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ACCADEMIA TOSCANA DI SCIENZE E LETTERE

«LA COLOMBARIA»

«STUDI»
CLXXXIV

GABRIELE COSTA

LE ORIGINI
DELLA LINGUA POETICA
INDOEUROPEA
Voce, coscienza e transizione neolitica

FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MCMXCVIII
PREMESSA

Ogni ricerca produce dati che rispecchiano le procedure usate


nell’osservazione e nella misurazione: i dati con cui giocheremo e a
partire dai quali si svilupperà la mia teoria sulle origini della lingua
poetica indeuropea, sono costruiti dal punto di vista di un linguista e
questo dunque è, prima di tutto e nonostante tutto, un libro di
linguistica storico-comparativa.
La linguistica si è identificata per decenni con il sogno della
ricostruzione dell’indeuropeo, una linguistica di giganti che non co-
noscevano discipline ma problemi, e li assaltavano da ogni parte e con
tutti i mezzi possibili – Pasquali, Ricordo di J. Wackernagel.
Una delle ambizioni smisurate di questo libro, è quella di tornare
ad affrontare i problemi, trascendendo le angustie disciplinari in un
moto di accostamento circolare che coinvolga tutte le diverse anime di
un fare comparazione che vuole essere scioglimento e invenzione di
enigmi e non esibizione e contorcimento di competenze minute e
monocordi. Un nÒstoj ai padri che non può dimenticare, tuttavia, la
fine ingloriosa del positivismo fondatore e l’affermazione prepotente,
in questo secolo ormai scorso, dello studio del linguaggio come voce
prima dell’uomo e della sua cultura, consapevole e inconscia, filoge-
netica e individuale.
La linguistica, scrollandosi di dosso le catene di un filologismo
diventato onnivoro quasi quanto l’altro instrumentum diaboli – il
formalismo logico-matematico, deve rinunciare a ogni pretesa di com-
petizione con le scienze della natura e tornare ad essere consapevol-
mente quello che è: una scienza della cultura – che altro vuol dire
scienza umana? –, ‘debole’ perché continuamente in cerca delle pro-
prie certezze epistemologiche, perché senza presunzioni di primoge-
nitura tra le altre scienze umane e con l’umiltà dubbiosa di chi sa
ascoltare voci diverse dal proprio paradigma. L’esigenza insopprimi-
bile di conferme specialistiche aggiornate, che quasi sempre inibisce e

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PREMESSA

spesso risolve in sé la linguistica post-chomskiana, – quella stessa


esigenza che rende ai nostri occhi viziati libri come le Origini indeuro-
pee di Devoto vecchi ancor prima di nascere e che qualcuno spaccia
per rigore metodologico o perfino per quella chimera dell’io ipertrofi-
co che è detta oggettività… «Scopino dunque le stanze, per questo lor
signori sono qui!» (Xenie di Goethe e Schiller, 60) –, andrà invece
soddisfatta confinandola innocua nell’impeccabilità della dossografia,
della bibliografia, del metalinguaggio – gli unici loci a lei propri –,
impedendole così di fiaccare a priori il coraggio di essere coerenti
rispetto al fine e non alla via. La linguistica tornerà forse così a cercare
creatività e stile nella narrazione, chiarezza nella sintesi, arditezza nei
collegamenti, luminosità negli squarci sull’ignoto; rinuncerà alla con-
tinua glossa del noto e avrà per traguardo la felicità di chi, indagato
l’indagabile, venera serenamente l’imperscrutabile e ha posto termine
alla sfrenata, lubrica volontà di sapere della ricerca senza fine perché è
approdato alla quiete conoscitiva di chi sa una volta per tutte: ha
sciolto l’enigma ed è giunto tra i misteri.
***
L’enigma affrontato in questo libro – altra ambizione smisurata –,
è quello della coscienza, argomento caro, tra gli altri, alla nuova
scienza cognitiva fin dai suoi esordi e tuttora, insvelato, al centro di un
confronto pluridisciplinare. Poche, isolate cassandre hanno osservato
che il problema della coscienza è una questione da affrontare, attra-
verso lo studio del linguaggio, prima di tutto nella diacronia della
mente. A chi è toccato in sorte di vivere dopo l’assassinio di ogni
verità perpetrato da Nietzsche, urge la comprensione degli eoni in cui
le verità della coscienza – gli dei e i miti – erano inconfutabili e
imperiose, pena il ritorno periodico – lezione anche questa del secolo
che passa – a quei nefasti totalitarismi dell’inconscio che l’imperante
concezione monoteistica e animmaginale del profondo contribuisce
ad allontanare sempre più dalla soglia della consapevolezza e dalla
narrazione della conoscenza.
***
La scansione del volume divide apparentemente in due parti una
ricerca che è, nella realtà del mio pensiero, compattamente unitaria: la
cesura, in verità, vuole segnare visibilmente il passaggio dalla ricostru-
zione delle forme alla ricostruzione dei valori. Ritengo che la linguisti-
ca sia di fatto una scienza interpretativa, al pari della storia, della

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PREMESSA

filosofia, dell’antropologia, della psicologia, cioè delle altre scienze


che si occupano della creazione di significati all’interno di tradizioni e
istituzioni culturali, e dunque che essa non possa sottrarre alle e dalle
proprie indagini l’esplicitazione dei valori – l’ideologia – insiti nei
sistemi semiotici che ricostruisce, rendendo evidente in tal modo,
attraverso il giudizio sul passato, anche l’epistemologia di chi, ricer-
cando, modifica e rimodella i dati della Creatura e consentendo
apertamente, infine, il controllo metagiudiziale di chi, lettore o critico,
si assume il compito della controverifica sperimentale e della falsifica-
zione teoretica.
Il giudizio e il metagiudizio non potranno e non dovranno fondar-
si, tuttavia, né sui geni né sui memi – poiché l’indagine sull’Essere ci è
preclusa a priori, ma sulla bellezza dell’esteriorità – ché altro la lingua
non può dire sulla lingua, sul valore estetico della teoria, essendo la
scienza sempre all’inseguimento della spiegazione dell’inutilità per il
Pleroma di ciò che essa compie, ed essendo la teoria stessa a fissare lo
schema per la sua interpretazione e a stabilire ciò che si può osservare.
***
Il mio debito nei confronti delle altre scienze e degli altri studiosi
che si sono a vario modo occupati del medesimo enigma, è grande: la
bibliografia è un piccolo pegno ,di memoria e di gratitudine verso una
tradizione di studi – laici ma rispettosi della mitopoiesi, che è parte
fondante di una civiltà che nei suoi momenti più alti e coi suoi uomini
migliori, ha saputo affrontare la barbarie generata dai propri lombi
con le sole risorse della cultura e dell’intelligenza.
Alla stesura di questo libro hanno in parte giovato i due anni di
sobria serenità economica di una borsa di ricerca post-dottorato,
concessami per concorso dall’Università degli Studi di Firenze, per il
tramite del Dipartimento di Linguistica e nella persona di Carlo
Alberto Mastrelli.
Alcune persone, che per esentare da ogni corresponsabilità non
menziono, hanno letto e criticato, qualche volta aspramente, il testo
prima della sua pubblicazione: a tutti coloro che sanno, il mio ringra-
ziamento più sentito.
Desidero, infine, eprimere la mia riconoscenza a Francesco Ador-
no, presidente dei ‘Colombi’, senza la cui generosità queste pagine
sarebbero rimaste sulla mia scrivania.
***

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PREMESSA

Ho narrato per la prima volta l’idea che sorregge la presente


ricerca nell’estate del 1988, nella cittadella di Spandau, a quella che
solo molto tempo dopo ho riconosciuto come un’apparizione di
Yuc»: offro gli anni di questa ricerca a ”Erwj e a Yuc», come
espiazione per la cecità del mio lÒgoj e come riscatto per la libertà
dei miei sogni dalle catene di MnhmosÚnh.
Il libro è dedicato agli uomini e alle donne che tanti anni fa,
insieme a me, si sono «[…] avventurati in un mare irto di pericoli:
sapevamo che a mala pena uno su dieci avrebbe salvato la pelle,
eppure ci avventurammo perché la speranza nei premi superava il
timore delle perdite previste […]. Tuttavia, la parola stessa ribellione
divideva l’azione del loro corpo da quella dell’anima ed essi combat-
terono con riluttanza, costretti, come quando si beve una pozione
amara. Le armi soltanto sembravano essere dalla nostra parte, ma
quanto ai loro spiriti e alle loro anime, la parola ribellione li aveva
gelati come pesci in uno stagno» (Shakespeare, Enrico IV, parte II,
atto I, 1, 180 sgg.).
Eppure, la ribellione, l’ingresso nel bosco, il gustare di nuovo
dell’albero della conoscenza e traversare l’infinito, era al tempo stesso
la salvezza e l’unica grazia possibile per noi, esseri obbligati a essere
coscienti. Del sacrificio di quegli arditi, che solo la morte dell’anima
fermò nell’assalto alla vita, unico superstite e unico sconfitto, porto
nel cuore il sangue e l’œqoj: «seguire il sogno e ancora seguire il sogno
– e così – sempre – usque adfinem» (Conrad, Lord Jim, par. XXXV).

Tra Firenze e Tubinga, nell’inverno del ’96.

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PARTE I

VENTICINQUE ANNI DOPO (1967-1992)


CAPITOLO 1

UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

A meno che un linguista abbia poca fantasia, non


può fare a meno di occuparsi di questioni che
collegano la linguistica con l’antropologia, la sto-
ria della cultura, la sociologia, la psicologia, la
filosofia e, in modo meno immediato, con la
fisica e la fisiologia.
(E. Sapir)

1
Gli studi sulla lingua poetica indeuropea sono una delle più belle
realtà dell’indeuropeistica degli ultimi trent’anni. Nel rifiorire genera-
le delle ricerche di linguistica comparata, di qua e di là dagli oceani,
questi studi hanno rappresentato uno sprone acuminato per la ricerca
e un banco di prova efficiente per sperimentare metodologie nuove.
Raccogliere e sistemare la vasta produzione specifica, seguendone
gli sviluppi scientifici e ricostruendone i passaggi intellettuali, equi-
varrà allora anche a delineare un capitolo della storia recente della
linguistica.
Poche discipline scientifiche hanno una tradizione così ricca di
riflessione su di sé e sull’oggetto delle proprie ricerche come la
linguistica; tuttavia, pochi lavori di linguistica, soprattutto storica,
sono autoriflessivi e metapropositivi: la fedeltà al paradigma e alle
scuole d’appartenenza, esauriscono spesso l’epistemologia nelle note
bibliografiche o in una breve rassegna iniziale dello stato dell’arte. Per
converso, sono sempre più numerosi i lavori di revisione o di messa a
1
Scrivo indeuropeo e non indoeuropeo, non per vezzo eufonico ma per rimanere, fin dalla
denominazione dell’oggetto d'indagine, nella tradizione di Giacomo Devoto e di Vittore Pisani;
comunque sia, da ora in avanti: indeuropeo = i.e.

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PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

punto di una specifica questione teoretica; il tutto, in perfetta sintonia


2
col paradigma del paradigma fissato da Thomas Kuhn.
Nella prima parte della presente ricerca, con una cadenza che
vorrebbe favorire più la riflessione del lettore che non indicare un’ine-
sistente progressione geometrica della dottrina, tenterò invece di
tenere insieme i due aspetti della questione, quello metodologico e
quello fattuale, preparando così i dati e gli strumenti con cui elaborare
e sostenere, nella seconda parte, una teoria che tenti di trarre la lingua
poetica i.e. dalle nebulose dell’interspazio tra l’ipotesi linguistica e la
realtà preistorica e proto-storica, così come siamo in grado attualmen-
te di pensarla.
Per le scelte operate e per i giudizi espressi, questa ricostruzione
preparatoria potrà apparire parziale e idiosincratica; ciò è dovuto
forse al fatto che l’affabulazione induttiva della narrazione, nella
prima parte di questo volume, non è che un mero espediente lettera-
rio; mentre – deduttivamente – la mia teoria precede, e in qualche
modo quindi inevitabilmente orienta, la mia visione degli studi prece-
denti, anche se certamente non ne prescinde.
Ho cercato invece di essere esauriente e imparziale, nei limiti
concessi agli umani, nella Rassegna critica (III,5) contenuta nella terza
parte: in questa è raccolta e commentata, e la consultazione è facilitata
dalle Sinossi tematica (III,5,2) e cronologica (III,5,3), l’intera produ-
zione scientifica sulla lingua poetica i.e. pubblicata nei venticinque
anni dopo Dichtung und Dichtersprache in indogermanischer Zeit di
Rüdiger Schmitt, cioè dal 1967 al 1992, così come sono stato in grado
3
di reperirla.
Essa rappresenta, pertanto, l’accesso migliore alla tematica del
presente volume, anche se la sua lettura può essere rinviata alla fine o
diluita nel tempo, ogni qual volta il testo rinvii ad essa, attraverso un
sistema di citazioni e note spiegato alle pagine 333-4.
È possibile, insomma, leggere questo volume seguendo almeno
tre diversi percorsi: I) dall’inizio alla fine, per le persone normali; II)
partendo dalla Bibliografia per tornare poi, dopo aver verificato se

2
Di TH. KUHN si vedano soprattutto: The Structure of Scientific Revolutions, Chicago
1970, IV ed., trad. it. Torino 1978 e The Essential Tension, Chicago 1977, trad. it. Torino 1985.
3
Com’è noto, la gran parte delle riviste scientifiche esce in realtà con uno, due, a volte
perfino tre anni di ritardo rispetto all' anno fittiziamente indicato in copertina: il termine del
1992 è dunque da intendersi come riferito a tutto ciò che nominalmente è stato pubblicato fino a
quell’anno: vd. III,5,1 Avvertenza, p. 433.

12
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

sono stati citati i propri lavori, al primo percorso, per i professori


universitari; III) leggendo direttamente la seconda parte e sfogliando
il rimanente, per quei sei o sette studiosi al mondo che la ricerca sulla
lingua poetica i.e. l’hanno scritta di persona.
Come disse Goethe, il 24 febbraio del 1784, inaugurando un
nuovo pozzo della miniera di Ilmenau: «Se così vi piace, andiamo».

1. 1. I PRECEDENTI

Le prime ricerche sulla poesia i.e. risalgono agli inizi della seconda
4 5
metà dell’800, a quando Adalbert Kuhn, nel 1853, confrontò per la
prima volta la formula omerica klšoj ¥fqiton con quella vedica śrávo
ákşitam, un confronto che ha orientato e in qualche modo incentrato
su di sé l’intera ricerca e su cui, come vedremo, la discussione è tuttora
aperta. il termine ‘indogermanische Dichtersprache’ fu coniato invece
6
da Adolf Kaegi nel 1881, quando già erano apparsi, seppure in lavori
quasi sempre dedicati precipuamente ad altro, diversi e importanti
7
confronti poetici tra lingue i.e. È infatti caratteristica comune a quasi
tutte le osservazioni sulla lingua poetica i.e. pubblicate fino alla metà
del ’900, quella di essere sparse in ricerche diversamente ispirate o

4
Il primo capitolo di R. SCHMITT, 1967a (pp. 6-60), è dedicato a un esame, minuzioso e
attento, dei contributi apparsi fino al 1963 (lo studioso awerte in una nota – 338 a p. 60 – di non
aver potuto aggiornare alla data della pubblicazione, per motivi tecnici, il I capitolo, ma di averlo
potuto fare per i capitoli successivi): rinvio a questo lavoro per la storia degli studi precedenti e
alle numerose, belle recensioni – sono tutte reperibili nella Rassegna critica (III, 5), alle pp.
440-476 – che gli sono state dedicate, per le poche integrazioni necessarie; per un orientamento
sugli studi del decennio seguente, vd. M. DURANTE, 1976, cap. I e E. CAMPANILE, 1977, cap. I;
sulla congerie culturale e sulla prassi metodologica della linguistica ottocentesca, dopo gli
importanti studi di S. Timpanaro, si possono vedere con profitto, tra gli ultimi, MARIA PATRIZIA
BOLOGNA, Ricerca etimologica e ricostruzione culturale. Alle origini della mitologia comparata,
Pisa 1988 e K. KOERNER, The Natural Science Background to the Development of Historical-
Comparative Linguistics, in H. AERSTEN – R. J. JEFFERS (eds.), Historical Linguistics 1989. Papers
from the 9th International Conlerence on Historical Linguistics (Rutgers University: 14-
18/8/1989), Amsterdam-Philadelphia 1993, pp. 1-24.
5
Cfr. A. KUHN, Ueber die durch nasale erweiterten verbalstämme, «KZ» 2 (1853), p. 467.
6
Cfr. A. KAEGI, Der Rigveda, die älteste Literatur der Inder, Leipzig 1881, II ed., p. 128; vd.
anche R. M. MEYER, Alte deutsche Volksliedchen, «ZDA» 29 (1885), p. 234 e ID., Die altgerma-
nische Poesie nach ihren lormelhaften Elementen beschrieben, Berlin 1889, p. 516.
7
Per esempio in R. WESTPHAL, Zur vergleichenden metrzk der indogermanischen völker,
«KZ» 9 (1860), pp. 437-458; W. SONNE, Sprachliche und mythologische untersuchungen, angek-
nüplt an Rigv. I, 50, «KZ» 15 (1866), p. 378; A. WEBER, Zweites Buch des Atharva-Samhitâ, «IS»
13 (1873), p. 208.

13
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

finalizzate, e ciò almeno fino alla conferenza, tenuta nel 1932 ma


pubblicata postuma nel 1943, di Jacob Wackernagel intitolata appun-
8
to Indogermanische Dichtersprache.
Dopo gli entusiasmi suscitati dalle prime scoperte, spesso confer-
mate dalle indagini successive, contribuirono a mantenere gli studi sulla
lingua poetica ai margini della ricerca, dapprima, il generale discredito
in cui globalmente caddero le ricostruzioni sugli aspetti storico-
culturali del mondo i.e. – e questo già sul finire del secolo scorso –, poi,
il definitivo affermarsi della dottrina neogrammatica, un paradigma
scientifico in cui – oramai si può dire senza temere scomuniche – si
intrecciavano, tra l’altro, le istanze di rigore metodologico e i pregiudizi
antiletterari. L’assenza di lessemi di diffusione panindeuropea sull’atti-
vità poetica, fu l’altra causa – anche questa intrinseca a un metodo che
faceva della comparazione lessicale il suo fulcro ricostruttivo – che
contribuì alla scarsa fortuna degli studi sulla lingua poetica i.e.
E tuttavia, anche se come nascosto dalla riservatezza di un pudore
virile di ricerca dura e pura, l’interesse per queste indagini non è mai
9
scemato del tutto, attingendo nuovo vigore anche dalla definizione,
che10V. Pisani considerava alla base degli studi sulla lingua poetica
i.e., di H. Hirt del 1927: «senza dubbio al tempo della protolingua vi
sono state poesie di ogni genere, e così vi sono state già allora almeno
due lingue diverse che influivano l’una sull’altra, la lingua comune e
11
quella della poesia».
Nell’immediato secondo dopoguerra, altri importanti confronti
poetici appariranno in lavori dedicati, come spesso anche nel passato,

8
È apparsa in «Philologus» 95 (1943), pp. 1-19 (= Kleine Schriften, Göttingen 1953, vol. I,
pp. 186-204), nello stesso anno di H. H. SCHAEDER, Auf den Spuren indogermanischer Dichtung,
«WL» 18 (1943), pp. 82-85; per un commento alle diverse posizioni dei due studiosi, vd. R.
SCHMITT, 1967a, pp. 43-44.
9
In un cursorio ordine cronologico, ricordo: W. SCHULZE, Etymologisches, «SbKPAW»
Jahrgang 1910, Berlin 1910, pp. 787-808 (= Kleine Schriften, Göttingen 1933, pp. 111-130); J.
WACKERNAGEL, Indoiranica. 9. Zum Dualdvandva, «KZ» 43 (1910), pp. 295-298 (= Kl. Schr. cit.,
pp. 280-283); K. BRUGMANN – B. DELBRÜCK, II, 3, (StraEburg 1916), p. 893; A. MEILLET, Les
origines indoeuropéennes des mètres grecs, Paris 1923; H. LOMMEL, Eine Beziehung zwischen
Veda und Edda, «ZDA» 73 (1936), pp. 245-251; F. SPECHT, Eine altind. – germ. Auffassung des
Heilvorganges, «KZ» 65 (1938), pp. 208-210; P. THIEME, Der Premdling im Rgveda. Eine Studie
über die Bedeutung der Worte ari, aryaman und arya, Leipzig 1938; E. SCHWYZER, Die Parenthese
im engern und weitern Sinne, «APAW» , Jahrgang 1939, Phil. – hist. Klasse, Nr. 6, Berlin 1939,
pp. 10 sgg.
10
Cfr. V. PISANI, 1966, p. 106.
11
Cfr. H. HIRT, vol. I, p. 124; la traduzione è tratta dall'articolo di V. Pisani citato nella
nota precedente.

14
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

12 13
all’indoiranico, o al germanico; ma è agli inizi degli anni sessanta
che cominciano a crescere sia l’esigenza di allargare la base compara- 14
tiva delle ricerche, coinvolgendo così nelle indagini altre lingue i.e.,
sia la necessità di una migliore comprensione della specificità del
linguaggio poetico i.e.,
15
delle figure e dei procedimenti stilistici che a
questo erano propri. 16
I tempi, insomma, erano oramai maturi perché qualcuno racco-
gliesse il materiale disperso in tanti rivoli e tentasse la prima definizio-
ne di un quadro d’insieme di quel che fino ad allora si era venuti
indagando e scoprendo.

1. 2. LA SVOLTA: IL VOLUME DI RÜDIGER SCHMITT


Nel 1966, cominciarono a circolare tra gli studiosi più noti, le
copie di una «Inaugural-Dissertation», presentata l’anno precedente

Cfr. H. LUDERS, Varulņa, aus dem Nachlaß hrsg. von L. Alsdorf, Gottingen 1951-59,
12

voll. I-II; P. THIEME, Studien zur indogermanischen Wortkunde und Religionsgeschichte, Berlin
1952; di quest’ultimo vanno ricordati anche Die Wurzel vat, in Asiatica. Festo Fr. Weller, Leipzig
1954, pp. 663 sgg. e Vorzarathustrisches bei den Zarathustriern und bei Zarathustra, «ZDMG»
107 (1957), pp. 67-104; F. B. J. KUIPER, Svávŗşţi-, ŖS I. 52. 5a, 14c, «IIJ» 4 (1960), pp. 259-263.
13
Cfr. B. SCHLERATH, Zu den Merseburger Zaubersprüchen, in II. Fachtagung für indoger-
manische und allgemeine sprachwissenschaft, Vorträge und Veranstaltungen, IBK Sonderheft 15
(1962), pp. 139-142, che riprende A. KUHN, Indische und germanische segensprüche, «KZ» 13
(1864), pp. 49 sgg. e 113 sgg. e G. EIS, Der älteste deutsche Zauberspruch, «FF» 30 (1956), pp.
105 sgg. (poi in lo., Altdeutsche Zaubersprüche, Berlin 1964).
14
Tra cui lo slavo e il celtico, fino a quel momento trascurati in questo tipo di ricerche: vd.
R. JAKOBSON, Slavic Epic Verse: studies in Comparative Metrics, «OSlP» 3 (1952), pp. 21-66 (=
ID., Selected Writings, The Hague – Paris 1966, vol. IV, pp. 414 sgg.; C. WATKINS, Indo-
European Origins of a Celtic Meter, «Poetics» (1961), pp. 97-111 e ID., Indo-European Metrics
and Archaic Irish Verse, «Celtica» 6 (1963), pp. 194-249.
15
Sono di quegli anni, infatti, le prime ricerche di M. DURANTE sugli stilemi della lingua
poetica greca, visti alla luce di un’accorta comparazione i.e.: Il nome di Omero, «RaLinc» 12
(1957), pp. 94-11; Epea pteroenta. La parola come “cammino” in immagini greche e vediche,
«RaLinc» 13 (1958), pp. 3-14; Ricerche sulla preistoria della ligua poetica greca: la personificazio-
ne, ibid., pp. 366-379; Vedico sumná-, greco Ûmnoj, «RaLinc» 14 (1959), pp. 388-398; Ricerche
sulla preistoria della lingua poetica greca. La terminologia relativa alla creazione poetica, «RaLinc»
15 (1960), pp. 231-250; Appendice: la gloria poetica e la sfrag…j, ibid., pp. 224-226; Saggio sulla
lingua poetica greca, Palermo 1960; Ricerche sulla lingua poetica greca. L’epiteto, «RaLinc» 17
(1962), pp. 25-43.
16
Non si può non ricordare però, con M. DURANTE, 1976, p. 6 nota 3, come nelle due più
importanti opere sull'indeuropeo e sugli Indeuropei apparse in quel periodo – G. DEVOTO,
Origini indeuropee, Firenze 1962 e E. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-
européennes, Paris 1969 –, non vi sia menzione alcuna della lingua poetica i.e.; vd. però O.
SCHRADER – A. NEHRING, vol. I, pp. 187 sgg.

15
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

all’Universität des Saarlandes, di un allievo


17
di Karl Hoffmann e di
Manfred Mayrhofer, Rüdiger Schmitt; questo lavoro – Studien zur
indogermanischen Dichtersprache, sostanzialmente immutato, confluì
poi nel volume, pubblicato dall’editore Harrassowitz di Wiesbaden
nel 1967, intitolato Dichtung und Dichtersprache
18
in indogermanischer
Zeit, costituendone i primi sei capitoli.
L’importanza della ricerca di R. Schmitt non sfuggì a Vittore
Pisani, che recensÌ il libro, già nella sua prima versione, parziale e
dattiloscritta, sull’«Archivio Glottologico Italiano», la più antica e più
19
importante rivista italiana di linguistica. A conferma della maturità
dei tempi a cui accennavo prima e della sensibilità del grande studioso
milanese per una tematica vicina alla sua concezione dell’indeuropeo,
bisogna poi menzionare il fatto che nello stesso anno, il 1965, delle
studien di R. Schmitt, si era laureata una sua allieva, Luciana Forabo-
schi Porrino, con una tesi intitolata Studi sul linguaggio poetico indeu-
20
ropeo.
Il volume di R. Schmitt costituisce un esempio ammirevole di quei
lavori a cui ci ha abituato la scuola tedesca – «quei lavori dove dentro
ci trovate tutto, ma proprio tutto, anche l’ombrello se ve lo siete
dimenticato in biblioteca», si racconta che fosse solito dire Giorgio
Pasquali – e senza i quali l’esercizio della nostra scienza sarebbe forse
più divertente ma certo anche meno solido.
Esso rispose pienamente e esaurientemente alle esigenze diffuse
di avere raccolta e sottomano la produzione scientifica precedente e
consentì per la prima volta una definizione precisa degli ambiti d’in-
dagine all’interno dei quali si era mossa la ricerca, una verifica coeren-
te nel loro insieme dei risultati raggiunti, la possibilità di individuare
nuovi filoni d’indagine.
Si tratta insomma di un lavoro fondamentale e in qualche modo
definitivo: definitivo perché costituisce lo spartiacque, necessario e

17
R. Schmitt è attualmente docente a Saarbrücken; dopo i lavori dedicati alla lingua
poetica i.e. (cfr. R. SCHMITT, 1967a, 1967b, 1968, 1969, 1973), si è dedicato soprattutto allo
studio dell’iranico e dell’armeno.
18
Cfr. R. SCHMITT, 1967a, Vorbemerkung.
19
Cfr. V. PISANI, 1966, pp. 105-122; anche l’articolo del 1968(b) di Federico Albano Leoni
parte dalla prima redazione del libro di R. Schmitt.
20
Cfr. V. PISANI, ibid., p. 105; la tesi della Foraboschi Porrino fu pubblicata poi nei
«Rendiconti dell’Istituto Lombardo» (cfr. EAD., 1969, pp. 49-77); non conosco altri lavori di
questa studiosa, perlomeno di argomento simile; un’altra tesi sullo stesso argomento, del 1949
ma rimasta purtroppo inedita, è segnalata da R. LAZZERONI, 1968, p. 222.

16
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

benvenuto, tra un accostamento alla problematica della lingua poetica


i.e. che si potrebbe definire ‘classico’ e un accostamento epistemologi-
camente più agguerrito e moderno che è quello degli studi successivi;
fondamentale perché tutto ciò che verrà dopo non potrà e non vorrà
prescindere da questo lavoro di R. Schmitt.
Lo studioso non si limitò tuttavia a raccogliere la produzione
preesistente, ordinata cronologicamente, come si è detto, nel I capito-
lo del volume; nei capitoli successivi, ampliandola, seppure in misura
21
minima, con la giunta di dati tratti da uno spoglio personale, diede
una sistemazione per generi letterari della documentazione, tentando
una prima classificazione unitaria e sistematica del fenomeno indaga-
to.
Alcune osservazioni critiche particolari emergeranno nel paragra-
fo seguente esaminando le recensioni dedicate al volume, qui mi
soffermerò sugli aspetti generali del tentativo descrittivo operato da R.
Schmitt.
Pur avvertendo che la sua distinzione per generi è soprattutto un
22
espediente classificatorio, Schmitt divide la poesia i.e. in poesia
eroica (cap. II e III), poesia mitologica (cap. IV), poesia sacrale (cap.
V), poesia degli incantesimi (cap. VIII) e poesia di genere indefinibile
23
(cap. VI); lo studioso evince l’esistenza dei vari generi letterari di
epoca i.e. dal significato di alcune delle formule comparate, per
esempio l’esistenza di un genere epico dalle formule sulla “gloria
immortale”, ridistribuendo poi le formule stesse all’interno dei generi
individuati, salvo quelle che per il loro significato generico o fuori
schema vengono ricondotte al genere indefinibile del cap. VI.
Più che il discutere a quale genere appartenga questa o quell’altra
formula, come fanno taluni dei recensori, a me pare discutibile e
scarsamente condivisibile il principio stesso adottato da Schmitt:
l’eterogeneità dei testi che conservano le formule comparate è tale,
per diversità cronologica, per lontananza delle rispettive finalità cultu-
rali, per tipologia letteraria – che cosa hanno in comune i poemi
omerici e gli inni vedici dal punto di vista del genere letterario? –, che
l’attestazione di una stessa formula appunto in Omero e nei Veda,

21
Cfr. R. SCHMITT, 1967a, p. 4.
22
Cfr. ivi, p. 317.
23
Gli altri capitoli sono dedicati agli elementi formali della lingua poetica i.e. (VII), al
poeta e il suo canto (IX) e alla metrica i.e. (X).

17
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

tutto può significare tranne che da essa sia possibile estrapolare un


24
genere letterario di epoca i.e.
Al più, ma si tratta di ben altra questione, col principio adottato
da Schmitt sarebbe posssibile ipotizzare, e anche questo eventualmen-
te con tutte le cautele richieste da una prassi che non ha mai avuto una
consistenza teoretica definitivamente affidabile, l’esistenza di campi
semantici ‘poetici’, di temi narrativi intorno a cui, forse, si sviluppava-
no forme di poesia che comunque nulla condividevano delle scansioni
storico-letterarie proprie di una letterarietà che non è solo moderna –
cioè: propria alla cultura occidentale a partire dalla civiltà classica –
ma soprattutto è scritta.
Il punto più debole, a mio avviso, delle argomentazioni sottese al
tentativo di Schmitt di classificazione dei confronti raccolti, è proprio
quest’ultimo: lo studioso, dopo aver adottato la genericissima defini-
25
zione di lingua poetica di M. Leumann – «la lingua poetica è un
possesso linguistico collettivo nel quale i singoli poeti possono sceglie-
re a loro arbitrio, [ovvero] la formula linguistica collettiva di una
comunità spirituale» – e aver dichiarato che parla – selbstverständlich!
26
– di poesia orale, in realtà trascura le specificità proprie della
27
letteratura orale, sovrapponendo a frammenti di testi orali delle
griglie interpretative concepite per la letteratura scritta, e applicando-
le comunque a partire dall’uso di un principio euristico tautologico e
circolare che attribuisce valenza tipologico-letteraria alla significazio-
ne extra-contestuale di formule che, a ogni evidenza – le loro attesta-
zioni! –, paiono disponibili a più e diverse realizzazioni poetiche, e
che riclassifica poi le medesime formule sulla base di astrazioni estra-
polate dalle stesse.
L’operazione tentata da Schmitt pare dunque viziata da un difetto
logico iniziale tale da pregiudicarne i pur apparentemente ragionevoli
risultati ottenuti e questo anche senza leggerla alla luce delle nostre

24
Vd. A. BLOCH, 1968; anche E. CAMPANILE, 1990c, p. 107, è scettico sulla possibilità di
ricostruire generi letterari di epoca i.e. ma con altre motivazioni: tornerò più avanti sull’argo-
mento.
25
E così la pensava anche V. PISANI, 1966, p. 106, da cui prendo la traduzione del passo di
M. Leumann, mentre il rinvio bibliografico è in R. SCHMITT, 1967a, p. 1.
26
Cfr. R. SCHMITT, 1967a, pp. 314 sgg.
27
Invito per ora il lettore a contentarsi di questa definizione provvisoria della lingua
poetica i.e.: anche su ciò tornerò più avanti.

18
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

attuali, più affinate, competenze: gli studi e di Milman Parry e della


sua scuola erano noti infatti anche allora.
La questione, però, è più complessa e riguarda in generale l’acco-
stamento a questo tipo di ricerche che prima ho definito ‘classico’ e di
cui Schmitt è in qualche modo davvero l’ultimo e supremo epigono:
l’errore di fondo sta nell’aver applicato uno strumento – il metodo
comparativo – senza averlo ritarato, cioè senza averne ridefinito i
limiti operativi e le reali valenze euristiche e nell’averlo applicato a un
dominio letterario e poetico la cui indagine non è scindibile dal
contesto storico-antropologico, culturale nel senso più ampio del
termine, in cui detto dominio viveva, così come si è soliti fare per la
fonetica o la morfologia – e anche qui: ma sarà poi vero che se ne può
astrarre impunemente?
28
Come osservava V. Pisani, quel che continua ad agire sullo
sfondo di ciò, è il mito, di memoria schleicheriana, dell’indeuropeo
come tutto d’un pezzo; una concezione che sovrintende alle ricerche
29
sulla lingua poetica i.e. fino a Schmitt compreso.
In conclusione, dunque, il mio giudizio su Dichtung und Dichter-
sprache in indogermanischer Zeit, è che si tratti, lo ripeto, di un libro
che soddisfa appieno le esigenze di raccolta critica della sparsa produ-
zione precedente ma che al contempo mostra, soprattutto nell’im-
pianto interpretativo generale adottato dal suo Autore, anche i limiti
raggiunti da un accostamento scientifico alla lingua poetica i.e. non
più in grado di soddisfare le esigenze di analisi più approfondite poste
dal materiale stesso e dal progredire degli studi.

1. 3. LE RECENSIONI

Il volume di R. Schmitt ebbe un’accoglienza immediata e com-


30
plessivamente favorevole, anche se, curiosamente, non recensirono
il suo lavoro proprio coloro i quali più di tutti, come M. Durante, si
erano occupati del medesimo argomento.

28
Cfr. V. PISANI, 1966, p. 108.
29
Con l’eccezione del solo Marcello Durante, come vedremo.
30
Le recensioni di R. SCHMITT, 1967a, a me note, sono di: A. BLOCH, 1968; R. HIERSCHE,
1969; J. GONDA, 1969; R. LAZZERONI, 1968; F. LOCHNER-HUTTENBACH, 1969; V. PISANI, 1966,
1968; E. RISCH, 1969a; A. SCHERER, 1968; F. R. SCHRÖDER, 1968; sono sostanzialmente recensio-
ni anche gli articoli di H. HUMBACH, 1967, F. ALBANOLEONI, 1968b e J.J.S. WEITENBERG, 1969.

19
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Nell’insieme, i recensori, dopo aver salutato l’opera come neces-


saria e utile, lodarono l’acribia dell’Autore nella raccolta del materiale
3l
e delle opinioni, raccolta che ai più parve completa e discussa con
equilibrio e onestà intellettuale; fu poi accolta positivamente anche la
gran parte delle nuove proposte di confronti istituiti da Schmitt
32
stesso.
Alcuni critici rilevarono tuttavia, a ragione, l’assenza sostanziale
dal campo delle lingue indagate, non solo dagli studi precedenti ma
33
anche dalle ricerche di Schmitt, dell’ittita, del balto-slavo e del
34
celtico, così come la mancanza di approfondimenti sul ruolo e la
funzione del poeta nella società i.e., sulle tecniche stilistiche e sull’ispi-
35
razione.
Altri studiosi mossero però a Schmitt obbiezioni di portata più
vasta e tali da mettere in discussione questioni fondamentali; tra
queste le più importanti mi sembrano:
1) i confronti poetici proposti rinviano a una parentela genetica o
a un’affinità elementare e tipologiça (cfr. H. Humbach, 1967)?
2) si deve parlare di lingua poetica pan-indeuropea o solo greco-
aria (cfr. F. Albano Leoni, 1968b)?
3) quale è «lo sfondo concreto e reale della lingua poetica» i.e.
(cfr. V. Pisani, 1966, p. 107)?
Va innanzitutto osservato, però, che se da una parte non si può
chiedere a un lavoro, nemmeno a un lavoro indubbiamente ampio e
per molti aspetti ben fatto come quello di Schmitt, di risolvere e di

31
Non così per l'indianista olandese Jan Gonda, che nella sua severa recensione (cfr. J.
GONDA, 1969, pp. 308-9) segnalò, oltre a diversi passi della propria sterminata produzione
trascurati da Schmitt, qualche lavoro che era sfuggito allo studioso, tra cui J. PORTENGEN, De
oudgermaansee dichtertaal in haar ethnologisch verband, Diss. Leiden 1915 e W. CALANO, A
Rhythmic Law in Language, «AOL» 9, pp. 9 sgg.; due assenze italiane di rilievo, sono segnalate
da R. LAZZERONI, 1968: G. PASQUALI, Preistoria della poesia romana, Firenze 1936, rist. Firenze
1981 (con la giunta di un lungo e appassionato saggio di S. TIMPANARO: Pasquali, la metrica, e la
cultura di Roma arcaica) e T. BOLELLI, Due studi irlandesi, Pisa 1950; altre integrazioni bibliogra-
fiche in F. LOCHNER-HÜTTENBACH, 1969, p. 203.
32
Cfr. ad es. E. RISCH, 1969a, p. 323 e F. R. SCHRÖDER, 1968, p. 454.
33
Cfr. E. RISCH, 1969a, p. 324.
34
Cfr. R. LAZZERONI, 1968, p. 227.
35
Cfr. J. GONDA, 1969, p. 309 e R. HIERSCHE, 1969, p. 234; francamente inconsistenti mi
paiono invece le accuse a Schmitt di prolissità e ripetitività nell'esposizione (cfr. E. RISCH, 1969a,
p. 323 e J. GONDA, 1969, p. 309); in quasi ogni recensione, sono presenti poi discussioni su
singoli punti dell'opera di R. Schmitt: poiché non apportano dati nuovi, mi permetto qui di
tralasciarle, rinviando alle singole note della Rassegna critica (III,5).

20
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

spiegare tutto, dall’altra bisogna pur dire che le domande ora menzio-
nate assumono un senso, la possibilità stessa di essere formulate,
proprio a partire dall’esistenza di un’opera di raccolta e di sintesi
come quella fatta dallo studioso tedesco. Intendo dire con ciò che più
che rilievi critici, le questioni poste dagli studiosi sopra citati, rappre-
sentano, e come tali vennero accolte dalla comunità scientifica e in
particolare da coloro che in seguito si occuparono dello stesso argo-
mento, l’indicazione di possibili temi per indagini ulteriori, temi che la
ricerca avrebbe dovuto affrontare proprio a partire dai risultati rag-
giunti da R. Schmitt.
A più di venticinque anni di distanza, le risposte a quei quesiti,
diventati nel frattempo veri e propri filoni d’indagine sulla lingua
poetica i.e., possiamo, come si vedrà oltre, formularle in maniera
sicura su una base di dati ampia e acquisita e tuttavia, anche con ciò
che si sapeva allora, era già possibile dare qualche risposta non
interlocutoria.
La risposta migliore al quesito in 1) è il volume stesso di Schmitt:
la messe dei confronti raccolti è tale, per quantità e qualità, da
escludere, una volta per tutte, che essi siano dovuti a una comunanza
tipologica tra testi poetici appartenenti a generi letterari simili; pari-
menti da escludere, per la raffinatezza e la consapevolezza poetologica
che intrinsecamente i testi dimostrano, è l’ipotesi che questi confronti
vadano attribuiti a una presunta elementarità delle forme del pensiero
36
poetico ‘primitivo’.
37
Al quesito in 2) si può intanto rispondere, come è stato fatto, che
la prevalenza dei confronti greco-arii, all’interno del materiale raccolto
da Schmitt, è dovuto prima di tutto all’estrema antichità delle due
tradizioni letterarie, poi al fatto contingente che molti tra gli studiosi
che si sono occupati di lingua poetica i.e. erano grecisti o indianisti di
formazione, infine che l’aver trascurato le altre tradizioni linguistiche
i.e. – qualcuna anche perché non ancora scoperta: l’ittita! –,
è appunto uno dei limiti più vistosi delle ricerche condotte fino ad
allora. Ciò non toglie, ma è un aspetto che verrà chiarito negli anni

36
Com’è noto, l’uso, in linguistica comparata, del concetto di Elementarverwandtschaft
risale a Hugo Schuchardt; esso appartiene a un armamentario di nozioni (Lévy-Bruhl, Boas ecc.)
superato dalla ricerca antropologica e storico-religiosa da decenni; a questo proposito si veda la
stroncatura impietosa di Giulia Piccaluga (in «SSR» I (1975), pp. 391-5) dei volumi di M.
Durante (1971 e 1976).
37
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, p. 34, nota 55.

21
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

seguenti soprattutto dalle ricerche di Marcello Durante, che dovette


esistere – ma all’interno di una comune eredità di origine i.e. – una
stretta vicinanza di rapporti ‘poetici’ tra coloro che poi saranno i
Greci e gli Arii.
Al quesito in 3) – quali erano lo status, le funzioni, il ruolo del
poeta e della poesia nella società i.e. –, allo stato delle conoscenze nel
1967, era effettivamente difficile dare una risposta: molto rimaneva
ancora da indagare e, specialmente, rimaneva quasi tutto da fare un
lavoro di vaglio storico-culturale su quel che si era già individuato; né,
peraltro, ai più parve plausibile che dai risultati raggiunti da Schmitt,
38
si potesse trarre una conferma delle note ipotesi di Vittore Pisani
sulla formazione delle «più antiche lingua e società indeuropee, quelle
da me chiamate protosanscrita e protobrahmanica… [come] fusione
di elementi nomadi e cavalieri provenienti dall’Asia sud-occidentale e
39
di elementi ‘caucasici’ imbevuti di civiltà mesopotamica».
Ritengo che queste indicazioni – formulate ora da me ma che
l’Autore, prudentemente, nei suoi Epilegomena preferì non formaliz-
40
zare, lasciandole, come osservò R. Lazzeroni, come implicite in ogni
pagina del libro – siano le conclusioni più importanti raggiunte dal
volume di R. Schmitt; un volume che ebbe comunque un merito
indiscutibile: quello di far uscire gli studi sulla lingua poetica i.e. da
quella sorta di marginalità in cui erano rimasti confinati per più di
cento anni e di farli entrare, definitivamente e stabilmente, nel novero
41
riconosciuto dei campi d’indagine dell’indeuropeistica.

1. 4. LA MODA
42
Negli anni successivi, sulla scia del successo ottenuto da Schmitt
e dell’interesse suscitato da un campo di studi che per tanti rappre-

38
Non intendo liquidare le teorie di V. Pisani così sbrigativamente: su alcune di quelle che
a me paiono sue ‘divinazioni’, tornerò più avanti nel presente lavoro.
39
Cit. da V. PISANI, 1966, p. 107.
40
Cfr. R. LAZZERONI, 1968, p. 228.
41
R. Schmitt tornò su argomenti di lingua poetica i.e., in parte già trattati nel suo volume,
con due articoli brevi (1967b e 1969), una recensione assai critica di W. WÜST, 1969c (1971) e
un saggio sui rapporti tra onomastica e composti bimembri (1973), recensito in A. SCHERER,
1973, G. SCHRAMM, 1974, J. TISCHLER, 1975, F. BADER, 1978; molto utile è poi l’antologia –
Indogermanische Dichtersprache – da lui curata e edita nel 1968, recensita poi in B. ROSENKRANZ,
1969, E. RISCH, 1969b, H. SCHMEJA, 1970.
42
Fra il 1968 e il 1970, furono pubblicati 32 tra articoli e recensioni sulla lingua poetica i.e.:
per i ritmi e i toni consueti all’indeuropeistica, si tratta di un numero di interventi eccezionale e

22
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

sentava una novità, le ricerche sulla lingua poetica i.e. divennero una
moda e molti si gettarono con entusiamo su un argomento che
sembrava promettere gloria per tutti: va detto infatti che se per taluni
la pubblicazione del volume di R. Schmitt significò l’inizio di una
duratura passione scientifica, per molti fu soltanto un amore occasio-
nale.
Osservando l’andamento quantitativo della produzione scientifica
sul grafico ideale che si può costruire sulla base della Sinossi cronolo-
gica (III,5,3), si nota agevolmente come, passato il periodo delle
recensioni ma anche quello dei lavori – pochi, in verità – che ancora
prescindono dallo Schmitt e che continuano l’onda dei primi anni
43
sessanta, esso si sviluppi attraverso un momento iniziale, tra gli anni
1973 e 1979, caratterizzato da singoli interventi di molti studiosi – ma
anche dall’uscita di volumi importanti come quelli di M. Durante
(1971 e 1976), G. Nagy (1974) e E. Campanile (1977) – e come, dopo
una fase di assestamento durata qualche anno, si possa parlare di un
ingresso definitivo, caratterizzato questo dai molti lavori di pochi
studiosi, della lingua poetica i.e. nel circuito degli studi a partire dalla
seconda metà degli anni ’80.
Quelle che si potrebbero considerare come le costanti di tale
andamento della ricerca, sono rappresentate invece dall’attività scien-
tifica di alcuni studiosi la cui produzione, tuttavia, per importanza,
connotazioni personali e sviluppo interno, ho ritenuto andasse esami-
nata e discussa in un capitolo a sé (I,2) e questo, anche per l’individua-
lità insopprimibile che comunque connota l’attività degli studi umani-
stici, senza che la cronistoria, almeno così mi sembra, ne uscisse
menomata al punto da essere irriconoscibile.
Nella parte centrale degli anni settanta, le attenzioni dei ricercato-
ri in parte si rivolsero a quegli aspetti trascurati o tralasciati dalle
indagini precedenti a cui si è accennato sopra e in parte al tentativo di
sondare nuove strade.

che ha riscontro forse solo con quello del recente dibattito scatenato da Archaeology and
Language. The Puzzle of Indo-European Origins di Colin Renfrew (London 1987).
43
Vd. supra, p. 15; tra questi vanno indicati l’utile lavoro di L. BOTTIN, 1969, sull’aumento,
quelli di V. V. IVANOV, 1967a e 1967b, E. BENVENISTE, 1968 e A. PAGLIARO, 1969. Accenno qui
brevemente, per tornarci poi nel capitolo sul metodo (1,3), ai lavori di W. Wüst (1969a, 1969b,
1969c): lo studioso vi sostenne una posizione di rifiuto pregiudiziale dell’esistenza di una lingua
poetica i.e., simile a quella di H. HUMBACH, 1967, che non ebbe seguito ma che fu comunque
una controprova utile.

23
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

44
Stimolate anche dal bel volume di G. Nagy (1974), diverse
furono le ricerche di metrica; tra queste vanno ricordate la tesi di
45
dottorato di J. F. Vigorita e gli articoli che ne trasse in seguito,
l’articolo di B. Vine 1977, sull’uso della catalessi e dell’acefalia nella
46 47
metrica i.e., le ampie ricerche di J. Kurylowicz, i cui risultati a
volte non sembrano condivisibili ma che sono sempre lezioni di rigore
48
metodologico, il lavoro di M. L. West sui metri standard dell’i.e.
Sono dedicate invece ai rapporti col mondo anatolico e mesopotamico
le indagini di]. Puhvel, R. Gusmani e H. Wagner; sobrio, equilibrato
ma anche, stante la pochezza del materiale, desolatamente privo di
49
risultati positivi, l’articolo sulle iscrizioni poetiche lidie di Gusmani,
ben fatto e innovativo nell’accostamento il lavoro del 1974 di
50 51
Puhvel su mito e narrazione nell’epopee i.e.; i dotti accostamenti
52
tra mondo celtico e Vicino Oriente di H. Wagner mi paiono invece
spesso poco convincenti, anche se è certo interessante il tentativo di
53
allargare la ricerca senza pregiudizi.
Se le ricerche di L. Hertzenberg, 1974 e di G. Dunkel, 1979, volte
alla ricostruzione di formule e metafore ascrivibili alla lingua poetica
i.e., sono nel solco della tradizione, fu invece innovativo un lavoro di
54
tre studiosi pisani apparso nel 1974: esso, comparando i tratti

44
Il lungo articolo di N. Berg del 1978 sull’origine dell’esametro, per esempio, trae
direttamente spunto – critico! – dai risultati di G. NAGY, 1974.
45
Cfr. J. F. VIGORITA, 1973, 1976, 1977a, 1977b.
46
Su questo vd. anche M. L. WEST, 1982.
47
Cfr. J. KURYt..OWICZ, 1970, 1975a, 1975b.
48
Di questo Autore va menzionata anche la recensione a G. NAGY, 1974: M. L. WEST,
1974.
49
R. Gusmani è giustamente contrario all’ottimismo ricostruttivo manifestato sullo stesso
tema da D. G. MILLER, 1968.
50
Lo studioso tornerà a occuparsi di lingua poetica i.e. una decina di anni dopo: cfr. J.
PUHVEL, 1983, 1988, 1991.
51
Su questo argomento esiste una comoda raccolta di saggi, curata e prefata da K. VON
SEE: ID., 1978.
52
Cfr. H. WAGNER, 1970 e 1975; utile anche la recensione di questo Autore (H. WAGNER,
1972) a W. MEIO, 1971.
53
Tra gli studi dedicati ai rapporti poetico-mitologici tra mondo greco e mondo anatolico,
va ricordato anche R. LAZZERONI, 1969.
54
Cfr. E. CAMPANILE – CH. ORLANDI – S. SANI, 1974; di S. Sani si può qui citare anche un
lavoro sull’allitterazione: cfr. S. SANI, 1972.

24
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

55
comuni al poeta celtico e a quello indiano antico, cominciò a chiari-
re le funzioni dei poeti nel mondo i.e., venendo così incontro a uno
56
dei limiti manifestati dagli studi precedenti.
57
In quegli anni, tra i lavori che tentarono nuove strade di avvici-
namento alla problematica della lingua poetica i.e., vi sono anche G.
K. Gresseth, 1979 che fece uso di metodologie proprie alla ricerca sul
folklore nel comparare l’Odissea e il Nalopakhyāna (= Mbh., III, 6,
52-77), mettendo in luce convergenze che tuttavia si resta incerti se
classificare come genetiche o – più probabilmente – come tipologiche
58
e un avvincente, lungo articolo di R. Ambrosini, rimasto purtroppo
l’unico su questo argomento nella vasta produzione del brillante
studioso. La novità, nel saggio di Ambrosini, sta nel taglio critico-
letterario dell’accostamento, un punto di vista fino ad allora scarsa-
mente utilizzato e che gli consente di ottenere la ricostruzione – si
tratta certo di speculazioni ardite ma la consistenza del materiale
addotto è solida – di una struttura compositiva antichissima, scavando
nella tradizione con un procedimento stratigrafico esemplare per
chiarezza e per difficoltà di applicazione ulteriore.
Adotta una metodologia di impianto storico-letterario, anche
l’ampio saggio firmato da T. Elizarenkova e V. N. Toporov (1979);
qui, pur in un lavoro assai utile e pieno di osservazioni interessanti e
innovative, lasciano tuttavia dubbiosi i numerosi paralleli con le lette-
rature moderne e una tendenza a voler ricostruire generi poetici sulla
base di quelli attestati nelle letterature storiche, soprattutto nella
59
letteratura indiana antica.
Ha invece un taglio semiotico-strutturalista B. L. Ogibenin, 1982,
la versione italiana di un articolo apparso in russo nel 1973 : è questa la
prima applicazione di un metodo d’indagine da alcuni ritenuto perso-

55
È dedicato al celtico anche W. MEIO, 1971, un breve saggio che ha avuto forse più
notorietà e recensioni di quanto meritasse.
56
Cfr. supra, p. 20.
57
Ho qualche difficoltà a classificare tra questi tentativi innovativi W. RUBEN, 1975: temo
infatti che l’accostamento marxista-leninista alla lingua poetica i.e. che lo contraddistingue, se
pure è una novità – rimasta peraltro inimitata –, non sia di alcuna utilità in questo genere di
studi.
58
Cfr. R. AMBROSINI, 1970.
59
In questo lavoro, che è noto ai più nella sua versione – a firma del solo V. N. Toporov –
pubblicata in tedesco nel 1981 su «Poetica», in realtà, c’è molto di più: avrò modo di tornare a
parlarne; anche D. WARD, 1973, propone la ricostruzione di un genere poetico di epoca i.e.: la
poesia satirica.

25
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

60
nalistico e fumoso, ma che consentirà poi allo studioso altre, più
61
ampie e forse più interessanti, ricerche.
Per qualche tempo poi gli studi sulla lingua poetica i.e. – con le
eccezioni dovute agli studiosi che vedremo nel capitolo I,2 – conob-
bero una fase di scarsa vitalità, un periodo forse necessario per
assorbire del tutto ciò che oramai era acquisito e per far sedimentare
le tante nuove proposte.

1. 5. L’ENTRATA IN CIRCOLO

La comparsa della lingua poetica i.e. come dato acquisito dalla


62
ricerca in opere a carattere manualistico segna l’ingresso definitivo
di questo campo di studi nel novero delle conoscenze umanistiche
sull’antichità proto-storica e pre-classica e ne consacra la validità
anche come sprone per un ritorno della disciplina a quelle indagini
sulla cultura intellettuale degli Indeuropei, abbandonate – allora certo
63
non a torto, come si è detto – molto tempo prima.
Dal punto di vista quantitativo, l’andamento delle indagini assu-
me, a partire dai centrali anni ottanta, un gradiente quasi costante di
8-10 interventi per 7-8 Autori l’anno; dal punto di vista qualitativo, il
dato rilevante è costituito forse dal riesame critico, a opera di diversi
studiosi, del primo e più famoso confronto poetico i.e., quello tra la
formula omerica klšoj ¥fqiton e quella vedica śrávo akşitam: un
ripensamento delle proprie origini che è anche segno della maturità e
della solidità raggiunta da questa particolare prassi di ricerca.
La discussione, anche in questo caso, era stata innescata dal
64
volume di G. Nagy del 1974; alla proposta innovativa di E. D.
Floyd, 1980, di considerare il significato di “gloria eterna” della
formula omerica come un’innovazione a partire da Iliade I,413, G.
Nagy, 1981a, replicò apportando qualche aggiustamento di tiro ma

60
Per le critiche, vd. R. SCHMITT, 1986 e C. H. WERBA, 1985.
61
Cfr. B. L. OGIBENIN, 1979, 1984, 1985.
62
Vd., per es., J. HAUDRY, L’indo-européen, Paris 1979, cap. VI e ID., Les Indo-Européens,
Paris 1981, pp.12 sgg., ma anche W. BURKERT, Griechische Religion der archaischen und
klassischen Epoche, Stuttgart 1977, ed. it. Milano 1984, vol. I, p. 26.
63
Vd. supra, p. 14.
64
A cui bisogna aggiugere le recensioni, non tutte favorevoli, che aveva ricevuto: cfr. M.
DURANTE, 1974a, M. L. WEST, 1974, M. W. HASLAM, 1976, J. BROUGH, 1977, H. HOENIGSWALD,
1977, F. BADER, 1979.

26
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

lasciando in definitiva invariate le proprie – e altrui – tesi di fondo


sull’origine comune della due formule. Un sostegno all’idea di Floyd
venne tuttavia da M. Finkelberg, 1986: la studiosa, sulla base delle
teorie di M. Parry, respinse l’ipotesi che il sintagma klšoj ¥fqiton
fosse una formula e propose anche lei di considerarla un’innovazione;
a M. Finkelberg, rispose A. T. Edwards, 1988, dimostrando convin-
centemente come, nel caso in oggetto, la ‘oral theory’ nulla avesse da
dire sull’antichità dei due sintagmi posti a confronto.
A tutto ciò va poi aggiunto E. Risch, 1987, che aveva pensato –
con qualche fondamento – di poter ritrovare nell’onomastica micenea
la più antica attestazione della formula greca.
Morale della vexata quaestio: ora abbiamo qualche certezza in
meno e molta libertà in più.
65
Mi spiego meglio: il confronto istituito da A. Kuhn, nella sua
apparente in discutibile bellezza, ha inficiato di sé, fino al punto di
costituirne per gran tempo una specie di leit-motiv, la ricerca sulla
66
lingua poetica i.e., orientando, quasi unilateralmente, la visione
degli studiosi sul tema della gloria (immortale, incorruttibile, grande
ecc.) come nucleo narrativo e poetologico centrale alla poesia (epica)
i.e., consentendo così una comoda e forse inconsapevole copertura
alla trasposizione di un tema – e anche lì: nemmeno il principale! –
proprio ai due poemi omerici all’interezza della poesia i.e., un tema la
67
cui ascedenza i.e. era ed è ancora da dimostrare.
È merito, insomma, del dibattito sopra riassunto, non solo aver
rimesso in discussione un dato che si credeva acquisito, ma anche aver
contribuito – chiarendone gli ambiti formulari e la significazione – a
ridimensionare la portata euristica e narratologica di un nucleo di
confronti greco-vedici che sono, sì, importanti, ma che non possono
esaurire monotematicamente di sé la ricchezza di una lingua letteraria,
seppur preistorica e ricostruita come quella di cui si sta parlando.

65
Il rinvio è alla nota 5; su quanto segue, vd. anche H. HOENIGSWALD, 1977.
66
Si riguardi la storia degli studi e il volume stesso di Schmitt: anche gli altri ‘generi
letterari’ sono pur sempre ancillari alla “gloria immortale”; di più: si legga la vulgata in J.
HAUDRY, Les Indo-Européens… cit. (nota 62), pp. 16 sgg., per rendersi poi conto appieno di
quanto romanzescamente improbabile sia questa visione della gloria i.e. (cfr. E. CAMPANILE,
1990c, p. 87).
67
Un passo forse decisivo, ma non ancora definitivo, verso la comprensione dell’humus
culturale che può aver generato questa formula così discussa, è quello di E. CAMPANILE, 1990c,
pp. 87-113.

27
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Contributi recenti alla considerazione che Omero non esaurisca


tutto il campo greco dei confronti possibili, hanno portato poi gli
studi di G. Costa, 1982 e 1984 e di M. C. Naafs-Wilstra, 1987: il
primo, sulla scia di M. Durante, 1962, 1976, ha arricchito la messe dei
68
confronti tra i sintagmi epiteti divini greci e quelli arii, esaminando
appunto anche la letteratura post-omerica; la seconda, ha mostrato
invece la possibilità di identificare tratti poetici i.e., non solo metrici
ma anche lessicali e stilistici, in Saffo e in Alceo.
Altre formule da assegnare alla lingua poetica i.e, hanno identifi-
cato L. Kurke, 1989, G. Costa, 1987b e 1989 e E. D. Floyd, 1992a e
1992b, al contrario di N. Oettinger, 1989-90, che indica persuasiva-
mente come non siano invece i.e. le formule greco-ittite del tipo “la
69
terra oscura”.
Segno dell’avvenuta entrata in circolo della materia sono anche gli
studi di taglio non strettamente linguistico ad essa dedicati, come ad
esempio, T. M. Compton, 1988, una tesi di dottorato ampia e corret-
tamente impostata, anche se forse un po’ deludente nella sostanza dei
risultati finali, sull’esilio del poeta nella tradizione greca arcaica e
70
indeuropea.
Tra i lavori che sfruttano in maniera innovativa la tradizione di
studi precedente, vanno posti K. Hoffmann, 1987, e G. Costa, 1990;
entrambi partono dai composti con primo membro *su-: il primo, pur
limitando l’indagine all’indo-iranico, raggiunge risultati utili all’inte-
rezza degli studi, come era stato a suo tempo anche per É. Benveniste,
1968, identificando uno stilema poetico connesso all’uso dei composti
suddetti e i suoi legami con l’ideologia dei guerrieri arii; il secondo
lavoro, esteso alla totalità delle attestazioni dei composti con *su-, ma
anche dei loro antonimi in *dus-, evidenzia la compattezza semantico-
cognitiva del campo lessicale da essi formato e la sua origine ultima
come estrinsecazione dell’ideologia aristocratica veicolata dalla poesia

68
In G. COSTA, 1984, sono in parte trascurate, volutamente, le possibilità di confronti con
l’avestico; si possono recupere con l’aiuto di L. H. GRAY, A List of the Divine and Demonic
Epithets in the Avesta, «JAOS» 4 (1926) pp. 97-153; V. GRAZI, 1990, propone invece, in uno dei
non molti lavori dedicati negli ultimi anni all’Edda e alla lingua poetica i.e., una serie di paralleli,
di diverso valore probatorio, tra epiteti divini islandesi antichi e greco-vedici.
69
Sui rapporti tra mondo greco e mondo anatolico, una comunanza di rapporti tuttora
poco indagata dal punto di vista di cui si parla qui, sono utili e ben fatti i già citati ultimi lavori di
J. PUHVEL: ID., 1983, 1988, 1991; è dedicato a ciò anche G. COSTA, 1987a.
70
Alla definizione della figura del poeta i.e., è dedicato anche P. MAC CANA, 1988, le cui
conclusioni, tuttavia, mi lasciano dubbioso.

28
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA

i.e. La novità dei due studi sta nell’essere riusciti a cogliere, sfruttando
le acquisizioni precedenti, le motivazioni socio culturali alla base delle
71
due formazioni morfo-stilistiche.
Restano invece a mio parere ancora poco risolutivi gli studi di
taglio comparativo-letterario, come J. E. Caerwyn Williams, 1986, P.
Mac Cana, 1989 o, meglio dei due precedenti, P. L. Henry, 1986;
anche M. L. West, 1988, una ripresa con aggiornamenti di Id., 1973a,
pur contenendo alcune idee interessanti, non mi pare vada concreta-
mente oltre le indicazioni un po’ generiche di correnti e di flussi
mitico-poetici.
Dedicati alla metrica i.e., un argomento che come in passato
continua a attirare spesso l’attenzione degli studiosi, sono gli utili ma
un po’ ripetitivi lavori di S. Suzuki (1988a, 1988b, 1992) sui fonda-
menti i.e. del verso germanico, l’articolo di storia della linguistica di P.
Swiggers, 1991, sul dibattito tra Meillet, Benveniste e Trubetzkoy a
proposito dell’indeuropeità della metrica greca, l’ardito ma compe-
tente lavoro di Z. Ritoók sulle origini dell’esametro, e, infine, il lungo
saggio di G. Olmsted, 1991, inficiato dalla misconoscenza di K. Klar –
72
B. O. Hehir – E. Sweetser, 1983-4, su metrica celtica e iscrizioni
73
poetiche celtiberiche.
Il giudizio sulle ultime tappe degli studi sulla lingua poetica i.e. è
quindi senza dubbio positivo, stante l’accortezza e direi quasi la
sagacia metodologica mostrate nell’allargamento dell’orizzonte com-
parativo, l’attenzione con cui si è cercato di coprire i vuoti delle
indagini passate, la prudenza impavida nell’apertura ai risultati delle
altre discipline.

71
Un bel lavoro tra lingua e cultura, che sintetizza in parte proprie ricerche precedenti, è
R. LAZZERONI, 1987.
72
È questo un lavoro importante e convincente che respinge le tesi espresse da C.
WATKINS in un famoso articolo del 1963 – Indo-European Metrics and Archaic Irish Verse… cit.
(nota 14, p. 15) – e torna a avvicinare la metrica celtica e quella germanica.
L’interessante, ecumenico e discusso volume di M. GASPAROV, Očerk istorii evropeisko-
73

vo sticha, Moskva 1989, trad. it. Bologna 1993, non riguarda direttamente l’argomento della
presente ricerca: l’Autore infatti, partendo dai risultati degli studi sul verso i.e., che ritiene – a
torto e con serie carenze informative – acquisiti per consenso generale, traccia una storia
genealogica delle varie metriche europee medievali e moderne; la «Fondazione Ezio Franceschi-
ni» ha dedicato alle ipotesi dello studioso russo una Giornata di studi su il verso europeo. Metrica
comparata e storia delle culture (Firenze: 4 maggio 1994), i cui atti sono in corso di stampa; tra le
relazioni presentate, ricordo qui R. AMBROSINI, Metrica e linguistica e P. SCARDIGLI, La metrica
germanica delle origini, entrambe utili, pur senza l’apporto di novità sostanziali.

29
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Fin qui dunque, per sommi capi e con le esclusioni dette, la storia
lineare, cronologica, degli studi sulla lingua poetica i.e.; nei capitoli
che verranno, tornerò sulla gran parte dei lavori sopra citati e su altri
ancora, esaminandoli però come un insieme multilaterale, privo di
diacronia, percorso da sviluppi e da ritorni interni che ne segnano
direttrici spesso parallele e apparentemente ignote l’una all’altra ma
che poi danno – avvinte – implosioni tali da proiettare la conoscenza
mille anni indietro e la scienza cinquant’anni avanti.
Alcune di queste direttrici si identificano con l’attività intellettua-
le e il lavoro di ricerca di alcuni scienziati, che, più di altri, hanno
segnato gli studi recenti e recentissimi sulla lingua poetica i.e.: a loro è
dedicato il capitolo seguente.

30
CAPITOLO 2

GLI STUDIOSI

But grammatical analysis is still, to a surprising


extent, an art.
(C. F. Hockett)

2.1. FRANÇOISE BADER


1
La produzione scientifica di F. Bader sulla lingua poetica i.e.
inizia con l’analisi, condotta all’interno di una lunga indagine sulle
radici i.e. *pā- e *swer-, di alcuni temi letterari ereditati, tra i quali
2

quello delle gesta di Nestore, nelle epopee greca e irlandese e già in


queste prime pagine è possibile individuare alcuni punti fissi della sua
ricerca su questo argomento: un ancoraggio solido ma non acritico,
tipico dell’indeuropeistica francese recente, alle teorie sulla trifunzio-
nalità di G. Dumézil, una sicura dottrina comparativa, qualche volta
compiaciuta di sé, un’attenzione particolare al collegamento tra i fatti
linguistici e la (prei- e proto-) storia.
Il primo lavoro della studiosa dedicato in particolare alla lingua
poetica i.e. è di poco posteriore: Rhapsodies homériques e irlandaises,

1
La studiosa insegna attualmente all’École pratique des hautes études di Parigi; le sue
competenze scientifiche sono ampie e la sua produzione è corposa: altri suoi titoli sono raccolti
in III,4,7.
2
Cfr. F. BADER, 1978b; sono di quegli anni anche due sue recensioni su questo argomento:
EAD., 1978a, 1979; per inciso, va notato qui anche un altro segno dell’avvenuta entrata in circolo:
ora, a differenza di quel che accadeva un tempo (cfr. supra, p. 13), se ci si occupa di lingua
poetica all’interno di lavori altri, lo si fa come di un argomento inserito necessariamente in una
visione globale dell’indeuropeità.

31
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

3
del 1980. In questo lungo articolo, ella, tornando in parte sulla figura
di Nestore già esaminata nel lavoro precedente, identifica «deux
larges morceaux de littérature héritée» (p. 80) sulle gesta del guerriero
policé, conservati nell’Iliade e nel Táin Bó Cúailnge – e in misura
4
minore nella storia romana –, comparabili tra loro per il contenuto,
la forma e l’uso di particolari tecniche letterarie.
Anche il lavoro seguente, del 1984, è dedicato all’identificazione e
alla ricostruzione di strutture narrative i.e. ereditate dalle letterature
storiche – in particolare, i temi iniziati ci della caccia e del furto della
cintura di una amazzone – e qui la studiosa, in alcune pagine introdut-
tive, chiarisce le sue idee sulla lingua poetica i.e.: «il a existé une tres
savante littérature i.e.» (p. 14) e di questa noi conosciamo i generi
letterari, le tecniche formali, la metrica, i modi di composizione e di
scrittura, le metafore, il ruolo del poeta; ma, aggiunge F. Bader, noi
conosciamo anche «motifs narratifs hérités» e «canevas de composi-
tion littéraire hérité» (p. 16) tra cui appunto quelli identificati dalla
Bader in questi suoi primi tre lavori, legati dunque tra loro da una
comune finalità ricostruttiva e da un progressivo affinamento metodo-
5
logico.
Slegato da questo filone, è l’articolo in 1988a, dove l’Autrice
6
ricostruisce la storia degli studi di A. Meillet sulla metrica i.e.: si
tratta di un lavoro ben informato e utile non solo per conoscere
l’evoluzione delle idee di Meillet, ma anche per farsi un’idea sul loro
accoglimento e sugli sviluppi posteriori delle ricerche sulla metrica i.e.
Si riaggancia invece ad alcuni dubbi espressi in F. Bader, 1980, il
lavoro del 1988(b) intitolato Homère et l’écriture: «mais la maîtrise
avec laquelle ces morceaux sont intégrés à l’ensemble de l’Iliade
s’accomode-t-elle d’une composition orale? Nous savons, a propos de
la Táin Bó Cúailnge, que Murgen a écrit un livre à partir de pièces
7
jusque-là séparées. N’a-t-il pu en être de même pour l’Iliade?».

3
Gli articoli di F. Bader superano spesso le cinquanta pagine, qualche volta addirittura le
cento: si leggono però senza annoiarsi e con fiducia nella loro utilità.
4
Sulle possibilità e i procedimenti necessari al recupero di fatti connessi alla lingua poetica
i.e. nell’epopea e nella storia romana, vd. infra, pp. 79.
5
Del metodo usato e dei risultati raggiunti da F. Bader, così come dagli altri studiosi
raccolti nel presente capitolo e nel precedente, parlerò estesamente nei capitoli 1,3 e 1,4.
6
F. Bader si era già occupata di metrica i.e. alcuni anni prima recensendo G. NAGY, 1974;
EAD., 1979.
7
Cit. da F. BADER, 1980, p. 83.

32
2 – GLI STUDIOSI

In questo articolo, F. Bader sostiene che gli Indeuropei sapevano


scrivere, perché possedevano una radice verbale che ne indicava
8
l’atto, *pei-k/-g- e di tale radice ella ricostruisce l’evoluzione semanti-
ca a partire dal senso di “incidere, intagliare”. La capacità scrittoria
tra i popoli i.e. storici – si ricordi ciò che dice Cesare (B.G. VI,14,3-4)
a proposito dei druidi celti – era però una conoscenza segreta, riserva-
ta a iniziati; la studiosa dunque suffraga la sua ipotesi partendo
dall’uso della scrittura nelle iniziazioni a carattere segreto di Odino e
di Bellerofonte (Iliade, Z 153-174) e scoprendo poi un altro riferimen-
9
to alla scrittura segreta in Omero: un alfabeto nascosto all’interno
10
della cosiddetta ‘lingua degli dei’ dell’Iliade mediante un gioco di
figure fonetiche che è indizio sicuro di una ricerca alfabetica e fonolo-
gica: «cette réflexion phonologique autour de l’écriture, les spéciali-
stes du langage que sont les poètes ont diì la mener dès l’époque de la
communauté indo-européenne, du moins au stade de cette époque
qui a connu l’écriture…» (p. 226). Si tratta, secodo la studiosa, di un
sapere iniziati co trasmesso da scuole di poeti che attraverso lunghi
anni di pratica rendevano maestri nell’esercizio di tecniche di ermeti-
smo letterario: «on reste confondu d’admiration devant le génie du
poète de la langue des dieux de Iliade» (p. 225).
In verità, si resta ammirati anche davanti all’indagine della Bader,
alla sua capacità di penetrare i recessi più oscuri dei testi, alla bellezza
illuminante delle sue dimostrazioni.
Con questo lavoro, l’Autrice dà inizio a un nuovo filone delle sue
ricerche il cui punto di riferimento centrale è il volume intitolato La
langue des dieux, ou l’hermétisme des poètes indo-européens, pubblica-
to a Pisa, nella collana, che dirigeva Enrico Campanile, Testi Lingui-
stici, nel 1989 ma consegnato all’editore un anno prima. Il libro, che è
in parte il seguito di Introduction aux mythes indo-européens de la
11
vision, un saggio, quest’ultimo, che non si occupava però di lingua
poetica i.e., costituisce infatti l’asse intorno a cui ruotano, arrecando

8
Cfr. anche F. BADER, La racine de POIKILOS, PIKROS, in Studies J. Chadwick,
Salamanca 1987, pp. 41-60, e vd. infra, pp. 271 sgg.
9
Un accenno alla necessità di indagare i «passages à double lecture» era già in F. BADER,
1984, p. 15.
10
Alla bibliografia su ‘la lingua degli dei’ raccolta in F. BADER, 1990b, p. 15 nota 14,
bisogna poi aggiungere D. MAGGI, Lingua degli dei nel Rigveda, «AGI» 77 (1992), pp. 105-121.
11
Pubblicato in E. CAMPANILE (ed.), Studi indoeuropei, Pisa 1985, pp. 9-50.

33
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

precisazioni e arricchimenti anche importanti, i lavori più recenti sulla


lingua poetica i.e. di F. Bader.
Nel loro insieme, il volume e quelli che potremmo chiamare i suoi
12 13
complementi, rappresentano probabilmente il più innovativo e
consistente apporto di materiale conoscitivo e di procedimenti euristi-
ci alla poesia i.e. degli ultimi due decenni. Ritengo infatti che la tesi
sostenuta in questi arditi e tuttavia solidi lavori da F. Bader sull’esi-
stenza di una letteratura i.e. di enigmi come estrinsecazione narrativa
di una riflessione metafisica e poetologica sul rapporto tra uomo e dei,
tra uomo e cosmo, tra lingua e pensiero, sia un’acquisizione definitiva
degli studi sulla lingua poetica i.e. e che essa costituisca un progresso
14
ineludibile nell’ambito delle ricerche in tale campo.
Ciò detto, osserverò anche che non tutto di quel che sostiene
Mme Bader appare ugualmente persuasivo e che la grande messe di
dati posta in gioco dalla studiosa richiede una verifica attenta, soprat-
tutto là dove la rigidità della fiducia nella propria teoria comporta
quelle che a me paiono come – non dirò forzature ma – torsioni
interpretative all’interno di una procedere euristico che risente, in
maniera non sempre felice, di un punto di vista epistemologico che
tende a schematizzare in modo qualche volta eccessivo e ingenuo il
mondo intellettuale e psichico i.e.
Eccessivo e ingenuo non è un ossimoro: l’uso, ad esempio, da
parte di F. Bader di una nozione di tassonomia che è al contempo
15
troppo potente e poco rigorosa, le consente di scrivere da una parte
che «[…] la taxinomie tient une grand piace dans la pensée mitique
16
[…]» e dall’altra che le «[…] concidentiae oppositorum [sont] chè-
17
res à la pensée mytique […]», dal che si evincerebbe che nel ‘pensie-

12
Si tratta di F. BADER, 1990a e 1992b, 1990b, 1990c e 1991b; cosa aggiungano al volume,
è precisato dalla stessa Autrice in 1990b, p. 4 nota 1 e in 1990c, p. 383 nota 1.
13
Ci vorrà tempo perché l’indeuropeistica e le varie filologie coinvolte vaglino e assorbano
le tante proposte – si pensi solo alle nuove etimologie per i nomi di Esiodo, Omero, Bellerofon-
te, Persefone, Febo, le Muse! – che esso contiene; per ora l’unica recesione a me nota, A. BLANC,
1990, è colma di ammirazione e di lodi.
14
Vd. infra, pp. 280 sgg.
15
Su questo argomento mi permetto di rinviare al mio Anemonimi benacensi. Lessico,
cognizione e tassonomia, Perugia 1992, in particolare alle pp. 131-150, e alla bibliografia ivi
raccolta; vd. poi infra, pp. 298 sgg.
16
Cit. da F. BADER, 1989, p. 102.
17
Ivi, p. 270.

34
2 – GLI STUDIOSI

ro mitico’ – o almeno: nella concezione che ne ha F. Bader – c’è posto


un po’ per tutto, un’idea che pare difficilmente verosimile.
Tra i suoi ultimi lavori che riguardino anche la lingua poetica
18
i.e., F. Bader 1991a è poi un’applicazione persuasiva delle metodo-
logie messe a punto nei lavori appena citati nell’indagine delle radici
i.e. della ‘rapidità’, con il riconoscimento di strutture ereditate in due
kenningar (¢ellÒpoj / pod»nemoj çkša) del formulario di Iris e dei
19
giochi fonetici di origine poetico-ermetica presenti anche qui.
In conclusione, l’apporto degli studi di F. Bader – un apporto a
onor del vero che mi pare non abbia finora conosciuto tra gli addetti
ai lavori il successo che merita – alle nostre conoscenze sulla lingua
poetica i.e. si configura come coraggioso, importante, originale, cre-
sciuto nella coerenza di sé, ricco di novità e foriero di fecondi sviluppi
ulteriori, auspicabilmente meno torrentizi e più sedimentati di taluni
di quelli ora esaminati.

2. 2. ENRICO CAMPANILE
20
Il contributo dello studioso pisano alla ricerca sulla lingua
poetica i.e., a differenza di quello di F. Bader, che, se anche innovativo
e per qualche aspetto addirittura geniale, resta pur sempre nel solco
tracciato dalla tradizione degli studi precedenti, si è distinto soprat-
tutto per aver impresso alle proprie indagini – ma anche a quelle degli
altri, avendo riscosso tra gli specialisti, a differenza della Bader, un
21
seguito più ampio, anche se forse proprio più nelle questioni meto-

18
Altri due suoi lavori di argomento poetico i.e. pubblicati nel 1992 sono: una recensione a
E. CAMPANILE, 1990c (= EAD., 1992a) e una versione abbreviata di F. BADER, 1990a (= EAD.,
1992b).
19
L’Autrice ha pubblicato un’altra versione, riassuntiva e senza bibliografia, ma con
qualche variazione, di questo lavoro in EAD., 1991c.
20
E. Campanile è morto, all’età di 58 anni, il 15 ottobre 1994; da molti anni insegnava al
Dipartimento di Linguistica di Pisa, città dove si era laureato con Tristano Bolelli e dove ho
avuto la fortuna di essere suo allievo negli anni del mio dottorato di ricerca; oltre che di lingua e
cultura poetica i.e, si era occupato, tra l’altro, di celtico, di iranico, di lingue dell’Italia antica:
alcuni di questi lavori, non precipuamente dedicati all’argomento della presente ricerca o
precedenti il 1967, sono raccolti in 111,4,7.
21
Non ho qui in alcun modo l’intenzione di stilare classifiche di merito, ma quella di
ricostruire, anche in termini di influenza sulle direzioni della ricerca, l’apporto fattivo di ogni
scienziato all’avanzamento degli studi sulla lingua poetica i.e.; è possibile, parzialmente e con
qualche difficoltà, determinare tali flussi con l’aiuto di quelle riviste, come per es. l’«Archivio

35
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

22
dologiche che nei risultati raggiunti – una direzione, quella della
ricostruzione e dell’interpretazione storico-culturale dei fatti di lingua
e di poesia i.e., che rappresenta, pur nella continuazione ideale di alcuni
tra i più duraturi saggi del passato – penso qui, per esempio, al Ven-
dryes de Les correspondances de vocabulaire entre l’indo-iranien et
l’italo-celtique –, la fondazione di un filone di ricerca nuovo e dirimente.
La produzione di E. Campanile sulla lingua poetica i.e. si è
incentrata infatti attorno ai volumi Ricerche di cultura poetica indoeu-
23
ropea del 1977, Studi di cultura celtica e indoeuropea del 1981, e La
24 25
ricostruzione della cultura indoeuropea del 1990, tre lavori legati
dalla continuità di una riflessione, sui temi delle strutture culturali e
ideologiche della società i.e. e delle produzioni testuali che a queste
davano la forma di una tradizione, diventata col tempo sempre più
personale e sempre più autorevole.
Dal punto di vista comparativo, l’apporto visibilmente più cospi-
cuo offerto dalle ricerche dello studioso pisano, è invece costituito dalla
grande messe di materiale tratto dalle lingue e dalle letterature celtiche
posta in gioco: se nelle ricerche sulla lingua poetica i.e. possiamo oggi
disporre di un altro polo ricostruttivo di importanza paragonabile a
quelli costituiti dal greco e dall’indo-iranico, lo dobbiamo soprattutto
alla libertà intellettuale e al convinto rigore metodologico con cui
questo studioso seppe affrontare un campo d’indagine reso oltremodo
infido dall’ardua leggibilità stratigrafica della sua documentazione.
Tra i risultati raggiunti in questo ambito, ricordo la scoperta di
paralleli irlandesi a l’inno avestico a Mitra (cfr. E. CAMPANILE, 1976-
77), l’attribuzione alla poesia i.e. della formula irlandese antica cú
26
glass (cfr. Id., 1979b), l’etimologia del celtico *bardos (cfr. ID., 1980),

Glottologico Italiano», che hanno un indice degli autori citati e con strumenti bibliografici come
l’Arts & Humanities Citation Index.
22
Un riassunto delle proprie idee e dei propri metodi, E. Campanile lo aveva dato in ID.,
1987 a; si vedano anche, tra i suoi ultimi lavori, Zur Vorgeschichte der idg. Dichterformeln, in Fest.
O. Szemerényi, Amsterdam-Philadelphia 1993, voI. III, pp. 61-71, e Réflexions sur la reconstruc-
tion de la phraséologie poétique indo-européenne, «Diachronica» 16,1 (1993), pp. 1-12.
23
Recensito in L. FLEURIOT, 1978, pp. 737-8.
24
Recensito da F. BADER, 1992a, pp. 134-139 e da C. STERCKX, 1991, pp. 257-259.
25
Oltre ai tre volumi, sono dedicati specificatamente alla ricostruzione di aspetti della
cultura poetica i.e. anche i due articoli E. CAMPANILE, 1974b e ID., 1989.
26
Le metafore poetiche sono state uno dei temi d’indagine di E. Campanile: si vedano
anche ID., 1974a, 1986a e la brillante e convincente analisi dell’esiodea ¢nÒstoj Ón pÒda tšndei
in ID., 1986b, ripreso e precisato in ID., 1988.

36
2 – GLI STUDIOSI

l’analisi della preistoria del culto delle Matres celtogermaniche (cfr.


ID., 1981, cap. IV), l’etimologia di a. irl. torc, gallo torch, lat. torques,
risolta rovesciando l’ipotesi predente che faceva derivare i termini
celtici dal latino (cfr. ivi, cap. V).
All’analisi delle lingue celtiche dal punto di vista della storia
letteraria, sono invece dedicati E. Campanile, 1985 e 1990b.
L’aver allargato la base comparativa alle lingue e alle letterature
celtiche e una grande dimestichezza con le principali letterature i.e.
arcaiche, consentì, tra l’altro, a Enrico Campanile il recupero testuale
e la definizione funzionale, in un modo che è a mio parere in gran
parte innovativo rispetto alle precedenti opinioni e che risente in
maniera coerente delle tesi di G. Dumézil, della figura del poeta – ma
anche di quella del suo principale committente: il re – e del suo ruolo
27
nella società i.e., il tutto in una visione euristica finalizzata a «un
28
autonomo recupero dell’ideologia indoeuropea».
«È possibile, dunque, al linguista, purché adotti una corretta
metodologia procedere a un tentativo di ricostruzione della cultura
29
intellettuale indoeuropea, un concetto cui volentieri daremmo, più
brevemente, il nome di ideologia, proprio a sottolineare il fatto che
tutti i suoi elementi debbono essere visti organicamente connessi fra
loro, come testimonianza unitaria del rapporto prima interpretativo e
poi operativo che le genti indoeuropee seppero instaurare con tutti gli
30
aspetti della realtà che li circondava».
E in un capitolo del volume del 1977, intitolato Il carattere totali-
tario della cultura poetica indoeuropea, E. Campanile aveva individua-
31
to una caratteristica fondamentale di tale ideologia: «i ‘poeti’ – cui
istituzionalmente competeva la funzione di salvaguardare e trasmette-

27
I principali riferimenti bibliografici qui sono: E. CAMPANILE, 1977, Cap. I: Poeta e
poesia in epoca indoeuropea; cap. II: Il poeta come professionista; cap. III: Il poeta e la
preghiera; ID., 1990c, cap. II: Funzioni del re e del poeta nella società indoeuropea; oltre i già
citati ID., 1974b e E. CAMPANILE – C. ORLANDI – S. SANI, 1974.
28
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, p. 36; lo studioso intendeva qui ‘autonomo’ dai risultati
dell’archeologia: tornerò sulla questione nel capitolo 1,3.
29
Nei riguardi della ricostruzione della cultura materiale i.e., E. Campanile era passato, nel
tempo, da un atteggiamento di chiusura completa, cfr. ID., 1981, p. 15, a un atteggiamento più
possibilista, cfr. ID., 1990c, p. 33; vd. anche infra, pp. 69 sgg.
30
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, p. 22; affronterò il problema dei rapporti tra cultura e
ideologia, due entità che diversamente da Campanile non ritengo siano sovrapponibili, nella
seconda parte della presente ricerca.
31
Sfrutterò questa importante idea di E. Campanile, cui avevo già fatto accenno in G.
COSTA, 1989, p. 105, ma in un’altra direzione, nella seconda parte.

37
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

32
re il patrimonio culturale della propria gente», intervenivano ege-
monicamente in ogni attività intellettuale della loro comunità,
nel’onomastica, nell’esercizio del diritto, nella pratica medica ecc.,
dimostrando così il carattere totalitario dell’ideologia tradizionale del
cui prestigio erano custodi, ideologia dalla quale però essi stessi
traevano prestigio, secondo uno schema circolare tipico di società
tenacemente conservatrici come quelle arcaiche.
33
Studioso attento ai fatti di metrica fin dalla sue prime ricerche,
E. Campanile espresse poi le sue opinioni sulla metrica i.e. soprattutto
in ID., 1979a, ID., 1990a, ID., 1990c, pp. 142-169: «non esiste dal
punto di vista metrico un verso indoeuropeo, il che significa che la
poesia indoeuropea si definiva, nei confronti della prosa quotidiana
attraverso strumenti diversi […] questi tratti vanno individuati nel-
l’impiego di formule, di metafore, di epiteti, di arcaismi linguistici:
queste sono le peculiarità della poesia indoeuropea e questi sono gli
elementi che da essa ebbero in eredità le culture poetiche arcaiche dei
34
popoli indoeuropei».
35
È questa un’opinione radicale che suscitò qualche perplessità –
«il se monstre hypercritique à l’égard de résultats obtenus par Meillet,
Jakobson, Watkins […] c’est que Campanile previlégie l’approche
formulaire de la poésie indo-européenne, surement beaucoup plus
riche pour la connaissance de la culture indo-européenne, mais ni
36
plus ni moins importante que la métrique pour celle de la poésie» –
e che, se pure aveva dalla sua, oltreché la coerenza con i propri
assunti, la pochezza, anche a mio parere, a fronte dei molti studi
dedicategli, di ciò che ragionevolmente possiamo attribuire alla metri-
ca i.e., non teneva sufficientemente in conto il fatto che una qualche
forma ritmica che trascendesse la ripetizione dell’enunciato, cioè la
forma più semplice di ritmo, era necessaria, stante altrimenti l’impos-
sibilità di nuove enunciazioni, all’apprendimento mnemonico verbale:
«sicché l’onere principale della pura ripetizione, di cui la memoria
abbisogna come di un puntello, è trasferito allo schema metrico privo

32
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 78.
33
A cominciare dall’ormai lontano Note sul saturnio, «ASNP» 32 (1963), pp. 183 sgg.;
sono dedicati all’analisi di alcuni aspetti formali della poesia i.e. anche ID., 1977, cap. V e 1990c,
cap. V.
34
Cit. da E. CAMPANILE, 1990a, p. 36 e p. 37.
35
Vd. anche infra, pp. 74 sgg.
36
Cit. da F. BADER, 1988a, p. 119.

38
2 – GLI STUDIOSI

di significato che viene ritenuto tenacemente nella memoria, e le


nuove enunciazioni vengono quindi espresse in modo da adattarsi
37
acusticamente a questo schema».
La poesia i.e., insomma, essendo costituita da testi (orali) – «e non
si vede, d’altra parte, cosa sia stata la poesia indoeuropea se non un
38
insieme di testi» – che dovevano essere memorizzati e tràditi verbal-
mente, una qualche forma di organizzazione metrica doveva averla
per forza, indipendentemente dalla nostra capacità di ricostruirne con
attendibilità matematica gli schemi.
Ritengo dunque i lavori di metrica comparata di E. Campanile
assai utili come verifica e ridimensionamento dell’ottimismo ricostrut-
tivo manifestato da alcuni studiosi, come per esempio M. L. West, ma
trovo riduttiva la sua ipotesi di fondo sull’inesistenza di una metrica
i.e come elemento fondamentale di differenziazione tra poesia e pro-
sa.
Credo di poter concludere dicendo che, nei suoi ultimi scritti,
Enrico Campanile diede compimento a un lungo e produttivo itinera-
rio scientifico personale, tornando a collocare, con una nuova veste,
epistemologicamente assai più salda rispetto al passato ma non senza
39
qualche passaggio ancora poco convincente, la lingua poetica i.e. e
le indagini su di essa, nel loro originario – verrebbe da dire: naturale –
alveo della più generale ricostruzione linguistica della storia culturale
delle popolazioni i.e.
Con la sua prematura scomparsa, gli studi sulla lingua e la cultura
poetica i.e. hanno perduto un punto di riferimento fondamentale e
insostituibile.

2. 3. MARCELLO DURANTE
40
M. Durante è stato uno dei pionieri delle indagini moderne sulla
lingua poetica i.e.: gran parte delle sue ricerche sulla lingua poetica

37
Cit. da E. A. HAVELOCK, Preface to Plato, Cambridge (Mass.) 1963, trad. it. Bari 1973,
pp. 122-123.
38
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 19.
39
Vd. anche infra, pp. 74-5.
40
Dopo un decennio di grave malattia che lo aveva reso inabile all’attività scientifica,
Marcello Durante è morto il 19 luglio 1992 a Roma, dove era nato il I aprile del 1923; aveva
insegnato a Palermo, Perugia e Roma, università quest’ultima dove si era laureato con Antonino
Pagliaro nel 1945; traggo alcune di queste informazioni da un commosso articolo di D.
SANTAMARIA, Il Professor Marcello Durante a Perugia dal 1964 al 1971. L’omaggio di un allievo

39
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

41
risalgono infatti agli ultimi anni cinquanta e al decennio seguente e
precedono dunque lo spartiacque costituito dal volume di R. Schmitt.
42
Questi lavori, in gran parte modificati, confluirono poi nell’ope-
ra intitolata Sulla preistoria della tradizione poetica greca, la cui prima
43
parte, sottotitolata Continuità della tradizione poetica dall’età mice-
nea ai primi documenti, fu pubblicata a Roma nel 1971, come cinquan-
tesimo volume della prestigiosa collana Incunabula Greca, diretta da
44
Carlo Gallavotti, mentre la seconda, Risultanze della comparazione
indoeuropea, uscì nel 1976, come sessantaquattresimo volume della
stessa collana.
Inspiegabilmente, se tanto successo avevano avuto i singoli contri-
buti precedenti, al punto che tre di essi erano stati tradotti e inclusi
45
nell’antologia Indogermanische Dichtersprache curata da R. Schmitt,
46
i due volumi non conobbero invece grande fortuna.

all’uomo, al maestro e allo studioso, apparso in «L’università. Periodico d’informazione dell’Ate-


neo di Perugia» 11,9 (settembre 1993), pp. 22-29. Il 23 marzo 1994 si è svolta a Roma una
Giornata di studi in onore di Marcello Durante. La tradizione poetica greca, organizzata dall’Isti-
tuto per gli Studi Micenei ed Egeo-anatolici e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, con
interessanti relazioni, tra le altre, di W. Belardi, F. Crevatin, R. Lazzeroni; gli atti sono in stampa.
Oltre che di lingua poetica greca e i.e., M. Durante si era occupato di linguistica e epigrafia
dell’Italia antica, di linguistica generale e italiana, di storia della linguistica.
41
I lavori di argomento poetico di M. Durante precedenti il 1967 sono già stati citati alla
nota 15, p. 15.
42
È lo stesso M. Durante a dichiararlo: vd. ID., 1971, p. 5.
43
Dei quattro capitoli di cui consta, solo il primo era già stato edito, con lo stesso titolo: La
fase eolica della poesia greca, in Studia classica et orientalia A. Pagliaro oblata, Roma 1969, vol. II,
pp. 85-129, a questo riguardo, va osservato però che l’opposizione di M. Durante alla tesi di E.
Risch sul carattere occidentale del dialetto eolico e l’esclusione, che M. Durante postulava, di
una fase achea per poemi omerici, non hanno convinto diversi specialisti, tra cui J. L. GARCÍA-
RAMON, 1973, p. 194.; è invece dell’anno prima un altro suo articolo, che, se pure non ha a che
fare direttamente con la lingua poetica, merita di essere visto nel contesto della presente ricerca:
Vicende linguistiche della Grecia tra l’età micenea e il medioevo ellenico, in Atti e memorie del I
congresso internazionale di micenologia, Roma 1968, voI. II, pp. 744-756.
44
Consta di otto capitoli più un’appendice: di questi sono inediti il I, La grecità preistorica
e il mondo di rapporti indoeuropeo, una messa a punto metodologica fondamentale – è di questa
opinione anche M. P. BOLOGNA, op. cit. (alla nota 4, p. 13), p. 12 – che in parte condensa anche i
risultati di M. DURANTE, 1974b e di ID., Aspetti e problemi della paleontologia indeuropea,
apparso in Paleontologia linguistica. Atti del VI convegno internazionale di linguisti (Milano:
2-6/9/1974), Milano 1977, pp. 39-63 e che esaminerò più dettagliatamente nel cap. 1,3, il III, La
metafora e il paragone e il VI, La ripetizione.
45
Cfr. R. SCHMITT, 1968 e supra, p. 15.
46
Che io sappia, quello del 1971 ebbe la sola recensione di J. L. GARCÍA-RAMON, 1973, in
più punti critica, e quello del 197 6 solo la stroncatura della storica delle religioni Giulia Pittaluga
(cfr. supra, nota 36, p. 21); nei tre libri di E. Campanile poi, tanto per fare un esempio, il volume
del 1976 non è mai citato e quello del 1971 è citato solo due volte.

