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LE IMPRESE PUBBLICHE

L’impresa pubblica è quella che finanziata da capitale pubblico svolge un’attività economica per la
produzione di beni o servizi destinati al soddisfacimento di un interesse pubblico mediante la logica dello
scambio. Lo Stato si inserisce direttamente nel mercato producendo e offrendo beni e servizi secondo il
meccanismo privatistico dello scambio. Nel tempo i prezzi pubblici sono causa di sprechi inefficienti.

Le motivazioni dell’intervento pubblico storicamente sono ragioni di politica economica, finalità sociali
(equità), finalità economiche (efficienza) e si possono riassumere come segue:
 Evitare le divergenze tra fini privati, dominati dallo scopo di profitto, e pubblici, nell’esercizio di
attività economiche, in altre parole contrastare la formazione di monopoli privati sia per quanto
riguarda i servizi socialmente rilevati sia per il controllo dei settori chiave, cioè strategici per lo
sviluppo economico del paese;
 Assicurare l’efficienza allocativa e una politica dei prezzi a fini sociali nel senso di garantire la
massima diffusione e necessità per i beni e i servizi di primaria utilità;
 Promuovere le condizioni per lo sviluppo industriale, cioè il sostegno dell’attività produttiva, ad
esempio nelle aree depresse o il salvataggio di imprese dissestate. Tutto ciò nelle diverse forme
organizzative dell’intervento delle imprese pubbliche ha assunto in Italia: aziende autonome ed enti
economici e sistema delle partecipazioni pubbliche statali.

LE FORME ORGANIZZATIVE DELL’IMPRESA PUBBLICA:


 Nelle aziende autonome lo Stato esercita direttamente attività di impresa mediante propri uffici e
organi strutturati come vere e proprie aziende; esse sono fornite di una propria autonomia
contabile e amministrativa: hanno un proprio bilancio, dal quale viene evidenziato il risultato
dell’attività e i poteri decisionali dei dirigenti sono più ampi di quanto comporterebbe il normale
rapporto gerarchico.
 L’impresa pubblica si distacca nettamente dall’organizzazione amministrativa dello Stato quando è
esercitata da un ente pubblico economico. L’ente ha una maggior libertà di gestione , perché
essendo organizzato in base a norme specifiche e separato dall’apparato burocratico della Pubblica
amministrazione, può adottare procedure più snelle e adattarsi con maggiore elasticità ai
mutamenti della situazione del mercato. Comunque tra l’ente e il potere politico dello Stato rimane
un legame perché gli organi di vertice sono nominati dal governo e sottoposti al potere di vigilanza
del ministro.
Quando l’ente pubblico non ritiene di esercitare direttamente l’impresa, può affidarne a privati
l’esercizio in concessione. Si attua una scissione fra la titolarità dell’impresa, che appartiene
all’ente, e il suo esercizio, che è attribuito in tutto o in parte al privato concessionario. L’attività e il
rischio competono al concessionario, mentre l’ente concedente si riserva la potestà di direzione e
vigilanza. Un apposito capitolato regola i rapporti fra il concessionario e l’ente concedente e
determina, nell’interesse della collettività, i principali obblighi dello stesso concessionario nei
confronti degli utenti.
 L’intervento pubblico nelle attività produttive si è realizzato anche mediante la partecipazione
azionaria in società in cui lo Stato è titolare del pacchetto azionario che assicura il controllo sugli
indirizzi della gestione. Chi esercita l’impresa è un soggetto di diritto privato, cioè una società di
capitali che opera secondo le norme del diritto civile e commerciale. L’impresa è pubblica soltanto
dal punto di vista economico.

