko era nella sua stanza. Beccato a gozzovigliare. Pollo arrosto,
patatine, mais e zuppa di pollo, due paratha e gelato alla vaniglia con
salsa di cioccolato. Salsa in una salsiera. Chacko diceva spesso che la
sua ambizione più grande era morire per il troppo mangiare. Mammachi
diceva che era un indizio sicuro di infelicità repressa. Chacko diceva
che non era niente del genere. Diceva che era Ingordigia Pura.
Chacko rimase sorpreso di vedere tutti di ritorno così presto, ma
fece finta di niente. Continuò a mangiare.
Secondo il programma, Estha doveva dormire con Chacko e Rahel
con Ammu e Baby Kochamma. Ma adesso che Estha non stava bene e
l'Amore aveva subito una ridistribuzione (Ammu amava lei un
po'"meno), Rahel avrebbe dormito con chhacko, ed Estha con Ammu e
Baby Kochamma.
Ammu tolse dalla valigia il pigiama e lo spazzolino di Rahel e li
mise sul letto.
- Ecco , disse Ammu.
Due clic per chiudere la valigia.
Clic. E clic.
- Ammu , disse Rahel, - salto la cena per punizione?
Sentiva il desiderio intenso di far cambio di punizione. Niente
cena, e dopo Ammu l'avrebbe amata come prima.
-Come preferisci , disse Ammu. -Ma io ti consiglio di mangiare.
Se vuoi crescere, cioè. Forse puoi prendere un po' del pollo di Chacko.
- Forse sì e forse no , disse Chacko.
- Ma, e la mia punizione? disse Rahel. - Non mi hai dato la mia
punizione!
- C¡ sono cose che contengono in sé la propria punizione , Disse
Baby Kochamma. Come se spiegasse un'operazione di aritmetica che
Rahel non riusciva a capire.
Ci sono cose che contengono in sé la propria punizione.
Come le camere da letto con dentro gli armadi a muro. Tutti loro
stavano per imparare qualcosa in più sulle punizioni. Che arrivano in
misure differenti. Che alcune sono così grandi da sembrare armadi a
muro con camere da letto all'interno. Potresti passarci dentro tutta la
vita, vagando tra scaffali oscuri.
Il bacio della buonanotte di Baby Kochamma lasciò una piccola
traccia di saliva sulla guancia di Rahel. Se la tolse con la spalla.
-Buonanotte, Diotiprotegga , disse Ammu. Ma lo disse con la
schiena. Se n'era già andata.
- Buonanotte , disse Estha, troppo sofferente per voler bene a sua
sorella.
Rahel Da Sola li guardò camminare giù per il corridoio
dell'albergo come spettri silenziosi ma corporei. Due grandi, uno
piccolo, con scarpe beige a punta. Il tappeto rosso portava via il suono
dei loro passi.
Rahel rimase sulla soglia della camera d'albergo, piena di tristezza.
Aveva in sé la tristezza della venuta di Sophie Mol. La tristezza
del diminuito amore di Ammu per lei. E la tristezza di quello, qualsiasi
cosa fosse, che l'Uomo delle Aranciate e delle Limonate aveva fatto a
Estha al Cinema Abilash.
Un vento pungente soffiò nei suoi occhi asciutti e doloranti.
Chacko mise una coscia di pollo e qualche patatina su un piatto e
lo passò a Rahel.
- No, grazie , disse Rahel, sperando che se riusciva a mettere in
atto da sola la propria punizione Ammu avrebbe annullato la sua.
- Che ne dici di un po'"di gelato con salsa di cioccolato? disse
Chacko.
- No, grazie , disse Rahel.
- Va bene , disse Chacko. - Ma non sai cosa ti perdi.
Finì tutto il pollo e poi tutto il gelato.
Rahel si infilò il pigiama.
- Fammi un favore, non dirmi per cosa sei stata punita , disse
Chacko. - Non lo sopporterei. Stava spolverando l'ultimo rimasuglio di
salsa di cioccolato con un pezzo di paratha. Il suo disgustoso dolce
dopodolce. - Cos'hai fatto? Ti sei grattata le punture di zanzara e le hai
fatte sanguinare? Non hai detto grazie al tassista?
- Molto peggio , disse Rahel, per lealtà verso Ammu.
- Non dirmelo , disse Chacko. - Non voglio saperlo.
Chiamò il servizio in camera e un cameriere stanco venne a portar
via i piatti e gli ossi. Cercò di portar via anche gli odori della cena, ma
quelli fuggirono arrampicandosi su per le flosce tende marroni
dell'albergo.
Una nipote non cenata e suo zio troppo cenato si lavarono insieme
i denti nel bagno dell" Hotel Sea Queen. Lei, una derelitta carcerata in
ceppi, col pigiama a strisce e una fontana in un LoveinTokyo. Lui, in
mutande e maglietta di cotone. La maglietta, deformata e tesa come una
seconda pelle sullo stomaco rotondo, pendeva floscia in corrispondenza
della depressione dell'ombelico.
Quando Rahel tenne fermo lo spazzolino spumoso e mosse i denti
avanti e indietro, lui non disse che non si doveva fare.
Non era mica un fascista.
Cominciarono a sputare a turno. Rahel esaminò accuratamente la
schiuma di Binaca mentre colava lungo il bordo del lavandino, per
vedere se c'era qualcosa da vedere.
Quali colori e quali strane creature erano state espulse dagli spazi
fra i suoi denti?
Niente, per stasera. Niente di insolito. Solo bolle di Binaca.

Chacko spense la Luce Grande.