40
2 – GLI STUDIOSI

Nonostante ciò, credo invece che le ricerche di M. Durante


abbiano fortemente influenzato gli studi sulla lingua poetica i.e. e che
esse costituiscano una sorta di ponte tra una ricerca ancora molto
legata alla filologia e alla storia della letteratura classica, come era
quella che lo aveva preceduto, e una ricerca di tipo più convintamente
linguistico-comparativo, che sarà quella degli anni a venire.
Lo strumento euristico, il grimaldello scientifico, di cui lo studio-
so inizialmente si servì, fu la stilistica e molto di quel che oggi
sappiamo sugli stilemi tradizionali i.e. lo dobbiamo ai suoi studi,
venuti anche a colmare un vuoto nelle ricerche precedenti: «la lacuna
più vistosa e meno giustificabile che fa spicco nella letteratura dedica-
ta alla poesia indoeuropea sta nell’aver mancato di investigare e
47
comparare i procedimenti di stile».
In questo ambito, i risultati raggiunti dallo studioso sono impor-
tanti e duraturi: l’epitesi, la metafora, il paragone, la personificazione,
la ripetizione, l’assonanza, l’allusività, gli arcaismi, la perifrasi, la
paronomasia, la similitudine, la sinonimia, sono tutti stilemi, con
utilizzi diversi nelle varie lingue storiche, che egli ha indagato e spesso
48
chiarito e potuto attribuire, con varia attendibilità, alla poesia i.e.
Tuttavia, per quel che riguarda la sua visione generale del fenome-
no poetico i.e., visione che prese compiutamente e definitivamente
forma negli scritti della metà degli anni settanta, molto di quel che
pensava M. Durante non è più sostenibile o forse non lo è mai stato:
mi riferisco qui alla quasi completa misconoscenza che egli aveva
dell’importanza del celtico nella ricostruzione della poesia i.e. («e del
resto si ritiene generalmente che la religione celtica non si elevasse
49
gran che dal livello sciamanistico»); alla sottovalutazione della poe-

47
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 10.
48
Riguardo poi alla metrica comparata, M. Durante riteneva, diversamente da A. Meillet,
di cui in particolare non condivideva l’accettazione dell’interpretazione wilamowitziana degli
eolismi omerici e l’ipotesi di un rapporto con la cultura egea (cfr. M. DURANTE, 1971, p. 127),
che l’esametro fosse uno sviluppo, su base eolica, dalla metrica lirica ereditata, concordando in
questo con G. Nagy (si veda l’attenta, e per altri aspetti critica, recensione che M. Durante – ID.,
1974b – fece di G. NAGY, 1974); «sarà da attribuire al filone ereditato della tradizione metrica
greca anche una serie di consuetudini prosodiche, di validità generale o limitate a particolari
sistemi, le quali si ritrovano nella poesia vedica. Tali sono la sillaba ancipite in fin di verso;
l’abbreviamento di vocale lunga o dittongo avanti inizio di parola vocalico; l’equiparazione di
sillaba lunga ‘per posizione’ alla sillaba lunga naturale, […] l’eliminazione di una sequenza di tre
brevi mediante allungamento di una delle sillabe» (cit. da M. DURANTE, 1976, p. 65.).
49
Ivi, p. 67; Giulia Pittaluga, che ha impietosamente raccolto nella sua recensione al
volume del 1976 diverse di queste affermazioni, scrive: «molto si sarebbe avvantaggiato un

41
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

sia germanica, cui riconosceva aura d’indeuropeità nel solo ambito


magico-apotropaico («il discorso poetico indoeuropeo occidentale si
colloca entro forme di cultura incomparabilmente meno evolute della
50
civiltà greca»); all’esclusione del mondo romano e italico («Era una
società di pastori e di agricoltori, organizzata in funzione delle esigen-
ze pratiche della vita associata. […] non abbisogna affatto di un
discorso autenticamente letterario, che verta cioè su ideali sublimi,
che trascendono le esigenze pratiche. […] Sarebbe assurdo pensare
che i51 lontani antenati dei Romani fruissero di una civiltà più evolu-
ta»); all’inutilità delle indagini poetiche sul mondo i.e. orientale («È
impossibile stabilire se e in quale misura le solidarietà greco-arie
fossero condivise dagli altri settori indoeuropei orientali, ché un im-
menso iato cronologico separa Omero e il Veda dalle prime manife-
52
stazioni a noi note della poesia armena, baltica, slava»); alla restri-
zione dei possibili rapporti tra il mondo poetico greco e le letterature
vicino-orientale ai soli contenuti narrativi («nello stile e nella versifica-
zione la poesia greca non risulta affatto debitrice delle letterature del
Vicino Oriente: la separa da queste un divario tipologico incommen-
53
surabile»); alla convinzione, sulla base – bisognerà pur dirlo – di
motivazioni, culturali prima che linguistiche, insussistenti, a comincia-
re dalla presunta superiorità spirituale della civiltà aria e della sua
onnipervadente
54
capacità d’irradiazione tra le popolazioni contermi-
ni, dell’inesistenza di una cultura intellettuale alta, e perciò di una
poesia, panindeuropea.
Il punto è che M. Durante era convinto che si potesse parlare di
una comune lingua poetica solo tra i Greci e gli Arii e dimostrare
questo era il fine che si proponeva di raggiungere con le sue ricerche.
Ritengo che nessuno, soprattutto dopo le indagini di E. Campanile ma

lavoro di linguistica ad ampio respiro come questo vuol essere, dell’apporto che la moderna
problematica storico-religiosa avrebbe senz’altro potuto dargli, evitando così all’autore di
incorrere in vecchie posizioni pregiudiziali oramai superate» (cit. da EAD., art. cit., p. 393). Dal
punto di vista metodologico, M. Durante suffragava le sue convinzioni sul celtico, ritenendo
poco probanti i confronti istituiti sulla base della norma geolinguistica delle aree laterali (cfr. M.
DURANTE, 1976, pp. 17-18): «particolarmente discutibile è la classificazione del celtico come
lingua marginale» (cit. da ID., Aspetti e problemi cit., p. 54); su tutto ciò vd. infra, pp. 66 sgg.
50
Cit. da ID., 1976, p. 66.
51
Cit. da ID., Aspetti e problemi cit., pp. 52-3. 52 Cit. ID., 1976, p. 66.
53
Cit. da ID., 1971, p. 153.
54
Cfr. ID., Aspetti e problemi cit., pp. 54 sgg.

42
2 – GLI STUDIOSI

anche dopo quelle di F. Bader e di C. Watkins, possa ormai più


seguirlo su questa via.
Tuttavia, come risultato di questa impostazione teleologica, a noi
resta, tolto quel che si è detto e ricollocando il tutto in un diverso, più
55
realistico scenario della mentalità indeuropea e in generale arcaica,
l’acquisizione definitiva, attraverso una serie di ricerche accurate,
affidabili, ricche di dati nuovi come poche in questo settore di studi,
di un rapporto poetico previlegiato tra quelle popolazioni di lingua
i.e. che poi in epoca storica saranno i Greci, gli Iranici e gli Indiani;
questa consapevolezza, che dobbiamo alle ricerche di M. Durante,
possiamo però oggi iniziare a porla all’interno della storia delle più
generali intersezioni di intensi rapporti preistorici e protostorici che
dovettero precedere e seguire la fase più strettamente unitaria del
mondo i.e., rapporti che coinvolsero certamente anche popolazioni e
tribù di lingue e civiltà non i.e.
Alla storia di questi rapporti, che con ogni evidenza dovettero
riguardare anche gli aspetti più propriamente intellettuali della vita di
queste genti, M. Durante ha dato un contributo forse limitato, nelle
sue parti più convincenti, più agli aspetti storico-letterari della storia e
della preistoria della poetica greco-aria che a quelli della globale
comparazione i.e., ma non per questo il suo apporto manca di confi-
gurarsi come importante e proficuo per l’interezza degli studi sulla
lingua poetica i.e.

2. 4. GREGORY NAGY
56
Nella sua attività scientifica, G. Nagy ha affrontato, in chiave
comparativa e nel corso dei decenni, quasi tutte le problematiche più
importanti legate alla storia linguistico-culturale della grecità classica
e preclassica, indagando sempre con conoscenza della letteratura
diretta e indiretta ammirevole.

55
M. Durante, ad esempio, respingeva sia le ipotesi di G. Dumézil che «da tendenza, che
oggi va di moda, a riconoscere presunti connotati primitivi nella cultura greca arcaica» (cit. da
ID., 1976, p. 72, nota 2).
56
G. Nagy insegna al Department of the Classics della Harvard University; diversi altri
suoi lavori sono indicati in 111,4,7. Il suo libro più noto – The Best of the Acheans. Concepts of the
Hero in Archaic Greek Poetry, Baltimore – London 1979 –, ha ricevuto il prestigioso premio
Goodwin Award of Merit della American Philological Association.

43
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Dopo gli iniziali interessi miceneologici e dialettologici della metà


57
degli anni sessanta, lo studioso americano pubblicò nel 1974 un
volume intitolato Comparative Studies in Greek and Indie Meter, una
monografia, in realtà, che era già pronta nel 1970: tuttavia, come ebbe
poi a dichiarare, «there were many difficulties in my quest for a
58
publisher, and the work surfaced only in 1974».
Il lavoro, apparso in un momento di fervente ripresa della ricerca
59
poetica i.e., conobbe una grande notorietà – forse perfino superiore
60
ai risultati effettivamente raggiunti –, ebbe molte recensioni e costi-
tuì l’innesco per un dibattito sulla metrica i.e. e sul confronto tra la
formula omerica klšoj ¥fqiton e quella vedica śráva(s) ákşitam, tuttora
61
non sopito.
62
Come è stato osservato, il volume offre certamente meno di quel
63
che il titolo può far sperare, è al suo interno mal articolato, di lettura
64 65
faticosa, apre più questioni di quante ne risolva, alcune delle sue
66
tesi rimangono allo stato di congettura e altre sono per i più difficil-
67
mente accettabili.
Nonostante ciò, credo si tratti di un libro importante e che esso
contenga delle acquisizioni significative per i nostri studi; tra queste

57
Sono di quegli anni, per esempio, i suoi articoli Observations on the Sign-grouping and
Vocabulary of Linear A, «AJA» 69 (1965), pp. 295-330, On Dialectal Anomalies in Pylian Texts,
in Atti e Memorie del I Congresso Internazionale di Micenologia, Roma 1968, pp. 663-679, e il
volume Greek Dialects and the Transformation of an Indo-European Process, Cambridge (Mass.)
1970.
58
Cit. da G. NAGY, 1979, p. 611; è questo il motivo per cui egli non potè tener conto di M.
L. WEST, 1973a, 1973b, due articoli che sostanzialmente giungevano alle stesse conclusioni dei
suoi Studies.
59
Cfr. supra, p. 23.
60
Quelle a me note sono già state citate alla nota 64, p. 26.
61
Cfr. supra, p. 26.
62
Cfr. J. BROUGH, 1977, p. 297.
63
Cfr. M. W. HASLAM, 1976, p. 202.
64
«The book has its faults. Parts of its are wrong; it is prolix in exposition and uncouth in
style…»: così M. L. WEST, 1974, p. 459, che qualche anno dopo ebbe poi in parte a ricredersi: «I
was perhaps too sceptical in my review»: cit. da ID., 1982, p. 296, nota 45.
65
«[…] pourquoi ne pas tirer davantage parti, dans la recherche sur l’histoire de l’hexamè-
tre, du fait (rappelé en Introduction) que a finale de ce dernier est celle d’une parémiaque? est-il
légitime dans une étude d’histoire métrique de previlégier une seule formule, comme le fait G.
Nagy, non pas dans sa partie grecque, où il manie un matériel riche, mais dans sa partie indienne,
et, par-delà, comparative? doit-on continuer à considérer comme la composition formulaire
comme preuve du caractère oral de la poésie épique?» (cit. da F. BADER, 1979, p. 117).
66
Cfr. M. DURANTE, 1974a, p. 44.
67
Cfr. H. M. HOENIGSWALD, 1977, p. 88.

44
2 – GLI STUDIOSI

68
metterei, con M. Durante, la prova che l’esametro omerico compor-
tava in origine la base eolica e che dunque lo si debba considerare
come sorto da uno sviluppo della metrica ereditata e non una creazio-
69
ne anellenica, e con F. Bader l’ipotesi solida che il greco abbia
ereditato una tradizione lirica indipendente, nel metro e nella metrica
formulare, da quella epica; costuisce poi davvero un contributo pione-
70
ristico e innovativo allo studio della dizione formulare rigvedica,
l’analisi, condotta nel capitolo IX, della distrubuzione fraseologica e
metrica di śrávs; infine, mi pare importante, anche se forse non
71
risolutiva come vorrebbe l’Autore, l’idea portante del volume che
gli sviluppi del metro non siano autonomi ma dipendano dall’espan-
72
sione delle formule.
G. Nagy tornò poi sugli argomenti del volume del 1974 in due
articoli successivi (ID., 1979 e 1981a): nel primo, partendo dalle
differenze tra le sue ipotesi e quelle di M. L. WEST, 1973a e 1973b,
precisò e in parte modificò le sue tesi sull’origine dell’esametro; nel
secondo, in risposta alle argomentazioni contrarie di E. D. FLOYD,
73
1980, ribadì la sua convinzione della comune ereditarietà poetica, in
greco e in vedico, della formula klšoj ¥fqiton / śráva(s) ákşitam.
74

In un lavoro sempre del 1981(b), ispirato ai risultati del suo già


citato volume The Best of the Acheans, lo studioso si era invece occupa-
to, sulla scorta delle ricerche sulla trifunzionalità di G. Dumézil – «Sous
son influence, j’ai commencé à considérer l’épopée non comme un
75
reflet de l’histoire mais bien comme un reflet du mythe» –,
di epopea i.e. e aveva ricostruito i riflessi «sur le plan formel del

68
Cfr. M. DURANTE, 1974a, p. 44.
69
Cfr. F. BADER, 1979, p. 116.
70
Cfr. ancora M. DURANTE, 1974a, p. 44.
71
Osservazioni critiche a questa impostazione sono anche in M. L. WEST, 1974, p. 457 e in
M. DURANTE, 1974a, p. 43.
72
G. Nagy riprende qui, com’è evidente, alcune delle ipotesi di M. Parry, di A. B. Lord, di
A. Hoekstra e di J. B. Hainsworth: vd. G. NAGY, Formula and Meter, in A. STOLZ – R. S.
SHANNON, Oral Literature and the Formula, Ann Arbor (Mich.) 1976, pp. 239-260 e la discussio-
ne che ne seguì, tra cui alcune opinioni di J. Puhvel degne di attenzione, alle pp. 261-272;
affronterò questo problema metodologico nel cap. 1,3.
73
Vd. ancora supra, p. 26.
74
In una recensione a W. Meid, 1978, di quegli anni, G. Nagy (1980) si mostrò tuttavia
contrario all’ipotesi, sostenuta come sappiamo anche da M. Durante (cfr. supra, p. 42), dell’esi-
stenza di un sottogruppo linguistico-poetico greco-indo-iranico.
75
Cit. da G. NAGY, 1981b, p. 137.

45
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

76
diction poétique» di due temi mitico-narrativi ereditati: «un thème
général qui suggère implicitement le parallélisme des héros, non
seulement dans leurs caractères mais encore dans leurs actions, avec
77
un dieu correspondant», e un tema più particolare in cui «le héros et
78
le dieu sont traditionnelement représentés comme des sosies», arric-
chendo in tal modo l’analisi precedente di G. Dumézil dello schema
i.e. dell’antagonismo dio/eroe e potendo poi sostenere che «étant
donné que le témoignage grec offre des parallelismes entre les dieux
et le héros, qui sont attestés même au niveau du culte, la perception de
Dumézil sur l’épopée telle que structurée par le mythe peut même être
79
étendue un peu plus loin: de l’epopée au mythe et jusqu’au rite».
Questo interessante articolo, in gran parte modificato così come
diversi altri già pubblicati e raccolti nello stesso volume, è confluito
80
poi in Greek Mythology and Poetics del 1990, un libro notevole per
più aspetti; come dichiara l’autore stesso nell’introduzione, «the pri-
mary aims is to examine the Greek language, by way of comparison
with cognate languages, as a reflection of Greek society, with special
attention to the function of language as vehicle of mythology and
poetics. The emphasis of this book, however, is not the Indo-
European heritage of the Greek language. Rather, it is on the forces
that transformed this Indo-European heritage into a distinctly Greek
heritage; let us call it Hellenism. As for the process of transformation,
let us call it Hellenization».
La prima parte del volume – The Hellenization of Indo-European
Poetics. 1. Homer and Comparative Mythology; 2. Formula and Meter:
The Oral Poetics of Homer; 3. Hesiod and the Poetics of Pan-Hellenism –,
è quella che ci riguarda più da vicino: in essa G. Nagy, senza peraltro
sostanziali aggiunte di nuovo materiale comparativo, rielabora tre suoi
81
lavori precedenti, inserendoli però in un accostamento alla grecità

76
Ivi, p. 142.
77
Ivi, p. 139.
78
Cit. da ID., ibid.
79
Ivi, p. 140; i corsivi sono dell’Autore.
80
Sempre nel 1990 è uscito un altro bel volume di G. Nagy, che raccoglie anch’esso
contributi in parte già noti, intitolato Pindar’s Homer. The Lyric Possession of an Epic Past,
Baltimore – London, e che qui non esamino, così come The Best of the Acheans del 1979, perché
non riguarda direttamente l’argomento della presente ricerca; per inciso, il volume contiene una
Appendix: A Comparative Survey of Pindar’s Meters, che riprende G. NAGY, 1979.
81
Essi sono: G. NAGY, 1981b, Formula and Meter cito (nota 72, p. 45) e Hesiod, apparso in
T. J. LUCE (ed.), Ancient Writers, New York 1982, pp. 43-72.

46
2 – GLI STUDIOSI

che riesce oramai, dopo i primi tentativi invero non del tutto convin-
centi, a coniugare felicemente e produttivamente l’indeuropeistica e la
mitologia comparata con le teorie sull’oralità di M. Parry e A. B. Lord,
la critica letteraria più agguerrita e recente, la linguistica teorica – in
particolare: la teoria degli speech-acts di J. L. Austin e J. R. Searle, gli
importanti studi sui rapporti tra Vicino Oriente e religione greca di
W. Burkert e, infine, i metodi e le teorie dell’antropologia sociale e
culturale.
Si tratta di una lezione di metodo non solo intelligente nella
conduzione e affascinante nei risultati, ma soprattutto di grande
sensibilità e di attenzione mirabile alla globalità dei fatti di lingua e di
cultura, tale da costituire un punto di riferimento per gli studi sulla
lingua poetica i.e. a venire.
In definitiva, l’apporto di Gregory Nagy agli studi sulla lingua
poetica i.e., appare limitato quantitativamente e temporalmente, quasi
come una tappa all’interno delle diverse fasi delle sue ricerche e dei
suoi interessi; similmente a Enrico Campanile, a Françoise Bader e,
come vedremo tra breve, al suo collega di Harvard Calvert Watkins,
egli è però giunto con i suoi ultimi studi alla definizione di un metodo
di lavoro che si distingue per creatività, passione e competenze multi-
ple al punto da apparire nei fatti come uno dei maestri della cosiddet-
ta ‘New Comparative Philology’.

2.5. CALVERT WATKINS


82
Così come M. Durante, anche C. Watkins può essere considera-
to come uno dei fondatori delle ricerche moderne intorno alla lingua
83
poetica i.e.; sono infatti dei primi anni sessanta due suoi articoli di
metrica comparata divenuti famosi, soprattutto quello del 1963, per i

82
Calvert Watkins insegna al Department of Linguistics della Harvard University; oltre
che di lingua poetica e di ricostruzione culturale, nelle sue indagini si è occupato anche di
flessione verbale, di sintassi, di etimologia, con competenze che variano su quasi tutte le lingue
i.e.: i suoi articoli più importanti sono ora raccolti in ID., Selected Writings, Innsbruck 1994, voll.
I-II.
83
Si tratta di Indo-European Origins of a Celtic Meter e di Indo-European Metrics and
Archaic Irish Verse, entrambi già citati alla nota 14, di p. 15.

47
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

84
risultati ottenuti, per il metodo adottato e per aver segnato l’ingres-
85
so definitivo del celtico nella comparazione sulla metrica i.e.
86
Dopo aver per qualche tempo lavorato su altri temi, C. Watkins
tornò alla lingua poetica i.e. con un articolo del 1970 e da allora, con
una continuità di produzione e una evidenza di risultati ammirevoli,
non ha più smesso di occuparsene.
Dirò subito che la ricerca sulla lingua poetica i.e. deve molto a
questo studioso: innanzitutto, egli condivide con E. Campanile il
merito di aver dato al celtico, inteso sia come tradizione linguistica che
come tradizione letteraria, il posto che meritava nella comparazione
poetica i.e.; poi, dobbiamo a lui la nostra acquisita consapevolezza di
quali confronti poetico-letterari, importanti e forse inattesi, sia possi-
bile individuare nelle lingue i.e. anatoliche; infine – ed è quello che
ritengo uno dei suoi meriti maggiori, aldilà dei singoli risultati ottenuti
sul versante comparativo, che di seguito esaminerò –, egli ha saputo
utilizzare al meglio, soprattutto nelle sue ricerche più recenti, le
acquisizioni più convincenti della linguistica teorica contemporanea,
tra cui alcuni concetti tratti dalla grammatica generativo-tra-
sformazionale, inserendole in un contesto di elaborata consapevolezza
87
metodologica, fortemente fiducioso nelle proprie potenzialità e ca-
pacità euristiche e sicuro della sostanziale novità costituita, nella
tradizione centenaria di ricerche di linguistica storica, dalla ‘Compa-
88
rative Indo-European Poetics’.
Come dicevo, l’articolo del 1970 su «Language of Gods and Lan-
89
guage of Men», è importante perché distinguendo nelle varie tradi-
zioni i.e. interessate ciò che è ereditato da ciò che si può considerare

84
Come ho avuto già modo di dire, questi risultati furono poi confutati, in maniera
argomentata e convincente, da K. KLAR – B. O. HEHIR – E. SWEESTER, 1983-4: tornerò meglio
sull’argomento in 1,4.
85
Vd. supra, p. 15.
86
È di quegli anni il suo Geschichte der indogermanischen Verbalflexion. I. Formenlehre,
Heidelberg, 1969, terzo volume della Indogermanische Grammatik curata da Jerzy Kurilowicz e
Manfred Mayrhofer.
87
Anche del metodo di C. Watkins, parlerò nel cap. 1,3; lo studioso ha espresso i suoi
convincimenti metodologici soprattutto in ID., 1981b, 1989, 1990, 1992.
88
«Comparative Indo-European Poetics may be defined as a linguistic approach, both
diachronic (genetic) and synchronic (typological), to the form and function of poetic language
and archaic literature in a variety of ancient Indo-European societies from India to Ireland» (cit.
da C. WATKINS, 1987c, p. 270; il corsivo è dell’A.).
89
Per la bibliografia sull’argomento, cfr. supra, nota 10, p. 33.

48
2 – GLI STUDIOSI

come sviluppo autonomo nei singoli dominii, ha inaugurato le indagi-


90
ni – proseguite e approfondite poi soprattutto da F. Bader – su
quella tradizione ‘segreta’ di speculazioni metalinguistiche dei poeti
i.e., che è la migliore e definitiva testimonianza sull’esistenza già in
epoca unitaria di una identità poetica sicura di sé e del proprio ruolo
socio-tribale. L’uso della nozione jakobsoniana di ‘marcato vs. non-
marcato’ – «In theses cases we have a metalinguistic poetic figure
setting forth explicitly a hierarchy in the lexicon: the relations
between the designations of the same entity on two levels of discourse.
The lower level, that of ordinary language, is figured as the ‘language
of men’, while the higher and more restricted level of formal, poetic,
or otherwise exotic language is figured in this ancient metaphor as the
‘language of the gods’. The metaphor represents a conscious signaliza-
tion of an opposition existing in the lexicon, between the common,
semantically unmarked term, and a rarer, more ‘charged’, semanticaly
91
marked term.» – rappresenta poi, in questa particolare prassi com-
parativa, una novità di indubbia efficacia.
Alcune delle ricerche seguenti di C. Watkins, si sono aperte poi
92
alla comparazione anche di materiali latini arcaici e oschi, mentre
altre sue indagini hanno riguardato l’identificazione di metafore di
93
epoca i.e. e l’analisi di fatti di stile o la ricostruzione di tecniche
94
poetiche arcaiche.
Dirò anche con chiarezza che non tutto di ciò che ha scritto C.
Watkins sulla lingua poetica i.e. riesce a convincermi: per esempio, in
ID., 1976c, trovo deboli le prove adotte per ipotizzare nell’iscrizione
del vaso di Dipylon (IG I Suppl. 492a) la presenza di un metro lirico
greco finora sconosciuto; in ID., 1978b, ritengo ancora troppo conget-
turale la ricostruzione del testo – si tratta di un rituale sacrificale
palaico – per poterne parlare come di uno degli «oldest pieces of
Indo-European poetry that we possess» (cit. da ID., 1978b, p. 312); in
ID., 1981a, invece non mi convince il rinvio a una troppo generica
poesia i.e. popolare; in ID., 1986c, l’esegesi prima e le comparazioni

90
Vd. supra, p. 33; un altro suo articolo che ha spianato la strada all’interpretazione
corretta di un testo enigmatico, è C. WATKINS, 1978a: cfr. E. CAMPANILE, 1986b e 1988.
91
Cit. da C. WATKINS, 1970, p. 2; i corsivi sono dell’A.
92
Vd. ID., 1975a, 1978b e 1987b.
93
Vd. ID., 1977a e 1987b.
94
Vd. ID., 1976b, 1977a, 1977b, 1979a.

49
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

addotte poi a una linea di testo luvio, mi lasciano assai dubbioso sulla
sua realtà poetica.
Tra le sue ricerche degli ultimi anni settanta, trovo invece partico-
larmente utile il lavoro apparso nella miscellanea, curata da E. Neu e
95
W. Meid, Hethitisch und Indogermanisch; esso segna una tappa a
mio parere fondamentale: l’ingresso a pieno titolo, cioè con l’apporto
di materiale poetico encorico, dell’ittita negli studi sulla lingua poetica
i.e.:

In the whole of R. Schmitt’s extensive survey of Dichtung und Dich-


tersprache […] there is no mention at all of Hittite […] is perhaps due to the
facts of geography and history […]. There is perhaps another, simpler
reason: that there was no immediate impetus to look in Hittite for traces of
Indo-European ‘poetics’, because unlike virtualiy all the earliest literary
monuments of the other old branches of the family, Hittite texts are near1y
all in prose. […] Hittite had from the beginning its assured pace in the
study of Indo-European phonology, morphology, and syntax; it remains to
bring Hittite into the Indo-European Dichtersprache Tradition. When we
do so, it is not only to find another branch of the family which confirms
equations already made, but to caste new and fuller light both on old
problems, and on those as yet unrecognized, in Indo-European semantics
96
and poetics.

E a C. Watkins l’operazione riesce esaminando con bravura e


inventiva la cosiddetta Epica del Mercante (CTH 822), un testo lettera-
rio ittita antico, dove egli ritrova, in forma completa e organica, quella
tassonomia della ricchezza che era nota, parzialmente e non del tutto
comprensibilmente, già da testi di altre tradizioni i.e.: «no other
Indo-European language shows a single text with so complete a
taxonomy as the Hittite ‘Merchant Epic’ […]. We may think of the
‘Merchant Epic’ as the literary response of an immigrating Indo-
European tribal society to a different and alien conceptualization, and
one artistically put into the mouths of the bearers of that alien culture
97
[…].».
Negli anni ottanta, la gran parte delle ricerche sulla poetica i.e. di
Calvert Watkins, ruota invece intorno a How to kill a Dragon in

95
Si tratta di C. WATKINS, 1979a.
96
Cit. da ID., 1979a, p. 269 e p. 270 (il corsivo è dell’A.).
97
Ivi, p. 287.

50
2 – GLI STUDIOSI

Indo-European, un lavoro apparso nel 1987 negli Studies in Memory


98
of Warren Cowgill; questo articolo costituisce, a mio parere, il suo
contributo finora più maturo e rappresenta, per metodo, chiarezza,
consapevolezza, risultati e conseguenze, un punto di arrivo dell’in-
tera ricerca sulla lingua poetica i.e. e forse per l’indeuropeistica
tutta.
Pur trattandosi di un lavoro difficile da riassumere per la ricchez-
za delle sue implicazioni e su cui tornerò più volte nel corso della
presente ricerca, tenterò qui di seguito di darne conto brevemente.
99
Il mito è quello esaminato in parte da E. Benveniste – L. Renou
100
e nella sua globalità da V. V. Ivanov – V. N. Toporov; si tratta di un
tema cosmogonico che non è solo i.e. ma qui

we are looking for ‘the Indo-European touch’ and it is in the formula that we
101
will find it», perché le «formulas are the vehicles, the carriers of themes;
102
theme is the deep structure of formula». Il riesame delle attestazioni
consente a C. Watkins di estrapolare da esse «an Indo-European mythologi-
cal theme, with partiallexical expression:
w
HERO SLAY (*g hen-) SERPENT
The verbal formula which is the vehicle for this theme – asymmetrically
is boxed:

98
I lavori di C. Watkins che trattano della ricostruzione della formula i.e. per l’uccisione
del drago sono: ID., 1986a, 1986b, 1987b, 1987c, 1991; tali indagini sono state poi raccolte, e in
parte rielaborate, nel suo volume How to kill a Dragon: Aspects of Indo-European Poetics,
Oxford 1995. Devo aggiungere che ho potuto prendere visione di questo volume solo quando la
presente ricerca era oramai ultimata.
99
Cfr. E. BENVENISTE – L. RENOU, Vŗtra et Vŗθraγna. Étude de mythologie indo-iranienne,
Paris 1934.
100
Cfr. V. V. IVANOV – V. N. TOPOROV, Issledovanija v oblasti slavjanskix drevnostej
Leksičeskie ifrazeologičeskie rekonstrukcii tekstov, Moskva 1974; degli stessi autori si vd. anche
Le mythe indo-européen du dieu de l’orage poursuivant le serpenl: reconstruction de schéma,
apparso in precedenza in Mélanges C. Lévi-Strauss, Paris – The Hague 1970, pp. 1180-1206; cfr.
anche J. FONTENROSE, Python. A Study of Delphic Myth and its Origins, Berkeley – Los Angeles
1959, rist. 1980; J. VARENNE, Cosmogonies védlques, Paris – Milan 1982; J. HAUDRY, Beowulf dans
la tradition indo-européenne, «EIE» 9 (1984), pp. 1-59; R. LAZZERONI, La madre di Vŗtra, in E.
CAMPANILE (ed.), Studi Indoeuropei, Pisa 1985, pp. 101-107; C. A. MASTRELLI, Motivi indraici
nel Beowulf e nella Grettis Saga, «AION-G» 28-29 (1985-6), pp. 405-420; G. COSTA, Su alcune
espressioni indeuropee della sovranità, in G. DEL LUNGO CAMICIOTTI – F. GRANUCCI – M. P.
MARCHESE – R. STEFANELLI (a cura di), Studi in onore di Carlo Alberto Mastrelli. Scritti di allievi
e amici fiorentini, Padova 1994, pp. 67-79, in particolare p. 73, nota 34.
101
Cit. da C. WATKINS, 1987c, p. 271; tutti i corsivi, anche quelli che seguono, sono dell’A.
102
Ivi, p. 270.

51
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

w
HERO SLAY (*g hen-) SERPENT

This asymmetry in the correspondance of formula to theme is precisely the


103
‘Indo-European touch’ that we are looking for».

Conferme alla sua tesi, lo studioso le trova poi in testi poetici


greci, medio-iranici e irlandesi, mostrando anche, per lo più grazie a
testi germanici, come la formula sia bidirezionale – è il serpente cioè
che qualche volta uccide l’eroe – e come dalla formula-base si arrivi ad
altre formule derivate:
w
HERO 1 SLAY (*g hen-) HERO 2 (OWN HOUSE)
w
HERO SLAY (*g hen-) SUITORS (OWN HOUSE)
w
[anti] GUEST SLAY (*g hen-) [anti] GUEST (WEAPON)

«It is the claim of this paper that the ‘intertextuality’ of these versions of
the basic formula we have established, varying in time, pIace and language
but taken collectively, constitute a background without which one cannot
fully apprehend, understand and appreciate the traditional elements in a
given ancient Indo-European literature. In this sense we may speak of a
104
genetic Indo-European comparative literature».

Forse quest’ultima affermazione un po’ ‘darwiniana’ di Watkins


non troverà tutti consenzienti, tuttavia egli con questo articolo – e con
quelli già ricordati che da esso derivano – ha certamente posto gli
studi sulla Indogermanische Dichtersprache a un tale livello di pre-
gnanza epistemologica che è necessario oramai chiedersi quale ruolo
essi effettivamente giochino all’interno dell’indeuropeistica; la risposta
di Calvert Watkins è chiara e forte: essi rappresentano la ‘New
105
Comparative Philology’.
***
Giunti alla fine dei primi due capitoli, abbiamo ora una mappa
probabilmente più chiara e più dettagliata delle principali direzioni in

103
Ivi, p. 276.
104
Ivi, p. 299.
105
Cfr. ID., 1989, passim.

52
2 – GLI STUDIOSI

cui si sono svolte le indagini sulla lingua poetica i.e.; con questa
mappa, seguendo i sentieri tracciati, possiamo ora evitare di perderci
con circoli viziosi nel noto e lasciarci condurre fino alle soglie del-
l’ignoto.
Nei due capitoli che seguono, tenterò dapprima di mettere a
punto un metodo che riassuma, condensi e trascenda ciò che mi
appare più convincente degli orientamenti teoretici finora emersi
nella ricerca e poi di fare il punto sullo stato attuale delle nostre
conoscenze fattuali.
L’ultimo capitolo della prima parte, ci dirà infine di quali risposte
possiamo già disporre e quali domande possiamo invece porre.

53
CAPITOLO 3

IL METODO

Le idee più preziose vengono trovate per ultime,


ma le idee più preziose sono i metodi.
(F. Nietzsche)

3. 1. IL METODO GENEALOGICO
1
Fino alla sintesi di R. Schmitt inclusa, dunque fino al 1967, nelle
ricerche sulla lingua poetica i.e. ha prevalso un orientamento metodo-
logico di tipo genealogico, tendente cioè, tramite la comparazione
etimologica, alla ricostruzione degli archetipi, per lo più lessemi e
sintagmi, da cui sarebbero poi derivate le forme variamente attestate
nelle lingue storiche.
Alla lingua poetica, nonostante le diverse finalità ricostruttive e il
differente materiale affrontato, fu in sostanza applicata la stessa meto-
dica comparativa di derivazione schleicheriana della ricerca storico-
linguistica in senso stretto.
Il mancato riconoscimento della diversità della comparazione
‘poetica’ e quindi della diversa metodologia con cui essa andava
praticata, rispetto alla comparazione che si occupa della ricostruzione
morfo-fonologica e lessicale – «[…] La comparazione tra testi poetici
di lingue apparentate non può far suoi i criteri di valutazione, gli
obiettivi e altresì le certezze che vigono nella normale prassi compara-
l
Tra le recensioni a R. SCHMITT, 1967a, che affrontano questioni metodologiche, sono da
ricordare: J. GONDA, 1969, H. HUMBACH, 1967, E. RISCH, 1969a, R. STERNEMANN, 1969, oltre
alle recensioni di V. Pisani già più volte citate: con la sola eccezione di quest’ultimi (cfr. supra,
pp. 19 sgg.), tutti gli altri interventi sono limitati in definitiva all’esame del problema ‘tipologia
elementare vs. origine genetica’.

55
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

2
tiva; richiede una metodologia propria […]» –, è da imputare, in
parte, alla sporadicità e all’occasionalità di molti degli studi preceden-
3
ti il 1967, ma soprattutto alla generale concezione dell’indeuropeo
4
che risale all’insegnamento dei Neogrammatici.
I meriti storici e i limiti teoretici della dottrina neogrammatica
5
sono troppo noti perché debba qui soffermarmici, i loro riflessi
metodologici nelle ricerche sulla lingua poetica i.e. ci riguardano
invece direttamente.
Tra i meriti da ascrivere alle indagini impostate genealogicamente,
vi è certamente quello di avere verosimilmente esaurito, pur nella
dispersione e nella disorganicità, il novero dei confronti rintracciabili
6
nei e coi vocabolari etimologici, così come dimostra anche la scarsez-
za delle nuove acquisizioni di questo tipo riscontrabili negli studi
7
posteriori: il thesaurus così raccolto è da ritenersi, dal punto di vista
etimologico, come un’acquisizione duratura, fatte salve ovviamente le
eventuali
8
comparazioni rese possibili da nuove proposte etimologi-
che.
Tale inventario, tuttavia, è necessariamente autolimitato ai non
molti confronti per cui è ricostruibile un antecedente omogeneo, cosa
già di per sé rara nella normale ricostruzione lessicale i.e., perché il
metodo stesso assume come criterio per asseverare un rapporto prei-
storico tra le coincidenze di tradizioni poetiche di lingue apparentate
– e ovviamente non legate tra loro da rapporti culturali di epoca
storica, come, per esempio, quelli di epoca classica tra la letteratura
latina e la letteratura greca – la loro comune derivazione da una
Urform, ricostruita secondo i crismi di un’ipotesi che concepisce la
protolingua come primariamente unitaria e indifferenziata e scandisce

2
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 7.
3
Vd. supra, pp. 13 sgg.
4
Era della stessa opinione anche M. DURANTE: cfr. ID., 1976, p. 11.
5
Si troverà tutto quel che occorre in A. QUATTORDIO MORESCHINI (ed.), Un periodo di
storia linguistica: i Neogrammatici. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia
(Urbino: 25-27/10/1985), Pisa 1986.
6
Così anche E. CAMPANILE, 1987a, p. 22. 7 Vd. supra, pp. 23 sgg.
8
Altro discorso va fatto invece per quel che riguarda la valutazione semantica e storico-
culturale dd medesimo materiale: vd. supra, pp. 22 sgg.; con una comunicazione personale, B.
Schlerath mi informa però che dal Magisterarbeit di un suo allievo sui resti della lingua poetica
i.e. in lettone, è lecito attendersi novità importanti.

56
3 – IL METODO

le fasi dei suoi sviluppi diacronici verso le lingue storiche con il


criterio delle leggi fonetiche.
Seguendo le efficaci e a parer mio convincenti dimostrazioni date
9 10
da M. Durante e da E. Campanile, occorre a questo proposito
ribadire che qualunque opinione si abbia in generale sull’indeuropeo
e sulla sua ricostruzione, la congruenza etimologica tra frammenti
testuali di due o più tradizioni poetiche purtroppo non ci dà in sé
alcuna garanzia né sull’antichità del confronto – «la congruenza eti-
mologica non vale nemmeno come criterio onde accertare l’antichità
della combinazione: il fatto che un poeta greco e uno indiano abbiano
combinato i medesimi significati mediante strutture formali correlate
dipende da una ragione estrinseca, dalla circostanza che le isoglosse
lessi cali greco-indiane includono quei tali significati, cosicché la loro
11
realizzazione comportava di necessità strutture formali affini» –, né
sulla sua appartenenza a un registro linguistico diverso da quello di
uso quotidiano: «[…] il confronto tra due tradizioni poetiche non si
risolve semplicemente nella ricostruzione di un thesaurus comune.
Anche quando due ambienti linguistici si presentano talmente affini
da permettere la ricostruzione di uno stadio di lingua prevalentemen-
te omogeneo, e anche se le rispettive tradizioni poetiche riflettono una
cultura comune, i rapporti tra queste non si compendiano nelle
congruenze testuali. Così, le numerose corrispondenze vedico-
avestiche si lasciano raramente ricondurre ad archetipi e non danno
un’idea eauriente della stretta affinità che intercorre tra le due tradi-
12
zioni».
Se si fosse coerenti fino in fondo nell’applicazione di tale metodo,
13
come vorrebbe, per esempio, Bernfried Schlerath, bisognerebbe

9
Cfr. M. DURANTE, 1976, cap. I.
10
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, cap. I.
11
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 9.
12
Ivi, p. 14.
13
Cfr. B. SCHLERATH, Zu den Merseburger Zaubersprüchen… cit. (nota 13, p. 15), pp. 139
sgg.; vd. anche ID., Die Indogermanen, Innsbruck 1973, p. 29; sul più generale problema della
ricostruzione i.e., lo studioso tedesco, di cui ricordo con piacere di essere stato allievo in due
prolungati soggiorni berlinesi, ha scritto poi in anni recenti alcuni articoli che hanno suscitato un
dibattito vivace e approfondito: vd. ID., Ist ein Raum/Zeit-Modell für eine rekonstruierte Sprache
möglich?, «KZ» 95 (1981), pp. 195-202; ID., Sprachvergleich und Rekonstruktion: Methoden und
Möglichkeiten, «InL» 8 (1982-3), pp. 53-69; ID., Probleme der Rekonstruktion: Schlusswort und
Ausblick, «InL» lO (1985), pp. 11-19; ID., On the Reality and Status of a Reconstructed Language,
«JIES» 15 (1987), pp. 41-46; ID., Konnen wir die urindogermanische Sozialstruktur rekonstruie-
ren?, in W. MEID (hrsg.), Studien zum idg. Wortschatz, Innsbruck 1987, pp. 249-263.

57
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

attribuire a un caso generico di affinità elementare (Elementarverwan-


dtschaft), la notissima concordanza tra gli scongiuri di Merseburgo e
l’Atharva-veda, solo perché tra i due testi non esistono legami etimo-
logici e non è possibile ricostruire un archetipo, nemmeno di tipo
semantico, mentre è oramai acquisito, per la convergenza di indizi
molteplici, che abbiamo qui a che fare con un tratto probabilmente
14
già di epoca i.e.
Sempre seguendo tale metodo, i numerosi confronti tra greco e
indo-iranico, recuperabili nelle rispettive tradizioni letterarie, fra i
sintagmi del tipo ‘sostantivo (= teonimo) + epiteto (= composti col
15
nome dell’oro)’, non sarebbero proponibili come retaggi di una
comune tradizione poetica, perché i due dominii linguistici hanno due
diversi lessemi per “oro”, oltre che diverse etimologie per i vari
teonimi coinvolti; al contrario, come spero di essere riuscito a dimo-
16
strare, poiché krusÒj è un prestito dal semitico – che forse sostitui-
sce un più antico termine i.e. o forse introduce per la prima volta nel
mondo greco qualcosa che prima era ignoto: il risultato è lo stesso –, è
evidente che in un caso come questo; l’eterogeneità etimologica non
solo non inficia i confronti stabiliti, ma anzi ne conferma la loro
reciproca vicinanza dal punto di vista del comune sentire stilistico e
culturale, che è esattamente quello che dà forma a una tradizione
17
poetica.
L’etimologia, che può invece contribuire a fissare delle cronologie
relative all’interno di un processo interetnico di rapporti linguistico-
18
culturali, da sola non ha alcun valore probatorio in un indagine che
non deve e non può fissare archetipi che non sono mai esistiti, poiché
l’indeuropeo tutto di un pezzo non è mai stata una realtà storica, ma
che vuole, posta l’ipotesi di una comune tradizione poetica più antica
delle letterature storiche i.e., verificarne l’esistenza e recuperarne le
tracce: «ripercorrendo a ritroso l’iter seguìto da due tradizioni affini,

14
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, pp. 88-96.
15
Cfr. G. COSTA, 1984 e supra, nota 68, p. 28.
16
Cfr. anche M. DURANTE, Ricerche sulla lingua poetica greca. L’epiteto… cit. (nota 15, p.
15), p. 42 nota 81 e F. ALBANO LEONI, 1968a, p. 150.
17
Altri esempi che confutano l’applicazione dci metodo genealogico alle ricerche sulla
lingua poetica i.e., sono in M. DURANTE, 1976, cap. I. e E. CAMPANILE, 1977, cap. I.
18
Cfr. G. COSTA, 1987b, passim e F. ALBANO LEONI, 1968a; in quest’ultimo lavoro, tuttavia,
l’utilizzo dell’etimologia è volto soprattutto, sulla scia di Durante, alla ricostruzione di un
processo post-unitario di formazione di una lingua poetica comune solo al greco e all’indo-
iranico.

58
3 – IL METODO

non raggiungeremo una realtà statica, ma una dinamica di rapporti,


nalla fattispecie di una solidarietà culturale. Questo, e non il riprodur-
si per via di filiazione, è il genere di eventi che ha operato nella storia
19
letteraria di ogni tempo».
Ma il punto centrale di tutta la questione è forse un altro: anche
ammettendo che la scienza sia mai in grado di provare definitivamente
20
qualcuna delle ipotesi che formula, va detto chiaramente che il
margine di aleatorietà presente nelle ipotesi formulate dalle indagini
sulla lingua poetica i.e. è alto perché in questo tipo di ricerche si ha a
che fare con una ricostruzione –la lingua poetica – condotta all’inter-
no di un’altra ricostruzione – l’indeuropeo – e che pertanto le meta-
ipotesi che su di essa si possono formulare, si sottraggono, per la loro
natura intrinsecamente deuteronomica, a una dimostrazione definiti-
va.
La concordanza etimologica tra gli elementi formali di un con-
fronto poetico, non costituisce quindi, come hanno creduto coloro
che adottarono e adottano il metodo genealogico, la conferma prima e
definitiva di un’ipotesi di poetica comparativa, ma anzi può perfino
costituire il paravento per induzioni fuorvianti. Per evitare di cadere
di nuovo nelle fantasie ricostruttive della mitologia comparata otto-
centesca – e le indagini sulla lingua poetica non sono a priori più
‘scientifiche’ perché si occupano di lingua e non di mitologia –
occorre comprendere, come forse ha fatto in parte il solo Gregory
Nagy, che queste ricerche in realtà sono vicine, più che alla linguistica
storica, alla critica letteraria comparata e che rispetto a quest’ultima
hanno in più la difficoltà di operare con una letteratura che non è
attestata ma da ricostruire, che non è nata scritta ma orale, che è frutto
21
di una mentalità collettiva e non di una creazione individuale.
Alle ricerche sulla lingua poetica i.e. non bisogna dunque chiede-
re dimostrazioni more geometrico, che è poi il sogno dei neogramma-
tici di ieri e di oggi, ma chiarezza negli assunti metodologici e coeren-
za nelle deduzioni.
Insomma, all’interno di un’ipotesi che era ed è ancora soprattutto
linguistica – l’indeuropeo – e a cui strada facendo si sono sommate,
spesso con pari dignità se non con pari risultati, ipotesi di tipo

19
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 14.
20
Vd. infra, pp. 144 sgg.
21
Cfr., tra gli altri, E. CAMPANILE, 1977, pp. 27-33.

59
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

archeologico, storico-religioso, antropologico-culturale e ora, da ulti-


me, anche di genetica di popolazioni, le indagini sulla lingua poetica
i.e., costituendo una sommatoria di tutte queste istanze metodologi-
che e non potendo prescindere dai risultati raggiunti dalle altre disci-
pline contermini che si occupano della questione indeuropea, perché
in una mentalità arcaica la letteratura orale costituisce la summa dei
saperi di una specifica etnia, rappresentano un modo di fare compara-
zione che non ha precedenti: il metodo che esse faticosamente hanno
raggiunto, non ha più paragoni con quello dell’indeuropeistica tradi-
zionale – e con la sua impostazione, più o meno esplicitamente,
genealogica – e ha invalidato i consueti parametri valutativi disciplina-
ri.
Nell’utilizzare il materiale raccolto nello Schmitt, sarà perciò ne-
cessario usare prudenza e senso critico, tenendo presente che una
corrispondenza etimologica e genericamente semantica non è forse
che il primo passo – utile, ma né sufficiente né necessario – per
l’identificazione di un confronto poetico e soprattutto che gli studi
seguenti hanno molto arricchito le nostre conoscenze sul contesto
della cultura poetica e sulla sua funzione nella società i.e., modifican-
do quindi radicalmente l’ambito della significazione dei confronti ivi
22
proposti; occorrerà, infine, aver chiaro che nelle ricerche sulla lin-
gua poetica i.e., il metodo di indagine adottato dal singolo studioso
assume una valenza maggiore rispetto alla comparazione usuale, dove
la massiva prassi pluridecennale garantisce più salde sponde metodo-
logiche e più chiare finalità ricostruttive, perché esso solo, in fin dei
conti, garantisce della maggiore o minore affidabilità dei risultati
presunti.

3. 2. IL METODO SEMANTICO-STILISTICO

Tra le domande rimaste inespresse nel paragrafo precedente, ve


n’è una fondamentale: come determinare la poeticità di un tratto
linguistico?
Nel primo capitolo del suo volume del 1976, Marcello Durante
esplicitò definitivamente il metodo di lavoro che aveva seguito in tanti
23
anni di studi proficui e importanti: questa messa a punto, benché

22
Vd. supra, pp. 24 sgg.
23
Vd. supra, pp. 40 sgg.

60
3 – IL METODO

tardiva e forse già superata dalle ricerche in atto in quel periodo,


fornisce ancora risposte determinanti.
Egli dunque affermò che «il materiale che manifesta la sua appar-
tenenza alla sfera del linguaggio colloquiale non può essere valorizza-
to al fine di ricostruire tratti di poesia preistorica. Questa condizione
risulta pacifica, allorché una certa sequenza abbia anche impiego
prosaico, e non sospettabile di letterarietà. […] Viceversa la documen-
tazione esclusivamente poetica di un tratto di lingua può trovar
ragione nell’assenza o nell’insufficienza della documentazione prosai-
24
ca del tempo».
Precisando poi in nota che «è opportuno presentare questo prin-
cipio in versione negativa. Se infatti affermiamo che ‘soltanto il mate-
riale dotato di poeticità intrinseca può essere valorizzato, ecc.’, intro-
duciamo una condizione difficile a definire, anche se spesso intuitiva-
mente evidente, ad esempio nel caso delle associazioni di sostantivo
ed epiteto vero e proprio […] Quanto all’inosservanza del principio
in questione, una messe abbondante di casi si potrebbe raccogliere nel
già citato libro di Schmitt, che tra l’altro attribuisce alla poesia indoe-
uropea sequenze il cui significato è ‘vigilare il gregge’, ‘ascoltami’, ‘chi
25
(di chi) sei tu? […]».
Questo principio, nella sua apparente ovvietà, costituisce a mio
parere la miglior risposta possibile alla domanda prima formulata, a
patto di non interpretarlo operativamente come un criterio di tipo
statistico, come può sembrare se si guarda solo a quella che Durante
chiama la sua ‘versione negativa’; occorre invece aver presente anche
la ‘versione positiva’ – cioè, detto meglio, qualitativa – del principio,
quella insomma che classifica un tratto di lingua come poetico in sé,
altrimenti si rischia di non individuare possibili elementi poetici in
tradizioni come, per esempio, quella anatolica, di cui ci restano, per
ora, solo attestazioni prosastiche, o di non riconoscere elementi di
quotidianità in quelle tradizioni, come quella greca (miceneo a parte)
e quella indiana, che hanno le loro attestazioni più antiche solo in
poesia.
Dopo aver chiarito – e noi con lui – come stabilire cosa appartiene
al linguaggio poetico, M. Durante giunge poi a fissare alcuni principi

24
Cit. da M. DURANTE, 1976, pp. 7-8.
25
Ivi, p. 7 nota 1.

61
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

26
metodologici che dovrebbero consentire di fissare «il valore proba-
tivo che inerisce a congruenze tra documentazioni di lingue poetiche
27
apparentate»:

[…] la probabilità della corrispondenza singola non assume valore in se


stessa, bensì in quanto contribuisce alla valutazione complessiva degli insiemi
di corripondenze in cui il caso singolo si coordina. […] Nella misura in cui si
riesce ad ancorare ad altre risultanze comparative una corrispondenza non
generica, cioè non motivabile entro una fenomenologia generale del linguag-
gio poetico, e nella misura in cui si scopre un principio di coerenza negli e tra
gli insiemi che si ottengono, progressivamente viene a ridursi l’alea di una
sistematica coincidenza fortuita. Obiettare che tante ipotesi non equivalgono
a una realtà sarebbe privo di senso, e più precisamente significherebbe
tradurre la questione entro un universo di discorso allotrio: la ricerca, infatti,
verte su un periodo che non conosce realtà documentarie. Un diverso metro
di giudizio si confà alla problematica in questione, le singole comparazioni si
configurano non come altrettante ipotesi, ma come sviluppi di una medesima
ipotesi di fondo, diciamo meglio di un postulato, formulabile nei termini ‘la
tradizione poetica greca ha un rapporto preistorico con la tradizione poetica
x’. Se il postulato si rivela fecondo di sviluppi coerenti qualora x assuma un
valore univoco o limitato, cioè qualora la tradizione greca non risulti compa-
rabile con una qualsivoglia tradizione poetica, vuol dire che esso ha validità
28
scientifica.

Questo principio, assai vicino al criterio dell’‘evidenza cumulati-


29
va’ proposto da P. Thieme, corre tuttavia il rischio della circolarità:
«giacché sarebbe fin troppo facile osservare che in tal modo non si fa
altro che trasferire la necessità di una prova dall’elemento in discus-
sione agli elementi su cui si fonda la sua ipotizzata indoeuropeicità. In
altre parole: se l’indoeuropeicità di A è affermata per l’evidenza
cumulativa fornita da B, C e D, l’indoeuropeicità di B, C e D o resta
indimostrata o va provata con un metodo che, se si vuole evitare un

26
Cfr. anche G. COSTA, 1984, pp. 29-32.
27
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 8.
28
Ivi, pp. 9-10.
29
Cfr. P. THIEME, The Comparative Method for Reconstruction in Linguistics, in D. HYMES
(ed.), Language in Culture and Society: A Reader in Linguistics and Anthropology, New York
1964.

62
3 – IL METODO

proceso all’infinito, non potrà essere quello dell’evidenza cumulati-


30
va».
Se prendiamo però quel che dice Durante non come un principio
asseverativo di archetipi, ma come un’ipotesi di lavoro, appare chiaro
che essa è del tutto simile a quella che ponevo, nel paragrafo prece-
dente, come base deduttiva delle ricerche sulla lingua poetica i.e.
Durante stesso, infatti, come ho già ricordato sopra, escludeva a
priori la possibilità e financo l’utilità di ricostruire archetipi poetici
morfo-fonologicamente omogenei: «pertanto» – proseguiva lo studio-
so – «la congruenza dei significati è il dato primario che spetta alla
comparazione di verificare. La concordanza che coinvolge il piano dei
significanti avvalora la prospettiva di un rapporto più diretto, ma il
verificarsi o non di quella condizione è determinato a priori dalle
convergenze e dalle divergenze che intercorrono tra i rispettivi sistemi
linguistici. Senonché la verifica di congruenze semantiche ed even-
tualmente formali non può costituire che un punto d’avvio della
comparazione. Infatti, un passo di poesia tradizionale e orale si confi-
gura come un campione di una produttività che ha generato innumeri
altre realizzazioni a noi ignote. Non dunque la coincidenza tra due
delle tante realizzazioni, ma l’affinità delle rispettive tecniche di pro-
duzione poetica, nonché dei temi trattati, deve costituire il momento
31
centrale della comparazione»; «[…] il confronto» – quindi – «non
va centrato sui dati letterali, bensì sulle tecniche di produzione poeti-
32
ca».
Qui si ferma la messa a punto metodologica di M. Durante e qui
mi fermo per il momento anch’io.
Per prima cosa, dirò che anche se l’unico lavoro apparso in
seguito che si rifaccia esplicitamente a questa metodologia, pur se con
33
qualche distinguo non secondario, è un mio articolo del 1984, io
ritengo che, così come per l’interezza dei risultati raccolti nei due suoi
34
volumi, che pure, come ho già avuto modo di affermare, non hanno
avuto molte citazioni da parte di coloro che si sono occupati di lingua
poetica i.e., anche dal punto di vita metodologico, l’insegnamento di

30
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 24.
31
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 12.
32
Ivi, p. 13.
33
Cfr. G. COSTA, 1984.
34
Vd. supra, p. 28.

63
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Durante fosse entrato in circolo già da tempo, ben prima della sintesi
definitiva del 1976.
Comunque sia, in quell’occasione Durante conferì dignità d’insie-
me alle osservazioni sparse nelle indagini che aveva condotto nei quasi
vent’anni precedenti, dando così una copertura teoretico-euristica al
molto materiale raccolto: il metodo semantico-stilistico elaborato dal-
lo studioso rappresenta un indubbio passo in avanti rispetto a quello
usato – implicitamente, più che apertamente – nelle ricerche a lui
precedenti.
Colti con precisione i limiti del passato, egli sposta la ricerca dalla
frammentarietà dei confronti lessicali a una dimensione globalmente
letteraria, in cui la stilistica assume, nell’indagine, il valore di punto di
riferimento discriminante. Di questo metodo, credo si possano util-
mente conservare le affermazioni su esposte e soprattutto i risultati
che esso ha consentito a M. Durante di ottenere: a conferma della sua
mirata efficacia, è verosimile infatti che sul fronte della stilistica i.e.
35
molto di più non si riuscirà a scoprire.
Purtroppo, è vero anche che il metodo di Durante risente dell’es-
ser stato elaborato in forma definitiva solo a posteriori, quando la gran
36
parte delle sue ricerche erano già state pubblicate, e che la rielabo-
razione dei lavori confluiti nel volume del 1976 non cancella le
contraddizioni della prassi dello studioso nei confronti del suo stesso
metodo, ma mette in luce anzi aporie, che, forzando l’euristica, assu-
mono l’aspetto, seppure forse non consapevolmente, di giustificazioni
alla direzione teleologica e monotematica – «si può parlare di lingua
poetica comune solo tra Greci e Arii» – delle sue indagini.
Parlando, per esempio, delle solidarietà che possono intercorrere
tra tradizioni mitologiche diverse – solidarietà che come egli stesso
aveva poco prima riconosciuto, sono alla base dei rapporti poetico-
letterari, poiché «[…] in culture non dotate di scrittura, le storie
mitiche del passato vivono precipuamente la vita della poesia, della
37
quale fungono da contenuti» –, egli afferma con decisione che vale
la pena di occcuparsi solo delle affinità suffragate dal criterio etimolo-
38
gico, negando così a priori ogni validità alle indagini di mitologia

35
Così come molto di nuovo non è stato scoperto dal 1976 a oggi: cfr. supra, pp. 23 sgg.
36
Vd. supra, nota 15, p. 15 e pp. 39 sgg.
37
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 55.
38
Cfr. ivi, p. 61.

64
3 – IL METODO

comparata di M. Eliade e di G. Dumézil – ma anche alle ipotesi


indo-mediterraneee di V. Pisani e D. Silvestri – e contraddicendo
l’euristica elaborata nel capitolo sul metodo, dove appunto negava
che quel criterio potesse dare certezze ricostruttive di alcun tipo.
Finalizzato alla valorizzazione del greco come lingua i.e. orientale
39
e a quella dei suoi rapporti previlegiati con l’indo-iranico, è poi il
mancato riconoscimento, da parte di M. Durante, della valenza euri-
stica delle norme della linguistica geografica, in particolare della
norma delle aree laterali, cioè proprio di quella norma il cui utilizzo,
come ebbe poi a dimostrare E. Campanile, lo avrebbe costretto a
rivedere radicalmente le sue posizioni sull’inutilità del celtico negli
studi sulla lingua poetica i.e.
È inutile e forse ingiusto continuare: il metodo semantico-
stilistico prima praticato e poi elaborato da Marcello Durante, rimane
comunque, nonostante le precedenti osservazioni critiche, una tappa
fondamentale in questo genere di studi e taluni dei principi fissati da
questo valente studioso, in particolare quelli che ho cercato di indica-
re, si possono considerare come entrati a far parte definitivamente del
patrimonio metodologico degli studi sulla lingua poetica i.e.

3.3. IL METODO TESTUALE

Un’altra domanda importante rimasta finora senza risposte, è


formulabile nel modo seguente: qual’ è il fine ricostruttivo degli studi
sulla lingua poetica i.e.?
Negli anni trascorsi tra il 1967, anno della pubblicazione del
volume di R. Schmitt, e il 1976, l’anno del volume di M. Durante che
contiene il capitolo sul metodo appena esaminato, la sola proposta
metodologica nuova che apparve, a parte i lavori di G. Nagy e C.
Watkins che vedremo più avanti, è il criterio della ‘realtà concreta’
40
proposto da Walter Wüst: «si tratterebbe […] di attribuire alla
cultura indoeuropea solo quegli elementi poetici che siano coerenti
con le sue caratteristiche di vita. Così, per esempio, l’espressione
avestica aurunā xrafstrā “rossicci animali da preda” (Y 34,9; = “lu-
pi”), (corroborata dal confronto col ved. aruņo vŗkah “lupo rossiccio”
[RV 1, 105, 18] e col gr. poliÒj lÚkoj “lupo grigiastro” [K 334],

39
Cfr. ivi, pp. 16 sgg., soprattutto la nota 6 a p. 17.
40
Vd. W. WÜST, 1969a, 1969b, 1969c, 1971.

65
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

forme in cui la metafora si è ormai esplicitata nel consueto lessema)


sarebbe riferibile al mondo indoeuropeo, dato che questo conosceva i
41
lupi».
Si tratta di un criterio, che, a parte il suo proponente, non ha
conosciuto applicazione da parte di alcuno e i motivi della sua inaffi-
dabilità sono evidenti: esso subordina, in primo luogo, gli studi sulla
lingua poetica i.e. ai risultati, incerti e spesso discutibili, della paleon-
42
tologia linguistica, e poi, con una circolarità di pensiero da cui non
sono esenti per l’appunto le ricerche di M. Gimbutas e della sua
scuola, affida la verifica ultima delle proprie ricostruzioni a quelle
ricerche di archeologia preistorica che a loro volta traggono fonda-
43
mento dalle ipotesi dei linguisti sull’indeuropeo.
Non accoglierò pertanto questo criterio tra il novero di quelli
utilizzabili nel tipo di ricostruzione di cui qui ci si occupa, confortato
in ciò anche dal parere che su di esso espresse E. Campanile nel primo
44
capitolo del suo libro del 1977.
In quel capitolo lo studioso pisano, dopo aver criticato gran parte
dei metodi utilizzati da coloro che l’avevano preceduto, indicò due
criteri che a suo parere potevano essere applicati utilmente alle inda-
gini sulla poesia i.e.: «un primo criterio potrebbe essere costituito
dall’isolatezza dell’elemento in questione nell’ambito di almeno una
delle culture in cui è attestato […] questo criterio, comunque, ha un
raggio operazionale piuttosto limitato. In sostanza, ci garantisce suffi-
cientemente contro l’eventualità di un’innovazione monoglottica, ma
45
non va oltre».
«Un altro criterio è stato già intuitivamente applicato da vari
studiosi: attribuire particolare arcaicità alle concordanze germano-
indiane. Ciò non rappresenta altro che una corretta applicazione della
norma delle aree laterali e va conseguentemente esteso a tutte le aree

41
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 23.
42
Su questo argomento, è ancora utile il già menzionato Paleontologia Linguistica. Atti del…
cit. (nota 44, p. 40); dati e teorie più recenti sono in V. V. SHEVOROSHKIN (ed.), Reconstructing
Languages an Cultures, Bochum 1989, II ed. 1992; ID. (ed.), Proto-Languages and Proto-Cultures,
Bochum 1990; E. C. POLOMÈ, Linguistic Paleontology: Migration Theory, Prehistory and Archeo-
logy correlated with Linguistic Data, in ID. (ed.), Research Guide on Language Change, Berlin –
New York 1990, pp.137-159; ID., (ed.), Reconstructing Languages and Cultures, Berlin –
New York 1992.
43
Su ciò, vd. anche E. CAMPANILE, 1981, pp. 12-14 e infra, pp. 70 sgg.
44
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, pp. 23-4.
45
Ivi, pp. 24-25.

66
3 – IL METODO

che siano definibili come laterali. Si osserverà, inoltre, che questo


criterio, è, in qualche misura, complementare a quello esaminato in
precedenza: il criterio dell’isolatezza, infatti, ci garantisce contro
l’eventualità di innovazioni monoglottiche, questo contro l’eventua-
46
lità di un prestito […]».
47
A ciò egli aggiungeva in nota: «è interessante rilevare come la
norma delle aree laterali fosse comunemente applicata anche assai
prima che fosse formulata dal Bartoli; ritengo che la sua più fruttuosa
applicazione nel campo dell’indoeuropeistica sia tuttora J. Vendryes,
Les correspondances de vocabulaire entre l’indo-iranien et l’italo-
celtique, in MSLP 20,1917, pp. 265 sgg.»; messa da parte la venatura
polemica di scuola, il riferimento a questo famoso articolo di Vendryes
serve a Campanile per classificare, implicitamente, il celtico come area
laterale e conservativa all’interno del dominio i.e., una petizione di
principio necessaria al prosieguo delle sue ricerche. Alcuni anni dopo
poteva infatti scrivere: «in qualunque operazione di tipo ricostruttivo le
certezze maggiori di arcaicità ci vengono dalle concordanze fra aree
laterali; quando si parla di lingue indoeuropee, dunque, particolarmen-
te probative sono le concordanze tra celtico e indoiranico. Ma, mentre
la cultura di quest’ultimo è oggetto di una feconda indagine ormai
secolare, quella celtica antica è in buona parte ancora da scoprirsi. […]
Il discorso non cambia quando entra in campo la testimonianza del
greco […] qui infatti, anche se non si può parlare di aree laterali, si tratta
pur sempre di aree geograficamente, linguisticamente e culturalmente
non prossime, sì che le eventuali concordanze hanno uno specifico
48
significato in sede ricostruttiva della cultura indoeuropea». Va detto,
infine, che lo studioso pisano attribuiva importanza relativa – come
indizio cioè di rapporti risalenti a fasi più recenti – alle concordanze
poetico-culturali tra greco e indo-iranico e tra celtico e germanico.
Il primo criterio formulato da Campanile è complementare al
secondo, perché anch’esso deriva dalle norme della linguistica areale,
in particolare dalla norma dell’area isolata: «l’area più isolata conserva
49
di solito la fase anteriore» .

46
Ivi, p. 25.
47
Ivi, p. 25, nota 33.
48
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, pp. 24-25.
49
Cit. da G. BERTONI – M. G. BARTOLI, Breviario di neolinguistica, Modena 1928, p. 68; il
corsivo è degli Autori.

67
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Detto ciò, e ricordato come invece M. Durante fosse contrario –


per motivi che ritengo contingenti – all’utilizzo delle norme areali
nelle indagini sulla poetica i.e., bisogna osservare, innanzitutto, che le
ricerche hanno dato ragione a E. Campanile, mostrando quale serba-
toio inesplorato di materiale poetico utile alla comparazione fosse il
celtico, e poi che esse hanno confermato come l’uso, anche nell’indeu-
ropeistica, di queste norme, possa essere foriero di risultati, purché ci
si ricordi che sono appunto norme di tipo statistico, che possono
servire a orientare la ricerca e non leggi vincolanti su cui costruire
50
complesse ipotesi storiche.
Riterrò quindi i due criteri euristici messi in pratica da E. Campa-
nile tra quelli su cui fare affidamento nelle nostre ricerche.
51
Ricorderò qui che anche V. N. Toporov, in un lavoro del 1969,
aveva tentato di applicare un criterio euristico vicino a una delle
norme della geolinguistica, in particolare a quella che stabilisce che
52
«la fase anteriore si conserva di solito nell’area seriore»; lo studioso
aveva infatti postulato che per poter utilizzare ai fini di una ricostru-
zione poetica i.e. un determinato materiale storico, fosse sufficiente
stabilirne l’antichità e la motivazione all’interno della sua tradizione
monoglottica. A questo proposito va detto innanzitutto, come si è
visto sopra, che non è la motivazione ma l’isolamento che garantisce
contro le innovazioni monoglottiche e poi, come l’articolo di Toporov
sembra nei fatti confermare, che l’attendibilità dei risultati ottenibili
con l’applicazione di tale norma, da sempre una delle più discusse, è
scarsa, perché nulla ci può assicurare che a un’antichità cronologica
relativa corrisponda una reale conservazione di elementi arcaici – così
come, viceversa, non è detto che testi recenti non possano contenere
elementi antichissimi, come ha più volte mostrato E. Campanile e
come sanno bene i filologi: recentiores, non deteriores! –, e questo è
tanto più vero per tradizioni come quella slava, le cui attestazioni
53
scritte sono tutte tarde e intrise di cristianesimo.
Eviterò pertanto di utilizzare quest’ultimo criterio.

50
È quello che ho cercato cursoriamente di mostrare in un mio lavoro recente, a cui mi
permetto di rinviare e che ho già citato alla nota 100, p. 51; in generale, su questo argomento è
utile A. NOCENTINI, A Dynamic Reinterpretation of the Areal Linguistic Norms, in stampa.
51
Cfr. V. N. TOPOROV, 1969, passim; vd. anche infra, p. 79.
52
Cit. da G. BERTONI – M. G. BARTOLI, op. cit., p. 73, il corsivo è degli Autori.
53
Vd. anche infra, p. 242.

68
3 – IL METODO

Nello stesso capitolo del suo volume del 1977, Campanile conti-
nuava poi: «il problema metodologico resta, comunque, subordinato
a quello del fine della ricostruzione. Se […] si deve rinunciare all’illu-
sione di evocare in vita il fantasma della poesia indoeuropea – giacché
poesia significa testo, non catalogo di stilemi o di eterogenee formu-
lette –, lo studioso, allora, dovrà utilizzare questi materiali in vista di
un diverso obiettivo: chiarire la cultura e l’ideologia in cui nacque e si
54
svolse quella poesia».
Muovendo quindi dalle concordanti testimonianze celtiche e in-
diane antiche sulle attività e l’importanza del poeta come «l’uomo che
domina l’arte della parola in tutte le sue possibili finalizzazioni: è,
cioè, sacerdote, giurista, medico, storico, incantatore, apologeta della
struttura aristocratica indoeuropea, unico conservatore delle sue più
55
vetuste tradizioni», Campanile concludeva ponendosi come obietti-
vo «un’analisi dei fatti culturali, sociologici e ideologici che, lungo un
amplissimo arco di tempo, costituirono il quadro e, insieme, le pre-
messe di questa ‘poesia’. Più che mai, dunque, in questo genere di
ricerca, ci terremo liberi dall’ipoteca di fondare il nostro ragionamen-
to solo su confronti confortati da identità etimologica; e ciò […] per
l’obiettivo stesso della nostra indagine che, mirando alla ricostruzione
dei tratti oggi recuperabili di una cultura preistorica, assume di neces-
56
sità un carattere essenzialmente fattuale e contenutistico».
La risposta che Enrico Campanile diede, fin dagli inizi delle sue
ricerche, al quesito che ho posto all’inizio del paragrafo, appare
dunque chiara e al contempo severamente delimitante: a essa, pur con
qualche aggiustamento non trascurabile, egli rimase fedele fino all’ul-
timo; si tratta, tuttavia, di una risposta secondo me parziale e fuorvian-
te, che non colpisce il bersaglio, o meglio, che sposta la mira su di un
bersaglio diverso. Vediamo perché.
Lo studioso negava, innanzi tutto, che la cultura materiale degli
57
Indeuropei fosse un possibile obiettivo di indagine scientifica e
questo per due motivi: a) non si può trasformare in oggetto reale ciò
che è solo il significato presumibile di un lessema ricostruito, ovvero:

54
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, pp. 26-7.
55
Ivi, p. 29.
56
Ivi, pp. 33-34.
57
Cfr. E. CAMPANILE, 1981, p. 15; ma in ID., 1990c, p.33, rettificava in parte le proprie
opinioni scrivendo: «ciò non significa, comunque, che noi potremo accantonare serenamente
l’intera questione della cultura materiale come non pertinente alle nostre indagini».

69
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

l’esistenza di un lessema non implica necessariamente l’esistenza del


designato; b) è errato dedurre a priori da una facies archeologica una
realtà linguistica e viceversa; in particolare: identificare la cultura
(archeologica) kurganica con la cultura (linguistica) i.e. perché i re-
perti della prima presuppongono una civiltà in cui l’eroismo guerriero
e la mitologia celeste giocavano un ruolo fondamentale così come
nella seconda dimostrano i testi più antichi, significa sovrapporre
58
elementi di tipo affatto incommensurabile.
Questa posizione di Campanile, a me pare tanto più condivisibile
oggi che agli archeologi si sono aggiunti i genetisti nel tentare identifi-
cazioni frettolose; a questo riguardo, vorrei esprimere qui la mia
opinione: se studiosi di discipline radicalmente diverse pervengono,
per vie proprie e ciascuno coi suoi strumenti, a risultati simili sul
medesimo tema d’indagine, credo si abbia verosimilmente a che fare
con un reale progresso conoscitivo; diversamente, quando una disci-
plina cerca fuori dal suo ambito il sostegno alle proprie malferme
ipotesi ricostruttive, credo si confondano le varie facce che uno stesso
tema d’indagine può presentare ai diversi aspetti della ricerca, con
una concezione non scientifica e spregiudicata dell’interdisciplina-
rietà e della reciproca possibilità di utilizzazione delle acquisizioni
disciplinari; diversa è invece, secondo me, la questione dell’uso in una
data disciplina di nozioni e concetti tratti da altri ambiti scientifici:
per esempio, come è possibile negare a priori validità alle indagini di G.
Dumézil, sostenendo che la nozione di ‘indeuropeo’ è esclusivamente
59
linguistica – come faceva tra gli altri anche G. Devoto – se, come si
dirà tra breve, il concetto di lingua implica quello di comunità lingui-
stica? li concetto di ‘indeuropeo’ va quindi inteso in senso globamen-
te antropico e reso disponibile a ogni indagine scientifica, fatte salve
quelle limitazioni operative che la natura stessa del materiale disponi-
bile pone, come nel caso, appena sopra ricordato, della cultura mate-
riale. L’interfruibilità delle scoperte e delle nozioni scientifiche è in
definitiva un problema che riguarda i pregiudizi culturali e la sensibi-

58
Cfr. E. CAMPANILE, 1981, pp. 11-15; cfr. anche ID., 1990c, pp. 32-36, dove però il
giudizio sui risultati delle ricerche della Gimbutas, contrapposti a qudli, che a suo parere erano
inaccettabili, di Renfrew, è più sfumato; vd. anche B. G. TRIGGER, A History of Archaeological
Thought, Cambridge 1989, e L. MESKELL, Goddess, Gimbutas and ‘New Age’ Archaeology,
«Antiquity» 69 n. 262 (1995), pp. 74-86.
59
Per es. nel suo La religione degli Indeuropei, in P. TACCHI VENTURI, Storia delle Religioni,
Torino 1971, VI ed. a cura di G. Castellani, vol. II, pp. 345-360.

70
3 – IL METODO

lità storica del singolo studioso e non lo studio della storia in sé. Certo,
60
come scrive ironicamente W. Belardi, c’è anche chi ritiene «[…] che
ciò che può produrre una cultura da maestro elementare sia sufficien-
te purché questa sia integrata da una teoria formalizzata di grammati-
ca generale o da un vivo interesse per il parlato quotidiano attuale
[…]» …!
E. Campanile sosteneva invece, poi, che:

se per cultura intellettuale intendiamo, come è giusto, quell’insieme di cre-


denze, di tradizioni, di miti e di valori che caratterizzano una data comunità,
allora è evidente che ci troviamo innanzi a fatti che si esplicano, in misura
essenziale, a livello verbale, sì che la competenza del linguista a recuperarli è
presupposta dall’oggetto stesso della ricerca. In un’indagine di questo genere
non ha alcuna rilevanza il concetto che lo studioso può avere dell’indoeuro-
peo; […] il linguista, infatti, parte dal presupposto che il concetto di lingua
implica quello di comunità linguistica, senza che in ciò abbiano rilevanza le
dimensioni, la cultura materiale, l’habitat, le divisioni tribali. Il solo fatto che
egli ipotizzi l’esistenza di una siffatta comunità, è sufficiente a fargli porre il
problema dell’eventuale esistenza di elementi comunitari di ordine intellet-
tuale, oltre a quelli linguistici, ossia a chiedersi se quegli utenti di una
medesima lingua non fossero anche (integralmente o parzialmente, qui poco
61
importa) utenti di una stessa cultura.

Esclusi i dati archeologici, secondo Campanile restano quindi a


disposizione del linguista i dati linguistici: «ma essi non debbono
essere intesi in senso restrittivo, come se il lessema fosse l’unità
massima con cui può operare il linguista. Qui, al contrario, dovranno
entrare in giuoco i testi, quali portatori di una specifica testimonianza,
rivelatrice di tradizioni, di atteggiamenti mentali, di usi formali; in una
parola: di cultura. Ciò, naturalmente, presuppone il riconoscimento

60
Cfr. W. BELARDI, Presentazione in P. MARTINO, Arbiter, Roma 1986, p. 6.
61
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, pp. 17-18; sul problema lingua/cultura, di E. Campanile
vanno visti anche gli interventi in F. CREVATIN (ed.), Ricostruzione linguistica e ricostruzione
culturale (Trieste: 25-26/10/1982), Trieste 1983, e i suoi contributi apparsi in R. LAZZERONI,
Linguistica storica, Roma 1987, pp. 115-146 (nello stesso volume, pp. 55-85, è utile anche D.
SILVESTRI, Storia delle lingue e storia delle culture); in Ricostruzione culturale e ricostruzione
linguistica. Atti del Congresso del Circolo Glottologico Palermitano (Palermo: 20-22/10/1988),
Palermo 1991, pp. 197-204 (nello stesso volume, pp. 151-165, va visto anche R. LAZZERONI, La
ricostruzione culturale fra comparazione lessicale e ricostruzione etimologica); in A. GIACALONE
RAMAT – P. RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee, Bologna 1993, pp. 19-43; in F. BADER
(ed.), Langues indo-européennes, Paris 1994, pp. 26-41.

71
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

di un fatto essenziale: la cultura indoeuropea non si è dissolta al


momento della diaspora, ma è sopravvissuta, in varia misura, nelle
tradizioni dei singoli popoli, tradizioni dapprima esclusivamente ora-
62
li, fissate poi anche in testi scritti».
Dal punto di vista metodologico, «l’uso dei testi richiede, d’altra
parte, particolari cautele; è necessario, cioè, raggiungere una ragione-
vole certezza che le analogie fra i testi non dipendono da prestiti
recenziori, ma debbono essere proiettate in età predocumentaria; la
quale, per altro, non necessariamente coinciderà con la fase indoeuro-
pea, ma potrà eventualmente essere identificata con un momento più
limitatamente comunitario (cioè, con un momento posteriore alla
dissoluzione dell’unità indoeuropea, ma caratterizzato ancora da in-
tensi rapporti linguistici e culturali fra genti indoeuropee che succes-
63
sivamente, in età storica, appaiono in piena autonomia)».
64
Come ho già avuto modo di dire, le ricerche di E. Campanile
passarono, nel corso degli anni e in una visione comparativa sempre
più ampia, dalla ricostruzione della cultura poetica a quella della
cultura i.e. in generale; egli, perciò, progressivamente aggiustò e mo-
dificò i propri strumenti euristici, arrivando a identificare il metodo
per ricostruire la parte – la cultura poetica – con quello per ricostruire
il tutto – la cultura i.e. tout court: «la metodologia dei confronti
testuali, nella sostanza, non è diversa da quella con cui si procede alla
ricostruzione di un qualsiasi elemento linguistico indoeuropeo, salvo
il fatto che i dati addotti in comparazione non sono elementi linguisti-
ci di singole lingue, ma elementi culturali di singole culture. E che
questo genere di ricerca sia di competenza propria dell’indoeuropei-
sta, nasce, dunque, non dal fatto banale e contingente che solo l’in-
doeuropeista è in grado di dominare i difficili ed eterogenei materiali
da utilizzarsi ma, ben più fondatamente, proprio da questa identità
65
metodologica».
A ciò, egli aggiungeva una precisazione fondamentale: «[…] prima
di tentare la ricostruzione di qualche tratto del linguaggio dellla
poesia indoeuropea, è necessario sgombrare il campo da una possibile
fonte di equivoci: l’oggetto della nostra ricostruzione non è un lin-

62
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, p. 18.
63
Ivi, p. 20; cfr. anche ID., 1990c, p. 15 e p. 19.
64
Cfr. supra, pp. 36 sgg.
65
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, p. 19; vd. anche le pp. 139-141.

72
3 – IL METODO

guaggio nella sua concretezza storica, bensì una serie di usi linguistici
e di atti stilistici che caratterizzavano il parlare poetico nei confronti di
quello quotidiano. […] Il punto essenziale, cioè, a nostro parere, è
avere costantemente presente che, anche quando può sembrarci di
avere evidenziato un elemento concreto del linguaggio poetico indoe-
uropeo, ciò che abbiamo evidenziato, in realtà, è solo un uso linguisti-
66
co».
«Con ciò, naturalmente, non si vuole negare la possibile esistenza
di una fraseologia poetica propria di singole culture – e, dunque,
eventualmente, anche di quella indoeuropea – […], ma si vuole,
piuttosto, evidenziare che il concetto stesso di fraseologia poetica si
riferisce a specifici e molto limitati elementi, mentre ciò che noi
ricerchiamo come caratterizzanti la poesia indoeuropea, sono proce-
67
dimenti di carattere assai più generale».
E così, infine, egli concludeva nel 1990 quello che, purtroppo,
doveva essere il suo ultimo libro:

questo punto di vista, infine, suggerisce anche un diverso e nuovo approccio


ai testi poetici delle più antiche culture indoeuropee. Non sarà l’approccio
tradizionale del glottologo che vede nei testi solo la materia prima per
ricostruire formule e metri della poesia indoeuropea […], ma non potrà
essere nemmeno l’approccio del filologo, che trova un limite insuperabile nel
carattere monoglottico della sua indagine. Dovrà esere, piuttosto, l’approc-
cio di chi nei testi di più culture – e da ciò l’esigenza insopprimibile del
metodo comparativo – sa riconoscere (e, dunque, ricostruire), come parte di
un patrimonio antico e tradizionale, anche atteggiamenti di lingua e stile che
hanno giustificazione storica nel quadro di una tradizione che muove dalla
cultura indoeuropea. Si tratterà, probabilmente, di una lettura di testi coerente
con l’insegnamento duméziliano, volta non alla ricostruzione di un
‘oggetto’ indoeuropeo nella sua concreta materialità quanto, piuttosto, diret-
ta al riconoscimento della sua persistenza nelle più diverse creazioni delle
singole culture indoeuropee e, attraverso questa via, alla costruzione non di
un catalogo (che sarebbe povero e riduttivo), ma di un sistema di funzioni
68
tale da coprire un’intera area culturale.

Sperando di aver rettamente condensato quelle che erano le idee


di Enrico Campanile, tiro ora le fila del discorso.

66
Ivi, p. 154.
67
Ivi, p. 155.
68
Ivi, p. 169.

73
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Dunque, la cultura materiale degli Indeuropei non è ricostruibile


per il tramite dei dati linguistici, e agli studiosi della preistoria spetta il
compito di individuare autonomamente il versante archeologico della
69
cultura intellettuale i.e.; cultura, quest’ultima, che si presuppone
propria ai parlanti le lingue i.e. perché non si dà lingua senza comu-
nità linguistica; così come le lingue i.e. storiche conservano tra loro
saldi legami linguistici, si presuppone – e oramai si tratta di una
ipotesi verificata – che esse conservino tra loro anche legami culturali
forti; la cultura poetica muove dalla generale cultura intellettuale i.e. e
il metodo di ricostruzione è per entrambe lo stesso: l’analisi compara-
ta dei testi più antichi delle letterature storiche; questo anche perché,
secondo Campanile, noi possiamo e dobbiamo ricostruire solo quegli
usi linguistico-stilistici che in generale differenziavano il linguaggio
poetico da quello quotidiano e non una limitata concreta materialità.
Al di là dei meriti scientifici di Campanile, a cui, lo ricordo,
dobbiamo molte delle nostre conoscenze attuali sulla cultura poetica
i.e., penso non si possa concordare con lui nel limitare metodologica-
mente l’indagine al quadro sociologico e alle premesse culturali della
poesia i.e., né tantomeno ai suoi soli caratteri generali; credo invece
che oltre a questo occorra continuare a indagare le particolarità del
linguaggio e della poetica i.e, verificando di volta in volta i risultati
delle indagini inserendoli in una globale visione d’insieme della so-
cietà e della civiltà i.e.
Per quel che riguarda poi il metodo testuale, va detto che esso,
nella operatività fattiva di Campanile, apparve causa di qualche oscu-
rità: valgano qui come esempi il mancato riconoscimento alla lingua
poetica i.e. di una specificità propria a ogni linguaggio poetico orale
70 71
come il ritmo metrico, e la sovrapposizione tra cultura e ideologia,
cioè tra l’insieme dei modi di vita che connotava la civiltà i.e. e il
gruppo di valori, tramandato dalla poesia, che la teneva eticamente
coesa. Probabilmente ciò è dovuto non allo strumento in sé, da cui
ritengo anzi che dopo i lavori dello studioso pisano non si possa più
72
prescindere, ma al fatto che Campanile ritenne, per i motivi suddet-

69
Si prenda per il momento per buona la definizione di cultura intellettuale data sopra (vd.
p. 71) da Campanile: esporrò le mie idee più avanti.
70
Cfr. supra, pp. 38 sgg.
71
Cfr. supra, p. 37.
72
Per non sottovalutare l’apporto di Campanile, occorre tener presente che l’uso della
comparazione testuale nelle ricerche di indeuropeistica è sempre stato visto con sospetto e

74
3 – IL METODO

ti, di poter usare il medesimo impianto teoretico-euristico sia per


ricostruire la cultura i.e., sia per valutare la portata di fatti, sia pur
generali, ascrivibili alla lingua poetica.
73
Questa identificazione, seppure, come ho già detto, ha contri-
buito in misura determinante a ricondurre gli studi sulla lingua poeti-
ca i.e. nel naturale alveo generale delle indagini sulla cultura i.e. e a
dare a quest’ultime quella veste scientifica che non avevano in passato,
alla lunga, e non solo nel personale percorso scientifico di E. Campa-
nile, si è rivelata parziale e foriera di possibili fraintendimenti.
Il fine ricostruttivo degli studi sulla lingua poetica i.e. sarà pertan-
to quello di identificare l’interezza culturale e formale, sostanziale e
ereditaria di un linguaggio che certo doveva essere assai diverso da
quello di uso quotidiano, ma che era anche profondamente connesso
– fino a un livello insospettabile, come vedremo – all’essenza stessa
dell’identità etnico-psichica delle popolazioni che lo utilizzavano.
Comunque sia, se oggi sappiamo far parlare di poesia comparata i
più antichi testi delle lingue i.e., lo dobbiamo, con memore gratitudi-
ne, in gran parte alla lezione di Enrico Campanile.

3.4. IL METODO (POST-)DUMÉZILANO

Se l’ultimo libro di E. Campanile si chiudeva, quasi come un


punto d’arrivo, con un omaggio all’insegnamento metodologico
74
di G. Dumézil, le ricerche di Françoise Bader sulla lingua

tacciato di scarsa scientificità, basti pensare alle polemiche mai spente sugli studi di G. Dumézil
(e riattizzate ora da un lungo saggio di B. Schlerath: vd. nota 74); che per quelle sulla lingua
poetica i.e., in particolare, non si tratti di un’acquisizione metodologica facile o scontata,
apparirà subito chiaro solo se si ricordi che ancora nel 1974, uno studioso, che pure non manca
di una certa profondità teoretica, come W. Meid (cfr. ID., 1977; vd. anche PH. GIGNOUX, 1979),
proponeva l’utilizzo di un metodo basato esclusivamente sull’analisi e la ricostruzione di lessemi
e che lo stesso M. Durante (cfr. supra, p. 64) era in definitiva contrario ad un uso esteso della
comparazione testuale.
73
Vd. supra, p. 73.
74
Nel II capitolo dello stesso volume, tuttavia, lo studioso aveva scritto: «i materali in
nostro possesso non debbono indurci ad attribuire alla società indoeuropea una struttura
obiettivamente tripartita, si tratti di caste chiuse o di classi aperte; essi suggeriscono solo che
quella società analizzava tutto l’esistente – e, dunque, anche se stessa – alla luce di tre funzioni:
quella rdigiosa, quella guerriera e quella diretta alla produzione» (cit. da E. CAMPANILE, 1990c,
p. 41); per le opinioni di E. Campanile su Dumézil si può vedere anche ID., Georges Dumézil
indoeuropeista, in «Opus» 2 (1983), pp. 355 sgg. e su di esse F. Bader, 1992a. B. Schlerath ha ora
pubblicato in «Kratylos» 40 (1995) pp. 1-48, la prima parte – la seconda è in stampa nel volume
41 della stessa rivista – di un lungo saggio critico intitolato Georges Dumézil und die Rekonstruk-

75
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

75
poetica i.e. vi si ricollegano invece direttamente fin dagli inizi.
A parte qualche singolo rilievo critico che ho già espresso, mi
sembra infatti che la caratteristica principale che contraddistingue il
metodo di F. Bader sia, da una parte, avere come punto obbligato di
riferimento interpretativo la teoria della trifunzionalità e dall’altra un
progressivo accostare tra loro i testi, a partire da quella tesi, che
risente visibilmente del modo di procedere che era di Dumézil, qual-
che volta anche nei suoi aspetti meno convincenti, che sono poi quelli
di più stretta derivazione dalla ricerca etno-antropologica ottocente-
sca, quelli, per intendersi, spesso felici ma non sempre rigorosamente
76
fondati di un K. O. Müller.
Insomma, se è certo da condividere la sua idea «que le temps est
venu pour la reconstruction de la pensée i.e.», resta qualche dubbio
sul fatto che «le seul bon outil de travail qui permette d’y accéder est
77
l’union de la mythologie et de la linguistique».
A questa impostazione di fondo, la studiosa aggiunge di suo
78
un’inventiva etimologica di prim’ordine e una grande e variata
competenza linguistica e filologica, nel solco della migliore tradizione
comparativa francese; tradizione che ella, per esempio nelle sue inda-

tion der indogermanischen Kultur, confermando le sue opinioni negative sulla teoria di Dumézil
e sull’impossibilità di ricostruire le strutture sociali i.e. sulla base del lessico conservato; dirò
qualcosa su ciò in 1,5. Alcune utili riflessioni sull’opera di Dumézil sono anche in A. L.
PROSDOCIMI, Filoni indeuropei in Italia. Riflessioni e appunti, in A. LANDI (ed.), L’Italia e il
Mediterraneo antico. Atti del Convegno S.I.G. (4-5-6/11/1993), Pisa 1995 [recte: 1996], vol. II,
pp. 42-52. Così come altri, sono convinto anch’io che la migliore illustrazione del suo metodo
Georges Dumézil l’abbia data, più che nelle sue opere scientifiche, in quel geniale divertissement
che è … Le moyne noir en gris dedans Varennes, Paris 1984, trad. it. Milano 1987. Delle proprie
ricerche lo studioso francese diceva autoironicamente: «anche supponendo che io abbia total-
mente torto i miei indoeuropei saranno come le geometrie di Riemann e di Lobačevskij:
costruzioni fuori dal reale. Non sarà poi tanto male. Basterà cambiarmi di posto negli scaffali
delle biblioteche: passerò nella sezione ‘romanzi’» (cit. da G. DUMÉZIL, Entretiens avec Didier
Eribon, Paris 1987, trad. it. Parma 1992, p. 162).
75
La studiosa francese, probabilmente, deve aver fatto suo quel motto di Goethe che dice:
«das Höchste wäre zu begreifen, daß alles Faktische schon Theorie ist», perché espliciti cenni
metodologici nei suoi scritti sulla poesia i.e. non se ne trovano; quel che segue è dunque frutto
solo di mie osservazioni, per alcune delle quali vd. anche supra, pp. 34 sgg.
76
A questo proposito, si può leggere ancora con profitto la prefazione – Dumézil e la
‘frangia di ultra-storia’ – che F. JESI scrisse per Ventura e sventura del guerriero, Torino 1974, ed.
it. di Heur et malheur du guerrier, Paris 1969.
77
Cit. da F. BADER, recens. di B. Lincoln, Priests, Warriors and Cattle. A study in the
Ecology of Religions, Berkcley 1981, in «BSL» 79,2 (1984), p. 113.
78
Ho tuttavia l’impressione che F. Bader qualche volta attribuisca eccessivo peso esplica-
tivo alle singole etimologie da lei proposte e che alcune di queste risentano un po’ dell’applica-
zione meccanica di clichés del tipo ‘concreto>astratto’.

76
3 – IL METODO

gini rivelatrici sulla letteratura i.e di enigmi, ha saputo aggiornare


accortamente traendo profitto sia dalle rapsodiche riflessioni di Saus-
79
sure edite da Starobinski, che dalle tecniche di analisi fonetico-
fonologica di Jakobson.
Dal punto di vista metodologico, però, la novità importante ap-
portata dalla Bader alla teoria della trifunzionalità, è costituita dal
80
tentativo, in parte riuscito e in parte ancora da fare, di applicare ad
essa una stratigrafia cronologica, di chiara impronta linguistica e
condotta per lo più proprio con argomenti storico-linguistici; questo
tentativo le ha consentito di cominciare a chiarire lo sfondo paleolitico
in cui gradualmente nacque e si sviluppò l’ideologia trifunzionale e i
passaggi socio-culturali e mitopoietici attraverso i quali essa finì per
cristallizzarsi, dando in tal modo alla teoria di G. Dumézil un’articola-
zione diacronica che la rende più verosimile e più maneggevole.
Utilizzerò queste scoperte della Bader nella seconda parte del
presente volume; qui, invece, posso chiarire la mia posizione nei
81
confronti delle teorie di Dumézil.
Al di là del vasto lavoro di scavo condotto dallo studioso francese
sui testi e i materiali mitologici i.e., opera per cui non si può avere che
gratitudine, ritengo l’ultima, meno potente, versione della teoria della
trifunzionalità – mi riferisco qui alla versione che lo stesso G. Dumézil
ne ha dato a partire dal 1968:

Je ne puis ici résumer le travail des trente ans qui ont suivi. Je dirai
seulement qu’un progrès décisif fut accompli le jour où je reconnus, vers 1950,
que l’‘idéologie tripartie’ ne s’accompagne pas forcément, dans la vie d’une
société, de la division tripartie réelle de cette société, selon le modèl indien;
qu’elle peut au contraire, là où on la constate, n’etre (ne plus etre, peut-être
n’avoir jamais été) qu’un idéal et, en meme temps, un moyen d’analyser,
d’interpréter les forces qui assurent le cours du monde et la vie des hommes. Le
prestige des varņa indiens se trouvant ainsi exorcisé, bien des faux problèmes
ont disparu, par exemple celui que j’énonçais tout à l’heure: les flamines

79
Su questo argomento, della studiosa francese si veda ora il volumetto Anagrammes et
allitérations, Paris – Louvain 1993. Occorre qui però dare atto a V. V. Ivanov di essere stato
verosimilmente il primo, in due studi pioneristici apparsi nel 1967 (vd. infra, p. 80) e citati
pochissimo, a utilizzare, nell’ambito delle indagini sulla lingua poetica, le idee dello studioso
ginevrino sull’esistenza di anagrammi di epoca i.e.
80
Cfr. soprattutto F. BADER, 1978b, 1980, 1984.
81
Vd. anche G. COSTA, recens. a G. Dumézil, Matrimoni Indoeuropei, Milano 1984, in
«AGI» 69 (1984), pp. 169-172 e ID., Su alcune espressioni… (cit. alla nota 100, p. 51), pp. 77-8.

77
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

majeurs de Rome ne sont pas homologues à la classe des brahmanes


(brāhmaņa) et c’est à autre chose, au brahmán dans le sens étroit et premier du
mot (un des trois prêtres principaux de toute célébration sacrificielle) que doit
etre comparé, dans ses rapports avec son dieu quel qu’il soit, le type de prêtre
nommé flamen. Ainsi s’est dessinée une conception plus saine dans laquelle la
division sociale proprement dite n’est qu’une application entre bien d’autres,
et souvent absente quand d’autres sont présentes, de ce que j’ai proposé
d’appeler, d’une terme peut-etre mal choisi mais qui est entré dans l’usage, la
structure des trois ‘fonctions’: par-delà les pretres, les guerriers et les produc-
teurs, et plus essentielles qu’eux, s’articulent les ‘fonctions’ hiérarchisées de
souveraineté magique et juridique, de force physique et principalement guer-
82
rière, d’abondance tranquille et féconde –,

uno strumento interpretativo della civiltà i.e., nel senso più largo che
gli antropologi danno a questo termine, potenzialmente efficace e
produttivo, a patto naturalmente di non farne, come qualcuno vorreb-
be che fosse stato anche nella proto-storia, la nostra unica visione del
mondo (i.e.).
Per utilizzare tale strumento, nel campo di studi di cui qui ci si
occupa, oltre che con la stratigrafia della Bader di cui ho detto sopra,
integrerei però la teoria della trifunzionalità anche con un’intuizione
di E. Campanile: «ciò che possiamo intuire […] è qualche elemento di
natura ideologica, cioè il fatto che gli avvenimenti che nella storia dei
singoli popoli sono tra i più antichi, vengono sistematicamente calati
nel tradizionale stampo del tripartitismo, anche a costo di deformarli
totalmente. Questo è un tratto tipico della cultura indoeuropea e in
questo, dunque, le singole culture continuano una ‘metodologia’ mol-
to arcaica, il che, a nostro parere, implica non l’ipotesi di una creati-
vità popolare in senso romantico, bensì la presenza di un professioni-
sta culturalmente capace di riportare l’eterogeneità degli avvenimenti
in uno schema unitario e coerente. Il che significa, in altre parole, che
questi racconti sono opera di ‘poeti’ che procedevano nel solco del
83
loro archetipo indoeuropeo».
Messa da parte anche qui una certa confusione tra cultura e
ideologia, l’idea di Campanile è ricca di implicazioni importanti:
cercherò di sfruttarla adeguatamente nella seconda parte della presen-
te ricerca.

82
Cit. da G. DUMÉZIL, Mythe et Epopée, Paris 1968, vol. I, p. 15; i corsivi sono dell’A.
83
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, p. 73.

78
3 – IL METODO

Tornando a Dumézil, il mio pensiero finale è che la sua teoria, pur


con qualche aggiustamento inevitabile e con le necessarie integrazioni
sopra esposte, sia forse utile anche per una piena comprensione della
lingua poetica i.e.
Il mondo romano, ad esempio, si è finora rivelato un campo assai
84
povero per gli studi sulla poesia i.e.; diversamente da M. Durante,
non ritengo che ciò sia dovuto alla mentalità ‘pratica’ di una civiltà
prevalentamente agricola, credo invece, innanzi tutto, che l’assenza di
vestigia tangibili della indogermanische Dichtersprache nella letteratu-
ra latina storica abbia a che fare col processo di trasformazione della
mitologia ereditata in epopea, individuato soprattutto da Dumézil, e
poi che questa ‘assenza’ rientri in un fenomeno storico-culturale più
generale – che tenterò di descrivere nella seconda parte della presente
ricerca – che riguarda tutti i popoli i.e. occidentali; è verosimile anche
che finora tali resti li si siano cercati nel modo – il confronto etimolo-
gico – e nel luogo – la fraseologia – sbagliati: come ha mostrato
85
felicemente proprio F. Bader, è possibile invece tentare di reinter-
pretare alcuni fatti dell’epopea romana come facenti parte di temi
letterari ereditati. Si tratta di un accostamento innovativo da cui è
lecito attendersi risultati concreti: in questa visione andrebbero ade-
guatamente sfruttate anche le importanti ricerche di Emilio Peruzzi
86
sull’esistenza – oramai sicura! – di una consistente presenza cultu-
rale e religiosa micenea nel Lazio arcaico.