Il sistema delle imprese pubbliche ha anche aspetti negativi. Il principale problema è quello di conciliare gli
obiettivi di interesse pubblico con una gestione produttiva ed efficiente. Per incrementare lo sviluppo
l’impresa pubblica opera nei settori economici meno remunerativi e nelle aree territoriali meno favorevoli;
spesso il fine di salvare l’occupazione fa sì che aziende dissestate vengano acquisite in mano pubblica al
solo scopo di evitarne la liquidazione.
C’è poi la difficoltà di definire in modo netto i rapporti con il governo, a cui sono riservate l’indicazione
delle strategie generali e l’approvazione dei programmi di gestione.
La presenza di imprese pubbliche in concorrenza con quelle private può provocare nel mercato distorsioni
assai gravi, dovute al fatto che le prime, grazie all’intervento del capitale pubblico, possono continuare a
operare anche se producono in perdita. L’assenza di un’effettiva competizione riduce gli incentivi a
migliorare l’efficienza tecnica e organizzativa e favorisce, nei vertici dell’azienda, una mentalità burocratica
più che manageriale.

LE PRIVATIZZAZIONI
A partire dal 1992 è iniziato un periodo di grandi trasformazioni per la crisi del sistema delle imprese
pubbliche le cui ragioni sono sintetizzabili nella necessità di far fronte agli aspetti negativi del fenomeno
della grande espansione del peso delle imprese pubbliche in Italia, insomma per il ridimensionamento del
ruolo dello stato nell’economia (stato meno padrone e più regolatore). Gli obiettivi delle privatizzazioni si
possono considerare il contributo delle privatizzazioni al risanamento del debito pubblico e la realizzazione
dei principi di concorrenza e di efficienza. Gli obiettivi perseguiti sono:
 Organizzazione più efficiente delle imprese;
 Ridefinizione dei rapporti con il potere politico per ridurre le interferenze ;
 Dare più spazio alla libera concorrenza in attuazione della normativa comunitaria: in tal senso il
processo di privatizzazione deve andare di pari passo con il percorso delle liberalizzazioni;
 Migliorare la qualità dei servizi di pubblica utilità. Nell’ambito della manovra di risanamento della
finanza pubblica si inserisce il “Programma di riordino delle partecipazioni statali” anche ai fini delle
privatizzazioni i cui proventi rappresentano entrate da destinare alla riduzione del debito pubblico
in quanto vengono accantonati nel Fondo Amministrativo del debito pubblico soprattutto per
ridurre il rapporto “debito pubblico/PIL”. Si discute su come fare le privatizzazioni, se sia preferibile
l’azionariato popolare o diffuso tra una moltitudine di piccoli azionisti oppure un nocciolo duro di
controllo, o in altre parole un nucleo stabile di azionisti di riferimento legati da patti di sindacato,
insomma pochi grandi azionisti anziché tantissimi piccoli azionisti. Tecnicamente privatizzazione
significa vendita delle imprese pubbliche al settore privato: ma a questa seconda fase si arriva
soltanto passando per una prima fase che è quella della trasformazione delle imprese pubbliche in
SPA le cui azioni sono attribuite al ministero del tesoro che predispone il patto di vendita e le sue
modalità. Dobbiamo precisare che in alcuno “settori strategici” la quota di partecipazione alienabile
non può comunque superare il 49% e ancora se la privatizzazione riguarda servizi di pubblica utilità
allora a tutela della collettività è prevista la costituzione di AUTORITHY, cioè un organismo
indipendente per la regolamentazione delle tariffe e per assicurare la qualità dei servizi e inoltre tra
queste società vengono individuate quelle su cui il tesoro si riserva di esercitare poteri speciali
come la CLAUSOLA DI GRADIMENTO.
Le autorità di regolamentazione dei servizi di pubblica utilità hanno la finalità fondamentale nel processo
delle privatizzazioni di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza in tali settori nonché
adeguati livelli di qualità nei servizi, assicurandone la fruibilità in modo omogeneo e definendo un sistema
tariffario che viene poi aggiornato soprattutto per promuovere la tutela degli interessi di utenti e
consumatori.
Il piano di privatizzazione avviato negli anni ’90 si può considerare ormai in fase avanzata. Sono stati
trasformati in SPA tutti gli enti economici più importanti (ENEL, FERROVIE, POSTE, IMI, INA) e sono
controllati dal ministero del tesoro. Le azioni IMI, INA, TELECOM e in parte l’ENEL sono state anche
collocate sul mercato; l’IRI è stato posto in liquidazione, mentre il processo di alienazione delle quote di
partecipazione è ancora in corso per altre aziende e i settori dell’energia elettrica e del gas sono stati
liberalizzati.
L’applicazione delle tariffe pubbliche si attua nel caso delle imprese esercenti servizi di pubblica utilità che
soddisfano esigenze fondamentali della collettività: trasporto, servizio postale e telefonico, fornitura di
energia elettrica, di gas e acqua. La politica tariffaria serve a tenere sotto controllo il livello generale dei
prezzi e quindi il costo della vita. Quindi il prezzo di un bene o servizio fornito da un impresa pubblica si
chiama tariffa pubblica e la politica tariffaria serve a perseguire obiettivi di equità economica e sociale
mediante lì aggiornamento delle tariffe.