A letto, Rahel si tolse il LoveinTokyo e lo mise accanto agli
occhiali da sole. La sua fontanella si abbassò un tantino, ma rimase
ritta.
Chacko giaceva nel letto, nella pozza di luce formata dalla
lampada da notte. Un uomo grasso su un palcoscenico buio. Prese la sua
camicia, che stava appallottolata ai piedi del letto. Tolse il portafogli
dalla tasca e guardò la fotografia di Sophie Mol che Margaret
Kochamma gli aveva spedito due anni prima.
Rahel lo guardava, e la sua fredda farfalla notturna distese di
nuovo le ali. Lentamente. In fuori. In dentro. L'ammiccare pigro del
predatore.
Le lenzuola erano ruvide ma pulite.
Chacko richiuse il portafogli e spense la luce. Nella notte accese
una Charminar e si domandò com'era sua figlia adesso. Nove anni. Vista
per l'ultima volta quando era rossa e grinzosa. Appena appena umana.
Tre settimane più tardi, Margaret, sua moglie, il suo unico amore,
piangendo gli aveva detto di Joe.
Margaret disse a Chacko che non poteva più vivere con lui. Gli
disse che aveva bisogno del suo spazio. Come se Chacko stesse usando
i cassetti di lei per i propri vestiti. Cosa che, conoscendolo,
probabilmente aveva fatto.
Gli chiese il divorzio.
In quelle ultime notti di tortura prima di lasciarla, Chacko
scivolava giù dal letto con una pila e guardava la sua bambina che
dormiva. Per impararla. Per imprimersela nella memoria. Per essere
sicuro che quando avesse pensato a lei, la bambina che invocava
sarebbe stata quella esatta. Memorizzò la peluria bruna sul cranio
tenero. La forma della bocca grinzosa e sempre in movimento. Gli spazi
fra le dita dei piedi. L'accenno di un neo. E allora, senza volerlo, si
scoprì a cercare nella sua bambina segni di Joe. Mentre conduceva la
sua folle, disperata, invidiosa indagine alla luce della torcia, la bambina
gli afferrò il dito indice. L'ombelico sporgeva dal suo ventre sazio e
setoso come un monumento a cupola su una collina. Chacko ci
appoggiò sopra l'orecchio e stette ad ascoltare pieno di meraviglia i
rumori interni. Messaggi spediti da un posto all'altro. Organi nuovi che
familiarizzavano tra loro. Un nuovo governo che organizzava le sue
strutture. Organizzava la divisione del lavoro, decideva chi doveva fare
che cosa.
Lei sapeva di latte e urina. Chacko si stupì di come qualcuno così
piccolo e indefinito, dalle rassomiglianze tanto vaghe, potesse
accaparrarsi così completamente l'attenzione, l'amore, la mente solida di
un uomo adulto.
Quando se ne andò, sentì che qualcosa gli era stato strappato.
Qualcosa di grande.
Ma adesso Joe era morto. Ucciso in un incidente di macchina.
Morto stecchito. Un buco a forma di Joe nell'universo.
Nella fotografia di Chacko, Sophie Mol aveva sette anni. Bianca e
blu. Labbra rosa, e niente sirianoortodossa. Sebbene Mammachi,
sbirciando la foto, insistesse che aveva il naso di Pappachi.
- Chacko? disse Rahel dal suo letto nell'oscurità. – Posso farti una
domanda?
- Anche due , disse Chacko.
- Chacko, tu ami Sophie Mol Più Di Ogni Cosa Al Mondo?
- E mia figlia , disse Chacko.
Rahel considerò la risposta.
-Chacko? E proprio necessario che la gente debba PER FORZA
amare i propri figli Più Di Ogni Cosa Al Mondo?
- Non ci sono regole , disse Chacko. - Ma di solito la gente lo fa.
- Chacko, per esempio , disse Rahel, - ma solo per esempio: è
possibile che Ammu possa amare Sophie Mol più di me ed Estha? O
che tu ami me più di Sophie Mol, solo per esempio?
- Tutto è possibile nella Natura Umana , disse Chacko con la sua
voce da Conferenza. Adesso si rivolgeva al buio, improvvisamente
insensibile alla nipotina con la fontana. - Amore. Follia. Speranza.
Gioia infinita.
Delle quattro cose Possibili nella Natura Umana, Rahel pensò che
Gioia Infinita suonava come la più triste. Forse per il modo in cui
Chacko lo diceva.
Gioia Infinita. Con un suono da chiesa. Come un povero pesce che
pinneggia pian piano.
Una farfalla fredda sollevò una zampetta fredda.
Il fumo della sigaretta si arricciolava nella notte. E l'uomo grasso e
la ragazzina giacevano svegli, in silenzio.