3.5. IL METODO DELLA ‘NEW COMPARATIVE PHYLOLOGY’

Prima di esaminare l’impianto metodologico delle ricerche di


Calvert Watkins e di Gregory Nagy, occorre ricordare, e non solo per
recuperare la linearità cronologica dell’esposizione, che tra la fine
degli settanta e la metà degli anni ottanta, alcune indicazioni di
metodo vennero anche dai lavori di due studiosi russi: V. N. Toporov
87
e B. L. Ogibenin.

84
Cfr. supra, p. 32.
85
Per esempio in F. BADER, 1980, passim.
86
A partire perlomeno da E. PERUZZI, Mycenaeans in Early Latium, Rome 1980.
87
Cfr. T. EUZARENKOVA – V. N. TOPOROV, 1979 (= V. N. TOPOROV, Die Ursprünge der
indoeuropäischen Poetik, «Poetica» 13 (1981), pp. 189-251); per V. N. TOPOROV, 1969, vd. supra,
p. 68; B. L. OGIBENIN, 1979, 1982, 1984, 1985; in tali lavori si troverà citata la gran parte della

79
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Comune ai due studiosi, è una concezione della letteratura vedica


intesa come conservazione di una tradizione organica di pensiero
speculativo e del patrimonio testuale i.e. più arcaico, di punto di
riferimento centrale nella comparazione poetica i.e.; altra impostazio-
ne comune, seppur con diverse sfumature, è quella di una visione
prevalentemente semantico-strutturalista dei fatti di lingua e di una
concezione dei fatti di cultura in gran parte semiologico-etnografica.
Se ben intendo il suo pensiero, la principale proposta metodologi-
88
ca di Ogibenin consiste nell’idea che «la sfera degli studi semantici
deve essere […] ampliata attraverso l’analisi degli schemi concettuali
dei realia descritti nei testi di una lingua […] allo scopo di costruire
una teoria etnografica generale di un reale sistema linguistico. Secon-
do tale teoria le unità linguistiche dovrebbero avere segni semantici
descrittivi, legati alle concezioni dei realia dei testi proprie di quel
sistema linguistico. L’analisi dei testi poetici sembra rispondere so-
prattutto ad una trattazione preliminare di questo tipo di studi poiché
i legami poetici che sorgono nei testi di una lingua, presentano un
89
grandissimo grado di specificità […]»; tutto questo perché, se è vero
che «l’analisi di una sfera semantica nella ricerca di un sistema è la
90
condizione necessaria per arrivare alla ricostruzione», occorre tutta-
via aver presente che «lo studioso non deve partire dalle sue cono-
scenze a livello intuitivo, o da quello scientificamente provato, dai
tratti universali dei concetti studiati o del significato delle forme
linguistiche, ma dal contesto inteso non solo come contesto linguisti-
co, ma come contesto formato da concreti fatti etnografici, di una
91
determinata comunità culturale».
Anche se la traduzione italiana non contribuisce certo alla chia-
92
rezza, dirò francamente che la sua impostazione, orientatasi poi col

produzione scientifica di questi studiosi che non riguarda direttamente l’oggetto della presente
ricerca. Ricordo che di lingua poetica i.e. si era occupato anche V. V. Ivanov: cfr. ID., 1967a,
1967b; vd. supra, nota 79, p. 77.
88
Da alcuni anni questo studioso, che ora insegna all’École Pratique des Hautes Études, ha
francesizzato il proprio cognome in Oguibénine.
89
Cito da B. L. OGIBENIN, 1982, pp. 228-229.
90
Ivi, p. 202.
91
Ivi, p.203; questa proposta di Ogibenin ricorda da vicino il criterio della ‘realtà concreta’
di W. Wüst, vd. supra, pp. 65 sgg.
92
L’originale russo è del 1973; poiché Ogibenin continua a citare questo lavoro (per es. in
ID., 1979, p. 130, nota 12, a sua volta ripreso in ID., 1985, p. 15, nota 10) devo presumere che egli
non abbia mutato le sue opinioni.

80
3 – IL METODO

93
tempo verso una personale semiotica della cultura, mi pare generica
nella teoria e discutibile nella prassi, a partire dalle sue analisi dei testi
94
primari e, per quel che ci riguarda qui, non foriera di risultati
sicuramente utilizzabili.
Nel suo corposo lavoro del 1981, Toporov in realtà più che
delineare le origini della poetica i.e, si occupa delle radici i.e. della
95
poesia vedi ca, rifacendosi, come già altri, alle teorie poetiche di
Jakobson, alla semantica del Vocabulaire di Benveniste e alle idee sugli
anagrammi i.e. di Saussure.
Anche se l’idea della comparazione testuale come concreta possi-
bilità di ricostruire tratti di civiltà i.e non è nuova e resta comunque, al
contrario di quel che sembra pensare Toporov, un’euristica dai risul-
tati non assoluti, è interessante l’enfasi posta sull’importanza dei testi
e sulla necessità di indagare le regole che sovrintendevano alla loro
formazione. Toporov identifica alcune di queste regole negli inni
vedici, postulandone poi la validità anche per la poesia i.e.: come ho
già detto, non è affatto sicuro che tali proiezioni all’indietro di fatti
96
monoglottici possano dare risultati probanti, ma certo nel caso del
vedico si tratta di possibilità degne di essere verificate, magari con
l’ausilio di riscontri allotrii, anche di tipo negativo.
97
In ultimo la pensava così anche E. Campanile:

in linea di principio dobbiamo senz’altro rifiutare ogni ricostruzione mono-


glottica alla Hoffmann, in quanto essa, per definizione, non ci permette mai
di distinguere l’innovazione dalla conservazione ed esclude a priori – e,
dunque, gratuitamente – che elementi arcaici possano essersi conservati in
lingue diverse da quelle su cui si fonda tale ricostruzione. Nel concreto della
comparazione – e parliamo di una comparazione quanto più ampia e quanto
meno preconcetta possibile – risulta spesso, tuttavia, che l’indoiranico e, più

93
Cfr. le Notes d’introduction a ID., 1985, pp. 11-26; «ein unglücklicher Zwitter aus
textimmanent-kulturhistorischer Analyse und diachron-linguistischer Komparatistik» (cit. da
CH. WERBA, 1985, p. 320).
94
Cfr. B. SCHLERATH, in «Die Sprache» 21 (1975), 52a; CH. WERBA, 1985; R. SCHMITT,
1986.
95
Più appropriatamente, il titolo originale era infatti La poesia indiana antica e le sue origini
indoeuropee; il saggio si rivela in definitiva utile più per le analisi in esso contenute – quelle della
‘lingua degli dei’ e di alcuni testi vedici –, piuttosto che per le presunte novità teoriche avanzate:
vd. anche supra, p. 25.
96
Cfr. supra, pp. 68.
97
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, pp. 140-141.

81
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

in particolare, il ve dico ci offrono qualcosa di più e di meglio delle altre


lingue e delle altre culture. Non solo dal punto di vista quantitativo, come
maggior copia di elementi arcaici conservati, ma anche dal punto di vista
qualitativo, nel senso che questi elementi arcaici ci si presentano in forma
chiara ed esplicita, mentre altrove sono, sì, sopravvissuti, ma obnubilati e
frammentari. E allora, nel concreto della ricostruzione, senza cedere ad
egalitarismi assurdi nella scienza e senza tentare scorciatoie veloci ma rischio-
se, ci accorgiamo come nel quadro della comparazione esistono, parimenti
essenziali, lingue a forte valore propositivo – lingue, cioè, che ci permettono
di formulare ipotesi – e lingue a forte funzione confermativa, cioè lingue che
ci permettono di affermare che un certo elemento è attestato in più e
differenti aree del mondo indoeuropeo, sì che possiamo legittimamente
concludere che esso – sia fatto grammaticale o di cultura – apparteneva
all’originario patrimonio indoeuropeo.

Se già dal contributo di Toporov si poteva percepire la centralità


raggiunta da questo tipo di indagini, è tuttavia soltanto a partire dalla
fine degli anni ’80 che le ricerche sulla lingua poetica i.e. hanno
acquisito consapevolezza definitiva sull’importanza del ruolo da esse
assunto tra gli studi di linguistica storica, in specie tra quelli di
indeuropeistica e ciò soprattutto grazie a un appassionato intervento
di Calvert Watkins, letto dapprima in una seduta della ‘Linguistic
Society of America’ e pubblicato poi in «Language»:

the Comparative Method in historicallinguistics may in favorable circum-


stances be extended to comparative poetics and comparative historical eth-
98 99
nosemantics – the ‘new comparative philology’. […] Linguistic compari-

98
Con «comparative historical ethnosemantics», lo studioso intende qui far riferimento
soprattutto al metodo e ai risultati de Le vocabulaire… cit. (nota 16, p. 15) di Emile Benveniste:
cfr. C. WATKINS, 1989, p. 785; per la definizione che C. Watkins dà di ‘comparative poetics’, vd.
supra, nota 88, p. 48.
99
Forse non è inutile ricordare che nei paesi anglosassoni Comparative Philology, o
semplicemente Philology, è stata per lungo tempo – il tempo in cui era quasi esclusivamente
linguistica indeuropea – e qua e là lo è ancora, la denominazione accademica della linguistica
storico-comparativa (cfr. per es. W. BELARDI, Linguistica e filologia, in ID., Linguistica generale
filologia e critica dell’espressione, Roma 1990, p. 8), disciplina che poi ha assunto il nome di
Historical Linguistics, di contro a Linguistics per la linguistica generale e teorica; preposto al
nome di una disciplina scientifica, l’aggettivo new ha poi, negli stessi paesi, una valenza
particolare, esistono infatti da decenni, tra le altre, anche una New Archaeology e una New
Comparative Mythology: esso indica, in sostanza, il desiderio di rifondare su basi più aggiornate e
moderne una scienza di antica data. Com’è noto, invece, la fortuna del termine glottologia in
Italia si deve a Graziadio Ascoli che intitolò la raccolta delle sue lezioni Corsi di Glottologia,

82
3 – IL METODO

son may extend to higher units than sounds and forms; several are proposed
which permit the reconstruction of formulaic phrases, whole complex sen-
tences, and even proto-texts or text fragments. The new parameters of
poetics and ethnosemantics permit a precision in historicallinguistics hith-
100
erto impossible.

Intervento che lo studioso americano concludeva così:

there is a new dimension to the systematic study of similarities which is at the


heart of the comparative method. We ne ed more precision, and extension of
the method in depth to other recognized, established, and real linguistic
families. […] real progress in linguistics over the next quarter- or half-century
is going to come from precise and profound examination of the languages:
‘real people, real problems’. Historicallinguistics is alive and well, and must
be integrated into a holistic theory of human language. […] the Indo-
European language family, by virtue of the range and depth of its attestation
in space and time – nearly four thousand years over Europe and much of
Asia – is and always has been uniquely suited to advance historical linguis-
tics, the study of the history of human language. And to remove the historical
dimension from the study of language would have consequences as serious as
101
removing the historical dimension from the study of man.

Tolta la polemica iniziale con Noam Chomsky e qualche accento


propagandistico, entrambi ad uso interno all’accademia statunitense,
l’articolo di Watkins è importante perché in esso, per la prima volta e
da parte di uno dei loro studiosi più autorevoli, le ricerche di poetica
i.e. rivendicano, con chiarezza e con forza, una posizione centrale,
quasi di guida, all’interno del paradigma linguistico-comparativo: il
lungo percorso di queste ricerche – dalla marginalità di partenza,
attraverso l’oblio del discredito e mediante un recupero via via cre-

Torino 1870 e, nei suoi Studj Critici, II, Torino 1877, p. 45, disse espressamente di preferire
glottologia a linguistica»: cit. da C. TAGLIAVINI, Introduzione alla Glottologia, Bologna 1969, VII
ed., vol. I, p. 1 nota 1, i corsivi sono dell’A.; è altresì noto come glottologia sia un calco del ted.
Sprachwissenschaft. Sugli anacronismi e le incongruenze della pletora di denominazioni
burocratico-concorsuali in cui è divisa la linguistica in Italia, è illuminante e al contempo
sconfortante C. A. MASTRELLI, Gli insegnamenti linguistici nell’ordinamento universitario italiano,
in Atti S.I.G. … cit. (nota 5, p. 56), pp. 11-21.
100
Cit. da C. WATKINS, 1989, p. 783.
101
Ivi, p. 798. Chiedo venia al lettore per la fatica che gli imporrò da qui alla fine del
capitolo: ho ritenuto più efficaci le lunghe citazioni che seguiranno, piuttosto che una sintesi più
scorrevole ma forse fuorviante.

83
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

scente di attendibilità – si è dunque compiuto e forse fin oltre la meta


sperata.
Questo articolo vuole essere però anche una messa a punto meto-
dologica di riferimento: prima di discuterlo, occorre dunque esami-
narlo in dettaglio, integrandolo magari, nei punti dove l’occasione
contingente ha costretto Watkins a una qualche sbrigatività, con altri
lavori dello stesso Autore.
Dunque, dal punto di vista metodologico,

what, then, are these new paramethers? Let us take our starting point the
simplest possible model of comparative historical linguistics, of genetic
filiation as determined by the application of the Comparative Method. Two
languages, A and B, exhibit systematic similarities, which cannot be attrib-
uted to borrowing, or to universals, or to change. The systematic similarities
can be accounted for only by the postulation of an original common language
O, the ancestor of A and B, as in Figure 1.

Figure 1.
The description of O is its grammar and lexicon. The task of the histori-
callinguist is both to describe O (by reconstruction) and, more important, to
show how it is possible to get from O to A and from O to B.
Now in favorable circumstances the use of languages A and B for artistic
purposes, which I will designate poetic languages A’ and B’, may also exhibit
systematic similarities which are not attributable to borrowing, universality, or
change. The only explanation of the Comparative Method is again a common
‘original’ – the use of O itself for artistic purposes, poetic language O’, thus
Figure 2.

Figure 2.

84
3 – IL METODO

The description of O’ is its poetic grammar and repertory. Here the task
of the historical linguist is not only to describe O’, and to show how it is
possible to get from O’ to A’ and O’ to B’ – which are diachronic concerns –
but also to show the relation of A to A’, B to B’, and O to O' – which are
synchronic concerns. We begin to see some new parameters. Add to this
another: that it may often happen that a feature of ordinary language A is
inherited from poetic language O’, rather than from ordinary language O. The
study of O’ is here indispensable to the ‘ordinary’; linguistics need poetics.
Poetic language and poetic grammar may be approached purely syn-
chronically (typologically), with the goal of discovering universals, but they
may also be studied with an eye to history. Indo-European comparative
historical poetics, just like Indo-European comparative historical linguistics,
in practice combines the two, and good comparatists like a Saussure, a
Wackernagel, or a Delbruck moved freely and effortlessly between dia-
chrony and synchrony.
Poetic language is of course only one of many registers available to the
members of a given society. A language necessarily implies a society, a speech
community, and a culture. And a proto-language equally necessarily implies
a ‘proto-culture’, that is, the culture of the users of the proto-language. In
terms of our model one can also reinterpret O’, A’, B’ as representing any
linguistically relevant aspect of the proto-culture.
Language is linked to culture in a complex fashion; it is at once the
expression of a culture and a part of it. And it is in the first instance the
lexicon of language or proto-language which affords an effective way –
though not the only one – to approach or access the culture of its speak-
102
ers.

Come assunto di partenza, pertanto,

we may consider poetic language in general, and IE poetic language in


particular, as a sort of grammar. On the level of sound alone, this grammar
has a phonological component, the domain of metrics and phonetic figures,
and a morphological component, the domain of grammatical figures. On the
higher level, where meaning per se is pertinent, it has a syntactic component,
the domain of what we may call ‘formulaics’, and a semantic component, the
domain of what we may call ‘thematics’. It has as well a pragmatic component,
the domain of poet-performer/audience interaction, which dominates the
whole ‘grammar’.
It is in thematics that we find the doctrine, the ideology, the culture of the
Indo-Europeans. Formulas are the vehicles, the carriers of themes; theme is

102
Cit. da C. WATKINS, 1989, pp. 784-5; i corsivi sono dell’A.

85
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

the deep structure of formula. These formulas are collectively the verbal
expressions of the traditional culture of the Indo-European, which is the
totality of themes. These formulas are the expression of an underlying
semiotic system. They are not remembered and repeated merely because they
delight the ear; rather they are signals, in poetic elaboration and as verbal art,
of the relations of things: of the traditional conceptualizations, the percep-
tion of man and the universe, the values and expectations of the society.
The function of the Indo-European poet was to be the custodian and
transmitter of this tradition. The totality of themes as expressed in formulas
was in a preliterate society entrusted precisely to the professionals of the
103
word, the poets.

Come ricostruire, quindi, tale tradizione poetica? Per Watkins,

the purlieu of linguistic comparison and the comparative method extends


beyond single speech sounds, single morphemes, and single words to higher
syntactic units, ranging from noun and verb phrases to sentences and entire
texts. At time we find remarkable phrasal echoes, phrasal similarities, be-
tween two or more independent linguistic traditions.
For the most part, such phrasal equations may be attributed just to ‘funny
coincidence’, or to the simple principle that like circumstances may cali forth
like utterance. Yet sometimes the comparison of like syntactic structures also
involves nontriviallexical equations at the same structure points, or non-
trivial syntactic and semantic matches under shared or common thematic
context suitable for projection back in time. At this point it is legitimate to
speculate whether the similarity may ultimately be genetic in character. That
is to say that this is the way certain peoples having certain traditions – ‘un
certain peuple ayant certaines origines’ in Saussure’s memorable phrase […]
– under certain recurrent circumstances produced particular utterances
which were more or less the same across significant stretches of time and
104
space.

D’altronde, aggiunge Watkins,

on the basis of similarities – samenesses – we reconstruct language. But it


happens that certain texts in some of these cognate languages, or text
fragments, exhibit the sort of similarity that suggests that they are geneticaliy

103
Cit. da C. WATKINS, 1987c, pp. 270-1, ripreso poi parzialmente in ID., 1989, pp. 792-3;
i corsivi sono dell’A.
104
Cit. da C. WATKINS, 1989, p. 791.

86
3 – IL METODO

related. These texts are in some sense the same. Exploration of what may
legitimately be termed the ‘genetic intertextuality’ of these variants casts
much light on the meaning of the ancient texts themselves – the similarities
are by and large more numerous in older than in more recent texts – and, on
the basis of the samenesses, we may in previleged cases reconstruct to some
extent proto-texts or text-fragments. At the point we are of necessity led to
assume – i.e. reconstruct – a ‘user’ of the text in the language; in other words
and via another route, we thus reconstruct features of a real proto-culture
105
[…].

Come si è visto, in questo tipo di ricerche C. Watkins attribuisce


grande importanza, e non solo dal punto di vista più propriamente
euristico, in particolar modo all’indagine sulle formule: «one of the
characteristcs of poetic language in many traditional societies is the
extensive use of formulas, whole phrases which are repeated with little
or no variation, rather than recreated. Formulas play an important
role in certain styles of improvised oral composition, where they have
been much studied; but their usage is far more widespread, and
106
reaches back into prehistory».
Secondo lo studioso, infatti, le «formulas tend to make reference
to culturally significant features or phenomena – ‘something that
matters’. After nearly a decade of studying the preservation, diffusion,
trasformation, and revitalization of a single formula, that of the
107
dragon-slaying myth and congeners, in the majority of the Indo-
European poetical traditions, I am more firmly than ever convinced of
the extraordinary longevity of surface phraseology and verbal beha-
vior when it serves as the expression of an enduring cultural theme. A
proper linguistic theory must be able to account for the creativity of
human language; but it must also account for the possible long-term
preservation of surface formulaic strings in the same or different
108
linguistic traditions over millennia».
E questo perché le «formulas which refer to or encode cultural
features like tabus (‘urinate upright’) or values (‘imperishable fame’)
offer immediate information about the proto-culture. But they also

105
Ivi, p. 794.
106
Ivi, p. 792.
107
Cfr. supra, pp. 51 sgg.
108
Ivi, p. 793.

87
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

may function
109
to encapsulate entire myths and other narratives
[…]».
Condensate così le tesi di C. Watkins, inizierò l’approfondimento
del metodo della ‘New Comparative Philology’ partendo proprio da
quest’ultimo punto.
Dunque, secondo Watkins, «the formula […] is the verbal and
grammatical device in oralliterature for encoding and transmitting a
given theme or interaction of theme, with the repetition or potential
repetition assuring the long-term preservation of the surface structu-
110
re, the wording»; riprendendo questa definizione del 1974, egli
aggiunse poi una prima volta: «that is to say that theme is the deep
111
structure of the formula», e infine, nel 1992, rivedendo ulterior-
mente le sue affermazioni, precisò che: «the point can stand even if
today I would be inclined to think that ‘deep’ theme is not so far from
‘surface’ formula, or what Nagy in his influenti al 1979 book The best
112
of the Acheans calls simply ‘diction’».
Sia Watkins che Nagy partono esplicitamente dagli studi di M.
Parry, che definiva la formula: «a group of words which is regularly
employed, under the same metrical conditions, to express a given
113
essential idea»; anche G. Nagy infatti, riprendendo e precisando
Parry, definisce, similmente all’ultimo Watkins, la formula come «a

109
Ivi, p. 796.
110
Cit. da C. WATKINS, Response to P. KIPARSKY, Oral Poetry: Some Linguistic and
Typological Considerations, in A. STOLZ – R. S. SHANNON (eds.), op. cit. (nota 72, p. 45), p. 110.
111
Cit. da C. WATKINS, 1981b, p. 779.
112
Cit. da C. WATKINS, 1992, p. 392; l’idea di G. Nagy a cui egli si riferisce, è espressa così
a p. 1 del volume suddetto (i corsivi sono dell’A.): «my approach to archaic Greek poetry is
based on two major working assumptions. One, the mechanics and artistry of a given poem are
traditional not only on the level of form – let us call it diction – but also on the level of content –
let us call it theme. Two, the diction is a most accurate expression of the theme».
113
Cit. da M. PARRY, Studies in the Epic Technique of Oral Verse-Making. 1. Homer and
Homeric Style, in «HSCPh» 14 (1930), p. 80; gli studi di Milman Parry, scomparso prematura-
mente in un incidente di caccia nei Balcani, sono stati poi raccolti dal figlio Adam, a sua volta
morto prematuramente in un incidente automobilistico in Gran Bretagna, in A. PARRY (ed.), The
Making of Homeric Verse. The Collected Papers of Milman Parry, Oxford 1971; alle ricerche
pioneristiche di Parry, hanno fatto seguito altri lavori fondamentali sulla dizione epica, tra i quali
vanno ricordati almeno: A. B. LORD, The singer of Tales, Cambridge (Mass.) 1960; A. HOEKSTRA,
Homeric Modifications of Formulaic Prototypes. studies in the Development of Greek Epic
Diction, Amsterdam 1965; ID., The Sub-Epic stage of Formulaic Tradition, Amsterdam 1969; J. B.
HAINSWORTH, The Flexibility of the Homeric Formula, Oxford 1968; la bibl. posteriore è in III,
4,5, pp. 375 sgg. Anche in questo ambito, l’apporto della scuola italiana è cospicuo e importan-
te: basti pensare, per fare qualche nome, agli studi di B. Gentili, M. Cantilena, C. O. Pavese, L.
E. Rossi ecc.

88
3 – IL METODO

fixed phrase conditioned by the traditional themes of oral poetry»,


aggiungendo poi però che il «meter is diachronically generated by
114
formula rather than vice versa».
Messo momentaneamente da parte il problema formula ~ metro
su cui tornerò più avanti, accetterò in questa ricerca la definizione di
formula data da Nagy e da Watkins.
Rispetto alla definizione di M. Parry, è qui cruciale il passaggio da
un concetto generico come quello di «a given essential idea», alla
nozione specifica di ‘tema’, di cui N agy ha dato sia una definizione
più ristretta di quella di Watkins vista sopra – «I use the word ‘theme’
(and ‘thematic’) as a shorthand reference to a basic unit in the traditio-
nal subject patterns of myth. My model for a sensible deployment of
115
this word is Lord, 1960, pp. 68-98.», sia una sostanzialmente simile
a quella – «on the diachronic hierarchy of theme (in the sense of ‘a
traditional unit of composition on the level of meaning’) over formula
(in the sense of ‘a traditional unit of composition on the level of
wording’) over meter (in the sense of ‘a traditional unit of composi-
116
tion on the level of rhythm’)…».
Queste due definizioni di ‘tema’ non sono in contraddizione tra
117
loro, in specie se si accetta, come fa Nagy e come farò anch’io nel
presente lavoro, la definizione di ‘mito’ proposta da Walter Burkert:
«Mythos ist eine traditionelle Erzählung, die als Bezeichnung von
Wirklichkeit verwendet wird. Mythos ist angewandte Erzählung.
Mythos beschreibt bedeutsame, überindividuelle, kollektiv wichtige
118
Wirklichkeit».

114
Cit. da G. NAGY, Formula and Meter, in A. STOLZ – R. S. SHANNON (eds.), op. cit. (nota
72, p. 45), p. 251, ripreso in G. NAGY, 1990, p. 29.
115
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 9, nota 10, il corsivo è dell’A.; ho citato per esteso il volume di
A. B. Lord alla nota 113.
116
Cit. da G. NAGY, Pindar’s... (cit. alla nota 80, p. 46), p. 4, nota 15.
117
Cfr. G. NAGY, 1990, p. 8.
118
Cit. da W. BURKERT, Mythisches Denken, in H. POSER (hrsg.), Philosophie und Mythos.
Ein Kolloquium, Berlin – New York 1979, p. 29; Burkert (vd. infra, pp. 198 sgg.) parla di
motivemi invece che di temi, ma la nozione è la stessa. Insieme a G. NAGY, 1990, p. 10, adotto
qui anche la definizione di ‘rito’ proposta da Burkert: «il ‘rituale’, visto dall’esterno, è un
programma di azioni dimostrative – prefissato a seconda del tipo di esecuzione e spesso a
seconda del luogo e del periodo – ed è ‘sacro’, in quanto ogni omissione o disturbo suscita
grande ansietà ed è causa di sanzioni. Comunicazione e impronta nel contempo, il rituale crea ed
assicura la solidarietà del gruppo chiuso»: cito da W. BURKERT, Griechische Religion... cit. (nota
62, p. 26), vol. I, pp. 12-3; per una definizione di ‘culto’ operativamente utile, anche se forse

89
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Tra le due definizioni di ‘tema’ proposte da Nagy, tuttavia, riten-


go che quella dall’accezione più larga – «a traditional unit of compo-
sition on the level of meaning» –, che è poi la stessa di Watkins priva
delle ‘appendici generativiste’, sia più sfruttabile e meno vincolante
per le nostre indagini, perché non sempre e non solo il mito è l’oggetto
119
della significazione codificata dal linguaggio poetico i.e.
Ma, prosegue Nagy, «the theme is the key to all the other levels of
fixity in oral poetry – including both the formulaic and the metrical
120
levels», anche se «fixity of form in oral poetry should not be
121
confused with uniformity», e, ancora, «flexibility should not be
confused with irregularity. […] The flexibility is also regular. In other
122
words, the variations on the regularities are also regular».
Per affrontare convenientemente l’indagine sui meccanismi con
cui fissità e flessibilità operano nella poesia orale, anche Gregory
Nagy, similmente a ciò che diceva in quanto riportato sopra C.
Watkins, propone di sfruttare appieno alcuni dei concetti fonda-
mentali della linguistica moderna: «one of these conceptes of lingui-
stics is the distinction between synchronic and diachronic. By syn-
chronic I mean the workings of a system as it exists at a given time
and pIace; by diachronich, the transformations of this system through
123
time».

riduttiva, seguo invece direttamente G. NAGY, 1990, p. 8: «by ‘cult’ I mean a set of practices
combining elements of ritual as well as myth».
119
Tornerò sui rapporti tra mito e linguaggio poetico nella seconda parte: vd. infra, pp. 197
sgg.
120
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 25.
121
Ivi, p. 28.
122
Ivi, p. 32; Nagy basa queste affermazioni sulla flessibilità della tradizione formulare,
principalmente sui risultati del lavoro di Hainsworth citato sopra.
123
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit. (nota 80, p. 46), p. 6; nello stesso volume, nota 18 di p.
21, egli afferma: «I am using the terms diachronic and synchronic […] not as synonyms for
historical and current respectively. It is a mistake to equate diachronic with historical, as is often
done. Diachrony refers to the potential for evolution in a structure. History is not restricted to
phenomena that are structurally predictable»; i corsivi sono tutti dell’A.; sull’applicazione di
‘sincronia e diacronia’ nello studio della ‘oral poetry’, vd. anche G. NAGY, 1990, pp. 19-20. Sulla
storia di queste due nozioni, sono importanti le riflessioni di R. AMBROSINI, Momenti e problemi
di storia della linguistica. De saussure – Jakobson – Chomshy, Pisa 1985, passim e i saggi di W.
BELARDI, Contrasti teoretici nella linguistica del Novecento, e, Linguistica e poetica di Roman
Jakobson, in ID., op. cit. (nota 99, p. 82), rispettivamente pp. 93 sgg. e 375 sgg.; vd. anche V.
ORIOLES (ed.), Modelli esplicativi della diacronia linguistica. Atti del Convegno della Società
Italiana di Glottologia (Pavia: 15-17/9/1988), Pisa 1989 e M. NEGRI – D. POLI (ed.), La
semantica in prospettiva diacronica e sincronica. Atti S.I.G. (Macerata-Recanati: 22-24/10/12),
Pisa 1994.

90
3 – IL METODO

Programmaticamente, altrove Nagy aveva scritto:

in the intellectual history of linguistics as an academic discipline, the dia-


chronic approach preceded the synchronic. Por the actual methodology of
linguistics, it is now recognized that the synchronic analysis of language must
precede the diachronic. Por solving the manifold mysteries of language,
however, the synchronic approach is not sufficient and must be supple-
mented with the diachronic approach. I am proposing the same program for
solving the problem of formula and meter in the study of oral poetry. The
synchronic approach, although it is the essential first step, is not sufficient.
As Albert Lord says about traditional poetry, “It cannot be treated as a flat
surface. Ali the elements in traditional poetry have depth, and our task is to
plumb their sometimes hidden recess; for there will meaning be found. We
must be willing to use the new tools for investigation of multiforms of themes
and patterns, and we must be willing to learn from the experiences of other
oral poetries. Otherwise ‘oral’ is only an empty label and ‘traditional’ is
devoid of sense. Together they form merely a façade behind which scholar-
124
ship can continue to apply the poetics of written literature”.

Il secondo concetto della linguistica usato da Nagy, ma anche da


125
Watkins, «[…] is the distinction, from a synchronic perspective,
between the marked and unmarked members of any opposition within
the system of language. These ,terms are definited as follows by R.
Jakobson: “The general meaning of a marked category states the
presence of a certain (whether positive or negative) property A; the
general meaning of the corresponding unmarked category states
nothing about the presence of A, and is used chiefly, but not exclusi-
vely, to indicate the absence of A”. The unmarked category is the
general category, which can include the marked category, whereas the
126
reverse situation cannot hold».

124
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 35; la cit. di A. B. Lord, è tratta da ID., Homer as Oral Poetry,
«HSCPh» 72 (1968), p.4 6; cfr. anche P. ZUMTHOR, Introduction à la poésie orale, Paris 1983, p.
34.
125
Cfr. ad esempio, C. WATKINS, 1981b, pp. 774 sgg. e ID., 1987c, p. 290.
126
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit. (nota 80, p. 46), p. 6, i corsivi sono dell’A.; la citazione
di R. Jakobson è da ID., Russian and slavic Grammmar: studies 1931-1981 (ed. by M. Halle and
L. R. Waugh), The Hague 1984, p. 47 (il lavoro originale è del 1957); alla nota 16 della stessa p.
6, G. Nagy precisa che ha omesso «the final segment of Jakobson’s definition, “the general
meaning of the corresponding unmarked category states nothing about the presence of A, and is
used chiefly, but not exclusively, to indicate the absence of A”», sulla base di B. COMRIE, Aspect:
An Introduction to the study of Verbal Aspect and Related Problems, Cambridge 1976, p. 122;

91
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Secondo Nagy,

the distinction of marked-unmarked can be further applied in a variety of


context […], The descriptive term oral in oral poetry has come to have an
overly narrow meaning, restricted by our own cultural preconceptions
about writing and reading. We feel the need to define oral in terms of
written: if something is oral, we tend to assume a conflict with the notion
of written. Prom the general standpoint of social anthropology, however, it
is written that has to be defined in terms of oral. Written is not something
that is not oral; rather it is something in addition to being oral, an that
additional something varies from society to society. It is dangerous to
universalize the phenomenon of literacy. To restate the problem in terms
of the distinction beetwen marked and unmarked: if we juxtapose oral and
written, it is written that functions as the marked member of the opposi-
tion, while oral is unmarked. The definition of written is predicated on the
127
given of oral.

Introducendo nel suo apparato metodologico anche la teoria degli


128
speech-acts, Nagy aveva sostenuto poi che

we can find that marked speech occurs as a rule in ritual context, as we can
observe most clearly in the least complex or smallest-scale societies. It is in
such societies also that we can observe most clearly the symbiosis of ritual
and myth, and the ways in which the language of ritual and myth is marked,
whereas ‘everyday’ language is unmarked. The Greek language gives us an
exemple of these semantics: múō means “I have my eyes closed” or “I have
my mouth closed” in everydays situations, but “I see in special way” or “I say
in special way” in ritual. Hence mústēs is “one who is initiated” and mustē-
rion is “that into which one is initiated, mystery (Latin mysterium)”. Hence
also mûthos, “myth”: this word, it has been argued, is a derivate of múō and

anche su questa nozione, molto si impara dai lavori di Ambrosini e Belardi citati nella nota 123.
127
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 8, i corsivi sono dell’A.; cfr. anche ivi, p. 29: «I have
used the term oral tradition only in a broad sense – to the extent that the medium of writing is
not to be taken as a prerequisite for either composition or transmission»: per ora, come
definizione di lavoro, sarà anche la mia; con literacy, termine intraducibile, si intende in genere
«da dimestichezza con la scrittura»: cfr., ad es., J. GOODY, The Interface between the Written and
the Oral, Cambridge 1987, trad. it. Milano 1989, p. 3; un esempio di utilizzo della nozione
‘marcato – non-marcato’ nella ricostruzione i.e., è in A. L. PROSDOCIMI, Il lessico istituzionale
italico. Tra linguistica e storia, in La cultura italica. Atti S.I.G. (Pisa: 19-20/12/1977), Pisa 1978,
pp. 35 sgg.
128
Sull’applicazione di questa teoria negli studi di etnolinguistica, vd. G. R. CARDONA,
Introduzione all’etnolinguistica, Bologna 1980, II ed., pp. 214 sgg.

92
3 – IL METODO

had at an ealier stage meant ‘special’ as opposed to ‘everyday’ speech. […]


Prom an anthropological point of view, “myth” is indeed ‘special speech’ in
that it is a means by which society affirms its own reality. Such a thought
pattern is pertinent to the theories of J. L. Austin an J. R. Searle concerning
the performative aspects of language. A speech-act, according to Austin and
Searle, entails a situation in which the word is the action; the antithesis of
word and action is neutralized. […] the mûthos is not just any speech-act
reported by poetry: it is the speech-act of poetry itself. Viewed in this light,
myth implies ritual in the very performance of myth. And that performance is
129
the essence of poetics.

E questo perché ciò che «[…] makes words authoritative is the


130
value that the given society attaches to their performance», ma
poiché «composition and performance in oral poetry are aspects of
the same process, in that each performance is an act of recomposi-
131
tion», noi possiamo concludere che «only in performance can the
132
formula exist and have clear definition».
***
Fin qui, credo non ci siano difficoltà nel seguire e nel condividere
l’impostazione metodologica di Watkins e di Nagy: la validità dell’uti-
lizzo nelle indagini sulla ‘oral poetry’ di alcune delle nozioni più
affidabili elaborate della linguistica di questo secolo, trova infatti
conferma proprio nelle brillanti ricerche da loro stessi condotte.
Tuttavia, nel caso delle tradizioni che hanno fornito i materiali più
133
importanti e più cospicui alla indogermanische Dichtersprache, cioè
Omero e i Veda, noi abbiamo a che fare con la trasmissione orale di
testi fissi e ciò comporta qualche ulteriore aggiustamento di tiro alla
134
teoria.

129
Cit. da G. NAGY, 1990, pp. vm-XI; i corsivi sono dell’A.
130
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 9.
131
Ivi, p. 19; cfr. A. B. LORD, op. cit. (nota 113, p. 88), p. 13: «Singer, performer, composer,
and poet are one under different aspects but at the same time. Singing, performing, composing
are facets of the same act».
132
Cit. da A. B. LORD, op. cit., p. 33, vd. anche G. NAGY, 1990, p. 26.
133
Per le tradizioni celtica e avestica, cioè le altre due grandi apportatrici di materiale alla
comparazione poetica i.e., la situazione è in parte diversa, come si vedrà oltre.
134
Sull’aspetto prevalentemente sin cronico dell’accostamento di M. Parry a Omero, in-
fluenzato dalle sue ricerche sul campo, vd. G. NAGY, 1990, pp. 20 sgg.

93
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

A questo scopo pertanto, prima di tornare, esprimendo qualche


riserva, a Watkins e chiudere definitivamente il capitolo sulla ‘New
Comparative Philology’, continuerò – fino al punto in cui egli, comin-
ciando ad affrontare il mondo poetico greco, si allontanerà definitiva-
mente dall’orizzonte della presente ricerca – ad esporre i metodi e i
risultati di G. Nagy, il quale, sfruttando il metodo comparativo e
partendo proprio dal confronto col vedico delle sue prime ricerche,
ha elaborato una teoria sulla nascita e la formazione della dizione
greco antica, in particolare di quella epica e di quella lirico-arcaica;
poiché le ritengo utili anche per le indagini sulla lingua poetica i.e.,
estrapolerò qui dalla sua teoria le assunzioni generali sulla dizione
poetica orale, ricavate dalla comparazione linguistica e etno-
antropologica, cercando in tal modo di ottenere altri punti fermi con
135
cui esaminare il mondo poetico i.e.
Ritengo tale operazione coerente con quanto ho fatto finora,
perché il punto di partenza delle indagini di Nagy sulla grecità – e
quello a cui sempre in qualche modo egli si volge come riferimento –,
è la comparazione poetica i.e, e il suo punto di vista, lo sguardo con
cui osserva un singolo universo filologico, è comunque quello del
comparatista, come ben si è accorto lo stesso Calvert Watkins, che
infatti non si perita di utilizzare nelle sue comparazioni i risultati e i
metodi di un ‘filologo’.
Ritengo, insomma, che in generale avesse ragione Enrico Campa-
nile, quando diceva:

da un punto di vista programmatico quale potrà essere, in questo genere di


ricerca, il rapporto tra il comparatista e il filologo?
Vorrei dire che un tempo ero assai ottimista in materia; oggi sono
decisamente scettico. Il filologo, infatti, è filologo di una filologia – o di un
insieme di filologie da un punto di vista storico assai strettamente connesse
tra loro, come è il caso del filologo classico o del filologo romanzo –, laddove
in questo campo di studi il comparatista deve utilizzare proprio testi appar-
tenenti alle culture (apparentemente!) più lontane. I problemi, cioè, nascono
dall’analisi in simultanea di testi storicamente eterogenei, mentre il filologo,
per definizione, studia solo testi storicamente omogenei. Né il comparatista
può limitarsi a cogliere fior da fiore nelle singole filologie – ossia, fuor di

135
Anche nel caso di Nagy, come già per Watkins, metto insieme osservazioni sparse in
varie sue opere: naturalmente, è mia la responsabilità interpretativa connessa a questa opera di
ricucitura.

94
3 – IL METODO

metafora, a recepire i risultati di singole filologie –, giacché il più delle volte i


materiali più significativi sfuggono a chi opera una lettura necessariamente
monoculturale.
A questo punto resta una sola via: il comparatista, pur volgendo piena
attenzione ai risultati di singole filologie, dovrà farsi in proprio filologo di più
filologie ed arrivare ad un contatto personale coi testi. Compito pesante,
senza dubbio, ma anche compito che è stato puntualmente assolto da tutti i
grandi comparatisti, dal Wackernagel al Benveniste, dal Meillet al Wa-
136
tkins.

All’elenco di maiores che stilava Campanile, si può aggiungere


legittimamente Gregory Nagy – comparatista fattosi filologo e non
filologo prestato alla comparazione – e utilizzare qui le sue scoperte
con fiducia nel loro valore comparativo.
***
Tornando allora a quanto si diceva sopra, secondo Nagy, «[…] the
evolution of the fixed texts that we know as the Iliad and Odyssey may
be envisaged as a comulative process, entailing countless instances of
composition/performance in a tradition that is becoming streamlined
into an increasingly rigid form as a result of ever-increasing prolifera-
137
tion».
Per Nagy, rispetto alle tradizioni balcaniche indagate da Parry e
da Lord, dietro alla conservazione unitaria di testi come l’Iliade e i
Veda, sorti come processo cumulativo di migliaia di atti di composi-
zione/esecuzione, bisogna supporre una tradizione ‘rapsodica’ che li
abbia trasmessi immutati per secoli, fino alla loro definitiva fissazione
per iscritto:

[…] the Vedas have been transmitted unchanged, as a fixed ‘text’, for all
these year by way of mnemonic techniques that had been part of the oral
tradition. Given the authority of the Homeric and Hesiodic poems by the
time they surface in the historical period of Greece, it is not unreasonable to
suppose that their rhapsodic transmission entailed comparable mnemonic
efforts – which need not have required writing at allo In theory, though,
written texts of the Homeric and Hesiodic poems could have been generated

136
Cit. da E. CAMPANILE, in F. CREVATIN (ed.), op. cit. (nota 61, p. 71), p. 30; cfr. anche E.
CAMPANILE, 1987a, p. 28.
137
Cit. da G. NAGY, The Best cit. (nota 56, p. 43), p. 8, vd. anche le pp. 78-9.

95
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

at any time – in fact, many times – during the lenghty phase of rhapsodic
138
transmission.

Dal ‘cantore’, che incarnava indifferenziati tutti i diversi ruoli


139
socio-linguistici richiesti dalla ‘parola autorevole’, si passa, già nel
140 141
mondo ie., al ‘rapsodo’:

an inevitable consequence of such evolution from compositional trends to set


poems is that the original oral poet, who composes while he performs and
performs while he composes, evolves with the passage of time into a mere
performer. We must not be too quick to dismiss the importance of the
rhapsode, however: he must have been a master of mnemonic techniques
inherited directly from oral poets. […] The etymology of rhapsōidós ‘stitcher
of song’ reveals a traditional conceit of the oral poet as overtly expressed by
the poet himself in cognate Indo-European poetic traditions. There is, then,
no demotion implicit in the formal distinction between rhapsōidós and aoidós,
‘singer’ […]. It is simplistic and even misleading to contrast […] the ‘creative’
aoidós with the ‘reduplicating’ rhapsōidós. We must keep in mind that even
the traditional oral poet does not really ‘create’ in the modern sense of
authorship: rather, he re-creates for his listeners the inherited values that
142
serve as foundations for their society.

Ci sono allora sufficienti evidenze per concludere che «[…] what


the rapsodes recited was directly descended from what earlier singers
143
had sung».

138
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 41, il corsivo è dell’A.; sfrutterò meglio quest’ultima
affermazione di Nagy nella seconda parte, precisando le mie idee, diverse da quelle di Nagy,
sull’esistenza e la funzione della scrittura nel mondo i.e.
139
Cfr., tra gli altri, G. NAGY, 1990, p. 59; sulla figura dci poeta i.e, resta fondamentale E.
CAMPANILE, 1977, cap. II.
140
Cfr. J. WACKERNAGEL, Beträge zur Lehre vom griechischen Akzent, in «Programm zur
Rektoratsfeier der Universitat Basci» (1893), p. 34 = ID., Kleine schriften, Göttingen 1953, vol.
II, p. 1103; M. L. WEST, Thesinging ofHomerand the Modes of Early Greek Music, «JHS» 101
(1981), p. 114, nota 12; G. NAGY, Hesiod, in T. J. LUCE (ed.), op. cit. (nota 81, p. 46) pp. 45 e 69.
141
Uso il termine ‘rapsodo’ per indicare, in generale per tutto il mondo di lingua i.e. e non
per il solo mondo greco, una figura di poeta, laico elo religioso, che esibiva la sua maestria di
fronte a un pubblico, che, condizionato dal ricordo di generazioni di esecuzioni poetiche, si
attendeva da lui il massimo grado di fissità nci contenuto e nella forma dci testo: cfr. G. NAGY,
1990, p. 27; per la differenza tra l’uditorio dci rapsodo e quello dell’aedo, vd. ivi, pp. 42-43;
dissento qui, in parte, da M. DURANTE, 1976, pp. 177-179.
142
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 42.
143
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit. (nota 80, p. 46), p. 28.

96
3 – IL METODO

È dunque possibile rappresentare le differenziazioni avvenute, nel


seguente schema diacronico:

basis derivation
144
SO NG song types
vs
145
poetry
vs
speech

By speech I mean everyday or unmarked language, and by SONG I mean


special or marked language that is set off from speech on the formal level of
phonolgy, morphology, syntax, or any combination of these three. From a
functional point of view, SONG would be any speech-act that is considered
set apart from everyday speech from the standpoint of a given society. The
perception of plain or everyday speech is a variable abstraction that depends
on the concrete realization of whatever special speech, or SONG, is set apart
for a special context. In small-scale societies, the setting apart would normal-
146
ly happen in terms of myth and ritual.

Infatti,

in small-scale societies – rather than complex ones – we can observe most


clearly the symbiosis of ritual and myth, how neither is to be derived from the
other, and how the language of ritual and myth is marked, let us call it
SONG, while everyday language, speech, is unmarked. To repeat, the per-
ception of plain or everyday speech is a variable abstraction that depends on
the concrete realization of whatever special speech is set apart for a special
context, let us call it occasion. In small-scale societies, the setting apart is
normaliy a matter of ritual and myth, and the idea of ritual includes not only
such basic activities as sacrifice and prayer but also such diverse occasions as
meeting, eating and drinking, courtship, hunting, gathering, farming, build-

144
«I print song types, not just song, to indicate the potential plurality of song types in
opposition with any single given type of poetry»: cito da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 29, nota 67;
i corsivi sono dell’A.
145
«[…] The affinities between song and poetry in ancient Greece can be viewed in terms
of an evolution of various kinds of song into something differentiated from song – let us call it
poetry – so that song and poetry can then coexist as alternative forms of expression»: ivi, p. 18.
146
Ivi, p. 30, i corsivi sono dell’A.

97
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

ing, and traveling. The marked speech-acts associated with the special occa-
sion of ritual and myth are what we are calling SONG. Internal criteria for
marked speech acts can be expected to vary from society to society: what may
147
be marked in one may be unmarked or everyday in another.

Nelle società complesse, come certo dovettero essere per esempio


quella greco-arcaica e quella vedica, «[…] the pervasiveness of myth
and ritual, as well as their connectedness with each other, may be
considerable weakned. Stili, the marking of speech, that is, the turning
of unmarked speech into marked SONG, may persist as the basic way
148
to convey meaning in the context of ritual and myth».
La funzione della ‘lingua marcata’ è dunque quella di convogliare
significazione nel contesto mitico-rituale, esprimendo attraverso la
narrazione ciò che una data società afferma su se stessa; ma,

in most societies, not only the smaller-scale but the more complex as well, the
pattern of opposition between marked and unmarked speech takes the forffi
of an opposition between SONG and speech respectively, with the ‘singing’
of SONG being marked by a wide variety of patterns resulting from con-
straints on available features of speech in the given language. From the
standpoint of our own cultural preconceptions, singing is a patterning of
149
both melody (stylized tone or intonation) and rhythm (stylized duration
and/or intensity). From a cultural survey of a variety of societies, however, it
is evident that singing may also be equated with many other available types of
stylized phonological patterning, such as isosyllabism, rhyme, assonance, and
alliteration, and that the patterning of SONG extends to the levels of
150
morphology as syntax as well.

Pertanto, prosegue Nagy,

undifferentiated SONG as opposed to speech can be imagined as having had


features that ranged all the way from what we see in differentiated song to
what we see in poetry. Thus, for example, SONG in any given society may or

147
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 31, i corsivi sono dell’A.
148
Ivi, p. 31; il corsivo è dell’A.
149
«When differences in pitch have a lexical function (as in ancient Greek), it is a matter of
tone; where they have a syntactical function (as in English), it is a matter of intonation»: ivi, p. 33
nota 86, vd. anche p. 34, nota 94; cfr. A. M. DEVINE – L. D. STEPHENS, Stress in Greek?, in
«TAPA» 115 (1985), pp. 125-152.
150
Ivi, p. 33.

98
3 – IL METODO

may not require melody. In other words what counts as poetry for us may in
another given society count as song if there are no melodic prerequisites. In
this light, I cite a particularly useful formulation by An Ben-Amos, based on a
wide cross cultural variety of ethnographic data: ‘The existence or absence of
metric substructure in a message is the quality first recognized in any
communicative event and hence serves as the primary and most inclusive
151
attribute for the categorization of oral tradition. Consequently, prose [=
what I have been calling speech] and poetry [= what I have been calling
SONG] constitute a binary set in which the metric substructure is the crucial
attribute that differentiates between these two major divisions. It serves as
the definitive feature that polarizes any verbal communication and does not
provide any possible intermediary positions. A message is either rhythmic or
noto However, within the category of poetry [in my sense of SONG],
speakers may be able to perceive several patterns of verbal metrical redun-
152
dancy which they would recognize as qualitatively different genres’.

Tuttavia, rispetto a Ben-Amos, Nagy, partendo dalle ricerche di


153
S. Allen, preferisce precisare meglio il concetto di metric sub-
structure, tornando a quanto diceva nel 1974:

first, [...] traditional phraseology simply contains built-in rhythms. Later, the
factor of tradition leads to the preference of phrases with some rhythms over
phrases with other rhythms. Stilliater, the preferred rhythms have their own
dynamics and become regulators of any incoming non-traditional phraseol-
ogy. By becoming a viable structure in its own right, meter may evolve
independently of traditional phraseology. Recent metrical developments may
even obliterate aspects of the selfsame traditional phraseology that had
154
engendered them, if these aspects no longer match the meter.

Tale formulazione presuppone però che «[…] the traditional


phraseology of SONG, generating fixed rhythmical patterns, is itself

151
Questa affermazione di D. Ben-Amos, basata su consistenti dati etno-comparativi e
condivisa da una lista di specialisti troppo lunga per essere citata, conferma che E. Campanile
aveva torto nel misconoscere l’importanza della metrica come strumento di differenziazione tra
poesia e prosa quotidiana: vd. supra, p. 38 e p. 74.
152
Ivi, pp. 36-7; la citazione di D. Ben-Amos è tratta da ID., Analytical Categories and
Ethnic Genres, in D. BEN-AMOS (ed.), Folklore Genres, Austin 1976, p. 228.
153
Egli fa qui riferimento a W. S. ALLEN, Accent and Rhythm. Prosodic Features of Latin
and Greek: A study in Theory and Recontruction, Cambridge 1973 e ID., Vox Graeca: The
Pronunciation of Classical Greek, Cambridge 1987, III ed.
154
Cit. da G. NAGY, 1974, p. 145.

99
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

already regulated by principles of phonological, morphological, and


syntactical parallelism and repetition that serve to differentiate
155
SONG from speech».
Lo strumento che innesca il processo di fissazione testuale, a
partire dalla metrica stessa, è dunque la fraseologia tradizionale:

predictable patterns of rhythm emerge from favorite traditional phrases with


favorite rhythms; the eventual regulation of these patterns, combined with
regulation of the syllable count in the traditional phrases, constitutes the
essentials of what we know as meter. Granted, meter can develop a syn-
chronic system of its own, regulating any new incoming phraseology; never-
theless, its origins are from traditional phraseology. In short, the comparative
evidence of Indic poetry leads to a paraliel formulation about meter and
traditional phraseology in early Greek poetry. In this case, however, we may
156
specify ‘formula’ instead of the more generaI ‘traditional phraseology’.

Stando a Nagy, oltre alla comparazione, anche l’analisi sincronica


mostra che «[…] the regularities of meter are clearly subordinate to
the regularities of phrasing; the inference, then, is that metrical units
157
were diachronically generated from phraseology units».
L’ipotesi di Nagy è dunque che

the phraseology of SONG tends to stylize and regularize its own built-in
rhythms, and that these regularizations result diachronically in what we call
meter. Similarly, I also propose that the phraseology of SONG can stylize
and regularize its own built-in tones or intonations, resulting diachronically
in that we cali melody. If we combine the two proposals, we get a scheme
where both rhythm and melody in SONG could be viewed as regularized
outgrowths of speech that serve eventually to distinguish SONG from speech.
In term of this composite scheme, I am now ready to substituite rhythm or

155
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 37, il corsivo è dell’A.
156
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 30; lo studioso aveva risposto ad alcune obbiezioni espresse
da J. Puhvel (in B. A. STOLZ – R. S. SHANNON, Oral Literature… cit., pp. 261-263) sulla
prevalenza della fraseologia sulla metrica, già in G. NAGY, 1979, pp. 615-6; anche E. Campanile
(cfr. ID., 1990c, pp. 142 sgg.) si opponeva alla prevalenza della formula sul metro, ma con
argomenti a mio parere deboli e senza conoscere apparentemente gli studi di Nagy seguenti al
1974 (cfr. ivi, Bibliografia).
157
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 32.

100
3 – IL METODO

melody or both for metric substructure in the formulation of Ben-Amos. The


158
result is a formulation that is not alien to ethnomusicology.

Confrontati quindi i dati forniti dall’etnomusicologia sulle con-


nessioni primitive tra musica (= SONG) e linguaggio e sui modi e i
tempi della loro differenziazione, Nagy afferma che «[…] SONG, as a
marked form of language, is structurally capable of generating diffe-
rentiated subforms such as dance and instrumental music. From a
diachronic point of view, then, dance and instrumental music are
159
optional realizations of stylized speech-act».
Stando così le cose, «[…] if indeed poetry is to be derived from
SONG, it is really one step further removed from speech: to repeat the
diachronic construct, song is specialized by retaining and refining
melody from SONG, while poetry is specialized by losing or failing to
develop the melody that is potential in SONG. In terms of differentia-
tion, some form of SONG had to lose melody, or fail to develop
melody, so that poetry could be differentiated from song. In terms of
differentiation, some form of SONG had to lose melody, or fail to
160
develop melody, so that poetry could be differentiated from song».
Ma, prosegue lo studioso, «at another stage further removed, the
appropriate way to imitate the single format of speech with the multi-
ple formats of SONG would be to contrast a non-metrical form with
the plurality of metrical forms. The nonmetrical form would be prose:

basis derivation further derivation

SO NG song types
vs
vs
speech poetry poetry types
vs
161
prose».

158
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., pp. 38-9, i corsivi sono dell’A.
159
Ivi, p. 41, il corsivo è dell’A.
160
Ivi, p. 45, il corsivo è dell’A.
161
Ivi, p. 46, il corsivo è dell’A.

101
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

Quanto detto finora, porta infine G. Nagy alle seguenti conclusio-


ni:

with any differentiation of poetry from song through the loss of melody,
there would have to come about a new structural strain in the oral tradition.
Melody can be an important feature in the mnemonics of oral tradition in
song, as we know from the studies of folklorists who scrutinize the transmis-
sion and diffusion of song: melody helps recall the words. […] In terms of
differentiation of oral SONG into oral poetry as opposed to oral song, I offer
this axiom: with the structural strain brought about by the loss of melody in
poetry, there would come about, for the sake of mnemonic efficiency, a
compensatory tightening up of rules in the poetic tradition. This tightening
up would entail an intensification of both phraseological and prosodic
regularities […]. I also suggest that the concept of formula, stemming ulti-
mately from Milman Parry’s study of Homeric phraseology, applies primarily
to such regolarities stemming from the differentiation of oral poetry from
oral song. In other words the formula is to be seen as a characteristic
primarily of oral poetry as opposed to song. In order to account for the
distinct regularities of oral song as opposed to poetry, the concept of formula
162
could be considerably broadened.

Siamo tornati così al punto di partenza: le formule e i temi.


***
Nagy, insomma, come dicevo, rivedendo e affinando gli studi
sulla ‘oral poetry’, perviene ad una teoria dell’evoluzione della dizione
poetica (greca) che può essere, in generale, riferita all’intera lingua
poetica i.e.; riassunta assai schematicamente, tale teoria sostiene dun-
que che una data popolazione che vive in uno stadio di civiltà esclusi-
vamente orale, in tutte le occasioni cultuali e rituali che la vita sociale e
personale offre, esplicita a se stessa le proprie tradizioni e le proprie
conoscenze,
163
cioè la propria cultura nel senso più ampio del termi-
ne, attraverso narrazioni tradizionali che saranno col tempo affida-

162
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., pp. 50-1, i corsivi sono dell’A.
163
Definisco quindi la cultura come la somma teorica delle conoscenze, delle credenze e
dei saperi creati, posseduti e trasmessi da una generazione all’altra, dai membri di una particola-
re società; con ideologia definisco invece ogni credenza, o sistema di credenze – intendo credenza
nel suo significato più esteso di nozione impegnativa per la condotta pubblica e privata a
prescindere dalla sua fondatezza o dalla sua realizzabilità – usato per il controllo dei comporta-
menti collettivi; infine, con religione intendo la credenza in una garanzia soprannaturale offerta

102
3 – IL METODO

te esclusivamente a specialisti della parola autorevole; una delle forme


di tali racconti tradizionali è il mito.
Gli atti linguistici che occorrono in occasioni mitico-rituali, sono
marcati rispetto alla lingua impiegata comunemente, perché in una
società orale ciò che rende autorevole la parola è la sua performance
pubblica; quel che principalmente differenzia il linguaggio marcato da
164
quello non marcato, è la presenza del ritmo; da ciò sorgerà nel
tempo una serie di differenziazioni ulteriori, basate sul diverso utilizzo
della marca ritmico-musicale, che condurranno alle diverse forme
storiche di comunicazione artistico-letteraria. Quelle che all’inizio
erano soltanto improvvisazioni, ma svolte pur sempre sulla base di
temi tradizionalmente propri a una determinata cultura, mediante
migliaia di atti di composizione/esecuzione, selezionati con l’approva-
zione o la disapprovazione dell’uditorio e uniformati prima nella
fraseologia e poi nella metrica dalla progressiva attesa di conferme del
medesimo uditorio, col susseguirsi delle generazioni divennero un
repertorio di formulazioni orali standardizzate, cioè di testi fissi. Tali
testi fissi, trasmessi oralmente nei secoli con l’affermarsi di una nuova
figura di sacerdote/poeta – il rapsodo – e con l’ausilio di accuratissi-
me mnemotecniche, furono poi, con modalità diverse e in epoche
anche assai lontane tra loro, messi per iscritto.
La ‘New Comparative Philoogy’ di Watkins e Nagy, unendo
senza pregiudizi a una salda componente filologico-linguistica, i meto-
di e i risultati di discipline diverse ma contermini, come lo studio
comparato delle letterature e l’etnologia, giunge – e questo, a mio
parere, senza uscire dal paradigma storico-comparativo – alla deter-
minazione di un impianto metodologico coerente con gli studi più
recenti sulla ‘oral poetry’, diversamente da quel che era accaduto in
parte tra gli altri a R. Schmitt, e tale da dare una cornice generale
verosimile per lo sviluppo e la fissazione della tradizione poetica i.e.
Tale cornice, esplicita, anche se forse non compiutamente organica,
nelle ricerche letterarie di Nagy e parzialmente sottesa, ma evidente
nella sua deriva, nelle comparazioni di Watkins, unita a quel che di
più convincente ed efficace ha prodotto l’euristica degli studi sulla
lingua poetica i.e., che è quanto ho esaminato in questo capitolo, mi

all’uomo per la propria salvaguardia o salvezza e le tecniche dirette a ottenere o conservare


questa garanzia; il mio riferimento principale per tutto ciò, è N. ABBAGNANO, s.vv.
164
Nel senso di «a system that operates in terms of stress (duration or intensity or both)» e
altezza, aggiungo io: cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 37, nota 105.

103
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

consentirà di valutare nel prossimo la validità delle nuove acquisizioni


fattuali contenute nelle ricerche pubblicate dopo la summa di R.
Schmitt.
Prima, è necessaria ancora qualche precisazione.
165
Diversamente da quel che pensa Watkins, seguendo G. Bate-
166
son, ritengo innazitutto che l’insieme dei temi veicolati dalle formu-
le della fraseologia tradizionale di un data popolazione, non sia l’inte-
rezza della sua cultura, ma soltanto la codificazione di tale cultura a
fini trasmissori; e poi che i temi non vadano intesi come in qualche
167 168
modo simili ai ‘concetti’ o alle idee – «a cultural nexus» –, ma
che in realtà essi vadano avvicinati a quelli che F. Bader chiama
«motifs narratifs hérités», cioè, in definitiva, con qualcosa che è forse
simile alle ‘funzioni’ di Propp o, meglio, ai ‘motivemi’ che Burkert
169
mutua da A. G. Dundes, e questo perché «la psicologia popolare è
organizzata in base a caratteristiche narrative piuttosto che concettua-
170
li».
Detto questo, resta poi ancora forse un’ultima questione da chia-
rire, un problema le cui implicazioni però ci riportano all’inizio del
171
presente capitolo, al cuore del metodo comparativo.

165
Vd. supra, p. 86.
166
Cfr. infra, pp. 144 sgg.
167
In specie se per concetto intendiamo ogni procedimento mentale che renda possibile la
descrizione, la classificazione e la previsione degli oggetti conoscibili: cfr. N. ABBAGNANO, s.v.
168
Cfr. C. WATKINS, 1992, p. 408.
169
Anche in questo caso, ritengo dunque in parte giustificati i dubbi espressi a suo tempo
da J. Puhvel, in B. A. STOLZ – R. S. SHANNON, Oral Literature… cit., pp. 262-263; su tutto ciò, vd.
comunque infra, pp. 198 sgg.
170
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning, Cambridge (Mass.) 1990, trad. it. Torino 1992, p.
48; sul pensiero narrativo, vd. infra, pp. 195 sgg.
171
Sul metodo storico-comparativo e il problema della ricostruzione linguistica, vd. tra gli
ultimi, H. H. HOCK, Principles of Historical Linguistics, Berlin – New York 1986; A. MORPURGO
DAVIES, Il metodo comparativo, passato e presente, «AION» 10 (1988), pp. 27-48; R. ANTILLA,
Historical and Comparative Linguistics, Amsterdam – Philadelphia 1989, II ed.; PH. BALDI (ed.),
Linguistic Change and Reconstruction Methodology, Berlin – New York 1990; A. GARRETT, Indo-
European Reconstruction and Historical Methodologies, «Language» 67 (1991), pp. 790-804; C.
F. JUSTUS, The Comparative Method and Reconstruction in Historical Linguistics, «Diachronica»
9 (1992), pp. 87-104; M. NEGRI – V. ORIOLES (eds.), Storia problemi e metodi del comparativismo
linguistico. Atti del Convegno S.I.G (Bologna: 29-11/1-12-1990), Pisa 1992; W. P. LEHMAN,
Theoretical Bases of Indo-European Linguistics, London 1993 (questo volume, anche se si
propone come introduzione per neofiti, in realtà è tutt’altro che un libro divulgativo); A. FOX,
Linguistic Reconstruction. An Introduction to Theory and Method, Oxford 1995; R. S. P. BEEKES,
Comparative Indo-European Linguistics. An Introduction, Amsterdam – Philadelphia 1995 (gli
ultimi due sono manuali utili e informati); sul cambio linguistico, in particolare, vanno visti tra

104
3 – IL METODO

Nel I capitolo, era rimasta sospesa una domanda così formulabi-


le: è possibile ricostruire generi poetici di epoca i.e.? Tra gli speciali-
sti non vi è unanimità di giudizio; E. Campanile, ad esempio, oscillava
tra l’escludere
172
l’esistenza di un genere specifico come la poesia sati-
rica e l’esistenza stessa di generi letterari i.e. – «sul che, comunque,
non sarei del tutto d’accordo, dato il carattere totalitario di quella
173
poesia». In generale, si ritiene che le tradizioni orali possano, e
174
quasi sempre quelle note lo sono, articolarsi in generi diversi, ma
che tali generi vadano considerati come non immediatamente sovrap-
ponibili, per es. nella scansione tra i vari generi o nei vincoli che essi
pongono al poeta, a quelli delle tradizioni scritte, perché «l’accresciu-
ta formalizzazione dei generi letterari è tipica del modo scritto, in
parte grazie all’aggiunta di un elemento visivo-spaziale in parte grazie
alla nuova possibilità di riorganizzare il materiale verbale in modi
175
diversi».
Se non vi è dunque, in via di principio, ragione per opporsi al fatto
che la lingua poetica i.e. potesse essere articolata in generi, fatta salva
la verifica da fare di volta in volta su quali generi sia realmente
possibile attribuirle, la domanda vera allora sarà: la ricostruzione
poetica i.e. è del tipo formalistico-funzionale o del tipo realistico-
sostanziale?
Darò una risposta limitata a quel che qui ci riguarda, senza
dilungarmi troppo sulla più generale vexata quaestio della ricostruzio-
ne i.e. in sé.

gli ultimi: L. E. BREIVIK – E. H. JAHR (eds.), Language Change. Contributions to the Study of Its
Causes, Berlin – New York 1989; E. C. POLOMÉ (ed.), Research Guide on Language Change,
Berlin – New York 1990; V. LABOV, Principle of Linguistic Change. Internal Factors, Oxford 1994.
172
Cfr. E. CAMPANILE, 1990c, p. 79.
173
Ivi, p. 107; la poesia i.e. sarà da intendere piuttosto come totalizzante che totalitaria, ma
anche su ciò, vd. infra, pp. 295 sgg.
174
Cfr., tra gli altri, J. VANSINA, La tradizione orale. Saggio di metodologia storica, Roma
1976, ed. it. riveduta e aggiornata, e G. R. CARDONA, op. cit., cap. 7,4: «qui si userà l’accezione
ampia, corrente nell’etnografia della comunicazione e nello studio dell’arte verbale, per cui è un
genere ogni modello testuale che abbia sue proprie ed enunciabili caratteristiche formali e
strutturali»; ivi, p. 192, il corsivo è mio.
175
Cit. da J. GOODY, The Domestication of Savage Mind, Cambridge 1977, trad. it. Milano
1987, II ed., p. 181; vd. anche infra, pp. 207 sgg.; come dicevo sopra, vd. pp. 17 sgg., non è
tuttavia credibile che si possa determinare l’esistenza di un genere letterario di epoca i.e. sulla
base di una classificazione semantico-tipologica estrapolata dalle formule stesse e comunque
suggerita da una mentalità moderna: l’esistenza o meno di un genere i.e. andrà stabilita invece
per molteplicità di indizi e plausibilità di assunti storico-culturali.

105
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

176
Con W. Belardi, posto che il metodo comparativo-ricostruttivo
si basa sul principio che stabilisce che «[…] perché gli elementi
linguistici possano essere comparati tra loro e si possa da essi rico-
struire l’archetipo, è necessario che essi possano essere osservati e
studiati nell’atto di funzionare sul piano immediatamente superiore a
177
quello a cui appartengono», e che pertanto, poiché «le parole delle
lingue storiche sono i complessi stabili e riusabili più grandi che ci è
178
dato osservare in sede di studio comparativo-ricostruttivo», la
ricostruzione fonologica e morfologica è l’unica che possa dirsi real-
mente genealogica, tale «geneaologia linguistica può essere soltanto
179
sostanziale-materiale».
Eccezionalmente, tuttavia, «complessi stabili più grandi delle pa-
role sono le locuzioni, ma qui la stabilità è un fatto di stile formulare.
Ne discende la possibilità di studiare anche locuzioni indoeuropee,
riconducendole però a un particolare livello di stile. È il livello […] sul
quale si colloca la cosiddetta ‘lingua poetica’ indoeuropea, preistorica
e protostorica, ricca di composti e di locuzioni, espressione di partico-
lari strati sociali – guerrieri, sacerdoti – dei quali strati, pertanto, si
180
intravvede qualche leit-motiv ideologico».
«Nell’insieme, comunque, si tratta di un numero assai limitato di
formule, e il motivo di questa rarità è evidente: la ricostruzione di una
formula poetica indoeuropea presuppone non solo l’esistenza della
formula, ma presuppone altresÌ l’esistenza in più lingue indoeuropee
di testi arcaici che coltivino il particolare genere letterario in cui quella
data formula poteva apparire; in quelle stesse lingue deve, inoltre,
essersi mantenuto inalterato ogni singolo lessema che compariva nella
formula in questione. Se non si realizzano entrambe queste due
condizioni, allora la ricostruzione di una formula è a priori impossibi-
181
le».

176
Cfr. W. BELARDI, Genealogia, tipologia, ricostruzione e leggi lonetiche, in ID., op. cit.
(nota 99, p. 82), pp. 155-216.
177
Ivi, p. 184.
178
Ivi, p. 185.
179
Ivi, p. 199; il corsivo è dell’A.
180
Ivi, p. 185; non credo ci siano difficoltà ad identificare i ‘leit-motiv ideologici’ di Belardi
con i temi di Watkins e di Nagy, e con i motivemi di Burkert: vd. infra, pp. 198 sgg.
181
Cit. da E. CAMPANILE, La ricostruzione linguistica e culturale, in R. LAZZERONI (ed.),
Linguistica storica… cit. (nota 61, p. 71), p. 135.

106
3 – IL METODO

Questo numero assai limitato di formule ‘sostanziali-materiali’ –


cioè, ancora una volta: formule in cui etimologia e significato degli
elementi comparati sono identici – è quello raccolto da R. Schmitt,
con tutti i limiti di utilizzo storiografico e con le non molte aggiunte
182
posteriori di cui si è detto.
A quale fase dell’i.e. esse appartengono? A quella immediatamen-
te precedente la frantumazione dell’unità, cioè a quell’i.e. ricostruito,
che è fuori dallo spazio e dal tempo e non corrisponde a nessuna
lingua reale, perché:

«1) nella lingua ricostruita si assommano e si confondono elementi


appartenenti a epoche diverse: per es. tratti ereditari e tratti postdiasporici;
2) nella lingua ricostruita non figurano tratti non continuati dalle lingue
storiche o, se continuati, non riconoscibili come ereditari;
3) nella lingua ricostruita non figurano varianti di qualsiasi tipo che pure
183
sono parte essenziale del diasistema di ogni lingua reale».

I limiti della ricostruzione lessicale della cultura i.e., sia essa


materiale o intellettuale, sono quindi insiti nello stesso metodo geneti-
co e dunque, in generale, B. Schlerath ha ragione quando ribadisce
che «der idg. Wortschatz bietet als solcher keine Möglichkeit, die
geistige Kultur der Indogermanen zu rekonstruieren, weil mit dem
rekonstruktierten Wortkörper auch Wortinhalte der Grundsprache
vindiziert werden, die man nur um den Preis der unverbindlichen
184
Blässe eliminieren kann».
Ciò non esclude, tuttavia, il fatto che

in certi casi, il metodo della ricostruzione ci consente di raggiungere signifi-


cati unitari o abbastanza comuni anche là dove l’assegnazione all’indeuropeo
comune di una unicità formale del significante non è possibile. Vi sono casi –
ma sono assai pochi – nei quali ciò che ricostruiamo è uno schema espressivo
vuoto, quasi un modo di dire, una locuzione idiomatica, ma più nella sua
forma interna, che in una precisa determinazione lessicale. Quindi un dato
linguistico culturale, provvisto, per altro, di una stabilità e di una vitalità
millenarie […]. Ovviamente le occasioni di ricostruire schemi mentali ‘puri’

182
Cfr. supra, pp. 56 sgg.
183
Cit. da R. LAZZERONI, Indoeuropeo e Indoeuropa; un problema di metodo, in «InL» 9
(1984), p. 94; si troverà in questo lavoro di Lazzeroni la bibl. di riferimento.
184
Cit. da B. SCHLERATH, art. cit. (nota 74, p. 75), p. 13; cfr. anche R. LAZZERONI, La
ricostruzione culturale Ira comparazione lessicale e ricostruzione… cit. (nota 61, p. 71), pp.
163-165.

107
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

sono rare; meno rara è la possibilità di ricostruire segni linguistici completi di


significante e significato. Comunque […] si ricostruiscono piuttosto moduli
185
che sintagmi modulari stabili.

È questa, pur nelle diverse articolazioni dovute alla sensibilità


euristica dei singoli studiosi, la ricostruzione del tipo formalistico-
funzionale che contraddistingue la gran parte degli studi posteriori a
Schmitt: una ricostruzione poetico-culturale su base semantico-
testuale, con una metodologia propria – che è appunto quella esami-
nata nel presente capitolo – e una certezza di risultati certamente non
186
allineabile alla concretezza della ‘genealogia materiale’, ma che nei
casi più fortunati può dirsi anch’essa ‘genetica’, una genealogia ovvia-
mente tipologico-funzionale, come nel caso della formula per uccide-
187
re il drago scoperta da Watkins.
A quale i.e. appartengono allora i risultati ottenuti in tal modo?
Essi appartengono all’i.e. reale,

alla lingua effettivamente parlata, con tutte le sue varianti, dalla (o dalle)
comunità donde è proceduta la colonizzazione. […] Sul piano dell’indoeuro-
peo reale – e, dunque, della storia – si possono formulare le ipotesi seguenti:
1) è certo che alcuni (e forse molti) tratti dell’i.e. ricostruito corrispondo-
no a tratti dell’i.e. reale. […] Se, però, è vero che i tratti (o molti tratti) comuni
alle lingue i.e. storiche sono ereditati, allora è possibile che siano ereditati
anche alcuni tratti derivati da varianti prediasporiche. L’i.e. reale sicuramen-
te era, come ogni altra lingua, differenziato in senso diatopico e diastratico;
[…] 2) una parte dei tratti attribuiti alle protolingue intermedie può
corrispondere ai caratteri di un sottoarchetipo reale – ovviamente né unitario
né impermeabile – nell’ipotesi che un sottogruppo derivi dalla disgregazione
di un’area colonizzata secondariamente da una data lingua;
[…] 3) le lingue i.e. debbono le loro caratteristiche all’intreccio di
isoglosse irradiate in varie epoche e da vari centri e perciò ai processi di
disgregazione e aggregazione – di circolazione linguistica, insomma – di cui
188
tale intreccio è espressione.

185
Cit. da W. BELARDI, op. cit, p. 213; all’interno di questo passo, Belardi cita dal proprio
Superstitio, Roma 1976, p. 96.
186
Cfr. ancora W. BELARDI, op. cit., p. 214 e supra, pp. 59 sgg.
187
Cfr. supra, pp. 51 sgg.
188
Cit. da R. LAZZERONI, Indoeuropeo e Indoeuropa… cit., pp. 93-95.

108
3 – IL METODO

Se dunque all’interno dell’area indeuropeizzata vi è stata circola-


zione linguistica, e così deve essere stato altrimenti non si spieghereb-
be la distribuzione delle isoglosse,

ogni ipotesi sull’i.e. reale e sulla formazione delle lingue storiche deve
muovere da questo presupposto e proporsi di ricostruire la storia di questa
circolazione. I punti di metodo fondamentali saranno i seguenti:
1) in linea di principio le isoglosse parziali comuni a più lingue sono
indizio di una relazione storica o preistorica fra le lingue medesime. L’ipotesi
è tanto più probabile (e tanto meno lo è quella contraria, che esse siano
dovute a sviluppi paralleli e indipendenti) quanto più numerosi sono i tratti
comuni e più vicine sono, o sono state, le lingue che li condividono;
2) gli archetipi unitari non appartengono alla realtà; e perciò è metodica-
mente fallace ritenere, senz’altre prove, i tratti non unificabili più recenti dei
tratti unificabili, oppure, sempre in nome dell’unità dell’archetipo, attribuire
alla preistoria di una lingua i tratti documentati da un’altra;
3) se le isoglosse comuni a due o più lingue sono, nella cronologia
relativa, più antiche di quelle differenziali, ciò indicherà un fenomeno di
disgregazione: la circolazione linguistica in un’area dialettale si sarà attenuata
o interrotta e le parti di quell’area che prima gravitavano intorno a centri
comuni avranno preso a gravitare intorno a centri diversi;
4) se, invece, le isoglosse differenziali sono più antiche di quelle unitarie,
ciò indicherà un fenomeno di aggregazione: aree dialettali prima orientate
189
verso centri diversi avranno preso a gravitare intorno a centri comuni.

Una delle vicende che hanno segnato la storia della circolazione


linguistica all’interno dell’Indeuropa è certo la lingua poetica i.e.
190
Per il linguista che sia attento alla storia, attraverso l’indagine
sulla lingua poetica ie. sarà dunque possibile partecipare in maniera
non secondaria alla ricostruzione delle articolazioni dell’Indeuropa e
delle vicende grazie alle quali essa ha assunto le sembianze attuali,
perché, per dirla ancora una volta con le parole di E. Campanile:

on pourra reprocher à toute reconstruction culturelle des erreurs, des impré-


cisions, des ingénuités, des esagérations dans l’analyse des textes, des idées
préconçues; il est cependant difficile aujourd’hui de mettre en discussion la
légitimité des tentatives visant à reconstruire avec des moyens linguistiques –
les seuls dont nous disposions – la culture indo-européenne; moins que

189
109
Ivi, p. 100.
190
Cfr. lD., ibid.
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

jamais nous n’acceptons le principe que la linguistique indo-européen doit


avoir pour seul objectif la reconstruction de l’indo-européen. Si la linguisti-
que indo-européen – comme toute linguistique diachronique – est una
science historique, alor sa légitimité consistera à faire de l’histoire: par
191
conséquent, histoire de la langue, mais aussi histoire de la culture.

191
Cit. da E. CAMPANILE, Reconstruction culturelle et reconstruction linguistique, in F.
BADER (ed.), Langues Indo-Européens, Paris 1994, p. 40; in questo lavoro, uno degli ultimi
dello studioso pisano, E Campanile risponde, in maniera spesso convincente, anche alle critiche
metodologiche espresse da alcuni studiosi tedeschi – B. Schlerat, J. Untermann, S. Zimmer –
sulla ricostruzione culturale.

110
Capitolo 4

IL MATERIALE

Parole, parole, – sostantivi! Basta che aprano le


ali e millenni cadono dal loro volo.
(G. Benn)

Lo scopo del presente capitolo è quello di fornire al lettore una


raccolta sintetica del nuovo materiale attribuito, a vario modo e con
diversa probabilità, alla lingua poetica i.e., così com’è reperibile nelle
ricerche condotte tra il 1967 e il 1992, le ricerche cioè descritte in
generale nel I capitolo e analizzate singolarmente e globalmente nella
1
Rassegna critica.
Diversamente da quest’ultima, resteranno tuttavia esclusi dal se-
guente inventario tutti quegli studi che a mio giudizio non apportano
novità interpretative e fattuali concrete o verosimili.
Il materiale, raggruppato per tematiche di analisi e per spazi
d’indagine larghi, è riportato in forma schematica e riassuntiva e
questo per non appesantire inutilmente il testo con, ad es., lunghi
elenchi di formule nome-epiteto riconducibili, come in G. Costa,
1984 (50), tutte a uno stesso comune denominatore; per lo stesso
2
motivo, mentre indicherò le lingue di volta in volta in oggetto, anche
per i testi comparati rinvio, in generale, ai singoli lavori indicati come
fonte di provenienza del materiale, lavori che rimangono, dunque, il

l
Il numero tra parentesi che compare dopo il nome dell’Autore rimanda appunto alla
Rassegna critica.
2
Laddove non vi siano indicazioni di lingue particolari, l’argomento è da intendersi come
riferito all’i.e. in generale.

111
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

3
riferimento primario per ogni utilizzo ulteriore; il materiale di diver-
so tipo presente nello stesso lavoro, per es. confronti fraseologici e
identificazione di temi poetici comuni, è qui raccolto in paragrafi
diversi.

4. 1. FRASEOLOGIA

F. Bader, 1978b (5): formulario del ‘sorvegliare’ e ‘proteggere’


( i.e. *pā- / *swer-) in gr., av., ved. e um.; formulario di Nestore e di
Indra.
F. Bader, 1980 (7): formulario di Nestore e di Cú Chullainn, della
guerra di rapina e della razzia.
F. Bader, 1988b (11): la rad. *pei-k/-g- “intagliare > scrivere”,
testimonia l’esistenza della scrittura presso gli i.e.
F. Bader, 1989 (12): formule della conoscenza poetica; formulario
gr. e ved. sull’enigma dell’atto sessuale; formulario gr. e ved. sull’enig-
ma della procreazione in linea patrilineare; formulario ereditato sul-
l’enigma cosmogonico della protogenesi; eredità fraseologica nel mito
delle terre oscure; formule di nominazione e di dation du nom.
F. Bader, 1991a (16): sintagmi poetici ereditati all’interno del
formulario di Iris.
E. Benveniste, 1968 (21): 15 confronti fraseologici tra ved. e av.,
legati oltre che dall’etimologia, dalla comunanza sintattica, stilistica e
denotativa: i composti del tipo vedo vàjra-hasta-; 2 particolarità comu-
ni nell’impiego dei corrispondenti pŗtanā- / pəšanā-; 4 correlazioni
nell’impiego sintattico delle forme di námas- / nəmah-; coincidenze
nella descrizione di Indra e di Mitra; la formula viśvapiś- + ratha- è
indo-ir.; hukərəta- / súkŗtam dhánuh; locuzioni comuni nella defini-
zione di Soma / Hauma; concordanza nella descrizione di dāsa- / Aži
Dahāka; viśve sajóşasah / hazaošanhō vīspanhō; indra vasudā / ahura
mazdā vanhudā; urucákşah / vouru-čašāne; epiteti divini: sukştrá- /
huxšaqra-, abbhişac- / hvō-aiwišač -, subhágā- / tam daste hupuqrīm,
sújātā- / gənā hubagā hufədrīš; un parallelo tipologico nella denomi-
nazione di demoni: mūradeva- e kunda-, kundiža-.

3
Questa avvertenza è particolarmente necessaria per F. BADER, 1989 (12): il volume della
studiosa francese sulla lingua poetica i.e. è infatti così denso di dati, attestazioni, etimologie,
interpretazioni, riletture ecc., che ogni tentativo di schematizzare le novità in esso contenute
temo sia destinato inevitabilmente a perdere qualcosa per strada.

112
4 – IL MATERIALE

E. Campanile, 1977 (32): formule del dio padre o re; formula di


saluto rivolta al dio; formula di evocazione del dio; formula per
guarire le fratture in celtico.
E. Campanile, 1980 (35): confronto tra il composto celt. *bardos
(< i.e. *g ŗH-dheH1-s “colui che stabilisce (= offre, fa) canti di lode” e
w

i sintagmi ved. giro dhā- e av. garō dā-: il nesso appartiene al lessico
della lingua poetica i.e.
E. Campanile, 1987b (41): formula de ‘l’aurora che risplende
ampiamente’ in gr., ved. e av.
G. Costa, 1982 (49): circa 50 nuovi confronti tra epiteti divini gr. e
ved.
G. Costa, 1984 (50): 9 confronti tra formule gr. e vedo del tipo
teonimo + composto avente come primo termine il nome dell’‘oro’;
qualche confronto anche con l’av.; paralleli con gr., ved., airl. e germ.
G. Costa, 1987a (51): confronto tra gli epiteti gr. e ved. che
significano “distruttore di fortezze”; identificazione della nozione
arcaica di ‘atterratore di mura’ nelle due lingue.
G. Costa, 1987b (52): confronto tra il vedo nŗn cyautná- e l’om.
laossÒoj.
G. Costa, 1990 (54): molti confronti tra composti gr., ved., air. e
celt. con *dus- e *su- come primo membro.
M. Durante, 1974b (59): confronto tra il gr. kîmoj, il ved. śámsa- e
il gath. səņgha- (e alcuni loro composti) nel significato poetico di
“lode di esseri umani, encomio di eroi”.
M. Durante, 1976 (60): 32 isoglosse poetiche comuni al gr., al ved. e
spesso anche all’av.; 25 confronti tra formule gr. e vedo del tipo nome +
epiteto, con confronti avo e paralleli da altre lingue i.e.; confronto tra
Ûmnoj e aind. sumná-; lessico del ‘fare poetico’, del poetare come
‘tessere’ e come ‘filare’ in gr. e indo-ir.
W. Euler, 1982 (63): la formula es war ein König (cfr. R. Schmitt,
1967a, p. 275) appartiene alla lingua poetica ie.
V. Grazi, 1990 (74): 12 confronti tra epiteti divini gr., aisl. e ved.;
1 tra aisl. e ved.; 14 tra gr. e aisl.
R. Gusmani, 1975 (76): illidio kaveś “poeta, sacerdote” è l’unico
corrispettivo i.e. dell'aind. kavís “saggio, veggente, poeta”.
L. Hertzenberg, 1974 (80): formula greco-vedica die Erde erschüt-
tem.
R. Lazzeroni, 1970 (97): ¢ndr£podoj è il risultato della trasfigura-
zione greca della formula i.e ‘bipedi e quadrupedi’ (cfr. R. Schmitt,
1967a, pp. 12 sgg.).

113
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

R. Lazzeroni, 1975a (98): inquadramento storico-culturale della


formula i.e. ‘bipedi e quadrupedi’.
R. Lazzeroni, 1975b (99): la formula ‘visto e non visto’, attestata in
ved., lat. e um. (cfr. R. Schmitt, 1967a, pp. 207 sgg.), non risale alla
lingua poetica i.e.
M. e. Naafs-Wilstra, 1987 (111): 9 elementi poetici i.e. già noti
sono attestati anche nella poesia lesbia.
N. Oettinger, 1989-90 (119): la formula del tipo ga‹a mšlaina non è
i.e.
A. Pagliara, 1969 (126): confronti tra composti vedo e nessi om.
con ™Új, esito di antichi composti: ™Új ¢n»r / sū-nára-; ºÚj qer£pwn /
su-şārathí-, su-bándhu-, su-sakhí-; ºÚj te mšgaj te / sú-mahat-; ™Ún t’…
¢fneiÒn te / svapnas-, av. afnahvant-, airl. somne.
E. Risch, 1987 (137): il nome proprio femm. mic. a-qi-ti-ta
/Ak hthitā/ è una forma abbreviata che risale o a un composto
w

contenente la formula klšoj ¥fqiton (*Ak hthitokļwejja / *Ak hthito-


w w

w
klewes) o direttamente al sintagma (*ak hthiton klewos) (contra, E.
Campanile, 1990c, p. 105).
R. Schmitt, 1969 (151): confronto tra om. qrasumšmnon e ved.
dhŗşaņmanas-.
C. Watkins, 1975a (181): confronto tra il lat. iouiste e il ved.
yávişţha-: l’uso del superlativo in -isto- per l’epitesi divina risale all’i.e.
C. Watkins, 1976a (183): confronto tra airl. dúan “poema” e
anord. tafn, armo tawn e lat. damnum.
C. Watkins, 1979a (190): formulario ereditato e tassonomia della
‘ricchezza’ in itt.
C. Watkins, 1979b (191): formulario dell’Atto di Verità in ved.,
av., gr. e airl.
C. Watkins, 1986a (194): un esempio della formula i.e. per l’ucci-
sione del drago in un rituale luvio.
C. Watkins, 1986b (195): confronto tra la seconda parte del
nome Meleagro = *(-)#agroj e vedo vájra-, avo vazrō come residuo
della formula i.e. per l’uccisione del drago.
C. Watkins, 1987b (198): la formula i.e. per l’uccisione del drago
in gr., itt. e ved.
C. Watkins, 1987c (199): aggiunge esempi av., air., gr., germ. alla
formula precedente.
C. Watkins, 1991 (202): formulario dell’escatologia e sue connes-
sioni con la formula per l’uccisione del drago in gr., lat., av., itt. e ved.

114
4 – IL MATERIALE

4. 2. STILISTICA

F. Bader, 1978b (5): la formula del tipo poim¾n laîn non è una
metafora ma una designazione ereditata del ‘protettore’.
F. Bader, 1988b (11): le figure fonetiche come sapienza iniziati ca
sulla scrittura.
F. Bader, 1989 (12): aind. ŗşi- come metafora corporale; il nome
dei druidi come esempio di kenning ereditata; kenningar temporali;
designazioni di animali e kenningar; meccanismo di creazione di una
kenning; l’ossimoro come tipo di enigma ereditato; indicazioni astrali
e kenningar; le metafore del vento.
F. Bader, 1990a (13): il ‘legare’ ( i.e. *sH2-) come metafora
dell’attività poetica.
F. Bader, 1990b (14): le kenningar come stilema ermetico; i nomi
doppi nella ‘lingua degli dei’; allitterazione, figure e giochi fonetici
come legame costruttivo dell’ermetismo poetico.
F. Bader, 1991a (16): allitterazione e figure fonetiche nel formula-
rio di Iris
F. Bader, 1991c (18): connessioni tra allitterazione e enigmi poeti-
ci.
E. Benveniste, 1968 (21): figura etimo comune al vedo e all’av.:
sákhā sákhye / haxa haše “le compagnon au compagnon”, parallelo è
anche l’impiego di susakhí- e di huš-haxi- “ben disposto, amichevole”.
L. Bottin, 1969 (26): conferma che l’uso dell’aumento non è
regolato da fatti poetici, tantomeno di origine i.e.
E. Campanile, 1974a (29): metafore del toro e della vacca, del
vitello e della giovenca per indicare il marito e la moglie, l’uomo e la
donna in gr., ved. e airl.
E. Campanile, 1974b (30): metafora del timoniere come ‘guida sul
campo di battaglia, principe che saggiamente e coraggiosamente gui-
da i suoi uomini in guerra’ (assente in gr.); metafora dell’eroe come
colonna in celt. e gr.; metafora dell’eroe come onda o tempesta o
fuoco che tutto devasta.
E. Campanile, 1977 (32): metafore del poeta come carpentiere e
come tessitore in ved., celt., av., aingl.; metafora del ‘lupo = guerriero’
e i suoi rapporti con l’onomastica; stilema sommatorio in lat., gr., ved.
airl.: indica un dato reale attraverso l’enumerazione degli elementi che
lo costituiscono; stilema dell’espressione polare come espressione
della totalità in av., ved., gr., oum., lat.; stilema del tipo Aussage plus
negierte Gegenaussage (a un dato elemento lessicale o concettuale e

115
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

apposta la negazione della sua negazione: ‘porta molto, non poco’) in


ved., av., apers., gr., aol., airl.; la kenning germ. e celt. non risale alla
lingua poetica i.e.; metafore laudative del principe in airl., gr. e ved.
E. Campanile, 1979b (34): la metafora del ‘lupo = straniero, uomo
bandito da suo popolo, criminale’, attestata in airl., itt., germ. e aind.,
risale all’i.e.
E. Campanile, 1986a (38): la metafora ‘i bovi del Sole = i raggi del
sole’ in gr., av. e ved.
E. Campanile, 1986b (39): chiarisce definitivamente la metafora
erotica identificata da C. Watkins, 1978a, attribuendola alla lingua
poetica i.e.
E. Campanile, 1988 (42): aggiunge una testimonianza di Plutarco
a conferma e precisazione di quanto sopra.
E. Campanile, 1990c (46): gli arcaismi e i Realien nei testi poetici
come stilema i.e.; uso della metafora e dell’epiteto.
G. Dunkel, 1979 (56): il combattimento tra guerrieri e la corsa dei
cavalli come metafore della competizione poetica in gr. e in ved.
M. Durante, 1976 (60): stilemi greco-arii; in generale: l’epiteto, la
metafora, il paragone, la personificazione, la ripetizione, gli arcaismi,
le figure fonetiche. In particolare: metafore: ‘il miele della parola’,
‘l’eroe baluardo del popolo’, ‘l’eroe spirante ardore’, ‘l’eroe vestito di
forza’, ‘la battaglia simbolo di gioia’; metafore della luce; un campo
metaforico: il discorso come ‘cammino’. Paragoni: ‘il dio discende dal
cielo come un uccello’, ‘il dio si muove rapido come il pensiero’, ‘il
guerriero colpito stramazza al suolo come un albero’.
T. Elizarenkova – V. N. Toporov, 1979 (62): uso magico-
apotropaico delle figure fonetiche e etimologiche in vedo e altre
lingue i.e.
K. Hoffmann, 1986 (85): lo stilema del tipo als Stratege bin ich ein
guter Stratege risale al periodo indoiranico comune.
V. V. Ivanov, 1967a (88): l’uso della paronomasia in aarm. risale
all’i.e.
V. V. Ivanov, 1967b (89): paralleli tra le figure etimo della poesia
russa con balt., air. e aisl.; l’uso dell’allitterazione in aarm. non è di
origine i.e.
R. Lazzeroni, 1977 (100): l’uso opzionale dell’aumento non è un
tratto poetico i.e.; è invece un arcaismo l’uso dell’ingiuntivo nella
poesia aind., air. egr.

116
4 – IL MATERIALE

B. L. Ogibenin, 1984 (122): aggiunge paralleli itt. e apers. alla


metafora dell’aggiogare i destrieri al carro del poeta (cfr. M. Durante,
1976, cap. IV).
B. L. Ogibenin, 1985 (123): paralleli lat. alla metafora sopra
indicata.
V. Pisani, 1974 (130): l’om. (™n) nukÕtj ¢molgù e l’anord. (á)
náttar- eli, contengono la stessa metafora: ‘nel sacco (di pelle) della
notte = nella parte più oscura della notte’.
S. Sani, 1972 (142): l’allitterazione, attestata nella fasi più antiche
quasi solo in ved., lat., germ. e celtico, è uno strumento magico-rituale
più che una tecnica letteraria.
R. Schmitt, 1967b (149): l’aumento non è un fatto di poesia i.e.
C. Watkins, 1975b (182): identifica una metafora sessuale i.e. in
ved., arm., gr., itt.
C. Watkins, 1977a (186): metafora ‘sazietà, abbondanza di api =
sciame di api, schiera di nemici’ in celt. egr.
C. Watkins, 1977b (187): un esempio gr. di composizione circola-
re, uno stilema già i.e.
C. Watkins, 1978a (188): identifica una metafora sessuale i.e. (cfr.
E. Campanile, 1986b, 1988) attestata in airl., germ., asI., gr. e ved.
C. Watkins, 1979a (190): uso del ‘merismo’, uno stilema già i.e.,
in itt.
M. L. West, 1989 (211): uso dell’ingiuntivo in gr. e in ved. per
descrivere le attività degli dei.

4. 3. METRICA

E. Campanile, 1990a (44): non esiste un metro i.e.; la tradizione


metrica gr. segna «una rottura forte sul piano formale» col passato i.e.
E. Campanile, 1990c (46): metodologia nella ricostruzione della
metrica i.e.; l’isosillabismo e la costanza della cadenza non sono
caratteristiche metriche di epoca i.e.
M. Durante, 1971 (57): continuità tra metrica om. e mic.; diversità
tra metrica gr. e metrica vicino-orientale.
M. Durante, 1976 (60): confronti tra metrica gr. e metrica ved.:
concordanza tra gliconeo e ottonario della strofe tristica (gayātrī) e
tetrastica (anuşţubh) e tra endecasillabo saffico e pāda della trişţubh;
sono di origine comune anche la sillaba ancipite in fine di verso,
l’abbreviamento di vocale lunga o dittongo davanti inizio di parola

117
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

vocalico, l’equiparazione di sillaba lunga ‘per posizione’ alla sillaba


lunga naturale, l’eliminazione di una sequenza di tre brevi mediante
l’allungamento di una delle sillabe.
J. A. Fernández Delgado, 1982 (64): le origini dell’esametro van-
no ricercate nella poesia religiosa e in un verso più breve, un tipo di
verso impiegato in particolare nell’espressione gnomica tipica della
poesia sapienziale.
R. Gusmani, 1975 (76): le poche caratteristiche identificabili della
metrica lidia non sono di origine i.e.
K. Klar – B. O Hehir – E. Sweetser, 1983-4 (90): la metrica celt. e
quella germ. sono assai più vicine di quanto si ritenesse (allitterazione
e accento iniziale) e il paremiaco i.e. si realizza in gall. e airl. non come
eptasillabo cadenzato (Watkins), ma come verso molto più breve.
J. Kuryowicz, 1975b (94): le diversità tra metrica aind. e metrica
air. rendono difficile l’ipotesi dell’esistenza di una metrica indo-
iranica comune; le affinità tra metrica gr. e metrica vedo risalgono
forse a un periodo post-diasporico comune.
G. Nagy, 1974 (112): l’esametrò deriva dalla metrica i.e. attraver-
so tre diverse fasi di espansione dattilica; origine e sviluppo compara-
to della jagatī aind. e del trimetro giambico gr.
G. Nagy, 1979 (113): variazioni e semplificazioni alla sua teoria
sull’origine i.e. dell’esametro.
G. Olmsted, 1991 (124): i metri base i.e. erano tre: 1) 4 cola, 16
sillabe; II) 3 cola, 12 sillabe; III) 2 cola, 8 sillabe.
S. Suzuki, 1988a (162): la metrica germ. è di origine i.e.; l’obbliga-
torietà dell’allitterazione e la variabilità del numero delle sillabe sono
sviluppi posteriori di lingua e non di poesia.
S. Suzuki, 1988b (163): confronto tipologico tra metrica germ. e
airl. con riferimento al verso i.e.
S. Suzuki, 1992 (164): così come per il verso i.e., il verso iperme-
trico della poesia germ. è formato dall’aggiunta di un colon extra alla
linea normale.
J. F. Vigorita, 1973 (170): ricostruisce tre metri i.e.: 1) un verso di
8/7 sillabe (xx-x/x/xu-); II) un verso di 11/10 sillabe (xx-x/x/u uxu-
x); III) un verso di 8 sillabe (xx-x/xx-x) formato alla ripetizione di un
colon iniziale di 4 sillabe.
J. F. Vigorita, 1976a (171): il decasillabo dell’epica serbo-croata,
stante le affinità col decasillabo vedo e col paremiaco gr., è di probabi-
le origine i.e.