FINANZA STATALE E LOCALE


All’interno del territorio nazionale la finanza statale deve coordinarsi con quella degli enti territoriali nei
quali si esprime l’autonomia delle collettività locali.
Gli enti territoriali sono il punto di riferimento degli interessi collettivi e della vita associata nell’ambito del
loro territorio. Essi possono perseguire obiettivi prescelti secondo autonome valutazioni ed essendo dotati
del potere di autogoverno, sono retti da organi rappresentativi che rispecchiano la volontà e gli
orientamenti politici della popolazione locale. Sono in grado di influire sullo sviluppo nel loro territorio e di
svolgere le politiche più adatte alle situazioni e agli interessi dei cittadini. L’ordinamento costituzionale di
ciascun paese concorre a determinare in vario modo la struttura unitaria o federale dello Stato, le funzioni
e i poteri degli enti minori, le dimensioni del loro territorio, il grado di autonomia riconosciuta alle
collettività locali nei confronti del potere centrale. Ma in generale il principio del decentramento e la tutela
delle autonomie locali sono alla base di tutte le democrazie contemporanee.
Il decentramento amministrativo è il fenomeno per cui lo Stato e il Governo centrale attribuisce sempre
maggiori compiti agli enti locali o territoriali, che essendo a più diretto contatto con le popolazioni locali ne
conoscono meglio i bisogni. Secondo il “teorema del decentramento” l’ente locale rispecchia meglio dello
Stato le preferenze dei cittadini nel fornire servizi pubblici con effetti su un territorio limitato. Dunque la
finanza locale ha come presupposto la necessità di reperire le risorse indispensabili per assolvere le proprie
funzioni: l’autonomia è già prevista dall’art. 5 della Costituzione, è parola vuota senza autosufficienza
finanziaria locale, cioè un’effettiva autonomia finanziaria; tuttavia l’attività finanziaria locale deve
coordinarsi con quella statale.

Il finanziamento degli enti territoriali può basarsi sui seguenti principi:


1. PRINCIPIO DELLA DIPENDENZA – attribuisce l’esercizio della potestà impositiva esclusivamente allo
Stato, il quale ha il potere non solo di istituire i tributi, ma anche quello di accertarli e riscuoterli. Le
fonti di finanziamento sono:
 la devoluzione di quote di entrate erariali, mediante l’assegnazione di una parte del gettito
di determinati tributi statali;
 la sovraimposizione, che si configura quando su un’imposta accertata dallo Stato viene
applicata una ulteriore aliquota a favore dell’ente locale;
 i trasferimenti, consistenti nell’erogazione di somme dello Stato agli enti locali, che
vengono prelevate da appositi fondi iscritti nel bilancio statale.
Il sistema della dipendenza realizza una maggiore unità di indirizzo nella gestione delle entrate e una
maggiore possibilità di interventi redistributivi fra le diverse zone del territorio nazionale. Ma lede
l’autonomia locale e soprattutto spezza il collegamento fra le spese decise autonomamente dai singoli enti
e le entrate, fornite dallo Stato. I governi locali non hanno stimoli al risparmio e all’efficienza e il governo
centrale spesso non è in grado di resistere alle pressanti richieste di finanziamento. Ciò contribuisce a
determinare gravi situazioni di disavanzo sia nei bilanci locali sia in quello statale.
2. PRINCIPIO DELL’AUTONOMIA – attribuisce agli enti territoriali il potere di decidere le proprie fonti
di finanziamento secondo modelli più o meno accentuati di federalismo fiscale. “Autonomia”
significa libertà di auto determinarsi, di provvedere in modo autosufficiente alla cura dei propri
interessi e più specificatamente assume il significato di: autonomia normativa, autonomia politica
(esprimere un proprio indirizzo politico e cioè possibilità di auto governarsi) e autonomia
amministrativa (per quanto riguarda le funzioni amministrative). In Italia si va verso un
potenziamento delle autonomie regionali, configurando un federalismo soft o regionalismo forte:
un esempio è la nuova formulazione dell’art. 119 della Cost. che riconosce agli enti territoriali il
potere di stabilire e applicare tributi propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi
generali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario dettati dallo stato cui
devono conformarsi appunto gli enti territoriali (federalismo fiscale).
Il vantaggio fondamentale consiste nel rafforzamento dell’autonomia e della responsabilità dei governi
locali per tutto ciò che riguarda le scelte di finanza pubblica. L’equilibrio di bilancio non è più assicurato dai
trasferimenti a carico dello Stato e diventa quindi un obiettivo da perseguire in sede locale. I cittadini così,
sono in grado di valutare in modo più chiaro il rapporto fra gli oneri e i benefici della gestione pubblica e
saranno meno disposti ad accettare servizi non desiderati o scadenti ed avranno minori stimoli all’evasione
se ritengono soddisfacente la qualità e quantità dei servizi offerti dall’ente.
Il lato negativo è l’accentuarsi delle diseguaglianze territoriali, che possono aumentare se i singoli enti
adottano criteri diversi nell’applicazione dei tributi: vi sarà in questo caso maggiore aderenza alle esigenze
locali, ma una diversa distribuzione del carico tributario da zona a zona.
Il sistema della dipendenza era stato accolto con la riforma del 1971 e la soppressione della maggior parte
R dei tributi locali autonomi. Con la riforma del 1997-98 si è restituito una maggiore autonomia impositiva
I agli enti territoriali nel determinare le proprie entrate con l’istituzione di nuovi tributi nel quadro del
F processo di una graduale introduzione al federalismo fiscale. Il sistema centralizzato del ’71 era ormai
incompatibile con il processo di decentramento e federalismo amministrativo in atto (legge Bassanini): le
O
amministrazioni locali investite di una crescente quantità di funzioni e finanziate prevalentemente con
R trasferimenti a carico dello Stato hanno potuto espandere la spesa senza assumere la corrispondente
M responsabilità delle entrate e senza doverne rispondere di fronte agli elettori o meglio dire senza allineare
E le 2 responsabilità: quella sul fronte della spesa e quella sul fronte delle entrate. La Commissione Europea
non manca di richiamare l’Italia proprio sui disavanzi causati dagli enti territoriali ai fini del rispetto del
Patto di Stabilità.