Poche stanze più in là, mentre la sua babyprozia russava, Estha


vegliava.
Ammu dormiva e appariva bella, nella luce a sbarre blu che
entrava dalla finestra a sbarre blu. Sorrideva nel sonno sognando delfini
e un blu cupo a sbarre. Era un sorriso che non lasciava pensare affatto
che la persona cui apparteneva fosse una bomba pronta a esplodere.
Estha Da Solo camminò ondeggiando verso il bagno. Vomitò un
limpido, aspro, luccicante e frizzante liquido al limone. L'acre
retrogusto del primo incontro di un Piccolo Uomo con la Paura. Tu-tu.
Si sentì un po'"meglio. Si infilò le scarpe e uscì dalla stanza, con i
lacci penzoloni, nel corridoio, e si fermò in piedi, tranquillo, dietro la
porta di Rahel.
Rahel si arrampicò su una sedia e gli apri la porta.
Chacko non si curò di capire come avesse fatto a sapere che c'era
Estha fuori dalla porta. Era abituato alle loro stranezze occasionali.
Giaceva come una balena arenata nello stretto letto d'albergo e si
domandava oziosamente se non fosse davvero Velutha che Rahel aveva
visto. Non gli pareva probabile. Per suo conto, Velutha andava troppo in
fretta. Era un Paravan con un futuro. Si chiese se Velutha avesse preso
la tessera del Partito marxista. E se di recente avesse visto il Compagno
K. N.M. Pillai.
All'inizio dell'anno, le ambizioni politiche del Compagno Pillai
avevano ricevuto una spinta inaspettata. Due membri locali del Partito,
il Compagno J. Kattukaran e il Compagno Guhan Menon, erano stati
espulsi dal Partito come sospetti naxaliti. Uno di loro, il Compagno
Guhan Menon, era indicato come il candidato del Partito alle elezioni
suppletive per l'Assemblea Legislativa che dovevano tenersi in marzo.
La sua espulsione dal Partito aveva creato un vuoto, e un certo numero
di aspiranti candidati manovrava per riempirlo. Fra questi, il Compagno
K. N.M. Pillai.
Il Compagno Pillai aveva iniziato a osservare le vicende delle
Conserve Paradiso con l'intensità di un giocatore in panchina durante
una partita di calcio. Introdurre un nuovo sindacato, benché piccolo, in
quello che sperava sarebbe stato il suo futuro collegio elettorale poteva
costituire l'eccellente inizio di un viaggio verso l'Assemblea
Legislativa.
Alle Conserve Paradiso quello di Compagno! Compagno! (come
diceva Ammu) era stato fino ad allora niente più di un gioco innocuo
giocato fuori dall'orario di lavoro. Ma se la posta in gioco aumentava, e
a dirigere l'orchestra era Chacko, tutti (eccetto Chacko) sapevano che la
fabbrica, già sommersa dai debiti, si sarebbe trovata in pericolo.
Dal momento che finanziariamente le cose non andavano bene, il
lavoro era pagato meno del minimo sindacale. Naturalmente, era stato
Chacko stesso a segnalarlo al sindacato, promettendo che non appena
gli affari avessero ripreso quota gli stipendi sarebbero stati rivisti. Era
convinto che si fidassero di lui e sapessero che aveva a cuore i loro
interessi.
Ma c'era qualcuno che la pensava diversamente. Alla sera, finito il
turno in fabbrica, il Compagno K. N.M. Pillai attendeva al varco gli
operai delle Conserve Paradiso e li guidava come un gregge fino alla
tipografia. Con la sua vocetta stridula li persuadeva dell'urgenza della
Rivoluzione. I suoi discorsi erano un misto intelligente di esempi locali
scelti ad hoc e grandiosa retorica maoista, che in malayalam suonava
ancor più grandiosa.
- Popoli del Mondo , cinguettava, - siate coraggiosi, osate
combattere, abbattete gli ostacoli e avanzate, ondata dopo ondata.
Allora tutto il mondo apparterrà al Popolo. I mostri d'ogni genere
saranno distrutti. Dovete pretendere ciò che è vostro di diritto.
Sovvenzioni annuali. Fondi di previdenza. Assicurazioni per gli
infortuni. Dato che questi discorsi erano in parte prove generali in vista
del giorno in cui, come membro locale dell'Assemblea Legislativa, il
Compagno Pillai avrebbe arringato folle immense, c'era qualcosa di
stonato nel tono e nel volume. La sua voce era piena di verdi risaie e
rosse bandiere sventolanti in cieli azzurri, che prendevano il posto di
una stanza piccola e afosa e dell'odore dell'inchiostro da stampa.
Il Compagno K. N.M. Pillai non parlò mai apertamente contro
Chacko. Tutte le volte che il discorso cadeva su di lui, stava ben attento
a spogliarlo di ogni attributo umano e a presentarlo come un'astratta
funzione entro uno schema più vasto. Una costruzione teorica. Una
pedina nel mostruoso complotto borghese per sovvertire la Rivoluzione.
Non lo chiamava mai col suo nome, ma sempre -la Direzione . Come se
Chacko fosse molte persone. Oltre a essere la cosa giusta da fare dal
punto di vista tattico, questa separazione tra l'uomo e il suo lavoro
aiutava il Compagno Pillai a conservare la coscienza pulita riguardo
agli affari privati che trattava con Chacko. Il suo contratto per stampare
le etichette delle Conserve Paradiso gli garantiva un'entrata di cui aveva
disperato bisogno. Continuava a dirsi che Chackoilcliente e
ChackolaDirezione erano due persone distinte. Distinte anche, era
ovvio, da ChackoilCompagno.
L'unica smagliatura nei piani del Compagno K. N.M. Pillai era
Velutha. Di tutti gli operai delle Conserve Paradiso era l'unico iscritto al
Partito, e questo dava al Compagno Pillai un alleato del quale avrebbe
volentieri fatto a meno. Sapeva che tutti gli altri operai Toccabili della
fabbrica covavano risentimenti nei confronti di Velutha per antichi
motivi personali. Il Compagno Pillai aggirava con cura la piega,
aspettando l'occasione buona per spianarla.
Manteneva un contatto costante con gli operai. Il suo compito era
sapere esattamente ciò che succedeva nella fabbrica. Li sbeffeggiò
perché accettavano quegli stipendi da fame mentre il loro governo, il
Governo del Popolo, era al potere.
Quando Punnachen il ragioniere, che tutte le mattine leggeva i
giornali a Mammachi, portò la notizia che tra gli operai si era parlato di
chiedere un aumento, Mammachi si infuriò. - Digli di leggere i giornali.
C'è una carestia in corso. Non c'è lavoro. La gente muore di fame.
Dovrebbero essere grati solo per averlo, un lavoro.
Tutte le volte che accadeva qualcosa di serio in fabbrica, era a
Mammachi, e non a Chacko, che veniva portata la notizia. Forse perché
Mammachi si inseriva perfettamente nello schema convenzionale delle
cose. Era la Modalali. Recitava la sua parte. Le sue reazioni, anche se
brusche, erano dirette e prevedibili. Chacko, d'altra parte, sebbene fosse
l'Uomo di Casa, sebbene dicesse - Le mie Conserve, le mie marmellate,
il mio curry , era così occupato a giocare ruoli sempre diversi da creare
scompiglio sul campo di battaglia.
Mammachi tentò di mettere in guardia Chacko. Lui la stette a
sentire, senza realmente ascoltare quello che diceva. Così, malgrado
quei primi mormorii di scontento nei locali delle Conserve Paradiso,
Chacko, impegnato com'era nelle prove generali della Rivoluzione,
continuava a giocare a Compagno! Compagno!
Quella notte, nel suo stretto letto d'albergo, dedicò un pensiero
sonnacchioso alla possibilità di battere sul tempo il Compagno Pillai
organizzando i suoi operai in una specie di sindacato privato. Avrebbe
indetto elezioni. Li avrebbe fatti votare. Avrebbero potuto essere eletti a
turno come rappresentanti. Sorrise all'idea di tenere un tavolo di
trattative con la Compagna Sumathi, o, ancora meglio, con la
Compagna Lucykutty, che aveva i capelli più belli.
I suoi pensieri tornarono a Margaret Kochamma e a Sophie Mol.
Forti cinghie d` amore si strinsero attorno al suo petto finché riuscì a
malapena a respirare. Giacque sveglio a contare le ore che mancavano
alla partenza per l'aeroporto.
Nel letto vicino, suo nipote e sua nipote dormivano abbracciati. Un
gemello caldo e uno freddo. Lui e Lei. Noi. In qualche modo, non del
tutto inconsapevoli dell'ombra del destino e di tutto ciò che era a loro
riservato, e che attendeva fra le sue ali.
Sognavano il loro fiume.
Le palme da cocco che si sporgevano sull'acqua e guardavano le
barche passare con occhi di noce di cocco. Contro corrente di mattina.
Con la corrente di sera. E il sordo, cupo suono dei pali di bambù che
urtavano lo scuro legno oleoso delle barche.
Era calda, l'acqua. Grigioverde. Come seta increspata.
Con dentro il cielo e gli alberi.
E, di notte, la luna gialla a pezzetti.

Quando furono stanchi di aspettare, gli odori della cena scesero


dalle tende e scivolarono fuori dalle finestre del Sea Queen per danzare
nella notte sul mare odoroso di cene.
Erano dieci alle due.