118
4 – IL MATERIALE

J. F. Vigorita, 1976b (172): non esisteva un dodecasillabo i.e.;


l’esistenza in gr., ved. e serbo-croato di un verso di 12 sillabe è dovuta
a processi di metricizzazione paralleli ma indipendenti.
B. Vine, 1977 (174): catalessi e acefalia fanno parte della tradizio-
ne metrica i.e.; verosimilmente ne faceva parte anche il verso eptasil-
labico.
D. Ward, 1973 (179): similarità delle strutture metriche della
poesia satirica ved., gr., airl., asI. e germ.
C. Watkins, 1976b (184): la ‘licenza’ contenuta nel primo verso
della Coppa di Nestore «is a reflex of the Indo-European free initial in
octosyllabic and dodecasyllabic verse with iambic closing».
C. Watkins, 1976c (185): l’iscrizione del Vaso di Dipylon contiene
una relativa che è un perfetto esametro dattilico, costruito secondo i
canoni della dizione formulare epica da un poeta erede della tradizio-
ne i.e.; se la seconda parte dell’iscrizione (mutila) contenesse realmen-
te un adonio, avremmo complessivamente un confronto con un raro
metro ved.
C. Watkins, 1978b (189); identifica in un carme palaico un
esempio dell’equivalenza i.e. verse-line = sentence e del derivato
verse-line = clause.
M. L. West, 1973b (207): sistema dei metri i.e. ricostruiti:

M. L. West, 1982 (209): conferma che l’opposizione (iper)-


catalessi / acatalessi risale alla metrica i.e. e che il verso i.e. era basato
sul computo delle sillabe, con un’opposizione tra sillabe breve e
sillaba lunga nella cadenza.

119
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

4. 4. TEMATICA

F. Bader, 1978b (4): tema del certamen oratorio in gr., airl. e ved.;
tema delle gesta di Nestore; tema del festino; tema della razzia e
dell’eroe che va in cerca dei buoi.
F. Bader, 1980 (7): tema dell’iniziazione del guerriero in lat., gr. e
airl.; tema della razzia in om. e airl.
F. Bader, 1984 (8): motivo della caccia; motivo del furto della
cintura di un’amazzone da parte di un eroe; canovacci narrativi eredi-
tati: Nestore e Cli Chulainn; Romolo e Remo; Eracle; Achille; Melea-
gro, Sigfrido e Bellerofonte; strutture narrative dell’iniziazione.
F. Bader, 1988b (11): la ‘lingua degli dei’ come conoscenza inizia-
tica della scrittura; tema dell’iniziazione alla scrittura di Odino e
Bellerofonte.
F. Bader, 1989 (12): trame narrative ereditate ne l’Avíssmál.
F. Bader, 1990b (14): altri esempi gr. e aisl. della ‘lingua degli dei’.
F. Bader, 1990c (15): connessioni tematiche tra la ‘lingua degli
dei’ itt. e quella gr. (Omero, Esiddo e Pindaro): tema dell’ordine e
della sovranità cosmica, della legittimità sociale, della bisessualità,
dell’autobiografia poetica.
F. Bader, 1991a (16): tema del messaggero veloce degli dei.
E. Campanile, 1974b (30): tema dell’eroe che combatte in prima
linea; tema dell’eroe vincitore.
E. Campanile, 1977 (32): tema delle virtù militari del principe
committente; tema dell’oltretomba.
E. Campanile, 1981 (36): tema delle nozze sacre tra re e dea; tema
del culto delle Matres in germ. celt. e ved.
E. Campanile, 1990c (46): tema dell’uccisione dei nemici in gr. e
airl.; tema della genealogia come elogio; tema dell’immortalità del
nome e del destino dell’uomo dopo la morte.
T. M. Compton, 1988 (48): tema dell’esilio (della punizione lega-
le, dell’uccisione, dell’espulsione dal corpo sociale) del poeta a causa
dei suoi versi satirici; tema del guerriero-poeta; tema del poeta come
farmakÒj.
G. Costa, 1984 (50): tema dell’oro nell’epitesi divina.
M. Durante, 1971 (57): origine mic. dei temi om. di Aiace Tela-
mania, Eracle e Merione.
M. Durante, 1976 (60): temi mitico-poetici greco-ved.: gesta di
Eracle e di Indra, il cielo di pietra, la terra sovraffollata alleggerita dal
peso degli uomini con una guerra.

120
4 – IL MATERIALE

T. Elizarenkova – V. N. Toporov, 1979 (62): raccolta di temi


poetici vedo di origine i.e.
A. Hiltebeitel, 1982 (83): tema del combattimento tra fratelli
adottivi e tema del dialogo tra guerriero e auriga in airl. e in aind.
J. T. Hooker, 1980 (86): tema della morte del figlio del dio
supremo nell’Iliade e nell’Edda; tema della punizione dei ‘peccatori’
in gr., av. e ved.
P. Mac Cana, 1988 (104): tema del poeta come sposa del suo
patrono in id., gall. e aind.
G. Nagy, 1981a (115): temi della ricchezza materiale vs. la perpe-
tuità e dell’immortalità personale vs. l’immortalità data dalla poesia.
G. Nagy, 1981b (116): temi del parallismo e dell’antagonismo
mutuale tra un dio e l’eroe che è messo in simbiosi cultuale con lui, in
gr., aind. e i.e.
V. N. Toporov, 1969 (168): paralleli tematici tra esorcismi asI.,
balt., germ. e atharva-vedici.
C. Watkins, 1970 (180): ‘lingua degli dei e lingua degli uomini’
come tradizione metalinguistica i.e; aggiunge testimonianze celtiche ai
dati già noti.
C. Watkins, 1977b (187): tema della collera divina.
C. Watkins, 1979a (190): tema della ricchezza in itt., oum., lat.,
aind., air.
C. Watkins, 1979b (191): tema della verità in gr., airl., aind., air.,
itt.
C. Watkins, 1981a (192): un caso di tema popolare in gr. e airl.
C. Watkins, 1987b (198): tema del prestito del carro (vd. prec.) in
gr., airl. e asI.
C. Watkins, 1987c (199): tema dell’uccisione del drago e sue
varianti.
C. Watkins, 1990 (201): tema del greatest local oath in asI., airl. e gr.
C. Watkins, 1991 (202): tema dell’escatologia in gr., av., ved., lat.
e itt.

4.5. LETTERARIETÀ

R. Ambrosini, 1970 (3): esistenza di una poesia drammatico-


dialogica i.e recitata a più voci.
F. Bader, 1980 (7): identificazione di due tecniche letterarie in gr.
e celt.: «l’un […] anaphorique, résoud les problèmes posés par l’unité

121
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

de temps […]. Il consiste à enchasser, sous forme de discours, dans le


récit de bataille, la narration d’événements antérieurs aux premiers
vers de l’épopée […]. L’autre procédé est déictique: c’est celui de
l’écriture contrapuntique, destiné à annoncer des événements qui se
dérouleront dans le cours meme de la narration, à des auditeurs
auxquel ces événements ne seront pas contés d’une seule haleine».
F. Bader, 1984 (8): rapporto tra strutture narrative ereditate e
realtà preistorica.
F. Bader, 1989 (12): esistenza di una letteratura i.e. d’enigmi; gli
enigmi oracolari; interpretazione della ‘lingua degli dei’; ricorrenze
deittiche e anaforiche nelle kenningar; enigma dell’atto sessuale; enig-
ma della procreazione in linea patrilineare; tecniche letterarie dell’er-
metismo poetico; gli enigmi cosmogonici; strutture dell’interrogazio-
ne enigmatica in aind., air. e germ.
F. Bader, 1990b (14): le tecniche ermetico-letterarie della ‘lingua
degli dei’: enigmi, intrecci, sovrapposizioni tra testi ‘neutri’ e testi
ermetici, articolazioni nella composizione discontinua, uso dei miti,
ricorrenze lessicali, intreccio tra ‘lingua degli dei’ e momento narrati-
vo, intreccio tra soggetto e tempi della scansione narrativa.
E. Campanile, 1981 (36): i componimenti geneaologico-catalogici
delle tradizioni celt., germ., gr., air., e lat. risalgono a un genere
letterario i.e.
E. Campanile, 1990b (45): «la poésie i.e. se réalisait sous des
formes bien différentes de celles d’une grand et définitive epopée».
E. Campanile – E. Orlandi – S. Sani, 1974 (47): caratteristiche
della pesia eulogistica airl. e ved.
G. Costa, 1989 (53): funzionalità letteraria e riutilizzo policonte-
stuale delle formule della lingua poetica i.e.
M. Durante, 1971 (57): generi poetici gr. di tradizione mic. o non
om.
T. Elizarenkova – V. N. Toporov, 1979 (62): plurilinguismo nei
testi anord.; esempi di doppio registro con regole dialogiche tra
uomini e dei; uso metaling. del nome del cavallo.
P. L. Henry, 1986 (79): «there is no reason […] to doubt that the
praise poem is an old traditional Celtic form going back to Indo-
European times» (p.150).
D. Ward, 1973 (179): il genere satirico risale alla poesia i.e.
C. Watkins, 1976c (185): sopravvivenze nella grecità dell’ottavo
sec. a.e. di una tradizione di composizione letteraria risalente all’i.e.

122
4 – IL MATERIALE

C. Watkins, 1977a (186): un caso di de-poeticization di una meta-


fora i.e. in celt.; creatività ricorsiva della lingua poetica.
C. Watkins, 1987b (190): la struttura narrativa ereditata di un
malum carmen asco; trasformazioni formulari nel passaggio dal mito
all’epopea e al carme magico.
C. Watkins, 1987c (199): bidirezionalità, intertestualità e trasfor-
mazioni della formula per l’uccisione del drago.
C. Watkins, 1991 (202): identifica una comune struttura narrativa
in ved., av. e itt.: «a sequence of conditional or temporary victory of
the one adversary, and the final victory of the other».

4.6. POETOLOGIA

F. Bader, 1978b (4): terminologia del certamen oratorio in ved.,


gr. e celt.; ruolo sociale del poeta e sua concezione della lingua; ruolo
del potlach nei rapporti tra poeta e committente.
F. Bader, 1980 (7): l’origine divina dell’ispirazione poetica in gr. e
celt.
F. Bader, 1988b (11): esistenza di una poesia ‘ermetica’, basata
sulla conoscenza iniziatica della scrittura e su una tradizione di ricerca
fonologica sulla lingua e sull’adattamento ad essa dell’alfabeto.
F. Bader, 1989 (12): Odino e l’acquisizione della poesia; scrittura,
ispirazione poetica e conoscenza memorizzata; visione, veggenza e
saggezza poetica; i druidi e la ‘lingua degli dei’; l’istituzione degli
enigmi; la ‘lingua degli dei’ come lingua degli iniziati; poesia, saggezza
totale e scuole poetiche; il doppio nome come confronto tra microco-
smo e macrocosmo; conoscenza e ermetismo: tipologie della ‘lingua
degli dei’; la condizione mortale dell’uomo e la funzione del poeta.
F. Bader, 1990a (13): i nomi propri dei poeti come segno iniziati-
co di voluta oscurità ermetica.
F. Bader, 1990b (14): ermetismo e scuole poetiche; dati autobio-
grafici del poeta nascosti all’interno del testo.
F. Bader, 1990c (15): altri esempi dell’autobiografia criptata dei
poeti; conservazione e innovazione nell’insegnamento della tradizione
poetica.
E. Campanile, 1977 (32): retribuzione del poeta e suoi rapporti
col principe; il poeta itinerante in gr., av., vedo e airl.; il poeta come
sacerdote, come giurista, come guaritore, come precettore.

123
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

E. Campanile, 1989 (43): eredità i.e. nelle funzioni storiche dei


poeti gr., oum. e gall.
E. Campanile, 1990c (46): funzioni e ruolo del poeta nella società
i.e.; scuole poetiche e apprendistato del poeta in airl., ved. e gr.;
funzione storiografica del poeta; specializzazioni poetiche; margina-
lità storica del ruolo del poeta i.e.
E. Campanile – E. Orlandi – S. Sani, 1974 (47): funzioni sociali
del poeta i.e.: «abiamo visto come egli operasse nell’ambito del diritto,
delle tradizioni sociali e morali, della medicina, della magia, della
religione, oltre che nell’ambito della celebrazione di gesta gloriose del
passato […] e della poetica esaltazione dei sovrani suoi ospiti»; scuole
poetiche e formazione professionale del poeta in ambito gr. e celt.
T. M. Compton, 1988 (48): la poesia come ispirazione parallela al
furore guerriero (Starkathr e Suibhne); il poeta come farmakÒj e i
suoi rapporti ambigui con le divinità (mito di Marsia).
G. Costa, 1990 (54): i composti i.e. con *dus- e *su- come mezzo
poetico di trasmissione ideologica.
M. Durante, 1974b (59): terminologia aria dell’encomio dgli eroi
e tradizione poetica laico-guerriera.
M. Durante, 1976 (60): differenze tra poesia i.e. occidentale e
poesia i.e. orientale; la tradizione poetica aria; poesia eroica e strutture
inniche; la celebrazione laica degli eroi; strutture comuni alla preghie-
ra gr. e ved.; la terminologia della creazione poetica in gr. e in ved.;
poesia e ispirazione; la poesia come fonte di immortalità in gr., ved. e
germ.; uso della sfrag…j in gr. e in ved.
T. Elizarenkova – T. N. Toporov, 1979 (62): riesame e reinterpre-
tazione anagrammatica di: ‘lingua degli dei – lingua degli uomini’
come diglossia intrinseca alla lingua poetica i.e.; funzione e status
sociale dei poeti nella fase mitopoetica e cosmologica.
E. P. Hamp, 1977 (77): ricostruzione del campo semantico relati-
vo all’attività poetica in celtico.
A. Hiltebeitel, 1982 (83): tradizione ‘bardica’ e ruolo poetico
dell’auriga in airl. e aind.
C. Watkins, 1970 (180): dottrina poetica sulla lingua (poetica)
espressa mediante gerarchie lessicali all’interno del tema ‘lingua degli
dei – lingua degli uomini’.
C. Watkins, 1976a (183): sistema della reciprocità del dono tra
poeta e mecenate in airl. e ved.

124
CAPITOLO 5

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

Le temps est venu pour la reconstruction de la


pensée i.e.
(F. Bader)
The comparative method in historical linguistics
can illumine not only ancient way of life but also
ancient modes of thought.
(C Watkins)

5.1. SUL CONCETTO DI LINGUA POETICA

Anche ammettendo, come ho fatto arbitrariamente e proditoria-


mente nel corso della presente ricerca, che esista un’opinione general-
mente condivisa su cosa intendere con lingua, poetico e indeuropeo,
resterebbe pur sempre ancora da chiarire cosa significhi esattamente
‘lingua poetica i.e.’: giunti alla fine della prima parte, è forse ora
possibile.
1
Per circoscrivere la questione, è necessario innanzitutto ricorda-
re, e tenere poi ben presenti, alcuni dei punti stabiliti in precedenza:
1) abbiamo qui a che fare con una poesia orale;
2) essa è frutto di una elaborazione collettiva;
3) nelle società orali la funzione della lingua poetica è quella di
convogliare significazione nel contesto mitico-rituale, esprimendo at-
traverso la narrazione pubblica ciò che una data società afferma su se
stessa;
4) ciò che marca la lingua poetica rispetto alla lingua quotidiana è
la presenza del ritmo;

1
Vd. supra, pp. 88 sgg.

125
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

5) i testi più antichi delle lingue i.e. da un certo punto in avanti sono
diventati formulazioni orali standardizzate, cioè testi fissi;
6) in una società arcaica la letteratura orale costituisce la summa
dei saperi di quella specifica etnia.
Detto questo, cosa intendere allora per ‘lingua poetica’?
Senza entrare nel labirinto delle decine di teorie diverse esistenti
2
su tale concetto, farò qui riferimento in parte ad alcuni scritti di R.
Ambrosini, uno studioso che nel corso del tempo è tornato più volte
ad esaminare, specificatamente ma non esclusivamente, la nozione di
3
lingua poetica i.e.
La prima distinzione da fare è quella tra lingua poetica, lingua
della poesia e lingua letteraria; il termine di confronto per tutte e tre
queste nozioni è la lingua in genere, la lingua spontanea, la lingua
quotidiana, la prosa, insomma quella lingua che non essendo né
poetica né letteraria ha «una forma che deliberatamente prescinde da
4
costanti strutturazioni ritmico-melodiche».
Lingua poetica e lingua della poesia non sono la stessa cosa: la
lingua della poesia è la lingua dei testi in versi in quanto opposti ai testi
non in versi; invece, con lingua poetica bisogna intendere, in generale,
un tipo di lingua le cui caratteristiche formali (per es. l’andamento
ritmico-musicale o drammatico, la complessità sintattica e lessicale,
ecc.) la contrappongono sì alla lingua quotidiana, ma che non è esclusi-
5
va della poesia, potendo essere propria anche a opere in prosa.
Nel caso della lingua poetica i.e., tuttavia, lingua poetica e lingua
della poesia finiscono per coincidere perché non abbiamo testimo-
nianze arcaiche in prosa ‘alta’ coeve a quelle in poesia: il contenuto
delle tavolette micenee è noto; la parte in prosa dell’Atharva-Veda,
oltre a essere di redazione più recente, così come l’Edda in prosa

2
Pur nel rispetto dovuto a uno dei miei maestri – mi sono infatti addottorato a Pisa
avendolo come relatore della tesi finale (insieme a R. Lazzeroni), un volume che poi ha avuto la
bontà di pubblicarmi nella sua ‘Nuova collana di linguistica’ –, come si vedrà tuttavia non tutto
di ciò che egli sostiene su questi argomenti mi convince.
3
A questo riguardo, di R. Ambrosini va visto innanzitutto Per una concezione processuale
della ricostruzione linguistica, in Studi T. Bolelli, Pisa 1974, pp. 17 -37, e poi alcuni lavori dedicati
precipuamente ai concetti di ‘lingua letteraria’ e di ‘lingua poetica’ apparsi nel 1984/1988, ma
rivisti e ripubblicati in ID., Saggi di critica linguistica, Pisa 1989; da ultimo, anche alcune pagine
di ID., Le lingue indo-europee. Origini, sviluppo e caratteristiche delle lingue indo-europee nel
quadro delle lingue del mondo, Pisa 1991.
4
Cit. da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 70.
5
Secondo R. AMBROSINI (Saggi… cit., pp. 69 sgg.), le caratteristiche principali della lingua
poetica sono l’armonizzazione, la libera associabilità e l’ermetismo.

126
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

rispetto all’Edda poetica, non è «così significativa da permettere una


6
sicura contrapposizione» rispetto alle parti in poesia; il caso dei testi
i.e. anatolici è a metà tra i precedenti, essendo essi per la quasi totalità
7
in prosa e per lo più certo di qualità non poetica.
Anche se, stante la documentazione esistente in altre culture, non
si può escludere a priori l’esistenza nel mondo i.e. di narrazioni orali
tradizionali in prosa, è certo che la prosa mal si presta ad essere
8
memorizzata e trasmessa: è verosimile che se esistettero tali testi,
9
esistenza di cui dubito assai, sia questo uno dei motivi per cui non ne
abbiamo testimonianza.
Se dunque vi è stata, da parte degli studiosi che si sono occupati di
lingua poetica i.e., nell’interpretazione del sintagma indogermanische
Dichtersprache confusione tra lingua della poesia e lingua poetica, essa
appare in parte giustificata; meno giustificabile appare invece la man-
cata distinzione tra lingua poetica e lingua letteraria.
Qualsiasi cosa si intenda per lingua letteraria, non si può certo
negare che la lingua di Omero e la lingua del g-Veda siano lingue
letterarie. Ma una lingua letteraria «esiste in quanto se ne ha o se ne
propone un concetto […]. È l’idea che si ha di una serie di convenzio-
ni sollecitate da particolari motivazioni e caratterizzate da attributi
particolari quella che determina la formazione (e quindi la forma) di
10
una lingua letteraria»; essa è dunque innanzitutto frutto di un atto di
consapevolezza: «[…] la lingua letteraria si realizza in un testo organiz-
zato secondo princìpi determinati che discendono a loro volta da
motivazioni tutte sociali, ma di varia specie. Poiché i testi in lingua
letteraria sono proposti all’altrui attenzione e comunicano contenuti
che sono giudicati degni di essere ricordati, si differenziano dagli atti
di lingua spontanea, che hanno, sì, la possibilità di disporre di conte-
nuti altrettanto validi ma con la differenza che tale condizione vi è solo
eventuale e non normativa. Da ciò deriva la possibilità delle frasi della
lingua spontanea di essere chiuse o no, di essere più o meno ordinate e
collegate tra loro, mentre quelle in lingua letteraria sono normativa-

6
Cit. da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 72.
7
Il caso del miceneo e delle lingue i.e. anatoliche, le uniche fonti di testimonianze arcaiche
i.e. scritte, è ovviamente più complesso di quanto qui possa apparire: verrà trattato nella seconda
parte.
8
Cfr. E. A. HAVELOCK, op. cit. (nota 37, p. 39), p. 41.
9
Vd. infra, pp. 271 sgg.
10
Cit. da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 72.

127
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

mente ed esclusivamente tali ed utilizzano non casualmente ma di


proposito successioni foniche o ritmiche determinate. Tale proposito
non è nient’altro che la manifestazione volontaristica del ‘concetto di
11
lingua letteraria’».
Le principali caratteristiche di una lingua letteraria (orale) sono
12
poi le seguenti:
1) essa è organizzata internamente al fine di trasmettere una
determinata idea in modo che valga al di là del contingente: essendo
dotata di un’autorità che le deriva dalla forma scelta, essa tende ad
essere potenzialmente riutilizzabile in contesti diversi da quelli della
prima redazione. La lingua letteraria «[…] è una delle grammatiche
possibili della lingua usata – anzi è questa la parte più organicamente
funzionale e specificatamente finalizzata. Nonostante la contraddizio-
ne apparente, proprio finalizzazione e funzionalità permettono il riuso
13
non contestuale della lingua letteraria […]»;
2) la lingua letteraria si pone come forma dell’espressione di
determinati valori, esprime cioè la verità sociale dei contenuti espressi
per suo tramite: «[…] essa si propone di rendere oggettivo – se non
14
addirittura un oggetto – ciò che con essa vien detto»;
3) la sua forma è tale da suscitare, grazie all’uso di mezzi retorici
adeguati, accettazione e memorizzazione;
4) le sue frasi, e in particolare i versi, hanno una struttura (ritmica)
autonoma e in sé completa, tale da non consentire aggiunte ulteriori;
5) nella lingua letteraria è assente un destinatario specifico, come
in ogni messaggio in cui sia il mittente che il destinatario sono sperso-
nalizzati.
Credo sia evidente come queste caratteristiche si leghino ai punti
ricordati sopra; quali conclusioni trarne allora?
La lingua della poesia i.e. ad un certo punto della sua storia,
15
probabilmente nel passaggio alla fase rapsodica, si formalizzò con-
sapevolmente in una lingua letteraria – cioè la lingua di una letteratura
in versi –, modificando e adattando in parte gli strumenti poetici –
cioè la lingua poetica – della fase preletteraria.

11
Ivi, p. 53.
12
Su tutto ciò, vd. anche G. COSTA, 1989; alcune altre caratteristiche messe in luce da R.
Ambrosini mi sembrano proprie soltanto a una lingua letteraria scritta e forse moderna.
13
Cito da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 67.
14
Ivi, p. 64.
15
Cfr. supra, pp. 96 sgg.

128
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

Tra le caratteristiche proprie alla lingua poetica, per esempio,


l’importanza dell’armonizzazione della forma fonica dovette aumen-
tare perché i testi si andavano progressivamente fissando e ritmo e
melodia sono fondamentali per la memorizzazione; per lo stesso
16
motivo, la libertà di associazione dovette diminuire a favore della
fraseologia e della tematica tradizionale attesa dall’uditorio; mentre,
stando anche agli studi della Bader, probabilmente crebbe e si raffinò
l’ermetismo per la nascita di una casta di poeti professionisti.
Chiarito così cosa intendere con indogermanische Dichtersprache,
non vedo serie obbiezioni per continuare ad usare questa denomina-
zione per le ricerche in oggetto.

5. 2. I RISULTATI

Secondo uno stilema di composizione circolare già di epoca i.e.,


per trarre le conclusioni della prima parte e formulare gli interrogativi
a cui cercherò di rispondere nella seconda, tornerò ora a quelle tre
17
domande iniziali da cui ero partito per commentare i risultati otte-
nuti da R. Schmitt nel 1967:
1) i confronti poetici proposti rinviano a una parentela genetica o
a un’affinità elementare e tipologica?
2) si deve parlare di lingua poetica pan-indeuropea o solo greco-
aria?
3) quale è lo sfondo concreto e reale della lingua poetica i.e.?
Alla prima domanda, si può rispondere ora, dopo aver esaminato
i venticinque anni di studi che hanno fatto seguito a Dichtung und
Dichtersprache in indogermanischer Zeit, confermando definitivamente
quanto detto sopra: la messe e la qualità dei dati raccolti è tale da
escludere che la globalità dei confronti raccolti sia dovuta alla comu-
nanza tipologica o all’affinità elementare; tuttavia, come si è visto in
alcuni casi nel cap. I,4, sono queste due ipotesi che rimangono sempre
possibili per i singoli confronti proposti ed è compito degli studiosi
valutare di volta in volta, sulla base di un metodo oramai probante e dei

16
Non credo comunque che la libera associabilità sia «il risvolto formale dell’indipendenza
del rapporto vero/falso» (R. AMBROSINI, op. cit., p. 90); in una lingua poetica arcaica, è per lo più
il mito a parlare e l’ambito del mito è il certum non il verum, come già distingueva G. B. Vico: cfr.
J. HILLMAN, On Mythic Certitude, «Sphinx» (1990), ora in versione italiana in ID., Oltre
l’umanismo, Bergamo 1996, pp. 31-59, vd. anche infra, pp. 197 sgg.
17
Cfr. supra, p. 20.

129
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

risultati già acquisiti, quali confronti attribuire alla lingua poetica i.e. e
quali invece escludere per la loro non restringibile indeterminatezza.
La risposta alla seconda domanda è più complessa e, almeno per
ora, può essere compiutamente definita solo come ipotesi di lavoro.
Innanzitutto, va osservato che se resta vero che nessuna lingua i.e.
ha una tradizione letteraria paragonabile per arcaicità e quantità a
quelle greca e indiana antica, e dunque il numero dei confronti tra
questi due dominii linguistici non può sorprenderci, è pur vero anche
che l’iranico, forse perché la valenza innovativa della ‘rivoluzione’
zarathustriana dovette essere forte anche sul patrimonio poetico ere-
18
ditato, se molto ha in comune sul versante poetico con l’indiano
antico, viceversa più raramente offre riscontri al greco, e dunque non
di fenomeno genericamente greco-ario si dovrebbe parlare ma al più
di fatti greco-vedici.
Comunque sia, l’argomento decisivo contro l’ipotesi, sostenuta
soprattutto da M. Durante, che il materiale poetico comparato appar-
tenga a una lingua poetica greco-aria e non globalmente i.e., viene
dalla gran messe di testimonianze raccolte nel celtico: una mole di
confronti la cui importanza è per lo meno di pari valore a quella delle
tradizioni greca e aria. Se non per questo siamo autorizzati a ipotizzare
una lingua poetica greco-ario-celtica, tuttavia, diversamente da E.
Campanile, non invocherò qui la norma delle aree laterali per attribui-
re all’i.e.le concordanze celtico-vediche: in generale, la mia opinione è
che il materiale raccolto da Schmitt e quello messo in luce dalle
ricerche seguenti, evidenzi, all’interno di un fenomeno che dovette
essere proprio già al periodo comune, una serie di articolazioni pro-
prie sia a fasi prediasporiche, che a fasi post-diasporiche in cui già si
erano formate le singole etnie pre-storiche. Dicendo ciò, non intendo
riesumare i nodi intermedi dell’albero geneaologico e tutto quel che
ne consegue: la lingua poetica appartiene variamente e diversamente
alle singole popolazioni i.e. non solo perché, ad esempio, diversissima
è la documentazione superstite delle fasi arcaiche delle varie lingue
19
i.e., ma perché essa appartiene all’i.e. storico e pertanto ne riflette e
20
ne sostanzia le DIA-variazioni.

18
Un caso è segnalato in G. COSTA, 1987b.
19
Vd. supra, pp. 108 sgg.
20
Seguendo A. L. PROSDOCIMI, «Con DIA intendo convenzionalmente il modulo comples-
sivo della variabilità linguistica, ove accanto alla dimensione diacronica, vengono considerati – e
pariteticamente intesi – ai fini della variabilità i parametri dello spazio (diatopia), della società

130
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

Almeno come ipotesi di lavoro, la lingua poetica va dunque


considerata come un fenomeno di diffusione pan-indeuropea.
Nella seconda parte della presente ricerca, e vengo così anche alla
terza domanda, tenterò di interpretare le variazioni che essa presenta,
cercando in tal modo di definire «lo sfondo concreto e reale della
lingua poetica i.e.».
Se consideriamo la lingua poetica come una – o addirittura, come
io credo, la più importante – delle vicende intellettuali che hanno
segnato la storia della circolazione linguistica all’interno dell’Indeuro-
21
pa, ricostruire lo sfondo reale, cioè storico e culturale, in cui essa si
colloca, significa al contempo ricostruire le motivazioni e le modalità
alla base della distribuzione delle isoglosse poetiche e lo spazio fisico-
temporale in cui si situavano le popolazioni che di quella lingua
poetica si servirono. Intendo dire, insomma, che origini della lingua
poetica e origini i.e. non possono essere considerate, se non altro dal
punto di vista metodologico, come fatti separati tra loro, sempre che
non si voglia ancora una volta separare lingua e parlanti, lingua e
storia.
Occorre rilevare, infatti, che se le ricerche seguite alla sintesi di R.
Schmitt hanno illuminato molti degli aspetti con cui la lingua poetica
si concretizzava nelle società arcaiche di lingua i.e., chiarendo, ad
esempio, i rapporti tra poeta e committente, tuttavia, ancora non
sappiamo come, quando, perché, da quali esigenze storiche e sociali,
psicologiche e intellettuali, essa ebbe impulso e origine. Certo, diver-
samente da altri dominii linguistico-culturali, l’assenza di qualsivoglia
realtà documentaria attribuibile con sicurezza agli Indeuropei rende il
tentativo di rispondere a queste domande arduo e temo forzatamente
impreciso, e tuttavia non ritengo a priori non storicizzabile la preisto-
ria i.e.; credo anzi che l’aver demandato questo compito ai non
linguisti, come è stato per lo più nell’ultimo decennio, sia stato per
l’indeuropeistica un errore di prospettiva. Se, come crede C. Watkins,
gli studi sulla lingua poetica i.e. rappresentano davvero la ‘nuova

(diastratia) e degli atteggiamenti comunicativi (diafasia)»: cit. da A. L. PROSDOCIMI, Filoni


indeuropei in Italia… cit. (nota 74, p. 75), p. 12, nota 3; su questo concetto, dello stesso A. vd.
anche: Il lessico istituzionale italico… cit. (nota 127, p. 92), p. 30, nota 3; Diachrony and
Reconstruction: ‘genera proxima’ and ‘differentia specifica’, in Proceed. of the XIIth Int. Congr. of
Linguists (Wien: 28/8-2/9/1977), Innsbruck 1978, pp. 84-98; Diacronia: ricostruzione. Genera
proxima e differentia specifica, «LS» 13,3 (1978), pp. 335-371.
21
Vd. supra, pp. 109 sgg.

131
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO

filologia comparata’, è lecito allora attendersi che queste ricerche


tornino a occuparsi della realtà preistorica i.e.

5. 3. LA LINGUA POETICA COME EURESI DEL PENSIERO INDEUROPEO

Così intesa, l’indagine sulla lingua poetica i.e. è dunque lungi


dall’essere conclusa; è possibile anzi che nuovi e importanti filoni di
materiale comparativo possano essere trovati in lingue rimaste finora
22
sterili sul versante poetico, come ad esempio il lettone, o che indica-
zioni significative vengano dall’applicazione di tecnologie e strumenti
nuovi. Penso qui in particolare a un possibile adattamento delle
23
procedure di analisi computerizzata sviluppate da Giampaolo Sasso
per l’individuazione di anagrammi all’interno di testi poetici moderni.
L’utilizzo di tali procedure potrebbe consentire, tra l’altro, l’appro-
fondimento e la verifica dei risultati ottenuti da F. Bader sulla lettera-
tura i.e. di enigmi, favorendo l’estensione dell’analisi, grazie alle pos-
sibilità offerte dal computer, all’intetezza di quei testi, come l’Iliade o
il g-Veda, la cui lunghezza è uno dei primi ostacoli ad indagini così
complesse. Oltre che rendere così una volta per tutte giustizia alle
geniali intuizioni di Ferdinand de Saussure sugli anagrammi, avrem-
mo forse modo di scoprire legami poetici tra lingue i.e. finora parse
distanti tra loro, legami altrimenti insospettabili perché celati come
testi nei testi.
Al di là degli sviluppi indicati, possibili e auspicabili così come
altri, a mio parere è necessario comunque fin da ora far entrare in
gioco nelle ricerche sulla poetica i.e. i risultati e i metodi di altre
discipline scientifiche, contermini o meno, e questo perché se voglia-
mo tentare con qualche credibilità un’impresa ardita come quella di
24
cominciare a ricostruire il pensiero i.e., come scrive F. Bader, dob-
biamo fare appello a tutte le conoscenze sull’uomo e sulla sua mente
attualmente note. Per costruire ipotesi che abbiano senso, il senso
limitato e liminare oggi possibile, occorrerà sfruttare, senza pregiudizi
e senza timori epistemologici, ogni dato, ogni brandello di sapere,

22
V d. supra, nota 8, p. 56.
23
Vd. G. SASSO, Le strutture anagrammatiche della poesia, Milano 1982 e soprattutto ID.,
La mente in tra linguistica. L’instabilità del segno: anagrammi e parole dentro le parole, Genova
1993.
24
Vd. supra, p. 76.

132
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

ogni nozione che possa contribuire a farci accedere al pensiero i.e.


Pensiero e non soltanto ideologia, cultura o religione, perché,
25
seguendo Cartesio, intendo con la parola ‘pensiero’ qualsiasi attività
mentale – o l’insieme di tali attività – propria solo al genere umano.
La ricchezza del materiale messo a nostra disposizione dalle ricer-
che sulla lingua poetica, è tale da costituire una fonte di accesso unica
e privilegiata al pensiero delle popolazioni di lingua i.e., ma la lingua
poetica in sé, intesa come unità fenomenica e funzionale, costituisce
una fonte di accesso all’organizzazione del pensiero, al pensiero sul
pensiero, all’autocoscienza.
Scrive E. Jünger,

la maniera sagace e mirabile con cui oggi noi rendiamo accessibile alla
conoscenza il passato più remoto deriva dalla trasformazione del nostro
sentimento del tempo. Così lo sguardo della storiografia acquista intensità
evocatrice, e si fa tutt’uno con la poesia. Questa facoltà di evocare per
incantesimo la più antica umanità dalle sue ombre è uno dei nostri grandiosi
spettacoli. Quali sono i reperti e le fonti primarie? perché cominciano a
parlare oggi, dal momento che esistevano già, da sempre? Per lo spirito, essi
hanno la funzione di talismani, ed è impressionante vedere, quando vengono
26
sfiorati come la lampada di Aladino, che cosa sale dalle arcate dei millenni.

Evocata da generazioni di studi mirabili e sagaci, dalle arcate


millenarie della lingua poetica mi proverò dunque a far salire le forme
e i significati dell’autocoscienza i.e.

25
Cfr. R. DESCARTES, Principia philosophiae, 1644, vol. I, par. 9.
26
Cit. da E. JÜNGER, Am Sarazenenturm (1954), trad. it. in ID., Il contemplatore
solitario, Parma 1995, p. 100.

133
PARTE II

LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA


INDEUROPEA
CAPITOLO 1

VERSO UN METODO COMPLESSO

Il fenomeno non è staccato dall’osservatore, ma


al contrario è coinvolto dall’individualità di que-
st’ultimo.
(J. W. Goethe)

Esaurite, con la ricognizione critica degli studi precedenti e dei


metodi adottati, la raccolta dei dati e la preparazione degli strumenti
linguistico-comparativi, nella seconda parte della presente ricerca
proverò a collocare le origini della lingua poetica i.e. nel tempo e nello
spazio preistorico e nell’ orizzonte culturale e nella trama psicologica
delle popolazioni che la utilizzarono.
L’ipotesi che tenterò di sostenere è la seguente: la lingua poetica
i.e. rappresenta l’organizzazione delle forme mentali e dei contenuti
etico-etnici di uno stadio arcaico di autocoscienza collettiva e individua-
le. Lingua poetica e autocoscienza non sono, tuttavia, che i nomi delle
descrizioni dei due aspetti, quello fisico e quello mentale, dello stesso
fenomeno: poiché nella Creatura tutto consiste soltanto in nomi, mappe
e nomi di relazioni, la lingua poetica può essere definita, infatti, come la
mappa concettuale della realtà di cui gli Indeuropei erano autocoscienti;
inoltre, costituendo essa la formalizzazione linguistica, l’ordinamento
tematico, l’esplicitazione narrativa e il veicolo trasmissorio-asseverativo
di tale forma arcaica di autocoscienza, attraverso la sua analisi è possibi-
le ricostruire lo stile operativo e le finalità di sopravvivenza di quest’ul-
tima. Questo fenomeno ebbe origine nel periodo della transizione neoli-
tica dalle necessità tribali di autorafforzamento psichico-coesivo scaturi-
te dall’incontro di alcune delle genti i.e. con le culture e le popolazioni
anindeuropee del Vicino Oriente ed ebbe poi modalità diversamente

137
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

vincolanti a seconda delle varie vicende (proto-)storiche delle singole


popolazioni i.e. coinvolte.
Poiché quasi ciascuno dei termini contenuti in questa ipotesi
necessita a sua volta di una definizione metodologica e di un inqua-
dramento teoretico, il lavoro necessario a questo scopo coinciderà in
gran parte con la dimostrazione dell’ipotesi stessa.
Prima di ciò, è necessario tuttavia un ulteriore approfondimento
epistemologico perché gli strumenti concettuali e metaforici della sola
linguistica, da questo punto in avanti, sono insufficienti per tentare di
comprendere globalmente l’oggetto della ricerca e per cercare di tra-
scendere endo-psichicamente il fenomeno delimitato nella prima parte,
poiché «un discorso di un dato tipo logico, non importa quanto esteso e
1
quanto rigoroso, non può ‘spiegare’ fenomeni di un tipo superiore».
Aggiungerò poi anche l’indicazione di alcuni vincoli che ho rite-
nuto di dover imporre alla mia ricerca e, strada facendo, le definizioni
di alcuni dei termini chiave che ricorreranno più di frequente in
questa seconda parte, da aggiungere a quelle di alcuni altri già date
2
nella prima.
***
3
Come ho già accennato in precedenza, non credo esistano a
priori obbiezioni all’utilizzo negli studi di linguistica comparata di
nozioni e concetti tratti da altre discipline; ho detto anche che per
tentare di ricostruire il pensiero i.e. è necessario far appello a tutte le
4
conoscenze sull’uomo e sulla sua mente attualmente note.
Ora, io sono convinto che il metodo scientifico o è ipotetico-
deduttivo o non è scientifico:

molti ricercatori, specialmente nelle scienze del comportamento, sembrano


credere che il progresso scientifico avvenga in modo prevalentemente indut-
tivo, e che così debba essere. […] Essi credono che i progressi si compiano
studiando i dati ‘grezzi’, studio che dovrebbe condurre a nuovi concetti
euristici. Questi ultimi debbono poi essere riguardati come ‘ipotesi di lavoro’
e debbono essere controllati mediante altri dati; pian piano, così si spera, i
concetti euristici verranno corretti e migliorati fino a diventare degni, da

1
Cit. da G. BATESON, Steps… cit. (nota 14, p. 140), p. 321.
2
Cfr. supra, passim.
3
Vd. supra, pp. 132-3.
4
Vd. supra, p. 132.

138
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

ultimo, di occupare un posto nei principi fondamentali. Circa mezzo secolo


di un lavoro cui hanno contribuito migliaia di uomini intelligenti ha prodot-
to, in effetti, una ricca messe di parecchie centinaia di concetti euristici, ma,
ahimè, forse neppure un solo principio degno di figurare nell’elenco dei
principi fondamentali. È perfino troppo evidente che la gran maggioranza
dei concetti della psicologia, psichiatria, antropologia, sociologia ed econo-
mia [ma, aggiungo io, l’elenco potrebbe essere ampliato fino ad includervi tutte
le scienze umane] contemporanee sono affatto isolati dalla rete dei princìpi
5
scientifici fondamentali.

Se dunque la sola induzione costituisce un metodo scientifico


insostenibile, «al contrario, i progressi del sapere scientifico scaturi-
scono idealmente da un deduttivismo ipotetico; innanzitutto, lo svi-
luppo di un’ipotesi in rapporto alla situazione di un problema, poi la
verifica di tale ipotesi sulla base di tutte le conoscenze rilevanti del
6
caso e quindi attraverso il suo grande potere esplicativo».
Esposta pertanto secondo il metodo ipotetico-deduttivo la mia
ipotesi, dirò innanzitutto che nello sfruttare nozioni e concetti tratti
da altre discipline per descrivere, interpretare e spiegare taluni dei
fenomeni connessi all’ipotesi suddetta – e dunque nei casi particolari
e non nel metodo generale – farò uso dell’abduzione, intendendo con
questo termine il fatto che si può descrivere un certo evento e poi
cercare altri casi che obbediscano alle stesse regole escogitate per la
prima descrizione: l’estensione laterale delle componenti astratte della
7
descrizione è appunto l’abduzione.
Ma «la metafora, il sogno, la parabola, l’allegoria, tutta l’arte, tutta
la scienza, tutta la religione, tutta la poesia, il totemismo, l’organizza-
zione dei fatti nell’anatomia comparata: tutti questi sono esempi o
8
aggregati di esempi di abduzione, entro la sfera mentale dell’uomo»;
l’abduzione è quindi anche un procedimento mentale, uno schema di
pensiero comune – anche se meno noto dell’induzione, della deduzio-
ne o della generalizzazione – le cui estensioni hanno conseguenze
9
importanti nei processi di formazione della cultura.

5
Cit. da G. BATESON, Steps… cit. (nota 14, p. 140), p. 24.
6
Cit. da J. C. ECCLES, How the Self controls Its Brain, Berlin – Heidelberg 1994, trad. it.
Milano 1994, p. 19.
7
Cfr. G. BATESON, Mind and Nature… cit. (nota 14, p. 140), pp. 191-194.
8
Ivi, p. 192.
9
Vd. U. ECO, Trattato di semiotica generale, Bologna 1975, pp. 185-188.

139
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Dal punto di vista della teoria dei codici, infatti, l’abduzione è uno
di quei casi in cui la presenza di determinanti non codificate fanno sì
che l’interpretazione, distinta pertanto dalla decodifica, conferisca
senso a vaste porzioni del discorso sulla base di de codifiche parziali:
«il termine interpretazione acquista allora il senso che ha nelle discus-
10
sioni ermeneutiche o nella critica letteraria e artistica».
«[…] Queste interpretazioni talora producono nuove porzioni di
codice in quanto costituiscono processi embrionali di ipercodifica o di
11
ipocodifica»: rimanendo nel nostro campo di studi, un caso tipico di
ipercodifica è quello delle regole narrative individuate da V. J. Propp
12
nei racconti di fiabe, mentre un caso di ipocodifica è per esempio la
via con cui tentiamo la comprensione di testi appartenenti a civiltà
13
scomparse.
Dal punto di vista della storia del pensiero scientifico, l’abduzione
è quindi un procedimento frequente, essendo tra l’altro, per esempio,
alla base anche dell’analisi newtoniana del sistema solare e del sistema
periodico degli elementi di Mendeleev: a patto di inserirla in un
rigoroso sistema ipotetico-deduttivo, riconoscerne prima la sua fun-
zione nel pensiero comune e applicarla poi con consapevolezza nel
metodo scientifico, può rappresentare una base epistemologica con
cui sfruttare senza rischi di tautologie le regole di descrizione, le
nozioni e i concetti di altri ambiti disciplinari.
***
Detto ciò, esporrò ora, sulla base soprattutto delle idee e degli studi
14
di Gregory Bateson, alcuni dei principi generali che considero neces-

10
Ivi, p. 185.
11
Ivi, p. 188.
12
Cfr. ivi, p. 189; secondo U. Eco, si ha un’ipercodifica quando sulla base di una regola
precedente si propone una regola additiva per un’applicazione particolarissima della regola
generale: cfr. ivi, p. 188.
13
«Dunque l’ipocodifica può essere definita come l’operazione per cui, in assenza di
regole più precise, porzioni macroscopiche di certi testi sono provvisoriamente assunte come
unità pertinenti di un codice in formazione, capaci di veicolare porzioni vaghe ma effettive di
contenuto, anche se le regole combinatorie che permettono l’articolazione analitica di tali
porzioni espressive rimangono ignote»: ivi, p. 191; cfr. anche pp. 309 sgg.
14
Farò riferimento per lo più a G. BATESON, Steps to an Ecology of Mind, New York 1975,
trad. it. Milano 1977; ID., Mind and Nature, New York 1979, trad. it. Milano 1984, e al postumo
ID. – MARY CATHERINE BATESON, Angels Fears. Towards an Epistemology of the Sacred, New
York 1987, trad. it. Milano 1989; a cura della sola M. C. Bateson, figlia di Gregory B., va tenuto
presente Our Own Metaphor: A Personal Account of a Conference on Conscious Purpose and

140
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

15
sari per iniziare a determinare un’epistemologia, che, chiarendo a noi
stessi i limiti delle nostre possibilità conoscitive e rendendoci esplicita-
mente consapevoli di come sono costruite le nostre nozioni fondamen-
16
tali, ci consenta di affrontare il problema della coscienza evitando il
rischio di fare affermazioni palesemente auto contraddittorie o di pro-
porre idee in contrasto con le attuali conoscenze scientifiche.
Ho parlato di epistemologia perché, seguendo G. Bateson, «defi-
nisco l’epistemologia come la scienza che studia il processo del cono-
17
scere, l’interazione tra la capacità di rispondere alle differenze da
una parte e, dall’altra, il mondo materiale in cui queste differenze in
qualche modo hanno origine. Abbiamo
18
quindi a che fare con un’inter-
faccia tra Pleroma e Creatura».

Human Adaptation, New York 1972. Pur essendo in questo contesto meno utili, ricordo anche
gli altri volumi di cui è autore G. Bateson: Naven, Cambridge 1936, Stanford – London 1958, II
ed.; ID., Communication: the social Matrix of Psychiatry, New York 1951, II ed. 1968, trad. it.
Bologna 1976; il suo lungo saggio intitolato, The Message ‘This is Play’, in B. SCHAFFNER (ed.),
Group Processes. Trans. of the II Conf. (Princeton: 9-12/10/1955), New York 1956, pp. 145-242,
appare ora in trad. it. come volume autonomo: Milano 1996. Su G. Bateson, infine, si può
utilmente vedere: J. BROCKMAN (ed.), About Bateson, New York 1977.
15
Iniziare a determinare, perché, in generale, occorre tener presente che solo una teoria
universale può essere completa anche sul piano epistemologico: l'unità essenziale della natura
impedisce infatti la costruzione di teorie esaurienti e autoconsistenti per una classe limitata di
fenomeni: cfr. A. EINSTEIN, Note autobiografiche, in P. A. SCHILPP (ed.), Albert Einstein,
scienziato efilosofo, ed. it. Torino 1958, pp. 46-7.
16
Come ricorda J. Hillman a proposito della psicologia, ma anche qui l’avvertimento può
essere esteso con profitto alle altre scienze umane, «[…] le idee che non sappiamo di possedere ci
posseggono modellando le nostre esperienze dietro le nostre spalle, a nostra insaputa. Compito
della psicologia, secondo me, è di vedere, prima o durante l’esame dei dati o degli eventi, il
fattore soggettivo, archetipico, che sta nei nostri occhi. Altre scienze devono far mostra di essere
oggettive, di descrivere le cose come sono; la psicologia per fortuna è sempre vincolata dai suoi
limiti psichici e può risparmiarsi la finzione dell’oggettività. Anziché l’obbligo a essere oggetti-
vamente fattuale, ha quello di essere soggettivamente consapevole; il che è possibile soltanto se
siamo disposti ad affrontare, senza trascurarne nessuno, tutti i postulati delle nostre nozioni più
basilari»: cito da J. HILLMAN, Anima. An Anatomy of a Personified Notion, Princeton 1985, trad.
it. Milano 1989, p. 131.
17
Secondo G. Bateson la differenza (o unità elementare d’informazione) è quell’entità
astratta e non localizzabile che scorgiamo per es. nella diversità tra un oggetto di carta e un
oggetto di legno: «quando si entra nel mondo della comunicazione dell’organizzazione, eccetera
[la Creatura], ci si lascia alle spalle l'intero mondo in cui gli effetti sono prodotti da forze, urti e
scambi di energia [il Pleroma]. Si entra in un mondo in cui gli ‘effetti’ […] sono prodotti da
differenze. Cioè essi sono prodotti da quel tipo di ‘cosa’ che viene trasferita dal territorio alla
mappa [vd. infra, p. 150]. Questa è la differenza» (cit. da Steps… cit., p. 469); la parola ‘idea’,
nella sua accezione più dementare, per Bateson è sinonimo di differenza: cfr. ivi, pp. 469-470.
18
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON op. cit., p. 39 (il corsivo è dell’A.). «Vi è una
definizione più tradizionale, secondo la quale l’epistemologia è semplicemente lo studio filosofi-
co di come sia possibile conoscere. Io preferisco la mia definizione – come di fatto si conosce –

141
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Intesa con ‘interfaccia’ la superficie che costituisce il luogo d’in-


19
contro tra due regioni sistemiche, in quello che segue farò uso in
generale della distinzione, introdotta da G. Bateson sulla base di uno
20
spunto di C. G. Jung, tra Pleroma (= il mondo della materia non
vivente, indagato dalla fisica, che in sé non contiene e non produce
distinzioni) e Creatura (= il mondo della spiegazione, in cui gli stessi
fenomeni da descrivere sono tra loro retti e determinati dalla differen-
za, dalla distinzione e dall’informazione, cioè da caratteristiche orga-
nizzative e comunicative in sé non materiali), perché, diversamente
dal dualismo cartesiano tra mente e materia, nella dicotomia tra
Creatura e Pleroma non vi sono separazioni di fatto, ma soltanto livelli
diversi di descrizione ed entrambi sono necessari per descrivere i
processi mentali.

Benché in questa dicotomia tra Creatura e Pleroma vi sia un evidente


dualismo, è importante chiarire che essi non sono in alcun modo separati o
separabili, tranne che come livelli di descrizione. Da un canto la Creatura
esiste dentro e grazie al Pleroma; l’uso del termine Creatura indica la presen-
za di certe caratteristiche organizzative e comunicative in sé non materiali.
D’altro canto, la conoscenza del Pleroma esiste solo nella Creatura. Queste
due entità si possono incontrare solo in combinazione, mai separate. Le leggi
della fisica e della chimica non sono affatto estranee alla Creatura: sono
sempre valide, ma non sono sufficienti per la sua spiegazione. Quindi la
creatura e il Pleroma non sono sostanze separate, come lo ‘spirito’ e la
‘materia’ di Cartesio, perché i processi mentali hanno bisogno, per presentar-
si, di strutturazioni della materia, di zone in cui il Pleroma è caratterizzato da
un’organizzazione che gli consente di essere influenzato dall’informazione
21
oltre che dagli eventi fisici.

A mio parere, limitatamente a quel che qui ci riguarda, tale


dualismo è compatibile con la teoria dualista-interazionista di

perché inquadra la Creatura nella più ampia totalità, nd regno presumibilmente senza vita del
Pleroma»: ivi, p. 39 (i corsivi sono dell’A.).
19
Questo termine sostituisce in un contesto tridimensionale la nozione di confine; G.
Bateson, e io con lui, usa il termine per indicare confini di sistemi definiti da scambi d’informa-
zione e da cambiamenti di codifica: interfaccia è dunque il termine per indicare il luogo
dell’interazione sistemica; cfr. ivi, p. 315.
20
Cfr. C. G. JÜNG, Septem sermones ad Mortuos, in A. JAFFÉ (hrsg.), Erinnerungen,
Traume, Gedanken von C. G. Jung, Zürich 1961.
21
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 36 (il corsivo è dell’A.); vd. anche ivi,
pp. 95-102.

142
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

22
K. R. Popper e di J. C. Eccles a cui farò riferimento più avanti
nell’esaminare il problema dell’evoluzione della coscienza; la princi-
pale differenza di rilievo – nel sistema di Bateson vi sono due
‘mondi’, nel sistema di Popper tre – si assottiglia se consideriamo,
come qui propongo, il Mondo 2 e il Mondo tre di Popper, cioè
quello che comprende le esperienze coscienti e quello della creati-
23
vità e della conoscenza, come inclusi entrambi nella Creatura;
questo anche perché se si seguisse un opinione non irrilevante
24
diffusa ancora oggi tra i matematici, dovremmo postulare l’esi-
stenza di un quarto Mondo, quello platonico delle forme matemati-
che.
Comunque sia, il fatto importante è che entrambe le teorie si
discostano dal dualismo cartesiano classico, che è sostanziale e non
interattivo, perché considerano parallele e interagenti l’evoluzione
biologica e quella della coscienza, ammettendo l’efficacia causale
degli stati mentali e della coscienza nel provocare cambiamenti negli
eventi nervosi del cervello.
A quanto detto, devo aggiungere che per giustificare conveniente-
mente l’adozione da parte mia delle seguenti tesi, occorrerebbe scrive-
re un altro libro, poiché ciascuna di esse richiama secoli di inesausto
dibattito filosofico, e tuttavia, proprio perché nessuna di esse costitui-
sce più per il panorama intellettuale moderno una novità, è qui forse
sufficiente la forma schematica e scusabile il tono apodittico. Chie-
25
derò dunque al lettore che le consideri per ora a mo’ di postulati: il

22
Gli scritti di K. Popper sono troppo noti per doverli citare; può essere utile invece
ricordare, perché edito solo di recente, il testo di una serie di conferenze su questo argomento
che Sir Karl tenne nel 1969 all’Università di Emory: Knowledge and the Body-Mind Problem. In
Defence of Interaction, London – New York 1994, trad. it. Bologna 1996 (il lettore interessato
troverà comunque in questo volume una bibl. degli scritti di K. R. Popper); qui però farò
soprattutto riferimento a K. R. POPPER – J. C. ECCLES, The self and Its Brain, Berlin – Heidelberg
1977, trad. it. Roma 1992, II ed., e a J. C. ECCLES, op. cit., cap. I e IX; vd. anche infra, pp. 165
sgg.
23
È chiaro che le due teorie non sono certo sovrapponibili, tuttavia la versione del
dualismo interazionista che sostiene le ricerche recenti di J. C. Eccles, è più duttile e convincente
di quella del 1977, anche se quest’ultima, cioè la teoria sui tre mondi di Popper, resta comunque
il suo punto di riferimento primario.
24
Vd., per es., J. PENROSE, Shadows of the Mind, Cambridge 1994, trad. it. Milano 1996,
pp. 500 sgg.
25
Diversamente dal formalismo logico-matematico moderno, uso qui postulato nel suo
significato aristotelico (cfr. An. Post., I, 10, 76b 14; I, 2, 72a 15) di ‘proposizione che si ammette,
o si chiede che sia ammessa, allo scopo di rendere possibile una dimostrazione o un procedimen-

143
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

corso del lavoro chiarirà, con una serie di note e di rimandi, l’utilità e
26
l’uso di quanto qui affermato.
Esse sono:
27
1) la scienza non prova mai nulla;
2) non esiste esperienza oggettiva;
3) la divisione in parti e totalità dell’universo percepito è vantag-
giosa e forse necessaria, ma niente determina come ciò debba essere
fatto;
4) le successioni divergenti sono imprevedibili;
5) le successioni convergenti sono prevedibili;
28
6) dal nulla nasce nulla (senza informazione);
29
7) il numero è diverso dalla quantità;
8) la quantità non determina la struttura;
9) la logica è un cattivo modello della causalità;
10) la causalità non opera all’indietro;
11) stabilità e cambiamento, così come sincronia e diacronia o
tipologia e origine genetica, descrivono parti delle nostre descrizioni;
12) il linguaggio mette in luce di solito solo un aspetto di qualun-
que interazione;
13) ciò che vediamo o sentiamo non è mai direttamente il fenome-
no che abbiamo indagato, ma sempre soltanto qualcuna delle sue
conseguenze;

to qualsiasi e che, pur essendo dimostrabile, viene assunta e utilizzata senza dimostrazione’: cfr.
N. ABBAGNANO, s.v.
26
Per i rinvii biblografici, le esemplificazioni e in generale per un’esposizione più ragionata
e discorsiva, rimando il lettore alle opere di G. Bateson citate alla nota 14, p. 140: la gran parte
delle tesi qui dencate sono tratte infatti, o sono comunque influenzate, dalle ricerche di questo
studioso, uno dei non molti, a mio parere, che ha affrontato cognitivamente il problema del
modo in cui percepiamo, del sistema di presupposizioni inconsce, quell’epistemologia «sepolta
nelle profondità della nostra mente, ma inaccessibile alla coscienza» (cit. da G. BATESON – M. C.
BATESON, op. cit., p. 145) che regge il meccanismo delle nostre percezioni, ottenendo risultati
sfruttabili nel contesto della presente ricerca.
27
G. BATESON, in Mind and Nature… cit., pp. 46-47 (i corsivi sono dell’A.), afferma anche
che «[…] la scienza è un modo di percepire e di dare per così dire ‘senso’ a ciò che percepiamo.
[…] Ciò che noi, come scienziati, possiamo percepire è sempre limitato da una soglia: ciò che è
subliminale non giunge ad arricchire le nostre cognizioni. In qualsiasi istante, la nostra cono-
scenza è sempre funzione della soglia dei mezzi di percezione di cui disponiamo. […] La scienza
non prova, esplora».
28
Sui problemi posti dallo ‘zero’, l’assenza completa di ogni evento indicativo, come
messaggio, vd. G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 67-71.
29
«Il numero appartiene al mondo della struttura formale, della Gestalt e del calcolo
numerico; la quantità appartiene al mondo del calcolo analogico e probabilistico»: ivi, p. 72.

144
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

14) non esistono ‘mentalità primitive’, ma soltanto sistemi semio-


tici, che, adeguati o inadeguati a tracciare la mappa della realtà in cui
si trovano ad operare, consentono o non consentono la sopravvivenza
della popolazione che li utilizza;
15) i modelli matematici della realtà sono rigorosi e coerenti per
quanto riguarda la loro struttura interna, ma usano simboli che non
sono correlati direttamente all’esperienza sensoriale; i corrispettivi
modelli verbali si servono invece di concetti che possono essere
compresi intuitivamente, ma che sono sempre imprecisi e ambigui: da
questo punto di vista, questi ultimi pertanto non differiscono dai
modelli filosofici della realtà, con i quali è quindi possibile confrontar-
li;
16) a livello subatomico e endopsichico, la conoscenza non è più
ricavabile dall’esperienza sensoriale diretta e perciò il linguaggio ordi-
nario, che trae le sue immagini dal mondo dei sensi, non è più
30
adeguato a descrivere i fenomeni osservati.
***
Quanto ciò che ho appena esposto sia debitore nei confronti della
31
cibernetica è evidente; conviene allora ricordarne e assumerne le
32
principali condizioni, aggiungendole ai punti precedenti; la ciberne-
tica afferma:
17) la negazione di ogni tipo o forma di necessità in tutte le
situazioni in cui l’informazione prende posto;
18) la negazione di ogni conoscenza assoluta cioè totale, definitiva
e esauriente e dunque il riconoscimento che la conoscenza è un fatto
eccezionale e improbabile;
19) il riconoscimento dell’importanza del caso, cioè della distribu-
zione disordinata (equiprobabile) degli elementi (entropia), in tutte le

30
Su fisica e linguaggio, vd., tra gli altri, W. HEISENBERG, Physics and Philosophy, New
York 1958, trad. it. Milano 1961, pp. 175-6 e F. CAPRA, The Tao of Physics, New York 1975,
trad. it. Milano 1982, pp. 53 sgg.
31
Alcune recentissime teorie sulla coscienza, tra cui quella di D. J. Chalmers esposta anche
in «SA» (1995), f. 12, trad. it. in «Le Scienze. Quaderni» 91 (1996), pp. 74-80, tornano con
qualche approssimazione alla teoria dell'informazione e alle idee del fisico J. A. Wheeler,
trascurando tuttavia il fatto che a diverse questioni di principio – per es. se un termostato possa
essere cosciente – aveva già risposto G. Bateson. La risposta è no, naturalmente: cfr. G.
BATESON, Steps… cit., pp. 346 sgg., e infra, pp. 148 sgg.
32
Su condizione vs. causalità, vd. infra, pp. 153 sgg.

145
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

circostanze o situazioni in cui l’uomo, o qualsiasi organismo vivente o


macchina, possa trovarsi;
20) la presenza in ogni situazione di possibilità diverse tra le quali
è possibile scegliere;
21) la possibilità all’interno di ciascuna delle scelte possibili di
costruire modelli che selezionino le possibilità alternative, secondo
l’ordine della loro frequenza statistica, e perciò di orientare le scelte
successive;
22) la possibilità di correggere, modificare, generalizzare o parti-
colarizzare tali modelli o crearne di nuovi, a seconda delle diverse
33
esigenze teoretiche o pratiche.
***
Per delineare il tratto successivo, è necessario ora chiarire cosa io
34
intenda per mente: ritengo infatti che in un lavoro dedicato alla
coscienza non sia possibile sottrarsi a una sua definizione, seppur
generica e di lavoro come quella che qui esporrò.
Così come G. Bateson e altri studiosi, io credo che si possa
identificare come ‘mente’ qualunque sistema sensibile alle differenze i
cui requisiti minimi rispondano ai seguenti criteri definitori:
1) la mente è un aggregato di parti o componenti interagenti;
2) l’interazione fra le parti della mente è attivata dalla differenza e
la differenza è un fenomeno asostanziale, non situato nello spazio o
nel tempo; più che all’energia, la differenza è legata all’entropia e
35
all’entropia negativa;

33
Questa sintesi è tratta per lo più da N. ABBAGNANO, s.v. Cibernetica; cfr. anche N.
WIENER, Cibernetics, or Control and Communication in the Animal and the Machine, Cambridge
1948, trad. it. Milano, Bompiani, 1953, n. ed. 1992; E. R. CAIANIELLO – E. DI GIULIO, La
cibernetica, Firenze 1980; H. R. MATURANA – F. J. VARELA, Autopoiesis and Cognition, Dordre-
cht 1980.
34
Sembra invece che evitare di definire cosa sia o cosa si intenda per mente, sia un costume
oramai invalso nella letteratura specialistica recente: vd., per es., R. PENROSE, op. cit., p. 61.
35
«Ci imbattiamo qui in una differenza assai cospicua tra il modo in cui descriviamo il
comune universo materiale (il Pleroma di Jung) e il modo in cui siamo costretti a descrivere la
mente. La diversità sta in questo, che per l’universo materiale saremo di solito in grado di dire
che la ‘causa’ di un evento è una forza o un urto esercitati dal sistema materiale su qualche altra
sua parte: una parte agisce su un’altra. Viceversa, nel mondo delle idee [la Creatura] occorre
una relazione, o tra due parti oppure tra una parte all'istante 1 e la stessa parte all'istante 2, per
poter attivare una qualche terza componente che possiamo chiamare il ricevente. Ciò a cui il
ricevente (ad esempio, un organo di senso terminale) reagisce è una differenza o un cambiamen-
to. […] Il nostro sistema sensoriale – e certo anche quello di tutte le altre creature […] e perfino
i sistemi mentali che stanno dietro i sensi – […] può funzionare solo con eventi, che possiamo

146
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

3) il processo mentale richiede un’energia collaterale;


4) il processo mentale richiede catene di determinazione circolari
(o più complesse);
5) nel processo mentale gli effetti della differenza devono essere
considerati come trasformate (cioè versioni codificate) della differen-
za che li ha preceduti;
6) la descrizione e la classificazione di questi processi di trasfor-
mazione rivelano una gerarchia di tipi logici36immanenti ai fenomeni;
7) nel processo mentale l’informazione37 deve essere distribuita in
modo non uniforme fra le parti interagenti;
8) i processi di formazione delle immagini sono inconsci.
Come conseguenza, un sistema di tal genere avrà innanzitutto38
due caratteristiche assai importanti: l’autonomia e la morte. L’autono-
mia o il controllo di sé deriverà dalla struttura ricorsiva del sistema
(criterio n. 4); la morte, resa possibile dal fatto che l’entità è composta
di molte parti (criterio n.1), sarà causata dalla rottura dei circuiti e
dalla distruzione dell’autonomia (criterio n. 4). Il sistema, inoltre, si
dimostrerà autocorrettivo, sarà cioè capace di finalità e di scelte, nella
direzione dell’omeostasi o nella direzione dell’instabilità; l’autocorre-
zione implicherà altresì che il sistema, procedendo per giochi stocasti-

chiamare cambiamenti [cioè differenze]. […] Gli organi terminali ricevono continuamente
eventi che corrispondono a contorni dd mondo visibile. Noi tracciamo distinzioni, cioè le
estraiamo. Le distinzioni che non vengono estratte non esistono […]. Le differenze latenti, cioè
quelle che per una ragione qualsiasi non producono una differenza, non sono informazioni […].
Attneave ha dimostrato che l’informazione (cioè la differenza o distinzione percettibile) è
necessariamente concentrata nei contorni»: cit. da G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 130
sgg. (i corsivi sono dell’A.); il riferimento è a F. ATTNEAVE, Applications of Information Theory
to Psychology, New York 1959. Sulla distinzione tra differenze sottrattive e differenze di
rapporto, vd. G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 101; sul concetto di entropia negativa,
vd. infra, p. 151.
36
Secondo G. Bateson, l’informazione può essere definita anche come una differenza che
produce una differenza a distanza: «in effetti ciò che intendiamo per informazione (per unità
elementare d’informazione) è una differenza che produce una differenza ed è in grado di produrre
una differenza perché i canali neurali, lungo i quali essa viaggia e viene continuamente trasfor-
mata, sono anch’essi dotati di energia»: cit. da G. BATESON, Steps… cit., p. 470 (il corsivo è
dell’A.); cfr. anche G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 34 e p. 186.
37
Cfr. ivi, pp. 37 e 134; G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 126 sgg.
38
G. Bateson ha messo in luce come la patologia sia possibile solo nella Creatura, «perché
nel Pleroma la causazione fisica diretta rende impossibile l’errore. L’universo fisico non com-
mette errori. L’universo fisico fornisce casualità ed entropia, ma l’errore è un fenomeno
biologico – se col termine errore vogliamo indicare l’esistenza o il valore di un eventuale
qualcosa che sarebbe ‘giusto’ o ‘corretto’, essendo l’errore una differenza fra ciò che è e
ciò che avrebbe potuto essere»: cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 286 (il
corsivo è dell’A.).

147
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

39
ci come ‘tentativi 40
ed errori’, apprenderà e ricorderà, accumulerà
entropia negativa, sarà in grado 41
di unirsi ad altri sistemi simili a sé
per costruire totalità più grandi.
Tale sistema

eseguirà confronti, sarà cioè sensibile alla differenza (oltre a essere influenza-
to dalle ordinarie ‘cause’ fisiche, come collisioni o forze); ‘elaborerà informa-
zione’, e sarà inevitabilmente autocorrettivo, o in direzione dell’ottimalità
omeostatica ovvero in direzione della massimizzazione di certe variabili. […]
Ma, ed è ciò che più conta in questo contesto, si sa che nessuna parte di
questo sistema in interazione può esercitare un controllo unilaterale sul resto
del sistema o su una qualunque altra sua parte. Le caratteristiche mentali
sono inerenti o immanenti nell’insieme in quanto totalità. […] La portata di
questa conclusione si rivela quando ci si chiede: ‘Un calcolatore può pensa-
re?’ oppure: ‘La mente è nel cervello?’. E la risposta sia all’una sia all’altra
domanda sarà negativa […]. Il calcolatore è soltanto un arco di un circuito
più ampio, che comprende sempre un uomo e un ambiente, da cui esso
riceve informazioni e su cui i messaggi efferenti dal calcolatore esercitano un
effetto. Si può dire legittimamente che questo sistema totale, questo aggrega-
to, mostra caratteristiche mentali; esso opera per tentativi ed errori e ha
carattere creativo. Analogamente si può dire che la ‘mente’ è immanente in
quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello; oppure
che la mente è immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel
sistema cervello più corpo; oppure, infine, che la mente è immanente nel più
42
vasto sistema: uomo più ambiente.

Dai criteri suddetti, dunque, non ne consegue necessariamente


che un tale sistema sia dotato di coscienza o che sia in grado di
autoriprodursi, né peraltro che esso sia vivo, nel senso che comune-
43
mente si dà al termine ‘vita’, o che sia confinato in un involucro di
pelle o in una membrana.

39
Una successione di eventi è detta stocastica se combina una componente casuale con un
processo selettivo in modo che solo certi risultati del casuale possano perdurare.
40
Su ciò, vd. infra, p. 151, nota 48.
41
Cfr. G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 171-173.
42
Cit. da ID., Steps… cit., pp. 346-349 (i corsivi sono dell’A.); negli ultimi anni, l’opposizio-
ne – Searle, Penrose, ecc. – all’idea che i computer prima o poi potranno pensare, e dunque che
la mente funzioni come un computer, è andata crescendo.
43
Cfr. G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., pp. 37-38.

148
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

44
Secondo G. Bateson,

l’unità autocorrettiva totale che elabora l’informazione, o che, come dico io,
‘pensa’ e ‘agisce’ e ‘decide’, è un sistema i cui confini non coincidono affatto
coi confini del corpo o di ciò che volgarmente si chiama l’‘io’ o la ‘coscienza’;
ed è importante osservare che vi sono molteplici differenze tra il sistema
pensante e l’‘io’ come viene volgarmente percepito:
1. Il sistema non è un’entità trascendente, come invece è comunemente
supposto esserlo l’‘io’.
2. Le idee sono immanenti in una rete di canali causali lungo i quali si
propagano le trasformate delle differenze. Le ‘idee’ del sistema hanno in ogni
caso una struttura almeno binaria: non sono ‘impulsi’ ma ‘informazioni’.
3. Questa rete di canali non è limitata alla coscienza, ma si estende fino
ad includere tutti i canali dei processi mentali inconsci, siano essi neurovege-
tativi, repressi, nervosi, ormonali.
4. La rete non ha per confine la pelle, ma include tutti i canali esterni
lungo i quali può viaggiare l’informazione. Include anche quelle differenze
efficaci che sono immanenti negli ‘oggetti’ di tali informazioni. Include i
canali sonori e luminosi lungo i quali viaggiano le trasformate di differenze
inizialmente immanenti in cose e in altre persone – e specialmente nelle
nostre stesse azioni. È importante osservare che le credenze basilari (e, io
credo, erronee) dell’epistemologia ordinaria si rinforzano l’una con l’altra.
Se, per esempio, viene scartata l’ordinaria ipotesi della trascendenza, essa
vien subito sostituita da un’ipotesi d’immanenza nel corpo. Ma quest’alterna-
tiva sarà inaccettabile, poiché vaste porzioni della rete pensante sono situate
fuori del corpo.

I requisiti sopra elencati vengono soddisfatti, insomma, da una


vasta gamma di entità complesse, così come da parti di organismi
aventi un certo grado di autonomia di funzionamento e di autoregola-
zione, come le singole cellule e gli organi di senso.
La mente dunque è un sistema capace di processo mentale, la
mente stessa è un processo.
***
Detto questo, per quel che riguarda il processo mentale in genera-
45
le bisogna poi aggiungere, seguendo ancora una volta G. Bateson,

44
Cit. da G. BATESON, Steps… cit., p. 351 (l’ultimo corsivo è mio).
45
Cfr. G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., pp. 40-41 e G. BATESON, Mind and Nature…
cit., pp. 47 sgg.

149
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

che le seguenti regole per un pensiero e una comunicazione corretti


valgono per le proprietà delle mappe, cioè per il processo mentale
stesso, poiché nel Pleroma
46
non vi sono né mappe, né nomi, né classi,
né membri di classi. 47
1) La mappa non è il territorio;
2) il nome non è la cosa designata dal nome;
3) il nome del nome non è il nome;

46
«Ogni individuo umano, anzi ogni organismo, costruisce le sue conoscenze secondo
abitudini personali, e ogni sistema culturale o scientifico favorisce certe abitudini epistemologi-
che. […] Warren McCulloch [uno dei padri della cibernetica] soleva dire che chi pretende di
avere una conoscenza diretta, cioè di non avere un’epistemologia, ha in realtà una cattiva
epistemologia. È compito degli antropologi fare confronti tra molti e diversi sistemi e magari
valutare il prezzo che i sistemi disorganizzati [cfr. supra, p. 145, punto 14] pagano per i propri
errori. La maggior parte delle epistemologie locali, personali e culturali, sbagliano di continuo,
ahimè, perché confondono la mappa con il territorio e perché ritengono che le regole per
tracciare le mappe siano immanenti alla natura di ciò che viene rappresentato nella mappa» (cit.
da G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 40), mentre invece «ogni descrizione, spiegazione o
rappresentazione è necessariamente in qualche senso una proiezione degli elementi derivati dai
fenomeni da descrivere su una qualche superficie o matrice o sistema di coordinate. Nel caso di
una carta geografica, la matrice ricevente è di solito un foglio di carta piano e di estensione finita,
e le difficoltà si presentano quando ciò che si deve proiettare è troppo grande o, ad esempio,
sferico. Altre difficoltà sorgerebbero se la matrice ricevente fosse la superficie di un foro
(ciambella), o una successione lineale discontinua di punti. Ogni matrice ricevente, anche una
lingua o una rete tautologica di proposizioni, ha caratteristiche formali proprie che, in linea di
principio, distorcono i fenomeni che devono esservi proiettati» (cit. da G. BATESON, Mind and
Nature… cit., p. 71, nota 8, il corsivo è dell’A.).
47
Questo principio, nella sua prima formulazione, risale a A. KORZYBISKI, Science and
sanity, New York 1941. «[…] L’interfaccia tra Pleroma e Creatura è un esempio della contrap-
posizione tra ‘mappa’ e ‘territorio’, anzi ne è forse l’esempio primo e più fondamentale»: cit. da
G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 40. Occorre inoltre tener presente che «tutte le
informazioni digitali [un segnale è digitale se tra esso e gli altri segnali dai quali deve essere
distinto vi è discontinuità; quando invece una grandezza o una quantità del segnale vien usata
per rappresentare una quantità dd referente variabile in modo continuo, il segnale si dice
analogico] hanno a che fare con la differenza. Nelle relazioni tra mappa e territorio (di qualsiasi
genere, nel senso più ampio) quello che passa dal territorio alla mappa è sempre e necessaria-
mente la notizia di una differenza [cioè un’informazione]. Se il territorio è omogeneo, sulla
mappa non ci sono segni. […] Il concetto di differenza interviene due volte nell’interpretazione
del processo della percezione: primo, deve esserci una differenza latente o implicita nel territo-
rio; secondo, questa differenza deve essere trasformata in un evento dentro il sistema percipien-
te, cioè la differenza deve superare una soglia, deve essere diversa da un valore di soglia»: cit. da
G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 186 (i corsivi sono dell’A.). Secondo G. Bateson,
sembra che in tutte le percezioni e in tutte le misurazioni agisca una sorta di legge di Weber-
Fechner, ogni volta cioè che un organo di senso viene usato per confrontare due valori della
stessa quantità percepibile (per es., il peso o la luminosità), vi sarà una soglia di differenza
percepibile al di sotto della quale l’organo non può discriminare tra le quantità; questa soglia di
differenza sarà un rapporto e questo rapporto sarà costante su un intervallo di valori assai ampio.
Ciò significa che fra ingresso e sensazione sussiste una relazione tale che la quantità o intensità di
sensazione varia come il logaritmo dell’intensità dell’ingresso (cfr. G. BATESON – M. C. BATE-
SON, op. cit., pp. 185-189).

150
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

4) un elemento di una classe non è la classe, neppure se la classe


ha un solo elemento;
5) la classe non è membro di se stessa;
6) certe classi non hanno membri;
7) nella Creatura tutto consiste in nomi, mappe e nomi di relazioni.
***
Dirò infine che ritengo che qualsiasi ricerca sul funzionamento
della mente, e tanto più un’indagine sulla coscienza, non possa pre-
scindere dal vincolare il proprio metodo al rispetto di quei principi
della fisica sulla cui validità generale persiste tuttora un accordo
condiviso dalla gran parte degli scienziati; sono tali i principi della
termodinamica della meccanica classica:
1) principio 0: due sistemi in equilibrio termico con un terzo sono
in equilibrio tra loro.
2) I principio, o della conservazione dell’energia: la somma del lavoro
esterno e di tutte le energie fornite al sistema in un certo intervallo di
tempo è uguale alla somma delle variazioni di energia verificatesi nello
stesso intervallo di tempo all’interno del sistema stesso.
3) II principio, o della dissipazione dell’energia: esiste una direziona-
lità intrinseca nei processi naturali che avvengono spontaneamente, essi
sono cioè irreversibili nel senso che non possono avvenire spontanea-
mente nel verso opposto: a) nessun motore può trasformare completa-
mente, lavorando ciclicamente, calore in lavoro, cioè una parte di calore
viene sempre dispersa; b) non si può realizzare un processo fisico che
abbia come unico risultato il trasferimento di una certa quantità di calore
da un corpo a temperatura più bassa a un corpo a temperatura più alta.
3a) Questo principio equivale a quello dell’aumento dell’entropia:
nelle trasformazioni reali, irreversibili, di un sistema isolato, la varia-
zione dell’entropia può solo aumentare, cioè è sempre positiva; l’en-
tropia tende quindi a raggiungere un valore massimo, vale a dire
l’equilibrio del sistema, stato al quale corrisponde la cessazione di
ogni ulteriore evoluzione spontanea del sistema; l’entropia dell’uni-
verso è dunque in continuo aumento e un sistema deve pertanto
tendere verso l’equilibrio. L’entropia misura pertanto il grado di
48
disordine di un sistema.

48
Alla contraddizione tra l’idea che il nuovo possa essere estratto solo dal casuale e
l’inevitabilità dell'entropia, G. Bateson ha dedicato il VI Cap. di Mind and Nature. Nella teoria
dell’informazione, partendo dall’osservazione che un messaggio inviato attraverso un canale

151
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

4) III principio: nessun sistema può essere portato allo zero assolu-
to, l’entropia infatti tende a zero con la diminuzione della temperatu-
ra.
***
Dalla meccanica quantistica assumerò invece i seguenti principi:
5) principio di indeterminazione: non possiamo mai conoscere con
precisione la posizione e la quantità di moto di una particella; in
generale: non è possibile determinare con esattezza una quantità
osservabile senza rendere indeterminato il valore di altre quantità
49
osservabili: «[…] in generale, le esperienze eseguite per determinare
una grandezza fisica rendono illusoria la conoscenza di altre grandez-
ze ottenute precedentemente; esse infatti influenzano il sistema su cui
si opera in modo incontrollabile, quindi i valori delle grandezze
50
precedentemente conosciute ne risultano alterati».
Una sorta di principio di indeterminazione era stato adottato
anche da U. Eco nel suo Trattato:

[…] la ricerca semiotica sarà retta da una sorta di principio di indeterminazio-


ne: poiché significare e comunicare sono funzioni sociali che determinano
l’organizzazione e l’evoluzione culturale, ‘parlare’ degli ‘atti di parola’, signi-
ficare la significazione, o comunicare circa la comunicazione, non possono
non influenzare l’universo del parlare, del significare, del comunicare. […]
nelle scienze umane si incorre sovente in una fallacia ideologica che consiste
nel considerare il proprio discorso immune dall’ideologia e, al contrario
‘oggettivo’ e ‘neutrale’. Sfortunatamente ogni ricerca è in qualche modo
51
‘motivata’.

qualsiasi subisce nel corso della trasmisssione deformazioni diverse per cui al suo arrivo una
parte delle informazioni che conteneva è andata perduta, si stabilisce un’analogia tra questa
perdita e l’entropia. In base a questa analogia, la quantità di informazione trasmessa può essere
calcolata come entropia negativa – o neghentropia, dato che nella trasmissione dei messaggi,
come nella trasformazione dell’energia, l’entropia negativa decresce continuamente perché
quella positiva, cioè la perdita d’informazione o la degradazione dell’energia, cresce continua-
mente (cfr. C. E. SHANNON – W. WEAVER, The Mathematical Theory of Communications, Urbana
1949, ed. it. Milano 1971).
49
Com’è noto, la prima formulazione di questo principio fu data nel 1927 da W. HEISEN-
BERG, in Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik,
«ZPh» 43 (1927), pp. 172-198.
50
Cit. da W. HEISENBERG, Die physikalischen Prinzipien der Quantentheorie, Berlin 1930,
vol. I, par. 1.
51
Cit. da U. ECO, op. cit., pp. 44-5.

152
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO

E più avanti egli aggiungeva:

ogni volta che vengono descritte delle strutture della significazione si verifica
qualcosa, nell’universo della comunicazione, che non le rende più completa-
mente attendibili. Questa condizione di squilibrio non è però una contraddi-
zione della semiotica: è una condizione metodologica che la accomuna ad
altre discipline come la fisica, rette da criteri di metodo come il principio di
52
indeterminazione o il principio di complementarità.

La scoperta e l’applicazione sistematica di questo principio hanno


fatto sì che al determinismo causale classico, dove la previsione è
infallibile, si sostituisse un determinismo condizionale in cui la previ-
sione è probabile: «lo sviluppo storico della fisica conduce al risultato
che il concetto di probabilità è fondamentale in tutte le asserzioni
sulla realtà e che strettamente parlando non è possibile una sola
asserzione circa la realtà la cui validità possa essere asserita con più
53
che probabilità».
Al concetto di ‘causa’ si è dunque sostituito quello di ‘condizione’
(o condizionamento), intendendo in generale con condizione ciò che
rende possibile la previsione probabile di un evento. A questa parola
«è pertanto connesso il significato di una limitazione di possibilità tale
che ciò che cade fuori delle possibilità così limitate elimini o renda
54
non-possibile l’oggetto condizionato». L’uso del concetto di condi-
zione, ormai diffuso nelle scienze più diverse, consente di conciliare la
nozione dell’ordine con un certo grado di contingenza o di casualità
nelle relazioni tra gli elementi che entrano a comporlo, conciliando
cioè sia l’obbligo che ogni organizzazione reale degli elementi ha di
partecipare a un qualche sub-insieme di interazioni, sia un certo grado
di libertà nella relazione reciproca delle parti, libertà che è essenziale
all’esistenza di ogni tipo di sistema organizzato, sistema che non
esisterebbe se non fosse possibile una scelta tra un insieme di alterna-
55
tive.

52
Ivi, p. 182.
53
Cit. da H. REICHENBACH, Wahrscheinlichkeitslehre, Berlin 1935, ed. ingl. 1949, p. 10;
dello stesso, vd. anche Philosophic Foundations of Quantum Mechanics, Los Angeles 1944, trad.
it. Torino 1954.
54
Cit. da N. ABBAGNANO, s.v. Condizione.
55
Cfr. supra, p. 146, punto n. 20.

153
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

6) Principio di complementarietà: la rappresentazione corpuscola-


re e quella ondulatoria sono due descrizioni complementari della
stessa realtà, ciascuna delle quali è solo parzialmente adeguata e con
un limitato campo di applicazione. Ognuna delle due rappesentazioni
è necessaria per dare una descrizione completa della realtà atomica,
ed entrambe devono essere applicate entro i limiti fissati dal principio
di indeterminazione; in generale: una descrizione spazio-temporale
rigorosa e una sequenza causale rigorosa di processi individuali non
possono essere realizzate simultaneamente, o l’una o l’altra deve
56
essere sacrificata.
Questo principio è stato formulato per la prima volta da N. Bohr
nel 1927:

[…] ogni tentativo di suddividere i fenomeni richiede necessariamente un


cambiamento nel dispositivo sperimentale, e introduce così nuove possibilità
d’interazione fra oggetti e strumenti misuratori, non controllabili in linea di
principio. Per conseguenza, i dati ottenuti in condizioni sperimentali diverse
non si possono racchiudere in una singola immagine, ma debbono essere
considerati complementari, nel senso che solo la totalità dei fenomeni esauri-
57
sce la possibilità d’informazione sugli oggetti.

56
Cfr. A. D’ABRO, The Rise of New Physics, New York 1951, passim.
57
Cit. da N. BOHR, Discussione con Einstein sui problemi epistemologici della fisica atomica,
in P. A. SCHILPP (ed.), op. cit., pp. 156-7; sull’impossibilità di distinguere tra osservatore e
osservato nello studio della mente, vd. anche N. BOHR, Atomtheorie und Naturbeschreibung,
Berlin 1931, p. 62 e W. PAULI, Die philosophische Bedeutung der Idee der Komplementarität, in
“Experientia” 6 (1950), p. 72; da ultimo, infine, vd. T. MAUDLIN, Quantum Non Locality and
Relativity: Metaphysical Intimations of Modern Physics, Oxford 1994.

154
CAPITOLO 2

LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Il problema della coscienza (più esattamente: del


divenire autocoscienti) ci compare dinanzi; sol-
tanto allorché cominciamo a comprendere in che
misura potremmo fare a meno di essa.
(F. Nietzsche)

2. 1. PER UN’ECOLOGIA DELLA COSCIENZA

Delineata nel capitolo precedente una cornice epistemologica


generale a cui fare riferimento e a cui attenersi, è possibile ora cercare
di convogliare i risultati più verosimili
1
a cui mi sembra siano pervenu-
te le ricerche sulla coscienza in un insieme coerente e funzionale alla
dimostrazione della mia ipotesi sulle origini della lingua poetica i.e.
2
Pur tenendo presente, come avvertiva Schopenhauer, che
«un’ipotesi svolge nella testa, una volta che vi si è insediata o, addirit-
tura, vi è nata, una vita che somiglia a quella di un organismo, in
quanto dal mondo esterno assimila soltanto ciò che le è giovevole e
omogeneo, mentre respinge ciò che le è eterogeno e nocivo, oppure se
non può assolutamente fare a meno di accoglierlo, lo espelle poi tale e
quale», bisogna dire purtroppo che nel caso della coscienza come
problema scientifico e della storia degli studi su di essa, molto di
quanto finora è stato scritto può essere tralasciato – dopo averlo letto

1
Esistono, come si sa, teorie che negano tout court l’esistenza della coscienza, ma, come
osserva J. Jaynes, è «un esercizio interessante cercare con un po’ di calma di essere coscienti di
ciò che significa dire che la coscienza non esiste»: cit. da J. JAYNES, op. cit. (p. 157, nota 6),
p. 28.
2
Cit. da A. SCHOPENAUER, Über Schriftstellerei und Stil, in ID., Parerga e Paralipomena,
Berlin 1851 (= A. HÜBSCHER (hrsg.), A. SCHOPENAUER, Sämtliche Werke, Wiesbaden 1988, IV
ed.) cap. 23, par. 277, trad. it. Torino 1963, n. ed. Milano 1993, p. 30.

155
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

e studiato – senza preoccupazione; così che, in generale, l’opinione


drastica espressa a questo riguardo da S. Sutherland e da altri studiosi,
ha un qualche fondamento:

Coscienza. L’avere percezioni, pensieri e sentimenti; consapevolezza.


Impossibile da definire, se non in termini che sono inintellegibili senza avere
un’idea di ciò che significa coscienza. Molti cadono nella trappola di equipa-
rare la coscienza all’autocoscienza, ma in realtà per essere coscienti è neces-
sario solo essere consapevoli del mondo esterno. La coscienza è un fenomeno
affascinante e al tempo stesso elusivo: è impossibile specificare che cosa sia,
che cosa faccia, o perché si evolse. Su di essa non è stato scritto niente che
3
valga la pena di essere letto.

E tuttavia, se è senza dubbio vero che nessuno è ancora in grado


di dire con certezza, per esempio, se e dove sia localizzata la coscien-
za nel cervello, sulla base di quali meccanismi chimico-fisici e neu-
rologici essa funzioni o perfino se essa sia immanente o trascendente
alla somma complessiva delle attività cerebrali ecc., è vero anche che
negli ultimissimi anni nelle indagini sulla coscienza sono stati fatti
alcuni progressi importanti e che ora, nonostante le diverse teorie
esistenti appaiano allo stato ancora tutte parziali e insoddisfacenti, si
comincia a poter disporre, limitatamente ad alcuni dei diversi aspetti
che il problema pone, di risultati clinico-sperimentali e teoretici
4
affidabili.
Messo da parte quindi lo scetticismo radicale, credo insomma che
sulla base di questi ultimi studi e con la scorta di un’epistemologia
come quella presentata nel capitolo precedente, si possa cominciare a
ricostruire alcune tappe dell’evoluzione della coscienza evitando di
fare affermazioni prive di ogni riscontro o in contraddizione con le
nostre attuali conoscenze scientifiche, un pericolo quest’ultimo sem-

3
Cit. da S. SUTHERLAND, The International Dictionary of Psychology, New York 1989, II
ed. 1995, s.v., la trad. it. è tratta da F. CRICK, The Astonishing Hypothesis, New York 1994, trad.
it. Milano 1994, p. 7.
4
La bibliografia di riferimento è in III,4,6; sugli aspetti del dibattito in corso, vd. N. BLOCK –
O. FLANAGAN – G. GÜZELDERE (eds.), The Nature of Consciousness: Philosophical and Scientific
Debates, Cambridge (Mass.) 1996; sugli aspetti (neuro-)psicologici e clinici, vd. G. GÜZELDERE,
Consciousness, «JCS» 2 (1995), pp. 30-51 e pp. 112-143, e M. VELMANS, The Science Of
Consciousness: Psychological, Neuropsychological, and Clinical Review, New York 1996.

156
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

pre incombente quando si affrontano argomenti liminari, come ricor-


5
dava recentemente anche J. Searle.
La mia ipotesi sostiene proprio che la lingua poetica i.e. è una di
queste tappe.
***
Innanzitutto, così come si era visto per la definizione di mente,
occorre rilevare che la gran parte degli studi recenti sulla coscienza,
oramai diverse centinaia tra volumi e articoli, non solo evita accurata-
mente di darne una definizione, ma fatica anche a distinguere tra
coscienza e autocoscienza, come lamentava appunto S. Sutherland.
Per definire i termini principali e per cercare di arrivare a circo-
scrivere l’ambito d’azione reale della coscienza e di conseguenza poi
quello dell’autocoscienza, sarà necessario allora sgombrare dapprima
il campo da una serie di equivoci e di imprecisioni tanto comuni
quanto fuorvianti.
Tale servizio è reso egregiamente e con effetti sull’orgoglio egoico
del lettore invero salutari, tra gli altri dal primo capitolo di un volume
6
di Julian Jaynes apparso oramai diversi anni fa. Si tratta di un’opera,
7
discutibile ma in qualche modo pioneristica, che al suo apparire
8
suscitò reazioni appassionate e un dibattito vivace e che oggi sembra
essere dimenticata. Anche se è difficile accettare l’ipotesi di fondo di
9
Jaynes, perché tuttora mal si concilia con quel che poco di sicuro che

5
Cfr. J. SEARLE, The Rediscovery of the Mind, Cambridge (Mass.) 1992, trad. it. Torino
1994, pp. 264-265.
6
Cfr. J. JAYNES, The Origins of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind,
Boston 1976, trad. it. Milano 1984, nel 1996 è uscita una nuova ed. it. contenente alle pp.
531-558 un lungo Post Scriptum, che è però del 1990, in cui J. Jaynes riprende, precisa e in
qualche punto corregge la sua teoria; in «CanPs» 27,2 (1986), pp. 123-182, sono raccolti invece
gli atti di un McMaster-Bauer Symposium on Consciousness (22/11/1983), in cui J. Jaynes difende
le tesi del suo volume discutendo, con materiale e bibl. più aggiornata, con D. C. Dennett, J.
Miller e G. Ojemann.
7
Il volume di J. Jaynes è infatti uno dei rarissimi studi dedicati alla storia della coscienza;
un esempio precedente, e altrettanto discusso, è E. NEUMANN, Ursprungsgeschichte des Bewuß-
tseins, Zürich 1949, trad. it. Roma 1978.
8
Le molte recensioni che ha ricevuto questo volume – spesso fortemente critiche, a volte
glorificanti, mai sobrie – sono indicate in 111,4,6.
9
In grandissima sintesi, lo studioso sostiene che vi è stato un tempo in cui la mente
dell’uomo era bicamerale, aveva cioè un funzionamento legato a una sorta di dialogo tra i due
emisferi cerebrali: nell’emisfero destro risiedeva la ‘voce degli dei’; una serie di sconvolgimenti
socio-culturali causò il passaggio all’attuale tipo di mente, cioè una mente in cui l’emisfero
sinistro sembra essere deputato al disbrigo della gran parte delle attività coscienti e il destro

157
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

10
sappiamo sul funzionamento degli emisferi cerebrali, nel suo volu-
me vi sono tuttavia idee e spunti che è utile riprendere, qui e più
avanti, per qualche aspetto.
Nel presente lavoro, distinguerò allora tra inconscio, coscienza e
11
autocoscienza nella seguente maniera: fanno parte dell’inconscio
12
tutti quei processi mentali di cui l’‘io’ non è consapevole; tutti i
processi della percezione, ad esempio, sono inaccessibili alla coscien-
13
za, solo i prodotti della percezione sono a volte consci: «so in quale
direzione punto gli occhi e sono conscio del prodotto della percezio-
ne, ma non so nulla del processo intermedio con il quale le immagini
14
vengono formate».

essere depositario di un tipo di pensiero emotivo ed iconico, dando inizio al lungo processo
storico-culturale che portò alla coscienza moderna.
10
Il problema della lateralizzazione delle funzioni cerebrali (quale funzione si è lateralizzata
per prima, quale era la funzione dell’emisfero sinistro prima dell’evoluzione del linguaggio ecc.),
argomento di studio fin dall’Ottocento (sulle teorie ottocentesche riguardo alle funzioni e alle
relazioni tra i due emisferi cerebrali, c’è un bel libro di A. HARRINGTON: Medicine, Mind, and the
Double Brain. A Study in Nineteenth-Century Thought, Princeton 1987, trad. it. Roma 1994), non
è ancora stato chiarito del tutto: una discussione ragionata, con dati e bibl. recente, è anche in M.
DONALD, Origins of the Modern Mind, Cambridge (Mass.) 1991, trad. it. Milano 1996, pp. 76-101.
11
La mia distinzione tra coscienza e autocoscienza corrisponde all’incirca a quella che
molti studiosi, soprattutto anglosassoni, fanno tra coscienza primaria e coscienza di ordine
superiore; per i diversi significati di consciousness, vd. T. NATSOULAS, Consciousness, in «AmPs»
33 (1974), pp. 906-914.
12
Considero l’io come quella parte di se stesso, della propria persona(lità), che ciascuno di
noi conosce e identifica come la propria soggettività; ricordo anche tuttavia che la cibernetica
riconosce che «l’‘io’ com’è ordinariamente inteso [“Forse ciò che ciascuno di noi intende per ‘io’
è in realtà un aggregato di abitudini di percezione e di azione adattiva più, istante per istante, i
nostri ‘stati immanenti di azione’”] è solamente una parte esigua di un sistema funzionante ‘per
tentativi ed errori’ molto più grande, che pensa agisce e decide [cfr. supra, p. 149]. Questo
sistema comprende tutti i canali d’informazione che a un dato momento hanno importanza per
una data decisione. L’‘io’ è una falsa reificazione di una parte impropriamente delimitata di
questo assai più vasto campo di processi interconnessi. La cibernetica riconosce anche che due e
più persone (un gruppo qualunque di persone) possono formare insieme un sistema pensante e
agente di quel tipo»: cit. da G. Bateson, Steps… cit., p. 366 (il corsivo è dell’A.); la cit. interna alla
cit. è tratta da ivi, p. 291.
13
Le verifiche sperimentali di ciò sono oramai innumerevoli e affidabili: per un panorama,
vd. per es. N. HUMPHREY, The Inner Eye, London 1986, trad. it. Torino 1992, pp. 59 sgg.; in Mind
and Nature… cit., p. 51 n. 2, G. Bateson, a proposito della formazione delle immagini, osserva che
«non solo i processi della percezione visiva sono inaccessibili alla coscienza, ma anche che è
impossibile formulare una qualunque descrizione verbale accettabile di ciò che deve accadere nel
più semplice atto visivo. Per ciò che non è conscio il linguaggio non fornisce alcun mezzo di
espressione»; cfr. supra, p. 145, punto 16. B. Russell riteneva invece che noi siamo coscienti di ogni
cosa che percepiamo: cfr. ID., Analysis of Mind, London 1921, trad. it. Firenze 1967.
14
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, Angels Fear… cit. (nota 14, p. 140), p. 144. «La
nostra non-consapevolezza dei nostri processi di percezione ha alcuni interessanti effetti

158
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Sono inconsci inoltre i processi dei sistemi che regolano i riflessi, i


dispositivi omeostatici (le pulsioni e le motivazioni istintuali), le rispo-
ste condizionate di tipo pavloviano (l’apprendimento di segnali),
l’abituazione, l’apprendimento di soluzioni (l’apprendimento stru-
mentale o condizionamento operante), il condizionamento associati-
15
vo; per tacere poi dell’intero sistema neurovegetativo: metabolismo,
temperatura basale, respirazione, digestione, circolazione sanguigna
16
ecc.
17
Per quanto possa sembrare paradossale, è stato dimostrato che
sono inconsci anche i meccanismi che regolano l’esecuzione di gran
18
parte delle attività complesse ‘superiori’: la coscienza può non
svolgere alcun ruolo, ad esempio, nel suonare uno strumento musica-
le, nel danzare o nel giocare a tennis; perfino parlare, leggere o
scrivere non richiede l’uso sistematico della coscienza: «mentre par-
liamo o scriviamo non siamo infatti davvero coscienti di ciò che
facciamo realmente in quel momento. Il funzionamento della co-
scienza riguarda la decisione di cosa dire, come dirlo e quando dirlo,
mentre la successione ordinata e compiuta dei fonemi o delle lettere
che scriviamo è qualcosa che noi ci troviamo in qualche modo già
19
fatto».

collaterali. Ad esempio, quando questi processi operano senza essere controllati dal materiale
in entrata proveniente da un organo di senso, come nel caso del sogno o dell’allucinazione o
dell'immagine eidetica, è talora difficile dubitare della realtà esterna di ciò che le immagini
sembrano rappresentare»: cit. da G. BATESON, Mind and Nature… cit., p. 57; cfr. supra, p. 145,
punto 14.
15
Cfr., tra i molti, D. A. OAKLEY (ed.), Brain and Mind, London 1985, passim.
16
«Sebbene la percezione sia autonoma dalle facoltà mentali di alto livello che si esplicano
nel pensiero cosciente e nell’uso della conoscenza cosciente, voglio ugualmente sostenere che
essa è ‘intelligente’, intendendo con ciò che è basata su processi analoghi a quelli del pensiero –
descrizioni, inferenze, soluzioni di problemi – seppur fulminei, non coscienti e non verbali […].
La nozione di inferenza implica che determinate proprietà percettive siano computate, a partire
da informazioni sensoriali date, utilizzando regole note a livello inconscio [è questa l’epistemo-
logia inconscia di cui parla G. Bateson: vd. supra, nota 26, p. 144]. Le dimensioni dell’oggetto
percepito, ad es., vengono inferite a partire dall’angolo visuale da cui l’oggetto viene percepito,
dalla percezione della distanza a cui si trova e dalle regole dell’ottica geometrica, grazie alle quali
è possibile porre in relazione questi due tipi di informazioni»: cit. da I. ROCK, Perception, New
York 1984, p. 234 (la trad. it. è tratta da J. SEARLE, op. cit., p. 248).
17
Cfr., per es., L. WEISKRANTZ, Visual Capacity in the Hemianopic Field following a
Restricted Occipital Ablation, in «Brain» 97 (1974), pp. 709-728.
18
La coscienza può avere invece ovviamente un ruolo importante nell’apprendimento di
tali attività.
19
Cit. da J. JAUNES, op. cit., p. 44.