LA LEGGE BASSANINI
L’organizzazione amministrativa dello Stato e la ripartizione delle funzioni tra lo Stato, le Regioni e gli enti
locali sono state profondamente modificate con la Legge Bassanini. Questa legge ha introdotto un vero e
proprio federalismo amministrativo, delegando il Governo a emanare uno o più decreti legislativi per
attuare il conferimento agli enti locali di tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli
interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità.
Restano riservati allo Stato i compiti relativi agli affari esteri e alle relazioni diplomatiche, alla difesa,
all’ordine e alla sicurezza pubblica, all’amministrazione e alla giustizia, e quelli relativi ad alcuni settori
ritenuti di interesse generale (la moneta, le banche ecc.). Sono esclusi dal trasferimento alle Regioni anche i
compiti attribuiti per legge ad apposite autorità indipendenti, i compiti di rilievo nazionale in alcuni settori
come la protezione civile, la difesa del suolo, l’ambiente ecc.
La riforma ha privilegiato il trasferimento agli enti locali, disponendo che di regola le Regioni devono
trasferire alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unitario
esercizio a livello regionale.
Il decentramento delle funzioni amministrative deve basarsi sui seguenti principi fondamentali:
 Principio di sussidiarietà – rimangono a carico dello Stato e degli enti pubblici soltanto le funzioni
incompatibili con la struttura e le dimensioni degli enti locali;
 Principio di efficienza e di economia, con la soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti
superflui;
 Principio di cooperazione tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
La realizzazione della riforma ha reso necessario anche un riordino dell’amministrazione centrale e
periferica dello Stato. Il decreto n° 112 del 1998 ha disposto il conferimento alle Regioni e gli enti locali di
numerosi compiti accorpati nei seguenti settori:
 Sviluppo economico e attività produttive (artigianato, industria ecc.)
 Territorio, ambiente e infrastrutture (assetto del territorio, urbanistica e bellezze naturali)
 Tutela alla persona e alla comunità (salute, servizi sociali, istruzione scolastica)
 Polizia amministrativa regionale e locale.
Il decreto citato riserva allo Stato il potere di indirizzo e di coordinamento riguardo alle funzioni e ai
compiti trasferiti nonché, nel caso di persistente inattività da parte delle Regioni e degli enti locali che
comporti un inadempimento degli obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia all’Unione europea o il
pericolo di un grave pregiudizio agli interessi nazionali, un potere sostitutivo.