V
Il Paese degli Dei

Anni più tardi, quando Rahel vi tornò, il fiume la salutò col sorriso
spettrale di un teschio: buchi dove prima c'erano i denti e una mano
scheletrica che si sollevava da un letto d'ospedale.
Due cose erano successe.
Lui si era ristretto. E lei era cresciuta.
A valle avevano costruito uno sbarramento per l'acqua salata, in
cambio di voti da parte della potente lobby dei coltivatori di riso. Lo
sbarramento regolava il flusso di acqua salata dalle lagune che si
aprivano sul Mare Arabico. Così adesso avevano due raccolti all'anno
invece di uno. Più riso in cambio di un fiume.
Sebbene fosse giugno, e piovoso, il fiume adesso era solo un
rigagnolo gonfio. Un sottile nastro di acqua fangosa che lambiva
stancamente le due rive fangose, decorato qua e là dall'occhieggiare
argentato di un pesce morto. Era soffocato da alghe grasse, le cui brune
radici pelose oscillavano come sottili tentacoli sotto l'acqua. Uccelli
acquatici dalle ali di bronzo le attraversavano. Con i loro piedi piatti,
prudenti.
Una volta il fiume aveva il potere di evocare la paura. Di cambiare
le vite. Ma adesso i suoi denti erano stati limati, lo spirito svanito. Era
solo un lento, limaccioso nastro verde che traghettava spazzatura fetida
nel mare. Sacchetti di plastica dai colori brillanti sbocciavano sulla sua
superficie viscosa e piena di alghe, come aerei fiori subtropicali.
I gradini di pietra, che una volta avevano condotto i bagnanti
all'acqua e i pescatori al pesce, erano completamente scoperti e
conducevano da un nessunposto a un altro nessunposto, come un
assurdo monumento con niente da commemorare. Le felci si facevano
strada tra le crepe.
Sull'altra riva, le ripide sponde fangose si trasformavano di colpo
nelle basse mura di fango di un sobborgo di casupole diroccate. I
bambini sporgevano il sedere dal bordo e facevano i loro bisogni
direttamente nel fango vischioso e risucchiante del letto scoperto del
fiume. I più piccoli lasciavano che le loro scie gocciolanti ,color senape
scendessero da sole fino al fiume. Alla fine, verso sera, il fiume si
riscuoteva per accettare le offerte giornaliere e trascinarle nel fango fino
al mare, lasciando linee ondulate di spessa feccia bianca al suo
risveglio. A monte, madri pulite lavavano panni e vasellame in affluenti
non inquinati. La gente faceva il bagno. Torsi separati dal corpo si
insaponavano, sistemati come busti scuri su un nastro verde ondulato e
sottile.
Nelle giornate calde l'odore di merda saliva dal fiume e si posava
su Ayemenem come un cappello.
Nell'entroterra, dall'altra parte, una catena di alberghi a cinque
stelle aveva comprato il Cuore di Tenebra.
Dal fiume non si poteva più raggiungere la Casa della Storia (dove
un tempo mormoravano gli antenati con l'alito che sapeva di mappe
ingiallite e le unghie dei piedi spesse). Aveva voltato la schiena ad
Ayemenem. Gli ospiti dell'albergo venivano traghettati attraverso le
lagune dritto da Cochin. Arrivavano con il motoscafo, aprendo una V di
schiuma nell'acqua e lasciandosi dietro una pellicola arcobaleno di
benzina.
Dall'hotel si godeva una bella vista, ma anche lì l'acqua era densa
e avvelenata. Avevano messo cartelli di Vietato bagnarsi scritti con
grafia elaborata. Avevano costruito un muro alto per chiudere fuori il
suburbio e impedirgli di invadere la proprietà di Kari Saipu. Ma per
l'odore non c'era molto da fare.
Però avevano una piscina per nuotarci dentro. E tanduri di pesce
fresco e crepe suzette nel menu.
Gli alberi erano ancora verdi, il cielo ancora azzurro, ed era già
qualcosa. Così andavano avanti a pubblicizzare a destra e a manca il
loro paradiso puzzolente. - Il Paese degli Dei , lo definivano nei
dépliant; perché - e loro, la gente furba dell'hotel, lo sapevano - alla
puzza, come alla povertà degli altri, bisognava semplicemente fare
l'abitudine. Una questione di disciplina. Di Rigore e Aria Condizionata.
Nient'altro.

La casa di Kari Saipu era stata ristrutturata e ridipinta. Era


diventata il corpo centrale di un elaborato complesso, attraversato da
canali artificiali e ponticelli di collegamento. Alcune barchette
ballonzolavano nell'acqua. Il vecchio bungalow coloniale con l'ampia
veranda e le colonne doriche era circondato da case più piccole e più
vecchie - case avite - che la catena di alberghi aveva comprato da
antiche famiglie e trasportato nel Cuore di Tenebra. Storia giocattolo
per far giocare ricchi turisti. Come i covoni del sogno di Giuseppe o
come una calca di nativi ansiosi di porgere una petizione a un
magistrato inglese, le antiche case erano state sistemate attorno alla
Casa della Storia in atteggiamento deferente. L'hotel si chiamava -
Heritage , eredità.
Quelli dell" Hotel amavano dire ai loro ospiti che la più antica
delle case di legno, con il suo magazzino rivestito di pannelli a tenuta
d'aria, che poteva contenere abbastanza riso da nutrire un esercito per
un anno, era stata la casa avita del compagno E. M.S. Nambudiripad: -
il Mao Tsetung del Kerala , spiegavano ai non iniziati. I mobili e i
ninnoli che la casa conteneva erano in mostra. Un ombrello di canna di
bambù, un divanetto di vimini. Un baule da dote in legno. Erano
corredati di edificanti cartelli che dicevano: - Tipico ombrello del
Kerala e - Tradizionale baule da sposa .
Ed ecco, allora, anche qua, la Storia e la Letteratura reclutate dagli
affari. Kurtz e Karl Marx che univano i palmi in segno di saluto verso i
ricchi ospiti che scendevano dal motoscafo.
La casa del Compagno Nambudiripad era la sala da pranzo
dell'hotel, dove turisti semiabbronzati in costume da bagno succhiavano
dolce acqua di cocco (servita nel guscio), e vecchi comunisti, che
adesso lavoravano come striscianti camerieri in coloratissimi costumi
tradizionali, si inchinavano leggermente dietro i loro vassoi di bevande.
Alla sera (sempre per quel famoso Colore Locale) i turisti
venivano intrattenuti con spettacoli mutilati di kathakali** (- Scarsa
capacità di prestare attenzione , spiegavano Quelli dell" Hotel ai
danzatori). Così le antiche storie erano banalizzate e amputate. Da
classici di sei ore venivano ritagliati cammei di venti minuti.