159
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Ma anche la riflessione, la formulazione di giudizi, la creatività


20
artistica e scientifica non sono processi di cui siamo coscienti: in
tutte le forme di ragionamento vengono percepiti in modo cosciente
solo la preparazione, i materiali e il risultato finale: «lo stesso Einstein
non eseguì mai un esperimento in vita sua. Con la teoria della relati-
vità egli concepì un modo radicalmente nuovo di guardare al mondo,
eppure il concetto chiave dell’intera costruzione non gli balenò dinan-
zi che un mattino quando, appena sveglio e ancora a letto, improvvi-
samente si accorse che, dopo anni e anni di delusioni, tutto funzionava
21
[…]».
Il punto è che la mente probabilmente lavora troppo velocemente
perché la coscienza possa tenerne il ritmo ed essere consapevoli passo
dopo passo di quel che si sta facendo, rende soltanto più lenta e
peggiore – e spesso di fatto impossibile – l’esecuzione di attività la cui
fattiva concatenazione operazionale è inconscia.
E poi, la coscienza non è il deposito o il luogo dove si formano i
concetti, non è una copia fedele dell’esperienza, non coincide con lo
stato di veglia…
Di cosa allora siamo consci? Cos’è dunque la coscienza? A cosa
serve?
La coscienza è una strategia cognitiva integrativa per la gestione di
informazioni riguardanti noi stessi e il mondo che ci circonda; essa
può orientare l’attenzione e guidare la volizione, consentire all’io di
avere la sua identità, renderci consapevoli della nostra esistenza e del
mondo esterno, dare finalità all’agire: «in termini generali la coscienza
serve dunque a organizzare un certo insieme di relazioni tra l’organi-
22
smo, gli stati in cui si trova e l’ambiente che lo circonda».
Tra le caratteristiche costitutive della coscienza vanno pertanto
23
annoverate la finitezza e la limitatezza delle sue modalità (cioè il

20
Il primo capitolo de The Inner Eye di N. HUMPHREY, è dedicato a un paragone tra la
genialità artistica e quella scientifica: in entrambi i casi la coscienza interviene soltanto prima e
dopo la ‘scoperta’, e anche qui non sempre.
21
Cit. da N. HUMPREY, op. cit., p. 20; il grande matematico J.-H. Poincaré era solito
raccontare come l’idea che le trasformazioni che aveva usato per definire le funzioni fuchsiane
fossero identiche a quelle della geometria non euclidea, gli fosse venuta all’improvviso prenden-
do un omnibus: vd. J.-H. POINCARÉ, Mathematical Creation, in The Foundations of Science, New
York 1913, p. 387.
22
Cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 123.
23
«La coscienza, per ovvie ragioni meccaniche, dev’essere sempre limitata a una frazione
piuttosto ridotta del processo mentale, se è davvero utile dev’essere perciò lesinata. La non-

160
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

fatto che noi in realtà possiamo essere consapevoli soltanto dei


prodotti della percezione, della propriocezione, del flusso del pen-
siero e degli stati d’animo), l’unitarietà (gli stati coscienti si mani-
festano a noi come una sequenza unitaria: in questo momento ho
mal di testa e contemporaneamente so di essere seduto, di guardare
24 25
fuori alla finestra ecc.), la soggettività e una certa misura di
intenzionalità (si è spesso coscienti di qualcosa, ma può anche
accadere di essere tristi, e averne coscienza, senza un motivo par-
ticolare, senza uno specifico oggetto, avere cioè stati coscienti non
26
intenzionali).
Tra le implicazioni poste dalla soggettività della coscienza vi è il
fatto che l’unica coscienza di cui abbiamo conoscenza è la nostra,
come già diceva S. Freund:

coscienza associata all’abitudine è un’economia sia di pensiero che di coscienza: lo stesso vale
per l’inaccessibilità del processo di percezione. L’organismo conscio non ha bisogno (ai fini
pragmatici) di sapere come percepisce, ma solo di sapere che cosa percepisce»: cit. da G.
BATESON, Steps... cit., p. 170 (i corsivi sono dell’A.).
24
Il sentimento, qualitativo e soggettivo, caratteristico di alcuni dei nostri stati mentali, le
parti distinguibili di una scena mentale, in sé complessivamente unitaria fatte salve le situazioni
patologiche, sono dette qualia: «i qualia costituiscono la collezione di esperienze personali e
soggettive, di sentimenti e di sensazioni che accompagnano la consapevolezza. Sono stati
fenomenici, - ‘come le cose ci sembrano’ -, in quanto esseri umani: per es., l’‘essere rosso’ di un
oggetto rosso è un quale»: cit. da G. M. EDELMAN, Bright Air, Brilliant Fire. On the Matter of the
Mind, New York 1992, trad. it. Milano 1993, p. 177.
25
La coscienza è soggettiva perché tutti gli stati coscienti, il dolore ad es., non possono che
essere gli stati coscienti di qualcuno: «il lavoro filosofico e psicologico condotto negli ultimi
cinquant’anni […] ha risentito pesantemente delle conseguenze dell’incapacità di confrontarsi in
modo adeguato con la soggettività della coscienza. Sarebbe difficile sopravvalutare gli effetti
negativi di questa carenza: sia il fallimento di buona parte della filosofia della mente, sia la
sterilità di molta ricerca psicologica accademica hanno scontato, sia pur per ragioni che è spesso
difficile individuare con chiarezza, la persistente incapacità di confrontarsi col fatto che l’onto-
logia del mentale è irriducibilmente soggettiva. Motivazioni estremamente profonde, forse
intrecciate con la storia delle nostre convinzioni inconsce, ci rendono difficile, se non impossibi-
le, accettare l’idea che nel mondo reale – il mondo descritto dalla chimica, dalla fisica e dalla
biologia – trovi spazio un elemento soggettivo ineliminabile. Pur sapendo di essere coscienti –
noi e coloro che ci circondano – per la maggior parte della nostra vita, fatichiamo a capire come
sia possibile conciliare questa consapevolezza, che ci costringe ad ammettere l’esistenza di
misteriose entità coscienti, con un’immagine coerente del mondo. D’altra parte, pur essendo
accecati da una cattiva filosofia e da una certa psicologia accademica, siamo certi che i cani, i
gatti, le scimmie e i bambini sono coscienti, e che la loro coscienza è soggettiva quanto la nostra»:
cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 111 (cit. anche da]. C. ECCLES, op. cit., p. 75); cfr. anche supra, p.
144, numero 2: non esiste esperienza oggettiva.
26
Sull’intenzionalità, vd. S. GOZZANO, Storia e teorie dell’intenzionalità, Roma – Bari 1996;
secondo J. SEARLE (op. cit., cap. 6) la coscienza ha anche altre proprietà: devo dire tuttavia che la
sua idea di estendere alcune proprietà della percezione alla coscienza, come nel caso, per es.,
della ‘struttura gestaltica figura-sfondo’, non mi convince.

161
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

la coscienza trasmette a tutti noi soltanto la nozione dei nostri personali stati
d’animo; che anche altre persone abbiano una coscienza è una conclusione
analogica che, in base alle azioni e manifestazioni osservabili degli altri, ci
permette di farci una ragione del loro comportamento. (O, per usare una
formulazione psicologicamente più esatta: senza riflettere più che tanto noi
attribuiamo a tutti gli altri soggetti la nostra costituzione e quindi anche la
nostra coscienza, e questa identificazione è il presupposto della nostra com-
27
prensione).

A più di novant’anni di distanza da Freud, gli studi non possono


che confermare che «l’unica forma di coscienza di cui abbiamo nozio-
ne diretta è la nostra. Anche quando la riscontriamo in un altro essere
28
umano, vediamo solo ciò che noi stessi vi abbiamo proiettato»: la
coscienza di un altra persona, insomma, non può essere osservata
direttamente come tale.
In realtà, per dirla tutta, noi non siamo nemmeno in grado di
osservare ciò che accade di soggettivo in noi stessi: non appena la
soggettività cosciente è chiamata in causa, cade infatti ogni distinzione
tra l’osservazione e l’oggetto dell’osservazione perché qualunque in-
trospezione di uno stato cosciente è a sua volta uno stato cosciente. È
dunque impossibile far sì che non sia la coscienza a parlare di se
stessa, e se nel farlo essa utilizza «termini che sono inintellegibili senza
avere un’idea di ciò che significa coscienza», come sostiene S. Suther-
land, ciò avviene perché comunque noi non abbiamo a disposizione
che la coscienza per indagare la coscienza e dunque essa utilizza
termini che sono inintellegibili senza avere un’idea di ciò che significa
avere una coscienza.
Il punto cruciale allora sarà che «non possiamo cogliere la realtà
della coscienza allo stesso modo in cui, proprio impiegando la co-
29
scienza cogliamo la realtà degli altri fenomeni», perché i modelli
tradizionali di indagine di cui disponiamo, fondati sulla distinzione tra
osservazione e oggetto osservato, a causa della loro ontologia non

27
Cit. da S. FREUD, Das Unbewusste, in «IZAP» 3,4-5 (1915), pp. 189-203; 257-269, trad.
it. in Opere di S. Freud, Torino 1976, vol. VIII, p. 52; è questo uno dei suoi cinque saggi teorici,
meta psicologici come li aveva lui stesso definiti, rimastici; tra quelli andati perduti ve ne era uno
dedicato specificatamente alla coscienza: cfr. C. L. MUSATTI, Introduzione, in Opere di S. F.,
Torino 1976, vol. VIII, p. XII.
28
Cfr. N. HUMPHREY, op. cit., p. 94.
29
Cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 112.

162
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

sono adatti o sono insufficienti ad affrontare la descrizione della


30
soggettività.
In attesa che la riflessione filosofica sviluppi un apparato concet-
tuale e descrittivo compiutamente coerente col principio di comple-
31
mentarietà, cioè col fatto – come già sapeva Goethe – che il fenome-
no non è mai staccato dalla soggettività dell’osservatore, per uscire dai
paradossi posti dall’indagine sulla coscienza, piuttosto che sospendere
32
qualunque operazione rappresentativa come propone J. Searle, pre-
ferisco seguire G. M. Edelman, anche se attualmente nessuna teoria
sulla mente è ancora in grado di verificare l’ipotesi dell’esistenza dei
qualia, nemmeno quella di Eccles e Beck a cui in gran parte mi rifarò
33
più avanti:

io credo che si possa ricorrere al fatto che gli esseri umani sono in una
posizione previlegiata. Può darsi che noi non siamo gli unici animali coscien-
ti; ma siamo, con l’eventuale eccezione degli scimpanzé, gli unici animali che
34
hanno coscienza di sé. Siamo gli unici animali dotati della parola, capaci di
modellare il mondo svincolati dal presente, capaci di riferire, studiare e
correlare i nostri stati fenomenici con i risultati della fisica e della biologia.
Tutto ciò suggerisce un modo di accostarsi al problema dei qualia: come
fondamento di una teoria della coscienza, è sensato supporre che i qualia
siano presenti, proprio come sono presenti in noi stessi, negli altri esseri
umani dotati di coscienza, sia che li si consideri come osservatori scientifici
sia che li si consideri come soggetti (importa solo che questi qualia siano
presenti, non che siano identici per tutti gli osservatori). Si può quindi
ritenere che gli esseri umani siano i migliori referenti canonici per studiare la
coscienza; ciò è giustificato dal fatto che, per gli esseri umani, si possono
stabilire correlazioni tra i resoconti soggettivi (compresi quelli sui qualia), le
azioni e le funzioni e strutture cerebrali. […] È la nostra capacità di riferire e
correlare – mentre sperimentiamo individualmente i qualia – che schiude la
possibilità scientifica della coscienza. L’ipotesi dei qualia distingue la coscien-
za di ordine superiore [l’autocoscienza] dalla coscienza primaria [la coscien-
za]; la prima si basa sulla consapevolezza diretta di un essere umano, dotato
della parola, con un’esistenza soggettiva che può essere raccontata; la secon-

30
Cfr. supra, p. 145, punto 16.
31
Cfr. supra, p. 154.
32
Cfr. J. SEARLE, op. cit., p. 114.
33
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., pp. 149-150.
34
La questione se e quale tipo di coscienza abbiano o non abbiano gli animali com’è noto è
molto discussa: nel presente lavoro non me ne occuperò specificamente.

163
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

da può essere costituita da eperienze fenomeniche come le immagini mentali,


ma è vincolata nel tempo del presente misurabile; è priva del concetto di
passato o di futuro e del concetto di sé; cade al di là di un resoconto
soggettivo descrittivo e diretto fatto dal suo punto di vista. Di conseguenza,
gli esseri dotati della sola coscienza primaria non possono costruire teorie
35
della coscienza – neanche teorie sbagliate!

Ma procediamo con ordine: la coscienza che sa di avere una


coscienza, che si rende conto di avere a disposizione uno strumento
cognitivo con cui interpretare e modificare il mondo è l’autocoscien-
za, cioè la consapevolezza di sé, del sé, che pertanto è un oggetto di
36
conoscenza per la coscienza e non la coscienza stessa; mentre l’auto-
coscienza che indaga se stessa, cioè l’autocoscienza che rivolge la sua
attenzione sul proprio funzionamento, ovverosia lo studio dell’auto-
37
coscienza, è forse la preparazione di un’ulteriore, e verosimilmente
38
ultima, fase di coscienza: quella facoltà che consente a ciascuno di
noi di avere un’immagine interiore di ,cosa significa essere se stessi e di

35
Cit. da G. M. EDELMAN, op. cit., pp. 179-180 (i corsivi sono dell’A.); ritengo comunque
che abbia ragione J. Searle (ibid., pp.160-165) nel sostenere che l’incorreggibilità e l’introspezio-
ne, in senso cartesiano, non siano facoltà speciali o proprietà essenziali della coscienza.
36
L’idea, sostenuta per es. da D. W. SMITH, The Structure of (Self) Consciousness, in
«Topoi» 5,2 (1986), pp. 149-156, che ogni stato di coscienza sia contemporaneamente uno stato
di autocoscienza, ciò che l’essere cosciente di se stessi sia una caratteristica di tutti gli stati
mentali coscienti, è sbagliata, come ha mostrato ancora recentemente J. SEARLE, op. cit., pp.
158-159.
37
Sono convinto anch’io come P. LÉVY, L’intelligence collective: pour une anthropologie du
cyberspace, Paris 1994, trad. it. Milano 1996, p. 17 e M. DONALD, op. cit., p. 442, che l’ominazione
e lo sviluppo della mente non siano ancora terminati; ricordo infatti che (a parte gli stati di
coscienza alterati dalle patologie e dall’assunzione di droghe, il cui studio è ben sviluppato e
importante per la ricerca sulla mente) la tradizione indiana conosce da sempre una forma di
ultra-coscienza, il samprajñāta samādhi, uno stato mentale in cui le facoltà della coscienza sono
enormemente accresciute, indotto dallo yóga (vd. M. ELIADE, Le Yoga, immortalité et liberté,
Paris 1954, trad. it. Milano 1973, pp. 81 sgg.) o causato dal risveglio del dio-serpente Kuņdalini
(si veda il commento di J. Hillman in GOPI KRISHNA, Kundalini. The Evolutionary Energy in
Man, London 1970, trad. it. Roma 1971).
38
Secondo G. Bateson (Steps… cit., passim), se ogni forma di apprendimento è in qualche
misura stocastica, si può costruire un ordinamento dei processi di apprendimento sulla base di
una classificazione gerarchica dei tipi di errore che si possono correggere nei vari processi
di apprendimento (è questa la base della sua teoria del deutero-apprendimento, la teoria che
condusse lo studioso alla scoperta del ‘doppio vincolo’); nella scala proposta da Bateson
(apprendimento 0/1/2/3/4) l’io e la coscienza si situano allivello 2; se bene intendo, l’autoco-
scienza non costituisce tuttavia già il livello 3, ma uno degli strumenti con cui raggiungerlo:
«nella misura in cui un uomo consegue l’Apprendimento 3 e impara a percepire e ad agire in
termini di contesti dei contesti, il suo ‘io’ assumerà una sorta di irrilevanza. Il concetto dell’‘io’

164
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

comprendere e interpretare noi stessi e gli altri dal nostro punto di


39
vista soggettivo.
Definiti così i termini principali, tenterò ora, sulla scorta delle
ricerche più recenti, di indicare allo stato attuale delle nostre cono-
scenze quali si ritiene che siano le strutture neurofisiologiche alla base
dell’origine della coscienza e poi, di seguito, tenterò una ricostruzione
dell’evoluzione cognitiva che dalla coscienza ha portato l’umanità
all’autocoscienza.

2.2. DIACRONIA DELLA MENTE E NASCITA DELLA COSCIENZA

Come ho già accennato, non abbiamo ancora una teoria completa


e sperimentalmente affidabile sulle basi neurofisiologiche della co-
40 41
scienza. Nel 1994, J. C. Eccles ha pubblicato tuttavia un volume
che rappresenta a mio parere un punto di svolta nelle indagini sulla
mente e sebbene moltissimo resti da fare e da scoprire, credo che la
42
via indicata da Eccles sia quella giusta.
43
Riassumendo qui i suoi risultati, limitatamente tuttavia alle indi-
cazioni sufficienti per dare, fin dove possibile, la necessaria base
neurofisiologica alle origini della coscienza e alla mia ipotesi, seguirò

non fungerà più da argomento cruciale nella segmentazione dell’esperienza»: ivi, p. 333. Il
livello 4 sembra non si manifesti in alcun organismo adulto vivente.
39
Per un aggiornamento sul dibattito filosofico intorno al concetto di autocoscienza, sono
utili K. DUSING, C’è un circolo dell’autocoscienza? Uno schizzo delle posizioni paradigmatiche e dei
modelli di autocoscienza da Kant a Heidegger, e A. FERRARIN, Autocoscienza, riferimento dell’io e
conoscenza di sé. Introduzione a un dibattito contemporaneo, entrambi in «Teoria» 12 (1992), pp.
3-29 e pp. 111-152.
40
In italiano, sono utili introduzioni, L. CERVETTO – C. A. MARZI – G. TASSINARI, Le basi
fisiologiche della percezione, Bologna 1987, e A. CASSINI – A. DELLANTONIO, Le basi fisiologiche
dei processi motivazionali ed emotivi, Bologna, entrambi con ampie e aggiornate bibl.; da ultimo,
vd. anche R. PIERANTONI, La trottola di Prometeo. Introduzione alla percezione acustica e visiva,
Roma – Bari 1996.
41
Si tratta del già citato (nota 6, p. 139) J. C. ECCLES, How the Self controls Its Brain.
Questo volume costituisce per lo studioso, premio Nobel nel 1963, il compimento di una lunga e
gloriosa carriera scientifica, dedicata per la gran parte proprio alle ricerche neurofisiologiche.
42
È di questa opinione anche P. DAVIES, About Time, New York 1995, trad. it. Milano
1996, pp. 310-311.
43
Il lettore interessato ad approfondire l’argomento, troverà nel volume di Eccles, un po’
complicato e forse mal strutturato, tutto quel che gli occorre: glossario, descrizioni anatomiche,
calcoli, risultati sperimentali, bibliografia; per non appesantire ulteriormente il discorso qui mi
limiterò alle indicazioni essenziali; per un commento, vd. B. I. B. LINDAHL – P. ARHEM, Mind as
a Force Field: Comments on a New Interactionist Hypothesis, «JTB» 171 (1996), pp. 111-122.

165
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

dunque, seppure con qualche distinguo forse non secondario, le sue


idee, e questo almeno fino al punto in cui, entrando in gioco questioni
teologiche, si uscirà dai limiti, pur ampi, che mi sono posto nella
presente ricerca.
Seguire la teoria di Sir Eccles, implica però da parte mia anche
l’accettazione di alcuni presupposti filosofico-metodologici che è me-
glio indicare subito.
Innanzitutto, il rifiuto della teoria dell’identità – sia nella versione
forte dell’identità tra tipo e tipo, sia nella versione debole dell’identità
tra occorrenza e occorrenza, vale a dire l’idea che a ogni stato mentale
corrisponda uno stato neurofisiologico, cioè che gli stati mentali si
44
identifichino con gli stati del cervello e del sistema nervoso centrale.
Poi, la non accettazione anche delle altre teorie denominate in
genere materialiste: comportamentismo logico, funzionalismo, intelli-
45
genza artificiale forte ecc.
Infine, l’accettazione di un punto di vista che in mancanza di
termini migliori o meno screditati, non si può – obtorto collo – che
definire dualista, un dualismo tuttavia che non è né di sostanza né di
46
proprietà, ma interazionista e descrittivo.
47
Nell’eterna disputa tra monisti e dualisti, concordo con J. Searle
nel dire che molta incomprensione è dovuta all’uso di un lessico
48
tradizionale e inadeguato, e ciò è tanto più vero quando entrano in
49
campo i concetti della fisica quantistica. Personalmente, come i

44
Se la miglior esposizione della teoria dell’identità, fondamento esplicito o implicito di
quasi tutte le teorie materialiste sulla mente, è quella di H. FEIGL, The ‘Mental’ and the ‘Physical’,
Minneapolis 1967, la sua più efficace confutazione è in E. POLTEN, Critique of the Psycho-physical
Identity Theory, Paris 1975.
45
Oltre che in K. R. POPPER – J. C. ECCLES, op. cit. (p. 143, nota 22), parte I, ripresa in J. C.
ECCLES, op. cit., passim, una discussione critica argomentata delle principali teorie materialiste di
questo secolo sulla mente è in J. SEARLE, op. cit. (p. 157, nota 5), cap. 2; sull’intelligenza
artificiale, vd. V. SOMENZI – R. COROESCHI (a cura di), La filosolia degli atomi. Origini dell’intel-
ligenza artificiale, Torino 1994, e R. COROESCHI, L’intelligenza artiliciale, in L. GEYMONAT, Storia
del pensiero filosolico e scientifico. Il Novecento, Milano 1996, vol. 10,4.
46
Cfr. supra, pp. 142-3; vd. anche J. FOSTER, The Immaterial Self: a Delense of the Cartesian
Dualist Conception of Mind, New York 1991, R. LAHAV – N. SHANKS, How to be a Scientifically
Respectable Property Dualist, «JMB» 13 (1992), pp. 211-232, T. L. S. SPRIGGE, Consciousness,
«Synthese» 98 (1994), pp. 73-93, R. WARNER – T. SZUBKA (eds.), The Mind-Body Problem: A
Guide to the Current Debate, Oxford 1994.
47
Cfr. J. SEARLE, op. cit., p. 70.
48
Cfr. supra, p. 145, punto 16.
49
Sui paradossi logici e sulla discrepanza tra tempo fisico e tempo soggettivo o psicologico
indotti dalle teorie einsteiniane, vd. P. DAVIES, op. cit., passim.

166
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

50
fisici quantistici e i mistici orientali, sono convinto che l’universo sia
una rete dinamica di configurazioni di energia non separabili e che
concetti come ‘sostanza materiale’, ‘oggetto isolato’ o ‘spirito’ non
abbiano più alcun significato; in questo senso, sono d’accordo allora
ancora una volta con J. Searle quando dice che «la coscienza, in
quanto coscienza, in quanto mentale, in quanto soggettiva e qualitati-
51
va, è fisica, e lo è proprio perché mentale», ma non perché il mentale
sia fisico, bensì perché la distinzione tra fisico e mentale esiste solo
nelle nostre descrizioni.
Dirò qui anche che pur condividendo, come si è visto, alcune idee
di J. Searle, non condivido però la sua tesi di fondo, il ‘mentalismo
ingenuo’, perché: a) rispondere alla domanda ‘com’è possibile che
componenti di materia non cosciente producano materia non coscien-
te?’, affermando che «ciò è possibile in virtù di specifiche – sebbene
ancora in gran parte sconosciute – proprietà neurobiologiche del
52
cervello», significa non soltanto rinviare sine die la questione, ma
anche trascurare ciò che già sappiamo, per es. che sulla base degli
assunti della fisica classica non è possibile che eventi materiali possano
53
generare eventi mentali, e b) perché affermare che la coscienza è una
proprietà di alto livello, o emergente, del cervello, allo stesso modo in
cui la solidità è una proprietà emergente delle molecole di H2O
quando assumono la struttura di un reticolo cristallino ordinato (il
54
ghiaccio), significa innanzitutto fare un paragone tra entità di diver-
55
so tipo logico, e poi, in contrasto con la definizione di coscienza data
da Searle stesso – «la coscienza è una proprietà biologica del cervello
56
[…] ed è parte integrante dell’ordine biologico», porre inaccettabil-
mente a confronto entità del mondo biologico con quelle del mondo
inanimato. Comunque sia, anche assumendo che il paragone sia vali-
do, se nel passaggio dallo stato liquido e quello solido le molecole
dell’acqua attraversano una transizione di fase di primo ordine e la
cristallizzazione è la proprietà che emerge dopo la transizione, al

50
Per un confronto tra le teorie degli uni e le dottine dgli altri, vd. F. CAPRA, op. cit.
(p. 145, nota 30).
51
Cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 31.
52
Ivi, p. 73.
53
Cfr., per tutti, J. C. ECCLES, op. cit., p. 73.
54
Cfr. J. SEARLE, op. cit., p. 73.
55
Vd. supra, p. 144, punti 8 e 9.
56
Ivi, p. 106.

167
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

contrario è oramai plausibile ipotizzare che la vita esista – e il cervello


funzioni – solo in una terza classe di comportamento dinamico, il
margine del caos, cioè uno stato di transizione di fase permanente le
57
cui leggi fisiche generali nessuno è ancora in grado di immaginare,
58
ma in cui sembrano operare le regole della classe IV di Wolfram.
Detto di Searle, bisogna poi osservare che un’ulteriore discrimi-
59
nante fondamentale è posta dai principi della fisica: se nella fisica
60
classica, come osserva tra gli altri H. P. Stapp, non c’è teoreticamen-
te posto per la coscienza – la concezione riduzionista della fisica
classica sulla natura è logicamente inadatta al compito di conformare
pensieri coscienti sostanzialmente unificati – e dunque le ipotesi
materialiste si fondano su principi neurofisiologici dubbi o inapplica-
61
bili, è altresì vero che l’interazione bilaterale mente/cervello propo-
sta dal dualismo interazionista, cioè l’ipotesi che eventi mentali imma-
teriali possano agire su strutture materiali come i neuroni, viola ineso-
rabilmente il primo principio della termodinamica, la legge della
conservazione dell’energia.
62
Con la pubblicazione di un volume del fisico Henry Margenau e
la sua assunzione della mente come campo di probabilita, la prospet-
63
tiva è mutata.
Secondo Margenau,

la mente può essere considerata un campo nel comune senso fisico del
termine. Ma si tratta di un campo non-materiale; l’analogo più simile è forse

57
Cfr. M. M. WALDROP, Complexity. The Emerging Science at the Edge of Order and Chaos,
New York 1992, trad. it. Torino 1995, passim, e P. DAVIES, op. cit., p. 310; vd. anche i lavori
raccolti in H. HAKEN (ed.), Complex System: Operational Approaches in Neurobiology, Physics
and Computers, Berlin – Heidelberg 1986.
58
Vd. S. WOLFRAM, Theory and Applications of Cellular Automata, Singapore 1986.
59
Vd. supra, pp. 151 sgg.
60
Vd. i lavori raccolti in H. P. STAPP, Mind, Matter, and Quantum Mechanics, Berlin –
Heidelberg 1993; vd. anche R. PENROSE, op. cit. (nota 24, p. 143), pp. 269-295, e M. LOCKWOOD,
Mind, Brain, and the Quantum, Oxford 1989.
61
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., p. 72.
62
Vd. H. MARGENAU, The Miracle of Existence, Woodbridge (CT) 1984.
63
In precedenza, altri studiosi avevano indicato la necessità di far intervenire la meccanica
quantistica nelle indagini sulla mente, ma, come osserva Eccles (op. cit., p. 178), «tutti questi
tentativi hanno in comune il fatto che essi considerano in termini molto generali un’interpreta-
zione della meccanica quantistica e i suoi concetti di probabilità. Tuttavia non c’è molta
connessione con le verità empiricamente stabilite dalla fisiologia cerebrale, né gli autori hanno
situato il processo quantistico nell’ultrastruttura della neocorteccia».

168
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

un campo di probabilità. Esso non può essere paragonato ai più semplici


campi non-materiali che richiedono la presenza di materia (flusso idrodina-
mico o acustico). […] Né tale campo deve occupare necessariamente una
posizione nello spazio […] come pure non è indispensabile che esso debba
contenere energia per spiegare tutti i fenomeni noti nei quali la mente
64
interagisce con il cervello.

A partire da Margenau, Eccles, in parte insieme al teorico della


65
fisica di Darmstadt Frederick Beck, ha sviluppato una serie di
ricerche volte a dimostrare che nell’interazione fra mente e cervello,
gli eventi mentali intenzionali agiscono efficacemente a livello nervoso
attraverso un campo quantico di probabilità, alterando, con un au-
66
mento momentaneo, la probabilità di emissione delle vescicole dai
reticoli vescicolari presinaptici dei bottoni sinaptici di un intero den-
drone:

deve trattarsi di un’immensa operazione in parallelo su migliaia di reticoli


vescicolari presinaptici che affrontano un neurone, cui si aggiunge l’attivazione
simile di numerosi neuroni. Poi, attraverso i circuiti nervosi convenzionali,
gli eventi mentali intenzionali ottengono la risposta cerebrale desiderata, che
porta ai movimenti motori desiderati. Una spiegazione simile può essere
fornita per effetto dell’attenzione mentale concentrata che attiva speciali aree
della corteccia cerebrale. In tal modo, l’interazione mente/cervello ipotizzata
67
nel dualismo si dimostra in accordo con la fisica quantistica.

Secondo Eccles, è possibile utilizzare le teorie quantistiche perché


le strutture coinvolte nella trasmissione sinaptica sono così piccole da
poter funzionare analogamente ai campi di probabilità; sulla base di
alcuni esperimenti e di una serie di calcoli fondati sul principio di

64
Cit. da H. MARGENAU, op. cit., p. 97; la trad. it. è tratta da J. C. ECCLES, op. cit., p. 104.
65
Cfr. per es. F. BECK – J. C. ECCLES, Quantum Aspects of Brain Activity and the Role of
Consciousness, «PNAS» 8 (1992), pp. 11357-11361, lavoro che anticipa alcuni conclusioni del
volume del 1994 di J. C. Eccles.
66
Nel linguaggio della meccanica quantistica, questa è una selezione di eventi: «la selezio-
ne quantistica è il solo modo possibile per produrre stati finali differenti da condizioni iniziali
identiche, con gli stessi valori delle quantità conservate. Una tale situazione non potrebbe
prevalere in un processo che obbedisca ai princìpi della fisica classica, dove una variazione nello
stato finale implica necessariamente una variazione delle condizioni iniziali o della dinamica»:
cit. da J. C. ECCLES, op. cit., p. 192.
67
Ivi, p. 104.

169
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

68 69
indeterminazione, a parere di Eccles è possibile allora dimostrare
che una vescicola del reticolo vescicolare presinaptico può essere
70
selezionata per l’esocitosi da uno psicone.
Nell’evoluzione dei mammiferi, ad un certo punto, è comparsa
una neocorteccia cerebrale con un livello superiore di complessità
71
nervosa, in particolare nella struttura delle sue cellule piramidali
72
(= principali neuroni della corteccia, di forma piramidale). I
dendriti (= appendice di un neurone specializzato come recettore;
costituisce la regione postsinaptica di un neurone) delle cellule
piramidali possiedono un’enorme afferenza sinaptica (= assone che
trasmette impulsi verso il sistema nervoso centrale) e nella loro
ascesa attraverso le lamine corticali si riuniscono in fasci. All’inter-
no di un fascio dendritico, cioè l’unita ricettiva fondamentale della
73
corteccia cerebrale che Eccles propone di denominare dendrone,
ci sono centinaia di migliaia di afferenze sinaptiche che passano
attraverso i bottoni (= espansione terminale di una fibra nervosa

68
Vd. supra, pp. 152 sgg.
69
La dimostrazione matematico-sperimentale dell’ipotesi è contenuta nel capitolo 9 del
volume di Eccles citato.
70
L’ipotesi di Eccles prevede che «tutti gli eventi mentali e le esperienze, di fatto tutto il
complesso delle sensibilità interne ed esterne del Mondo 2, siano un insieme di eventi mentali
unitari o elementari, che possiamo definire psiconi» (ivi, p. 117); ciascuno di questi psiconi è
reciprocamente connesso in modo esclusivo a uno specifico dendrone (il mondo della mente è
dunque per Eccles di natura microgranulare): questo legame rappresenta la base dell’interazione
mente-cervello, interazione che avviene attraverso un’interfaccia (cfr. supra, p. 142, nota 19).
Precedentemente, da altri autori era stato dimostrato sperimentalmente che le intenzioni attiva-
no la corteccia cerebrale in certe regioni ben definite prima che si verifichi il movimento: la bibl.
di riferimento è in ivi, pp. 241-242.
71
La suddivisione laminare canonica della neo corteccia è quella di J. SZENTÁGOTHAI, The
Neuron Network of the Cerebral Neocortex. A Functional Interpretation, «PRSL» 201 (1978), pp.
219-248; ID., The Local Neuronal Apparatus of the Cerebral Cortex, in P. BUSER – A. RONGEUL-
BUSER (eds.), Cerebral Correlates of Conscious Experience, Amsterdam 1978, pp. 131-138; vd.
anche ID., The Modular Architectonic Principle of Neural Centers, «RPBP» 98 (1983), pp. 11-61;
vd. anche, L. C. AIELLO – R. I. M. DUNBAR, Neocortex Size, Group Size, and the Evolution of
Language, «CA» 34 (1993), pp. 184-193.
72
Sulle basi sinaptiche della memoria, vd. R. F. THOMPSON – T. W. BERGER – J. MADDEM
IV, Cellular Processes of Learning and Memory in the Mammalian CNS, «AReNe» 6 (1983), pp.
447-491; R. F. THOMPSON, The Neurobiology of Learning and Memory, «Science» 233 (1986), pp.
941-947.
73
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., p. 128; sui fasci apicali come unità anatomica fondamentale
della corteccia, vd. C. SCHMOLKE – K. FEISCHAUER, Morphological Characteristics of Neocortical
Laminae when Studied in Tangential Semithin Sections through the Visual Cortex of the Rabbit,
«AE» 169 (1984), pp. 125-132; A. PETERS – D. A. KARA, The Neuronal Composition of Area 17
of Rat Visual Cortex. IV. The Organization of Pyramidal Cells, «JCN» 260 (1987), pp. 573-590.

170
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

presinaptica in corrispondenza di una sinapsi; è il punto in cui


viene rilasciato il trasmettitore) sinaptici. I bottoni delle sinapsi
(una sinapsi è il punto di connessione tra due neuroni) a trasmis-
sione chimica possiedono un’ultramicrostruttura presinaptica a di-
74
sposizione paracristallina formata da proiezioni dense e vescicole
sinaptiche, ovvero un reticolo vescicolare presinaptico (in un reti-
colo vescicolare presinaptico ci sono all’incirca 50 vescicole sinap-
tiche). L’attività principale di una sinapsi consiste nel far sì che una
vescicola sinaptica liberi nella fessura sinaptica il proprio contenuto
di trasmettitore, con un processo definito esocitosi, processo che
75
secondo
76
Eccles, è l’attività unitaria fondamentale della cortec-
cia. Un impulso nervoso che invade un bottone determina un’im-
missione di migliaia di ioni Ca++, quattro dei quali sono necessari
77
per attivare un’esocitosi. La scoperta fondamentale è il fatto che
in tutti i tipi di sinapsi a trasmissione chimica, un impulso che
invade un singolo reticolo vescicolare presinaptico determina al
massimo una sola esocitosi, con un processo di conservazione del
trasmettitore sinaptico così efficace che la probabilità di esocitosi è
78
di 1 su 5 o di 1 su 4.
Secondo Eccles,

la fisica quantistica offre una nuova,comprensione dei meccanismi di funzio-


namento del reticolo vescicolare presinaptico e della probabilità di esocitosi.
Le variazioni di tale probabilità sono determinate senza alcun dispendio ener-
getico, per cui la mente potrebbe esercitare un’azione efficace sul cervello
semplicemente aumentando la probabilità di esocitosi, passando ad esempio
da 1 su 5 a 1 su 3. Tale effetto consentirebbe un’ampia risposta nervosa
quando la mente, attraverso i propri psiconi, determinasse l’aumento di
probabilità di esocitosi nelle centinaia di migliaia di reticoli vescicolari presi-
naptici su specifici dendroni. Si ravvisa quindi un livello di complessità

74
Cfr. K. AKERT – K. PEPER – C. SANORI, Structural Organization of Motor End Plate and
CentraI Synapses, in P. G. WASER (ed.), Cholinergic Mechanisms, New York 1975, pp. 43-57.
75
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., p. 195.
76
I processi molecolari che determinano l’esocitosi non sono tuttavia ancora del tutto
chiari: per una rassegna dei problemi, vd. T. M. KASSEL – E. R. KANDEL – B. LEWIN – L. REID (a
cura di), Signaling at the Synapse «Cell» 72 (1993) (= «Neuron» 10).
77
Cfr. P. L. MCGEER – J. C. ECCLES – E. MCGEER, The Molecular Neurobiology of the
Mammalian Brain, New York 1987, II ed.
78
Su ciò vd. anche. S. J. REDMAN, Quantal Analysis of Synaptic in Neurons of the Central
Nervous System, «Phfu» 70 (1990), pp. 165-198.

171
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

nervosa, per arrivare a comprendere il modo in cui la mente può influenzare


efficacemente il cervello nelle decisioni coscienti, senza infrangere le leggi di
79
conservazione della fisica.
80
Anche se, come riconosce onestamente lo stesso Eccles, la sua
ipotesi per ora spiega solo come alcuni movimenti volontari siano
determinati dalle intenzioni mentali, perché condurre esperimenti che
dimostrino che gli eventi mentali possono aumentare la probabilità di
esocitosi e dunque stimolare efficacemente l’attività nervosa di altre
aree corticali specifiche, è estremamente difficile sulle cavie e etica-
mente improponible sull’uomo, è importante tuttavia «riconoscere
che, sebbene l’intenzione mentale di compiere un movimento sia
vincolata al fatto di poter agire solo alterando la frequenza delle
esocitosi, ciononostante essa è in grado di controllare un’ampia serie
di movimenti, sia nell’intensità che nella durata. Effetti più diretti
81
della volontà sono preclusi dalle leggi di conservazione della fisica».
Ma per Eccles, in questo modo «il movimento volontario è stato
spiegato nei princìpi. Questa spiegazione può essere estesa all’azione
di tutte le influenze mentali sul cervello, ad esempio nell’esecuzione di
82
un’azione programmata, come un discorso».
Eccles poi inserisce a sua volta l’ipotesi sull’interazione
mente/cervello in una più generale ipotesi evolutiva.
Secondo lo studioso, prima dell’evoluzione della neo corteccia il
mondo era senza mente, «così come oggi potremmo considerare il
83
mondo di batteri, piante e animali inferiori»; in seguito, grazie alla
complessa organizzazione strutturale della neocorteccia dei mammife-
84
ri e ai suoi meccanismi di probabilità quantica, «avrebbero fatto la
loro comparsa le esperienze di un altro mondo, quello della mente
cosciente, presumibilmente molto primitiva e fugace. […] Con l’evo-

79
Cit. da J. C. ECCLES, op. cit., p. 173; il corsivo è mio.
80
Cfr. ivi, p. 176.
81
Ivi, p. 195; vd. anche D. H. INGVAR, On Ideation and ‘Ideography’, in J. C. ECCLES – O.
D. CREUZFELD (eds.), Experimental Brain Research, Berlin – Heidelberg 1990, pp. 433-453.
82
Cit. da J. C. ECCLES, op. cit., p. 195.
83
Ivi, p. 155.
84
Secondo Eccles, solo con l’evoluzione della trasmissione tra neuroni da quella elettrica a
quella chimica, cioè con l’accumulo di trasmettitori chimici nelle vescicole sinaptiche e con la
loro conservazione attraverso un’esocitosi controllata, fu possibile l’inizio dell’interazione
mente/cervello.

172
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

luzione degli ominidi sono stati raggiunti livelli superiori di esperienze


85
coscienti, fino all’Homo sapiens sapiens con la sua autocoscienza».
Per J. C. Eccles, l’ipotesi complessiva è dunque che l’evoluzione
biologica abbia indotto la formazione nella corteccia di un modello di
dendriti apicali, i dendroni, necessari a dare maggiore capacità alla
corteccia stessa di integrare la crescente complessità delle afferenze
nervose dovuta al progresso filogenetico nei recettori dei sensi speciali –
luce, suono, tatto, movimento e olfatto; l’evoluzione di tali dendro-
ni, in grado di interagire con gli psiconi nascenti, dando una maggiore
efficienza funzionale alla corteccia cerebrale, avrebbe avuto come
effetto collaterale la capacità di amplificare i minuscoli effetti di uno
86
psicone, dando così origine al mondo mentale e alla coscienza.
In che parte del cervello avrebbe sede allora la coscienza?

Alla luce delle prestazioni corticali nell’attenzione e nel pensiero, si può


fornire una risposta inattesa: la coscienza appartiene al cervello nella sede
dove essa viene evocata dall’attenzione, che agisce su aree selezionate della
corteccia cerebrale per determinarne l’eccitazione. Tale eccitazione porta
all’amplificazione delle risposte dendronali agli stimoli sensitivi afferenti e,
così, all’attivazione degli psiconi e della coscienza. Sovrapposto a questo
87
semplice meccanismo attenzionale ci sarebbe un dialogo continuo fra
l’attenzione determinata dall’io e le aree corticali selezionate con i rispettivi
88
stimoli sensitivi afferenti.
***
Pur non essendo in grado di verificare le equazioni e gli esperi-
menti alla base di questa teoria di Eccles e rimanendo dunque questo
un compito affidato agli specialisti del settore, qualche osservazione,
limitata a quel che qui ci riguarda, posso farla.
Questa ipotesi sull’origine filogenetica della coscienza a me pare
convincente perché ha una base neuronatomica, è in accordo con
l’evoluzione biologica, sfrutta le strutture più evolute della corteccia
cerebrale e il loro meccanismi ultra strutturali d’azione, e si fonda,
infine, sui principi della fisica quantistica, superando l’ostacolo rap-

85
Ivi, p. 172.
86
Coscienza intesa nel senso sopra definito: vd. pp. 160 sgg.
87
«Naturalmente, non conosciamo alcun elemento anatomico di questo dialogo fra io e
cervello. Si tratta di una prestazione funzionale, la cui affermazione deriva dalle esperienze di
tutta la vita»: ivi, p. 207.
88
ID., ibid.; per una conferma di quanto sostiene qui Eccles, vd. infra, pp. 219 sgg.

173
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

presentato dalla I legge della termodinamica, finora parso invalicabile.


Credo insomma possa costituire una buona base di partenza non solo
per le ricerche future, ma anche per il prosieguo della dimostrazione
della mia ipotesi.
A questo proposito, essa presenta tuttavia alcuni limiti evidenti.
Come ammette lo stesso Eccles, innanzitutto «ci sono grandi
89
incognite in questo supposto mondo di psiconi», poi la sua teoria
90
non spiega in alcun modo i qualia, e infine non propone alcuna
91
soluzione scientifica per l’origine dell’autocoscienza.
Nella formulazione di Eccles, l’ipotesi degli psiconi appare certo
nebulosa, e tuttavia a renderla più verosimile c’è il fatto che essa
92
ricorda assai da vicino la nozione di meme elaborata da R. Dawkins.
Per Dawkins, un meme è un’unità di trasmissione culturale,
93
un’unità di informazione, un’idea, ma soprattutto un’unità di imita-
zione, cioè una specie di replicatore che non ha niente a che fare con il
materiale genetico e che agisce solo in ambienti provvisti di cervelli
complessi e comunicanti, cioè di menti.
Secondo Dawkins,

l’evoluzione è la manifestazione esterna e visibile della sopravvivenza diffe-


renziale di replica tori alternativi. I geni sono replicatori, mentre gli organismi
e i gruppi sarebbe meglio non venissero considerati forme di replicatori,

89
Cfr. ivi, p. 211.
90
Cfr. ivi, pp. 149-150.
91
Eccles è convinto che l’autocoscienza costituisca l’esperienza unica di ciascun essere
umano, che dipenda dal miracoloso avvento dell’io o anima e che pertanto sia da attribuire a una
creazione spirituale soprannaturale (cfr. ivi, p. 154, p. 212 e p. 215). Questa posizione, presa
come un atto di fede individuale, è in sé degna di rispetto; personalmente comunque, come ho
già detto con G. Bateson, non considero l’io un’entità trascendentale: vd. supra, pp. 149 sgg. Dal
punto di vista scientifico, invece, non credo sia possibile conciliare il fatto che la mente e la
coscienza siano frutto di un’evoluzione filogenetica, con l’idea che l’io e l’autocoscienza siano un
dono divino; comunque sia, nella presente ricerca, dove non mi occupo del problema dell’ani-
ma, riterrò l’io e l’anima come entità non sovrapponibili.
92
Cfr. R. DAWKINS, The Selfish Gene, Oxford 1976, II ed. 1989, trad. it. Milano 1992, pp.
198 sgg. e ID., The Extended Phenotype, New York 1982, trad. it. Bologna 1986, pp. 125 sgg.;
per precisazioni e critiche, tra gli altri vd. P.J. GREEN, From Genes to Memes?, in «CS» 7 (1978),
pp. 706-709; J. E. R. STADDON, On a Possible Relation between Cultural Transmission and
Genetical Evolution, in P.P.G. BATESON – P. H. KLOPFER (eds.), Perspectives in Ethology IV,
New York 1982; M. HAMPE – S. R. MORGAN, Two Consequences of Richard Dawkins’ View of
Genes and Organisms, in «SHPS» 19 (1988), pp. 119-138; D. C. DENNETT, Memes and the
Exploitation of Imagination, in «JAAC» 48 (1990), pp. 127-135.
93
Cfr. supra, pp. 141 sgg.

174
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

94
poiché essi sono vettori medianti i quali, e all’interno dei quali, i geni si
spostano. La selezione di replicatori è il processo tramite il quale alcuni
sopravvivono a spese di altri. La selezione dei vettori è il processo tramite il
quale alcuni vettori hanno più successo di altri nell’assicurare la sopravviven-
95
za dei replicatori che contengono.

Il biologo inglese, definisce

replicatore ogni cosa dell’universo della quale si possono fare copie, alcuni
esempi potrebbero essere le molecole di DNA o un foglio di carta fotocopia-
to. I replicatori possono essere classificati in due modi diversi: ‘attivi’ o
‘passivi’ e, indipendentemente da ciò, potrebbero essere replicatori della
‘linea germinale’ o a ‘punto morto’. Un replicatore attivo è un qualsiasi tipo di
replicatore la cui natura ha qualche influenza sulla probabilità di essere
duplicato. […] Un replicatore passivo, al contrario, è un replicatore che non
può influire sulle probabilità di essere duplicato. […] Un replicatore della
linea germinale (che potrebbe essere sia attivo che passivo) è un replicatore
potenzialmente capace di dare origine ad una linea di discendenti indefinita-
mente lunga. […] Un replicatore a punto morto (il quale potrebbe anch’esso
essere sia attivo che passivo) è un replicato re che può essere duplicato in un
numero di copie finito, dando origine ad una breve catena di discendenti, ma
che non è potenzialmente capace di formare un’analoga catena indefinita-
96
mente lunga.
97
«Per più di tremila milioni di anni» – afferma Dawkins – «il
DNA è stato l’unico replicatore nel mondo di cui valesse la pena
parlare, ma non è detto che debba mantenere sempre questo
monopolio. Ogni volta che si verificheranno le condizioni in cui un
nuovo tipo di replicatore potrà fare copie di se stesso, il nuovo
replicatore tenderà a prendere il sopravvento e a iniziare un nuovo

94
«Un vettore è una qualsiasi unità, sufficientemente discreta da sembrare degna di questo
nome, la quale contenga una collezione di replicatori e funzioni come unità di conservazione e
propagazione di tali replicatori. […] L’abilità e il successo di un vettore si misurano dalle sue
capacità di propagare il replicatore che ospita al suo interno. Il più ovvio archetipo di vettore è il
singolo organismo, ma questo potrebbe non essere il solo livello della gerarchia della vita al
quale è applicabile questa qualifica»: cit. da R. DAWKINS, The Extended Phenotype… cit., p. 147.
95
Ivi, p. 108 (il corsivo è dell’A.).
96
Ivi, pp. 108-109 (i corsivi sono dell’A.).
97
Cit. da ID., The Selfish Gene… cit., p. 203 (i corsivi sono dell’A.); l’affermazione finale di
Dawkins sulla velocità dell’evoluzione memica è importante: vd. infra, pp. 185 sgg.

175
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

tipo di evoluzione. Una volta iniziata, questa nuova evoluzione non


sarà necessariamente asservita alla vecchia. La vecchia evoluzione
per selezione genica, portando alla formazione del cervello, ha
fornito il ‘brodo’ in cui si sono originati i primi memi. Una volta
che si sono formati memi capaci di fare copie di se stessi, ha preso
il sopravvento il loro tipo di evoluzione, molto più veloce dell’al-
tro».
Così come il DNA si auto duplica facendo uso dell’apparato cellu-
lare, degli enzimi replicativi ecc., il meme si servirebbe degli apparati
di comunicazione e delle imitazioni interindividuali per duplicare se
stesso; gli effetti ‘fenotipici’ del meme, cioè le sue manifestazioni
concrete e percepibili, agendo sul comportamento dell’organismo che
lo contiene, al pari di quelli del gene, potrebbero allora influire sulle
possibilità di sopravvivenza del meme stesso, cioè all’essere esso repli-
98 99
cato o meno. Con un uso corretto e evidente dell’abduzione, R.
Dawkins, estende poi le nozioni per descrivere le qualità che hanno
un alto valore di sopravvivenza tra i replicatori genetici, i geni, ai
replicatori culturali, i memi: esse sono la longevità, la fecondità e la
fedeltà di copiatura. Cosi come per i geni, anche per i memi la
longevità di una copia qualsiasi di un meme avrà un’importanza
relativa, mentre sarà più importante la fecondità di memi particolari;
quanto poi alla fedeltà di copiatura, è chiaro che i memi non avendo
soltanto una trasmissione del tipo ‘tutto o niente’ come i geni, bensì
modalità di trasmissione differentemente modulate a seconda del
mezzo mediatico-comunicativo usato, avranno uno spettro di fedeltà
100
trascrittiva ampio e diversificato.
Un’altra differenza importante tra geni e memi risiederebbe nei
loro diversi processi di selezione: ogni gene può occupare solo una
particolare regione del cromosoma, il locus; per ogni locus esistono,
nella popolazione, forme alternative del gene; queste alternative
sono dette allel(omorf)i l’una dell’altra e, secondo Dawkins, sono in
competizione tra loro per l’occupazione dello stesso locus. I memi
invece non sono disposti linearmente su un cromosoma e non

98
Il successo nella sopravvivenza di un meme dipenderà certo dall’ambiente sociale
e biologico, nonché dalla natura genetica della popolazione, ma dipenderà anche dai
memi già presenti o dominanti nel pool memico: cfr. ivi, p. 143.
99
Cfr. supra, pp. 139 sgg.
100
Su questo punto tornerò più avanti.

176
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

sappiamo se essi competano per loci discreti o se abbiano degli alleli


identificabili.
Secondo alcuni critici, tali differenze renderebbero inutile l’analo-
gia tra geni e memi proposta da Dawkins; tuttavia, se, come credo
risulti chiaro, la nozione di psicone di Eccles è identificabile in gran
parte con quella di meme di Dawkins, l’ipotesi generale di Eccles sulla
connesione dendrone-psicone in un sito di interazione specifico, da-
rebbe maggior cogenza al paragone istituito da Dawkins, risolvendo
positivamente, per esempio, la questione se i memi/psiconi occupino
o no loci discreti.
In definitiva, così integrata l’ipotesi di Eccles sull’esistenza di
unità mentali elementari o unitarie, gli psiconi appunto, a me pare
un’idea sostenibile e ragionevole; essa, come la più generale ipotesi di
Eccles sull’interazione mente/cervello, necessita certo di ulteriori ve-
rifiche sperimentali e teoretiche, ma qui può essere, con la necessaria
circospezione, utilmente adoperata.
Venendo poi ai qualia, più che supporne o negarne l’esistenza a
101
priori temo che a lungo non si potrà fare.
Infine, riguardo all’autocoscienza, fissata, con una teoria che
allo stato delle nostre conoscenze ritengo come la più accettabile, la
nascita della coscienza nella lontana preistoria all’insorgere della
neocorteccia nell’evoluzione dei mammiferi, è necessario ora avvici-
narsi a noi nel tempo tracciando uno sviluppo storico-cognitivo
della
102
coscienza che ci conduca fino all’insorgere dell’autocoscien-
za.
***

101
Cfr. supra, pp. 163.
102
Alcuni studiosi, da ultimo vd. D. J. CHALMERS, The Conscious Mind: in Search of a
Fundamental Theory, Oxford 1996, convinti che nessuna teoria neurofisiologica o fisica, per
quanto completa, potrà mai spiegare ‘il mistero dell’esperienza cosciente soggettiva’, hanno
proposto di considerare l’esperienza cosciente una caratteristica basilare, irriducibile a qualcosa
di più elementare, e che pertanto essa risponda a proprie leggi ‘psicofisiche’, ancora tutte da
scoprire, interagenti con le leggi della fisica vera e propria. Si tratta, com’è evidente, di una sorta
di dualismo implicito – «[…] le idee che non sappiamo di possedere ci posseggono modellando
le nostre esperienze dietro le nostre spalle […]», (cfr. supra, p. 141, nota 16) – e improprio perché
comunque pretende di predire la struttura dell’esperienza cosciente a partire dai processi
cerebrali, accetta cioè la teoria dell’identità (cfr. supra, p. 166); che il mondo degli psiconi, o dei
memi se si preferisce, sia poi governato da leggi generali sue proprie, è possibile, pretendere che
esse debbano essere descritte con semplicità ed eleganza come le leggi basilari della fisica, mi
pare francamente chiedere troppo a noi stessi.

177
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

103
Negli ultimi tempi, sulla scia della ‘rivoluzione cognitiva’, si
104
sono moltiplicati i tentativi di delineare alcune tappe o intere
sintesi
105
della storia (naturale) dello sviluppo della cognizione uma-
na; per gli scopi della presente ricerca, il volume di Merlin
Donald pubblicato nel 1991 costituisce uno dei tentativi più riusci-
106
ti.
L’ipotesi generale di Donald è che la mente si sia evoluta a partire
da quella dei primati attraverso una serie di grandi adattamenti,
ognuno dei quali avrebbe portato alla comparsa di un nuovo sistema
rappresentativo; ciascuno di questi nuovi sistemi di rappresentazione
si sarebbe successivamente conservato, intatto o in forma vestigiale,
fino al raggiungimento dell’architettura mentale odierna: la mente
dell’uomo attuale sarebbe quindi un mosaico, un ibrido formato sia
da stadi cognitivi che risalgono ai primordi dell’evoluzione umana, sia
107
da strutture simboliche recenti.

103
È d’obbligo qui citare H. GARDNER, The Mind’s New Science, New York 1985, trad. it.
Milano 1988, un libro importante e tuttavia un libro in cui curiosamente la parola coscienza non
compare mai; opere introduttive più recenti sono B. BARA, Scienza cognitiva, Torino 1990, e M.
DI FRANCESCO, Introduzione alla filosofia della mente, Bologna 1996.
104
Si veda, per es., I. DAVIDSON – W. NOBLE, The Archaeology of Perception. Traces of
Depiction and Language, in «CA» 30 (1989), pp. 125-137 e il dibattito che ne seguì: ibid., pp.
137-155 e pp. 330-342.
105
Vd., tra gli altri, R. G. KLEIN, The Human Career. Human Biological and Cultural
Origins, Chicago – London 1989; ID., Anatomy, Behavior, and Modern Human Origins, «GWPr»
9 (1995), pp. 167-198; K. R. GIBSON – T. INGOLD (eds.), Tools, Languages and Cognition in
Human Evolution, Cambridge 1993; R. S. CORRUCCINI – R. L. CIOCHON (eds.), Intregrative Paths
to the Past. Paleoanthropological Advances in Honor of F. Clark Howell, Englewood Cliffs 1994;
R. LEAKEY – R. LEWIN, Origins, New York 1977, trad. it. Bari 1979, passim; ID., Origins
Reconsidered, New York 1992, trad. it. Milano 1993, cap. 15; R. LAEKEY, The Origin of
Humankind, New York 1994, trad. it. Milano 1995, cap. 6; in generale sugli argomenti del
presente paragrafo, in italiano, di possono ulteriormente vedere: E. LÀVADAS – C. UMILTÀ, Neurop-
sicologia, Bologna 1987; L. PIZZAMIGLIO – F. DENES (eds), Manuale di neuropsicologia, Bologna
1990; A. OLIVERIO, Biologia e filosofia della mente, Roma – Bari 1995.
106
Si tratta del già citato (nota 10, p. 158) M. DONALD, Origins of the Modern Mind. Dello
stesso A. vd. anche The Neurobiology of Human Consciousness: An Evolutionary Approach,
«NePs» 33 (1995), pp. 1087-1102; anche in questo caso, il lettore interessato all’approfondimen-
to o alla verifica di quanto qui di seguito affermato, troverà nel volume di M. Donald tutti i dati e
i rinvii bibl. che servono.
107
Dal punto di vista neurofisiologico, il cervello ha sicuramente una struttura a strati, ‘a
cipolla’: esso «si evolse con una serie di cambiamenti strutturali sistematici, e le strutture più
‘arcaiche’, come il midollo allungato, comparvero in organismi molto primitivi come le lamprede
e gli squali. Il mesencefalo comparve in seguito, e continua ad essere la struttura più complessa
della maggior parte dei pesci e degli anfibi. La comparsa dell’ippocampo e della corteccia
cerebrale è ancora successiva, e queste due strutture sono caratteristiche dei mammiferi»: ivi, p.
169; vd. anche supra, pp. 170 sgg.

178
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

L’aspetto innovativo del lavoro di Donald, consiste nell’aver ri-


condotto i fattori biologici e quelli tecnologici entro un continuum
evolutivo unico, dimostrando, sulla base di una gran messe di dati
tratti con competenza dalle più svariate discipline, che i cambiamenti
recenti avvenuti nell’organizzazione della mente umana sono fonda-
mentali quanto quelli avvenuti nel corso delle precedenti transizioni
evolutive, anche se essi, invece di essere codificati geneticamente nel
cervello, vengono mediati da nuove tecnologie della memoria, da
innovazioni tecnologiche i cui effetti, similmente a quelli delle più
arcaiche trasformazioni biologiche, possono produrre mutamenti nel-
l’architettura della memoria.
L’analisi dello studio di Donald, con le integrazioni e le precisa-
zione dovute, ci aiuterà allora a condurre la storia della coscienza dalla
108
più lontana preistoria, dove l’avevamo lasciata con Eccles, fin oltre
le soglie del neolitico.
***
Dopo due capitoli metodologici, Donald nel terzo capitolo traccia
una storia degli studi neuropsicologici a partire da Wernicke, conclu-
dendo giustamente che l’ipotesi secondo cui dovremmo raggruppare
tutte le facoltè cognitive peculiarmente umane nell’ambito di un unico
adattamento filogenetico e collocarle nel solo emisfero cerebrale sini-
stro, non è sostenibile.
Dalla disamina della letteratura neuropsicologica, Donald coglie
tuttavia anche un altro fatto importante e cioè che l’intuizione di
Darwin che l’intelligenza umana abbia comunque proprietà che la
distinguono da quella delle scimmie antropomorfe anche in assenza di
109
linguaggio, è confermata dagli studi più recenti.
È stato infatti dimostrato che capacità come la gestualità, la
mimica spontanea, l’abilità di costruire strumenti e la prassia in gene-
rale, l’espressione delle emozioni, l’intelligenza sociale, fra cui l’abilità
di comprendere eventi complessi e di ricordare ruoli, abitudini e
comportamenti appropriati, sopravvivono anche in totale assenza di
linguaggio; ciò potrebbe indicare che queste capacità così importanti
per la sopravvivenza umana potrebbero esere comparse prima del

108
Vd. supra, p. 173.
109
Tra la molta letteratura citata da M. Donald, il lavoro più importante è quello in cui
viene esaminato il famoso caso di ‘frate John’: A. R. LECOURS – Y. JOANETTE, Linguistic and
Other Aspects of Paroxysmal Aphasia, in «B&L» lO (1980), pp. 1-23.

179
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

linguaggio, all’inizio della nostra evoluzione: «la loro dissociabilità


neuropsicologica dal linguaggio indica un livello di sviluppo cognitivo
tipicamente umano ma prelinguistico, e potrebbe avere costituito una
base per un precoce adattamento ominide che aprì la strada alla
110
comparsa del linguaggio».
Prima di giungere ai capitoli più importanti per la presente ricer-
ca, che sono il sesto, il settimo e l’ottavo, nel quarto capitolo, Donald
esamina dunque la questione annosa dell’origine del linguaggio; il
dilemma se l’insorgere del linguaggio possa essere spiegato sulla base
della sola encefalizzazione, e dunque se lo specifico apparato vocale
umano sia solo il completamento di una capacità emersa gradualmen-
te, o se la cultura ominide sia stata sostanzialmente simile a quella
delle antropomorfe fino alla comparsa di un tratto fisico peculiare
grazie al quale sarebbe sorto, in modo repentino e in tempi a noi
vicinissimi, il linguaggio verbale e da qui la cultùra neolitica, è risolto
da Donald con l’indicazione che il problema del divario tra antropo-
morfe e uomo non è risolvibile solo con la determinazione precisa di
quando sorse il linguaggio, perché esso non è sufficiente a spiegare il
nostro vantaggio cognitivo rispetto agli ominidi.
Secondo Donald, e io concordo con lui, la definizione degli stadi
cognitivi richiede che la cultura umana venga reinterpretata, e in parte
necessariamente ricostruita, in termini cognitivi, interpretando i dati
delle testimonianze archeologiche e paleoantropologiche con l’aiuto
dei concetti elaborati dalla psicologia sperimentale e della vasta lette-
ratura etnografica sulle odierne società di cacciatori-raccoglitori.
Prima di tutto, va detto allora che si è in genere concordi nel
fissare le tappe principali dell’evoluzione umana, anatomica e cogniti-
111
va, nella seguente maniera: in un periodo che i resti fossili pongono
circa 4 milioni di anni fa (fine del Miocene), ma che i dati della
biologia molecolare spingono fino a 7 milioni, con la comparsa delle
australopitecine e del bipedismo, iniziò il distacco fra scimmie antro-
pomorfe e ominidi e si affermarono alcune delle strutture sociali – il
legame di coppia e la cooperazione nell’approvigionamento del cibo e

110
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 114.
111
Dati aggiornati e sintesi efficaci sono nelle opere di R. Leakey sopra citate: nota 105, p.
178; vd. anche, G. CAMPS, La preistoria, Milano 1985; A. BROGLIO – J. KOZOWSKI, Il paleolitico.
Uomo, ambiente e cultura, Milano 1987; G. PINNA, Paleontologia, Milano 1992; F. FACCHINI
(ed.), Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico, Milano 1993.

180
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

nella cura della prole – che ancora oggi caratterizzano la società


umana.
Una seconda tappa, con la comparsa di Homo habilis, la prima
forma del genere Homo, va collocata a partire da circa 2,5-2 milioni di
anni fa (fine del Pliocene, Paleolitico arcaico): legata probabilmente
alla cultura olduvaiana, questa prima specie ominide era molto simile
nell’aspetto fisico a Australopithecus, seppure verosimilmente dotata
112
di un cervello e di un quoziente intellettivo superiore.
La tappa fondamentale però fu quella seguente: con Homo erec-
tus, comparso circa 1,8-1,6 milioni di anni fa (Pleistocene inferiore,
Paleolitico medio), iniziò infatti un’imponente espansione encefalica e
una serie di cambiamenti culturali radicali che condussero alla nascita
di industrie litiche distintive (cultura acheuleana), alla caccia sistema-
tica e di gruppo, agli accampamenti stagionali, all’uso controllato del
113
fuoco, e alla prima espansione fuori dall’Africa.
La quarta tappa, l’ultimo stadio dell’encefalizzazione, quella che
portò, con un ulteriore aumento del 20 per cento del volume cerebrale
complessivo, al cervello dell’uomo anatomicamente moderno, iniziò
con Homo sapiens arcaico, circa 400.000/250.000 anni fa (Pleistocene
medio, Paleolitico inferiore), e terminò con l’avvento di Homo sapiens
sapiens, all’incirca 100.000 anni fa (Pleistocene superiore); in questa
ultima fase, il Paleolitico superi9re, il cambiamento culturale assunse
una rapidità evolutiva fino a quel punto sconosciuta: riti, miti, arte,
forme diverse di organizzazione sociale fecero la loro comparsa, con-
ducendo l’uomo alla cultura musteriana e dando poi inizio, attraverso
il mesolitico e il neolitico, alla grande corsa verso l’uomo114attuale.
Riguardo allora all’origine del linguaggio, Donald accetta, an-
che se115con qualche riserva, e così anch’io, l’ipotesi di Philip Lieber-
mann, secondo cui il tratto vocale dell’uomo anatomicamente mo-

112
Nonostante le ricerche di Ph. v. Tobias, non abbiamo invece prove verosimili che
Homo habilis possedesse un linguaggio, ancorchè rudimentale.
113
«La più forte impressione che si riceve da Homo erectus è quella di un essere capace di
ragionamento sistematico e di un buon livello di organizzazione, in grado di cooperare con i
propri simili nella caccia e nella costruzione di strumenti, in grado di utilizzare il fuoco per
cuocere e di trasmettere le proprie conoscenze alle generazioni luture»: ivi, p. 127 (il corsivo è
mio); sull’espansione encefalica, cfr. anche supra, pp. 170 sgg.
114
Cfr. ivi, p. 141.
115
Vd. P. LIEBERMANN, On the Origins of Language: an Introduction to the Evolution of
Human Speech, New York 1975; ID., The Biology and Evolution of Language, Cambridge (Mass.)
1984; ID., Uniquely Human. The Evolution of Speech, Thought, and Selfless Behavior, Cambridge

181
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

116
demo, e di conseguenza il linguaggio verbale pienamente sviluppa-
to, sarebbe un’innovazione molto recente, risalente all’avvento di
Homo sapiens sapiens.
In che modo allora il linguaggio, il cui avvento da solo, come si è
detto, non è sufficiente a spiegare il divario cognitivo tra antropomor-
fe e uomo, si situò all’interno dell’architettura cognitiva già esistente?
Dopo un’analisi sulla cognizione dei primati, M. Donald conclu-
de il capitolo 5 indicando come le antropomorfe 117
rappresentino la
massima espressione della mente episodica, una forma di mente
legata a quel
118
tipo di memoria che E. Tulving ha definito appunto
episodica. Tale memoria, che differisce 119
da quella procedurale,
strutturalmente diversa e più arcaica, così come da quella seman-

(Mass.) 1991; l’ipotesi di Liebermann, ipotesi che lo studioso stesso ha nel tempo aperto alla
possibilità che una qualche forma di linguaggio non pienamente sviluppato dovesse forse esistere
anche in fasi precedenti, ha avuto comunque diverse critiche: vd., tra gli altri, M. LEMAY, The
Language Capability of Neanderthal Man, in «AJPA» 42 (1975), pp. 9-14; D. FALK, Comparative
Study of the Larynx in Man and the Chimpanzee: Implications for Language in Neanderthal, in
«AJPA» 43 (1976), pp. 123-132; D. BURR, Neanderthal Vocal Tract Reconstructions: a Critical
Appraisal, in «JHE» 5 (1976), pp. 285-290; G. L. STEBBINS, Darwin to DNA, Molecules to
Humanity, New York 1982; P. V. TOBIAS, Recent Advances in the Evolution of the Hominids with
Special Relerence to Brain and Speech, in C. CHAGAS (ed.), Recent Advances in the Evolution of
Primates, Roma 1983; anche J. C. ECCLES, op. cit. (nota 6, p. 139), p. 62, respinge l’ipotesi di
Liebermann, ma egli sbaglia perché lega la coscienza al linguaggio, mentre, come vedremo, il
linguaggio è legato a un tipo di autocoscienza (verbale) e non alla coscienza in generale.
116
Nell’uomo, il tratto vocale è caratterizzato da una posizione molto bassa della laringe e,
viceversa, da una posizione alta della faringe, che forma un angolo retto con la cavità orale; la
lunghezza del palato molle, la discesa della lingua e della faringe costituiscono una morfologia
anatomica propria solo all’uomo attuale, legata alla posizione delle vertebre cervicali e a una
accentuata curvatura basicranica assente nei gorilla, negli scimpanzé, nelle australopitecine e nei
neandertaliani. Tale innovazione anatomica è certamente connessa ad uno sviluppo neurale
altamente specializzato delle aree sensoriali e motorie, nonché a innovazioni della muscolatura e
del sistema di controllo della respirazione, cioè ad innovazioni che coinvolsero il sistema nervoso
centrale nella definizione di una nuova mappatura sistematica dell’apparato percettivo basato
sulla nuova anatomia motoria, perché la ricezione e la produzione del linguaggio sono due
aspetti necessari dello stesso sistema funzionale.
117
«Di fatto, la parola che sembra riassumere meglio la cultura cognitiva delle antropo-
morfe […] è il termine episodico. La loro vita è vissuta interamente nel presente, come una serie
di episodi concreti, e il più elevato elemento del loro sistema di rappresentazione della memoria
sembra situarsi allivello di rappresentazione di eventi. Mentre l’uomo è capace di rappresenta-
zioni astratte della memoria simbolica, le antropomorfe sono vincolate alla situazione concreta o
al singolo episodio, e il loro comportamento sociale rispecchia tale limitazione situazionale. La
loro cultura potrebbe quindi essere classificata come ‘episodica’»: cit. da M. DONALD, op. cit., p.
179 (il corsivo è dell’A.).
118
Cfr. E. TULVING, Elements of Episodic Memory, New York 1983.
119
La memoria procedurale può essere considerata come la componente mnestica di
modelli di azione appresi; al contrario di quella episodica, essa conserva il ricordo degli aspetti

182
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

120 121
tica, la memoria predominante nella mente umana, 122
si caratteriz-
za per un certo grado di consapevolezza conscia e si è evoluta nelle
antropomorfe più che in altre123 specie, portandole a una maggiore
capacità di percepire gli eventi.
La principale limitazione della cultura episodica riguarda la rap-
124
presentazione: le antropomorfe eccellono nell’analisi situazionale e
nel richiamo alla memoria, ma non sono in grado, né individualmente
né collettivamente, di rievocare un evento per riflettere su di esso.
Tuttavia, rispetto per esempio alle società formate da insetti, i cui
membri agiscono in base a meccanismi automatici stereotipati e rifles-
si, le antropomorfe ricordano i rapporti diadici appresi e sono in
grado di avere una vita in comune regolata da complessi rapporti
sociali plurimi. Le antropomorfe, insomma, nelle loro capacità cogni-
tive individuali e di gruppo sono assai più evolute, per esempio, delle
api: «nonostante l’assenza di evoluzione linguistica o simbolica, l’evo-
125
luzione sociale e cognitiva è continuata».

generali dell’azione, ignorando gli aspetti specifici delle situazioni e degli eventi con un tipo di
strategia di immagazzinamento che è opposto a quella della memoria episodica: cfr. D. A.
OAKLEY, The Varieties of Memory: a Philogenetic Approach, in A. MAYS (ed.), Memory in
Animals and Humans, Wokingham 1983; D. F. SHERRY – D. L. SCHACTER, The Evolution of
Multiple Memory Systems, «PsR» 94 (1987), pp. 439-454.
120
Vd. W. KINTSCH, The Rappresentation of Meaning in Memory, Hillsdale 1974.
121
L’uomo possiede sistemi di memoria procedurale e episodica, ma essi sono gerarchica-
mente dominati, e di fatto quasi sostituiti, dalla memoria semantica, la forma di memoria di gran
lunga predominante nella cultura umana.
122
Vd. infra, pp. 210 sgg.
123
La percezione di eventi è la capacità di percepire come unitari gruppi a volte ripetitivi di
stimoli complessi e in movimento; rispetto alla percezione di oggetti, la percezione di eventi è in
grado di prendere in considerazione una pluralità di input contestuali in situazioni di crescente
astrazione e complessità, come ad es. eventi sociali in cui sono coinvolti agenti e oggetti diversi
per un periodo di tempo significativamente lungo.
124
Secondo Donald, la dipendenza delle antropomorfe dalla memoria episodica spiega
anche perché esse abbiano tante difficoltà ad apprendere il linguaggio gestuale: più di 20 anni di
studi sperimentali sistematici hanno dimostrato che esse «hanno rappresentazioni interiori, forse
persino intenzioni, e che possiedono qualche capacità di ‘etichettare’ le proprie cognizioni
quando siano state istruite con un sistema di segni adatto a loro», ma anche che esse non sono in
grado di ordinare sintatticamente più di due parole o di «saper rappresentare pienamente la loro
palese conoscenza del proprio ambiente»; ma la constatazione più importante è che «esse non
sono in grado di inventare spontaneamente nè segni nè simboli» (le cit. sono da M. DONALD, op.
cit., p. 161, il corsivo è mio).
125
Ivi, p. 192; su teoria evoluzionistica e sviluppo cognitivo, vd. H. C. PLOTKIN, Evolu-
tionary Epistemology and Evolutionary Theory, in ID. (ed.), Learning, Development, and Cultu-
re: Essays in Evolutionary Epistemology, Chichister 1982; ID., Evolutionary Epistemology as
Science, «B&Ph» 2 (1987), pp. 295-313; ID., An Evolutionary Epistemological Approach to the

183
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Arriviamo così ai capitoli centrali del volume di Donald.


Si è detto dunque che le antropomorfe non sono in grado di
inventare spontaneamente né segni né simboli; l’avvento del linguag-
gio umano dovette invece essere preceduto da una fase cognitiva in
cui si affermarono proprietà che servirono da base per la successiva
comparsa del linguaggio verbale pienamente sviluppato: «procedere
dalle limitate capacità rappresentative delle antropomorfe al livello
successivo, quello dell’uso di simboli, richiese un cambiamento della
qualità della cognizione, il compimento di un passo verso l’invenzione
di simboli affiancato dal cambiamento culturale che l’acquisizione di
126
una simile capacità implicava».
Secondo Donald, è possibile individuare questo stadio cognitivo
prelinguistico in una cultura che avrebbe fatto da ponte nella transi-
zione dalle antropomorfe all’uomo attuale, una cultura arcaica ma
fondamentalmente già umana che egli definisce come mimica; tale
cultura fu la base delle acquisizioni culturali di Homo erectus e per-
durò fino a circa due-trecentomila flnni fa.
Questa ipotesi, sebbene senza prove dirette e in una certa misura
speculativa, si basa per lo più su un uso esteso ma corretto del
concetto di vestigia (vestigia cognitive, residuo vestigiale, struttura
127
vestigiale, ecc.): M. Donald ritiene infatti che sia possibile indivi-
duare nell’attuale architettura cognitiva umana delle caratteristiche
isolabili dal linguaggio che rifletterebbero uno stadio intermedio tra la
cultura episodica delle antropomorfe e la cultura simbolica di Homo
sapiens sapiens. Vediamo in sintesi come.

Evolution of Intelligence, in H.J. JERISON (ed.), The Evolutionary Biology of Intelligence, New
York 1988.
126
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 164; occorre precisare che secondo lo studioso (cfr. ivi, p.
194), stante la pochezza dei fossili e l’incertezza sull’attribuzione della cultura olduvaiana, è
pressoché impossibile trarre conclusioni verosimili sullo stadio cognitivo rappresentato da
Homo abilis (e dalle ultime austrolopitecine).
127
Com’è noto, uno dei principi fondamentali della teoria del’evoluzione, è quello
secondo il quale i vantaggi ottenuti con gli adattamenti precedenti si conservano nelle fasi
seguenti: «una cultura cognitiva qualitativamente nuova come quella che deve aver caratteriz-
zato Homo erectus lasciò tracce nei suoi discendenti, e una cultura cognitiva che seppe
inventare, mantenere e trasmettere complesse capacità sociali e tecnologiche continuò a essere
utile anche dopo la comparsa del linguaggio. Dovremmo quindi essere in grado di individuare
le vestigia cognitive di Homo erectus nella società attuale»: ivi, p. 197; anche M. ALINEI, Origini
delle lingue d’Europa. Vol. 1: La teoria della continuità, Bologna 1996, pp. 250 sgg., pur con
altri termini, teorizza e utilizza questo concetto; sul suo uso in linguistica, vd. anche infra, pp.
241 sgg.

184
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Innanzitutto, Donald distingue tra mimetismo, imitazione e mimi-


ca nella seguente maniera: il mimetismo è il tentativo letterale di
duplicare nella maniera più esatta possibile, per esempio, un’espres-
sione facciale o un suono emesso da un altro essere, ed è una capacità
128
interspecifica propria a molti animali. L’imitazione, che è una
capacità frequente tra le scimmie antropomorfe e non, è invece meno
letterale del mimetismo: i piccoli imitano il comportamento dei geni-
tori ma non li mimano. La mimica, che comprende in sé sia il mimeti-
smo che l’imitazione, è fondamentalmente diversa perché, aggiungen-
do una dimensione rappresentativa all’imitazione, cerca di riprodurre
e rappresentare un evento o un rapporto: essa coinvolge dunque
l’invenzione di rappresentazioni consce e intenzionali (e ovviamente
129
non linguistiche).
La mimica, inoltre, può «auto-rappresentare l’evento, allo scopo
di reiterare e di affinare una capacità: l’azione stessa può essere
analizzata,
130
riprodotta e rianalizzata, cioè rappresentata per se stes-
si», ma quando l’azione mimica è compiuta di fronte a un pubblico
che l’interpreta, essa è anche un mezzo di comunicazione sociale. La
rappresentazione mimica è infatti un elemento essenziale dell’arte
antica e moderna: le danze rituali aborigene, i mimi greci e romani, le
rappresentazioni medievali, le danze tradizionali indiane e cinesi, ma
anche il teatro, l’opera, il cinema. Questo perché il possesso delle
capacità mimiche da parte dei membri di un gruppo sociale «altera
immediatamente la gamma dei modelli di azione disponibili e delle
capacità cognitive di cui essi possono avvalersi. A ciò seguono intera-
zioni mimiche che poi daranno luogo ad abitudini, giochi, abilità e
rappresentazioni collettivamente inventate e mantenute. La capacità
mimica, aggiunta a una cultura episodica preesistente, condusse ne-

128
Nel caso degli uccelli è anche intraspecifica: i pappagalli, p. es., sono in grado di
riprodurre i suoni emessi da altri uccelli.
129
«La mimica può comprendere una gran varietà di azioni e di modalità adatte ai propri
scopi. Toni di voce, espressioni facciali, movimenti degli occhi, segni e gesti manuali, atteggia-
menti posturali, movimenti standardizzati dell’intero corpo e lunghe sequenze di questi elementi
possono esprimere numerosi aspetti del mondo percepito. La pantomima, che ha un’origine
antichissima e che tuttora pratichiamo per divertimento nonostante il possesso del linguaggio
verbale, mette in risalto le nostre capacità mimiche, evidenti anche nei bambini piccoli. La azioni
compiute nel contesto di questo genere di giochi sono prevalentemente non apprese e non
reiterate, ed è improbabile che nascano semplicemente dall’imitazione, ma sono piuttosto azioni
espressive, creative e inedite»: ivi, p. 201.
130
Cit. da Id., ibid.; questo punto è importante, ci tornerò sopra più avanti.

185
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

cessariamente alla nascita di innovazioni culturali e a nuove forme di


controllo sociale. Di fatto, le ‘abitudini’ mimiche di un gruppo servo-
131
no a delineare la definizione collettiva della società».
Per Donald, «quantunque preceda logicamente il linguaggio, la
rappresentazione mimica presenta caratteristiche che vengono consi-
derate essenziali per il linguaggio stesso e che di conseguenza hanno
preparato il terreno per la successiva comparsa del linguaggio verbale.
Fra le importanti proprietà di singoli atti mimici vi sono l’intenziona-
lità, il generativismo, la comunicatività, il riferimento, l’endogenesi e
132
l’abilità di modellare un numero illimitato di oggetti».
Rispetto al linguaggio, infatti, occorre rilevare che la mimica si
presta a funzioni differenti e resta tuttora il mezzo più efficace, per
esempio, nella comunicazione delle emozioni e nella trasmissione
delle abilità rudimentali; inoltre, come è stato dimostrato analizzando
133
casi clinici odierni, la capacità mimica sopravvive alla perdita del
linguaggio perché può essere dissociata dai meccanismi semiotici e
simbolici:

la mimica è strettamente correlata alla concreta memoria episodica di un


evento, e non presuppone l’invenzione di un sistema arbitrario di simboli.
Essa è molto più prossima alla cultura primitiva delle antropomorfe che al
linguaggio parlato o scritto. Anche nell’uomo attuale la mimica è solitamente
un’elaborazione o una sintesi dell’esperienza episodica. La rappresentazione
mimica di un evento emozionale, come il senso di esaltazione o l’ira, è
incentrata sulle posture, sulle espressioni facciali e sui gesti che riassumono
134
l’evento. La rappresentazione di capacità, dall’artigianato all’atletica,
comporta una riproduzione episodica. Nel modellamento dei ruoli sociali gli

131
Ivi, p. 206; su quest’ultimo punto tornerò più avanti. L’estensione delle capacita
mimiche alla sfera sociale dà luogo a un modello concettuale collettivo della società espresso nei
riti e nei giochi condivisi perché attraverso i riti e i giochi mimici reciproci, come la danza, è
possibile modellare il comportamento degli adulti, i ruoli, le attività e i rapporti sociali senza
ricorrere al linguaggio. Una cultura mimica è probabilmente in grado di raggiungere una
complessità rituale assai limitata ed è intrinsecamente assai conservatrice, come dimostra la
lentissima modificazione degli atti mimici di gruppo dell’uomo moderno.
132
Ivi, p. 203; dimostrazioni, dati e bibl. sono nel cap. 6 del volume suddetto.
133
Cfr., tra gli altri, T. SHALLICE, From Neuropsychology to Mental Structure, Cambridge
1988, trad. it. Bologna 1990; frate John, per es., durante le crisi epilettiche in cui era afasico,
disartrico e dislessico era comunque in grado di usare la mimica per comunicare: cfr. supra, p.
179, nota 109.
134
Cfr. supra, pp. 159 sgg.

186
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

135
eventi sono riuniti in sequenze che esprimono relazioni. Tali sequenze
rappresentano gli eventi così come essi avvengono nel mondo reale e, di
fatto, potrebbero essere considerati come un ideale modello di riferimento
136
degli stessi.

Sebbene la mimica sia una forma di rappresentazione molto più


limitata del linguaggio, perché è lenta, ambigua e non tutto può essere
mimato, tuttavia essa «si armonizza con il livello della capacità di
percezione di eventi propria dei primati e ne rappresenta, logicamen-
te, il passo successivo, uno dei pochi percorsi agibili nell’ascesa della
137
loro scala evolutiva». La mimica consentì non più la sola scomposi-
zione e analisi degli eventi percettivi, ma il loro modellamento in atti
motori endogeni, dando origine a una cultura capace di modellare i
suoi precedenti episodici.
Secondo M. Donald, in conclusione, «la capacità mimica rappre-
sentò un nuovo livello di sviluppo culturale, poiché condusse a una
varietà di importanti nuove strutture sociali, compreso un modello
comune della società. Essa fornì sia un nuovo mezzo di controllo e di
coordinazione sociale, sia la base cognitiva per l’affermarsi della capa-
138
cità pedagogica e dell’innovazione culturale». Dal punto di vista
cognitivo, nella mente del singolo individuo «la mimica fu in parte il
prodotto di un nuovo sistema di rappresentazione di sé, e per la
maggior parte il prodotto di un sistema di controllo mimico sopramo-
dulare in cui le azioni del sé possono essere impiegate per modellare le
139
rappresentazioni di eventi percettivi». Nella mimica, inoltre, erano
già presenti gran parte delle caratteristiche cognitive che vengono
considerate essenziali per il linguaggio stesso e che di conseguenza
hanno preparato il terreno per la successiva comparsa del linguaggio
verbale: tra le altre la comunicazione intenzionale, la ricorrenza e la
differenziazione del riferimento.
Grazie alla cultura mimica sorsero, insomma, tutte quelle innova-
zioni che caratterizzarono il periodo di Homo erectus:

135
Cfr. infra, pp. 192 sgg.
136
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 234.
137
Cit. da ID., ibid.
138
Ivi, p. 237.
139
Cit. da ID., ibid.

187
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

la cultura mimica fu un adattamento stabile e riuscito, una strategia di


sopravvivenza attuata dagli ominidi per più di un milione di anni. Essa fornì
le fondamentali strutture sociali e semantiche cui, in seguito, si sarebbe
aggiunto il linguaggio simbolico. Le strutture cerebrali sottostanti all’azione
mimica, osservabili solo nella linea evolutiva dell’uomo, fanno parte del
cervello degli ominidi arcaici, quello stesso cervello che si sarebbe ulterior-
mente modificato per incorporare la capacità linguistica nel proprio arma-
140
mentario di sistemi e di moduli.
***
Dopo la transizione dalla cultura episodica delle antropomorfe
alla cultura mimica degli ominidi, la seconda grande transizione verso
l’uomo moderno fu quella che condusse dalla cultura mimica alla
cultura mitica.
La lunga transizione da Homo erectus a Homo sapiens sapiens
durò all’incirca da 0,5-0,4 milioni fino a 50-30.000 anni fa e ancora
non è del tutto chiaro come ciò avvenne.
Uno dei problemi principali è posto dal ruolo da assegnare all’uo-
mo di Neandertal, una specie ominide vissuta tra 150.000 e 35.000
anni fa ed estintasi rapidamente e improvvisamente: nessuno, dopo un
secolo e mezzo dalle prime scoperte di fossili neandertaliani, è ancora
in grado di dire con certezza se essi furono i nostri progenitori
immediati o un ramo secco dell’evoluzione.
La mancata soluzione del problema posto dall’uomo di Neander-
tal, lascia tuttora sospeso il giudizio sulle due principali teorie esistenti
sull’origine dell’uomo moderno, l’ipotesi dell’evoluzione multiregio-
141 142
nale e l’ipotesi della (seconda) migrazione dall’Africa. La prima
ipotesi sostiene che l’uomo di Neandertal è parte di una tendenza
evolutiva comune all’Euroasia e all’Africa (Homo sapiens arcaico) e
possiede caratteristiche anatomiche intermedie tra Homo erectus e
Homo sapiens sapiens : le attuali popolazioni europee deriverebbero
143
pertanto direttamente dai neandertaliani; per la seconda ipotesi,

140
Cit. da ID., ibid.
141
Cfr. A. G. THORNE – M. H. WOLPOFF, The Multiregional Evolution of Humans, «SA»
(1992,4), pp. 76-83; M. H. WOLPOFF (et al.), Multiregional Evolution. A World-Wide Source for
Modern Human Populations, in M. H. NITECKI – V. NITECKI (eds.), Origins of Anatomically
Modern Humans, New York 1994, pp. 175-199.
142
Cfr. C. STRINGER – C. GAMBLE, In Search of the Neanderthal, London 1993.
143
Dal punto di vista anatomico, questa ipotesi presenta almeno un problema di difficile
soluzione: i neandertaliani erano bassi, tarchiati, di braccia e gambe corte e di costituzione

188
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

l’uomo anatomicamente moderno comparve per la prima volta in


Mrica circa 125.000 anni fa e da lì si diffuse soppiantando le popola-
zioni premoderne esistenti: «nel primo caso le attuali popolazioni
geografiche (comunemente definite ‘razze’), essendo distinte da circa
2 milioni di anni, sarebbero profondamente diverse sul piano geneti-
co; nel secondo caso, derivando tutte da un ceppo comune formatosi
in epoca relativamente recente in Mrica, le differenze genetiche sareb-
144
bero esigue».
In tempi recenti, tuttavia, i dati tratti dalla genetica di popola-
zioni e dallo sviluppo di modelli statistici sull’interazione tra popo-
lazioni diversamente avvantaggiate nella competizione demografica,
hanno fatto propendere l’opinione di gran parte degli specialisti
verso l’ipotesi ‘africana’: un’unica transizione iniziata forse circa
200.000/150.000 anni fa avrebbe allora dato origine all’uomo moder-
145
no.
Comunque stiano le cose, sebbene non siano noti con precisione
gli eventi evolutivi che condussero poi alla comparsa dell’uomo anato-
micamente moderno, ci è invece ben noto, come scrive M. Donald, il
loro effetto: la grande rivoluzione costituita dalla cultura del paleoliti-
co superiore; dunque, «ciò che ci occorre è determinare l’essenziale
mutamento cognitivo e l’adattamento biologico che si situarono alla
base della cultura umana prealfabetizzata, differenziandola dalla cul-
146
tura mimica sottostante».
***
Non conosciamo alcun fattore climatico o geografico che possa
aver prodotto una pressione selettiva tale da provocare la comparsa

robusta, caratteristiche insomma che li rendevano adatti al clima freddo; i primi uomini
anatomicamente moderni che abitarono le stesse regioni erano invece alti, slanciati e dagli arti
lunghi, tutte caratteristiche adatte a un clima tropicale o temperato.
144
Cit. da. R. LEAKEY, The Origin of Humankind… cit., p. 100.
145
Anche in questo caso rimane tuttavia qualche dubbio: l’ipotesi correlativa basata sulle
analisi del DNA mitocondriale, sostiene che l’uomo anatomicamente moderno sorto in Africa
non si sarebbe mescolato geneticamente coi suoi predecessori neandertaliani (di contatti cultu-
rali abbiamo invece tracce sicure: la tecnologia chatelperroniana: cfr. R. LEAKEY – R. LEWIN,
Origins Reconstdered… cit., pp. 218 sgg.): come avvenne allora la sostituzione? Di genocidi non
c’è traccia; quale vantaggio, ancorché piccolo, avrebbe dato nell’arco di non più di due millenni
una superiorità tale all’uomo di Cro-Magnon da cancellare la presenza dei neandertaliani? Una
delle risposte possibili è il linguaggio di tipo moderno.
146
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 245; anche M. ALINEI, op. cit., p. 730, considera ai fini
delle indagini linguistico-comparative tutto sommato ininfluente quale delle due teorie sulle
origini dell’uomo moderno finirà per prevalere tra gli specialisti.

189
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

dell’uomo moderno. Inoltre, mentre la maggior parte delle altre spe-


cie di mammiferi coesiste con altre sottospecie, ciascuna delle quali
occupa la propria nicchia, l’uomo fa eccezione: «evidentemente, una
sola specie ominide può occupare la nicchia ecologica umana per un
147
periodo di tempo piuttosto lungo». È dunque probabile che nel-
l’ambito della specie umana i maggiori progressi derivino dalla com-
petizione tra sottospecie e che la competizione non riguardi le strate-
gia di sopravvivenza degli individui ma quelle dei diversi gruppi in
quanto società più o meno coese. Di conseguenza, con ogni probabi-
lità, «l’evoluzione del genere umano avvenne a livello di cambiamento
culturale, e forse la pressione evolutiva si fece sentire quando un’inno-
vazione cognitiva offrì a un gruppo di ominidi, in quanto tale, un
148
significativo vantaggio culturale su un altro gruppo».
La cultura del paleolitico superiore, tra 35.000 e 10.000 anni fa, è
tale da far ritenere che in essa tutte le proprietà fondamentali della
mente umana fossero già presenti; rispetto alle precedenti culture, il
salto qualitativo è così significativo e improvviso, che solo l’avvento
del linguaggio verbale pienamente e definitivamente sviluppato può
149
forse spiegarlo.
Il linguaggio fu verosimilmente, tuttavia, soltanto l’aspetto anato-
mico di un nuovo e complesso modello di adattamento, e contempo-
raneamente al suo insorgere dovettero svilupparsi dei mutamenti
cognitivi altrettanto significativi: «la comparsa di un nuovo adatta-
mento periferico come l’apparato vocale moderno, deve essere stata il
corollario di un corrispondente mutamento allivello di pensiero, un
mutamento fondamentale che prima avviò l’invenzione linguistica e
150
poi ne accelerò il ritmo».
151
Come si è detto, le antropomorfe possono essere addestrate
all’uso dei simboli, «ma questa capacità non le ha condotte all’acqui-
sizione né di un linguaggio né di una cultura mimica. È dunque

147
Ivi, p. 247.
148
Cit. da ID., ibid.
149
Come si è detto, cfr. supra, p. 181, nota 115, l’ipotesi che lo sviluppo del linguaggio
articolato coincida con quello dell’uomo anatomicamente moderno non è provata con sicurezza
né accettata da tutti: tra i contrari, vd. ancora R. HALLOWAY, Human Paleontological Evidence
Relevant to Language Behavior, «HN» (1983,2), pp. 105-114; T. DEACON, The Neural Circuitry
Underlaying Primate Calls and Human Language, «HEv» (1989,4), pp. 367-401; tendenzialmen-
te contrario anche M. ALINEI, op. cit., passim.
150
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 255.
151
Cfr. supra, p. 183.