IL FEDERALISMO FISCALE

Oggi c’è l’esigenza di un sistema finanziario ispirato al federalismo fiscale, secondo cui i beni e i servizi
pubblici destinati a essere utilizzati in sede locale sono prodotti dai governi locali e finanziati dalla
popolazione locale. E’ un mezzo per eliminare le disfunzioni e i rallentamenti di uno Stato accentratore e
per ottenere una maggiore responsabilizzazione degli operatori locali, corrisponde poi a un principio di
efficienza economica nella destinazione delle risorse. Il benessere collettivo viene massimizzato sia perché
l’offerta di servizi pubblici si adegua meglio ai bisogni che si differenziano da zona a zona, sia perché ogni
collettività locale sopporta soltanto il costo dei servizi dai quali trae effettivo beneficio.
I servizi strettamente localizzati nel territorio dell’ente vengono prodotti in dimensioni proporzionate alle
esigenze della collettività interessata e si realizza un equilibrio fra i benefici arrecati dal servizio e il costo
del suo finanziamento.
Vi sono altri servizi che resi da un ente locale, sono utili anche a persone che non appartengono a esso
(teatro, ospedale). In questi casi, per evitare “problemi di affollamento”, il servizio viene prodotto in
proporzioni maggiori rispetto alle esigenze della comunità, sicché quest’ultima subisce il peso delle imposte
locali in misura superiore al beneficio. Per evitare squilibri è opportuno allora che i servizi caratterizzati da
effetti di esternalità siano resi da enti di maggiori dimensioni. Rimangono al governo centrale tutte le altre
funzioni di portata nazionale (difesa, giustizia).
L’autonomia degli enti locali è potenziata non soltanto sul lato della spesa ma anche su quello delle entrate.
Negli Stati unitari il federalismo fiscale può essere più o meno accentuato. Una forma attenuata è quella in
cui gli enti non possono stabilire autonomamente le proprie fonti di finanziamento perché hanno limitata
capacità impositiva; possono avere entrate derivanti da tributi propri, ma questi sono previsti da leggi dello
Stato mentre agli enti territoriali spetta il potere di provvedere autonomamente all’accertamento e alla
riscossione. Questa autonomia consente alle regioni e agli enti di attuare le loro scelte sulla base di
un’autonoma copertura finanziaria. L’intensità dei poteri degli enti territoriali è maggiore quando le
regioni possono stabilire con proprie leggi le propri fonti di entrata.
Nel federalismo fiscale cooperativo è previsto un fondo di perequazione a favore delle regioni
economicamente più deboli. Questo fondo equilibra le differenze di potere economico delle aree meno
favorite e ne promuove l’espansione economica. Si opera anche all’interno delle regioni, per assicurare ai
comuni più poveri la copertura dei bisogni collettivi essenziali. E’ questo il modello di federalismo introdotto
in Italia con la riforma costituzionale del 2001.
Il federalismo fiscale competitivo si può attuare in uno Stato di tipo confederale. Il livello di governo
intermedio ha il potere di istituire tributi e di stabilirne i contenuti senza tenere conto del sistema tributario
centrale e senza che siano adottate forme di perequazione.
Gli obiettivi degli enti locali sono: soddisfacimento dei bisogni pubblici, obiettivi di redistribuzione
individuale della ricchezza. In questo campo l’azione a livello locale risulta più efficiente di quella svolta
uniformemente dallo Stato su tutto il territorio nazionale. In una comunità circoscritta si possono
individuare meglio le situazioni di povertà e si percepiscono in modo più immediato i vantaggi che derivano
dalla loro attenuazione.
E’ escluso che gli enti locali possano svolgere una politica congiunturale tramite manovre della spesa
pubblica. Tali manovre possono creare gravi distorsioni nelle diverse zone del territorio nazionale e
possono impedire il raggiungimento degli obiettivi di stabilizzazione a livello nazionale.

IL SISTEMA TRIBUTARIO

E’ l’insieme organico dei tributi vigenti in uno stato in un determinato periodo storico. I tributi devono
essere tra di loro coordinati: anche se un sistema fosse ben congegnato in modo razionale, inevitabilmente
nel corso del tempo tenderebbe a perdere la sua organicità: i sistemi moderni sono il frutto di una lenta
evoluzione storica e sono caratterizzati da una molteplicità di tributi aventi caratteristiche diverse, spesso i
pregi d’imposta compensano i difetti di un’altra. Un sistema tributario moderno ha le caratteristiche:
 Coesistenza di imposte dirette e indirette
 Progressività dell’imposizione tributaria
 Discriminazione qualitativa dei redditi
 Esistenza di diversi livelli impositivi corrispondenti ai diversi livelli di governo e quindi erariali e
locali in base al principio dell’autonomia finanziaria, cioè un necessario coordinamento tra finanza
statale e locale
 Tutela giuridica del contribuente in virtù dei principi dello stato di diritto.
Un sistema tributario deve avere i seguenti requisiti: efficienza economica, trasparenza politica, semplicità
amministrativa, flessibilità ed equità.

Le riforme del sistema tributario furono:


 Riforma tributaria del ’71 – la prima organica riforma del sistema tributario, la quale ha apportato
una notevole semplificazione al prelievo tributario riducendo di molto il numero dei tributi e
operando una scelta netta a favore della finanza statale e finanza derivata, oltre agli altri obiettivi
storici: equità e razionalità economica e malgrado i suoi limiti.
 Riforma del ’97-’98 – ha comportato una profonda revisione del sistema ormai disorganico e tra le
principali innovazioni introdotte contiene le seguenti: ridisegnamento della curva dell’IRPEF
riducendo il numero di aliquote e la progressività troppo accentuata, ha operato per quanto
riguarda il coordinamento un’inversione di tendenza tra finanza statale e locale, ha introdotto la
riforma dei redditi di capitale ed ha previsto semplificazioni in sede di applicazione dei tributi.
 Legge delega del 2003 – aveva l’obiettivo di ridurre gradualmente la pressione fiscale, semplificare
la struttura del sistema fiscale e armonizzare con quello degli altri stati. Le cinque imposte erano:
 L’IRE (imposta sul reddito) che sostituì l’IRPEF e che si basa su due sole aliquote;
 L’IRES (imposta sul reddito delle società) che sostituì l’IRPEG;
 L’IVA (imposta sul valore aggiunto);
 Imposta sui servizi, che dovrà sostituire son un'unica forma di prelievo tutte le attuali
imposte indirette, sugli trasferimenti;
 L’Accisa, nella quale saranno accordate le imposte sui consumi.

I TRIBUTI VIGENTI
IMPOSTE DIRETTE:
IRPEF – l’imposta sul reddito delle persone fisiche, che è un’imposta generale, personale e progressiva sul
reddito netto complessivo posseduto da ogni individuo. E’ l’imposta che ha assunto un ruolo centrale nel
sistema tributario e il cui necessario completamento è rappresentato dall’altra imposta diretta che è IRES.
Ha per presupposto il possesso dei redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie tassativamente
indicate dalla legge. I soggetti passivi sono le persone fisiche che possiedono tali redditi. La base imponibile
è formata dal reddito complessivo, vale a dire la somma di tutti i redditi imponibili imputati al contribuente
al netto degli oneri deducibili aventi carattere tassativo e in virtù del carattere personale dell’imposta al pari
delle deduzioni sono esclusi dalla base imponibile i redditi soggetti a tassazione separata o a regime
sostitutivo (es: fondi d’investimento). Si applicano le aliquote previste dalla legge per determinare l’imposta
lorda secondo il criterio adottato nel nostro sistema della progressività per scaglioni: il numero e
l’ampiezza degli scaglioni sono stati più volte modificati nel tempo; ne consegue un’attenuazione della
progressività dell’imposta con due effetti: il minor effetto redistributivo e la riduzione degli effetti negativi
di una eccessiva progressività. Si applicano ancora le detrazioni per oneri per adeguare ulteriormente
l’entità dell’imposta alla capacità contributiva per arrivare a determinare l’imposta netta. Infine si opera la
detrazione dei crediti d’imposta per redditi già tassati all’estero allo scopo di evitare una doppia tassazione
e si opera anche lo scorporo delle ritenute d’acconto, nonché dei versamenti d’acconto, per determinare
l’imposta da versare, salvo il diritto a chiedere rimborso nel caso in cui il contribuente risulti creditore
anziché debitori nei confronti del fisco. Quanto alla dichiarazione dei redditi si utilizza il metodo della
denuncia verificata (autotassazione e versamento diretto), denuncia annuale obbligatoria e analitica.
IRES – l’imposta sulle società che sostituisce l’IRPEG, si applica ai redditi posseduti da società ed enti:
redditi che, non essendo imputabili a persone fisiche, non possono essere colpiti dall’IRPEF.
Per alcune particolari categorie di redditi è previsto un regime sostitutivo, mediante l’applicazione di
un’imposta sostitutiva o di una ritenuta alla fonte alla fonte a titolo d’imposta. L’IRES svolge un ruolo
parallelo e complementare rispetto all’IRPEF nel sistema tributario e corrispondente all’esigenza di
realizzare in modo completo il principio dell’imposizione generale del reddito. Consente di tassare redditi
che riferendosi a società ed enti e non essendo appunto imputabili a persone fisiche rimarrebbero
altrimenti esenti dall’IRPEF. Si applica direttamente al reddito posseduto da società ed enti, considerati
soggetti con una propria capacità contributiva. Una differenza notevole rispetto all’IRPEF è un’imposta
proporzionale attualmente con un aliquota del 33%, ciò spiega il fatto che riguardando società ed enti e
non persone fisiche vengono meno le ragioni che come si è visto giustificano la progressività.