** kathakali è la tipica forma di danza del Kerala. Si è sviluppato nella sua forma attuale a
partire dal ZVII secolo. Gli argomenti descritti sono presi dai grandi poemi epici indiani, il
Mahabharata (come in questo caso) e il Ramayana (N.d.T.)
Le rappresentazioni avevano luogo accanto alla piscina. Mentre i
tamburi tambureggiavano e i danzatori danzavano, gli ospiti
dell'albergo sguazzavano nell'acqua con i loro figli. Mentre Kunti
rivelava il suo segreto a Kama sulla riva del fiume, coppie amoreggianti
si rubavano l'un l'altra l'olio doposole. Mentre padri giocavano giochi
sessuali sublimati con figlie rimaste adolescenti, Putana allattava il
piccolo Krishna al suo seno avvelenato. Bhima sbudellava Dushasana e
inzuppava nel sangue i capelli di Draupadi.
La veranda posteriore della Casa della Storia (dove si era riunito
un gruppo di poliziotti Toccabili, e dove avevano fatto scoppiare un'oca
gonfiabile) era stata chiusa e trasformata nell'ariosa cucina dell'albergo.
Quel che di peggio vi si poteva combinare, adesso, erano kebab o crème
caramel. Il Terrore era passato. Vinto dall'odore di cibo. Zittito dai
brontolii dei cuochi. Dall'allegro tritatrita di aglio e zenzero. Dallo
Sventramento di piccoli animali: porcellini, capretti. Dai cubetti di
carne. Dal pesce diliscato.
Qualcosa giaceva sepolto nel terreno. Sotto l'erba. Sotto ventitré
anni di pioggia di giugno.
Una piccola cosa dimenticata.
Niente di cui il mondo avrebbe sentito la mancanza.
Un orologio da bambino di plastica, con le ore dipinte sopra.
Dieci alle due, diceva.
Una banda di bambini seguì Rahel nella sua passeggiata.
-Ciao, hippy , dissero, con venticinque anni di ritardo.
- Cometichiami?
Poi qualcuno le tirò un sasso, e la sua infanzia fuggì agitando le
braccia sottili.
Sulla via del ritorno, aggirando la Casa di Ayemenem, Rahel
sbucò nella via principale. Anche qui le case erano nate come funghi, ed
era solo il fatto che se ne stavano rannicchiate sotto gli alberi e che gli
stretti sentieri che le congiungevano con la via principale non erano
rotabili a dare ad Ayemenem un'apparenza di quiete rurale. In realtà la
popolazione si era gonfiata fino a farle raggiungere le dimensioni di una
cittadina. Dietro la fragile facciata verdeggiante viveva una calca di
persone che si poteva radunare quasi senza preavviso. Per picchiare a
morte un conducente d'autobus distratto. Per rompere i finestrini di una
macchina che aveva osato avventurarsi fuori il giorno di uno sciopero
dell'Opposizione. Per rubare l'insulina d'importazione di Baby
Kochamma e le sue focaccine alla crema, che venivano dritte dritte dal
Forno Centrale di Kottayam.
Fuori dalla Lucky Press, il Compagno K. N.M. Pillai era in piedi
accanto al muretto di confine e parlava con un uomo dall'altra parte. Le
braccia del Compagno Pillai erano incrociate sul petto, e le mani
stringevano le ascelle con atteggiamento possessivo, come se qualcuno
gliele avesse appena chieste in prestito e lui avesse rifiutato di darle via.
L'uomo di là del muro faceva scorrere un mazzo di fotografie in un
sacchetto di plastica con aria di interessamento forzato. Le foto erano
per la maggior parte del figlio del Compagno K. N.M. Pillai, Lenin, che
viveva e lavorava a Delhi - facendo l'imbianchino, l'idraulico e
l'elettricista - per l'ambasciata tedesca e quella olandese. Per placare
ogni timore dei suoi datori di lavoro riguardo alle sue simpatie
politiche, si era leggermente modificato il nome. Levin, si faceva
chiamare adesso. P. Levin.
Rahel cercò di passare inosservata, anche se era assurdo pensarlo.
-Aiyyo, Rahel Mol! disse il Compagno K. N.M. Pillai,
riconoscendola all'istante. - Orkunnilley? Il Compagno Zio? - Uwer ,
disse Rahel.
Si ricordava di lui? Ma certo che si ricordava.
La domanda e la risposta non erano che un preambolo di cortesia.
Entrambi sapevano che ci sono cose che si possono dimenticare. E cose
che non si possono dimenticare – che siedono in scaffali pieni di
polvere come uccelli impagliati con occhi obliqui e minacciosi.
-Allora! disse il Compagno Pillai. -Penso che sei in Ameirica
adesso, eh?
- No , disse Rahel. - Sono qui.
- Sissì , sembrava un po'"impaziente. - Ma per il resto sei in
Ameirica, credo.
Il Compagno Pillai scrociò le braccia. I suoi capezzoli
occhieggiarono verso Rahel dalla cima del muro, come gli occhi di un
Sanbernardo.
- Riconosciuta? chiese il Compagno Pillai all'uomo delle foto,
indicando Rahel col mento.
L'uomo non l'aveva riconosciuta.
- La figlia della figlia della vecchia Kochamma delle Conserve
Paradiso , disse il Compagno Pillai.
L'uomo sembrò perplesso. Era chiaramente un forestiero. E non un
mangiatore di sottaceti. Il Compagno Pillai tentò un'altra strada.
-Punnyan Kunju? chiese. Il Patriarca d'Antiochia fece una breve
apparizione su per aria e agitò la mano rinsecchita.
Per l'uomo delle foto, le cose cominciarono a collocarsi al posto
giusto. Annuì con entusiasmo.
- Il figlio di Punnyan Kunju? Benaan John Ipe? Che prima stava a
Delhi? disse il Compagno Pillai.
- Uwer; uwer, uwer , disse l'uomo.
- La figlia di sua figlia è questa qui. Sta in Ameirica adesso.
L'uomo annuiva come se ne andasse della sua vita mentre l'albero
genealogico di Rahel si chiariva davanti ai suoi occhi.
- Uwer, uwer, uwer. In Ameirica, adesso. Sì? Non era una
domanda. Era ammirazione allo stato puro.
Ricordò vagamente l'ombra di uno scandalo. Aveva dimenticato i
particolari, ma si ricordava che c'entravano sesso e morte. Era stato sui
giornali. Dopo un breve silenzio e un'altra serie di piccoli su e giù del
capo, l'uomo porse al Compagno Pillai il sacchetto di fotografie.
- Okay, compagno, io vado.
Doveva prendere la corriera.

-Allora! Il sorriso del Compagno Pillai si fece più ampio mentre


rivolgeva la sua attenzione, come un riflettore, su Rahel. Le sue gengive
erano di un rosa stupefacente, la ricompensa di una vita di
vegetarianismo senza deroghe. Era il tipo d'uomo difficile da
immaginare da bambino. O da neonato. Sembrava che fosse nato di
mezz'età. E stempiato.
- Il marito, Mol? volle sapere.
- Non è venuto.
- Foto?
- No.
- Nome?
- Larry. Lawrence.
- Uwer. Lawrence. Il Compagno Pillai assentì come se fosse
d'accordo. Come se, potendo scegliere, proprio quello avrebbe scelto.
- Qualche arrivo?
- No , disse Rahel.
- Ancora in fase di programmazione, immagino. O sei in attesa?
- No.
-Uno ci vuole. Maschio o femmina. Lo stesso , disse il Compagno
Pillai. - Due è una vostra scelta, chiaro.
- Siamo divorziati. Rahel sperò che il colpo lo facesse star zitto.
-Di-forzati? La sua voce si fece talmente acuta che si spezzò sul
punto interrogativo. Pronunciò la parola come se fosse una specie di
condanna a vita.
-Alquanto sventurati , disse quando si fu ripreso. Per qualche
ragione se ne uscì con un linguaggio libresco insolito in lui. - Alquanto.
Venne in mente al Compagno Pillai che questa generazione forse
stava pagando per la decadenza borghese dei suoi predecessori.
Uno era matto. L'altra diforzata. Sterile, probabilmente.
Forse era questa la vera rivoluzione. I borghesi cristiani iniziavano
ad autodistruggersi.
Il Compagno Pillai abbassò la voce, come se ci fosse qualcuno ad
ascoltare, anche se lì intorno non c'era nessuno.
- E Mon? sussurrò confidenzialmente. - Come sta?
- Bene , disse Rahel. - Lui sta bene.
Bene. Depresso e color miele. Lava la sua roba con sapone che si
sbriciola.
-Aiyyo paavan , sussurrò il Compagno Pillai, e i suoi capezzoli si
afflosciarono con falsa disperazione. – Povero ragazzo.
Rahel si domandò cosa ci avesse guadagnato a sottoporla a un
interrogatorio così stringente per poi ignorare tutte le sue risposte. Era
chiaro che non si aspettava la verità da lei. Ma perché almeno non
faceva finta?
-Lenin è a Delhi, adesso. Alla fine era venuto fuori. Il Compagno
Pillai era incapace di nascondere il proprio orgoglio. - Lavora in
ambasciate straniere. Guarda!
Porse a Rahel il sacchetto di cellophane. Erano per lo più foto di
Lenin con la sua famiglia. Sua moglie, suo figlio, il suo nuovo scooter
BajaJ. Ce n'era una di Lenin che stringeva la mano a un uomo molto
ben vestito, molto rosa.
- Il Primo Segretario d'ambasciata Tedesco , disse il Compagno
Pillai.
Sembravano contenti nella foto, Lenin e sua moglie. Come se
avessero un frigorifero nuovo e l'anticipo versato per un appartamento.