190
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

evidente che la semplice capacità di collegare un segno arbitrario con


il suo significato non conduce ad alcuna forma di linguaggio. Di fatto,
i legami fra significanti e segni testimoniano solo la presenza di
capacità discriminatorie condizionate, o di elementari percezioni di
eventi. Tale legame ha a che fare con la cognizione episodica, un
152
campo in cui le antropomorfe eccellono».
Viceversa, «l’invenzione di un simbolo richiede la capacità di
pensiero;
153
esso è ciò che Gregory ha definito ‘uno strumento menta-
le’. I simboli vengono inventati per facilitare un’operazione o uno
scopo cognitivi, e lo scopo, o la soluzione, devono in qualche modo
presentarsi alla mente dell’inventore. Le antropomorfe non possiedo-
no questa competenza e non possono inventare uno strumento men-
154
tale». Questo perché «è l’intelligenza rappresentativa sottostante al
simbolo che ne definisce il potere e conduce alla sua invenzione.
Dunque, ciò che sospinge alla ricerca del simbolo perfetto, del mezzo
appropriato ad esprimere un concetto non ancora catturato, è il
155
nascente modello mentale».
Ma come sorsero i primi simboli?
Per Donald, inizialmente la fonte più probabile di simboli arbitra-
ri fu la standardizzazione delle prestazioni mimiche, cioè il gesto:
«inevitabilmente, in una cultura mimica, doveva essere presente un
certo grado di invenzione semiotica, e la forma che questa assunse fu il
156
gesto».
Poiché la mente mimica «può generare una ricca varietà di gesti
[…], può darsi che il repertorio di gesti di cui dispone l’uomo attuale
sia il risultato di millenni di accrescimento gestuale e concettuale. Ciò
owiamente significa che sistemi di simboli gestuali piuttosto elaborati
potrebbero aver preceduto l’adattamento per il linguaggio verbale,
157
specialmente durante il periodo di transizione».
I simboli, tuttavia,

152
Ivi, p. 258.
153
M. Donald fa qui riferimento a R. L. GREGORY, Mind in Science, London 1981, trad. it.
Milano 1985.
154
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 258.
155
Ivi, p. 259.
156
Ivi, p. 260.
157
Ivi, p. 265; non è detto però che tutte le forme di gesto osservabili nell’uomo attuale, di
solito usate come complemento del linguaggio verbale, dovessero far parte anche di culture
umane precedenti.

191
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

non poterono comparire per primi e, per il fatto di essere stati inventati, dare
l’avvio al linguaggio e al pensiero. L’invenzione di simboli, parole comprese,
deve aver seguito un progresso delle capacità di pensiero, e fu parte integran-
te dell’evoluzione della capacità di costruire modelli. Analogamente, è ancora
più improbabile che la semplice comparsa di un meccanismo per la vocaliz-
zazione del linguaggio verbale sia nel cervello che nel tratto vocale delle
antropomorfe, o addiruttura in Homo erectus, possa aver condotto all’inven-
zione di simboli o al linguaggio verbale. Essa potrebbe aver condotto solo
all’imitazione e a un ulteriore uso pragmatico della vocalizzazione imitativa.
[…] la capacità vocale non comportò cambiamenti cognitivi, ma seguì (o
almeno procedette in parallelo con) un fondamentale cambiamento delle
capacità intellettive di modellamento che rese utile la capacità vocale. La più
importante fonte di pressione selettiva per l’evoluzione di un apparato vocale
più affinato fu una mente cui, per la propria attività di modellamento,
158
occorrevano le caratteristiche necessarie per il linguaggio vocale.

I modelli mentali delle antropomorfe derivano dalla percezione di


159
eventi; sulla base di ciò, i mammiferi superiori poterono sviluppare
modelli anche molto complessi, come per esempio modelli di situazio-
ni e di relazioni sociali che comportavano l’integrazione di scene visive
in scenari. Anche la rappresentazione mimica dipende da un processo
di modellamento ad alto livello, e tuttavia, anche se fu essa a gettare le
basi per il linguaggio e per il pensiero simbolico, le mancava ancora un
elemento essenziale: la capacità di produrre modelli mentali era infatti
incompleta. L’uomo differisce dalle antropomorfe e dagli altri mam-
miferi non tanto nel fatto di possedere segni e simboli, quanto nei tipi
di modelli mentali che è in grado di costruire: «[…] il processo di
modellamento si rese necessario non per decodificare un linguaggio
160
che non esisteva ancora ma per inventarlo».
Secondo Donald, infatti,

quantunque il linguaggio sia stato in primo luogo uno strumento sociale, la


sua utilità iniziale non fu tanto quella di contribuire al raggiungimento di un
nuovo livello di capacità tecnologica o di organizzazione all’interno del
gruppo, o di permettere la trasmissione di capacità o l’acquisizione di una più
ampia organizzazione sociale, come avvenne in seguito, ma di venir utilizzato

158
Ivi, p. 259; il corsivo è dell’A.
159
Vd. supra, p. 183.
160
Ivi, p. 274.

192
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

per la costruzione di modelli concettuali dell’universo umano. La sua funzio-


ne fu evidentemente legata allo sviluppo del pensiero integrato, alla grande
sintesi unificatrice di quelli che fino ad allora erano stati frammenti di
informazione isolati. Mentre la rappresentazione mimica era limitata a episo-
di concreti, il pensiero metaforico è in grado di effettuare una comparazione
incrociata degli episodi, derivandone principi generali e contenuti temati-
161
ci.
162
Così come a suo tempo per la comparsa del bipedismo, l’avven-
to del linguaggio verbale coinvolse insomma un insieme complesso di
mutamenti, un elenco dei quali, secondo Donald, dovrebbe compren-
dere almeno:
1) un meccanismo vocomotorio per il controllo del linguaggio
verbale fluente;
2) un adattamento uditivo per la percezione di ‘oggetti ed eventi
uditivi’;
3) un meccanismo correlato (‘loop articolatorio’) comprendente
un magazzino fonologico a breve termine destinato alla reiterazione
vocale;
4) un accrescimento del repertorio lessicale e della memoria ad
esso dedicata;
5) una capacità di definizione di caratteristiche, anche sintattiche,
di eventi;
6) «nuove facoltà cognitive a livello integrativo e di modella-
mento, mediante le quali l’analisi del discorso e della narrazione,
nonché il pensiero formalizzato, possono essere conseguiti nell’ambi-
163
to del controllo simbolico».
Il cambiamento cognitivo sotteso allo sviluppo del linguaggio
deve essersi dunque verificato come parte di un unico adattamento:
«linguaggio e sviluppo concettuale avanzato a livello simbolico sono
così interdipendenti da apparire inscindibili e da lasciar intendere che
164
abbiano compiuto il gran balzo insieme».
Rispetto ai sistemi di invenzione simbolica precedenti, il sistema
fonologico presentava un grande vantaggio:

161
Ivi, p. 254.
162
Vd. supra, p. 180.
163
Ivi, p. 279.
164
ID., ibid.

193
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

era possibile generare enunciati ben distinti in numero praticamente illimita-


to ed era possibile ricordarli e reiterarli. Questa caratteristica permise al
repertorio simbolico di espandersi rapidamente in un ampio corpo di item
facili da ricordare e da richiamare dalla memoria. Inoltre l’invenzione e la
comunicazione fonologica non interferirono con lo svolgimento di altre
importanti attività mentali, come la locomozione, la manualità, l’orientamen-
to spaziale e la percezione visiva. L’invenzione fonologica potè quindi svilup-
parsi parallelamente agli altri aspetti del comportamento. Essa rimane il
mezzo ideale con cui un organismo primariamente visuomotorio, che viva in
stretto contatto con i suoi conspecifici, può sviluppare un sistema di simboli
165
da utilizzare in concomitanza con altre attività mentali.

L’accelerazione dell’evoluzione del linguaggio verbale determinò


verosimilmente anche «una deflagrazione lessicale, una capacità di
invenzione simbolica su larga scala e un intero nuovo repertorio di atti
che era possibile riprodurre e reiterare. Forse fu il distacco del lin-
guaggio verbale da gran parte delle attività sensomotorie del mondo
materiale a consentirgli di estendere la propria portata oltre la mate-
rialità. Proprio perché si trattava dI un nuovo sistema, non gravato
dalle esigenze che pesano sul sistema mimico visuomotorio, il linguag-
gio verbale potè accrescere la propria capacità, in parallelo, senza
166
interferire con funzioni cognitive preesistenti».

Il linguaggio, insomma,

non avrebbe potuto svilupparsi, specialmente in questi stadi precoci, senza


che intervenissero mutamenti fondamentali nei modelli mentali dei singoli
individui. Il processo di definizione del mondo è in realtà quello attraverso il
quale questi modelli vengono portati sotto il controllo simbolico. Ma questo
processo dà luogo anche a diversi tipi di modelli, in cui la struttura del
mondo, in termini di eventi, si differenziò e i componenti divennero accessi-
bili l’uno indipendentemente dall’altro nella memoria. In questo senso, i
modelli così costruiti comprendono le parole utilizzate nella loro definizione,
e le parole, a loro volta, costituiscono una parte integrante della propria
definizione. Quando una mente inizia a costruire un proprio ‘mondo’ verbal-
mente codificato, i prodotti di questa operazione – pensieri e parole – non
167
possono essere dissociati gli uni dalle altre.

165
Ivi, p. 292.
166
Ivi, p. 295.
167
Ivi, p. 296; è per questo motivo che frate John non può pensare linguisticamente (cfr.
supra, pp. 186-7): «i modelli e le loro parole sono così strettamente interrelati che, in assenza di

194
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Visto dunque da una prospettiva evoluzionistica,

il sistema del linguaggio comportò non solo un nuovo apparato vocale ma un


sistema interamente nuovo di rappresentazione della realtà. L’intero sistema di
immagazzinamento di proposizioni e l’intera memoria semantica verbale
furono prodotti dal linguaggio, e fanno parte di un adattamento verticalmente
integrato che in ultimo si unificò sotto un ‘dispositivo di controllo linguisti-
co’. […] Il dispositivo di controllo linguistico è un processo rappresentativo i
cui prodotti sono i modelli della narrazione. Il pensiero narrativo è la
normale attività automatica del dispositivo di controllo linguistico; esso
produce commenti orali-verbali su esperienze con la stessa naturalezza con
cui il sistema mimico produce rappresentazioni in termini di modelli di
azioni. Si tratta di un dispositivo di modellamento, ed è la forza motrice
dell’invenzione linguistica. Il dispositivo di controllo linguistico fa funziona-
re il resto del sistema; specificatamente, esso dirige il processo di assemblag-
gio lessicale, nel quale appropriate voci lessicali sono riunite in frasi comples-
se sottoposte a vincoli sintattici e morfologici. In relazione a ciò, la parte
essenziale dell’adattamento al linguaggio si colloca alla sommità del sistema,
168
non alla sua base.

Basandosi poi sugli studi di J. Bruner sul pensiero narrativo come


169
fondamento dell’etno-psicologia, o psicologia popolare, M. Do-
nald sostiene convincentemente, che

l’immaginazione narrativa può essere sostenuta da una tradizione puramente


orale, tipica delle cultura prealfabetizzate. Le culture di cacciatori-
raccoglitori aborigeni, sia nel possesso di complesse narrazioni mitiche della
realtà sia nel loro uso quotidiano del linguaggio, rivelano che la loro modalità
di pensiero è prevalentemente narrativa. La capacità narrativa è la forza
motrice dell’uso del linguaggio, particolarmente di quello verbale, per la cui
acquisizione la capacità di descrivere e di definire eventi e oggetti è centrale. I
racconti di cui l’intero gruppo sociale era spettatore condussero all’elabora-
zione di versioni collettive della realtà: una narrazione, infatti, si rivolge quasi

parole, l’intero sistema viene meno. In altri termini, non sopravvive ‘un linguaggio del pensiero’
da cui le parole siano scollegate, e la loro assenza determina un’assenza totale di simboli, di
pensiero simbolico e di complessi modelli simbolici»: ivi, pp. 296-297.
168
Ivi, p. 305; i corsivi sono dell’A.
169
Cfr. soprattutto J. BRUNER, Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge (Mass.),
London 1986, trad. it. Roma – Bari 1988; ID., Acts of Meanings… cit. (nota 170, p. 104), vd. anche
A. SMORTI, Il pensiero narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della conoscenza sociale, Firenze
1994, e infra, pp. 197 sgg.

195
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

sempre ad un pubblico. Conseguentemente, la pressione adattiva che con-


dusse all’espansione della capacità simbolica, l’utilità dell’invenzione simbo-
lica e il valore di un meccanismo del linguaggio verbale fluente con un’im-
mensa capacità di memoria dipendono tutti dalla capacità della mente di
indirizzare questa abilità verso la ricostruzione della realtà o […] in primo
luogo verso la sua costruzione. […] In una società prealfabetizzata […], il
linguaggio serviva fondamentalmente per diffondere e tramandare racconti.
Il linguaggio viene utilizzato per lo scambio di informazioni sulle attività
quotidiane dei membri del gruppo, per la narrazione di eventi del passato e,
entro determinati limiti, per pervenire a decisioni collettive […] Il fondamen-
to di tutto ciò è la modalità narrativa, che forse è il prodotto fondamentale
del linguaggio. Nelle poco numerose società prealfabetizzate il prodotto
supremo della modalità narrativa è il mito. Questo potrebbe essere definito
la versione più autorevole, il prodotto più finalizzato, filtrato e dibattuto di
170
generazioni di interscambi narrativi sulla realtà.

L’importanza del ruolo svolto dal mito

emerge chiaramente quando si prenda in considerazione la collocazione del


mito nell’ambito dell’architettura mentale. Nelle società del paleolitico supe-
riore il mito fu l’ineludibile risultato della capacità narrativa nonché la
suprema forza organizzatrice. A giudicare dalla continuità del ruolo delle
rappresentazioni mimiche osservabile nel rito, nel canto, nella danza e nei
giochi, la costruzione di narrazioni e miti non sostituì la cognizione mimica
ma ne divenne il complemento perfetto. Il mito conquistò il suo particolare
posto – un posto centrale, un ruolo di controllo – nel complesso delle facoltà
cognitive. La capacità mimica, così fondamentale per le acquisizioni culturali
dei più antichi membri del genere Homo, mantenne una certa importanza,
171
ma rimase relegata a un ruolo secondario.

In conclusione, a parere di Donald,

la cultura mitica condusse rapidamente all’integrazione della conoscenza. Il


repertorio eterogeno e concreto della cultura mimica passò sotto il dominio
integrato re della mitologia. […] L’integrazione mitica fu conseguente all’in-
venzione simbolica e al dispiegamento di un più efficiente apparato per la
costruzione di simboli. A ciò provvide l’adattamento fonologico, con il suo
buffer articolatorio. Quando il meccanismo per lo sviluppo e la reiterazione

170
Ivi, p. 302; il corsivo è dell’A.
171
Ivi, p. 303.

196
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

delle narrazioni di eventi si fu instaurato, si ebbe un’inevitabile espansione


della memoria semantica e propositiva, che poi sarebbe stata parte integrante
dello stesso processo iterativo di cambiamento evolutivo. Nel frattempo, un
importante ruolo di controllo dell’attenzione nell’uomo venne assunto dal
sistema del linguaggio. I circuiti reiterativi del sistema verbale consentirono
sia un rapido accesso sia un sistema di memoria endogena. Il linguaggio fornì
dunque un mezzo molto più affinato di manipolazione conscia e volontaria
del processo di formazione di modelli mentali. […] L’invenzione simbolica su
vasta scala permise alla struttura intrinseca degli eventi episodici di articolar-
si. I dispositivi simbolici, e particolarmente il lessico, favorirono l’invenzione
mitica, attraverso la quale la struttura degli eventi poteva essere modificata,
interrelata e rimodellata con gli occhi della mente. La mente umana aveva
compiuto un cerchio completo, iniziato con un apparato rappresentativo di
cultura episodica concreta e legata all’ambiente per diventare un dispositivo
capace di imporre un’interpretazione del mondo dall’alto, cioè dalle proprie
172
creazioni mitiche generate e condivise dalla collettività.
***
Prima di passare all’analisi della terza grande transizione, quella
che segnò, con l’invenzione della scrittura, il passaggio dalla cultura
mitica alla cultura teoretica, credo sia necessario a questo punto
riprendere il discorso sul mito iniziato nel capitolo I,3,5 e approfon-
dirlo definitivamente.
Dunque, come si è visto, anche secondo W. Burkert il mito
173
appartiene al genere del racconto tradizionale.
174
Sviluppando questa tesi, Burkert aveva sostenuto inoltre che

[…] se il mito è un racconto tradizionale, esso è un fenomeno linguistico, e


non una creazione sui generis analoga e a un tempo estranea alla lingua
d’uso […]; e se il mito è un racconto tradizionale, ci si dovrebbe liberare nello
stesso tempo dal problema che ha dominato gli studi di mitologia sin
dall’antichità: ‘Come è stato creato il mito, e da chi?’. Non è la ‘creazione’ né
l’‘origine’ del mito a costituire il fatto fondamentale, ma la trasmissione e la

172
Ivi, pp. 314-315.
173
Vd. supra, p. 89; W. Burkert riprende un’ipotesi di G. S. KIRK, Myth: Its Meaning and
Functions in Ancient and Other Cultures, Berkeley – Los Angeles 1970, trad. it. Napoli 1980, pp.
17-55; ID., The Nature of Greek Myths, Harmondsworth 1976, II ed., trad. it. Roma – Bari 1980,
pp. 23-31.
174
La lunga ma necessaria cit. che segue è tratta da W. BURKERT, Structure and History in
Greek Mythology and Ritual, Berkeley 1979, trad. it. Roma – Bari 1987, cap. I: L’organizzazione
del mito, pp. 3-57, passim, i corsivi sono sempre dell’A.

197
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

conservazione, anche senza l’uso della scrittura, in una civiltà orale ‘primiti-
va’. […] Un racconto diviene tradizionale non in virtù della creazione, ma
175
grazie all’essere ripetuto e accettato.
[…] La forma del racconto non è prodotta dalla realtà, ma dal linguag-
176
gio, donde è derivato il suo carattere essenziale: la linearità.
[…] Mito, allora, all’interno del genere dei racconti tradizionali, è un
racconto di storia non fattuale.
[…] I miti sono polivalenti: lo stesso mito può essere riferito alla natura o
alla storia, alla metafisica o alla psicologia, e ha un senso in ciascun campo,
rilevando a volte un senso in accordo con le predilezioni dell’interprete, ma
la vasta pluralità delle applicazioni deve metterci in guardia; un mito, in
quanto racconto, non può essere ridotto a referente, in modo specifico e
immediato, di un aspetto della realtà, di una ‘origine’ fuori dal racconto.
Quanto detto porta alla seconda tesi, che non vanta maggiore originalità
della prima: l’identità di un racconto tradizionale, incluso il mito – indipen-
dente com’è da ogni testo o linguaggio particolare e da un riferimento diretto
alla realtà – deve essere trovata in una struttura di senso all’interno del
177
racconto stesso.
178
[…] Un racconto è una sequenza di motivemi; in termini linguistici:
una catena sintagmatica con varianti ‘paradigmatiche’; in termini più elemen-
tari: un programma di azioni - intendendo ‘azione’ in senso lato, compren-
dente piani, reazioni ed esperienza passiva nella sequenza dell’intreccio.
[…] Il concetto di una ‘struttura di senso senza referenza diretta’ non è
I79
autocontradditorio. Il significato, sebbene collegato alla referenza, non si
identifica con essa. […] Il significato di un racconto, anche allivello di una
sequenza ‘proppiana’, è molto più ricco e più complesso. La sequenza

175
Su oralità e tradizione, vd. supra, pp. 86 sgg.
176
Sulla sequenzialità come proprietà prima e fondamentale della narrazione, cfr. J.
BRUNER, Acts of Meaning… cit., pp. 54 e 81 sgg.
177
«Una seconda caratteristica della narrazione è che essa può essere ‘reale’ o ‘immagina-
ria’, senza che la sua forza come racconto abbia a soffrirne. Questo significa che tra il senso e il
riferimento esterno del racconto sussiste una relazione anomala. L’estraneità del racconto
rispetto alla realtà extralinguistica sottolinea il fatto che esso possiede una struttura interna al
discorso. In altre parole, la sequenza delle frasi, piuttosto che la verità o la falsità di una qualsiasi
di esse, è ciò che determina la configurazione o trama generale. Questa particolare sequenzialità
è indispensabile perché un racconto sia significativo e perché la mente si organizzi in modo da
coglierne il significato»: cit. da J. BRUNER, op. cit., p. 55 (i corsivi sono dell’A.).
178
Sostituendo con i ‘motivemi’ le ‘funzioni’ di V. J. Propp (ma anche i temi di Nagy e
Watkins e i leit-motiv di Belardi: vd. supra, p. 89 e p. 106), Burkert segue qui A. G. DUNDES, The
Morphology of North American Indian Folktales, Helsinki 1964, pp. 50-53; si tratta però della
stessa nozione: essi sono le ‘unità d’azione della trama’; sulle funzioni di Propp come esempio di
ipercodifica, vd. supra, p. 140.
179
W. Burkert si richiama in tal modo a quanto sostenuto tra gli altri da P. RICOEUR, La
métaphore vive, Paris 1975, trad. it. Milano 1981, pp. 285 sgg.

198
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

propriamente detta, tuttavia, rappresenta una ‘regola’ semantica maggiore,


che determina il significato degli elementi. Ma una tale regola ha dinamiche
proprie ben specifiche. La sequenza di motivemi potrebbe anche essere
descritta come un programma di azioni; […] se […] ci chiediamo da dove
siano sortiti una tale struttura di senso e un tale programma di azioni, la
180
risposta sarà necessariamente: dalla realtà della vita, anzi, dalla biologia.
[…] Il linguaggio naturale, dopotutto, è il linguaggio degli esseri viventi; se le
sequenze di motivemi corrispondono ai programmi di azione, siamo proprio
181
nel campo della biocibernetica. Senza dubbio, benché i programmi di
azione non siano una peculiarità della ragione umana, solo l’uomo può però
esprimersi verbalmente a proposito di essi.
[…] La struttura più profonda di un racconto sarebbe, dunque, una serie
di imperativi: ‘get’ , cioè: ‘esci, chiedi, trova, combatti per quello che hai
trovato, prendi, fuggi’.
[…] Riducendo la struttura dei racconti a programmi di azioni, non
cadiamo nella trappola del ‘corto circuito’: non stiamo spiegando il racconto
con un riferimento ‘originario’ a un qualche fatto oggettivo.
[…] Il modulo d’azione stabilisce un principio di sintesi a priori rispetto
a qualsiasi racconto specifico. Ciò spiega perché sia possibile che l’ascoltatore
diventi a sua volta narratore – e questo è il principio del racconto
tradizionale – e perché i buoni racconti si possano memorizzare così facil-
mente pur avendoli ascoltati una sola volta: non ci sono molti items ardui da
memorizzare, dal momento che la struttura era ampiamente nota già da
prima. Grazie a questo, i racconti tradizionali possono conservare una certa
stabilità insieme a un discreto potere di rigenerazione; si possono correggere
malintesi e reintegrare omissioni, poiché narratori e ascoltatori consciamente
o inconsciamente concordano per ciò che concerne le strutture del raccon-
I82
to. Questo potrebbe essere probabilmente il punto di partenza di una
indagine nelle dinamiche inconsce della psiche, che si trovano in un luogo
imprecisato tra biologia e linguaggio, e che, senza dubbio, sono coinvolte
nella comprensione e rinarrazione dei racconti. […] Fermiamoci alla terza
tesi: le strutture del racconto, in quanto sequenze di motivemi; si basano su
programmi fondamentali di azioni, di tipo biologico o culturale, e procediamo
nell’altra direzione, dall’inconscio verso la verbalizzazione.

180
È questa in sostanza anche la tesi di fondo sostenuta da G. Bateson: il mondo della
Creatura è un’unità biologica e sociale, dove tutto è determinato dall’informazione e dalla
differenza: cfr. supra, pp. 142 sgg.
181
Si ricordi qui quanto detto sopra sulla cibernetica, vd. pp. 145 sgg.
182
Sulle strutture narrative come ‘teoria della mente’ condivisa da un gruppo sociale, vd.
ancora J. BRUNER, op. cit., capp. 2 e 3.

199
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

[…] Ciò che rende un racconto specifico, efficace, indimenticabile, a


quanto pare, può essere l’interazione di molteplici strutture. Definisco ciò
cristallizzazione di un racconto.
[…] Altro problema è fino a che punto la trasmissione orale possa
preservare cristallizzazioni, attraverso un periodo di tempo prolungato, in
assenza di una forma poetica, metrica. […] L’evidenza sembra mostrare che
183
le strutture sono infrante.
[…] A questo problema segue l’interrogativo su che cosa realmente
costituisca l’identità di un racconto in versioni differenti.
[…] Il problema può esere risolto se riconosciamo che c’è più di un
livello di strutture.
[…] Il risultato allora sarebbe che ci sono sì sovrastutture, strutture
narrative effettive e importanti, che sono parcellizzate in un processo di
trasmissione culturale trasversale, ma che la struttura di base del modello di
azione può trascendere le barriere della lingua e fornire una comunicazione e
184
comprensione per un ampio spazio di civiltà e periodi vicini tra loro.
[…] Che cosa, allora, è peculiare al mito, in contrasto con altri racconti
popolari? […] Il carattere specifico del mito non sembra risiedere né nella
struttura né nel contenuto di un racconto, ma nell’uso al quale è destinato; e
questa sarebbe la mia tesi conclusiva: il mito è un racconto tradizionale con un
riferimento secondario, parziale, a qualcosa che ha importanza collettiva.
Il mito è un racconto tradizionale applicato; e la sua importanza e serietà
derivano chiaramente da questa applicazione. Il riferimento è secondario,
poiché il significato di un racconto non può derivare da esso – a differenza
della favola, che è inventata a beneficio della sua applicazione; ed è parziale,
poiché racconto e realtà non saranno mai del tutto isomorfi in queste
applicazioni. E tuttavia il racconto è, spesso, la prima e fondamentale verba-
lizzazione della realtà complessa, il principale modo di esprimersi su proble-
mi dai molteplici aspetti: proprio la narrazione di un racconto è risultata
essere un mezzo elementare di comunicazione. Il linguaggio è lineare, e la
narrativa lineare è perciò un mezzo prescritto dal linguaggio per rappresen-
tare la realtà. I fenomeni di importanza collettiva che sono verbalizzati con
l’applicazione di racconti tradizionali sono da ricercare, in primo luogo, nella
185
vita sociale.
[…] Il pensiero mitico, quindi, non è un’invenzione spontanea dei miti.
[…] Un’età del mito, nella nostra accezione, sarebbe un’epoca in cui
l’adattamento dei racconti tradizionali è l’unico o il principale modo della

183
Che la tramissione orale debba necessariamente basarsi anche sull’uso di strutture
ritmiche, è quanto ho sostenuto nella prima parte della presente ricerca, cfr. supra, pp. 38 sgg.
184
Su questo punto si ricordi quanto sostiene e dimostra C. Watkins (vd. supra, pp. 87
sgg.) e quanto sie è detto (vd. supra, pp. 174 sgg.) sui memi.
185
È quanto abbiamo visto sostenere anche da M. Donald: cfr. supra, p. 196.

200
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

speculazione e comunicazione generale, allo scopo di verbalizzare i fenome-


186
ni, per dar loro coerenza e senso. Un siffatto metodo è antropomorfo, o
biomorfo, ma nient’affatto semplicistico; è giocoso nel senso di Piaget,
poiché adatta la realtà all’attività piuttosto che l’attività alla realtà, ma non è
arbitrario. Il pensiero mitico non assume come operatori né l’inclusione di
categoria né la dicotomia verolfalso, ma azioni o sequenze di azioni.
[…] Il pensiero mitico era, ed è, non una ripetizione meccanica di
assurdità, ma un’attività mentale che può essere molto acuta ed efficace. Esso
187
produce, soprattutto, una sintesi di fatti isolati.
[…] Infatti la struttura prestabilita del mito è uno strumento opportuno
per avere rapporti con nuovi eventi, con lo sconosciuto.
[…] Il mito può costituire così una presa anticipata di decisioni, una
188
motivazione e certamente una propaganda.
[…] Il pensiero mitico risulta essere un’importante forza della vita co-
189
sciente. […] Ciò vuol dire mettere in pratica – da fermo, per così dire –
programmi elementari di azione, che sono al tempo stesso sequenze di
esperienza psichica, neutralizzando così la depressione e la paura. […] Certe
esperienze, atteggiamenti e prospettive sono pre-formati, elaborati e socializ-
zati raccontando delle storie; non contengono molto ‘messaggio’, molto
valore di informazione; piuttosto, il racconto tende a ristabilire e confermare
190
i modelli preesistenti.
[…] Una modifica, o per lo meno una precisazione, della definizione di
mito come ‘racconto applicato’ è ancora necessaria. Questa definizione non è
da intendere nel senso di postulare due distinte epoche storiche, una del
‘puro’ racconto, l’altra del mito; non presuppone ancora due distinte opera-
zioni. Infatti gli agenti adoperati nelle esposizioni mitiche possono essere più
semplici, più elementari di quelli di un qualsiasi racconto completo.
[…] Ci sono casi in cui gli elementi del racconto e la loro applicazione
sembrano intimamente fusi; ciò ha dato origine alla falsa convinzione che il
mito derivasse direttamente da quella fusione. Il linguaggio, tuttavia, a parte
il mito, non è prodotto da fatti. Più spesso apparirà manifesta l’incongruenza,
la tensione tra fatti e verbalizzazioni. Il racconto tende a cristallizzarsi,
attraverso il contrasto e la simmetria; ha bisogno di personaggi distinti e
plausibili, di motivazioni e di continuità per essere efficace. Dall’altro lato, ci
sono fatti semplici, determinati e spesso noiosi. Il racconto è flessibile, può

186
Anche qui Burkert e Donald sono in sintonia: cfr. supra, p. 195.
187
Sul ruolo della cultura mitica come sintesi unificatrice degli eventi episodici della
cultura mimica, vd. supra, pp. 196 sgg.
188
Su questi ultimi due punti, vd. infra, pp. 297 sgg.
189
Sul mito come tipo di autocoscienza, vd. infra, pp. 214 sgg.
190
Sul racconto e la tradizione narrativa come fonte di legittimità e autorevolezza, vd.
anche J. BRUNER, op. cit., pp. 57 sgg.

201
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

adattarsi; ci sono molte possibilità di reinterpretazione e rielaborazione che


fanno sì che il racconto si adatti alle circostanze. Ma esso può anche lasciar
libera nuovamente, mettendo in moto un flusso di libera fantasia che si
accorda solo con se stesa, una logica non referenziale. E questo è quanto deve
essere accaduto a più riprese ai miti nella storia: mutamenti consecutivi di
cristallizzazione e applicazione. Un racconto ben strutturato, assunto per
spiegare qualche fenomeno o situazione complessa, può divenire, in un
191
determinato ambiente culturale, la verbalizzazione fissata. Può rilevare da
esso dettagli caratteristici, che allargano e modificano la sua struttura; può
acquisire uno status sacrale e divenire immutabile; ma, rinarrato in una
nuova situazione, tenderà a cristallizarsi nuovamente, conservando tuttavia
alcuni elementi della sua precedente applicazione; nella nuova forma potrà
essere ancora applicato a nuove circostanze, e via di seguito. Questa è la
dimensione storica del mito, come pure del linguaggio in genere. Se dobbia-
mo comprendere un qualsiasi mito dato in tutti i suoi dettagli, dobbiamo fare
i conti con il fatto che esso porta le impronte della sua storia, di livelli
multipli di applicazione e di cristallizazione. È possibile non curarsi di
questo, costruire un modello strutturale, onnicomprensivo, ma gli effetti
della trasmissione permangono. La tradizione è storia, e il racconto tradizio-
nale non può essere disgiunto da essa. […] Certe caratteristiche sono intima-
192
mente connesse con strati culturali identificabili.

Quanto sostiene W. Burkert, conferma dunque le idee di M.


Donald sul mito e rafforza l’importanza della cultura mitica nella
storia della cognizione umana; un’ulteriore conferma viene tuttavia
anche dalle indagini degli antropologi sociali sui miti dei popoli
193
‘primitivi’ odierni, ricerche i cui risultati sono così riassunti da Sir
Edmund Leach:

These myths have certain general characteristics which can be summa-


rized as follows:
1. They are very long. […]
2. The myths are in story formo They provide a ‘history of the known
world’ which explains how things have come to be as they are and why things
are done in the way they are done. The extent of this known world is very

191
Sulle formulazioni orali standardizzate, vd. supra, pp. 93 sgg.
192
Abbiamo qui pertanto una conferma di più del fatto che – in teoria – è possibile
identificare attraverso i testi specifiche facies culturali: cfr. supra, pp. 73 sgg.
193
Sulla necessità di integrare i dati dell’archeologia e della paleoantropologia con le
ricerche etnografiche, vd. supra, pp. 180 sgg.

202
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

limited and the sense in which the mythology refers to the past is qualified.
The hero-ancestor-deity characters who are the protagonists of the stories are
presumed to be close at hand both in time and space.
3. The various stories form a corpus. They lock in together to form a
single theological-cosmological-jural whole. Stories from one part of the
corpus presuppose a knowledge of stories from all other parts. There is
implicit cross-reference from one part to another. It is an unaivoidable
feature of storytelling that events are made to happen one after another, but
in cross-reference, such sequence is ignored. It is as if the whole corpus
referred to a single instant of time, namely, the presents moment.
4. The principal use to which these stories are put is to justify whatever is
now being done. As Malinowski put it, ‘myths’ […] provide charters (id est,
legal precedents) for social action. But as P.-Y. Jacopin has recently pointed
194
out, this formula can also be reversed. It is not just that the myth provides
a model for social reality but social behavior is conducted as if the myth
referred to a presently existing real world in which human beings attempt to
partecipate.
5. From this point of view even the most mundane everyday actions are
reenactments of myth, but there is also a special class of behaviors that the
visiting anthropologist is likely ot categorize as ‘ritual’.
[…] Myth requires the existence of a corpus of text, id est, many distinct
stories which can be treated as a transformational set; the mythical ‘message’
is not to be found in any one story but in the set as a whole. In my prototype
case the corpus of text is provided by a body of oral traditions recorded in a
single locality in a ‘preliterate’ community.
[…] But in what circumstanèes does a document become part of a
mythology? And are there circumstances when an ‘oral tradition’ is not part
of a mythology?
[…] An oral tradition is not a myth if it is simply an isolated story
standing by itself; it becomes a myth – or part of a myth – only when it is
treated as a part of a transformational set of stories all of which derive from
the same general context. […] But what about literary documents? The same
general principle applies. A single document taken by itself can never be a
myth. It has no meaning other than that contained in its manifest content.
But as soon as we have a number of documents, all of which purport to be
about the same general subject matter even though their manifest content is
substantially or even totally different, then we have the materials for con-
195
structing a mythology.
***
194
E. Leach fa qui riferimento a P.-Y. JACOPIN, La parole générative de la mythologie des
indiens Yakuna, Diss. Neuchatel 1981.
195
Cit. da E. LEACH, Critical Introduction, in M. I. STEBLIN-KAMENSKIJ, Mif, Leningrad
1976, trad. ingl. Ann Arbor 1982, pp. 1-20, passim (i corsivi sono dell’A.); l’ultimo esempio

203
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Approfondite e chiarite la genesi del mito e le funzioni del pensie-


ro mitico, possiamo ora tornare al volume di M. Donald e concluder-
ne l’analisi.
Secondo M. Donald, i più importanti fenomeni cognitivi che
differenziano la cultura mitica dalla cultura moderna, che egli chiama
teoretica, e che caratterizzano la terza grande transizione cognitiva
dell’umanità, sono l’invenzione visuografica, la memoria esterna e la
costruzione di teorie: «la cultura mitica in senso stretto si estese
comprendendo le società di tutto il paleolitico superiore, del mesoliti-
co e del neolitico. Essa perdura oggi in numerose tradizioni, e le sue
vestigia sono tuttora distintamente riconoscibili in alcuni aspetti della
civiltà postindustriale. Il suo esatto confine esterno non può essere
seguito facilmente. La cultura teoretica è cresciuta all’interno della
cultura mitica e a poco a poco l’ha inglobata. Essa si è sviluppata
nell’arco di parecchi millenni ed è divenuta la forma predominante di
196
pensiero della società postindustriale».
La prima innovazione fondamentale sottostante alla cultura teore-
tica fu dunque l’invenzione visuografica, cioè la scoperta dell’uso
simbolico dei mezzi grafici.
Tale innovazione si sviluppò gradualmente – l’uso delle pitture
corporali, delle incisioni intenzionali su strumenti e delle disposizioni
rituali di oggetti risale infatti almeno a Homo sapiens arcaico, ma a
partire per lo meno da circa 25.000 anni fa, l’epoca delle pitture
rupestri di Altamira e Lascaux, essa mostra già capacità figurative
altamente sviluppate. Dalle pitture, dai disegni e dalle sculture paleo-
litiche si arrivò poi, partire dal 8-6.000 a.c., agli ideogrammi, ai
geroglifici, alla scrittura cuneiforme delle civiltà mesopotamiche e,
197
infine, all’alfabeto fonetico.

proposto da E. Leach corrisponde al caso della lingua poetica i.e.: un corpus di testi letterari
costruiti con una comune lingua poetica e sorretti da una comune mitologia: cfr. supra, pp. 102
sgg.
196
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 322-323.
197
In italiano, una buona introduzione è G. R. CARDONA, Storia universale della scrittura,
Milano 1986; anche se sulla nascita della scrittura e sui suoi rapporti con la cultura mitico-orale
tornerò a dilungarmi più avanti, bisogna qui ricordare tuttavia che il solo possesso di un
linguaggio verbale non conduce automaticamente all’invenzione grafica, anzi: delle migliaia di
lingue parlate in tempi e luoghi diversi, meno di un decimo ha sviluppato una propria forma
scritta e di queste solo poco più di un centinaio ha generato un corpus letterario di qualche
rilevo: cfr., tra i molti, R. HARRIS, The Origin of Writing, London 1986.

204
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Ma la novità più importante della terza transizione fu il fatto che


la mente si collegò con il sistema simbolico esterno sorto mediante
l’invenzione visuografica e ne divenne parte integrante:

la terza transizione, dalla cultura mitica alla cultura teoretica, differisce dalle
precedenti nell’hardware: mentre le prime due transizioni dipesero da un
nuovo hardware biologico, e specificatamente da cambiamenti intervenuti nel
sistema nervoso, la terza transizione dipese da un equivalente cambiamento
198
nell’hardware tecnologico, e specificatamente da cambiamenti dei disposi-
tivi della memoria esterna. Fin dall’inizio la cultura teoretica fu codificata
esternamente, e la sua costruzione coinvolse una nuovissima sovrastruttura
di meccanismi cognitivi esterni alla memoria biologica dell’individuo. Come
nelle transizioni precedenti, i più antichi adattamenti vennero conservati e a
poco a poco la cultura teoretica inglobò le dimensioni episodica, mimica e
199
mitica della mente, estendendo ciascuna di esse in nuovi territori.

Secondo Donald, l’invenzione visuosimbolica è intrinsicamente


un metodo di immagazzinamento nella memoria esterna: «occorre
fare distinzione fra la memoria contenuta all’interno dell’individuo e
la memoria come parte di un sistema di immagazzinamento collettivo
e esterno. La prima ha sede nel Gervello, e quindi la possiamo definire
memoria biologica. La seconda può risiedere in parecchi e differenti
magazzini esterni, compresi i sistemi di immagazzinamento visivo ed
elettronico o i ricordi di altri individui che vengono trasmessi cultural-
mente [questo corsivo è mio]. La caratteristica fondamentale del
secondo tipo di memoria è di essere esterna alla memoria biologica di
200
una determinata persona, per cui la definiremo memoria esterna».
Per Donald,

198
A parere di Donald, «da natura non biologica dell’hardware non ha alcuna rilevanza dal
punto di vista di una storia naturale della cognizione, poiché il risultato ultimo fu una transizione
evolutiva non meno fondamentale delle precedenti. Quando i dispositivi della memoria esterna
furono presenti e quando la nuova architettura cognitiva comprese un circuito della memoria
esterna illimitatamente espandibile e perfezionabile, erano state gettate le fondamenta della
future strutture teoretiche»: cit. da M. DONALD, op. cit., p. 414.
199
Ivi, pp. 321-322.
200
Ivi, p. 360; se, come osserva lo stesso Donald (ibid., p. 361) che è uno psicologo, la
psicologia non offre alcuna struttura teoretico-concettuale in cui inserire la nozione di memoria
esterna, la teoria dell’informazione (e gli studi di G. Bateson, come si è visto: cfr. supra, pp. 140
sgg.), costituisce invece a questo proposito un punto di riferimento sicuro.

205
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

la memoria esterna è una caratteristica determinante della cognizione umana


quando si voglia tentare di costruire un ponte evolutivo dal neolitico alle
capacità cognitive dell’uomo attuale o un ponte strutturale dalla cultura
mitica alla cultura teoretica. Può darsi che il cervello, in tempi recenti, non
abbia subito cambiamenti genetici, ma il suo collegamento con una rete della
memoria esterna in costante espansione gli conferisce capacità cognitive che
non avrebbe potuto sviluppare in condizioni di isolamento. Questa è più di
una metafora: ogni volta che la mente compie un’operazione di concerto con
il sistema di immagazzinamento esterno, essa entra a far parte di una rete, la
struttura della sua memoria è temporaneamente alterata e il locus del control-
lo cognitivo cambia. […] Il più importante locus della conoscenza immagaz-
201
zinata è fuori, non entro i confini della memoria biologica. La memoria
biologica porta con sé il codice, e non una quantità di informazioni specifi-
202
che. Quando le monadi si trovano dinanzi a un ambiente di informazioni
simboliche sono affrancate dall’obbligo di dipendere interamente dalla me-
moria biologica, ma il prezzo di questa libertà è il bagaglio interpretativo. La
ragione per cui altri mammiferi non sono in grado di apprezzare l’ambiente
simbolico dell’uomo non è l’impossibilità di udire, vedere, ricordare e occa-
sionalmente utilizzare simboli, ma è l’impossibilità di interpretarli. Essi non
possiedono né i sistemi di riferimento semantico a vari livelli né le strategie
per la codificazione, entrambi essenziali per quell’esteso uso di simboli che
203
contraddistingue l’umanità.

Poi, con il radicamento della scrittura, «il campo della memoria


esterna divenne un dispositivo più complesso e potente, poiché era in
grado di collegarsi con tutti e tre i sistemi rappresentativi umani [cioè
quello episodico, quello mimico e quello linguistico] e in tal modo il

201
«L’invenzione visuografica e il risultante accrescimento dei mezzi della memoria simbo-
lica esterna hanno alterato la natura della memoria di lavoro e il ruolo della memoria biologica
dell’uomo. Ora il più importante locus della memoria di lavoro, per scopi teoretici, è esterno, e i
più importanti sistemi schiavi della memoria di lavoro sono anch’essi esterni; il vero sketchpad
visuospaziale è il campo della memoria di lavoro esterna, e la narrazione di eventi per iscritto è
molto più importante del loop articolatorio, almeno per la costruzione di un prodotto teoretico
finito. Ciò si verifica perché i dispositivi esterni permanenti permettono che un processo di
pensiero iterativo e interattivo operi ripetitivamente sui propri prodotti; e, ancora più importan-
te, il processo di pensiero in sé può essere esteriorizzato e istituzionalizzato in larga misura.
Poiché i dispositivi della memoria esterna sono in grado di stabilire un collegamento con tutti i
precedenti livelli dell’evoluzione cognitiva, essi servono anche nella costruzione di un campo
integrativo, dove i prodotti di vari tipi di pensiero possono essere giustapposti e combinati»: ivi,
p. 415; vd. anche infra, pp. 219 sgg.
202
«Seguendo Giordano Bruno e Leibnitz, la mente biologicamente incapsulata potrebbe
essere definita una monade»: ivi, p. 365.
203
Ivi, pp. 364-366.

206
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

sistema di immagazzinamento esterno, più ampio e permanente, Si


204
espanse con rapidità».
Così come per l’invenzione linguistica, anche l’impulso verso
l’invenzione visuosimbolica e verso un uso sistematico del materiale
immagazzinato nella memoria esterna, dovette scaturire da un proces-
so di modellamento: «lo sviluppo concettuale fu al centro della spinta
in direzione di un uso estensivo del SISE. In riferimento al suo
prodotto finale, il nuovo livello di sviluppo concettuale potrebbe
essere definito teoretico, ma lo sviluppo teoretico fu graduale e si
205
realizzò in più vie parallele».
Tuttavia, anche se i complessi sviluppi sociali e tecnologici del
neolitico potrebbero far pensare che alcune capacità di pensiero
206
analitico possano essere precedenti alla comparsa della scrittura, in
realtà è solo con quest’ultima che cominciò a crearsi «il clima intellet-
tuale necessario per un mutamento fondamentale: la mente umana
iniziò a riflettere sui contenuti delle proprie rappresentazioni, a modi-
ficarle e ad affinarle. L’uomo si allontanò da un tipo di ragionamento
e di problem solving immediato e pragmatico per avviarsi verso l’ap-
plicazione delle proprie capacità alle rappresentazioni simboliche
207
permanenti contenute nelle fonti della memoria esterna».

204
Ivi, p. 357; «il sistema di immagazzinamento simbolico esterno (SISE) si distingue dal
campo della memoria esterna (CME) per disponibilità e permanenza. La definizione di SISE si
applica a tutti gli item della memoria immagazzinati in un formato esterno relativamente
permanente, indipendentemente dal fatto che siano o non siano immediatamente disponibili per
l’utente. TI CME è un insieme temporaneo di parte del materiale contenuto nel SISE, ad uso del
singolo individuo. In questo modo una persona può avere un’intera biblioteca di materiale
disponibile per un progetto, ma può rimuovere solo alcuni item e disporli in un ordine per le sue
necessità immediate; la prima fa parte del SISE mentre i secondi costituiscono il CME di cui
quella persona dispone in quel momento»: cit. da ID., ibid.
205
Ivi, p. 387; la parte conclusiva del capitolo 8 del volume di M. Donald è dedicata
all’individuazione delle principali tappe dello sviluppo del pensiero teoretico; su una di esse, le
prime conoscenze astronomiche, tornerò più avanti.
206
«I maggiori prodotti del pensiero analitico, d’altra parte, sono generalmente assenti
dalle culture puramente mitiche. Un elenco, seppure incompleto, delle caratteristiche assenti
comprende: le argomentazioni formali, la tassonomia sistematica, l’induzione, la deduzione, la
verifica, la differenziazione, la quantificazione, l’idealizzazione e i metodi di misura uniformati.
Il dibattito, la scoperta, la prova e la sintesi teoretica, al contrario, fanno parte dell’eredità di
questo tipo di pensiero. Il più elevato prodotto del pensiero analitico, e il costrutto che lo
governa, è la teoria formale, un dispositivo integrativo che è molto più dell’invenzione simbolica,
e consiste piuttosto in un modo di pensare e di argomentare mediante il quale è possibile
formulare previsioni e spiegazioni»: ivi, p. 321.
207
Ivi, p. 390.

207
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Com’è noto, infine, con l’avvento della scrittura alfabetica nella


grecità classica, il pensiero e la cultura teoretica conobbero poi l’inizio
del loro definitivo e inarrestabile sviluppo:

il pensiero dell’uomo primitivo nel corso dei millenni che precedettero i


Greci fu pienamente pago di intendere se stesso e il proprio contesto sotto
forma di personaggi in un racconto, e non come entità o realtà da definire nel
quadro di un sistema teorico. Le prime forme del modo di pensare teoretico,
e del linguaggio adeguato a esprimerlo, parzialmente inventati prima di
Platone, furono tramandati a lui in eredità per un progresso e una sistematiz-
zazione, ed egli a sua volta, insieme ad Aristotele, tramandò all’Europa questi
risultati. La miccia che innescò questa rivoluzione fu l’invenzione dell’alfabe-
to greco, che consentì il passaggio, in Grecia, dall’oralità alla scrittura. […] In
breve, fu una rivoluzione a un tempo mentale e linguistica, che stravolse il
sistema della conservazione del sapere. Nella fase di cultura orale essa ha
luogo per il tramite della memoria umana, e il materiale mnestico è di tipo
narrativo, ovvero è in forma di racconti di eventi ‘agiti’ da personaggi, non di
enunciati astratti, sostanziati di categorie e princìpi. Nella fase alfabetizzata
della Grecia, l’immagazzinamento del sapere fu garantito invece dall’ausilio
materiale della parola scritta, nella forma del documento che poteva essere
usato e riusato senza necessità di ricorrere alla memoria. E dal momento che
l’urgenza del memorizzare venne meno, la mente fu libera di elaborare
208
concetti.

In conclusione, ciascuna delle tre transizioni cognitive indicate e


ricostruite da M. Donald ha dunque «comportato la costruzione di un
adattamento rappresentativo interamente nuovo e relativamente a sé
stante, un modo di rappresentazione del mondo umano capace di
confermare l’esistenza di un certo livello di cultura e di una strategia
di sopravvivenza cui il genere umano era pervenuto. Ciascun stile di
rappresentazione acquisito nel corso dell’evoluzione umana è stato
conservato, formando una cerchia sempre più ampia di pensieri rap-
presentativi. Il risultato è un sistema di canali mentali al contempo
rappresentativi e paralleli in grado di eleborare il mondo congiunta-
209
mente».

208
Cit. da E. A. HAVELOCK, Alle origini della filosolia greca. Una revisione storica (trad. it.
postuma dell’inedito The Preplatonic Thinkers of Greece. A Revisionist History), Roma – Bari
1996, pp. 6-7.
209
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 414.

208
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

In particolare, il complesso teoretico dei dispositivi simbolici


visivi, delle capacità di gestione della memoria e delle capacità meta-
210
linguistiche correlate, generato nell’ultima transizione, «fu del tut-
to nuovo e costituì un inedito apparato rappresentativo umano di
efficacia ineguagliata. La risultante architettura cognitiva è una strut-
tura ibrida di grande complessità interna ed esterna, molto lontana da
211
quella dei nostri ‘parenti’ evolutivamente più prossimi».

2. 3. TIPOLOGIE DELL’AUTOCOSCIENZA

Con l’analisi del volume di M. Donald, siamo giunti fin quasi alle
soglie della classicità; quel che è accaduto poi nella storia dello svilup-
po della mente e della coscienza umana è per lo più noto e comunque
non riguarda direttamente la presente ricerca.
Per la mia ipotesi, tuttavia, il dato più importante che si può trarre
dal lavoro di M. Donald, è il fatto che lo studioso, nel corso della
storia naturale della cognizione che egli traccia, identifichi e isoli per
ciascuna delle tre transizioni ricostruite, forme diverse di coscienza e
di consapevolezza di sé: ciò significa che sono esistite tipologie di
autocoscienza diverse da quella dell’uomo attuale, basata, come ognu-
no di noi sa, sul dialogo interiore con se stessi.
L’insorgere di quest’ultimo tipo di autocoscienza, è legato al
nome di un uomo la cui esistenza ha modificato, forse come nessuno
mai nella storia dell’umanità, il nostro modo di pensare e la nostra
stessa concezione di attività mentale: Socrate. Egli è stato uno dei
primi uomini di cui abbiamo notizia con certezza, se non il primo in
assoluto, a possedere una voce interiore, di dentro, con cui, nella
solitudine della propria mente, discutere e dibattere, parlare e ascolta-
re, una voce da cui prendere ordini e ricevere consigli. Socrate nacque
nel 469 e morì nel 399 a.c.; se si può dunque individuare nella vita di
Socrate lo spartiacque temporale per la nascita dell’autocoscienza

210
«Le capacità metalinguistiche sono state determinanti per il successo umano con il SISE
e hanno costituito l’essenza dei curricula scolastici per due millenni, cominciando con la retorica
classica e proseguendo attraverso diversi stadi addizionali. Le discipline su cui i corsi di studio
erano imperniati si spostarono dalla forma parlata a quella scritta, da una struttura complessiva-
mente narrativa alle intricate capacità di pensiero coinvolte nella grammatica, nella logica e
nell’induzione, e infine dall’esteso modello di costruzione di una narrazione ampia alla costru-
zione di prodotti teoretici via via più specializzati»: ivi, p. 415.
211
Ivi, p. 416.

209
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

dialogico-verbale, argomento su cui tornerò comunque nel paragrafo


seguente, restano invece da individuare le modalità di funzionamento
e gli stili operativi delle precedenti forme di autocoscienza. È quel che
ora farò.
***
212
In precedenza, si è osservato che la memoria episodica, diver-
samente da quella procedurale, comporta un certo grado di consape-
volezza conscia, legata alla percezione di eventi: senbra infatti che la
mente episodica costruisca una sorta di documentazione continua
dell’esperienza individuale e la immagazzini nella cornice spazio-
temporale costituita dalla memoria episodica.
Le antropomorfe più vicine a noi come lo scimpanzè e in parte
l’orangotango, sono le uniche in grado di superare il test dello spec-
213
chio, cioè di riconoscere se stesse nell’immagine riflessa; anche se i
risultati e l’impostazione di questi esperimenti sono stati per qualche
214
aspetto criticati, è possibile ipotizzare che alcune antropomorfe
possiedano un sistema di rappresentazione di sé, verosimilmente lega-
215
to al controllo della mano e alla possibilità dell’esplorazione ma-
nuale di sé e del mondo, diverso e più sviluppato rispetto a quello
delle scimmie inferiori. È tuttavia altresì verosimile, come osserva R.
216
Leakey, che questa elementare consapevolezza di sé, limitata nelle
capacità di immedesimazione alla percezione della propria identità
corporea, ma comunque sufficiente per una vita sociale molto com-
217
plessa, nelle stesse antropomorfe non si sia ulteriormente evoluta
negli ultimi cinque milioni di anni.

212
Cfr. supra, p. 183.
213
Cfr. G. G. GALLUP, Chimpanzees: Self Recognition, «Science» 167 (1970), pp. 86-87;
ID., Self Awareness and the Emergence of Mind in Primates, «AJPr» 2 (1982), pp. 237-248; D.
GRIFFIN, Prospects for a Cognitive Ethology, «BBS» 4 (1978), pp. 527-538; anche gli esperimenti
basati sul cosiddetto ‘test dell’inganno tattico’ danno risultati sostanzialmente simili: cfr. R.
BYRNE – A. WHITEN, Machiavellian Intelligence: social Expertise and the Evolution of Intellect in
Monkeys, Apes, and Human, Oxford 1988; vd. anche D. GRIFFIN, Animal Minds, Chicago 1992.
214
Cfr., tra gli altri, R. EPSTEIN – R. P. LANZA – B. F. SKINNER, ‘Self Awareness’ in the
Pigeon, «Science» 212 (1981), pp. 695-696.
215
Il controllo della mano comporta, per la prima volta nella storia dell’evoluzione, una
convergenza di retroazioni visive, tattili e propriocettive sullo stesso sistema di azione: cfr. M.
DONALD, op. cit. (p. 158, nota 10), p. 176.
216
Cfr. R. LEAKEY, The Origin of Humankind… cit. (p. 178, nota 105), p. 164.
217
Cfr., tra gli altri, N. HUMPREY, The Inner Eye… cit. (p. 158, nota 13), e ID., A History of
the Mind, New York 1993.

210
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

In un sistema episodico la consapevolezza di sé pertanto sarà


contingente e concreta: «ciò che noi sperimentiamo come una fonda-
mentale consapevolezza non riflessiva corrisponde in qualche modo
all’esperienza episodica diretta, non interpretata da alcuno dei nostri
sistemi rappresentativi. Questi stati non riflessivi sono probabilmente
quanto nell’uomo può essere più vicino alle culture episodiche dei
mammiferi superiori. In tale stato, l’assenza di rappresentazione mimi-
ca o linguistica fa sì che, per esclusione, il controllo passi alla strutture
218
cognitive episodiche».
La svolta nella direzione dell’autocoscienza di tipo moderno,
219
come si è già indicato, è dunque costituita dall’insorgere del genere
Homo e della cultura mimica, il vero anello mancante nella storia della
differenziazione tra antropomorfe e uomini nella cognizione e nell’au-
tocoscienza.
Sebbene anch’essa limitata dall’assenza di un linguaggio verbale
pienamente sviluppato, la cultura mimica ebbe come base cognitiva
una più estesa rappresentazione di sé e di conseguenza un migliora-
mento sostanziale del controllo motorio conscio: «il maggior discosta-
mento dalle capacità dei primati fu il modo in cui il corpo di un
individuo e i suoi movimenti nello spazio venivano rappresentati nella
220
mente».
Da questo punto di vista, la capacità essenziale della cultura
mimica consiste nel combinare la percezione degli eventi con una
mappa corporea estesa e conscia e con i suoi modelli di azione, in uno
spazio superordinato rispetto alla rappresentazione di sé e del mondo
esterno: «una nuova struttura, che può essere definita come un siste-
221
ma di controllo mimico situato alla sommità di una gerarchia».
Entro il sistema di controllo mimico, le rappresentazioni di sé
possono essere valutate e classificate in riferimento ad altre rappresen-
tazioni di sé oppure a eventi esterni: «il primo prodotto della capacità
mimica in evoluzione fu probabilmente un’accresciuta variabilità,
novità e riproducibilità dei modelli di movimento dell’individuo. Per
tale prodotto, il modellamento conscio di un modello di sé nel compi-

218
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 427; il corsivo è dell’A.
219
Cfr. supra, pp. 184 sgg.
220
Ivi, p. 225.
221
Cit. da ID., ibid.

211
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

mento di un’azione, insieme con la continua reiterazione e il costante


222
affinamento del movimento stesso, divenne una necessità».
Laddove poi gli output della memoria episodica erano percettivi e
letterali, il sistema di controllo mimico poteva invece incorporare gli
output in metafore di azioni: la percezioni di eventi divenne così
riproduzione conscia di eventi.
La struttura degli insiemi di eventi non è tuttavia né gerarchica né
piramidale, né peraltro si può presumere che essa sia cladistica come
quella in genere presupposta per i concetti codificati simbolicamente:
«un immagine più appropriata potrebbe essere quella di una ‘nube
statistica’, cioè di un raggruppamento di dati in uno spazio multidi-
223
mensionale». Se il riconoscimento di eventi da parte degli animali è
confuso, fluido, astratto e non denotativo, di conseguenza anche
224
l’imitazione avrà le stesse caratteristiche; la mimica invece funziona
in base a un principio metaforico, un principio di rassomiglianza
percettiva: «la differenziazione di classi di eventi è generalmente
basata su ripetuti contatti con ciascuna classe di eventi, e i prototipi
degli eventi episodici incorporano una casistica crescente. Le rappre-
sentazioni mimiche possono dunque essere considerate veri e propri
225
eventi».
La differenziazione delle rappresentazioni di sé funziona come la
differenziazione di eventi esterni, perché dipende dalle risorse dispo-
nibili per la creazione di un’autoimmagine: parti del sé sono differen-
ziate, classi di azioni sono differenziate e l’intero corpo è differenziato
dall’ambiente.
Ma «la rappresentazione di eventi in termini di azioni del sé
richiede un parallelismo tra modelli del sé e modelli di insiemi di
eventi, nonché una comune destinazione mediante la quale essi possa-
no essere confrontati e valutati. Quando una mente mimica ‘interpre-
ta’ un evento in termini di azione, questo processo comparativo
costituisce l’essenza dell’interpretazione. L’azione autocosciente è dun-
226
que alla base della mimica».

222
Ivi, p. 226.
223
Ivi, p. 228; il concetto di nube statistica è tratto dalla meccanica quantistica.
224
Cfr. E. L. MOERCK, The Fuzzy set called ‘Imitàtions’, in G. E. SPEIDEL – K. E. NELSON
(eds.), The Many Faces of Imitation in Language Learning, New York 1989, pp. 277-303; sulle
differenze tra imitazione e mimica, vd. supra, p. 185.
225
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 228.
226
Ivi, p. 229; il corsivo è mio.

212
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Nella mente del singolo la mimica fu quindi in parte il prodotto di


un nuovo sistema di rappresentazione di sé, ma soprattutto il prodot-
to di un sistema di controllo in cui le azioni del sé potevano essere
consapevolmente impiegate per modellare le rappresentazioni di
eventi percettivi.
In conclusione, secondo Donald,

gli stati di consapevolezza prevalentemente mimici tendono a essere orientati


verso gli eventi, basati sull’azione e, di solito, socialmente interattivi. Soprat-
tutto, e in contrapposizione con l’esperienza episodica non riflessiva, gli stati
mimici assumono un approccio attivo di modellamento nei confronti del-
l’esperienza. L’invenzione e la pratica di sport, di giochi, della danza, di riti e
di attività artigianali senza che il pensiero verbale fosse impegnato sono tipici
di tali stati, e qualunque scambio espressive non linguistico, intenzionale ed
227
esteso, riflette uno stato di consapevolezza prevalentemente mimico. Tali
scambi sono più comuni di quanto l’uomo attuale ritenga. Soggettivamente,
noi abbiamo la costante impressione di dialogare con noi stessi, se non a voce
alta almeno mentalmente. Ma di solito, e soprattutto quando ci troviamo in
mezzo a una folla anonima, ci comportiamo in modi quasi del tutto mimici. Da
ciò consegue che in chiesa, negli stadi, nelle dimostrazioni di massa, nelle
celebrazioni pubbliche e in vari riti collettivi l’uomo si comporta in modi che
tradiscono una comprensione non riflessiva dell’ordine sociale e che sono
collettivamente rappresentativi, ma la cui base non è linguistica. In tali
situazioni il linguaggio è molte volte relegato a una funzione di sostegno, e
228
l’intera struttura dello scambio sociale è mimica.
***
227
Si può pertanto qui precisare quanto detto sopra (cfr. pp. 159 sgg.) in generale sulla
coscienza: è la consapevolezza di tipo mimico ad essere implicata nello svolgimento di molte
attività complesse ‘superiori’.
228
Ivi, p. 427; «com’è ovvio, nella cultura dell’uomo attuale gli scambi mimici avvengono
solitamente nell’ambito di una più ampia cornice semiotica che include l’espressione linguistica,
ma le parole non mutano sostanzialmente gli elementi non verbali dello scambio. A quanto
sembra, il linguaggio serve per scopi comunicativi differenti e procede in parallelo, senza
intaccare il tessuto dell’espressione mimica spontanea. Le prove avanzate da Eibl-Eibesfeldt
[Donald fa qui riferimento a I. EIBL-EIBESFELDT, Human Ethology, New York 1989, trad. it.
Torino 1993] dimostrano come lo strato mimico di rappresentazione perduri sotto la superficie,
in forme tuttora universali, non necessariamente perché geneticamente programmate ma perché
la mimica è il nocciolo di una cultura che ha radici antiche e che è peculiarmente umana.
Indipendentemente da come la nostra cultura orale-linguistica si evolse, e indipendentemente da
quanto sofisticata sia la ricca varietà di materiale simbolico che ci circonda, gli scenari mimici
continuano a costituire il nocciolo espressivo dell’interscambio sociale umano»: ivi, pp. 224-225.

213
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

È opinione diffusa, tuttavia, che solo con l’avvento del linguaggio


articolatorio pienamente sviluppato l’uomo potè dotarsi di una vera e
piena consapevolezza di sé, cioè di un uso compiutamente consapevo-
le della propria coscienza. Se poniamo l’origine del linguaggio, come
qui ho fatto, intorno a 30/35.000 anni fa in corrispondenza con l’inizio
del paleolitico superiore, e facciamo viceversa iniziare l’interiorizza-
zione della voce dell’autocoscienza con Socrate, restano dunque circa
trenta millenni in cui l’umanità ebbe una cultura e una forma di
consapevolezza di sé mitica e non interiore.
229
Come si è visto prima anche con W. Burkert, rispetto alla
consapevolezza propria alla cultura mimica, il pensiero mitico è una
costituente assai più importante dell’attività mentale e rappresenta un
ulteriore decisivo progresso verso la vita cosciente: in questo periodo
della storia dell’umanità, essendo l’adattamento dei racconti tradizio-
nali l’unico o il principale modo della speculazione e della comunica-
zione, il mito serve infatti a verbalizzare i fenomeni di importanza
collettiva, a dare loro coerenza e senso, producendo una sintesi di fatti
altrimenti isolati.
il mito costituisce inoltre uno strumento efficace per avere rap-
porti con gli eventi nuovi, con ciò che è sconosciuto, perché consente
di mettere in pratica programmi elementari di azione che sono al
tempo stesso sequenze di esperienza mentale, neutralizzando in tal
modo l’incapacità decisionale e la paura del diverso.
il mito può dunque costituire una presa anticipata di decisioni,
una motivazione all’azione e una propaganda ideologica e culturale:
esperienze, atteggiamenti e prospettive sono preformati, elaborati e
socializzati raccontando delle storie che forse non contengono molta
informazione ma tendono piuttosto a ristabilire e confermare i model-
li preesistenti.
Ma tutto ciò ha a che fare con l’autocoscienza e in che modo? Se
assumiamo intutivamente che la risposta sia positiva, in generale,
allora, a cosa serve l’autocoscienza?
Nella prospettiva evoluzionistica adottata dalla presente ricerca, è
implicito il fatto che l’autocoscienza abbia costituito un vantaggio
evolutivo per la specie umana; ma quale vantaggio, perché e come?
230
Ho detto sopra che la coscienza è una strategia cognitiva
integrativa per la gestione di informazioni riguardanti noi stessi e il

229
Cfr. supra, p. 89 e pp. 160 sgg.
230
Vd. pp. 197 sgg.

214
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

mondo che ci circonda e che l’autocoscienza è la consapevolezza di


avere
23l
a disposizione un tale strumento interpretativo; si è detto an-
che che è probabile che nell’ambito della specie umana la competi-
zione non riguardi soltanto le strategie di sopravvivenza degli indivi-
dui, ma anche quelle dei diversi gruppi in quanto società più o meno
coese, che l’evoluzione del genere umano deve essere avvenuta a
livello di cambiamento culturale e che la pressione evolutiva si fece
sentire quando un’innovazione cognitiva offrì a un gruppo umano un
significativo vantaggio culturale su un altro gruppo.
In quel complesso gioco di relazioni sociali in cui si svolge la vita
di gruppo fin dall’apparire delle antropomorfe e che N. Humphrey ha
232
definito come ‘gli scacchi sociali’, verosimilmente «i giocatori più
dotati – quelli provvisti di un modello mentale più acuto e di una più
penetrante consapevolezza – ebbero il maggior successo sociale e
riproduttivo. Ciò fornì la materia su cui la selezione potè operare,
233
portando l’autocoscienza a livelli sempre più alti. Questo graduale
sviluppo ci mutò in un animale di nuovo tipo, un animale che stabilisce
modelli arbitrari di comportamento
234
basati sul proprio concetto di cosa
sia giusto e cosa sia sbagliato».
Il punto fondamentale è proprio quest’ultimo.
235
Ho già osservato che noi siamo consapevoli solo di una piccola
parte dei nostri processi mentali e che la coscienza è intrinsecamente

231
Cfr. supra, pp. 190 sgg.
232
Cfr. i volumi di N. Humphrey citati alla nota 217 di p. 210.
233
«Una volta che l’autocoscienza si fu sviluppata non vi fu modo di tornare indietro
perché gli individui meno dotati si trovarono in una situazione evolutivamente svantaggiata,
mentre quelli che ne erano dotati in misura maggiore, anche di poco, furono ulteriormente
favoriti. Ne seguì una sorta di ‘corsa agli armamenti’ che spinse il processo ancora più avanti,
accrescendo l’intelligenza e rendendo più acuta la consapevolezza di sé. A mano a mano che
l’occhio della mente acuiva la propria capacità di osservazione sarebbe necessariamente emerso
un vero e proprio senso del sé, una coscienza autoriflessiva sintetizzabile nel binomio ‘occhio
interiore/io interiore’»: la cit. è da R. LEAKEY, The Origin of Humankind… cit. (p. 178, nota
105), pp. 158-159, ma qui lo studioso descrive, e accetta, la teoria dell’intelligenza sociale di N.
Humphrey, che così riassume le proprie opinioni: «in termini evolutivi l’occhio della mente deve
aver rappresentato un significativo passo in avanti. Immaginiamo i vantaggi biologici goduti dai
nostri progenitori che per primi svilupparono la capacità di fare illazioni plausibili sulla vita
interiore degli altri, e si trovarono così a poter visualizzare in qualsiasi momento tanto i pensieri
dei rivali quanto le loro probabili azioni future: leggere nella mente degli altri semplicemente
leggendo nella propria. Tutto ciò aprì la via a nuove pratiche sociali fra gli uomini, da cui a loro
volta nacquero la comprensione, la compassione, la fiducia, il tradimento e la doppiezza, vale a
dire ciò che ci rende veramente umani»: cit. da N. HUMPHREY, The Inner Eye… cit., p. 80.
234
Ivi, p. 164; il corsivo è mio.
235
Cfr. supra, pp. 158 sgg.

215
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

236
parziale e selettiva, perché ciò che giunge alla coscienza è un
campione sistematico, ma non stocastico, della totalità – dell’attività
237
che si svolgono e delle informazioni che raggiungono – la mente:
«se questa parte è scelta in una maniera sistematica qualunque, è certo
che le verità della coscienza saranno, nel loro insieme, una distorsione
238
della verità di qualche unità più vasta».
239
Infatti, se l’insieme della mente è una rete integrata, ciò che
apparirà sopra la superficie, in seguito alla resezione operata dalla
coscienza, saranno «archi di circuito, e non i circuiti completi, o i più
vasti circuiti completi di circuiti. […] La vita dipende da circuiti di
contingenze interconnessi, mentre la coscienza può vedere solo quei
brevi240 archi di tali circuiti sui quali il finalismo umano può interveni-
re».
241
Se la coscienza agisce sul resto della mente e se la coscienza ha a
che fare solo con una parte degli eventi che coinvolgono la mente nel
suo complesso, esiste dunque una differenza sistematica, vale a dire
non aleatoria, tra la consapevolezza che noi abbiamo dell’io e del
mondo e la loro vera natura. Tale differenza distorce il processo di
adattamento tra uomo e ambiente, rendendo l’accoppiamento per il
tramite della coscienza tra l’uomo e i sistemi omeostatici che lo

236
È di questa opinione tra gli altri anche lo stesso N. Humphrey: cfr. ID., The Inner Eye…
cit., p. 75.
237
«È ovvio che la totalità della mente non potrebbe essere riprodotta in una sua parte e ciò
consegue logicamente dal rapporto fra il tutto e la parte. Lo schermo televisivo non fornisce una
rappresentazione o riproduzione degli eventi che accadono nell’intero procedimento televisivo;
e ciò non solo perché gli spettatori non sarebbero interessati a un tale resoconto, ma anche
perché la descrizione di ogni ulteriore parte del processo complessivo richiederebbe ulteriori
circuiti, e la descrizione degli eventi in questi circuiti richiederebbe a sua volta un ulteriore
aggiunta di circuiti e così via. Ogni ulteriore passo verso un aumento di coscienza porterà il sistema
più lontano dalla coscienza totale [questo corsivo è mio). Aggiungere la descrizione degli eventi
in una certa parte della macchina farà in realta diminuire la percentuale degli eventi descritti»:
cit. da G. BATESON, Steps… cit. (p. 140, nota 14), p. 446, il corsivo è dell’A.; è dunque fuori strada
J. Searle (op. cit., p. 125) quando afferma che si può ipotizzare che «il vantaggio evolutivo
conferitoci dalla coscienza vada ricercato nella maggior flessibilità, sensibilità e creatività di cui,
proprio grazie ad essa disponiamo»: come ben sanno tutti i grandi artisti, la coscienza è
costrizione della volontà, non libertà creativa.
238
Cit. da G. BATESON, Steps… cit., p. 180.
239
«Se il contenuto della coscienza è solo un campionario di varie parti e luoghi di questa
rete, allora, inevitabilmente, l’immagine cosciente della rete come un tutto è una mostruosa
negazione dell’integrazione di quel tutto»: ivi, p. 180; sulla mente come parte di una rete
cibernetica, cfr. supra, pp. 146 sgg.
240
Ivi, p. 181; il corsivo è mio.
241
Cfr. supra, pp. 160 sgg.

216
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

circondano, nell’evoluzione culturale e nell’apprendimento indivi-


duale, incompleto e fuorviante a causa dell’essenza intrinsecamente
limitata della coscienza e delle sue finalità consapevolmente seleziona-
242
te dall’autocoscienza, cioè dall’uso cosciente della coscienza.
Se in genere nella storia dell’evoluzione gli organismi si sono
adattati all’ambiente o hanno cambiato ambiente, l’uomo nel corso
della sua storia ha quasi sempre cambiato l’ambiente, tendendo alla
creazione di ecosistemi che consentissero l’esistenza solo della sua
specie, cioè di quella dominante, al più insieme ai suoi simbionti e
parassiti; ma, «se alla coscienza manca informazione sulla natura
dell’uomo e dell’ambiente, o se l’informazione è distorta e scelta in
modo inadeguato, allora è probabile che l’accoppiamento tra diversi
sistemi
243
autocorrettivi generi una succesione meta-aleatoria di even-
ti».
La conseguenza ultima dell’avere a che fare con una successione
imprevedibile di eventi, sarà la distruzione, attraverso un processo che
244
Bateson chiamava schismogenesi, di quel dato gruppo umano che
in qualche modo l’aveva innescata. Ciò significa in definitiva confer-
245
mare, che, per quanto sembri paradossale, possono darsi forme di
autocoscienza inadatte a garantire la sopravvivenza di un gruppo
sociale, vale a dire che se la parte di informazioni che giunge alla
coscienza è scelta sistematicamente in maniera erronea – «essendo
246
l’errore una differenza tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere»
–, ciò può causare la morte di un individuo o di una collettività.

242
Cfr. G. BATESON, Steps… cit., pp. 459 sgg.
243
Ivi, p. 459, il corsivo è mio. «Le particolari caratteristiche acquisite generate in risposta
a un dato cambiamento dell’ambiente possono essere prevedibili. Se si riducono le riserve
alimentari, è probabile che l’individio dimagrisca […]. Analogamente, è spesso possibile preve-
dere un cambiamento particolare all’interno dell’ambiente: si può prevedere che una variazione
climatica verso il freddo ridurrà la biomassa locale e ridurrà quindi le riserve di cibo per molte
specie di organismi. Ma ambiente e organismo presi insieme diventano imprevedibili. Né
l’organismo né l’ambiente contengono informazioni che permettano all’uno di conoscere la
mossa successiva dell’altro»: cit. da G. BATESON, Mind and Nature… cit. (p. 140, nota 14), p. 237,
il corsivo è dell’A. Per esemplificare l’imprevedibilità generata dall’accoppiamento inadeguato
di due sistemi biologici, G. Bateson ricorda la partita a croquet tra Alice e il fenicottero: in quella
partita, Lewis Carroll crea un gioco meta-aleatorio perché la sua casualità non può essere
ristretta a insiemi finiti di alternative note ai giocatori, come per es. in ‘testa o croce’; vd. anche R.
GILMORE, Alice in Quantumland, Berlin – New York 1995, trad. it. Milano 1996.
244
Cfr. G. BATESON, Steps… cit., pp. 101 sgg., e supra, p. 144, punti 4 e 5.
245
Cfr. supra, p. 145, punto 14.
246
Cfr. supra, pp. 147 sgg; e in particolare la nota 38.

217
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

La coscienza, insomma, non è in grado da sola di comprendere la


natura sistemica della mente, dell’io e del mondo perché, oltre a essere
in sé limitata, da un certo punto in poi nella storia dell’umanità essa è
stata consapevolmente organizzata e diretta in termini di finalità
individuali e di priorità di gruppo, è stato cioè fatto un uso cosciente
della coscienza: «essa ci fornisce una scorciatoia che ci permette di
giungere presto a ciò che vogliamo; non di agire con la massima
saggezza per vivere, ma di seguire il più breve cammino logico o
causale per ottenere ciò che si desidera appresso, e può essere il
pranzo, o una sonata di Beethoven, o un rapporto sessuale. Può,
247
soprattutto, essere il denaro o il potere».
Nel tempo in cui il mito era il sistema fondamentale di rappresen-
tazione e di organizzazione dell’universo mentale dell’umanità, un
tempo durato almeno 30.000 anni, l’autocoscienza – vale a dire,
ancora una volta: la scelta sistematica mediante un sistema di finalità e
priorità collettivo-individuali delle informazioni che dovevano entrare
a far parte dello schermo limitato della coscienza – assumeva le forme
e i contenuti del patrimonio tradizionale di racconti mitici collettiva-
mente e individualmente propri a una data popolazione. Il corpus
formato dai racconti tradizionali costituiva il riferimento primario per
gli orientamenti decisionali e risolutivi di problemi del gruppo sociale,
gruppo che tale corpus contribuiva a tenere coeso asssicurando ai suoi
membri, attraverso la condivisione di una comune struttura di pensie-
ro, la consapevolezza della propria identità tribale; il corpus stesso
assicurava poi al gruppo la sopravvivenza nelle temperie del mondo
offrendo ai suoi membri, attraverso la tradizione di azioni concrete e
di atteggiamenti mentali di cui era portatore, un programma conchiu-
so di finalità vitali specifiche.
Donald ricorda che

nel sottomettere una società rivale, il primo atto dei vincitori è l’imposizione
dei propri miti ai vinti. E il più forte istinto di questi ultimi è di opporre
resistenza, poiché la perdita dei propri miti comporta una perdita di identità
e un conseguente profondo disorientamento. In questo tipo di società il
sistema mitologico si colloca alla sommità della piramide cognitiva; esso non
solo regola il comportamento e difende gelosamente la conoscenza, ma pone
vincoli sulla percezione della realtà e incanala le capacità di pensiero di
coloro che vi aderiscono. E chi era responsabile per la conservazione e la

247
Ivi, p. 448.

218
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

gestione del sistema mitologico – sacerdoti e sciamani [e poeti] – deteneva


248
posizioni di grande potere nella gererchia cognitiva del gruppo.

Ciò accade perché

di fatto, le immagini e i racconti che noi forniamo ai parlanti come modello e


come indicazione di quando possono parlare e di quel che possono dire nelle
varie situazioni, possono costituire un primo reale condizionamento della
natura dell’io. […] Miti e storie, infatti, definiscono la gamma dei personaggi
canonici, delle situazioni in cui operano, nonché delle azioni consentite e
comprensibili, e perciò forniscono, una mappa di ruoli e di mondi possibili in
conformità ai quali azione, pensiero e definizione di sé sono consentiti (o
desiderabili). […] In nessun caso può darsi un ‘io’ indipendente dalla propria
esistenza storico-culturale. […] Senonché, dalle promettenti ricerche sulla
249
metaconoscenza comparse negli ultimi anni, una cosa emerge in modo
sorprendentemente chiaro, e cioè che l’attività metacognitiva (autoammoni-
mento e autocorrezione) compare nelle persone in modo molto diseguale, varia
col variare dello sfondo culturale e, cosa forse ancora più importante, può essere
250
insegnata con successo alla stregua delle altre abilità.

2. 4. LA VOCE DI DENTRO

Quando la consapevolezza di sé è prevalentemente dialogico-


interiore, com’è quasi sempre nell’uomo attuale, il quadro cognitivo è
invece molto più complesso.
Dopo la terza transizione, il sistema di controllo linguistico si è
situato alla sommità della piramide cognitiva e può dunque inglobare
in sé e modellare o interpretare gli altri sistemi rappresentativi. Il
controllo conscio è tuttavia flessibile e complesso: la consapevolezza
risiede nel sistema rappresentativo dominante al momento e il centro
dell’attenzione può spostarsi con grande rapidità, consentendo all’in-
dividuo, come capita per esempio agli spettatori di un film, di passare
da un focus di controllo a un altro: «l’alternanza nel focus del controllo
conscio è routinaria, poiché gli eventi possono far passare con rapidità

248
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 302-303; cfr. supra, pp. 196 sgg.
249
J. Bruner fa qui riferimento soprattutto agli studi di A. L. BROWN, J. R. HAYES e D.
PERKINS; le indicazioni bibl. sono in J. BRUNER, Actual Minds… cit. (nota 169, p. 195), p. 219, e
ID., Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 146.
250
Cit. da J. BRUNER, Actual Minds… cit., pp. 82-83; i corsivi sono miei.

219
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

la mente dello spettatore attraverso una serie di stati in cui il controllo


risiede di volta in volta nelle immagini mentali, nel suono, nella
narrazione, nella logica, nell’espressione mimica, nei modelli analogi-
251
ci, negli ideogrammi o in una loro combinazione».
È anche possibile però, come accade in alcuni riti, in talune forme
di meditazione o in arti marziali come l’Aikido, spostare volontaria-
mente il controllo conscio dell’attenzione e dell’autoconsapevolezza
riducendo temporaneamente la dominanza del pensiero linguistico-
analitico, o collocare, volontariamente e reversibilmente, lo stesso
controllo nel campo della memoria esterna, come nei casi, oramai
documentati sempre più frequentemente dalla letteratura neuropsico-
logica, di dipendenza patologica dalla televisione o, caso recentissimo,
da Internet.
Nel modello di sviluppo cognitivo proposto da Donald e qui
accettato, poiché i sistemi rappresentativi agiscono per lo più in
parallelo, la coscienza e l’autocoscienza attuali non sono poi localizza-
bili in unico emisfero cerebrale e non esiste un unico sistema supervi-
sore centralizzato, così come, poiché la teoria prevede che i sistemi
cognitivi precedenti siano stati incapsulati da quelli più recenti, «è
impossibile generalizzare la localizzazione e l’organizzazione dei pro-
cessi mentali superiori dagli animali – e nemmeno dalle scimmie
antropomorfe – all’uomo, se non per aspetti puramente episodici del
252
comportamento».
Gli aspetti più complessi della cultura teoretica, sono inoltre in
generale difficilmente collocabili in un contenitore neurologico ben
definito:

l’apparato teoretico a sostegno della terza transizione è giunto molto di


recente, dipende in ampia misura dalla memoria esterna ed è determinato da
modelli di uso del cervello che appaiono stabiliti dagli stessi mezzi di comuni-
cazione della memoria esterna. Per esempio, non vi è uno schema di collega-
menti interni a sostegno del tipo di sintesi resa possibile da un diagramma
scientifico: la sintesi è fuori, nel diagramma stesso. Lo studioso dipende
fortemente dall’aiuto di un’immensa varietà di dispositivi cognitivi esterni –
simboli matematici, curve, diagrammi, istogrammi, misure analogiche, termi-
nologia tecnica – per giungere alla formulazione di una teoria. Senza tali

251
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 429; è questa una conferma di quanto sostenuto anche da
Eccles, vd. supra, pp. 173 sgg.
252
Ivi, p. 420.

220
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

mezzi questo tipo di pensiero non sarebbe possibile perché lo stato finale, o
‘conclusione’, raggiunto dalla mente è indotto direttamente dalla stessa
rappresentazione. Dunque illocus di un processo come la sintesi teoretica è
difficile da attribuire a qualsivoglia singola parte della rete interna-esterna che
253
costituisce il sistema.

E comunque, seppure le funzioni comparse con la terza transizio-


ne qualche localizzazione la debbano pur avere, esse potrebbero non
essere localizzate allo stesso modo in ciascun individuo:

le regioni cerebrali più caratteristicamente umane – in particolare le due


grandi espansioni del lobo frontale e della parte anteriore del lobo temporale –
sono probabilmente le più plastiche strutture neurologiche esistenti in natu-
ra, e sono in grado di assumere forme diverse. Esse sono altamente configura-
bili e riconfigurabili, poiché le loro risorse sono attribuite su base competitiva
alle numerose vie di input ad esse afferenti. Di fatto, la struttura fisica della
mente è diventata sempre meno fissa col progredire dell’evoluzione neocortica-
254
le. Ciò lascia spazio non solo ai tipi di riconfigurazione radicale introdotti
255
dalla letteratura, ma anche (presumibilmente) a più ampie differenze fra i
cervelli degli esseri umani di quanto sia possibile fra gli altri primati e a
256
un’ulteriore, e forse fondamentale, ristrutturazione cognitiva.

Tra le funzioni superiori comparse con la terza transizione e di


difficile collocazione in un comune modello neurofisiologico, vi è
257
anche la lettura.
258
Come si è detto, lo sviluppo della capacità visuografica umana
è da ricondurre a una riconfigurazione drastica dell’architettura co-
gnitiva, riconfigurazione che a sua volta la capacità visuografica ha

253
Ivi, pp. 437-438; i corsivi sono dell’A.
254
Sull’evoluzione della corteccia cerebrale, vd. supra, pp. 170 sgg.
255
M. Donald intende qui riferirsi agli ormai molti casi clinici documentati dalla letteratura
neuropsicologica, in cui una diversa riconfigurazione delle attività mentali ha consentito a dei
cerebrolesi di supplire in parte ai danni derivati da lesioni anche estese: vd., per es., D. L.
SCHACTER – M. P. MCANDREWS – M. MOSCOVITCH, Access to Consciousness: Dissociation
between Implicit and Explicit Knowledge in Neuropsychological Syndromes, in L. WEISKRANTZ
(ed.), Thought without Language, Oxford 1986, e V. FRISK – B. MILNER, The Relationship of
Working Memory to the Immediate Recall of Stories Following Unilateral Temporal or Frontal
Lobectomy, «Neps» 28 (1990), pp. 121-135.
256
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 439-440; il corsivo è dell’A.
257
Cfr. ivi, pp. 431-437, con bibl. e esemplif.
258
Cfr. supra, pp. 204 sgg.

221
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

contribuito a determinare, e a una riorganizzazione dei processi di


controllo e di gestione della memoria e dell’attenzione.
La lettura, ideografica, cuneiforme o alfabetica che fosse, pose
richieste senza precedenti all’elaborazione visiva e alla memoria, au-
mentando sensibilmente il carico di memoria visiva che gravava sulla
mente:

fin dall’inizio la memoria umana fu un’espansione della memoria dei primati.


La più antica forma di cultura ominide, la cultura mimica, dipendeva dal-
l’espansione dei sistemi di auto rappresentazione della mente e creò la base
per l’immagazzinamento nella memoria semantica, che inizialmente consiste-
va in scenari di azione rappresentativa riflessi nel mimo, nei gesti, nella
manifattura di oggetti e nelle capacità umane. Con l’evoluzione del linguag-
gio verbale e dell’abilità narrativa si registrò un accrescimento ancor maggio-
re nel carico della memoria biologica, che divenne più pesante non solo nelle
reti di immagazzinamento per le regole fonologiche e per il lessico nel suo
insieme, ma anche nel capacissimo magazzino della conoscenza concettuale
259
narrativa.

La creazione e la progressiva espansione di un sistema di imma-


260
gazzinamento simbolico esterno (SISE), basato, a partire da un
certo punto in poi, per lo più su materiale scrittorio, e il conseguente
grande incremento nel numero dei concetti simbolicamente codificati
conoscibili, insieme alla diffusione delle capacità di leggere e di scrive-
re, diedero poi l’avvio a cambiamenti radicali nell’organizzazione e
nella struttura della memoria.
Posta di fonte alla necessità di dover gestire una memoria esterna
estesa e potenzialmente illimitata, la memoria biologica sviluppò un
261
sistema di selettività e di priorità con cui cercare, localizzare e
scegliere gli item dai potenziali insiemi disponibili; uno dei requisiti
necessari per un uso efficace del SISE fu la creazione di una mappa dei
suoi contenuti: «la memoria biologica deve contenere informazioni
sulla struttura e sulle vie di accesso del SISE, come anche sui suoi
codici di richiamo. Queste capacità sono necessarie, al di sopra e al di
là delle capacità di decodificazione necessarie per comprendere le

259
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 372.
260
Cfr. supra, pp. 205 sgg.
261
Su questo punto, vd. supra, p. 288.

222
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

voci del SISE, per trovare le informazioni appropriate quando occor-


262
re».
Oltre alla mappa, anche «i ricordi in forma narrativa – ovvero gli
elaborati costrutti semanticiresi possibili dall’uso del linguaggio ver-
bale – furono un aspetto della memoria biologica più immediatamen-
te utile e devono essere serviti come base per l’interpretazione e la
costruzione della struttura del SISE in alcuni campi. In determinate
aree,263quindi, la memoria biologica esportò la propria organizzazio-
ne».
La memoria biologica attuale è ingombra di item privi di contenu-
to che riguardano primariamente la gestione della stessa memoria, e le
strutture di controllo della mente dell’uomo moderno dipendono in
larga misura da questo tipo di informazione: «l’analogo dell’attenzio-
ne selettiva in un SISE esteso è in ultima analisi una funzione di
indicatori, puntatori e priorità, e non una semplice questione di
selettività ‘front-end’ di carattere percettivo o motorio. Gran parte
della memoria biologica orientata verso il SISE, quindi, è necessaria-
mente occupata da informazioni direzionali e categorie di indirizzi,
oltre che da una struttura generale, o mappa, di quella parte del SISE
264
a cui l’individuo ha accesso».
Anche se la lettura stessa può essere definita come uno stato
cognitivo in cui la mente biologica viene temporaneamente condotta
265
sotto il controllo di un dispositivo del SISE, è pur vero che il
processo di pensiero continua a svolgersi nella mente biologica del
lettore: si ritiene in genere che tale processo si svolga nella memoria di
266
lavoro.
Con memoria di lavoro o memoria a breve termine, si intende in
generale quella parte del sistema della memoria biologia che concorre,
o per alcuni dove di fatto si svolgono, ai processi atti alla soluzione di

262
Ivi, p. 374; sulla creazione e i requisiti delle mappe, vd. supra, pp. 150 sgg.
263
Ivi, pp. 374-375. Nella memoria biologica hanno luogo sia la suddivisione che il
raggruppamento delle informazioni, ma la suddivisione viene operata prevalentemente in termi-
ni di ritmo, durata e aggregazione spaziale e dipende dall’apprendimento di più ampi gruppi di
item significativi; questo fatto è noto fin da G. MILLER, The Magical Number seven Plus or Minus
Two: Some Limits on our Capacity to process Information, «PsR» 63 (1956), pp. 81-97, vd. anche
supra, pp. 95 sgg. e pp. 205 sgg.; delle strutture della narrazione tradizionale si è già parlato a
lungo.
264
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 376.
265
Cfr. ivi, p. 377.
266
Cfr. ivi, p. 378.

223
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

problemi, all’apprendimento e al pensiero, utilizzando anche materia-


le richiamato, per mezzo della memoria di lavoro medesima, dalla
267
memoria a lungo termine.
268
I teorici della memoria, mediante una serie di esperimenti,
hanno dimostrato tuttavia che la consapevolezza e la memoria a breve
termine hanno grandi limitazioni strutturali: illoop articolatorio per-
269
dura senza ulteriori reiterazioni meno di due secondi e la memoria
270
per gli elenchi di parole non più di quindici. La memoria a breve
271
termine può accogliere solo da cinque a sette item per volta, è
molto sensibile alle interferenze esterne e largamente inaffidabile,
272
anche nei suoi resoconti immediati, oltreché soggetta alla disorga-
273
nizzazione psicotica se posta in isolamento sensoriale. Infine, la
memoria visiva risulta poi essere particolarmente vulnerabile alle
274
interferenze ambientali.
La memoria di lavoro è dunque troppo limitata e instabile per
poter realmente elaborare pensieri complessi:

nella moderna cultura umana, coloro che svolgono attività intellettualmente


impegnative in realtà impiegano sempre materiale simbolico esterno, visua-
lizzato nel campo della memoria esterna (CME), come vera e propria

267
Quale che sia la sua base fisiologica, «il materiale della memoria di lavoro è più rilevante
e ‘disponibile’ per il pensiero conscio del materiale che – proprio perché è contenuto nel
magazzino a lungo termine – è presumibilmente meno accessibile per l’elaborazione»: ivi, p.
381; vd. anche D. L. SCHACTER, On the Relation between Memory and Consciousness: Dissociable
Interactions and Conscious Experience, in H. ROEDIGER – F. CRAIK (eds.), Varieties of Memory
and Consciousness: Essays in Honor of E. Tulving, Oxford 1989.
268
Opere recenti e aggiornate sulla memoria, sono: S. RONCATO, Apprendimento e memo-
ria, Bologna 1982; R. L. SQUIRE, Memory and Brain, Oxford 1987; S. CHRISTINSON (ed.),
Handbook of Emotion and Memory, Hillsdale 1992; qui di seguito citerò invece studi oramai
classici.
269
Sulla memoria di lavoro, vd. A. D. BADDELEY, The Psychology of Memory, New York
1976; ID., Working Memory, Oxford 1986, trad. it. Milano 1990; S. E. GATHERCOLE – A. D.
BADDELEY, Working Memory and language, Hillsdale 1993.
270
Cfr. L. R. PETERSON – M. J. PETERSON, Short Term Retention of Individual Verbal Items,
«JEPs» 58 (1959), pp. 193-198.
271
Cfr. G. MILLER, art. cit., passim.
272
Cfr. R. BUCKOUT, Eyewitness Testimony, in U. NEISSER (ed.), Memory Observed:
Remembering in Natural Context, New York 1982, pp. 00.
273
Cfr. W. HERON, The Pathology of Boredom, in J. L. MCGAUGH – N. WEINBERGER – R.
WHALE (eds.), Psychobiology, San Francisco 1967; vd. anche D. S. OLTON, spacial Memory «SA»
236 (1977), pp. 82-98.
274
Cfr. A. BADDELEY, Working Memory… cit., passim.

224
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

‘memoria di lavoro’. In altri termini, essi si avvalgono della propria memoria


biologica, assistita dal proprio apparato percettivo, più che altro come
dispositivo per la costante assimilazione di dati […]. In questa nuova dispo-
sizione, la memoria biologica (e non necessariamente il suo solo aspetto di
memoria di lavoro) diviene il circuito del processo di pensiero che compie
trsformazioni e analizza il data base fornito da simboli esterni, mentre il
CME diventa la vera memoria di lavoro, o contenitore per l’immagazzina-
mento temporaneo. Simultaneamente […], le apposite vie di richiamo all’in-
terno dei sistemi SISE diventano parte integrante del processo di pensiero,
nello stesso modo in cui la memoria di lavoro [biologica] deve necessaria-
mente far parte di qualsivoglia operazione cognitiva complessa. Questa
disposizione può essere vista come una struttura cognitiva temporanea in cui
la mente utilizza il sistema simbolico esterno per un tempo limitato sia per
conservare certi item sia per organizzare il materiale mnestico in determinati
modi. Il pensiero complesso dipende quasi sempre da questa disposizione:
nell’atto di pensare, noi selezioniamo e organizziamo item del SISE secondo
un obbiettivo e inoltre utilizziamo il potere sia del sistema orale-narrativo sia
dei sistemi simbolici visivi per esaminare, elaborare, riordinare e inventare
nuove voci del SISE. Ciascuna iterazione è solitamente breve: le limitazioni
della coscienza sono così grandi che, in qualsiasi forma di pensiero creativo
realmente originale, chi lo elabora deve orbitare intorno al data base del
SISE, trasformando in forma verbale, abbozzando idee (solitamente, una
parte del SISE serve come sketchpad visuospaziale esterno), producendo
nuovi output, in un circuito iterativo, fino al raggiungimento di una soluzio-
275
ne soddisfacente.

Questa simbiosi tra memoria di lavoro umana e CME è fonda-


mentale per il pensiero dell’uomo attuale ed è stata in grado di
sostenere lo sviluppo teoretico cui l’uomo è pervenuto negli ultimi
276
quattro millenni.
L’ipotesi sullo sviluppo del SISE e sull’aggiunta del CME come
circuito esterno per processi di pensiero organizzati, oltre a offrire,
277
come si è già detto, una spiegazione strutturale per i cambiamenti

275
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 383-384.
276
In un mondo prealfabetizzato le sole fonti di informazioni presuddivise sono probabil-
mente da ricercare nell’organizzazione temporale del linguaggio parlato e nella gestualità; nel
SISE, invece, «la suddivisione e il raggruppamento coinvolgono molta flessibilità spaziale, e non
solo nel raggruppamento di parole e locuzioni […], La memoria biologica non si presta
facilmente a questo tipo di organizzazione e senza dubbio ciò ha imposto gravi limitazioni al
pensiero umano precedentemente all’accrescimento del SISE»: ivi, p. 371.
277
Vd. supra, pp. 205 sgg.

225
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

radicali che si sono verificati con la terza transizione, indica soprattut-


to che i sistemi di memoria tradizionali hanno assunto un ruolo
278
diverso: in particolare, è verosimile che il sistema della memoria di
lavoro biologica abbia mantenuto sì la sua funzione di sostegno al
linguaggio parlato, ma anche che col tempo abbia poi funto da
sostegno alla creazione di un commento orale-narrativo ai processi del
pensiero organizzato, all’attenzione, all’intenzione e alla consapevo-
lezza: la voce dell’autocoscienza.
Il mondo occidentale e di lingua i.e., nella sua lunga transizione
dalla cultura mitica alla cultura teoretica, adottò tardi, per i motivi che
vedremo nei prossimi capitoli, la scrittura, ma il passaggio dalla
lettura ad alta voce alla lettura silenziosa portò con sé
l’interiorizzazione della voce della coscienza: Socrate.
***
Dopo la parentesi sillabica micenea e indipendentemente da que-
sta, la scrittura alfabetica fece la sua comparsa in Grecia nel corso
279
dell’VIII sec. a.C., irrompendo in un mondo dove la cultura mitica,
la tradizione orale, e in particolare il klšoj, la gloria, la rinomanza,
280
concetto omerico di ascendenza poetica i.e., dominava incontrasta-
28l
to.
Agli inizi, la scrittura servirà pertanto «ad incrementare la produ-
zione di klšoj, ad esempio grazie alle iscrizioni funerarie, che garanti-
scono al defunto una nuova forma di posterità. In tal modo, la
scrittura sarà posta al servizio della cultura orale, in una prospettiva
che non le è estranea: non per salvaguardare la tradizione epica
(benché abbia finito col farlo), ma per contribuire alla produzione di
282
suono, di parole efficaci, di gloria riecheggiante».