IMPOSTE INDIRETTE:
IVA – l’imposta sul valore aggiunto, che è un’imposizione di carattere generale sugli scambi, applicandosi
alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi.
Le altre imposte sui consumi si distinguono:
 le imposte di fabbricazione e di consumo;
 i dazi e altri tributi doganali;
 le imposte che si applicano con il sistema del monopolio fiscale.
Le principali imposte sui trasferimenti e gli affari sono:
 l’imposta di registro, si applica agli atti nel momento in cui vengono sottoposti a registrazione;
 l’imposta sulle successioni e donazioni, si applica ai trasferimenti a titolo gratuito per successione a
causa di morte e per atto tra vivi.
 L’imposta di bollo, si applica a un gran numero di atti e affari risultanti da documenti, scritture,
registri.

TRIBUTI REGIONALI E LOCALI


Sono imposti dagli enti territoriali. Solo all’inizio degli anni Novanta si è affermata la tendenza a decentrare
il sistema fiscale e a riconoscere maggiore autonomia impositiva alle regioni e agli enti locali.
IRAP – l’imposta regionale sulle attività produttive, assoggetta a tassazione il valore della produzione netta
realizzata nell’esercizio di imprese, arti o professioni. Le tasse automobilistiche sono ora tributi propri delle
regioni.
ICI – a livello locale la più importante è l’imposta comunale sugli immobili, imposta diretta reale che per
oggetto il valore patrimoniale dei beni immobili situati nel territorio di ciascun comune.

IL DEBITO PUBBLICO

Il debito pubblico è l’ammontare complessivo delle somme di cui lo Stato e gli enti pubblici sono debitori in
relazione ai prestiti contratti.
Il debito pubblico si distingue in:
 Fluttuante – deriva da operazioni a vista o a scadenza molto breve; esso dovrebbe avere la
funzione di far fronte a temporanee esigenze di cassa, dovute a sfasature momentanee fra
l’erogazione delle spese e la riscossione delle entrate. Per questo suo carattere provvisorio le
norme sulla contabilità di Stato non ne prevedono l’iscrizione in bilancio.
 Consolidato – oggi è praticamente scomparso; era una forma di debito senza scadenza, con cui lo
Stato si obbligava non a rimborsare il capitale, ma a corrispondere soltanto gli interessi, garantendo
in tal modo ai sottoscrittori una rendita perpetua.
 Redimibile – comprende tutti i prestiti a medio lungo termine che lo Stato si impegna a rimborsare.
Quello a lunga scadenza sono in buona parte mutui contratti con vari istituti di finanziamento e
quello a medio termine sono titoli di vario genere.
Il rimborso del debito redimibile può avvenire a scadenza fissa, gradatamente o per sorteggio. Se il prestito
è a termine fisso l’onere del rimborso si concentra tutto alla scadenza, richiedendo un impiego di fondi
molto rilevante. Per evitare ciò, lo Stato può emettere il prestito con modalità di rimborso che consentono
di distribuire l’onere anno per anno.
I sistemi sono due: con il rimborso graduale lo Stato paga ogni anno una somma che comprende gli
interessi e una quota del capitale, finché il capitale non risulta interamente rimborsato; con il rimborso per
sorteggio viene rimborsato interamente ogni anno un dato numeri di titoli, estratti a sorte fra tutti quelli
emessi.
Per alleggerire l’onere del debito pubblico lo Stato può adottare misure per modificare le condizioni alle
quali era stato emesso un prestito, allungandone la scadenza o diminuendo il tasso di interesse. L’insieme
di tali misure dà luogo alla conversione del prestito pubblico.

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