Rahel ricordava l'episodio che aveva fatto sì che lei ed Estha


mettessero a fuoco Lenin come Persona Reale, il momento in cui
avevano cominciato a considerarlo qualcosa di più di una piega
qualsiasi della sari di sua madre. Lei ed Estha avevano cinque anni,
Lenin forse tre o quattro. Si incontrarono nella clinica del Dottor
Verghecse Verghese (il miglior Pediatra e Tastatore di Madri di
Kottayam). Rahel era con Ammu ed Estha (che aveva insistito per
andare con loro). Lenin era con sua madre, Kalyani. Sia Rahel che
Lenin accusavano lo stesso disturbo: Oggetti Estranei Ospiti dei loro
Nasi. Sembrava una coincidenza straordinaria, adesso, ma allora, in
qualche modo, non lo era. Era curioso come la politica si acquattasse
anche in quello che i bambini decidevano di infilarsi nel naso. Lei, la
nipote di un Entomologo Imperiale, lui il figlio di un lavoratore rurale
iscritto al Partito marxista. Quindi: lei una perlina di vetro, lui un cece
verde.
La sala d'attesa era piena.
Da dietro la tenda del dottore provenivano sinistri mormorii,
interrotti da urla di bambini brutalizzati. C'era un clic di vetro su
metallo, e il borbottio dell'acqua che sobbolliva. Un bambino giocava
col cartello di legno sulla parete, Il dottore Visita / Il Dottore è Fuori,
facendo scivolare su e giù la targa d'ottone. Un neonato febbricitante
singultava sul seno di sua madre. Il lento ventilatore da soffitto
sbucciava l'aria spessa e carica di paura in una spirale senza fine che
ricadeva lenta sul pavimento come la pelle di un'infinita patata.
Nessuno leggeva le riviste.
Da sotto la tenda succinta stesa sulla porta che dava direttamente
sulla strada veniva l'instancabile slipslap di piedi senza corpo calzati di
pantofole. Il rumoroso, spensierato mondo di Quelli Senza Niente Su
Per Il Naso.
Ammu e Kalyani si scambiarono i bambini. Nasi furono sollevati,
teste spinte indietro e girate verso la luce per vedere se una madre
riusciva a vedere quello che l'altra non vedeva. La cosa non funzionò e
Lenin, vestito come un taxi – camicia gialla, pantaloni neri corti di
tessuto elasticizzato-, riguadagnò il grembo di nylon della madre (e il
suo pacchetto di gomme). Sedette sopra i fiori della sari e da quella
inespugnabile posizione di forza ispezionò impassibile la scena. Inserì
in profondità l'indice sinistro nella narice non occupata e respirò
rumorosamente con la bocca. Aveva una scriminatura nettissima. I
capelli erano appiattiti con olio ayurvedico. Le gomme erano da tenere
prima della visita, e da mangiare dopo. Tutto andava bene nel mondo.
Forse era un po'"troppo piccolo per sapere che l'Atmosfera da Sala
d'Aspetto più le Grida Dietro la Tenda doveva dare come logico
risultato una Sana Paura del Dottor V. V.
Un ratto indaffarato, dal dorso peloso, compì numerosi viaggi fra
la stanza del dottore e il fondo dell'armadio nella sala d'aspetto.
Un'infermiera compariva e scompariva attraverso la tenda
macchiata che copriva la porta del dottore. Brandiva strani aggeggi.
Una fiala sottile. Un rettangolo di vetro con sopra delle macchie di
sangue. Una provetta di urina lucente. Una serie di aghi d'acciaio bolliti.
I peli delle gambe erano pressati, come fili attorcigliati, contro le calze
bianche trasparenti. I tacchi quadrati dei suoi consunti sandali bianchi
erano consumati all'interno e i piedi le scivolavano in dentro, uno verso
l'altro. Nere mollette lucide, che sembravano serpentelli stirati,
fissavano la rigida cuffia da infermiera ai capelli oleosi.
Sembrava che negli occhiali avesse un filtro antiratto. Non parve
notare il ratto dalla schiena pelosa, neppure quando le passò proprio sui
piedi. Chiamava i nomi a voce spiegata: - A. Ninan... S. Kusumalatha...
B. V. Roshini... N. Ambady . Indifferente alla spirale d'aria smossa.
Gli occhi di Estha erano piattini pieni di terrore. Era ipnotizzato
dal cartello Il Dottore Visita / Il Dottore è Fuori.
Rahel sentì un'ondata di panico salirle dentro.
- Ammu, proviamo un'altra volta.
Ammu sostenne la testa di Rahel da dietro con una mano. Con il
pollice dell'altra, avvolto nel fazzoletto, chiuse la narice senza perlina.
Tutti gli occhi nella sala d'aspetto erano puntati su Rahel. Poteva essere
lo show della sua vita. L'espressione di Estha era quella di ch¡ si
prepara a soffiarsi il naso. La fronte si raggrinzì e tirò un profondo
respiro.
Rahel chiamò a raccolta tutte le sue energie. Per piacere, Dio, per
piacere, fà che esca. Su dalle piante dei piedi e dal più profondo del
cuore, soffiò nel fazzoletto di sua madre.
E, in uno sgorgo di moccio e sollievo, l'ospite uscì. Una piccola
perlina color malva in un letto luccicante di muco. Fiera come una perla
nella sua ostrica. I bambini si fecero attorno per ammirarla. Il bambino
che giocava col cartello assunse un'aria sprezzante.
-Potrei farlo anch'io, quello! annunciò.
-Provaci, e vedrai che sberla che ti prendi , disse sua madre.
-La signorina Rahel! gridò l'infermiera guardandosi attorno.
- E uscita! disse Ammu all'infermiera. - E venuta fuori. Sollevò il
fazzoletto appallottolato.
L'infermiera non aveva idea di cosa volesse dire.
- Va tutto bene. Ce ne andiamo , disse Ammu. – La perlina è
uscita.
- Il prossimo , disse l'infermiera, e chiuse gli occhi dietro i filtri
antiratto. (- Il mondo è bello perché è vario , disse fra sé.) - S. V.S.
Kurup !
Il ragazzo sprezzante iniziò a urlare mentre sua madre lo spingeva
nella stanza del dottore.
Rahel ed Estha uscirono dalla clinica in trionfo. Il piccolo Lenin
rimase lì a farsi esplorare la narice dai freddi strumenti d'acciaio del
Dottor Verghese Verghese, mentre sua madre veniva esplorata da altri,
più morbidi strumenti.
Così quello era Lenin.
Adesso aveva una casa e uno scooter Bajaj. Una moglie e un
arrivo.