278
Cfr. M. DONALD, op. cit., p. 385.
279
Sulle origini dell’alfabeto greco, vd. da ultimo, L. AGOSTINIANI, La nascita delle scritture,
in stampa, pp. 40, con ampia bibl.
280
Cfr. supra, pp. 13 e 26 sgg.
281
Cfr. J. SVENBRO, La Grecia arcaica e classica: l’invenzione della lettura silenziosa, in G.
CAVALLO – R. CHARTIER (eds.), Storia della lettura nel mondo occidentale, Roma – Bari 1995, pp.
3-36; dello stesso A. si vedano anche Phrasikleia. Anthropologie de la lecture en Grèce ancienne,
Paris 1988, trad. it. Roma – Bari 1991, pp. 161 sgg., e La lecture à haute voix. Le témoignage des
verbes grecs signifiant ‘lire’, in C. BAURAIN – C. BONNET – V. CRINGS (eds.), Phoimkeia grammata.
Lire et écrire en Méditerranée, Liège – Namur 1991, pp. 539-548.
282
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 4.

226
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

283
L’esame del lessico greco della lettura, ci consente innanzitutto
di stabilire che inizialmente la lettura era, com’è naturale nell’antichi-
tà, fatta ad alta voce, ma che tale lettura tuttavia era un “distribuire
oralmente tra gli ascoltatori”, così come lo stesso nÒmoj “legge”, nome
284
d’azione di nšmein, verbo il cui significato principale è “distribuire”,
indica come anche la legge fosse una distribuzione vocale, appoggiata
285
da principio alla memoria e poi alla scrittura.
Una lettura, insomma, le cui principali caratteristiche, secondo
Svenbro, erano la natura strumentale del lettore o della voce lettrice, il
carattere incompleto della scrittura, che aveva bisogno per essere
286
compresa di essere sonorizzata, e, conseguenza delle prime due
caratteristiche, la concezione dei destinatari dello scritto come ‘udito-
ri’ (¢koÚontej, ¢kroata….).
Come e perché sorse dunque la lettura silenziosa in Grecia?
Dopo aver individuato in un ‘iscrizione parlante’ del VI sec. a.C.
alcuni indizi che sembrano già indicarne l’esistenza, J. Svenbro ricor-
287 288
da come dal Sofista e dal Teeteto, noi apprendiamo che il pensie-

283
Cfr. J. SVENBRO, art. cit., pp. 4-15; a questo proposito, va ricordato qui un famoso
articolo di P. CHANTRAINE, Les verbs grecs signifiant ‘lire’, in Mélanges Grégoire, Bruxelles 1950,
vol. II, pp. 115-126.
284
Dall’esame di un frammento di Sofocle (114 Nauck), Svenbro rende plausibile l’idea
che nšmein significasse anche “leggere ad alta voce”, così come due suoi rari composti: ¢nanšmein
e ¢nanšmesqai; dal fatto che nšmein si trovi forse al centro di una famiglia lessicale che significa
“leggere” mi pare invece meno probabile si possa ricavare che nÒmoj avesse poi il valore basilare
di “lettura”, anche se sappiamo (cfr. ERMIPPO, Fr. 88 Wehrli), per es., che le leggi di Caronda
venivano cantate.
285
Su nÒmoj e lÒgoj in Platone, vd., tra i molti, J. DERRIDA, La dissémination, Paris 1972,
trad. it. Milano 1989, pp. 101 sgg.; su Platone e la scrittura, è utile anche M. ERLER, Der sinn der
Aporien in den Dialogen Platons: Ubungsstücke zur Anteilung im philosophischen Denken, Berlin
1987, trad. it. Milano 1991.
286
È quel che si ricava tra l’altro anche dall’esame dei verbi ™pilšgesqai e ¢nagignèskein:
cfr. J. SVENBRO, art. cit., pp. 10-12; vd. anche F. BRESSON, La lecture et ses difficultés, in R.
CHARTIER (ed.), Pratiques de la lecture, Paris 1985, pp. 14-45.
287
Cfr. PLAT., Sph., 263e-264a: «pensiero e discorso non sono forse la stessa cosa, salvo che
il dialogo interiore dell’anima con se stessa, senza voce, questo appunto fu da noi denominato
pensiero?». Questa trad. e la seguente sono tratte da Platone. Tutte le opere, Firenze 1974.
288
Cfr. PLAT., Tht., 18ge-190a: «io, insomma, mi figuro che, quando l’anima pensa, non
faccia altro che ragionare con se medesima, per via di domande e risposte, di affermazioni e
negazioni; e che, quando si ferma in un pensiero ben definito, sia che vi pervenga più o meno
lentamente, o rapidamente e d’un colpo; quando si decide e non dubita più, questa noi la
riteniamo la sua opinione. Sicché io, per conto mio, dico che l’opinare è un ragionare, e
l’opinione un ragionamento espresso con parole, non però ad un altro né con la voce, ma a se
medesimo, in silenzio».

227
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

ro di Socrate era silenzioso e che il dialogo dell’anima con se stessa si


svolgeva in lui come un dialogo senza fwn», ma che egli, fin da
bambino, udiva anche dentro sé una voce che lo ammoniva e lo
consigliava. Socrate udiva inoltre, come riporta il Critone (54d), le
voci dialoganti tra loro dei NÒmoi, le Leggi personificate: «questi
rimproveri, mio caro Critone, sappi ch’io credo di udire, come gli
esaltati da un furore coribantico credono di udire il suono dei flauti. E
l’eco di queste parole risuona nei miei orecchi e fa sì che io non possa
udirne altre».
289
Dall’Apologia (31d), apprendiamo poi che Socrate aveva l’abi-
tudine di parlare di questa voce ai propri concittadini e che l’accusa
che lo avrebbe poi condannato a morte sembra vi facesse allusione. La
voce interiore della coscienza era dunque per la gran parte degli
ateniesi contemporanei di Socrate una novità scandalosa.
Noi sappiamo anche, tuttavia, che è proprio a partire dall’epoca
di Erodoto e di Protagora, contemporanei di Socrate, che la distribu-
290
zione della giustizia, di d…ke, comincia a diventare, da operazione
291
esterna il cui strumento era la voce, un atto interiore e individuale,
come indica anche la comparsa del termine dikaiosÚnh “senso della
292
giustizia”: «interiorizzazione constatabile sul piano lessicale, dun-
que, e che avvalora quella del nÒmoj come ‘voce della coscienza’,
293
attestata per Socrate nell’opera di Platone».
Nel Grecia del V secolo a.c., insomma, mediante un unico e
identico moto cognitivo, l’autocoscienza – la voce del pensiero e del
giudizio – e la voce del lettore si interiorizzano.
Riguardo infatti alla lettura silenziosa, come precedentemente
294 295
aveva indicato B. M. W. Knox, in testi del V a.C., almeno due
brani ci indicano come tale pratica, pur non essendo certo ancora
diffusa, a quel tempo era tuttavia già nota.

289
Cfr. anche PLAT., Thg., 128d, e Phdr., 242b-c.
290
Cfr. E. A. HAVELOCK, The Greek Concept of Justice from Its shadow in Homer to Its
substance in Plato, Cambridge (Mass.) 1978, trad. it. Roma – Bari 1981.
291
Tra le testimonianze antiche, vd. per es. ESIODO, Op., v. 213 e v. 224.
292
Cfr. E. A. HAVELOCK, Dikaiosyne. An Essay in Greek Intellectual History, «Phoenix» 23
(1969), pp. 49-70; cfr. anche ID., op. cit., pp. 365 sgg.
293
Cit. da J. SVENBRO, art. cit., p. 20.
294
Cfr. B. M. W. KNOX, Silent Reading in Antiquity, «GRBS» 9 (1968), pp. 421-435.
295
Si tratta dell’Ippolito di Euripide (vv. 874-875) che è del 428 e dei Cavalieri di
Aristofane (vv. 118-127) che è del 424.

228
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Secondo Svenbro, poi, se da una parte la scriptio continua non


dovette costituire per i Greci un serio ostacolo alla lettura silenziosa,
dall’altra l’introduzione dei segni di separazione (VII sec. d.C.), non
fu motivo
296
sufficiente a generalizzare la lettura silenziosa nel medioe-
vo, né peraltro per l’insorgere della lettura silenziosa fu sufficiente
la sola frequentazione di grandi quantità di testi: «la lettura estensiva
parrebbe piuttosto il risultato di un’innovazione qualitativa nell’atteg-
giamento mentale di fronte allo scritto: il risultato di tutto uno schema
mentale, nuovo e potente, in grado di ristrutturare le categorie della
lettura tradizionale. La lettura silenziosa non si lascia strutturare dal
297
semplice fattore quantitativo […]».
È possibile invece che la lettura silenziosa sia stata al meno in
parte modellata anche sull’esperienza del teatro.
A teatro, il pubblico guarda e ascolta passivamente: «non è con-
cesso agli spettatori né intervenire sulla scena né leggere il testo, che,
assente dalla scena, vi regge tuttavia l’intera azione. Memorizzato
298
dagli attori, il testo non è visibile al momento in cui è pronunciato:
gli attori si sono sostituiti ad esso, in modo da tradurlo in ‘scrittura
vocale’ piuttosto che in lettura ad alta voce. Gli attori non leggono il
299
testo: ne producono una copia vocale».
La separazione tra la scena da cui la scrittura vocale è emanata e il
pubblico che l’ascolta è tale da aver probabilmente suggerito ai Greci
un’analoga separazione tra testo scritto e lettore:

il lettore tradizionale, che ha bisogno della voce per ‘riconoscere’ la sequenza


grafica, intrattiene con lo scritto, sul piano della sonorizzazione, una relazio-
ne sensibilmente attiva (benché in rapporto allo scrittore di cui esegue il
programma egli possa assumere il ruolo di partner passivo). Deve fare uno
sforzo mentale e fisico per assolvere la propria funzione strumentale, o le
lettere rimarranno prive di senso. Al contrario, chi sa leggere in silenzio ha un

296
Fu infatti solo con la Scolastica che la lettura silenziosa prese piede nel medioevo, pur
rimanendo confinata al solo ambito monacale: cfr. P. SAENGER, silent Reading. Its Impact on Late
Medieval Script and Society, «Viator» 13 (1982), pp. 378 sgg.
297
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 23.
298
Su questo punto cfr. anche CH. SEGAL, Greek Tragedy: Writing, Truth, and the
Rappresentation of the Self, in H. EVJEN (ed.), Mélanges Hulley, Chico (CA) 1984, pp. 43-67, e
ID., La musique du sphinx, Paris 1987, pp. 263-298.
299
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 24.

229
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

300
rapporto con lo scritto che sembrerebbe piuttosto di tipo passivo. Non è più
strumento dello scritto, poiché lo scritto gli ‘parla’ da solo. […] Il lettore
che legge nella propria testa non deve attivare o riattivare lo scritto mediante
l’intervento della propria voce. Gli sembra, semplicemente, che la scrittura
gli parli. Egli è all’ascolto di una scrittura – come lo spettatore teatrale è
all’ascolto della scrittura vocale degli attori. Lo scritto ‘riconosciuto’ in
maniera visiva sembra possedere la stessa autonomia dello spettacolo teatra-
le. Le lettere si leggono – o piuttosto, si dicono – da sole. il lettore ‘silenzioso’
non ha bisogno di intervenire sulla scena della scrittura: capaci di ‘parlare’, le
lettere possono fare a meno dell’intervento della voce. Al lettore spetta
soltanto di ‘ascoltarla’ – all’interno di se stesso. La voce lettrice si trova ad
301
essere interiorizzata.

Questa forma nuova di lettura, in cui il lettore è come spettatore


passivo di una scrittura che esprime attivamente il proprio senso, a
302
parere di Svenbro, segue uno schema cognitivo che si ritrova nella
teoria della percezione visiva elaborata da alcuni filosofi dello stesso V
secolo: Empedocle, ma soprattutto gli atomisti Leucippo e Democri-
303
to. Per gli atomisti, la vista è dovuta all’emissione continua di
corpuscoli da parte dell’oggetto visto, emissione che è poi raccolta
dall’occhio; essi ritengono che l’occhio, per vedere, non emetta, come
in altre teorie, un raggio di luce, ma riceva l’effluvio degli oggetti visti
e che questa sia la direzione nella quale transita l’informazione visiva:

questo rapporto analogico fra percezione visiva e lettura silenziosa, in cui


l’occhio sembra ricevere, passivamente, l’irradiazione dello scritto, non ac-
quista tuttavia tutto il suo peso se non lo si confronta con un fatto fondamen-
tale nella teoria degli atomisti. Le combinazioni di elementi nel mondo fisico
si spiegano presso di loro con l’ausilio del modello alfabetico, in cui le parole
si formano dalla combinazione fra le ventiquattro lettere; in greco, stoice‹a
significa in effetti “lettere” e “elementi” al tempo stesso. “Tragedia e comme-
dia si scrivono con le stesse lettere”, leggiamo in Leucippo (Fr. A 9 Diels-
Kranz); ugualmente, nel mondo fisico, sono gli stessi elementi a combinarsi e

300
Il controllo della mente, insomma, è posto temporaneamente all’esterno: cfr. supra, pp.
206 sgg.
301
Ivi, pp. 24-25.
302
Cfr. ivi, pp. 27-29.
303
Sui filosofi cosiddetti presocratici, ma in realtà contemporanei di Socrate, cfr. il già
citato E. A. HAVELOCK, The Preplatonic Thinkers of Greece. A Revisionist History, ed. it.
Roma – Bari 1996.

230
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

ricombinarsi per cambiare le cose. A buon diritto si è parlato di ‘ontografia’


degli atomisti. Nella loro teoria, la percezione visiva si lascia infatti assimilare
304
a una lettura – una lettura silenziosa del mondo.

Se il teatro si interiorizza nel libro, il libro a sua volta si interioriz-


za nello spazio mentale, designato talvolta come fr»n, talvolta come
yuc»: è la metafora della scrittura nell’anima, nota già a Pindaro (cfr.
305
Ol., 10, 1-3), ma che troverà nei tragici la sua massima fortuna e
306
sarà ripresa poi da Platone:

per il poeta drammatico, l’attore riceve un’iscrizione, come se fosse pietra o


foglio di scrittura. L’interiorità dell’attore è uno spazio scrittorio. Il che
significa che il testo drammatico è ‘iscritto’ nello spirito di colui che lo
pronuncia sulla scena. Così si spiega l’espressione ‘scrittura vocale’ […] e si
comprende perché Eschilo […] scriva nella memoria dei suoi attori, laddove
Omero (anche se fosse stato scrittore) non può essere considerato come uno
che scriva nella memoria dei suoi recita tori, troppo distanti da lui – nel
307
tempo e nello spazio – perché una tale metafora risulti pertinente.

Ma se così si avvicinano tra loro i rapporti di interiorizzazione fra


teatro e libro e fra libro e anima, bisogna osservare anche che

a questi due movimenti di interiorizzazione – dal teatro allo scritto, dallo


scritto all’anima – corrispondono peraltro due movimenti di esteriorizzazio-
ne, che procedono nel senso inverso. In primo luogo, lo spazio mentale è
naturalmente esteriorizzato nel libro. Si può addirittura postulare l’esistenza
di una scrittura silenziosa, benché essa sia forse impossibile da documentare.
308
In effetti, l’ØpÒmnhma scritto può sostituirsi ad una memoria inefficiente:
esso costituisce una memoria esterna [questo corsivo è mio], oggettiva, un

304
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., pp. 28-29; su questi argomenti, vd. anche S.
SAMBURSKY, The Phisical World of the Greeks, Oxford 1956, trad. it. Milano 1983, IV ed., e H.
WISSMANN, Le modèle graphique des atomistes, comunicazione al colloquio L’Ecriture, son
autonomie et ses nouveaux objets intellectuels en Grèce ancienne (Paris, septembre 1984), cit. in J.
SVENBRO, Phrasikleia… cit. (nota 281, p. 226), p. 176, nota 60.
305
Si veda ad es. ESCHILO, Prom., vv. 788-78: «a te, lo, dirò dapprima gli errori della tua
corsa turbinante: scrivili sulle tavolette fedeli della tua memoria», e Coef, V. 450: «ascolta,
Oreste, e iscrivi nel tuo cuore»; cfr. G. NIEDOU, La metalora della memoria come scrittura e
l’immagine dell’animo come deltos, «QS» 19 (1984), pp. 213-219.
306
Cfr. PLAT., Phaedr., 275d-276a; Phil., 38e-39a.
307
Cit. da J. SVENBRO, art. cit., pp. 31-32.
308
Cfr. PLAT., Phaedr., 276d.

231
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

309
‘pro-memoria’, da non confondere con la memoria vivente di una persona.
Conscio dei limiti di questa memoria oggettivata, il filosofo Platone ne fa uso,
al pari del poeta drammatico, il cui testo costituisce un ØpÒmnhma, scritto non
in funzione dei lettori futuri, bensì in vista dello spettacolo unico, di cui
sembra essere una condizione indispensabile.
Se lo spazio mentale può esteriorizzarsi nello spazio scritto, lo spazio
310
scritto può, a sua volta, esteriorizzarsi nello spazio teatrale.
In primo luogo, naturalmente, quando il testo drammatico è portato sulla
scena, movimento in un certo senso originale in questo sistema di
rappresentazioni interdipendenti, poiché dà luogo a quella che ho definito
‘scrittura vocale’. Ma questa esteriorizzazione è stata anche – letteralmente –
messa in scena nella Grecia antica – e in modo assai singolare – nello
311
Spettacolo dell’alfabeto del poeta ateniese Callia.

Lo Spettacolo dell’alfabeto mostra proprio ciò che in teatro è


normalmente dissimulato, cioè il testo scritto:

il ‘grande assente’ dalla scena vi fa finalmente la sua comparsa. Già il titolo


dell’opera insiste su questo punto: theoria, termine derivato – come qšatron
da qe£omai (“io vedo, io contemplo”), significa appunto “spettacolo per
l’occhio”. A teatro si va dunque per vedere le lettere, non soltanto per
ascoltare la ‘scrittura vocale’ degli attori. Le lettere dell’alfabeto saranno
offerte alla vista, non solo iscritte nella memoria degli attori. Tutta la scena
dimostrerà di essere, in ultima analisi, uno spazio scrittorio in grado di
‘rispondere’ – di dirsi, di leggersi e di interpretarsi ad alta voce. L’idea di una
simile rappresentazione drammatica è potuta nascere solo nella mente di
qualcuno per il quale le lettere sono già autonome e la loro vocalizzazione
non è condizione necessaria alla loro comprensione. Vale a dire, nella mente
di qualcuno per cui le lettere si sono trasformate nelle ‘pure’ rappresentazio-
ni di una voce (realmente trascritta o fittizia, come nel caso di una lettura
silenziosa) e per il quale la loro finalità originaria – generare klšoj, rinoman-

309
Su memoria biologica e memoria esterna, cfr. supra, pp. 205 sgg.
310
Sull’importanza del sistema di immagazzinamento simbolico esterno (SISE) e sulla sua
interdipendenza con la mente biologica in ogni espressione di pensiero creativo, cfr. supra, pp.
207 sgg.
311
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 33; sul testo di Callia, che è verosimilmen-
te della seconda metà del V sec. a.c. ed è intitolato Grammatik¾ qewr…a (= Fr., 31 Edrnonds), vd.
E. POHLMANN, Die ABC-Komodie des Kallias, «RM» 114 (1971), pp. 230-240; vd. anche F. D.
HARVEY, Literacy in the Athenian Democracy, «REG» 79 (1966), pp. 585-635.

232
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

za sonora – non è più l’unica. In breve, nella mente di qualcuno per il quale la
312
lettura silenziosa è intimamente familiare.

Legata ad un unico grande cambiamento cognitivo e concettuale


in cui furono coinvolte la diffusione della scrittura, la nascita della
lettura silenziosa, lo sviluppo del grande teatro drammatico e gli inizi
della speculazione teoretica, l’autocoscienza interiorizzò la propria
voce all’interno della mente individuale, dando così parola al sé, al sé
313
esteso, politeista e multiforme della classicità.
Tuttavia, così come la lettura silenziosa rimase certo ancora per
secoli un fenomeno marginale, limitato forse soltanto ai professionisti
della parola scritta, anche la voce interiore ebbe bisogno di secoli di
storia per diventare il tipo di autocoscienza prevalente nel mondo
314
attuale.
***
Per la presente ricerca, la centralità del lungo e faticoso capitolo
che qui si conclude, è tale che credo se ne renda necessario un
riassunto.
Nel mondo occidentale e di lingua i.e., la voce interiore dell’auto-
coscienza individuale sorse nella Grecia del V sec. a.c., contempora-
neamente a diversi e fondamentali sviluppi cognitivi, in particolare
insieme alla nascita della lettura silenziosa.
Prima di tale data, l’umanità aveva conosciuto altre forme di
coscienza e di consapevolezza di sé, sostanzialmente diverse da quella
basata sulla voce interiore con cui noi moderni siamo soliti dialogare.
315
Definita la terminologia di base e facendo riferimento all’epi-
stemologia definita in n,l, grazie ad alcune importanti ricerche recenti
e per una convergenza di dati e di concetti tratti da discipline
molteplici – ciò forse avrà potuto disorientare qualche lettore, ma si

312
Cit. da J. SVENBRO, art. cit., p. 35.
313
Sul concetto di sé esteso, vd. J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), cap. 4,
con ampia bibl.; si vedano poi anche i lavori di J. Hillman citati in 111,4,6.
314
Cfr. i lavori raccolti in P. HEELAS – A. LOCK, Indigenous Psychologies. The Anthropology
of the Self, London – New York 1981, e C. TAYLOR, sources of the Self, Cambridge (Mass.) 1989,
trad. it. Milano 1993; sull’evoluzione del concetto di individualità in Grecia, si legge ancora con
profitto B. SNELL, Die Entdeckung des Geistes. Studien zur Entstehung des europäischen Denkens
bei den Griechen, Hamburg 1953, III ed., trad. it. Torino 1963, VI ed.
315
Va da sé che le definizioni di pp. 158 sgg. devono esser prese per quello che sono, un
tentativo, una sorta di reductio ad scientiam.

233
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

tratta di un procedimento necessario per il tipo di argomento e


frequente nella letteratura cognitiva – si sono potute ricostruire le
linee di una storia dell’evoluzione della coscienza.
Stabilita l’origine delle basi neurofisiologiche della coscienza nella
preistoria, e indicati nella meccanica quantistica e nel concetto di meme
gli strumenti con cui indagare l’interazione tra mente e cervello, sono
state identificate nella storia dell’umanità tre transizioni cognitive fon-
damentali – dalla cultura episodica a quella mimica, dalla cultura
mimica a quella mitica, dalla cultura mitica a quella teoretica –, e per
ciascuna di esse è stata descritta la cultura relativa – in particolare ci si è
soffermati sulla cultura mitica –, insieme ai meccanismi cognitivi inno-
vativi necessari per sostenerla.
A ogni transizione si è visto poi corrispondere una diversa tipolo-
gia di consapevolezza di sé e di autocoscienza, questo anche perché
l’attività metacognitiva compare nelle persone in modo molto dise-
guale, varia col variare dello sfondo culturale e può essere insegnata
con successo alla stregua delle altre abilità cognitive.
Con l’insorgere del linguaggio, la consapevolezza di sé è diventata
un’autocoscienza nel senso pieno del termine, cioè la scelta sistemati-
ca, mediante un sistema di finalità e priorità collettivo-individuali,
delle informazioni che dovevano entrare a far parte dello schermo
limitato della coscienza.
Si è visto poi anche che se l’informazione che giunge alla coscien-
za è distorta o scelta in modo inadeguato, cioè l’autocoscienza è fonte
sistematica di errori valutativi e comportamentali, ciò può causare la
distruzione del gruppo sociale che su di essa basava la propria soprav-
316
vivenza.

316
Scriveva Nietzsche: «la coscienza è l’ultimo e più tardo sviluppo dell’organico e di
conseguenza anche il più incompiuto e il più depotenziato. Nella coscienza hanno radice errori
che provocano la morte di una bestia o di un uomo prima del tempo necessario, «al di là del
destino», come dice Omero. Se il vincolo conservatore dell’istinto non fosse così assolutamente
potente, se non servisse, nel complesso, da regolatore, l’umanità dovrebbe perire per i suoi errati
giudizi e il suo fantasticare a occhi aperti, per la sua superficialità e la sua credulità: o piuttosto,
senza di quello, essa sarebbe già scomparsa da un bel pezzo! Prima che una funzione sia
compiutamente formata e maturata, costituisce un pericolo per l’organismo: è un bene se viene
così a lungo e validamente tiranneggiata! Così è la coscienza a essere validamente tiranneggiata:
e in misura non indifferente dall’orgoglio che se ne ha. Si pensa che qui sia il nocciolo dell’essere
umano: ciò che di esso è durevole, eterno, ultimo, assolutamente originario! Si considera la
coscienza una stabile grandezza data! Si negano il suo sviluppo, le sue intermittenze! La si
intende come ‘unità dell’organismo’! Questa ridicola sopravvalutazione, questo travisamento
della coscienza hanno come corollario un grande vantaggio, consistente nel fatto che con ciò è

234
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

Questo sviluppo graduale ci ha trasformati, insomma, in un ani-


male in grado di stabilire modelli arbitrari di comportamento basati
sul proprio concetto di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, ma ha
anche fatto sì, tuttavia, che ogni ulteriore passo verso un aumento di
coscienza porti il sistema più lontano dalla coscienza totale, perché la
coscienza può vedere solo una parte della complessa rete cognitiva di
cui la mente fa parte, cioè quei brevi archi di circuiti sui quali il
finalismo umano può intervenire.
***
La frase di Nietzsche posta come motto all’inizio del capitolo è
tratta da un brano che ora si può citare nella sua interezza:

il problema della coscienza (più esattamente: del divenire autocoscienti) ci


compare dinanzi, soltanto allorché cominciamo a comprendere in che misura
potremmo fare a meno di essa: e a questo principio del comprendere ci
conducono oggi fisiologia e storia degli animali (scienze, queste, che hanno
dunque avuto bisogno di due secoli per raggiungere il sospetto precocemente
balenato nella mente di Leibniz). Noi potremmo difatti pensare, sentire,
volere, rammemorare, potremmo ugualmente ‘agire’ in ogni senso della
parola, e ciononostante tutto questo non avrebbe bisogno d’‘entrare nella
nostra coscienza’ (come si dice immaginosamente). La vita intera sarebbe
possibile senza che ci si vedesse, per così dire, nello specchio: in effetti, ancor
oggi la parte di gran lunga prevalente di questa vita si svolge in noi senza
questo rispecchiamento – e invero anche la nostra vita pensante, senziente,
volente, per quanto ciò possa risultare offensivo a un antico filosofo. A che
scopo una coscienza in generale, se essa è in sostanza superflua? Ebbene, se si
vuol prestare ascolto alla mia risposta a questa domanda e alla sua supposi-
zione forse stravagante, mi sembra che la sottigliezza e la forza della coscien-
za stia sempre in rapporto con la capacità di comunicazione di un uomo (o di
un animale) e che la capacità di comunicazione sia d’altro canto in rapporto
con il bisogno di comunicazione: non dovendosi intendere quest’ultimo come
se proprio il singolo uomo stesso, che è appunto maestro nella comunicazio-
ne e nel rendere comprensibili i suoi bisogni, dovesse in pari tempo, anche

stato impedito un troppo celere perfezionarsi della medesima. Perché gli uomini ritenevano di
possedere già la coscienza, si sono dati scarsa premura per acquistarla, e anche oggi le cose non
stanno diversamente! È ancor sempre un compito del tutto nuovo, proprio in questo momento
baluginante all’occhio umano e a stento riconoscibile con chiarezza, quello di incarnare in se
stessi il saper e di farlo istintivo: un compito scorto soltanto da chi è giunto a comprendere che
fino ad oggi si sono incarnati in noi solo i nostri errori e che tutta la nostra coscienza è in
rapporto ad errori!»: cit. da F. NIETZSCHE, Die fröhliche Wissenschaft, II, 11, Leipzig 1887, II
ed., trad. it. Milano 1986, IV ed., pp. 44-45, i corsivi sono dell’A.

235
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

per i suo bisogni, fare per lo più assegnamento sugli altri. A me sembra
pertanto che relativamente a intere razze e catene di generazioni le cose
stiano in questo modo: laddove il bisogno, la necessità hanno lungamente
costretto gli uomini a comunicare tra loro, a comprendersi l’un l’altro in
maniera rapida e sottile, esiste alla fine un eccesso di questa forza e arte della
comunicazione, per così dire una facoltà che si è gradatamente potenziata, e
che aspetta ora soltanto un erede che ne faccia un prodigo uso (i cosiddetti
artisti sono questi eredi, similmente i predicatori, gli oratori, gli scrittori: tutti
gli uomini che vengono sempre alla fine d’una lunga catena, ogni volta ‘nati
in ritardo’ nel senso migliore della parola e, come si è detto, dissipatori per
natura). Posto che sia giusto questo rilievo, mi è lecito procedere alla suppo-
sizione che la coscienza in generale si sia sviluppata soltanto sotto la pressione
del bisogno di comunicazione, che sia stata all’inizio necessaria e utile soltanto
tra uomo e uomo (in particolare tra colui che comanda e colui che obbedi-
sce), e soltanto in rapporto al grado di questa utilità si sia inoltre sviluppata.
Coscienza è propriamente soltanto una rete di collegamento tra uomo e
uomo – solo in quanto tale è stata costretta a svilupparsi: l’uomo solitario,
l’uomo bestia da preda non ne avrebbe bisogno. Il fatto che le nostre azioni, i
pensieri, i sentimenti, i movimenti siano anche oggetto di coscienza – almeno
una parte di essi – è la conseguenza di una terribile ‘necessità’, che ha
lungamente signoreggiato l’uomo: essendo esso l’animale maggiormente in
pericolo, ebbe bisogno d’aiuto, di protezione; ebbe bisogno dei suoi simili,
dovette esprimere le sue necessità, sapersi rendere comprensibile – e per
tutto questo gli fu necessaria, in primo luogo, ‘coscienza’, gli fu necessario
anche ‘sapere’ quel che gli mancava, ‘sapere’ come si sentiva, ‘sapere’ quel
che pensava. Perché, lo ripeto ancora una volta: l’uomo, come ogni creatura
vivente, pensa continuamente, ma non sa; il pensiero che diviene cosciente ne
è soltanto la più piccola parte, diciamo pure la parte più superficiale e
peggiore: infatti soltanto questo pensiero consapevole si determina in parole,
cioè in segni di comunicazione, con la qual cosa si rivela l’origine della
coscienza medesima. Per dirla in breve, lo sviluppo della lingua e quello della
coscienza (non della ragione, ma soltanto del suo divenire autocosciente)
procedono di pari passo. Si aggiunga poi, che non soltanto il linguaggio serve
da ponte tra uomo e uomo, ma anche lo sguardo, la pressione, la mimica: il
farsi coscienti in noi stessi le nostre impressioni sensibili, la forza di poterle
fissare e di porle, per così dire, al di fuori di noi, tutto ciò è andato crescendo
nella misura in cui è progredita la necessità di trasmetterle ad altri mediante
segni. L’uomo inventore di segni è insieme l’uomo sempre più acutamente
cosciente di sé: solo come animale sociale l’uomo imparò a divenir cosciente
di se stesso – è ciò che egli sta facendo ancora, ciò che egli fa sempre di più.
Come si vede, il mio pensiero è che la coscienza non appartenga propriamen-
te all’esistenza individuale dell’uomo, ma piuttosto a ciò che in esso è natura
comunitaria e gregaria; che – come deriva da tutto questo – essa si è
sottilmente sviluppata solo in rapporto ad una utilità comunitaria e gregaria;

236
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA

e che di conseguenza ognuno di noi, con la miglior volontà di comprendere


se stesso nel modo più individuale possibile, di «conoscere se stesso»,
purtuttavia renderà sempre oggetto di coscienza soltanto il non individuale,
quel che in se stesso è esattamente la sua «misura media»; che il nostro stesso
pensiero viene continuamente, per così dire, adeguato alla maggioranza e
ritradotto nella prospettiva del gregge a opera del carattere della coscienza,
del ‘genio della specie’ in essa imperante. Tutte quante le nostre azioni sono
in fondo incomparabilmente personali, uniche, sconfinatamente individuali,
non v’è dubbio; ma appena le traduciamo nella coscienza, non sembra che lo
siano più… Questo è il vero fenomenalismo e prospettivismo, come lo inten-
do io: la natura della coscienza animale implica che il mondo, di cui possiamo
aver coscienza, è solo un mondo di superfici e di segni, un mondo generaliz-
zato, volgarizzato; che tutto quanto si fa cosciente, diventa per ciò stesso
piatto, esiguo, relativamente stupido, generico, segno, segno distintivo del
gregge; che a ogni farsi della coscienza è collegata una grande fondamentale
alterazione, falsificazione, riduzione alla superficialità e generalizzazione. Lo
svilupparsi della coscienza non è, infine, senza pericoli, e chi vive tra gli
ipercoscienti europei sa anche che è una malattia. Non è, come si può
indovinare, l’opposizione tra soggetto e oggetto che m’importa: questa di-
stinzione io la lascio ai teorici della conoscenza, che sono rimasti penzoloni
nei lacci della grammatica (la metafisica popolare). Non m’interessa nemme-
no il contrasto tra ‘cosa in sé’ e fenomeno: giacché siamo ben lontani dal
‘conoscere’ abbastanza, per poter pervenire anche solo a una tale distinzione.
Non abbiamo appunto nessun organo per il conoscere, per la ‘verità’: noi
‘sappiamo’ (o crediamo, o c’immaginiamo) precisamente tanto quanto può
essere vantaggioso sapere nell’interesse del gregge umano, della specie, e
anche quando ciò che qui è detto ‘vantaggio’ è infine nient’altro che una
credenza, un’immaginazione, e forse esattamente quella quanto mai funesta
317
stoltezza per cui un giorno precipiteremo in rovina.

Come sempre gli accade nei suoi momenti più felici per equilibrio
tra visione e serenità – e La gaia scienza è da questo punto di vista forse
il suo libro migliore, in sole quattro pagine Nietzsche delinea e risolve
l’enigma dell’autocoscienza, fondando – senza che nessuno se ne sia
accorto – lo studio scientifico della coscienza: esse costituiscono il
miglior riassunto possibile del capitolo appena scorso.

317
Cit. da F. NIETZSCHE, op. cit., V, 354, pp. 220-223, i corsivi sono dell’A.

237
CAPITOLO 3

LE ORIGINI INDEUROPEE

Non può esservi coscienza senza la percezione


delle differenze.
(C. G. Jung)
Nessun popolo potrebbe vivere senza prima valu-
tare; ma, se vuole conservarsi, non può valutare
così come valuta il suo vicino.
(F. Nietzsche)

3. 1. LE VESTIGIA PALEOMESOLITICHE

Nel capitolo precedente, si è visto che possibile far coincidere i


confini entro cui situare la cultura mitico-orale in generale, con la
forma di autocoscienza che le era propria, e l’inizio della cultura
teoretica occidentale, con il cambiamento di autocoscienza che ne
seguì, con il paleolitico superiore e la vita di Socrate.
La vicenda preistorica e protostorica dei popoli di lingua i.e. si
muove, all’incirca, all’interno dei medesimi limiti temporali, perché,
da un lato, le tradizioni linguistico-letterarie i.e. conservano alcuni
tratti culturali tipicamente paleolitici, e, dall’altro, le medesime tradi-
zioni rinviano, pur nella grande diversità temporale che le contraddi-
stingue, agli inizi della storia dei singoli dominii etno-linguistici.
Nel presente capitolo, tenterò allora di indicare quello che ritengo
sia lo scenario storico-culturale e spazio-temporale più plausibile in
cui situare le vicende iniziali dei popoli di lingua i.e.; questo per
cercare poi, nel capitolo seguente, di concludere la dimostrazione
dell’ipotesi posta all’inizio della seconda parte della presente ricerca:
la lingua poetica i.e. è il fondamento di un sistema arcaico di autoco-
scienza. Un’ipotesi finora confortata e confermata, in generale, da
quanto la ricostruzione per grandi linee cognitivo-temporali fatta nel

239
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

capitolo precedente ci ha consentito di comprendere sulla storia


dell’evoluzione della coscienza.
***
Il problema delle origini degli Indeuropei e della loro Urheimat, si
può dire che sia sorto insieme alla nascita dell’indeuropeistica come
1
disciplina autonoma; nessuno tuttavia è mai stato in grado di indicare
una soluzione, non dirò pienamente verificabile, ma almeno scientifi-
camente convincente.
2
In verità, più che le risposte che nel tempo sono state tentate, a
me pare, come a E. Campanile e a qualcun’altro, che sia la domanda
stessa ad essere sbagliata:

parlare di ‘sedi originarie’ significa, di fatto, supporre che […] gli Indoeuro-
pei fossero una popolazione stanziale, saldamente ancorata a un certo terri-
torio, e che di lì, a un certo momento, si trasformarono in nomadi conquista-
tori. Ora, una tale ipotesi non ha alcun fondamento documentario ed è
inconsciamente suggerita solo dal bisogno di dare un inizio alla storia degli
Indoeuropei: dalla notte dei tempi fino al 5000 a.C. gli Indoeuropei vegeta-
no, come oggetti di natura, in un certo territorio; dopo quella data comincia-
no a muoversi e così ha inizio la loro storia. La presupposizione è ingenua. La
storia non ha inizio, se non per il taglio arbitrario che lo storico dà alla sua
narrazione e per la presenza di documenti, diretti o indiretti, su cui egli possa
basarsi. Nel caso degli Indoeuropei non si ha alcuna prova a favore dell’esi-
stenza di una ‘sede originaria’; potremmo, ugualmente bene, immaginarli
come popolazioni nomadi anche nelle età più lontane: come tutti i falsi
3
problemi, anche questo ammette più di una soluzione.

l
Sugli sviluppi recenti dell’indeuropeistica, vd. O. SZEMERÉNYI, Recent Development in
Indo-European Linguistics, «TPhS» (1985), pp. 1-71; K. M. HAYWARS, The Indo-European
Language and the History of its Speakers: the Theories of Gamkrekidze and Ivanov, «Lingua» 78
(1989), pp. 37-86; W. P. LEHMANN, The Current Thrust of Indo-European Studies, «GL» 30
(1990), pp. 1-52, ID., Die gegenwärtige Richtung der indogermanistischen Forschung, Budapest
1992; F. R. ADRADOS, The New Image of Indo-European. The Story of a Revolution, «IF» 97
(1992), pp. 1-28; J. P. MALLORY, Encyclopedia of Indo-European Studies, in stampa.
2
Per una panoramica, vd. J. P. MALLORY, A Short History of the Indo-European Problem,
«JIES» 1 (1973), pp. 21-65; ID., The Indo-European Homeland Problem: the Logic of the Inquiry,
Ph. D. Thesis, Los Angeles 1975; ID., In Search of the Indo-Europeans. Language, Archaeology
and Myth, London 1989, capp. I e VI; R. AMBROSINI, Le lingue indo-europee… cit. (nota 3, p.
126), capp. I e II; la bibl. di riferimento è comunque in III,4,7.
3
Cit. da E. CAMPANILE, Antichità indoeuropee, in A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT
(eds.), op. cit. (nota 61, p. 71), p. 39.

240
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

La questione della sede originaria degli Indeuropei è insomma


viziata da una confusione di tipi logici, dalla commistione tra due
4
ipotesi di genere diverso: un conto è, come si è detto sopra, l’i.e.
storico, una realtà nella quale non può esserci stata una sola sede da
cui sarebbe iniziata la diaspora, perché le lingue reali sono sempre
differenziate anche diatopicamente, cioè distribuite in un arco spa-
ziale storicamente variegato, mutevole e, nel caso dell’i.e., con ogni
probabilità anche non definibile con precisione a priori, stante
l’impossibilità di identificare nella preistoria l’estensione territoriale
di una lingua in assenza di plausibili confini linguistici riferibili ad
5
altre lingue contermini e coeve, e un conto è l’ipotesi dell’i.e.
ricostruito, ipotesi nella quale invece l’idea di una Urheimat ha forse
una sua cogenza conseguente al metodo genealogico e alla
considerazione dell’i.e. come un tutto unico e indifferenziato,
un’ipotesi, tuttavia, che deve necessariamente limitarsi ad indicare
per l’i.e. una ‘sede unica’ e un ‘popolo unico’ senza poter mai
sperare di identificare concretamente l’una o l’altro perché pone
metodologicamente la Ursprache e la Urheimat fuori dal tempo e
dallo spazio.
Messo allora da parte il falso problema della sede originaria degli
Indeuropei e ricordato che la lingua poetica i.e. appartiene al più
vasto fenomeno storico-culturale della circolazione linguistica all’in-
6
terno dell’i.e. reale, invece che proporre qui l’ennesima variazione sul
tema della sede originaria degli Indeuropei, ritengo più funzionale alla
mia ipotesi cercare dapprima all’interno del mondo i.e. le vestigia
linguistiche, culturali e cognitive di fasi anteriori al periodo storico,
seguitando così con l’impostazione data nel capitolo precedente, e da
qui tentare poi un inquadramento spazio-temporale della questione
i.e. in generale.
***
Ora, è noto che le più antiche attestazioni certe di una lingua i.e.
risalgono ai testi delle tavolette cuneiformi in ittita antico, cioè intorno
al 1700 a.c.; nelle stesse fonti, si trovano inoltre i resti di

4
Vd. supra, pp. 108 sgg.
5
Oltre che di una facies archeologica sicuramente e autonomamente definibile come i.e.:
cfr. supra, pp. 69 sgg.
6
Vd. supra, pp. 108 sgg.

241
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

7
altre due lingue i.e. imparentate con l’ittita antico ed a esso coeve,
il palaico e illuvio (cuneiforme), ma anche le più antiche attestazio-
ni dell’indo-ario (1500-1300 a.c.), risalenti quest’ultime al periodo
8
del regno hurrita dei Mitanni. Sappiamo poi anche che il greco
delle tavolette micenee in linerare B risale al 1500-1200 a.c. e che
esso probabilmente fa parte già di una variante dialettale meridona-
9
le.
Da tutto ciò ne consegue direttamente che nel II millennio a.C. le
lingue e le popolazioni i.e. suddette erano già pienamente e definitiva-
mente differenziate dall’i.e. e tra loro, ma anche, indirettamente, che
con grande verosimiglianza dovevano essere già autonome, distinte e,
almeno qualcun’ altra di esse, come lo slavo, già stanziate nelle sedi
10
storiche, anche le rimanenti lingue i.e. Nel caso, per esempio, del
latino e delle altre lingue i.e dell’Italia antica, pur se un’infinità di
11
questioni restano aperte, credo si possa dire oramai con buona

7
Vd., per tutti, J. G. MACQUEEN, The Hittites and Their Contemporaries in Asia Minor,
London 1988, II ed.; su quest’area in generale, utili aggiornamenti bibl. sono: D. SILVESTRI, Gli
studi sulla preistoria linguistica dell’Eurasia: prospettive e retrospettive, «AION» 10 (1988), pp.
17-25; A. SORRENTINO, Saggio di una bibliografia sulla preistoria linguistica dell’Eurasia, Napoli
1988; V. VALERI – M. D. PEDUTO, Preistoria e protostoria linguistica dell’Eurasia. Aggiornamenti
bibliografici, «AION» 12 (1990), pp. 357-361.
8
Cfr. T. BURROW, The sanskrit Language, London 1973, III ed., pp.27 sgg.; ID., The
Proto-Indoaryans, «JRAS» (1973), pp. 123-140; R. LAZZERONI, Per una definizione dell’unità
indo-iranica, «SSL» 8 (1968), pp. 131-159; lo., sanscrito, in A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT
(eds.), Le lingue indoeuropee… cit. (nota 61, p. 71), pp. 123 sgg.; M. MAYRHOFER, Die Arier im
Vorderen Orient – Ein Mythos?, Wien 1974; A. V. ROSSI, Preistoria linguistica dell’area di
contatto indo-iranica, «AION» 10 (1988), pp. 217-237 (con bibl. archeologica aggiornata); R.
SCHMITT, Aryans, in Y. ESHAN (ed.), Encyclopaedia Iranica, London-New York 1987, vol. II, 7,
pp. 684-687; M. WITZEL, Tracing the Vedic Dialects, in C. CAILLAT (ed.), Dialects dans les
littératures indo-aryennes, Paris 1989, pp. 97-265.
9
Cfr. E. RISCH, Die Gliederung der griechischen Dialekte in neuer sicht, «MH» 12 (1955),
pp. 61-76; R. SCHMITT, Einführung in die griechischen Dialekte, Darmstadt 1977; A. QUATTOR-
DIO MORESCHINI, Dal miceneo al Greco alfabetico. Osservazioni sullo sviluppo delle labiovelari con
particolare riferimento alla lingua epica, Pisa 1990.
10
Per quel che riguarda il baltico, è di questa opinione anche W. R. SCHMALSTIEG, Le
lingue baltiche, in A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT (eds.), op. cit., p. 482, con bibl.
11
Su questo argomento è ora importante il già citato (nota 74, p. 75) A. L. PROSDOCIMI,
Filoni indeuropei in Italia. Riflessioni e appunti, dove a p. 15 è detto: «il discorso fatto per il greco
vale anche per le altre realtà linguistiche preistoriche, quelle che ho pudicamente chiamato
‘filoni’, ma che – sia pure con le dovute attenzioni per quanto è pertinente al culturale e/o al
politico nell’essere della lingua – devono essere configurate come realtà linguistiche complete così
come lo è il greco rispetto al latino, il nordico rispetto all’anglosassone, ecc.» (il corsivo è mio).
Anche per questo lavoro di Prosdocimi, pervenutomi nel novembre 1996 a ricerca oramai
conclusa, vale quanto detto per il volume di Alinei: cfr. la nota seguente.

242
3 – LE ORIGINI INDEUROPEE

probabilità che esse erano presenti in Italia e variamente differenziate


12
tra loro già nel II millennio.
Si può allora trarre una prima indicazione provvisoria: la dia-
spora delle lingue i.e. doveva essere già terminata almeno agli inizi
del III millennio a.c.; nel caso poi delle lingue i.e. anatoliche, è
verosimile, così come ritengono diversi autorevoli specialisti, che il
loro13 distacco dalle altre lingue i.e. risalga perlomeno al IV millen-
nio.
Detto questo, occorre poi rilevare che è forse possibile trovare nei
testi della tradizione indo-iranica probabili indicazioni temporali ante-
riori ai periodi ora indicati.
14
In un saggio pubblicato all’inizio del secolo, che a suo tempo
15
ebbe un certa diffusione e suscitò opinioni contrastanti e che in
16
tempi più recenti è stato ripreso da alcuni studiosi di vaglia, sono
interpretati diversi passi del g-Veda e dell’Avesta, oltre che di altri

12
Era quel che cominciava a pensare negli ultimi anni anche G. Devoto: vd. ID., Il latino di
Roma, in A. L. PROSDOCIMI (ed.), Popoli e civiltà dell’Italia antica. VI: Lingue e dialetti dell’Italia
antica, Roma 1978, pp. 471-485 (il saggio è stato pubblicato postumo, ma la sua stesura risale in
realtà agli anni 1970-71 ed era già apparso in tedesco parzialmente nella Fest. L. R. Palmer, Wien
1976, come indica anche A. L. PROSDOCIMI nella Premessa alla ristampa anastatica a G. DEVOTO,
Storia della lingua di Roma, Bologna 1983, (I 1940, II 1944), p. XVII). Vedo ora che è di questa
opinione anche M. ALINEI, Origini delle lingue d’Europa… cit. (nota 127, p. 184), cap. IV;
quando questo volume di Alinei è apparso (ottobre 1996), la presente ricerca era già sostanzial-
mente terminata: sono lieto di poter constatare, che, pur con finalità e da punti di vista diversi e
sfruttando dati differenti, su alcune questioni centrali i nostri due studi giungono a conclusioni
assai simili; mi riservo, tuttavia, di esprimere il mio giudizio complessivo su questo lavoro
ponderoso quando sarà pubblicato il secondo e ultimo volume. Desidero qui ringraziare, infine,
il Prof. M. Alinei per il proficuo e utile colloquio che mi ha concesso il 31 ottobre 1996. Ricordo
ancora (cfr. supra, p. 79) che sui rapporti greco-latini di età micena sono fondamentali e
illuminanti le ricerche di E. Peruzzi (le indicazioni bibi. sono in 111,4,7).
13
Per dati e indicazioni, vd. tra i molti J. P. MALLORY, In search of… cit. (nota 2, p. 240),
pp. 24-30.
14
Si tratta di L. G. B. TILAK, The Arctic Home in the Vedas, Poona 1971, III ed. (I ed., ivi
1903), trad. it. Genova 1986, in precedenza (1979), ne era uscita anche una trad. francese
pubblicata a Milano; dello stesso A. vd. anche Orion, or Research into the Antiquity of the Vedas,
Poona 1893, trad. it. Genova 1991; in tedesco, un ampio riassunto, con l’aggiunta di ulteriori
riscontri mitologici e un appoggio convinto alle tesi di Tilak, era stato dato da G. BIEDENKAPP,
Der Nordpol als Volkerheimat, Jena 1906.
15
Tra gli studiosi favorevoli alle tesi sostenute da Tilak, ci furono H. Jacobi, M. Bloomfield
e, limitatamente a qualche aspetto, lo stesso Max Müller; tra i contrari Macdonell, Keith,
Oldenberg, Thibaut, Whitney: la bibi. fino al 1912 è in A. A. MACDONNEL – A. B. KEITH, vol. I,
pp. 409-431, s.v. nakşatra.
16
Per es. da A. LOROI-GOURHAN, La préistoire, Paris , III ed., pp. 192-193, e da J. HAUDRY,
Les Indo-Européens… cit. (nota 63, p. 26), pp. 119-121; tra gli oppositori recenti invece J. P.
MALLORY, In search of… cit., p. 269.

243
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

testi chiave delle due letterature, che descrivono fenomeni astronomi-


17
ci e naturali, alla luce anche di osservazioni18
astronomiche e calcoli
matematici confermati in parte di recente.
19
I risultati più importanti raggiunti da Tilak, e dagli studi seguen-
ti citati, sono l’indicazione che alcuni dei fenomeni a cui alludono tali
testi non possono essere stati osservati che a una latitudine prossima al
circolo polare artico, e che l’osservazione di taluni altri fenomeni è
20
databile con precisione alla prima metà del V millennio a.C.
Dal punto di vista cognitivo, queste testimonianze sono poi im- 21
portanti perché esse attestano anche per una parte del mondo i.e.

17
Ne ricorderò soltanto qualcuno tra quelli esaminati da Tilak e da altri: un giorno e una
notte di 6 mesi ciascuno, l’aurora che dura molti giorni, le 30 parti dell’alba, l’anno di dieci mesi
e di 5 stagioni, i 100 sacrifici fatti durante 100 notti consecutive, ecc.
18
Vd. I. J. S. TAPAROREWALA, The Indo-European Homeland: a Restotement of the Que-
stion, in Proc. and Trans. of the sixth Ali-India Conjerence, Patna 1930, pp. 635-642; P. C.
SENGUPTA, Ancient Indian Chronology, Calcutta 1947; S. C. KAK, On the Chronology of Ancient
India, «IJHS» 22 (1987), pp. 222-234; ID., Astronomy in Satapatha-Brahmal:la, in Proc. of the Int.
symposium on Indian and other Asiatic Astronomies, Hyderabad 1991; lo., The Indus Tradition
and the Indo-Aryans, «ManQ» 32,3 (1992), pp. 195-213.
19
Altre tesi sostenute in questo volume sono, al contrario, scientificamente inverosimili.
Per quanto riguarda poi gli aspetti politico-ideologici sottesi all’idea di una sorta di perduta età
dell’oro della tradizione ariana contenuta nel libro di Tilak, che è comunque un’idea ben diversa
da quella famigerata e altrettanto inconsistente di razza ariana, essi a me paiono sostanzialmente
innocui e del tutto trascurabili; riguardo invece all’uso che ne è stato fatto in seguito – il volume
di Tilak è infatti diventato nel tempo uno dei capisaldi del cosiddetto ‘pensiero tradizionale’, un
atteggiamento questo, più che una filosofia, cronologicamente collaterale, e qualche volta, nelle
vicende personali, colluso, ma che ci tiene a distinguersi, con i totalitarismi di destra di questo
secolo: cfr. R. GUÉNON, Forme tradizionali e cicli cosmici, Roma 1974 (1929), pp. 28 sgg.; J.
EVOLA, Rivolta contro il mondo moderno, Roma 1969 (1934), III ed., p. 236, e il numero
monografico dedicato a La tradizione artica della rivista «Arthos» 27-28 (1983) –, io credo che
nessun autore possa essere chiamato a rispondere dell’intelligenza dei propri lettori, e comun-
que sia, Tilak resta pur sempre un eroe della resistenza anticolonialista indiana, Guénon un
grande studioso e Evola, come si dice a Firenze, un rintronato.
20
Per es., l’eclisse parziale della stella Tişya (= Sirio) descritta in alcuni testi vedici, è
databile con precisione al 4650 a.c.; sul corrispettivo iranico di Tişya, vd. A. PANAINO, Tiştrya.
Part 1: The Avestan Hymn to syrius, Roma 1990. Sirio è la stella (a della costellazione del Cane
maggiore) più luminosa del cielo e fin dalla più remota antichità la regolarità del suo moto è
servita a misurare il tempo: gli Egizi, per es., che la chiamavano Sothis, basavano sul suo sorgere
eliaco (è questa la denominazione con cui si indicava il primo levare di una stella nel crepuscolo
del mattino), costantemente sempre intorno al 20 luglio, il cosiddetto periodo sotìaco, cioè il
periodo di 1460 anni solari che Sirio impiegava per riportarsi nuovamente alla stessa data
dell’anno civile egiziano.
21
Per il lessico i.e. ‘celeste’, vd. O. SCHRADER – A. NEHRING, vol. II, pp. 70-76; G. DEVOTO,
Origini indeuropee, Firenze 1962, p. 215 (e sgg.): «il vocabolario compatto […] documenta
largamente fenomeni celesti, come oggetto di osservazione, come strumento di organizzazione e
di calcolo del tempo […]».

244
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

l’esistenza di un patrimonio minimo di conoscenze astronomiche


22
molto antiche.
E a proposito dell’astronomia, M. Donald osserva che

la più antica testimonianza di formazione di una teoria, quantunque elemen-


tare, ci è offerta dalle conoscenze astronomiche, che, al pari della scrittura,
sono un potente mezzo di controllo sociale […]. All’inizio della storia del
23
simbolismo visuografico furono inventati alcuni dispositivi analogici che
avevano la funzione sia di misurare il tempo sia di formulare predizioni, e che
a lungo andare permisero all’uomo di seguire gli eventi celesti, compilare
calendari abbastanza precisi e misurare il trascorrere del tempo in giornate.
[…] L’origine delle misure analogiche è molto antica, com’è testimoniato dal
24
loro uso comune nelle società aborigene. Semplici indici analogici di
misure possono essere ottenuti mediante l’uso di asserzioni linguistiche
relative o comparative: le distanze, per es., possono essere misurate in termini
di tempo (una giornata di cammino) e il volume può essere misurato in
termini di contenente (una manciata, una tascata, un boccone, una braccia-
ta). La distanza di simili metafore verbali dalle misurazioni sistematiche non
è grande: se ‘sul tardi’ equivale a ‘ombre lunghe’, non occorre molto per
ideare un congegno che segni quelle ombre. Ma una volta che i simboli

22
Per una descrizione astronomica del più famoso ‘osservatorio’ preistorico, sulla cui
origine tuttavia si è ancora incerti, vd. G. S. HAWKINS, Stonehenge Decoded, «Nature» 200
(1963), p. 306; ID., Stonehenge: A Neolithic Computer, «Nature» 202 (1964), p. 1258; G. S.
HAWKINS – J. B. WHITE, Stonehenge Decoded, London 1965; un lavoro recente assai utile, con
ampia bibl. e che ripercorre criticamente gli studi precedenti sulla cosiddetta ‘astronomia
megalitica’, è quello di C. RUGGLES, Astronomical and Geometrical Influences on Monumental
Design: Clues to Changing Patterns of social Tradition?, in T. L. MARKEY – J. A. C. GREPPIN
(eds.), When Worlds Collide: The Indo-Europeans and the Pre-Indo-Europeans, Ann Arbor 1990,
pp. 115-150; per una storia recentissima dell’astrologia nel mondo occidentale, vd. O. POMPEO
FARACOVI, Scritto negli Astri, Venezia 1996.
23
Per la distinzione tra analogico e digitale, vd. supra, nota 47, p. 150; per la distinzione tra
numero e quantità, vd. supra, punto 7, p. 144 e nota 29.
24
Sulle rappresentazioni analogiche spazi ali in alcune popolazioni aborigene, vd. N. D.
MUNN, The spatial Presentation of Cosmic Order in Walbiri Iconography, in A. FORGE (ed.),
Primitive Art and society, London 1973; P. D. HARVEY, The History of Topographical Maps,
London 1980; C. D. SMITH, Cartography in the Preistoric Period in the Old World: Europe, the
Middle East and North Ajrica, in J. B. HARLEY – D. WOODARD (eds.), History of Cartography, Vol.
1: Cartography in Prehistoric, Ancient and Medieval Europe and the Mediterranean, Chicago
1987; C. M. LEWIS, Indian Delimitations ojPrimary Geographic Regions, in T. E. ROSS – T. G.
MOORE (eds.), A Cultural Geography of North American Indians, Boulder (CO) 1987; nel mio
libro Anemonimi Benacensi… cit. (nota 15, p. 34), in part. vd. cap. IV, è ricostruito un sistema,
tassonomicamente completo e ancor’oggi funzionante, di misurazione analogico-spaziale me-
diante l’osservazione e la descrizione dei venti gardesani, la cui origine, se le mie ipotesi sono nel
giusto, risalirebbe perlomeno al neolitico. Sui dialetti come fonte di dati preistorici, torna ora a
insistere con forza M. ALINEI, Origini delle lingue d’Europa… cit., passim.

245
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

analogici visivi furono creati, si presentò la possibilità di utilizzarli come


sistema di immagazzinamento nella memoria e come dispositivi computazio-
nali. Il fenomeno ricorrente della luna che a metà estate si leva nello stesso
punto dell’orizzonte poteva essere verificato disponendo sistematicamente
delle pietre come punto di riferimento. Altri eventi astronomici molti eviden-
ti e approssimativamente prevedibili vennero anch’essi verificati e, nel
corso di un certo periodo di tempo, vennero determinati gli estremi della
variabilità, cioè le massime deviazioni dalla tendenza generale. […] La costruzione di
25
congegni visivi analogici coinvolse un circuito del SISE diverso da quello
impegnato nell’invenzione linguistica orale. Prima della scrittura, i più anti-
chi modelli analogici dovevano necessariamente essere creati attraverso l’in-
terazione fra il modellamento visivo mimico e i commenti orali sul processo
di modellamento. […] Probabilmente il sistema mimico fornì la base per
semplici gesti metaforici, e la capacità narrativa orale fornì un meccanismo
per ‘commentare’ tali metafore visive, cioè per assegnare simboli al processo
visivo analogico. Ciò consentì al sistema linguistico di esercitare un certo
controllo sul processo analogico stesso. Dunque, i primi modelli analogici
26
furono probabilmente il prodotto comune dei due sistemi interagenti. […]
Numerosi elementi della scienza moderna erano già presenti nell’astronomia
primitiva: l’osservazione sistematica e s’elettiva seguita dalla raccolta, dalla
codificazione e infine dall’immagazzinamento dei dati; l’analisi dei dati già
immagazzinati per l’individuazione dei fenomeni ricorrenti e dei rapporti che
li legano; in ultimo, la formulazione di previsioni sulla base delle regolarità
accertate. […] Le basi per l’osservazione e le previsioni scientifiche erano già
state gettate tra 5000 e 10000 anni or sono, non necessariamente sotto forma
di simboli scritti ma mediante un’invenzione visuografica di tipo diverso, che
rappresentava un sistema analogico di conoscenza. Gli elenchi scritti delle
osservazioni astronomiche vennero molto più tardi, in Cina e a Babilonia.
Tutto ciò dimostra che la scrittura seguì, e non precedette, l’invenzione di
dispositivi simbolici visivi analogici […]. La registrazione visiva e il modella-
mento visivo dei dati erano necessari al progresso scientifico, ma le parole
scritte non furono sempre il propulsore originario del pensiero scientifico,
mentre, indubbiamente, lo furono i commenti orali. […] In conclusione,
l’astronomia fu probabilmente il più antico esempio di sviluppo teoretico
ampio e socialmente rilevante della storia umana. […] I mezzi di misurazione
analogici […] erano strettamente connessi con l’evoluzione del processo
teoretico. I ‘modelli’ visivi risultanti riflettevano lo stato della teoria, in
quanto erano un prodotto diretto del processo di teorizzazione. Le teorie
non scaturivano ancora da riflessioni così complesse e distaccate come

25
Sul Sistema di Immagazzinamento Simbolico Esterno (SISE), vd. supra, pp. 206 sgg.
26
Su tutto ciò, cfr. supra, pp. 191 sgg.

246
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

sarebbe avvenuto in seguito, ma il modellamento di un universo più ampio era


27
già iniziato.

Sebbene, com’è ovvio, di congegni analogici di epoca preistorica


sicuramente riferibili a popolazioni i.e. non ne resti traccia archeologi-
ca, alcune testimonianze linguistiche ci consentono di attribuire anche
al mondo preistorico di lingua i.e. un sistema di misurazione del
tempo basato sulle conoscenze astronomiche, per esempio il sostanti-
vo i.e. *mēnes-/*mēns-/*mēs-, nome della “luna” e del “mese”, specia-
lizzatosi poi in alcune lingue nel solo significato di “mese” (cfr. lat.
mensis), derivato dalla radice i.e. *mē- che significava “misurare”.
28

Un altro indizio linguistico che testimonia la presenza anche nel


mondo i.e. di sistemi preistorici di misurazione analogica, è il sostan-
tivo *wetos, il «termine più solido che si possa ricostruire nell’ambito
29
del vocabolario compatto», un termine così antico e radicato nel
mondo i.e. da essere tra i pochi sopravvissuti del lessico originario in
ittita: witt “anno”, e che indicava dapprima il vitello di sviluppo
corrispondente al periodo di un anno ed è poi passato a significare
“vecchio” in alcune lingue e “anno” in altre.
Se dunque alcuni fenomeni astronomici descritti nei testi della
tradizione indo-iranica sono databili al V millennio a.c. e la misura-
zione del tempo e i primi sistemi di misurazione analogica ci riportano
alla prime fasi della cultura neolitica, – e non vi è dubbio peraltro,
30
come già sosteneva M. Durante, che il nucleo fondante della cultura
i.e. rinvii al neolitico –, per risalire ancora più indietro nel tempo
disponiamo soltanto di prove indirette, sebbene di consistenza solida.
Intendo qui riferirmi innanzitutto, da un lato alle ricerche di
31
Walter Burkert sulle origini paleolitiche di alcuni riti e miti greci,

27
Cit. da M. DONALD, op. cit. (nota 10, p. 158), pp. 390-396; l’ultimo corsivo è mio.
28
Vd. POKORNY, p. 703 e 731; ERNOUT-MEILLET, s.v. mensis, G. DEVOTO, Origini… cit., pp.
219-220, ecc.; in generale, vd. V. CHAMBERLAIN – J. YOUNG – J. C. CARLSON (eds.), Proc. of the
First World Ethnoastronomy symposium, Washington 1989. Sull’astronomia zarathustriana, vd.
W. BELARDI, Studi mithraici e mazdei, Roma 1977, cap. II: Teologia e astronomia nel calendario
zoroastriano.
29
Cit. da G. DEVOTO, Origini… cit., p. 217; vd. POKORNY, p. 1175.
30
Cfr. M. DURANTE, Aspetti e problemi della paleontologia indeuropea… cit. (nota 44, p.
40), pp. 42 sgg.
31
Vd. soprattutto W. BURKERT, Homo necans: Interpretationen altgriechischer Opferriten
und Mythen, Berlin – New York 1972, trad. it. Torino 1981, e ID., Wilder Ursprung. Opferritual
und Mythos bei den Griechen, Berlin 1990, trad. it. Roma – Bari 1992.

247
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

32
dall’altro agli studi di Ileana Chirassi Colombo sulla presenza nei
miti e nei riti greci di consistenti residui di fasi culturali precedenti o,
in qualche caso, parallele agli inizi della cerealicoltura neolitica, inizi
che in Grecia vengono ora indicati al VI-V millennio a.c.
A partire da Homo necans, un libro che merita appieno il largo
successo che ha avuto anche al di fuori della ristretta cerchia degli
33
antichisti, W. Burkert ha mostrato, in particolare, come nei miti e
nei riti greci di epoca storica connessi ai sacrifici cruenti, agiscano
ancora modalità di comportamento ritualizzate risalenti alla cultura di
caccia paleo- e mesolitica:

sul piano psicologico sono soprattutto i complessi dell’aggressività e della


sessualità che determinano, in una peculiare cooperazione, il comportamen-
to di caccia e che hanno formato in tal modo alcuni fondamenti della società
umana. […] La continuità tra caccia e rito sacrificale si manifesta con partico-
lare insistenza negli elementi del rituale, che non lasciano traccia archeologi-
ca tangibile […]. Le coincidenze vanno dalla preparazione con le sue purifi-
cazioni e astensioni sino ai riti di chiusura eseguiti su ossa, crani e pelli. […]
Attraverso la ritualizzazione il comportamento di caccia si consolidò diven-
tando nel contempo trasmissibile; in tal modo si è mantenuto ben oltre l’età
dei primi cacciatori. Ciò non si spiega soltanto sulla base della meccanica
psichica di imitazione e impronta, che sta a fondamento della trasmissione

32
Vd. in particolare I. CHIRASSI COLOMBO, Elementi di culture precereali nei miti e nei riti
greci, Roma 1968.
33
Questo forse perché Homo necans è un libro ricco anche di tensione morale e letteraria:
«la coesione e la perpetuazione di un gruppo e della sua cultura sono perfettamente garantite, in
virtù di un’istanza suprema ed eterna, nel rituale religioso e nella conseguente adorazione del
dio. Egli consente di trasformare l’opposizione in collaborazione. Nelle tempeste della storia
hanno sempre finito per affermarsi solo le organizzazioni sociali fondate su basi religiose.
Dell’impero di Roma rimase la Chiesa romana. Anche al centro di questa rimase il sacrificio
inaudito, unico e volontario, nel quale la volontà del padre diviene una con quella del figlio,
ripetuto nel banchetto sacro che, col riconoscimento della colpa, porta alla redenzione. In tal
modo, si è istituito un ordine duraturo, il progresso della civiltà nel quale però si è conservata la
violenza dell’uomo. Tutti i tentativi di fare un uomo nuovo sono sino a oggi falliti. Si potranno
aprire nel futuro prospettive forse più favorevoli, se l’uomo comincerà col riconoscere se stesso
nell’uomo antico, che reca l’impronta del passato»: cit. da ID., op. cit., p. 72. Come scrive G. W.
MOST, in La ricerca assidua delle origini selvagge. Walter Burkert sul mito e il rito, prefazione a W.
B., Origini selvagge… cit., p. XII: «sempre di nuovo egli conduce il lettore dalla chiara luce del
giorno dell’umanità greca alla notte spaventosa dell’aggressione incontrollata, delle pulsioni
distruttive che precedettero quel giorno, costantemente lo assediarono e continuamente minac-
ciarono di distruggerlo. Una vera inquietudine promana dalla apollinea rappresentazione di
oggetti dionisiaci, dalla erudita trattazione di terribili pericoli che Walter Burkert ci offre».

248
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

34
dei costumi: erano indispensabili proprio questi riti per la loro particolare
efficacia. Sembra chiaro che nel corso della preistoria e della storia si siano
imposti solo quei gruppi che si erano consolidati attraverso la forza mortale
35
presente nel rituale. La prin1issima comunità umana si era costituita per
l’uccisione collettiva nella caccia; nel rituale sacrificale la società trovò in
seguito la propria forma grazie alla solidarizzazione, alla cooperazione artico-
36
lata e all’istituzione di un ordine incrollabile.

È merito invece di ileana Chirassi Colombo aver attirato l’atten-


zione, sulla base anche di precedenti ricerche di A. E. Jensen e A.
37
Brelich, in particolare sull’importanza dell’economia orticola e giar-
diniera, e della cultura mitico-religiosa ad essa legata, nella grecità
arcaica e storica: «le genti della campagna continuarono anche in età
storica a basare la loro alimentazione su piante come le leguminose, le
cucurbitacee di vario tipo, le piante a radice bulbosa, le specie arbore-
scenti fruttifere, gli ortaggi. Aglio, cipolla, fichi, mirti, melagrane,
[malva, asfodelo], ecc. continuarono a lungo a comparire sulla mensa
del contadino mediterraneo quali voci principali della dieta quotidia-
38
na».
Secondo la studiosa, tali vestigia rimandano «ad un sincretismo
tra l’elemento indoeuropeo greco e [le] culture anelliche mediterra-
nee in un momento in cui la tradizione precerealicola doveva avere
39
ancora un valore preciso ed operante». Tali culture «si riportano
tutte a quella florida facies neolitica estesa nel mondo egeo e sul suolo
greco in parallelo con culture dell’Anatolia, della Siria e della Meso-
potamia continuando […] una primitiva koinè culturale già attestata a

34
Sulla cultura mimica e sul rito, in quanto forma mimico-arcaica di auto-consapevolezza
tribale e sulla sua importanza nell’evoluzione cognitiva, vd. supra, pp. 211 sgg.
35
A proposito del rituale, W. BURKERT (Homo necans... cit., p. 38, il corsivo è mio) sostiene
che «un rituale può sopravvivere nella comunità solo se non porta alla autoeliminazione della
comunità stessa. […] Il rituale religioso porta un evidente vantaggio selettivo per un gruppo, se
non per l’individuo, in ogni caso per la sopravvivenza dell’identità del gruppo». Ciò conferma
ancora una volta quanto dicevo sopra (vd. pp. 217 sgg.) riguardo al fatto che possono darsi, e
nella storia di fatto si sono date, forme di autocoscienza inadatte a garantire la sopravvivenza del
gruppo sociale di cui sono espressione.
36
Cit. da W. BURKERT, Homo necans... cit., Cap. I, passim.
37
Cfr. A. E. JENSEN, Das religiose Weltbild einer jriihen Kultur, Stuttgart 1948; ID., Mythos
und Kult bei Naturvolker, Wiesbaden 1960; ID., Prometheus und Hainuwele Mythologem,
«Anthropos» (1963), pp. 145 sgg.; A. BRELICH, Quirinus, «SMSfu> 31 (1960), pp. 63-119.
38
Cit. da I. CHIRASSI COLOMBO, op. cit., pp. 12-3.
39
Ivi, p.197.

249
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

grandi linee dall’Europa centrale all’Anatolia nel lontano Mesoliti-


40
co».
41
Anche se W. Burkert ha in seguito rivisto alcune sue posizioni e
alcune delle convinzioni sottese al lavoro della Chirassi Colombo non
42
sono oggi più difendibili, in generale l’idea di un sostrato indo-
43
mediterraneo esclusivamente non i.e. e in particolare l’idea di un
matriarcato mediterraneo legato ad un’economia umile e quotidiana
dominata da divinità femminili, precedente la superiore cultura cerea-
44
licola e politeista della grecità micenea e storica, e alcune altre,
grazie allo sviluppo degli studi di paleobotanica, sono state diversa-
45
mente precisate, quanto appena detto sul mondo greco sulla scorta

40
Ivi, p. 198.
41
W. Burkert ha chiarito l’evoluzione del proprio pensiero e in qualche modo preso le
distanze da alcuni aspetti dei suoi lavori precedenti, in Burkert über Burkert. «Homo necans»:
Der Mensch, der tötet, «Frankfurter Allgemeine Zeitung» 3 agosto 1988, n. 178, pp. 29-30, e An
Interview with Walter Burkert, «Favonius» 2 (1988), pp. 41-52.
42
La studiosa stessa d’altronde mi pare non le difenda più: vd. I. CHIRASSI COLOMBO, La
religione in Grecia, Roma-Bari 1983, pp. 7-12.
43
Vd. infra, pp. 262 sgg.
44
«La geniale e fantastica ricostruzione del ‘matriarcato’ preistorico a opera di Bachofen
[cfr.]. J. BACHOFEN, Das Mutterrecht, Stuttgart 1861, ora in K. MEULI (ed.), Gesammelte Werke,
Basel 1948, vol. II, trad. it. Torino 1988] ha ostacolato la comprensione di queste divinità
femminili. Di un reale predominio della donna non si può parlare né per le civiltà agricole del
Neolitico né per le società di caccia del Paleolitico superiore. Inoltre, in queste dee è sempre
presente il carattere del selvaggio, del pericoloso: sono loro che ammazzano, pretendono e
giustificano il sacrificio»: cit. da W. BURKERT, Homo necans… cit., p. 71 (il corsivo è mio). Ho già
detto sopra (vd. pp. 69 sgg.) che prima ancora che nei dati archeologici e etno-antropologici (per
una critica ben documentata, vd. per es. D. W. ANTHONY, The ‘Kurgan Culture’. Indo-European
Origins, and the Domestication of the Horse: a Reconsideration, «CA» 27 (1986), pp. 291-313),
ritengo la teoria ‘kurganica’ di M. Gimbutas inaccettabile dal punto di vista metodologico e
viziata, al pari delle precedenti teorie invasioniste ‘ariane’, da pregiudizi politico-ideologici
uguali e contrari.
45
«Dal tardo Paleolitico al Mesolitico s’intensifica (in modo variabile da regione a regione)
l’impiego del fuoco (ignicoltura) per incrementare lo sviluppo dell’erba e quindi la selvaggina,
come pure gli alimenti vegetali per l’uomo. È ovvio che tale tipo di economia non sia di caccia e
raccolta tout court, ma già in sostanza, abbia carattere produttivo, cioè in nuce di coltivazione (in
particolare dei foraggi) e di allevamento […]. Nel primo neolitico, accanto a tale tipo di
economia, si inizia e sviluppa l’orticoltura nelle aree umide. L’impiego del fuoco nell’ambito di
questa si limita al disboscamento iniziale, e al successivo contenimento della vegetazione erbacea
e arbustiva. Nei periodi seguenti, si assiste all’incrocio, e quindi alla fusione, tra l’orticoltura e
l’agricoltura estensiva nei territori interfluviali più asciutti. Il risultato è il sorgere dell’agricoltura
vera e propria, e l’invenzione dell’aratro. […] Con l’introduzione del maggese si riduce notevol-
mente, nelle regioni asciutte più densamente abitate, il ruolo dell’ignicoltura cerealicola. In
quelle umide irrigue (valle del Nilo, ad esempio) si sviluppa la coltura continua»: cit. da G.
FORNI, Problemi di convergenze linguistico-archeologiche nelle indagini sulle origini dell’agricoltura
euro-mediterranea: metodologie e applicazioni, «QdS» 13 (1992), p. 51; vd. anche ID., Gli

250
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

delle indagini di Burkert e della Chirassi Colombo, potrebbe essere


facilmente esteso alle altre popolazioni i.e., basti pensare alla cultura
46 47
di zappa degli Slavi o ai Celti cacciatori di teste come i Pigmei: le
tradizioni i.e conservano insomma significative vestigia di un passato
paleomesolitico: «we must not ignore that the originaI homeland, the
originaI Indo-European sociocultural tradition, had more remote pre-
48
neolithic antecedants about which little is known».
***
L’ipotesi tradizionale che prevedeva una datazione ‘bassa’ (fine
III/inizio II millennio a.C.) per il periodo i.e. comune e l’inizio della
dispersione, è dunque da rivedere, così come sostengono oramai molti
49
studiosi di discipline diverse, e «non è atto d’audacia ricondurre

albori dell’agricoltura. Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici, Roma 1990. In questo
ambito di ricerca il testo di riferimento è ora: D. ZOHARY – M. HOPF, Domestication of Plants in the
Old World, Oxford 1988, vd. anche D. ZOHARY, Domestication of Plant in the Old World: the
Emergingsynthesis, in T. L. MARKEY – J. A. C. GREPPIN (eds.), op. cit. (nota 22, p. 245), pp. 35-44.
46
Cfr. E. GASPARINI, Il matriarcato slavo. Antropologia culturale dei Protoslavi, Firenze
1973. Questo bello e misconosciuto volume raccoglie a mio parere prove etno-antropologiche
più che sufficienti a mostrare come verosimilmente gli Slavi siano sempre stati all’incirca dove
sono oggi e come il neolitico li abbia raggiunti sono in tempi relativamente recenti; su quella che
era la tesi di fondo di Gasparini, cioè che gli Slavi siano un popolo non i.e. indeuropeizzato nella
lingua ma non nella cultura, temo tuttavia di non poter essere d’accordo: non sono gli Slavi a non
avere una cultura di tipo i.e., ma è l’immagine della cultura i.e. così come è stata vulgata in
passato (e, ahime!, anche in tempi recenti, per es. da personaggi come la Gimbutas) – monilitica,
patriarcale, guerresca, elitaria, razzista, nomadico-pastorale, ecc. – che è sbagliata.
47
Vd. tra gli ultimi C. STERCKX, Les Tetes Coupées et le Graal, «SCelt» 20-1 (1985-6), pp.
1-42; B. LINCOLN, The Druids and Human sacrifice, in studies in Honor of E. C. Polomé,
Washington 1991, vol. I, pp. 381-395; E. CAMPANILE, Aspetti del sacro nella vita dell’uomo e
della società celtica, in J. RIES (ed.), Trattato di Antropologia del Sacro, vol. II: L’uomo indoeuro-
peo e il sacro, Milano 1991, pp. 166 sgg.
48
Cit. da A. R. DIEBOLD JR., The Traditional View of the Ind-European Paleoeconomy:
Contradictory Evidence from Anthropology and Linguistics, in E. C. POLOMÉ (ed.), Reconstructing
Languages... cit. (nota 42, p. 66), p. 353, nota 10.
49
Credo vada dato atto a C. Renfrew di essere stato il primo a rendersi conto del fatto che
solo una datazione alta (VIII-VII millennio) può conciliare archeologia e linguistica sul proble-
ma della diaspora i.e.; Renfrew ha anche il merito indiscutibile di aver scosso dalle fondamenta
un paradigma oramai sterile e di aver sottratto ai linguisti una vicenda, come è appunto quella
delle origini i.e., troppo importante per lasciarla solo in loro mano. Dato a Renfrew quel che è di
Renfrew, dirò soltanto che seppure la sua teoria, oramai abbastanza nota da non doverla qui
riassumere, presenti alcuni aspetti avvincenti e taluni convincenti, essa tuttavia lascia irrisolti più
problemi di quanti ne risolva (per es. la posizione dell’armeno e i suoi rapporti col greco, i
rapporti tra greco e indiano antico, l'indo-iranico, ecc.); di più non mi pare corretto aggiungere,
perché, come osserva tra gli altri R. Ambrosini (cfr. ID., Le lingue indo-europee… cit. [nota 3, p.
126], p. 24), una delle obbiezioni più forti al quadro i.e. preistorico delineato da Renfrew, è
proprio l'esistenza e la consistenza della lingua poetica i.e.

251
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

50
fino al Paleolitico superiore (circa 30000-15000 a.C.)» la tradizione
dei popoli di lingua i.e.
Tornando allora all'ipotesi vista prima di una fase – certo non
dell’origine i.e.! – circumpolare, presente nei miti ‘iperborei’ di diver-
51
se popolazioni i.e., miti della cui appartenenza al cosiddetto sostrato
52
indo-mediterraneo non sono in alcun modo convinto, bisogna dire
che essa ci consentirebbe di risalire alla fine dell’ultima glaciazione
53
(Würm) e agli inizi della deglaciazione nell’Europa settentrionale, e
di porre per qualche tempo gli antenati di alcune popolazioni i.e. più a
nord di quanto in genere si è propensi a credere:

vers -12000 commence le réchauffement climatique qui caractérise l’époque


actuelle; le Post-Würm des géologues. Elle débute par une période d’instabi-
lité, entre -10000 et -8000, avec deux retours du froid. On peut supposer

50
Cit. da M. DURANTE, Aspetti e problemi… cit. (nota 44, p. 40), p. 44. Altre testimonianze
lessicali che sembrano rinviare al paleolitico sono indicate, tra gli altri, anche in M. DURANTE,
art. cit., passim, e in M. ALINEI, op. cit., pp. 502 sgg.: non intendo discuterle singolarmente
poiché, per gli scopi della presente ricerca, è qui sufficiente l’aver mostrato che il mondo (che
sarà poi) i.e. risale perlomeno al paleolitico superiore; esula anche dagli scopi della presente
ricerca tentare di ricostruire fasi linguistiche e culturali i.e. che precedono il paleolitico superio-
re, ammesso che esistano e che sia possibile indagarle. Su questo problema riflessioni per lo più
condivisibili sono in A. L. PROSDOCIMI, Lingua e preistoria, Appunti di lavoro, in Miscellanea E.
Manni, Roma 1980, pp. 1833-1890, e ID., Filoni indeuropei in Italia… cit. (nota 74, p. 75), pp.
144 sgg.
51
Testi e materiali in G. H. MACURDY, «CR» (1916), pp.180 sgg.; L. ALFOLDI, «Gnomon»
9 (1933), pp. 517 sgg.; A. B. COOK, Zeus, Cambridge 1914-1940, vol. II, pp. 459-501; A. KRAPPE,
«CIPh» 37 (1942), pp. 353 sgg.; K. KERÉNYI, Apollon: studien über antike Religion und
Humanität, Düsseldorf 1953, III ed., pp. 42 sgg.; ID., Dionysos. Urbild des unzerstöbaren Lebens,
München – Wien 1976, trad. it. Milano 1993, II ed., pp. 198 sgg.; per i corrispettivi celtici, vd. F.
LE ROUX – C. J. GUYONWARCH, Les Druides, Paris 1982, III ed., pp.302 sgg., e anche R. GRAVES,
The White Goddess. A Historical Grammar of Poetic Myth, London 1961, II ed., trad. it. Milano
1992, pp. 112 sgg. e 328-333; l’ipotesi di G. M. BONGARD-LEVIN, The Origin of Aryans, New
Delhi 1980, secondo il quale Indo-Arii, Iranici, Sciti e Greci avrebbero elaborato insieme tali
miti nel periodo comune delle steppe ponto-caspie si avvicina forse in parte alla soluzione.
52
Era invece un’idea, tra gli altri, anche di V. PISANI, L’unità culturale indo-mediterranea
anteriore all’avvento di semiti e Indeuropei, in Scritti in onore di A. Trombetti, Milano 1936, pp.
199-213, poi in ID., Lingue e culture, Brescia 1969, pp. 53 sgg.; sul sostrato (indo-mediterraneo),
vd. D. SILVESTRI, La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli 1974; ID., La
teoria del sostrato: metodi e miraggi, Napoli 1977, vol. I, 1979 vol. II,1981 vol. III; ID., La teoria
ascoliana del sostrato e la sua rilevanza metodolgica, «AION» 4 (1982), pp. 15-33; ID., La teoria
del sostrato nel quadro delle ricerche di preistoria e protostoria linguistica indeuropea, in E.
CAMPANILE (ed.), Problemi di sostrato nelle lingue indoeuropee, Pisa 1983, pp. 149-157; ID.,
Epilegomena a G. I. Ascoli sostratista, in A. QUATTORDIO MORESCHINI (ed.), Un periodo di storia
linguistica: i Neogrammatici… cit. (nota 5, p. 56), pp. 131-145.
53
Vd. C. GAMBLE, The Paleolithic settlement of Europe, Cambridge 1986.

252
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

que certains hommes du Würm finale, très adaptés au gibier des steppes
neigeuses, ont pu suivre les rennes dans les plaines péri-arctiques nouvelle-
ment libérées des glaciers; il y avait déjà, peut-ètre, une sorte de symbiose
entre la troupe de rennes et celle des hommes, comme naguère dans le Grand
Nord européen. Ces émigrés nordiques ont-ils été la souche lointaine des
Indo-Européens? Les fouilles futures en zone péri-arctique et une linguisti-
54
que comparative plus fine le diront peut-ètre.

L’auspicio espresso da Leroi-Gourhan comincia ora a prendere


forma, perché questa ipotesi sembra potersi inserire nel quadro ar-
cheologico recentemente tracciato da uno studioso di vaglia come H.
L. Thomas sulla base delle più significative ricerche archeologiche
degli ultimi anni:

today it is evident that archaeologists and linguists have not been able to find
a generally accepted homeland for the Indo-European through the use of
archaeological evidence largely relevant to their dispersal. In view of this it
would seem to be usfeul to search for clues as to its possible location in the
archaeological record of the transition from the Upper Palaeolithic through
the Mesolithic to the Neolithic. […] In Europe, major changes began with the
retreat of the Scandinavian ice-sheet and mountain glaciers during the Las-
caux Inter-Stadial (15.000-13.000 B.C.). It was followed by a renewal of cold
during the Oldest Dryas, which was the time of cultures such as the Magdale-
nian. With the warm Allerod period (10.000-9.000 B.C.), the Upper Paleo-
lithic cultures gave way to the Epi-Paleolithic cultures that persisted through
the coulder Younger Dryas (9.000-8.000 B.C.), which marks the end of the
Pleistocene. The increasing warmth of the Pre- Boreal and Boreal brought the
final retreat of the Scandinavian ice-sheet from centraI Sweden and Southern
Finland. The oceanic waters looked up in the Scandinavian ice-sheet melted
and led to a dramatic rise in sea-levels. The area of the English Channel and
southern North Sea above water throughtout the Upper Pleistocene, sank
below the sea. The increasing warmth culminated in the Atlantic Optimum.
There were major changes in both floral and faunal distributions creating
environmental conditions often associated with the Proto-Indo-
55
Europeans. The impact of the warm Atlantic climate is marked in the
archaeological record by technological changes made by Mesolithic peoples.
They range from the domestication of plants and animals in southwestern
Asia to the development of composite microlithic tools to cope with new

54
Cit. da A. LEROI-GOURHAN, op. cit. (nota 16, p. 243), loc. cit.
55
Cfr. G. CLARK, The Earlier stone Age settlement of scandinavian, Cambridge 1975.

253
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

hunting and collecting conditions in lands bordering the Mediterranean and


in northwestern Europe. In northern Europe, new types of bone and antler
tools were invented to cope with increasingly forested and swampy condi-
tions. […] Today, it is increasingly clear that Mesolithic peoples had a role in
the formation of the Neolithic. […] The late Upper paleolithic of eastern
Central Europe and eastern Europe is known from the Esat Gravettian
Culture. […] During the warm Allerød, the East Gravettian, perhaps now to
be called Epi-Gravettian moved to the north along with herds of game
seeking cooler climate conditions. This northward movement was important
because when forests spread in the Pre- Boreal and Boreal there was a
transformation of culture comparable to that which had taken pIace on the
North European Plain and in southern Scandinavia. […] If the forebears of
the Indo-European can be associated with the widespread Eastern Gravet-
tian culture of the late Upper Paleolithic it becomes possible to understand
the widespread distribution of the Indo-European peoples. The formation of
the culture […] probabily took pIace during the period of the Atlantic
Optimum, when there was a shift of floral zones to the north. It was also a
time when elements of a Neolithic culture could penetrate northwards from
southeastern Europe, the Caucasus and CentraI Asia. The regional differen-
tiation of Mesolithic and then Neolithic cultures, which had developed
through the eleboration of traditions extending back into the distinct Indo-
European groups found on the North European Plain and Scandinavia, the
Baltic area, the woodlands of Russia, and the steppes of Eurasia. By time of
the Sub-Boreal, the distinct Indo-European groups were forced to move
southwards by increasingly colder and drier conditions. It is these positions
that we have long known from evidence associated with their dispersal. Many
of the diachronic and synchronic archaeological problems associated with
the search of the homeland of the Indo-Europeans can be solved by postulat-
ing that they were ultimately associated with the Eastern Gravettian culture.
In the late Upper Paleolithic, this culture occupied eastern Central Europe,
the steppes of southern Russia, Kazakhstan and the Yenisei valle. The mild
Allef0d (10000-9000 B.C.), which allowed the Boreal forests to move north-
wards to the Beltic Ice-lake and CentraI Russia, brought a limited northward
movement of cultures. The return of cold during the Younger Dryas (9000-
8000 B.C.) partially restored conditions of the Pleistocene. It was only during
the Pre-Boreal and Boreal (8000-6000/5500 B.C.) that the amelioration of
climatic conditions again brought a movement of the Boreal forests north-
wards to northern Russia and the spread of mixed forests from the North
European plain to the Baltic States and centraI Russia. The Mesolithic
cultures, which derived from the eastern Gravettian, made an adaptation to
the changed environment condition of the woodlands of northern Europe
and the steppes of southern Russia and Kazakhstan. The Atlantic Optimum
(ca. 6000/5500-4000/3000 B.c.) brought the maturing of the forest lands of
northern Europe. Here Mesolithic forest cultures were transformed through

254
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

the acculturation of Neolithic elements Central Europe and South Russia


during the late fifth and early fourth Millennium. In the third millennium,
these cultures developed into the Cordored Ware cultures of southern
Central Europe, the North European Plain, southern Scandinavia, the Baltic
States and Russia. On the steppes, the acculturation of Neolithic elements
from the Caucasus and Central Asia led to the rise of the Pit Grave and
Afanasievo cultures. It is possible that these cultures were created by Proto-
56
Indo- European?

Dal punto di vista linguistico-comparativo e storico-culturale la


verifica definitiva dell'ipotesi ‘circumpolare’ implicherebbe certo
un’indagine lunga, complessa, e metodologicamente simile, per quan-
to possibile in tradizioni per molti aspetti diverse, a quel metodo che
E. Peruzzi ha applicato così efficacemente al mondo romano nel suo
insieme di lingua, cultura, archeologia e storie tràdite sulle proprie
origini. Anche se non è questo il luogo per svolgere tale indagine, si
può tuttavia aggiungere ad essa un dato ulteriore: i numerosi prestiti
57
indo-iranici in ugro-finnico.
La questione, nota da molto tempo e tuttavia non del tutto
58
sfruttata nel recente dibattito sulle origini i.e., è stata ripresa in due

56
Cit. da H. L. THOMAS, Indo-European: from the Paleolithic to the Neolithic, in Studies E.
C. Polomé, Washington 1991, vol. I, pp. 29 sgg.; vd. anche ID., Archaeology and Indo-European
Comparative Linguistics, in E. POLOMÉ (ed.), Reconstructing Languages… cit. (nota 42, p. 66), pp.
281-315.
57
Dato che anche a me non sembra esistano prestiti significativi in ugro-finnico (o in
proto-uralico) sicuramente attribuibili all’i.e. in quanto tale – i lessemi riconducibili al periodo
proto-uralico comune sono infatti forse solo una decina e su di essi non c’è unanimità di giudizio;
più solide sembrano invece le concordanze sui pronomi e i suffissi derivativi –, non ritengo ci sia
materiale sufficiente per poter parlare di rapporti tra i.e. tout court e queste lingue, né tantomeno di
un ‘indo-uralico’, cioè di una parentela originaria (è quello che pensava, tra gli altri, anche G.
DEVOTO, op. cit. (nota 21, p. 244), p. 36). È più verosimile invece l’ipotesi di D. SILVESTRI [in La
posizione linguistica dell’indoeuropeo. Genealogie, tipologie, contatti, in E. CAMPANILE (ed.), Nuovi
materiali per la ricerca indoeuropeistica, Pisa 1981, pp. 161-201, con ampia bibi. sui rapporti tra
l’i.e. e le altre famiglie linguistiche; per gli aggiornamenti successivi, vd. supra, nota 7, p. 242], il
quale sostiene che i dislivelli della documentazione vanno interpretati come due distinte fasi di
rapporti tra lingue i.e. e lingue uraliche: una prima fase che coincide con il distacco dell’anatolico
e del tocario, e una seconda fase posteriore al distacco del gruppo indo-iranico. A quanto sostiene
Silvestri bisogna aggiungere, naturalmente, le fasi dei rapporti con le lingue germaniche e balto-
slave, di epoca posteriore. Va detto, infine, che non esistono dati che ci obblighino a credere che gli
Indo-iranici possano essere stati sempre e soltanto a sud dei Proto-Uralici, come sembra pensare
invece J. P. MALLORY, In search… cit., pp. 145 sgg.
58
Un’eccezione è H. HAARMANN, Contact Linguistics, Archaeology and Ethnogenetics: an
Interdisciplinary Approach to the Indo-European Homeland Problem, «JIES» 22 (1994), pp.
265-288, ma con assunti e conclusioni diverse da quelle qui prospettate.

255
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

articoli complementari pubblicati nella recente e autorevole sintesi


59
sulle lingue uraliche curata da D. Sinor.
Anche se il tempo e il luogo preciso dei contatti tra Ugro-Finni e
Indo-iranici restano indefiniti, a causa ovviamente delle persistenti
incertezze sugli Indeuropei, la quantità e la qualità dei prestiti testi-
moniano di una continuità ininterrotta di contatti, iniziati forse già nel
periodo proto-uralico, con gli Arii e gli Iranici ancora indivisi, e
proseguiti via via fino in epoca storica con scambi avvenuti poi con
lingue del solo gruppo iranico.
Nella stessi raccolta ora citata, si può però anche leggere:

Proto-Uralic was the language spoken in the vast area between the Baltic
Sea and the Ural mountains (and perhaps beyond) during the Mesolithic age.
Nothing indicates that there would have been other linguistic groups in the
area and no relicts other languages have been found. The sparse Stone Age
population of that area must have been very small by the modern scale,
perhaps under 100.000 people subsisting on fishing, hunting, and gathering.
It is likely that they were constantly on the move following a given migration
pattern as do most of the arctic and subarctic subsistence populations we
have information ono The populations was probably also divided into exo-
gamic groups of roughly 200-300 individuals in each. Frequent latitudinal
eontacts between subsistence groups living in the same ecological zone by
which artifaets, material and genes were exchanged between the groups
contribuited to areallinguistic homogeneity. This relative homogeneity be-
gan disintegrating after the introduction of neolithic techniques and live-
hoods together with the new possibilities for longitudinal contacts that
emerged when agricolture began producing relocatable surplus resources in
the areas south of the Uralic proto-population. It can be estimated that
Proto-Uralic began diverging – as a result of new are al patterns of comunica-
tion – into Proto-Finno-Ugric and Proto-Samoyed as early as seven or six
thousand years ago during the early Neolithic. The disintegration of Proto-
Finno-Ugric can be dated at about 3500-3000 B.C. or approximately at the
time when comb ceramics were introduced in the western part of settlement

59
Si tratta di K. RÉDEI, Die ältesten indogermanischen Lehnworter der uralischen Sprachen,
pp. 638-664, e di E. KORENCHY, Iranischer Einfluß in den finnisch-ugrischen sprachen, pp.
665-681, in D. SINOR (ed.), The Uralic Languages. Description, History and Foreign Influences,
Leiden 1988; sui prestiti i.e., nella stessa silloge vd. anche A. J. JOIA, Zur Geschichte der
uralischen sprachgemeinschaft unter besonderer Berücksichtigung des Ostseefinnischen, pp. 584
sgg.; di questo A. resta importante Uralier und Indogermanen. Die alteren Berührungen zwischen
den uralischen und indogermanischen sprachen, Helsinki 1973.

256
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

area, whereas Proto-Samoyed seems to have persisted considerably longer,


60
probably until the last millennium B.C.

Senza voler aggiungere un’altra Urheimat alle tante esistenti, som-


mando tuttavia i prestiti indo-iranici in ugrofinnico a quanto detto
finora sull’ipotesi circumpolare, un’ipotesi – lo ripeto – che resta
comunque sub iudice, mi pare se ne possa ricavare una conclusione
minima, ma forse importante per la presente ricerca: gli Indo-Arii
difficilmente potranno essere autoctoni del continente indiano o esse-
61
re giunti lì direttamente dall’Anatolia; è invece molto verosimile che
essi, in parte nel periodo indo-iranico comune, in parte nel successivo
periodo indo-ario, abbiano avuto stretti e frequenti contatti etno-
linguistici già con i Proto-Ugro-Finni, se non forse con i Proto-Uralici
mesolitici, e che tali contatti siano avvenuti in un’area prossima a
dove, stando alle ricerche recenti, i Proto-Urali prima, e gli Ugro-
Finni poi, sono sempre all'incirca stati.

3. 2. LA TRANSIZIONE NEOLITICA

L’ipotesi di C. Renfrew di un’origine anatolica degli i.e., è connes-


sa, com’è noto, alla teoria sulla diffusione demica dell’agricoltura di L.
L. Cavalli-Sforza e dei suoi collabpratori; anche questa teoria è troppo
62
famosa perché debba qui riassumerla, arrivo dunque subito al pun-
to centrale.