Rahel rese il sacchetto delle foto al Compagno Pillai e cercò di


andarsene.
- Un minutino , disse il Compagno Pillai. Era come un
esibizionista nascosto in una siepe. Attirava la gente con i suoi
capezzoli e poi le faceva vedere a forza le foto di suo figlio. Rimestò
nel pacco di foto (un compendio illustrato della vita di Lenin), fino a
pescare l'ultima. - Orkunundo?
Era una vecchia fotografia in bianco e nero. L'aveva fatta Chacko
con la Rolleiflex che Margaret Kochamma gli aveva portato come
regalo di Natale. C'erano tutti e quattro. Lenin, Estha, Sophie Mol e lei,
in piedi nella veranda anteriore della Casa di Ayemenem. Dietro di loro
le decorazioni natalizie di Baby Kochamma pendevano a festoni dal
soffitto. Una stella di cartone era appesa a una lampadina. Lenin, Rahel
ed Estha sembravano animaletti spaventati sorpresi dai fari di una
macchina. Ginocchia unite, sorrisi congelati sulla faccia, braccia strette
ai fianchi, busto girato ad affrontare la fotografia. Come se stare di
profilo fosse un peccato mortale.
Solo Sophie Mol, con tracotanza primomondista, si era costruita
una faccia per la foto del suo vero padre. Aveva rigirato in dentro le
palpebre, così che i suoi occhi sembravano petali di carne venati di rosa
(grigi, nella foto in bianco e nero). Si era messa una dentiera di denti
gialli sporgenti, ritagliata dalla buccia di un lime. La lingua sporgeva
dalla trappola dei denti con il ditale d'argento di Mammachi infilato
sulla punta. (Se n'era impadronita il giorno del suo arrivo, dichiarando
che per tutto il tempo delle vacanze avrebbe bevuto solo dal ditale.)
Aveva una candela accesa in ogni mano. Una gamba dei suoi pantaloni
a zampa d'elefante era arrotolata e mostrava un ginocchio bianco e
ossuto su cui era disegnata una faccia. Alcuni minuti prima che fosse
scattata la foto, aveva spiegato pazientemente a Estha e Rahel
(disdegnando ogni prova oggettiva del contrario: fotografie, ricordi)
come ci fosse una buonissima possibilità che loro fossero bastardi, e che
cosa significava veramente bastardo Il che aveva richiesto una
complicata, anche se imprecisa, descrizione di sesso. - Guardate come
fanno...
Era solo pochi giorni prima che morisse.
Sophie Mol.
Bevitrice dal ditale.
Piroettatrice nella bara.
Era arrivata col volo BombayCochin. Cappello, pantaloni a zampa
d'elefante e Amata Fin dal Primo Istante.

VI
Canguria a Cochin

All'aeroporto di Cochin, i mutandoni nuovi di Rahel risultarono


essere a pallini e ancora belli gonfi e arricciati. Le prove generali erano
state fatte. Era il Giorno della Prima. L'apogeo della settimana del Cosa
Ne Penserà Sophie Mol?
Quella mattina, all" Hotel Sea Queen, Ammu - che di notte aveva
sognato delfini e blu profondo - aiutò Rahel a indossare il suo
spumeggiante Vestito da Aeroporto. Il vestito era una delle sconcertanti
aberrazioni del buon gusto di Ammu, una nuvola di rigido merletto
giallo cosparso di lustrini d'argento, con un fiocco su ciascuna spalla.
La gonna arricciata era sostenuta da un sottogonna di tela rigida che la
faceva star gonfia. La preoccupazione di Rahel era che non s'intonasse
ai suoi occhiali da sole.
Ammu tirò fuori i mutandoni arricciati in tinta. Rahel, con le mani
appoggiate alle spalle di Ammu, si arrampicò nei suoi mutandoni nuovi
(gamba destra, gamba sinistra) e baciò Ammu su ciascuna fossetta
(guancia destra, guancia sinistra). L'elastico fece uno schiocco morbido
contro il suo stomaco.
- Grazie, Ammu , disse Rahel.
- Grazie? disse Ammu.
- Per il vestito nuovo e i mutandoni , disse Rahel.
Ammu sorrise. -Non c'è di che, amore mio , disse, ma triste.
Non c'è di che, amore mio.
La farfalla notturna sul cuore di Rahel sollevò una zampetta
pelosa. Poi la rimise giù. La zampetta era fredda. Sua madre le voleva
un po'"meno bene.
La camera del Sea Queen sapeva di uova e di caffè fatto col filtro.
Andando alla macchina, Estha portava il thermos marca Aquila
con l'acqua del rubinetto. Rahel portava il thermos marca Aquila con
l'acqua bollita. I thermos marca Aquila avevano sopra Aquile Termiche
con le ali spiegate e un globo fra gli artigli. Le Aquile Termiche, così
credevano i gemelli, per tutto il giorno sorvegliavano il mondo e per
tutta la notte volavano attorno ai loro thermos. Silenziose come gufi,
volavano con la luna sulle ali.
Estha indossava una camicia rossa a maniche lunghe con il colletto
a punta e pantaloni neri col risvolto. Il suo ciuffo sembrava gonfio e
stupefatto. Come bianco d'uovo montato a neve.
Estha - con qualche ragione, bisogna ammetterlo – disse che Rahel
sembrava stupida col suo vestito da aeroporto. Rahel gli mollò uno
schiaffo, e lui glielo restituì.
All'aeroporto non si parlavano.

Chacko, che di solito portava il mundu, s'era messo un bizzarro


abito attillato e aveva un sorriso smagliante. Ammu gli raddrizzò la
cravatta, che era strana e storta. Aveva fatto colazione ed era
soddisfatto.
Ammu disse: - Che ne è stato all'improvviso del nostro Uomo
delle Masse?
Ma lo disse con le fossette, perché Chacko era così straripante.
Così enormemente felice.
Chacko non le mollò una sberla.
E lei non gliela restituì.
Dal fiorista del Sea Queen Chacko aveva comprato due rose rosse,
che teneva in mano attentamente.
Pinguemente.
Amorevolmente.

Il negozio dell'aeroporto, gestito dall'Ente per lo Sviluppo del


Turismo nel Kerala, era imbottito fino a scoppiare di Maharaja dell'Air
India (small medium large), elefanti di legno di sandalo (small medium
large) e maschere di cartapesta da danzatore kathakali (small medium
large). Un odore nauseabondo di sandalo e di ascelle (small medium
large) stava sospeso in aria.
Nella sala degli arrivi c'erano quattro canguri femmina di cemento
a grandezza naturale, con i marsupi di cemento che dicevano: USAMI.
Nei marsupi, al posto di cangurini di cemento, le cangure tenevano
cicche di sigarette, bustine di fiammiferi usate, tappi, gusci di
noccioline, bicchieri di carta accartocciati e scarafaggi.
Macchie di sputo rosso di betel schizzavano i loro stomaci da
canguro come ferite fresche.
Quei Canguri da Aeroporto avevano bocche daò rosso sorriso.
E orecchie dai bordi rosa.
Davano l'impressione che, se li premevi, avrebbero detto - mamma
con vuote voci meccaniche.

Quando l'aereo di Sophie Mol apparve nel cielo azzurrocielo


BombayCochin, la folla si accalcò contro la transenna di metallo per
vedere meglio ogni cosa.
Il salone degli arrivi era una ressa d'amore e d'ansia, perché il volo
BombayCochin era quello col quale tutti i Ritornati dall'Estero
arrivavano a casa.
Le loro famiglie erano andate ad accoglierli. Da tutto il Kerala.
Con lunghi viaggi in corriera. Da Ranni, da Kumili, da Vizhinjam, da
Uzhavur. Qualcuno si era accampato all'aeroporto per la notte e aveva
portato con sé il mangiare. E sfogliatine di tapioca e chakka velaichathu
per il ritorno.
C'erano tutti: le ammuma sorde, gli stizzosi, artritici appupan, le
mogli languide, gli zii intriganti, i bambini con la diarrea. I fidanzati in
attesa di confermare il fidanzamento. Il marito dell'insegnante ancora in
attesa del visto per l'Arabia Saudita. Le sorelle del marito
dell'insegnante in attesa della dote. La moglie incinta dell'elettricista.
- Spazzini, perlopiù , disse cupa Baby Kochamma, distogliendo lo
sguardo mentre una madre, decisa a non mollare il suo Buon Posto
accanto alla transenna, infilava il pisello del suo sconcertato bambino in
una bottiglia vuota, mentre quello sorrideva e agitava la mano alla gente
attorno a lui.
- Psssss... sibilò la madre. Prima in tono persuasivo, poi con
violenza. Ma quel bambino era convinto di essere il Papa. Sorrideva e
sventolava la mano, sorrideva e sventolava. Col pisello infilato in una
bottiglia.
- Non dimenticate che siete gli Ambasciatori dell'India, disse Baby
Kochamma a Rahel ed Estha. - Sarete voi a dar loro la Prima
Impressione del vostro paese.
Ambasciatori Gemelli Dizigotici. Sua Eccellenza l'Ambasciatore
E( lvis), Pelvis, e Sua Eccellenza l'Ambasciatrice I( nsetto), Stecco. Con
il suo vestito di merletto rigido e la sua fontana in un LoveinTokyo,
Rahel sembrava una Fatina dell'Aeroporto dai gusti terrificanti. Era
circondata da fianchi umidi (e lo sarebbe stata ancora, in seguito, a un
funerale in una chiesa gialla) e da un'ansia feroce. Sul cuore aveva la
farfalla di suo nonno. Distolse lo sguardo dall'urlante uccello d'acciaio
con dentro sua cugina nel cielo azzurrocielo, ed ecco quello che vide:
canguri femmina dalle labbra rosse con sorrisi di rubino facevano
saltelli di cemento sul pavimento dell'aeroporto.

Tacco punta
Tacco punta

Lunghi piedi piatti.


Con la spazzatura dell'aeroporto nei marsupi.
La più piccola delle tre stiracchiava il collo come quelli che si
allentano la cravatta uscendo dall'ufficio nei film inglesi. Quella di
mezzo frugava nel marsupio in cerca di una cicca lunga da fumare.
Trovò un vecchio anacardio in un sacchetto di plastica scura. Lo
rosicchiò con i denti davanti come un roditore. La più grande faceva
dondolare il cartello che diceva l'Ente per lò Sviluppo del Kerala vi dà il
Benvenuto, con un danzatore kathakali che si inchinava in un namasté.
Un altro cartello, che non veniva fatto dondolare da una cangura,
diceva: itunevneB alla atsoC elled eizepS.
L'Ambasciatrice Rahel si aprì in fretta un varco nella calca in
direzione del fratello e coAmbasciatore.
Guarda, Estha! Guarda, guarda!
Ma l'Ambasciatore Esth non guardò. Non voleva. Stava
guardando l'atterraggio a balzelloni con il suo thermos Aquila a tracolla
e una sensazione di profondo senza fondo: l'Uomo delle Aranciate e
delle Limonate sapeva dove trovarlo. Alla fabbrica di Ayemenem. Sulle
rive del Minachal.
Ammu guardava con la borsetta.
Chacko con le rose.
Baby Kochamma con il suo sporgente neo sul collo.

Poi la gente del BombayCochin uscì. Dall'aria fresca dentro in


quella calda. Gente spiegazzata che si lisciava avvicinandosi al Salone
degli Arrivi.
Ed eccoli lì, i Ritornati dall'Estero, con gli abiti ingualcibili e gli
occhiali da sole. Con la fine della stritolante povertà chiusa nelle loro
valigie marca Aristocrat. Con i tetti di cemento per le loro baracche
ricoperte di paglia, e gli scaldabagni per i bagni dei loro genitori. Con i
nuovi metodi di semina e i contenitori asettici. Le maxigonne e i tacchi
alti. Le maniche a sbuffo e il rossetto. I frullatori elettrici e i flash
automatici per le macchine fotografiche. Con chiavi da contare e armadi
da chiudere a chiave. Con la fame di kappa e min vevichathu che da
tanto non mangiavano. Con il loro amore e un pizzico di vergogna
perché le famiglie che erano venute ad accoglierli avevano un'aria
così... così... goffa. Guarda come sono vestiti! Ma non avevano
qualcosa di più adatto da mettersi per venire all'aeroporto? Perché mai
quelli del Kerala avranno denti così orribili?
E l'aeroporto, poi! Sembra più la stazione dei bus. E la cacca di
uccello sui muri! E, oh, le macchie di sputo sui canguri!
Oho! L'India sta proprio andando in malora.
Quando i lunghi viaggi in corriera e le permanenze notturne
all'aeroporto si furono incontrate con l'amore e un pizzico di vergogna,
comparvero piccole crepe, destinate a crescere sempre più, e prima di
accorgersene i Ritornati dall'Estero si sarebbero ritrovati chiusi fuori
dalla Casa della Storia, con i loro sogni risognati.
E poi, là, fra i vestiti ingualcibili e le valigie luccicanti, ecco
Sophie Mol.
Bevitrice dal ditale.
Piroettatrice nella bara.
Avanzava nel corridoio, con un profumo di Londra tra i capelli.
Gli orli gialli dei pantaloni scampanati che sbattendo le si
attorcigliavano alle caviglie. Capelli lunghi che ondeggiavano da sotto
il cappello di paglia. Una mano nella mano di sua madre. L'altra che
oscillava come quella di un soldato (sinìs, sinìs, sinìsdèssinìs).

C'era
Una ragazza
Alta e
Magra e
Bionda
I capelli
I capelli
Avevano il chiaro colore del
Gin nnn ger (sinìssinìs, dès)
C'era
Una ragazza...

Margaret Kochamma le disse di Piantarla.


E lei Lapiantò.

Ammu disse: - La vedi, Rahel?


Si girò attorno per trovare la figlia in mutandoni arricciati che
faceva comunella con dei marsupiali di cemento. Andò a prenderla,
sgridandola. Chacko disse che non poteva tenere Rahel sulle spalle
perché aveva già qualcosa in mano. Due rose rosse.
Pinguemente.
Amorevolmente.
Quando Sophie Mol entrò nel Salone degli Arrivi, Rahel
sopraffatta dall'eccitazione e dal risentimento, diede un gran pizz