60
Cit. da P. SAMMALAHTI, Historical Phonology of the Uralic Languages, with Special
Reference to Samoyed, Ugric, and Permic, in D. SINOR (ed.), op. cit., p. 480; vedo ora che anche M.
ALINEI, op. cit. (nota 127, p. 184), pp. 116-118, 312-314, 571, intende sfruttare in ambito i.e. le
teorie recenti sulla sede originaria dei Proto-Uralici: dagli accenni all’uso che ne farà nel secondo
volume, mi pare che le nostre idee, almeno nei riguardi dell’indo-iranico, divergano assai.
61
Per vie diverse giunge alle stesse conclusioni, tra gli altri, I. M. DIAKONOFF, Languages
Contacts in the Caucasus and the Near East, in T. L. MARKEY – J. A. C. GREPPIN (eds.), op. cit.
(nota 22, p. 245), pp.53-65.
62
Il lettore troverà comunque tutto ciò che gli occorre nella recentissima edizione italiana
di L. L. CAVALLI-SFORZA, Gènes, peuples et langues, = Gem; popoli e lingue, Milano 1996. La
proposta contenuta in questo volume (pp. 236 sgg.) di unificare le teorie di Renfrew e della
Gimbutas in un’unica teoria compatibile con i dati della genetica, è inverosimile, come ha
ribadito lo stesso C. Renfrew più volte. Su A. J. AMMERMAN – L. L. CAVALLI-SFORZA, The
Neolithic Transition and the Genetics of Population in Europe, Princeton 1984, trad. it. Torino
1986, il primo e forse più importante studio complessivo di Cavalli-Sforza su tale argomento, si
può vedere la mia recensione in «AGI» 72 (1987), pp. 150-154. Per una opinione genetista
spesso diversa da quella di Cavalli-Sforza e i suoi collaboratori, vd. R. R. SOKAL (et al.), Genetic
Differences among Language Families of Europe, «AJPA» 79 (1989), pp. 489-582; ID., Genetic

257
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

63
L’interpretazione del gradiente di sviluppo messo in luce dalle
mappe della distribuzione di alcune delle strutture genetiche delle
attuali popolazioni europee e medio-orientali, come risultato dell’on-
da di diffusione dell’agricoltura neolitica a partire dal Vicino Oriente
basata su una migrazione continua e ininterrotta di popolazioni di
agricoltori verso l’Europa, non ha riscontri archeologici e paletnologi-
64 65
ci, sottovaluta gli sviluppi demografici mesolitici, non mostra
ondate migratorie dirette verso il nord-est, ecc.
È dunque assai più agevole pensare invece che l’agricoltura si
66
diffuse non a onda ma a mosaico: in alcune aree, piccoli gruppi di
coloni medio-orientali si integrarono con le presistenti popolazioni

and Language in European Population, «AmNat» 135 (1990), pp. 157-175; R R. SOKAL – N. L.
ODEN – C. WILSON, Genetic Evidence for the spread of Agricolture in Europe by Demic Diffusion
«Nature» 351 (1991), pp. 143-145; R. R. SOKAL – N. L. ODEN – B. A. THOMSON, Origins of the
Indo-European: Genetic Evidence, «PNAS» 89 (1992), pp. 7669-7676.
63
È bene ricordare che proprio di interpretazione si tratta, perché a) le nostre attuali
conoscenze scientifiche non ci consentono ancora,di estrarre il DNA dai fossili e dunque tutte
queste ricerche si basano solo sulle mappe dei geni delle popolazioni attuali, e b) è impossibile
scoprire un gene presente, prima della diffusione dell’agricoltura, in una delle due popolazioni
(europei e medio-orientali) e assente del tutto nell’altra. Insomma, non potendo i genetisti
autodatare le mappe genetiche, le loro proiezioni (prei-)storiche di dati genetici sono e restano
interpretazioni, non dati incontrovertibili: «ogni espansione ha prodotto gradienti di diversa
importanza, ma ha sempre avuto come risultato una mescolanza graduale con le popolazioni
vicine. Siccome ne sono avvenute parecchie, che si sono in parte sovrapposte, sarebbe difficile
isolarle l’una dall’altra senza l’aiuto delle componenti principali. Finora non è stato possibile
darne una datazione quantitativa diretta, ma si può forse stabilire qualitativamente l’ordine
storico, che dovrebbe corrispondere di solito a quello della loro importanza numerica. […]
Pressoché tutte le date di separazione ottenute in genetica sono calcolate in riferimento a tempi
esterni standard, e sono valide se questi sono corretti e se la relazione tra numero di differenze in
nucleotidi (o aminoacidi per le proteine) e tempo di separazione rimane costante»: cit. da L. L.
CAVALLI-SFORZA, Gènes... cit., pp. 193-194. Il metodo di datazione genetica assoluta sviluppato
in D. B. GOLDSTEIN – W. RURZ-LINARES – L. L. CAVALLI-SFORZA – M. W. FELDMANN, Genetic
Absolute Dating Based on Microsatellites and the Origin of Modern Human, «PNAS» 92 (1995),
pp. 6723-6727, è soggetto ancora a un errore statistico cosÌ elevato da essere poco utilizzabile.
64
Cfr., anche per altre fondate critiche a questa teoria, M. ZVELEBIL – K. M. ZVELEBIL,
Agricoltural Transition… cit. (nota 66), pp. 243 sgg.
65
Cfr., per es., M. COHEN – G. ARMELAGOS (eds.), Paleopathology at the Origins of
Agricolture, New York 1984, e R. DENNELL, European Economic Prehistory, London 1983; ID.,
The Hunter-Gatherer/Agricoltural Frontier in Prehistoric Temperate Europe in S. GREEN – S.
PERLMAN (eds.), The Archaeology ojFrontiers and Boundaries, Cambridge 1985, pp. 113-140.
66
Cfr. M. ZVELEBIL (ed.), Hunters in Transition, Cambridge 1986; M. ZVELEBIL – K. M.
ZVELEBIL, Agricoltural Transition, ‘Indo-European Origins’, and the spread of Farming, in T. L.
MARKEY – J. A. C. GREPPIN (eds.), op. cit., pp. 237-266; ID., Agricoltural Transition and
Indo-European Dispersals, «Antiquity» 62 n. 236 (1988), pp. 574-583; M. ZVELEBIL – P. M.
DOLUKHANOV, The Transition to Farming in Eastern and Northern Europe, «JWP» 5 (1991), pp.
223-278.

258
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

tardo-paleolitiche e mesolitiche importando la cultura neolitica; in


altre, l’agricoltura si sviluppò
67
dal mesolitico locale; in altre ancora,
come l’Europa orientale, la transizione neolitica durò millenni. È
altresì verosimile ritenere che questo tipo di diffusione non abbia
lasciato tracce genetiche evidenti.
Il gradiente genetico può essere allora forse fatto coincidere con
l’ondata migratoria di Homo sapiens sapiens dall’Africa intorno al
68
100.000 a.c., cioè con l’arrivo dell’uomo anatomicamente moderno,
una dispersione avvenuta, per quella parte del mondo che qui ci
riguarda, probabilmente attraverso quelle che saranno più tardi le
piste euroafricana occidentale (atlantica) e euroafricana orientale
(anatolico-mesopotamica):

la prima pista ha un andamento longitudinale e, attraverso il corridoio


iberico, si irradia nell’Europa mediterranea occidentale (Sardegna, Corsica,
Liguria, Gallia preceltica) ed arriva fino alla Gran Bretagna e all’Irlanda. La
seconda pista ha invece un andamento stella re (o radiale) con un baricentro
linguistico e culturale in area para caucasica ed irradiazioni gravitazionali che
vanno dall’area siro-palestinese alla indefinita regione transcaucasica. […] La
prima pista appartiene alla preistoria media antica (paleolitico medio) e si
identifica con la civiltà megalitica e con l’arte parietaria di comunità di
cacciatori (-preallevatori); la seconda, decisamente più recente (paleolitico
superiore), chiama in causa le prell}.esse della cosiddetta ‘rivoluzione neoliti-
69
ca’ (genesi dell’agricoltura e della cerealicoltura, in particolare).

Nel contributo ora citato, D. Silvestri afferma anche che la prei-


storia antica

è caratterizzata da un lentissimo costituirsi di macroaree di generalizzazione


tipogenetica (in senso geografico: SPAZI), il che non implica agnizioni di
identità linguistica originaria ed ipotesi di ‘lingue madri’, ma soltanto il
riconoscimento di coincidenze linguistiche ‘a maglie larghe’ […]. Fenomeni

67
Vd. supra, pp. 253 sgg.
68
Così in parte anche H. HAARMANN, art. cit. (nota 58, p. 255), p. 283, ma in una visione e
in un impianto ‘kurganico’ non condivisibili; sulla migrazione africana, vd. supra, pp. 188 sgg.
69
Cit. da D. SILVESTRI, Preistoria e protostoria linguistica nel Mediterraneo, in A. LANDI
(ed.), L’Italia e il Mediterraneo antico… cit. (nota 74, p. 76), p. 153 (la seconda parte della
citazione è la nota 31 di p. 153); dello stesso A., vd. anche La posizione linguistica dell’indoeuro-
peo… cit. (nota 57, p. 255), pp. 167-169, e Problemi di preistoria e protostoria linguistica
dell’Eurasia, in B. BROGYANYI (ed.), Fest. Szemerényi, Amsterdam – Philadelphia 1992, pp. 51-60.

259
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

culturali paralleli, a quota cronologicamente alta, sono certe modalità di


larghissima diffusione di tecniche paleolitiche, […] o, con una cronologia
relativa inferiore, la rappresentazione di animali totemici a coppie […]. In
questa fase remotissima, in una situazione di plurilinguismo diffuso, il code
switching reiterato è prima causa della convergenza strutturale delle più
svariate tradizioni linguistiche ed è poi favorito da questa ed è anche plusibile
che si instaurino comunanze translinguistiche precoci […]. [segue nota 6, p.
141] Le prime comunità di parlanti della preistoria antica (costituite da
bande di cacciatori-raccoglitori) saranno state sicuramente molto omogenee
da un punto di vista sociolinguistico e poco numerose (sull’ordine di alcune
decine di individui differenti per sesso ed età). Si deve inoltre supporre che
esse fossero in contatto costante tra loro e con un senso molto scarso di una
propria identità etnolinguistica. Un modello (ancora) attuale di tali comunità
potrebbe essere fornito dalle forme organizzative dei pigmei africani (anche
70
dal punto di vista di una non marcata autoidentificazione linguistica).

Secondo lo studioso, la preistoria media, invece,

è caratterizzata da un costituirsi relativamente veloce di mesoaree di specifica-


zione gruppogenetica (in senso geografico: PISTE), il che ancora una volta
non comporta fenomeni di disgregazione di improbabili lingue madri ma
piuttosto fatti di convergenza (cioè: GRUPPI) secondo coincidenze linguisti-
che ‘a maglie strette’ (si instaurano in questa fase numerose isoglosse lessicali
ed alcune convergenze morfologiche e sintattiche che sono caratteristiche
delle cosiddette ‘leghe linguistiche’). Le piste a cui pensiamo possono pre-
sentarsi secondo assi […] o anche costituirsi con un andamento ‘a stella’, ove
sussista un’area di gravitazione etnica e culturale […]. In questa fase remota
l’enciclopedia delle conoscenze si organizza secondo particolari tassonomie
culturali e l’incremento di un identico vocabolario specialistico attraverso
varie tradizioni linguistiche. Quelle che restano escluse da questi fenomeni
sono ipso facto anche diversificate. [segue nota 8, p. 142J In questa fase i
parlanti, costituiti in comunità sempre più ampie e socialmente diversificate
(tribù), tendono ad arricchire il proprio identikit culturale: da cacciatori-
raccoglitori si trasformano in (pre)allevatori – (pre)agricoltori e sono pronte
ad importare/esportare tecnologie sempre più complesse. Cresce ovviamente
il senso di autoidentificazione linguistica, anche se si esplica in modo, per così
71
dire, ‘traversale’ (cioè in forme etnicamente policentriche).

70
Cit. da D. SILVESTRI, Preistoria e protostoria… cit., pp. 140-141; l’ultimo corsivo è mio.
71
Ivi, pp. 141-142; l’ultimo corsivo è mio.

260
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

Sempre secondo Silvestri, la preistoria recente, per contro,

è contrassegnata da un accelerato costituirsi di microaree di caratterizzazione


glottogenetica (in senso geografico: NICCHIE), in altri termini comporta, con
l’insorgere delle prime entità protostatali, una sorta di sempre più
accentuata definizione idiosincratica del loro assetto etnolinguistico. Non
siamo più in presenza di una serie più o meno ampia e significativa di
coincidenze linguistiche, ma piuttosto di una compattazione di uno strumen-
to di comunicazione (non un ‘tipo’ o un ‘gruppo’, ma una ‘lingua’ nella sua
accezione corrente ed attuale) che invoca ormai i processi di standardizzazio-
ne grafica e di istituzionalizzazione testuale (in tal senso l’i.e. arriva a sfiorare
la soglia della ‘storia’ e la sua dispersione areale, il suo precoce big bang
interrompono un processo che sicuramente aveva già attinto la costituzione di
testi – ad es. secondo un canone di ‘lingua e cultura poetica’ – a cui mancava
solo la forma grafica). Le nicchie sono in ogni caso caratterizzate da un’area-
lità definita (che può coincidere, ad es., con il territorio della ‘citta-stato’
mesopotamica, dove per ‘territorio’ sarà bene intendere ‘sfera di influenza’) e
sono le premesse indispensabili dell’affermarsi di alcune lingue egemoni e,
tra queste, delle cosiddette ‘lingue madri’. [segue nota 9, p. 142] I parlanti di
questo terzo e conclusivo stadio preistorico sono ormai allevatori ed agricol-
tori, sia pure di fase aurorale; sono numerosi e soprattutto organizzati
(popoli) ed in possesso di una specifica facies culturale. La loro autoidentifica-
72
zione linguistica è completa.
***
73
Se consideriamo, infine, che altre ricerche hanno confermato
74
quel che W. H. Goodenough, inascoltato, aveva detto già nel 1970,
e cioè che l’idea che gli i.e., fin dalla più lontana preistoria, praticasse-

72
Ivi, p. 142; gli ultimi due corsivi sono miei. Su questi argomenti, di D. SILVESTRI vd.
anche Storia delle lingue e storia delle culture, in R. LAZZERONI (ed.), Linguistica storica… cit.
(nota 61, p. 71), pp. 55-85, e la mia recens. in «SILTA» 17 (1988), pp. 134-140, al volume curato
da Lazzeroni.
73
Vd. da ultimo A. R. DIEBOLD JR., art. cit. (nota 48, p. 251), pp. 317-367.
74
Cfr. W. H. GOODENOUGH, The Evolution of Pastoralism and Indo-European Origins, in
G. CARDONA – H. M. HOENIGSWALD – A. SENN (eds.), Indo-European and Indo-Europeans.
Papers presented at the Third Indo-European Conjerence at the Univ. of Pennsylvania, Philadel-
phia 1970, pp. 153-256; vd. poi S. SANDOR, The History of Domestic Animals in Central and
Eastern Europe, Budapest 1974; ID., Horses and sheep in East Europe in the Copper and Bronze
Ages, in S. N. SKOMAL – E. C. POLOMÉ (eds.), Studies M. Gimbutas, Washington 1987, pp.
136-144; ID., Das domestizierte Pferd in Mitteleuropa, in B. HANSEL – S. ZIMMER (eds.), Die
Indogermanen und das Pderd. Fest. B. Schlerath, Budapest 1994 (va visto tutto il volume), K.
PARKER, Equestrians: Parallel processes of Adaptation, «UOPA» 17 (1976), pp. 1-13, D. W.
ANTHONY, art. cit., (nota 44, p. 250), pp. 291-313.

261
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

ro la pastorizia nomadica e in particolare fossero dediti al Reiternoma-


dismus, il tipo di nomadismo pastorale più specializzato, fossero cioè
pastori nomadi che usavano il cavallo, non ha alcun riscontro etno-
75
antropologico e archeologico sicuro, possiamo chiudere il cerchio e
trarre le dovute conclusioni.
Anche se ben lungi dall’essere compiutamente definito e con
almeno tre o quattro teorie ancora in lotta tra loro, il quadro d’insieme
sulle origini i.e. che in qualche modo emerge dalle ricerche recenti
consente tuttavia, limitatamente a quel che qui ci occorre, di dare per
verosimilmente acquisite alcune cose:
1) le origini ultime degli i.e. risalgono perlomeno alla fine del
paleolitico superiore;
2) esiste una sostanziale continuità archeologica, culturale, pa-
leoeconomica e linguistica tra tardo paleolitico, mesolitico e inizi del
neolitico (i.e.);
3) gli sconvolgimenti climatici seguiti all’ultima glaciazione e la
diffusione della cultura neolitica e dell’agricoltura sono due dei prin-
cipali fattori alla base degli inizi della dispersione dei popoli e delle
lingue i.e.;
4) la cultura neolitica e l’agricultura si diffusero, anche nel mondo
di lingua i.e., con un sistema a mosaico e non a onda, in cui si
sommano e si sovrappongono la diffusione demica (colonizzazione),
la diffusione culturale e lo sviluppo locale;
5) non vi sono tracce di invasioni massive e violente nel mondo
che storicamente sarà di lingua i.e.;
6) il fenomeno delle élite nomadico-equestri (i.e.), se è mai esisti-
to, è un fatto recente.
***
L’ultima conseguenza di quanto si è visto finora, riguarda il
76
cosiddetto sostrato indo-mediterraneo.
In un suo recente contributo, G. Garbini giunge alle seguenti
conclusioni: se

75
Invasionismo e nomadismo sono i correlati necessari, ma non sufficienti, della cronolo-
gia i.e. ‘bassa’; sorprende perciò che sia proprio C. Renfrew a proporre una serie d’invasioni di
agricoltori pacifici, il che suona oltretutto come un ossimoro, per spiegare la diffusione delle
lingue i.e.
76
Per la bibl. vd. supra, nota 52, p. 252.

262
3– LE ORIGINI INDEUROPEE

un filone semitico nel sostrato di Grecia e Italia è giustificabile tra il II e il IV


millennio a.C. […], il discorso cambia completamente quando passiamo a
confrontare radici con larga attestazione nei due gruppi linguistici. […]
Quando è l’indeuropeo a fornire una spiegazione semantica adeguata a una
radice semitica e a mostrare la forma originaria dalla quale sono derivate le
molte e a volte bizzarre radici semitiche, siamo costretti a trarre diverse
conclusioni. Intanto dobbiamo presupporre un pre-indeuropeo assai arcaico
parallelo al pre-semitico) entrambi in piena età neolitica; quindi dobbiamo
prendere atto della secondarietà del processo che ha portato alla creazione
delle radici semitiche storicamente attestate. Questo fatto era già noto, ma
veniva giudicato come un processo di formazione lessicale, mentre invece
cominciamo a vedere che si è trattato di un processo di frantumazione quasi
caotica, certamente a livello dialettale, di un patrimonio lessicale più salda-
mente strutturato. L’alternarsi di radici a due e tre radicali per lo stesso
concetto o la stessa parola, l’inverosimile oscillare delle consonanti radicali
sulla base di affinità esclusivamente fonetiche, senza curarsi minimamente
delle regole dei neogrammatici, ci fa cogliere in atto il processo attuatosi nel
IV millennio, quando per un effetto ‘gravitazionale’ (mi è sempre piaciuta
questa immagine di V. Pisani) la creazione della civiltà urbana e della lingua
scritta ha costretto il semitico a darsi una struttura, cioè a diventare ‘semitico’.
Prima del IV millennio vi era dunque un pre-semitico abbastanza diverso dal
semitico; un pre-semitico che […] potrebbe tranquillamente chiamarsi anche
‘pre-indeuropeo’. Per non entrare i.p discussioni e polemiche inutili, lasciamo
da parte questi termini e torniamo al neutrale so strato ‘mediterraneo’ o
‘indo-mediterraneo’: ma con l’accortezza di non metterci sopra superstrati
indeuropei o semitici arrivati da fuori. Il ‘sostrato mediterraneo’ è semplice-
mente la somma del pre-indeuropeo, del pre-semitico, del pre-asianico e di
chissà quante altre lingue ancora: era la grande lega linguistica in continua
evoluzione delle operose genti neolitiche della cui eredità ideologica ancora ci
77
nutriamo – purtroppo quasi sempre senza saperlo.

77
Cit. da G. GARBINI, Convergenze indeuropeo-semitiche tra preistoria e protostoria,
«AION» 10 (1988), p. 80 (i corsivi sono miei); dello stesso A., vd. anche Innovazione e
conservazione nelle lingue semitiche, in V. ORIOLES (ed.), Innovazione e conservazione nelle
lingue. Atti del Convegno S.I.G. (Messina: 9-11/11/1989), Pisa 1991, pp. 113-125, e, in generale,
ID., Le lingue semitiche. Studi di storia linguistica, Napoli 1984, II ed.

263
CAPITOLO 4

LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

I Persiani insegnano ai loro figli soltanto tre cose:


a cavalcare, a tirare con l’arco e a dire la verità.
(Erodoto)
Il principe assiro impari a cavalcare, a tirare con
l’arco e l’arte di scrivere seguendo le tradizioni
dei maestri.
(Assurbanipal)

4.1. LA LINGUA POETICA COME COSCIENZA DELL’ORALITÀ

Il tragitto fin qui compiuto, è servito innanzitutto a condurre per


mano il lettore attraverso le conoscenze necessarie a renderlo consa-
pevole della possibilità che siano esistiti tipi di coscienza, struttural-
mente e funzionalmente, diversi dal suo, e a rendere poi sostenibile, in
generale, l’idea che la lingua poetica abbia costituito, per alcuni dei
popoli di lingua i.e., una delle tappe evolutive della loro autocoscien-
za.
Strada facendo, così come avevo indicato all’inizio della seconda
parte, ho cercato inoltre di chiarire e di inquadrare i termini contenuti
nell’ipotesi che sorregge l’impianto della presente ricerca; pur se la
spiegazione di alcune vicende importanti, per esempio l’origine del-
l’uomo anatomicamente moderno, resta sospesa tra due o più teorie in
concorrenza tra loro, credo che ora non soltanto abbiamo a disposi-
zione tutto ciò che ci serve per compiere il passo definitivo verso
l’accertamento concreto della validità della mia ipotesi iniziale, ma
anche che, con quanto si è visto finora, l’ipotesi stessa si sia affinata
nella capacità descrittiva e accresciuta nella potenzialità esplicativa.

265
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Così attrezzati, possiamo allora sciogliere le vele e navigare verso


il mare aperto.
***
Sulla scorta dunque di quanto visto finora, credo non si sarà
troppo lontani dal vero nel dire intanto, in generale, sulla lingua
poetica i.e. quanto segue: nel patrimonio linguistico e storico-
culturale dei popoli i.e., sono riscontrabili le vestigia di un remoto
passato paleolitico; per questi periodi temporali, si può supporre
1
l’esistenza di tradizioni mitico-rituali in via di consolidamento, la cui
conservazione era affidata a stregoni/sciamani, uomini del sacro che
però non erano ancora specialisti esclusivi, né tantomeno
2
sacerdoti/poeti: di lingua poetica in senso proprio non si può ancora
certo parlare.
Più tardi, tuttavia, la lingua poetica, nel suo progressivo processo
di fissazione canonica, dovette raccogliere l’eredità di tali forme pri-
migenie di sapienza, accogliendo in sé, e di conseguenza salvando
dall’oblio e tramandando, molto di criò che a cominciare dal paleoliti-
3
co superiore, cioè dall’inizio della cultura mitica, era entrato a far
4
parte della tradizione orale: per questo motivo, è possibile riscontra-
re anche nella lingua poetica alcune vestigia linguistiche, mitico-rituali
e cognitive dei periodi più remoti della storia dei popoli i.e.
Tuttavia, seppure dobbiamo ritenere per certo che tutti gli Indeu-
ropei abbiano un passato paleolitico, in certi casi la scarsità della
documentazione attribuibile alla lingua poetica i.e., è un ostacolo
grave alla possibilità, che pure come si è visto esiste, di ricostruire, o
semplicemente riconoscere le vestigia di tali periodi; mentre in altri
casi, pur in assenza di documentazione poetica, è possibile talvolta
riconoscere altrove alcune vestigia paleolitiche, ma per lo più soltanto
in quelle popolazioni, come ad esempio gli Slavi, che ne conservano le
tracce perché raggiunte solo in tempi più recenti dagli sviluppi cultu-
rali neolitici.
Tutto ciò significa che prima di attribuire al patrimonio conserva-
to dalla lingua poetica i.e. tratti linguistici e culturali che sembrano
rinviare al paleolitico, comparando dominii linguistici che hanno

1
Vd. supra, p. 248.
2
Vd. supra, p. 126.
3
Vd. supra, p. 196.
4
Vd. supra, p. 247.

266
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

conosciuto transizioni dal paleolitico al neolitico assai diverse tra loro,


occorre prudenza e attenzione, onde evitare di non riconoscere affi-
nità elementari dovute alla generale, riconosciuta uniformità della
cultura paleolitica, o fatti dovuti all’influsso di lingue e culture estra-
nee e mediatrici. Per intendersi: talune concordanze tra la tradizione
magico-apotropaica indiana antica e quella slavo-germanica, potreb-
bero perfino risalire in ultima istanza al paleolitico e spiegarsi pertanto
all’interno di questa cultura di diffusione estesissima.
Questo anche perché in fasi temporali così remote, nelle piccole,
sociolinguisticamente omogenee bande di cacciatori-raccoglitori, for-
mate già da primi nuclei di genti i.e. in stretto contatto tra loro, il
senso di autoidentificazione etnolinguistica, cioè la consapevolezza
della propria identità e diversità linguistica, e la coscienza di sé,
5
l’autocoscienza, dovevano essere ancora assai scarse, e ciò, insieme a
6
un plurilinguismo che dobbiamo supporre diffuso, doveva rendere
tali gruppi particolarmente permeabili alle influenze esterne.
***
Alla fase seguente, quella della lunga transizione che dal tardo
paleolitico superiore, attraverso il mesolitico, giunge fino alla soglia
del neolitico, appartiene invece verosimilmente in gran parte la prima
organizzazione dell’enciclopedia orale delle conoscenze in specifiche
7
tassonomie etno-scientifiche.
Tale organizzazione, fondata su programmi biologici di azione e
8
costruita coi motivemi, trova nella narrazione mitologica dei racconti
tradizionali la sua modalità lineare di espressione linguistica, accresce
9
il lessico specialistico e le capacità cognitive collegate, e crea alcune
10
importanti diversificazioni intertribali: si deve presumere che
l’esclusione di alcune tradizioni linguistiche i.e., quali il baltico e lo
slavo, dai nascenti fenomeni di convergenza poetica, cominci dunque
forse già in questa fase.

5
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
6
È questa un’opinione oggi condivisa da un numero crescente di studiosi: vd., per es., J. P.
MALLORY, In Search of… cit. (nota 2, p. 240), p. 259.
7
Cfr. supra, p. 34, e infra, p. 268.
8
Cfr. supra, p. 198.
9
Cfr. supra, p. 194.
10
Cfr. supra, p. 260.

267
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

La formazione di alcune tassonomie, ad esempio, messe in luce


11
anche dagli studi di C. Watkins, deve risalire a questa fase, a un
periodo in cui tuttavia, come sembrano dimostrare appunto le ricer-
che di C. Watkins, l’ittita e le altre lingue i.e. anatoliche, ma forse già
non più il tocario, erano ancora in stretto contatto con le rimanenti
12
lingue i.e.; come si è gia detto, le tradizioni linguistiche che restano
escluse da tale processo di organizzazione tassonomica si diversificano
e si estraniano dalle altre tradizioni, mentre quelle che vi partecipano
sviluppano un lessico specialistico comune – la fraseologia tradiziona-
le – e rafforzano i legami tra di loro, dando avvio, per il tramite delle
formule, alla standardizzazione testuale prima, e alla fissazione del
canone poetico poi.
La gran parte delle comparazioni poetiche i.e di più larga atte-
stazione risale probabilmente a questo periodo; è poi la diversità
delle singole vicende storico-culturali – penso qui, per esempio, alle
non confrontabili vicende testuali e letterarie del latino, dell’osco-
umbro e del germanico –, ma anche alla diversità della documenta-
zione a noi pervenuta – basti soltanto ricordare, per esempio, che
lingue come il venetico, il messapico e l’armeno restano ancora
sostanzialmente assenti dal dossier poetico i.e. –, a tracciare i singoli
percorsi in modo che restino o meno all’interno della tradizione
poetica ereditata.
In questa fase, in cui dai piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori si
passa alle tribù mesolitiche e preneolitiche, la nascente lingua poetica
i.e. contribuisce inoltre a rafforzare l’autoidentificazione trib ale , av-
13
viandola così verso l’ethnos vero e proprio, e a facilitare l’assorbi-
14
mento cognitivo e culturale di tecnologie complesse importate,

11
Penso qui soprattutto alla Folk Taxonomy of Wealth (cfr. C. WATKINS, 1979a) e alla
formalizzazione sul come uccidere un drago in i.e. (cfr. ID., 1987b, 1987c, 1991); altre tassono-
mie conservate dalla lingua poetica i.e., per es. quella dell’oro (cfr. G. COSTA, 1984), sembrano
invece essere state elaborate in periodi più recenti.
12
Cfr. supra, p. 260.
13
Per una definizione di questo concetto, seguo qui C. RENFREW, op. cit. (nota 42, p. 23),
p. 216 (il corsivo è mio): «Ethnos […] can be defined as a firm aggregate of people, historically
established on a given territory, possesing in commun relatively stable particularities of language
and culture, and also recognizing their unity and difference from other similar formations
(selfawarenessl and expressing this in a self-appointed name (ethnonym)».
14
Cfr. supra, p. 260.

268
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
15
quali quelle legate all’agricoltura neolitica, ma anche all’esportazio-
ne di alcune tecniche specificatamente i.e., come ad esempio l’apicol-
16
tura mobile, una delle basi della paleoeconomia i.e., fatto di cui i
prestiti i.e. in ugro-finnico sono la migliore testimonianza: *mekše
“Biene, Apis mellifica” (cfr. finn. mehiläinen, mehiäinen “Honigbie-
ne”; est. mehiläne mehine, mord. E mekš makš, ung. méh, ecc.
“Biene”) < pre-ario *mekš- (cfr. aind. mákşā mákşikā, av. mahšī-,
17
curd. mêš, ecc. “Fliege, Biene”); *mete “Honig, aus Honig gegore-
ner Trank” (cfr. finn. mesi, est. mesi, mord. E med’, ecc. “Honig”)
< *médhu- (cfr. aind. mádhu, av. madu, toc. B mit, mšqu, air. mid, aat.
18
metu, lit. medùs, ecc. “Honig, süsser Trank, Wein”).
La lingua poetica i.e., insomma, asssumendo progressivamente in
sé la gran parte dell’enciclopedia orale, a causa delle necessità connes-
se alla memorizzazione del patrimonio tradizionale in via di accresci-
mento e agli inizi dello sviluppo di un sistema di immagazzinamento
19
simbolico esterno (SISE), pur essendo ancora uno strumento me-
diatico e non già un messaggio ideologico, cioè non ancora una forma
compiuta di autocoscienza, va a costituire l’epistemologia delle genti
20
che la utilizzano, svolgendo anche la funzione di interfaccia cultura-
le e cognitiva in un universo ancora etnicamente policentrico:

l’interfaccia è la saldatura tra due zone diverse: attraverso di essa passano, in


entrambe le direzioni, esperienze e prodotti, uomini e tecnologie, elaborazio-
ni coerenti con i caratteri delle rispettive zone e manchevoli in quelle adia-
centi. Il passaggio comporta di norma un cambiamento di ‘codici’ valutativi
ed espressivi, ed ha un effetto di fertilizzazione reciproca e di confronto e
aggiustamento dei risultati che molto ha contribuito all’evoluzione delle
comunità umane sin dalle fasi più antiche. I fenomeni di interfaccia produco-
no talvolta lo spostamento fisico dei nuclei umani: tipica in questo senso la
transumanza stagionale di pastori attestati a sfruttare interfacce del tipo

15
Cfr. supra, p. 249, e A. R. DIEBOLD JR., art. cit. (nota 48, p. 251), pp. 347 sgg.
16
Cfr. A. R. DIEBOLD JR, art. cit., pp. 329 sgg.: «the triad of pig, goose, and honeybee […]
circumscribes the nature of ‘herding’ practiced in prehistoric Indoeuropia»; vd. anche E.
CRANE, The Archaeology of Beekeeping, London 1983; ID., Honeybees, in I. L. MASON
(ed.), Evolution of Domesticated Animals, London 1984, pp. 403-415.
17
Cfr. K. RÉDEI, art. cit. (nota 59, p. 256), pp. 655-656;vd. anche Mayrhofer, II, pp.
540-542.
18
Cfr. MAYRHOFER, II, pp. 570-572, e POKORNY, p. 707.
19
Cfr. supra, p. 207, e infra, p. 287.
20
Cfr. supra, p. 159.

269
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

montagna/pianura o del tipo vallata irrigua/steppa arida. Ma più spesso i


gruppi umani pur stabili sfruttano la loro collocazione a ridosso dell’interfac-
cia mediante un accesso previlegiato a risorse differenziate e complementa-
21
ri.

Se mai lo è stata, è dunque forse in questa fase che la lingua


poetica può essere stata parte di una lingua franca, una sorta forse di
lingua ufficiale o cerimoniale usata da parlanti i.e. e anindeuropei
22
nelle occasioni pubbliche.
***
Anche per la lingua poetica i.e., tuttavia, la fase cruciale è la terza,
quella neolitica.
Dopo il pieno affermarsi del neolitico nel Vicino Oriente tra il
7500 e il 6000 a.c., con l’insorgere della cultura urbana, della scrittura
e delle organizzazioni protostatali, in un periodo collocabile tra l’ini-
23
zio del V e la metà del IV millennio, il mondo anatolico-
mesopotamico anindeuropeo assunse le caratteristiche, anche lingui-
24
stiche, che gli saranno proprie fino al periodo proto-dinastico,
quando, con la nascita delle prime entità statali vere e proprie, la
25
situazione mutò radicalmente.
26
È altresì in questa fase che in una serie di nicchie eco-culturali,
anche i popoli i.e., formati oramai da allevatori e agricoltori con una
propria facies culturale specifica, danno corso definitivo al loro as-

21
Cit. da M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia Società Economia, Roma – Bari 1988, p. 29; sul
concetto di interfaccia come luogo dell’interazione sistemica, vd. anche supra, p. 142, e ivi nota
19.
22
Cfr. J. P. MALLORY, In Search of… cit., p. 258 e R. Ambrosini, Le lingue indo-europee…
cit., p. 127.
23
Per un inquadramento storico-archeologico più esauriente di quanto qui è possibile, vd.
M. LIVERANI, op. cit., passim.
24
Cfr. supra, p. 263.
25
Cfr. J.-D. FOREST, Mesopotamia. L’invenzione dello stato, ed. it., Milano 1996; si tratta di
un libro assai interessante che propone una tesi innovativa sulla nascita dello stato mesopotami-
co come risultato di un processo in cui le istanze ideologiche si intrecciano con quelle
economico-sociali, un tipo di accostamento molto vicino a quello che, per il versante i.e.,
propugno nella presente ricerca.
26
Il concetto di nicchia (ecologica e culturale) «sottolinea il valore di certe zone compatte e
coerenti, delimitate da interfacce anche ravvicinate, e protette rispetto all’ambiente circostante
in modo tale da riuscire a sviluppare al meglio le loro potenzialità produttive e organizzative»: cit.
da. M. LIVERANI, op. cit., p. 31; sul concetto di nicchia, vd. anche supra, p. 261.

270
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

setto etnolinguistico, completando idiosincraticamente il processo di


autoidentificazione
27
in un gruppo di lingue potenzialmente egemo-
ni.
Da qualsiasi parte li si faccia originariamente provenire, in que-
sto periodo di tempo alcuni popoli i.e., in particolare (coloro che
poi saranno) i Greci, gli Arii, gli Iranici e i Celti, già divisi e
autonomi ma ancora in rapporto tra loro, prima dei movimenti
proto-storici e storici di cui abbiano qualche pur vaga notizia e
28
senza invasioni massive o violente, dovettero accrescere, per il
tramite di luoghi fisici e mentali di interfaccia, la quantità e la
qualità dei contatti diretti e indiretti con le genti non i.e. del Vicino
Oriente, ed è in questo momento che la lingua poetica assunse
definitivamente il suo ruolo di garante dell’identità etnolinguistica di
alcuni popoli i.e., diventando la forma e la sostanza della loro
autocoscienza.
***
Tracciato un quadro generale sulla base di quanto visto in prece-
denza, cercherò ora di stringere il cerchio, aggiungendo qualche altro
dato o sfruttando diversamente parte di quelli già esaminati.
È noto come in epoca proto-storica e storica diverse popolazioni
i.e. conoscessero la scrittura; esse tuttavia non la utilizzavano per
trasmettere e tramandare pubblicamente la propria cultura: la scrittu-
ra era un sapere per iniziati.

27
Vd. supra, pp. 253 sgg.
28
«Si donc on veut tenir compte du fact que l’interprétation la plus probable des hymnes
védiques est d’abord mythique et mythologique, de l’absence de traces des destructions archéo-
logiquement attribuables au Äryas, et da la continuité constatée de la civilisation matérielle, il
devient difficile de considérer l’immigration aryenne en Inde comme un phénomène de masse,
une période de rupture et de destructions, une abolition du passé pré-aryen et le début d’une
civilisation de type entièrement nouveau. On imagine mieux des phénomènes d’acculturation,
l’arrivée de petits groupes Āryas, faiblement différenciés mais cohérents, composés de jeunes
guerriers accompagnés de spécialistes de la langue et de la religion, venus avec ou sans femmes
(ver sacrum) et prenant à l’occasion des épouses dans la population locale. Ces groupes Āryas
avaient toute la place nècessaire pour s’établir dans une Inde peu peuplée où les terres libres
abondaient. Il est probable qu’il y a eu des heurts avec les populations pré-aryennes, et aussi avec
les groupes aryens arrivés les premiers, mais il n’est pas nécessaire de postuler une invasion en
règle ni une conquête militaire. Ensuite tout se passe comme si les Āryas avaient imposé leur
langue et leur culture, leur supériorité politique probablement aussi, et qu’ils aient adopté les
manières de vivre et la civilisation du pays qui était devenu le leur»: cit. da G. FUSSMANN,
L’entreée des Āryas en Inde, «ACF» 89 (1988-89), p. 529-530.

271
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

In un passo famoso del Bellum gallicum (B.G. VI, 14,3-4), Cesare


racconta che gli allievi delle scuole druidiche

magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur. Itaque annos nunnulli


vicenos in disciplina permanent. Neque fas esse existimant ea litteris manda-
re, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus, Graecis utantur
litteris. Id mihi duabus de causis instituisse videntur, quod neque in vulgum
disciplinam efferri velint neque eos, qui discunt, litteris confisos minus
memoriae studere, quod fere plerisque accidit ut praesidio litterarum dili-
29
gentiam in perdiscendo ac memoriam remittant.

Plutarco (Lyc. 13, 1-4) racconta poi come ancora Licurgo non
avesse messo per iscritto le sue leggi, ma anzi avesse espressamente
30
proibito di farlo anche dopo di lui; allo stesso modo, sempre Plutar-
co (Num. 22,2-3), narra che Numa volle che fossero seppelliti con lui
i libri che aveva scritto: «li volle seppelliti con sé, come se non stesse
bene che i misteri fossero custoditi da lettere morte. Per la medesima
ragione dicono che i Pitagorici non affidano il loro precetti alla
scrittura e ne imprimono invece la conoscenza e il ricordo in coloro,
31
che sono degni, senza scriverli».
Anche nel mondo germanico sono numerose le testimonianze che
dimostrano come la scrittura fosse riservata agli iniziati e ritenuta uno
32
strumento perfido e pericoloso.
Nel mondo iranico, l’Avesta fu messa per iscritto, fissando un
canone codificato, solo in epoca sassanide, probabilmente durante il

29
Su tutto ciò, è ancora utile G. DUMÉZIL, La tradition druidique et l’écriture: le Vivant et
le Mort, «RHR» 122 (1940), pp. 125-133 (ora anche in Cahiers pour un temps. G. Dumézil, Paris
1981, pp. 325-338); vd. anche G. WIDENGREN, Religionsphänomenologie, Berlin 1969, pp. 570
sgg.; vd. E. CAMPANILE, 1990C, pp. 49 sgg., per un commento al passo di Cesare, le corrispon-
denze irlandesi e i confronti col mondo vedico e greco.
30
Vd. S. SVENBRO, art. cit. (nota 281, p. 226), p. 8, e, in generale, ID., La parola e il marmo.
Alle origini della poetica greca, Torino 1984; sulla continuità orale della poesia greca dopo
l’introduzione della scrittura, vd. C. O. PAVESE, Poesia ellenica e cultura orale, in I poemi epici…
cit. (nota 218, p. 305), pp. 231-260; la bibl. su MnhmosÚnh e la poesia greca è vastissima: ricordo
qui soltanto M. DETIENNE, Les maîtres de vérité dans la grèce archaïque, Paris 1967, trad. it.,
Roma – Bari 1977, cap. I, J-P. VERNANT, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie
historique, Paris 1971, II ed., trad. it. Torino 1978, cap. II; C. CALAME, Le récit en grèce ancienne,
Paris 1986, trad. it. Roma – Bari 1988, cap. II. Do per conosciuta la polemica di Platone
contro la scrittura e il dibattito moderno su di essa.
31
Cit. da C. CARENA (a cura di), Plutarco. Vite parallele. (Num., 22, 2), Milano 1974, p. 127.
32
Dati e bibl., tra i molti, in F. BADER, La racine de POIKILOS, PIKROS cit (nota 8, p. 33),
pp. 41-60, e in G. DUMÉZIL, art. cit., p. 328 sgg.

272
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

regno di Shapur II (309-379 d.C.), spezzando, per motivi legati all’as-


sunzione dello zoroastrismo come religione ufficiale dell’impero neo-
persiano e tra mille difficoltà frapposte dal clero tradizionale, una
tradizione millenaria volutamente orale, così come aveva insegnato
33
Zarathustra.
34
Da una testimonianza di Mani, l’altro grande profeta iranico,
apprendiamo però che almeno un secolo prima della redazione uffi-
ciale sassanide, i sacerdoti zarathustriani possedevano già dei libri
sacri, e che questi, pur non essendo stati scritti da Zarathustra, erano
posti sotto la sua autorità, «garantita dal clero dei mōbad e hērbad, e
cioè dei sacerdoti e dottori della legge religiosa, che ne reclamavano
35
uno stretto monopolio». Mani, accusando polemicamente il clero
tradizionale di aver frainteso e tradito l’insegnamento del Maestro,
decise di divulgare il suo insegnamento scrivendo egli stesso i testi
fondamentali della sua nuova dottrina dualista, diversamente da quel
che Cristo, Buddha e lo stesso Zarathustra avevano fatto, aprendo così
essi stessi la strada ad alterazioni e interpretazioni fallaci del loro
insegnamento.
Se dunque «la redazione scritta del testo avestico in un alfabeto
ispirato a quello pahlavico fu una misura presa dal potere politico e da
quello religioso al fine di mettere in condizione la Chiesa zoroastriana
di competere con le religioni che potevano fondarsi su scritture sacre,
36
quali il manicheismo, il cristianesimo e il buddhismo», deve essere
altresì probabile che «le texte de l’Avesta est issu, suivant la tradition,
de reconstitutions successives fondées en partie sur des écrites, en
partie sur des textes mémorisés, en partie aussi sur les additions des
37
diascévastes».
Nel mondo indiano, per alcuni versi la situazione è simile a quella
iranica: infatti, pur in presenza di una tradizione orale vivissima ancora

33
Cfr. A. BAUSANI, Persia religiosa, Milano 1959, pp. 20 sgg.; G. WIDENGREN, Holy Book
and Holy Tradition in Iran. The Problem of Sassanid Avesta, in F. F. BRUCE – E. G. RUPP (eds.),
Holy Book and Holy Tradition, Manchester 1968, pp. 36-53; G. GNOLI, L’Iran antico e lo
zoroastrismo, in J. RIES (ed.), op. cit. (nota 47, p. 251), pp. 106 sgg.
34
Vd. ora M. TARDIEU, La diffusion du Buddhisme dans l’Empire kouchan, l’Iran et la
Chine, d’après un kephalaion manichéen inédit, «StIr» 17 (1988), pp. 153-182, con bibl.
35
Cit. da G. GNOLI, art. cit., p. 109.
36
Ivi, p. 114.
37
Cit. da J. HAUDRY, Formules croisées dans l’Avesta, «BSL» 72 (1977), pp. 166 (129-168).

273
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

38
oggi, molti fatti «rendono lecito pensare che i brahmani facessero
39
della scrittura, fin dalla sua introduzione, un loro strumento di potere
e un uso che deve ben definirsi ‘di classe’. Fu il buddhismo che, da
Asoka in poi, ruppe la consegna brahmanica del silenzio, spezzò il
40
monopolio e diede all’uso della scrittura una più ampia circolazione.
Ma per quel che riguarda la tradizione vedica, la situazione è più
41
complessa e più discussa. Se da una notizia di fonte musulmana,
sappiamo che i Veda furono messi ufficialmente per iscritto probabil-
mente solo intorno al 1000 d.C. – in teoria dunque solo dopo 1500
anni dalla prima adozione della scrittura – forse da un brahmano di
42
nome Vasukra, e si può certo pensare, come già scriveva O. Boe-
htlingk nel 1860, che «gli antichi autori abbiano composto gli inni
vedici senza conoscere la scrittura e anche che quei canti siano stati
trasmessi alle generazioni seguenti senza l’ausilio della scrittura», è
tuttavia «molto difficile accettare che anche la redazione degli inni e i
testi che da questa redazione dipendono, siano stati composti senza il
sussidio della scrittura. Una cosa è mandare a memoria testi di grande
mole e un’altra cosa è comporre opere di grande mole su testi e per
testi che si posseggono solo nella memoria. Non riesco a concepire
come si possa prima faticosamente raccogliere il materiale nella pro-
pria testa; poi ordinarlo nel modo più accurato; infine elaborarlo
43
ancora e solo nella propria testa».

38
Vd. per es. F. STAAL, Nambudiri Veda Recitation, The Hague 1961.
39
Come si sa, i documenti indiani scritti più antichi a noi pervenuti sono le iscrizioni di
Asoka del 250 a.c.; l’uso della scrittura in India, tuttavia, deve risalire almeno a un periodo tra la
fine del VI e gli inizi del V a.c., perché una delle due scritture in cui sono redatte tali iscrizioni, la
kharoşţhī, è di sicura derivazione aramaica e dunque la sua adozione si spiega con la conquista
persiana dell’India e l’uso dell’aramaico come lingua amministrativa dell’impero; mentre l’altra
scrittura in cui sono redatte la più parte delle iscrizioni di Aśoka, la brāhmī, deve essere di
qualche epoca posteriore all’altra, anche se allo stato non precisabile, poiché in esse compare già
matura. Pāņini, poi, il grande grammatico indiano vissuto forse tra la seconda metà del V e la
prima metà del IV sec. a.c., conosceva per certo la scrittura (si troverà tutta la bibl. su questi
argomenti nelle opere citate alla nota seguente).
40
Cit. da P. DAFFINÀ, Sull’uso della scrittura nell’India antica, «RSO» 65 (1991), p. 31
(13-39); vd. anche, tra gli ultimi, G. FUSSMANN, Les premiers systèmes d’écriture en Inde, «ACF»
89 (1988-1989), pp. 507-514, e H. FALK, Schrift in alten Indien, Tübingen 1993.
41
Anche un grande indianista come L. Renou, sui modi della trasmisione della tradizione
vedica ha avuto posizioni discordanti, vd. per es. ID., Les écoles védiques e la formation du Veda,
Paris 1947, pp. 33 e 222, e ID., Études védiques et pāņinéennes, Paris 1960, vol. VI, pp. 40-44.
42
I dati e la bibl. sono in P. DAFFINÀ, art. cit., p. 32.
43
Cit. da O. BOEHTLINGK, Ein Paar Worte zur Frage über das Alter der Schrift in Indien,
«Bulletin de l’Académie Impériale des Sciences de St.-Pétersbourg» 1 (1860), collo 351-352, la
trad. it. è di P. DAFFINÀ, art. cit., p. 33.

274
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

44
Come osservava di recente anche F. Crevatin, non si tratta
45
qui, insomma, solo di problemi, diciamo così, filologici, ma di
questioni cognitive più generali che riguardano le possibilità e i
46
limiti della cultura orale, un tipo di cultura, come si è visto, le cui
possibilità cognitive non sono né infinite né paragonabili a quelle
della cultura teoretica, una cultura quest’ultima il cui sviluppo è
legato indissolubilmente alla nascita e allo diffusione della scrittu-
47
ra.
A questo riguardo, proprio sulla base di considerazioni di ordine
48
cognitivo e antropologico, alcuni anni fa J. Goody ha pensato di
scorgere nella composizione e nella trasmissione dei Veda, cioè fin
dalla fase più antica, l’influsso determinante della scrittura e della
49
cultura di una società già allitterata.

44
Cfr. F. CREVATIN, Riflessioni su problemi vedici. Aja ekapād: oralità e scrittura, «InL» 11
(1986), pp. 59-69.
45
A questo proposito, nonostante quel che sostiene J. BRONKHORST, Some Observations on
the Padapāţha of the g Veda, «II]» 24 (1982), pp. 181-189, 273-282, mancano prove testuali e
filologiche certe per far risalire la recensione scritta del Padapāţha al 700 a.c.; vd. tuttavia, M.
BLOOMFIELD – F. EDGERTON, Vedic Variants, Philadelphia 1932, voI. II., pp. 400 sgg., con
l’indicazione di errori testuali sicuramente di origine scrittoria.
46
Vd. supra, pp. 207 sgg.
47
Oltre a quanto già detto sopra. (vd., pp. 220 sgg.), in questo ambito sono importanti gli
studi di M. McLuhan e del suo allievo D. de Kerckhove (troppo alla moda per doverli citare), i
lavori di J. Goody (vd. alla nota seguente) e quelli di W. J. ONG, soprattutto The Presence of the
Word, New Haven – London 1967, trad. it. Bologna 1970; ID., Interlaces of the Word, Ithaca –
London 1971; ID., Fighting for life: Context, Sexuality, and Consciousness, Ithaca – London 1981;
ID., Orality and Literacy. The Technologizing of the Word, London – New York 1982, trad. it.
Bologna 1986; ID., Writing and the Evolution of Consciousness, «Mosaic» 18 (1985), pp. 1-10;
ID., Writing is a Technology that Restructures Thought, in P. DOWNING – S. D. LIMA – M.
NOONAN (eds.), The Linguistics of Literacy, Amsterdam – Philadelphia 1992, pp. 293-319. Per un
commento critico-culturale a queste teorie, vd. P. GOETSCH, Der Übergang von Mundlichkeit zu
Schriftlichtkeit. Die kulturkritischen und ideologischen Implikationen der Theorien von McLuhan,
Goody and Ong, in W. RAIBLE (ed.), Symbolische Formen Medien Identität, Tübingen 1991, pp.
113-129.
48
Vd. J. GOODY – I. P. WATT, The Consequences of Literacy, «CSHS» 5 (1963), pp.
304-345 (poi in J. GOODY (ed.), Literacy in Traditional Societies, Cambridge 1968, pp. 27-84); J.
GOODY, The Domestication of the Savage Mind… cit. (nota 175, p. 105), e soprattutto ID., Oral
composition and Oral Transmission: A Note on the Vedas, in B. GENTILI – G. PAIONI (eds.),
Oralità. Cultura, letteratura, discorso, Roma 1985, pp. 7-17 (poi in J. GOODY, The Interlace
between the Written and the Oral… cit. (nota 127, p. 92), pp. 120-132); ID., The Logic of Writing
and the Organization of Society, Cambridge 1986, trad. it. Torino 1988.
49
Su ciò, vd. anche F. OLIVER, Some Aspects of Literacy in Ancient India, «QNL» 1 (1979),
pp. 57-62.

275
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Questa ipotesi radicale ha suscitato qualche reazione contraria, da


50
parte soprattutto degli oralisti ad oltranza, ma ha anche trovato
51
qualche estimatore tra i linguisti storici.
Al di là delle due posizioni estreme, – la tradizione vedica è
sempre stata soltanto orale – senza la scrittura non avremmo i Veda –,
credo che la questione si possa porre con più equilibrio nei termini
seguenti: una antichissima tradizione poetica di origine i.e., sopravvis-
suta, coltivata e accresciuta nella migrazione della diaspora, ha trovato
la sua continuazione in India nelle tradizioni orali delle singole fami-
glie di poeti; quando poi «il poeta degli inni, inteso come tipo sociale,
scomparve assieme alla società che l’aveva prodotto, […] prevalse la
sacertà
52
del corpus innico su quella dell’ormai diversa attività poeti-
ca».
Nella fase dunque di redazione del canone vedico, e non certo in
quella della composizione degli inni, è verosimile che la scrittura sia
stata d’aiuto in «una scelta fatta ab antiquo e imposta dalla necessi-
53
tà» causata da una crisi culturale: «quasi tutti i grandi corpora
tradizionali vengono raccolti e redatti in momenti di crisi o cambio
culturale, quando chi li aveva espressi non c’era più. Così dev’esser
accaduto anche nel caso del gVeda: era rimasto vitale un forte
interesse speculativo ed un interesse liturgico, e non dubito che
potessero esistere – prima della redazione – delle limitate samhitā
familiari orientate appunto verso i bisogni inerenti al sacrificio, ma si
trattava – appunto – di un’altra temperie culturale. Chi redasse piena-
54
mente il Veda, ormai lo comprendeva solo parzialmente».
Non credo comunque a un gVeda scritto e canonizzato in toto in
epoca pre-pāņiniana, anche se va ricordato che le scuole rigvediche si
sono costituite quando la redazione canonica del gVeda era già
55
conclusa e il testo oramai canonizzato, ma penso piuttosto a scritti

50
Vd. per es. H. FALK, Goodies for India. Literacy, Orality, and Vedic Culture, in W. RAIBLE
(ed.), Erscheinungslormen kultureller Prozesse, Tübingen 1990, pp. 103-120, ma anche F. STAAL,
The Fidelity of Oral Tradition and the Origin of Science, Amsterdam 1986.
51
Vd. per es. F. CREVATIN, art. cit., pp. 65 sgg.
52
Ivi, p. 68.
53
Cit. da P. DAFFINÀ, art. cit., p. 39.
54
Cit. da F. CREVATIN, art. cit., p. 68, con bibl.
55
Vd. L. RENOU, Les écoles… cit. (nota 41, p. 274), passim, e F. CREVATIN, art. cit., p. 64;
sulle scuole vediche in generale, vd. ora M. WITZEL, Materialien zu den vedischen Schulen. Über
die Caraka-Śākha, I = «Stlr» 7 (1980), pp. 108-132, II = «Stlr» 8 (1981), pp. 171-240; ID., On the

276
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

di appoggio alla tradizione orale, così come in qualche modo è la


stessa grammatica di Pāņini, costruita tutta in funzione dell’apprendi-
mento mnemonico e della trasmissione orale, a materiali scrittorii
(volutamente) poco conservabili, a liste di vocaboli ormai poco intel-
56
legibili come quella commentata da Yāska e necessarie perciò al-
57
l’esegesi, a ‘libri di famiglia’, a una situazione insomma non dissimile
da quelle iranica, celtica e forse greca.
Anche se ebbe un ruolo nella formazione del canone vedico, la
scrittura rimase tuttavia in India uno strumento a lungo vituperato e
proibito nella trasmissione e nella divulgazione dei Veda – nel Mahā-
bhārata (13, 24, 70), ad esempio, ne viene fatto esplicito divieto –,
perché i sacerdoti vedici, non diversamente dal clero zarathustriano,
difesero strenuamente il loro potere di casta. Questo spiegherebbe,
anche a mio parere, perché non vi siano tracce della scrittura nella
tradizione brahmanica: «nella tradizione brahmanica nulla si trova
che ci consenta di capire che impiego si facesse, nel suo ambito, della
scrittura. Apparentemente nessuno se si toglie quello epigrafico, ini-
ziato dal buddista Asoka, ma poi adottato anche dai sovrani brahma-
nici; o quello epistolare attestato da Kālidāsa. […] La letteratura non
buddistica dell’India è reticentissima su tutto quanto concerne la
58
scrittura e il suo impiego, specie il suo impiego letterario», e questo
perché «una volta messi per iscritto, c’era il rischio che i testi sacri
finissero in mani non brahmaniche e s’infrangesse così il monopolio
dai brahmani gelosamente detenuto. Quindi la necessità non solo di
tener nascosto il testo scritto e di fare come se non esistesse, ma anche
di non insegnare a leggere e a scrivere a nessuno che non fosse
59
appartenuto alla casta monopolizzatrice».
Questa forma, diciamo così, di autodifesa, inoltre, trovò appoggio
in – e a sua volta diede nuovo vigore a – una tradizione di

Localisation of Vedic Texts and Schools, in G. POLLET (ed.), Fest. Eggermont, Leuven 1987, pp.
173-213.
56
Yāska, vissuto forse nel VI a.c., è l’autore del Nirukta, un’opera in cui commenta una
lista di parole vediche di difficile interpretazione, una lista tradizionale e già studiata da altri
prima di lui, definita Nighaņţu.
Vd., tra gli altri, R. DANDEKAR, The Two Births of Vasişţha. A Fresh Study of gVeda VII,
57

39, 9-14, in Gedenkschrift H. Güntert, Innsbrück 1974, pp. 223 sgg.; E. CAMPANILE – C.
ORLANDI – S. SANI, 1974.
58
Cit. da P. DAFFINÀ, art. cit., p. 31.
59
Ivi, p. 33.

277
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

60
esoterismo scrittorio che risaliva ai poeti famigliari e ai loro ante-
cedenti i.e.
Anche in India, insomma, così come nel resto del mondo i.e. che
conserva le tracce più cospicue della lingua poetica, – un mondo,
quello i.e., come ha osservato qualcuno, che non ha mai dato vita a un
61
sistema di scrittura originale –, nel periodo protostorico e per gran
parte di quello storico, la scrittura ebbe un uso assai limitato e fu
sempre ostacolata e osteggiata da coloro che detenevano il monopolio
della tradizione sapienziale orale.
Le istanze ultime di tale atteggiamento, che si può senza troppi
imbarazzi far risalire al periodo comune, a una vera e propria ideolo-
62
gia i.e. della memoria, risalgono però, come ha indicato anche F.
Bader – «la civilisation i.e. est une civilisation à oralité, où l’écriture
63
est réservée à des initiés comme Odinn ou Bellérophon» – e come
vedremo meglio ora, alla tradizione ermetica dei poeti i.e. e alla loro
conoscenza iniziati ca della scrittura.
***
A partire dal 1987, F. Bader, in una serie di lavori che qui, a
64
completamento di quanto già detto sopra, conviene riprendere, ha
reso dapprima sostenibile e poi, a mio parere, convincente, l’ipotesi
che le popolazioni i.e. conoscessero la scrittura fin dalle fasi più
arcaiche.
Secondo la studiosa, la prova di ciò risiederebbe innanzitutto nel
fatto che in i.e. esisteva una radice di diffusione quasi pan-dialettale,

60
Come ricorda P. DAFFINÀ, art. cit. ,p. 34 (e note 66 e 67), di uso esoterico della scrittura
da parte dei sacerdoti indiani, parlavano già nel 1873-74 W. D. Whitney e A. C. Burnell.
61
Cfr. H. HAARMANN, «IF» 96 (1991), pp. 5 (all’esistenza della cosiddetta proto-scrittura
europea di Vincâ comunque non credo); è di questa opinione anche R. AMBROSINI, Le lingue
indo-europee… cit. (nota 3, p. 126), p. 42: «gli i.e., quindi, non avevano escogitato nessuna grafia
nuova, ma hanno imparato a scrivere da alcune genti in cui si sono imbattuti»; in generale, vd.
anche H.J. MARTIN, Histoire et pouvoirs de l’écrit, Paris 1988, trad. it. Roma – Bari 1990, pp. 10
sgg.
62
Cfr. M. DURANTE, 1976, pp. 179 sgg.; E. CAMPANILE, 1990c, cap. III; F. BADER, 1988b,
passim.
63
Cit. da F. BADER, 1989, nota 1, p. 99; sulle iniziazioni di Odino e Bellerofonte alla
scrittura, vd. ivi, pp. 36 sgg.; che gli Indeuropei evitassero consapevolmente l’uso della scrittura
e che quella i.e. fosse una civiltà fondata sull’oralità, era d’altronde un’idea già di A. MEILLET,
Aperçu d’une histoire de la langue grecque, Paris 1913, I ed., pp. 151-152.
64
Vd. F. BADER, La racine de POIKILOS… cit. (nota 8, p. 33), poi EAD., 1988b, 1989; vd.
supra, pp. 32 sgg., e le singole voci della Bibliografia critica.

278
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

che indicava l’atto di scrivere; tale radice, *pei-k-/*pei- g- , attestata in


indo-iranico, balto-slavo, greco, latino, germanico e tocario col signi-
65
ficato di “scrivere, pitturare, ornare”, avrebbe avuto come valore
più antico e più generico quello di “user d’une pointe pour entrer
dans, user d’un instrument pointu pour inciser (graver, entiller, détial-
ler)”; un significato, che, nella lunga vicenda che ha portato questa.
radice dall’“incidere” del periodo paleolitico allo “scrivere” del
neolitico, «a déterminé son emploi pour les diverses techniques qui
mettent en oeuvre l’entaille au moyen d’un instrument pointu,
poinçon, aiguille, ecc.: gravure sur pierre (et os), qui a pu être accom-
pagnée de peinture, et à laquelle est anciennement associée l’écriture
[‘inscrite’]; puis gravure sur métal (et écriture sur supports divers);
ornementation des tissus, étoffes par broderie et tapisserie, et tissu
66
corporel humain, par tatouage».
Basandosi poi su quanto sostiene A. Leroi-Gourhan sulla comune
origine del grafismo, dei coloranti (ocra e manganese) e degli oggetti
ornamentali a partire dal paleolitico superiore, e cioè sul fatto che
sebbene la figurazione artistica e la scrittura, dalla nascita dell’econo-
mia agricola neolitica, appaiano come due strade divergenti, in realtà
67
ne costituiscono una sola, F. Bader sostiene che «on ne s’étonnera
pas qu’une même racine ait été employée à la fois pour la peinture et
pour l’écriture; ce n’est qu’une illustration linguistique d’un phéno-
méne général, qui concerne les rapports entre l’art figurative et l’écri-
ture. […] La technique commune aux deux que désigne la racine
*pei-k-, *pei-g- dans les langues i.e. est celle de la gravure, qui accompa-
gne la peinture p. ex. à Lascaux. Cette technique date de l’age de
68
pierre».
Per il suo significato, infatti, «cette racine s’est appliquée à ce que
nous devons considérer comme la prèmiere des techniques par le-
squelles celle-ci a été produite, l’incision, sans référence au type
69
d’écriture, ideographique, syllabique, alphabetique […], e ciò ren-

65
Cfr. POKORNY, p. 794; FRISK, S.v. poik…loj; CHANTRAINE, s.v. poik…loj; ERNOUT-MEILLET,
s.v. pingō; MAYRHOFER, II, p. 268, ecc.
66
Cit. da F. BADER, La racine de… cit., pp. 41-42.
67
Vd. A. LEROI-GOURHAN, Le geste et la parole. Technique et language, Paris 1964, trad. it.
Torino 1977, voI. I, cap. VI.
68
Cit. da F. BADER, art. cit., pp. 45-46.
69
Cit. da F. BADER, 1988b, p. 226.

279
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

de possibile che gli i.e., pur non avendola inventata, abbiano cono-
sciuto la scrittura fin dalle sue origini.
Alla testimonianza dell’etimologia, F. Bader aggiunge, come si è
70
già detto sopra, un’analisi della ‘lingua degli dei’ dell’Iliade tanto
efficace quanto sorprendente, dimostrando che in essa, per il tramite
di una serie di figure fonetiche, è nascosto un’alfabeto; si tratta di
«une recherche alphabétique, qui est en meme temps phonologique:
elle et l’oeuvre d’un poète qui réfléchi à l’adequation entre sons et
lettres de l’alphabet, à une époque qui doit et re de peu postériore à
71
l’adoption de l’alphabet phénicien par le grec […].
Questa ricerca, sebbene non possa risalire oltre al tempo dell’ado-
zione dell’alfabeto da parte dei Greci, tuttavia, suppone

un einsegnament dispensé dans des écoles de poètes, comparable aux écoles


de druides […], écoles dout nous ne savons quasiment rien par suite de la
volonté d’hermétisme qui entourait tout ce qui avait trait à l’acquisition d’un
savoir que les initiés voulaient initiatique […]: le savoir des poètes, les
omniscientes, qui devaient n’apprendre ii écrire qu’au terme de longues
années d’initiation, en meme temps qu’ils se rendaient maîtres de l’analyse
phonique des élements de la langue pour l’agencement de leurs vers […],
ainsi que des techniques d’hermétisme qui ont leur point d’aboutissement
72
extrême dans la pratique de la langue des dieux.

All’interno dunque di una tradizione di ermetismo che risale al


periodo comune e la cui esistenza è testimoniata da quei passaggi a
doppia lettura e dalla letteratura di enigmi messi in luce dalle ricer-
che di73 C. Watkins, di E. Campanile e soprattutto della stessa F.
Bader – oltreché dalle precedenti intuizioni di C. A. Lobeck, F.
74
Saussure e V. N. Toporov –, «des spécialistes du langage, dans le
monde indo-européenn qui connaissait l’écriture, ont certainement
réfléchi au problème de l’adequation de l’écriture, quelle qu’elle soi,

70
Vd. supra, pp. 32 sgg.
71
Cit. da F. BADER, 1988b, p. 217.
72
Ivi, p. 226, i corsivi sono dell’A.
73
Vd. C. WATKINS, 1970, 1978b, 1988b; E. CAMPANILE, 1986b, 1988; F. BADER, 1988b,
1989, 1990a, 1990b, 1990c, 1991b, 1991c.
74
Vd. C. A. LOBECK, Aglophamus sive de Theologiae Mysticae Gracorum Causis Libri tres,
II. Regimontii Prussorum 1829; J. STAROBINSKI, Les mots sous les mots, Paris 1971; T. ELIZA-
RENKOVA – V. N. TOPOROV, 1979.

280
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

aux phonèmes (dont leurs jeux phoniques supposent une analyse


75
précise)».
La ricerca e i giochi alfabetici del poeta della ‘lingua degli dei’
76 77
dell’Iliade, così come quelli dei poeti vedici, dei poeti iranici e dei
78
poeti celti, le tradizioni iniziatiche del mondo greco e germanico e le
79
interdizioni alla scrittura ancora vigenti in epoca storica, dimostrano
insomma che gli Indeuropei, pur «non avendo mai provato, prima di

75
Cit. da F. BADER, 1988b, p. 219.
76
Su ciò, vd. anche C. WATKINS, 1987b.
77
Cfr. M. SCHWARTZ, Coded Sound Patterns, Acrostics, and Anagrams in Zoroaster’s Oral
Poetry, in R. SCHMITT – P. O. SKJAERVO (eds.), Fest. H. Humbach, München 1986, pp.
327-392; è questo uno studio importante perché, pur essendo limitato al solo ambito gathico,
giunge sostanzialmente alle stesse conclusioni della Bader e degli altri studiosi citati sopra:
«prominent stylistic idiosyncrasies of Gathic style include manipulations of complete and
partial (id est subphonemic) homophon and a variety of acrological and anagrammatic devices,
often in coordination with semantically illustrative or geometrically symmetrical arrangements.
(As concerns the latter data, I believe that the printed stanza, arranged in lines of verse,
‘translates’ a pre-literate mental representations, structured through regular metrical groupin-
gs. Foregrounding was achieved here via syllable stress, phonic play, patterned repetition of
elements, positional and semantic-syntactic factors, and emphases during performance). […]
From a specifically linguistic viewpoint, the rearrangement (and therefore abstraction) of
phonemes into oral acrostics is a unique indication of intuitive linguistic analysis. The deran-
gement or breakdown of the usual relations of sound and meaning in the Gathas cannot be
separated from characteristics of poetry, folk riddles, hierophantic and other kinds of charged
utterance, which also feature wordplay and a variety of phonic effects, ranging from allittera-
tive to anagrammatic. […] Obviously, the Gathic data call for comparison, positive and
negative, with stylistic features of the extra-Gathic Avesta, the Vedas, and other ancient
Indo-European literatures. Here the controversial speculations of F. de Saussure, published
posthumously by J. Starobinski, come to mind. […] The decoding [of the acrothemes,
acrostics, endothemes, and anagrams, and their complex overlaps] also provides a view of
Zarathushtra’s theology, particularly his canonized abstractions, from within the encoded
esoterism of his poetry» (ivi, pp. 379-380).
78
Una gran mole di dati sul mondo celtico, gli alfabeti criptati, l’esoterismo scrittorio, ecc.,
la si troverà, affastellata con molto altro come era abitudine di questo A. enciclopedico e
autodidatta, in R. GRAVES, The White Goddess… cit. (nota 51, p. 252), passim.
79
A questo riguardo, non è forse inutile ricordare qui che anche nella tradizione del libro
per eccellenza, quella ebraica, non mancano per il periodo più antico tracce di proibizione
all’uso della scrittura, a dimostrazione ulteriore del fatto, come si vedrà tra breve, che ogni
cultura orale, per sopravvivere, deve difendere se stessa o farsi libro: cfr. C. HAGÈGE, L’homme
de paroles, Paris 1985, trad. it. Torino 1989, pp. 64 sgg., con l’indicazione dei passi delle
Scritture e la bibl. specifica; su ebraismo e scrittura, è oramai un classico J. DERRIDA, L’écriture et
la difference, Paris 1967, trad. it. Torino 1990; nuove prospettive in W. KELBER, Mark and Oral
Tradition, «Semeia» 16 (1980), pp. 7-55; ID., The Oral and the Written Gospel: the Hermeneutics
of Speaking and Writing in the Synoptic Tradition, Mark, Paul and Q., Philadelphia 1983; vd.
anche M. O’CONNOR, Hebrew Verse Structure, Winona Lake (Ind.) 1980. Attendono ancora di
essere sfruttate le idee geniali di S. Freud (vd. ID., Der Mann Moses und die monotheistische
Religion, Amsterdam 1939, poi in Opere… cit., [nota 27, p. 162], vol. XI, pp. 331 sgg.) sul
legame tra latenza psicologica, scrittura e oralità nella tradizione ebraica.

281
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

espandersi o durante i primi periodi di espansione, la necessità di


80
inventare un sistema grafico», appresero assai presto dell’esistenza
della scrittura e impararono a usarla.
Da chi? È possibile qui una sola risposta: da coloro che l’avevano
per primi inventata, cioè dalle popolazioni anindeuropee del Vicino
Oriente.
In che modo? Attraverso quel sistema di interfacce visto sopra, un
sistema di cui la lingua poetica i.e rappresentava, per il versante i.e.,
uno dei moduli più potenti.
Quando e dove? Ad iniziare dal periodo della transizione finale
mesolitica e fino al neolitico pieno, a ridosso delle prime culture
urbane vicino-orientali.
Perché la conoscenza della scrittura rimase per lungo tempo tra
gli Indeuropei una conoscenza limitata a pochi iniziati? Anche qui
esiste, a mio parere, una sola risposta possibile, seppure più articolata
delle precedenti: perché la scrittura, costituendo per sua natura un
sapere specialistico – «Writing is an,ermetical operation […] absence
81
speak to absence» –, fu assunta, come si è appena visto, come parte
del bagaglio di sapienza ermetica trasmesso dall’insegnamento tradi-
zionale delle scuole poetiche di ascendenza i.e., e perché coloro che
erano deputati alla conservazione e alla trasmissione del patrimonio
tradizionale, in primo luogo i poeti, si resero conto che la diffusione
della scrittura e il suo utilizzo generalizzato avrebbero sconvolto dalle
fondamenta il senso di autoidentificazione che sosteneva la loro socie-
tà, cioè la tradizione orale codificata e trasmessa dalla lingua poetica
(oltreché minato alle basi il loro ascendente sulla gente ‘incolta’), e che
ciò avrebbe causato l’assimilazione etno-linguistica delle loro culture e
dei loro popoli da parte delle civiltà vicino-orientali – civiltà più
avanzate di quella i.e. nel processo di transizione verso il neolitico
pieno – con cui erano entrati in contatto, un fatto, quest’ultimo, di cui
le vicende degli i.e. anatolici, sono, in generale, la migliore testimo-
nianza.
Detto ciò, occorre ancora, tuttavia, motivare cognitivamente e
psicologicamente la necessità di una difesa attiva della tradizione
orale: a questo scopo, è necessario fare un passo indietro e tornare al

80
Cit. da R. AMBROSINI, Le lingue indo-europee… cit., p. 43.
81
Cit. da W. J. ONG., Writing and the… cit., p. 7.

282
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

funzionamento in generale della memoria, lo strumento principe di


82
ogni tradizione orale.
Secondo J. Bruner, nel ruolo svolto dalle narrazioni dell’etno-
psicologia nell’organizzazione dell’esperienza, sono particolarmente
importanti due aspetti:

il primo […] viene di solito indicato come strutturazione, o riduzione in


schemi, l’altro è la regolazione dell’affetto. La strutturazione fornisce uno
strumento per ‘costruire’ un mondo, per caratterizzarne il flusso, per suddi-
videre gli eventi al suo interno ecc. Se non fossimo in grado di operare tale
strutturazione, ci perderemmo nel buio di esperienze caotiche, e probabil-
mente non saremmo sopravvissuti come specie. La forma tipica di struttura-
83
zione dell’esperienza (e del nostro ricordo di essa) è narrativa, e J. Mandler
ha il merito di averne raccolto le prove, dimostrando che ciò che non viene
strutturato in forma narrativa non viene ricordato. La strutturazione fa
proseguire l’esperienza nella memoria dove […] viene sistematicamente modi-
ficata per conformarsi alle nostre rappresentazioni canoniche del mondo socia-
le, oppure, se ciò non è possibile, finisce o con l’essere dimenticata, o con
84
l’essere messa in evidenza per la sua eccezionalità.
85
Come afferma anche J. Shotter, la strutturazione è sociale ed è
finalizzata alla condivisione del ricordo nell’ambito di una cultura
specifica e non ad assicurare soltanto l’immagazzinamento individua-
le.
Per quel che riguarda l’altro aspetto, quello della regolazione
dell’affetto, J. Bruner fa invece riferimento agli studi classici di F. C.
86
Bartlett:

ogni gruppo sociale è organizzato e tenuto insieme da una tendenza psicolo-


gica specifica, o un insieme di tendenze, che assicura al gruppo una direttrice

82
Vd. anche supra, pp. 222 sgg.
83
J. Bruner fa qui riferimento a J. MANOLER, Stories, Scripts, and Scenes: Aspects of Schema
Theory, Hillsadale (NJ) 1984; vd. anche supra, pp. 195 sgg.
84
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), pp. 65-66 (l’ultimo corsivo è
mio); vd. anche supra, pp. 215 sgg.
85
Cfr. J. SHOTTER, The Social Construction of Forgetting and Remembering, in D. MIDDLE-
TON – D. EDWARDS (eds.), Collective Memory, London 1990.
86
Vd. F. C. BARTLETT, Psychology and Primitive Culture, Cambridge 1923; ID., Remembe-
ring: a Study in Experimental and Social Psychology, Cambridge 1932, trad. it. Milano 1975; su
tutto ciò, vd. anche MARY DOUGLAS, How Institutions Think, London 1987, trad. it. Bologna
1990.

283
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

per quel che riguarda i suoi rapporti con le circostanze esterne. La direttrice
impianta le caratteristiche persistenti tipiche della cultura del gruppo […] [e
questo] determina immediatamente ciò che l’individuo osserverà nel suo
ambiente e quali aspetti della vita passata egli collegherà a tale risposta
diretta. Questa operazione è eseguita soprattutto in due modi. In primo
luogo, fornendo quell’insieme di interesse, eccitazione ed emozione che
favorisce lo sviluppo di immagini specifiche; in secondo luogo, fornendo una
struttura stabile di istituzioni e di abitudini che agisce come base schematica
per il ricordo costruttivo. […] Consideriamo ora quei mezzi imposti dalla
cultura per dirigere e regolare l’emotività nell’interesse della coesione cultu-
rale, a cui Bartlett si riferisce. […] Ciò che vi è di più caratteristico negli
‘schemi di memoria’ […] è il fatto che essi cadono sotto il controllo di un
‘atteggiamento’ emotivo. Egli osserva infatti che qualunque ‘tendenza conflit-
tuale’ che possa disgregare l’equilibrio individuale o minacciare la vita sociale è
87
probabile che destabilizzi anche l’organizzazione della memoria. È come se
l’unità dell’affetto (in contrapposizione al ‘conflitto’) fosse una condizione
per la schematizzazione economica della memoria. […] Nello sforzo di
ricordare qualcosa, […] ciò che di solito si affaccia subito alla mente è uno
stato emotivo o un ‘atteggiamento’ carico di valenze: ricordiamo che ‘quella
cosa’ era spiacevole, produceva una sensazione di imbarazzo, o di eccitazio-
ne. L’affetto è come un’impronta generale dello schema da ricostruire. […]
L’atto della rievocazione risulta dunque un atto ‘pregnante’, dal momento
che espleta una funzione ‘retorica’ nel processo di ricostruzione del passato.
[…] La rievocazione del passato ha anche una funzione dialogica. L’interlo-
cutore della persona che ricorda (che sia presente fisicamente o nella forma
astratta di un gruppo di riferimento) esercita una pressione sottile ma conti-
nua. […] In una parola, i processi che hanno effettivamente a che fare con
l’atto di ‘avere e mantenere’ un’esperienza sono informati a schemi che
appartengono alle concezioni del nostro mondo proprie della psicologia
88
popolare […].

Credo sia evidente come tutto ciò che sostiene Bruner si inserisca,
arricchendolo, nel quadro fin qui delineato: la difesa della propria
identità etno-linguistica, della propria diversità, della differenza, e la
difesa della memoria e della sua organizzazione strutturale – le formu-
89
le, i temi, le tassonomie –, e istituzionale – la lingua poetica stessa –,

87
Avevano dunque in qualche modo ragione Cesare, e prima di lui Platone, a sostenere che
la scrittura, in quanto causa di conflitti, rovina la memoria!
88
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit., pp. 66-67 (i corsivi sono miei).
89
Sulla lingua poetica i.e. come contesto istituzionale, vd. G. COSTA, 1990, pp. 25-26 e p.
63.

284
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

si legano a formare un unico atteggiamento cognitivo e psicologico,


teso ad assicurare la coesione e la sopravvivenza del gruppo.
In conclusione, dunque, la lingua poetica, nelle sue varie articola-
zioni, ad un certo punto della sua storia costituì anche l’estrinsecazio-
ne della presa d’atto, della consapevolezza, del riconoscimento da
parte dei depositari della conoscenza tradizionale, cioè dei poeti, che
il nucleo fondamentale dell’identità i.e. consisteva nell’essere essa una
civiltà orale fondata sulla memoria delle proprie tradizioni, e che per
poter sopravvivere nelle temperie della diaspora e far fronte alla
minaccia rappresentata dai potenti ed estranei sistemi semiotici del
90
mondo mesopotamico, basati sulla scrittura, tale doveva rimanere.
La lingua poetica rappresentò dunque per alcuni popoli i.e. l’au-
tocoscienza della propria oralità.

4.2. LA LINGUA POETICA COME ORALITÀ DELLA COSCIENZA

Oltreché la consapevolezza dell’oralità in quanto nocciolo della


propria identità etnolinguistica, la lingua poetica costituì, per i popoli
i.e. che ne usufruirono, una vera e propria forma di autocoscienza,
una autocoscienza in cui, tuttavia, l’assunzione dell’oralità come fatto-
re fondante e discriminante del1a propria diversità giocò un ruolo
fondamentale. Per tentare di ricostruire per sommi capi il funziona-
mento e le finalità di tale tipo di coscienza, occorre ora richiamare alla
memoria alcune osservazioni fatte in precedenza.
91
Come si è detto, nelle relazioni tra mappa e territorio, quello che
passa dal territorio alla mappa è la notizia di una differenza, cioè
un’informazione: se il territorio è omogeneo, sulla mappa non ci sono
segni, vale a dire che le distinzioni che non vengono percepite ed
92
estratte non esistono.
93
Si è detto anche che la coscienza è una strategia cognitiva
integrativa per la gestione delle informazioni riguardanti noi stessi e il
mondo che ci circonda, e che l’autocoscienza è, in primo luogo, la

90
Vd. anche G. COSTA, Su alcune espressioni indeuropee della sovranità… cit. (nota 100, p.
51), pp. 77 sgg.
91
Vd. supra, pp. 141 sgg.
92
Vd. supra, p. 150.
93
Vd. supra, pp. 160 sgg.

285
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

consapevolezza di avere a disposizione un tale strumento interpretati-


vo della realtà.
La coscienza può essere allora definita anche come la mappa
mentale delle informazioni, in quanto notizie di differenze, che noi
percepiamo ed estraiamo dal territorio in cui siamo chiamati ad
operare.
Nel momento in cui tracciamo consapevolmente la mappa della
94
coscienza, facciamo uso dell’autocoscienza: la scelta sistematica me-
diante un insieme di finalità e priorità collettivo-individuali delle
95
informazioni che devono entrare a far parte della coscienza, è
dunque ciò che determina la configurazione consapevole della map-
pa.
Si è detto anche, infine, che se l’informazione è scelta in maniera
sistematicamente sbagliata, cioè se l’autocoscienza traccia mappe della
coscienza inadeguate a descrivere la realtà, ciò può causare la
morte, cioè la scomparsa fisica o l’annullamento dell’identità psicolin-
96
guistica, del gruppo sociale.
***
97
Con la nascita del linguaggio, come si è visto, attraverso un
processo di definizione del mondo, i modelli mentali vennero portati
sotto il controllo dell’apparato simbolico, creando un nuovo sistema
di rappresentazione della realtà verbalmente codificato.
Nelle società a cultura mitico-orale, la modalità linguistica predo-
minante è la narrazione e il prodotto supremo della narrazione sono i
98
miti, cioè i racconti tradizionali.
In questo tipo di società, il corpus dei racconti tradizionali costi-
tuisce la mappa dei ruoli e dei mondi possibili in conformità ai quali
99
azione, pensiero e definizione di sé sono consentiti o desiderabili,

94
È bene qui ricordare ancora una volta che anche quando crediamo di percepire la realtà
così come è attraverso i sensi, cioè di tracciare inconsapevolmente la mappa della nostra
coscienza, esiste comunque nella nostra mente un’epistemologia culturalmente e geneticamente
determinata, cioè un sistema di presupposizioni inconsce che regola il modo in cui percepiamo:
cfr. supra, pp. 144 sgg.
95
Vd. supra, pp. 215 sgg.
96
Vd. supra, pp. 217 sgg.
97
Vd. supra, pp. 194 sgg.
98
Vd. supra, pp. 195 sgg.
99
Vd. supra, pp. 202 sgg.

286
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

il corpus,
100
cioè, rappresenta la coscienza della società che lo espri-
me.
101 102
Seguendo Burkert e Bruner, abbiamo visto, tra l’altro, che i
due aspetti principali del modo con cui le narrazioni tradizionali – il
corpus dei miti – organizzano l’esperienza, cioè tracciano la mappa
delle informazioni che dà luogo alla coscienza, sono la strutturazione
o riduzione in schemi del flusso di eventi esperienziali, e la regolazio-
ne dell’affetto: il primo aspetto, fornisce una struttura stabile di
istituzioni e di abitudini che agisce come base schematica per il
ricordo costruttivo, mentre il secondo, creando una tendenza psicolo-
gica comune, impedisce che potenziali o concreti conflitti individuali
103
o collettivi intacchino l’organizzazione della memoria.
Quando con l’invenzione visuo-simbolica, nacque la memoria
esterna, che, come si è detto, può essere visiva (ad esempio, le pitture
parietali paleolitiche), scritta o elettronica, ma anche, e agli inizi
soprattutto, orale, – la memoria esterna, infatti, «può risiedere in
parecchi e differenti magazzini esterni, compresi […] i ricordi di altri
104
individui che vengono trasmessi culturalmente» –, si creò un siste-
ma di immagazzinamento simbolico esterno (SISE), basato sulle nar-
105
razioni tradizionali e sulla loro organizzazione, il cui uso efficace
dipese anche dalla creazione di una mappa del SISE stesso, cioè di un
reticolo di meta-informazioni, di informazioni su come ottenere infor-
mazioni, di indicatori, «di marcatori delle priorità che addestrano la
memoria biologica a cogliere l’importanza relativa di diversi item e
106
differenti vie di accesso», ai contenuti del SISE. Tale mappa fu
implementata nella memoria biologica, perché, giova qui ripeterlo, «la
memoria biologica deve contenere informazioni sulla struttura e sulle
vie di accesso del SISE, come anche sui suoi codici di richiamo.
Queste capacità sono necessarie […] per trovare le informazioni quan-
107
do occorre».

100
Vd. supra, pp. 214 sgg.
101
Vd. supra, pp. 197 sgg.
102
Vd. supra, pp. 283 sgg.
103
Vd. supra, p. 284.
104
Vd. supra, pp. 205 sgg.; M. Donald, pur accennando all’esistenza di questa possibilità,
non la sviluppa adeguatamente.
105
Vd. supra, pp. 223 sgg.
106
Cit. da M. DONALD, op. cit. (nota 10, p. 158), p. 375.
107
Vd. supra, pp. 222 sgg.

287
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

La costituzione di un SISE «introdusse una dimensione del tutto


nuova nel quadro cognitivo umano: la gestione della memoria su
108
ampia scala, portò con sé i concetti di selettività e priorità», cioè i
due principali concetti che crearono le basi cognitive per l’insorgere
dell’autocoscienza verbale, perché consentirono di selezionare sulla
base delle finalità del gruppo le informazioni da proiettare sulla
mappa della coscienza, cioè consentirono l’uso consapevole della
coscienza: l’autocoscienza.
***
Nel mondo di lingua i.e., una prima fase di consolidamento e di
fissazione della tradizione orale formata dal corpus dei miti (e dei riti),
avvenuta verosimilmente tra la fine del paleolitico superiore e durante
109
il mesolitico, significò, dal punto di vista cognitivo, la creazione di
un SISE collettivo orale formato dal corpus dei racconti tradizionali, –
110
in poesia perché marcati rispetto alla lingua quotidiana e perché
111
solo così potevano essere memorizzati e ricordati, e organizzati,
veicolati e resi significanti dalla lmgua poetica in quanto lingua e
112
tecnica della poesia –, un SISE integrato a sua volta con un campo
113
della memoria esterna (CME) individuale e collettivo, cioè i ricordi
114
personali e le attese dell’uditorio.
La lingua poetica, in quanto anche sistema di codificazione e di
trasmissione della cultura tradizionale – espressa dal corpus dei miti –
115
attraverso le formule, i temi e le tassonomie che li strutturano,
divenne poi, cognitivamente, la mappa del SISE, cioè del corpus
mitico stesso, diventato per dimensioni e importanza un insieme non
più gestibile dalla sola memoria biologica individuale, e dunque collo-
cato in una memoria esterna collettiva e orale: la lingua poetica è
pertanto anche la mappa cognitiva che guida all’interno dell’organiz-
zazione delle differenze percepite ed estratte dalla realtà di cui gli i.e.
erano consapevoli.

108
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 373; vd. anche supra, pp. 222 sgg.
109
Vd. supra, pp. 267 sgg.
110
Vd. supra, pp. 125 sgg.
111
Vd. supra, pp. 88 sgg.
112
Vd. supra, pp. 126 sgg.
113
V d. supra, pp. 207 sgg.
114
Vd. supra, p. 95 e p. 284.
115
Vd. supra, pp. 298 sgg.

288
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
116
Essa, e in questo aveva ragione in parte E. Campanile, è giunta
a noi frammentaria perché le singole differenze sono di per sé fram-
menti di informazione, mentre il quadro cognitivo completo è dato
dalla rete integrale costituita dalla lingua poetica – nella sua doppia
accezione di lingua dei testi poetici e di insieme di tecniche poetico-
culturali che la distinguono in quanto lingua dalla prosa quotidiana –,
dal corpus dei racconti tradizionali e dalla mente e dalla memoria dei
poeti e del loro pubblico: un sistema biocibernetico creaturale in cui
117
«vaste porzioni della rete pensante sono poste fuori dal corpo».
Il compito di trasmettere, conservare e adeguare progressivamen-
te il SISE orale ai bisogni tribali, salvaguardando così la coscienza di
sé, l’identità etno-linguistica, la consapevolezza del loro popolo di
esistere come entità autonoma nel mondo, fu assunto dagli eredi degli
118
sciamani paleo-mesolitici, i poeti, che, divenuti anche i depositari
della mappa di accesso al sistema di immagazzinamento simbolico
esterno (SISE), – oltreché delle tecniche di trasmissione e organizza-
zione culturale costituite dalla stssa lingua poetica –, accrebbero
119
enormemente il loro potere nella gerarchia cognitiva del gruppo,
potendo così in seguito guidare l’accettazione o il rifiuto di nuove
120
tecnologie cognitive, quali ad esempio la scrittura, da parte del
gruppo stesso.
***
Se le famiglie di poeti, le scuole poetiche, la tradizione di ermeti-
smo, l’esoterismo (scrittorio), sorsero poi per difendere e conservare il
possesso delle chiavi di acceso al SISE, l’autocoscienza i.e., il sistema
di finalità e priorità collettivo-individuali con cui scegliere consape-
volmente le informazioni che dovevano raggiungere la coscienza, –
vale a dire: le modalità con cui tracciare consapevolmente la mappa
della coscienza -, fu comunque in realtà per lungo tempo determinata
ancora dall’entità etnolinguistica collettiva, perché, come si è visto
121
sopra, in una cultura di tipo orale, l’unica forma di speculazione e
di comunicazione cognitivamente e socialmente significativa è il mito

116
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, cap. I.
117
Vd. supra, pp. 149 sgg.
118
Vd. supra, pp. 247 sgg.
119
Vd. supra, pp. 219 sgg.
120
Vd. supra, pp. 277 sgg.
121
Vd. supra, pp. 201 sgg.

289
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

– si ricordino, ad esempio, le iniziazioni alla scrittura di Odino e di


122
Bellerofonte viste sopra –, che è una creazione collettiva e il cui
corpus costituisce la summa delle credenze e delle conoscenze di una
popolazione data.
L’attività metacognitiva e autoconoscitiva, tuttavia, può essere
123
insegnata alla stregua delle altre abilità umane, ma poiché la co-
124
scienza si situa al secondo livello dell’apprendimento,

ciò che viene appreso nell’Apprendimento 2 è un modo di segmentare gli


eventi [cioè, come si appena detto, un modo di strutturare in schemi il flusso
dell’esperienza]; ma un modo di segmentare non è né vero né falso; in effetti
non c’è nulla nelle proposizioni di questo apprendimento che possa essere
verificato per mezzo della realtà. […] Il fatto è che le premesse ‘finalistiche’
non sono dello stesso tipo logico dei fatti materiali della vita, e pertanto non
possono essere facilmente contraddette da questi ultimi. L’apprendista stre-
gone non rinuncia alla sua visione magica degli eventi quando l’incantesimo
non funziona. In realtà le proposizioni che governano la segmentazione hanno
la proprietà di autoconvalidarsi. Ciò che chiamiamo ‘contesto’ include, accan-
125
to agli eventi esterni, anche il comportamento del soggetto; ma questo
comportamento è regolato dal precedente Apprendimento 2, e pertanto sarà
tale da plasmare il contesto globale fino ad adattarlo alla segmentazione
126
voluta.
127
Poiché, come si è detto, la strutturazione dell’esperienza è
opera collettiva dell’intero corpo sociale ed è finalizzata alla condi-
visione del ricordo nell’ambito di una specifica cultura, da un punto
di vista quale quello di una cultura mitico-orale, quanto appena
sostenuto equivale a dire che «negli aggregati di proposizioni che
vengono chiamati ‘fedi’ o credi religiosi [o ideologie] non sono in
ultima analisi le proposizioni ad asserire una verità indubitabile e
autoevidente, bensì i legami tra di esse [questo corsivo è mio]. È di
questi legami che non osiamo dubitare, e in effetti il tormento del

122
Vd. supra, pp. 278 sgg.
123
Vd. supra, pp. 219 sgg.
124
Vd. supra, pp. 164 sgg.
125
Vd. supra, pp. 148 sgg.
126
Cit. da G. BATESON, Steps… cit., (nota 14, p. 140), pp. 328-329 (l’ultimo corsivo è mio);
vd. anche supra, p. 144, punti 2 e D.
127
Vd. supra, pp. 283 sgg.

290
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

dubbio viene escluso dalla natura logica o quasi logica dei legami.
Quello che ci protegge dal dubbio è un’inconsapevolezza delle lacu-
128
ne».
Se dunque nel mondo di lingua i.e. l’insegnamento dell’abilità
metacognitiva e autoconoscitiva, cioè la possibilità della partecipazio-
ne individuale alle scelte e alle finalità del gruppo, e la scelta stessa
delle priorità del gruppo, rimasero perciò in gran parte determinate
dalle esigenze collettive, e ciò almeno fino all’insorgere delle élites
129
dell’età dei metalli, una parte altrettanto significativa del sistema
globale di finalità e priorità collettivo-individuali fu determinata inve-
ce dalla matrice stessa in cui fu iscritta la mappa della coscienza,
perché «ogni matrice ricevente, anche una lingua o una rete di propo-
sizioni, ha caratteristiche formali proprie che, in linea di principio,
130
distorcono i fenomeni che devono esservi proiettati».
Nel nostro caso, la matrice in cui fu inscritta la mappa della
coscienza è l’insieme delle caratteristiche della lingua poetica i.e.:
poiché un modo di segmentare la realtà non è in sé né vero né falso,
poiché le proposizioni che governano la segmentazione hanno la
proprietà di auto convalidarsi e poiché sono i legami tra di esse ad
asserire una verità indubitabile e autoevidente, sarà innanzitutto dun-
que nelle distorsioni prodotte dalla matrice che dovremo cercare gli
131
errori, e nei legami tra le proposizioni che dovremo cercare i valori
(di verità) dell’autocoscienza i.e.
***
In generale, poiché la lingua poetica i.e è la lingua di una poesia
132 133
orale, alcune fonti potenziali di errori attribuibili alla matrice,
saranno pertanto riscontrabili tra le caratteristiche della psicodinami-
134
ca dell’oralità stessa.

128
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, Angels Fear… cit. (nota 14, p. 140), pp. 147-148
(il corsivo è degli Autori).
129
Vd. infra, pp. 303 sgg.
130
Vd. supra, pp. 150 sgg.
131
Per la definizione di errore, vd. supra, nota 38, p. 147; per quella di valore, vd. infra, pp.
299 sgg.
132
Vd. supra, pp. 125 sgg.
133
Vd. supra, nota 38, p. 147.
134
Cfr. W. J. ONG, Orality and Literacy… cit. (nota 47, p. 275), cap. III.

291
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

135
In aggiunta a quanto già detto, occorre infatti qui ricordare che
in una cultura ad oralità primaria, il pensiero e l’espressione tendono,
136
tra l’altro, ad essere:
1) di tipo aggregativo: «le espressioni tradizionali nelle culture
orali non possono essere disgregate: è costata fatica metterle insieme
nel corso di generazioni […]. Una volta che un’espressione formulare
si è cristallizzata, è bene mantenerla intatta. Senza un sistema di
scrittura, la scomposizione del pensiero, cioè l’analisi, è un procedi-
137 138
mento molto rischioso». Come scrive Lévi-Strauss, il pensiero
orale è totalizzante.
2) di tipo ridondante: «poiché l’espressione orale svanisce appena
pronunciata, […] il pensiero deve procedere più lentamente, mante-
nendo al centro dell’attenzione gran parte dei contenuti già trattati; di
139
qui la sua ridondanza, la ripetizione del già detto».
3) di tipo conservatore: «poiché in una cultura ad oralità primaria
una conoscenza concettualizzata che non venga ripetuta ad alta voce
svanisce presto, le società che su di essa si basano devono investire
molta energia nel ripetere più volte ciò che è stato faticosamente
imparato nel corso dei secoli. Questa esigenza crea una mentalità
altamente tradizionalista e conservatrice che a ragion veduta inibisce
140
la sperimentazione intellettuale»: «the oral world is basically con-
141
servative».
4) di tipo agonistico-competitivo: «le culture orali si rivelano
programmate agonisticamente non solo nell’uso della conoscenza, ma
anche nella celebrazione del comportamento fisico; quando ogni co-
municazione verbale deve essere effettuata direttamente con la voce,
nella dinamica ‘parla e rispondi’ del suono, i rapporti interpersonali
comportano un alto grado di coinvolgimento, che può essere attrazio-
142
ne o antagonismo». Nelle culture orali, ad esempio, «una richiesta

135
Vd. supra, pp. 195 sgg.
136
Tutto il I cap. di J. GOODY, The Logic of Writing… cit. (nota 48, p. 275), è dedicato, per
es., all’esame delle differenze cognitive tra religioni del Libro e religioni orali.
137
Cit. da W.J. ONG, Orality and Literacy… cit., p. 68.
138
Cfr. C. LÉVY-STRAUSS, La pensée sauvage, Paris 1962, trad. it. Milano 1965, II ed., p.
267.
139
Cit. da W. J. ONG, op. cit., pp. 68-69.
140
Ivi, p. 70.
141
Cit. da ID., Writing and the Evolution… cit. (nota 47, p. 275), p. 2.
142
Cit. da ID., Orality and Literacy… cit., pp. 74-75.

292
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

di informazioni viene comunemente interpretata in senso interattivo,


143
agonistico e spesso la si schiva invece di soddisfarla».
5) di tipo enfatico-partecipativo: «apprendimento e conoscenza in
una cultura orale significano identificazione stretta, empatica, con il
conosciuto […]: la reazione dell’individuo non è espressa come indivi-
duale o soggettiva, ma piuttosto come facente parte di una reazione
144
comune, di una ‘anima’ comune».
6) di tipo omeostatico: le culture orali vivono in un equilibrio, o
omeostasi, che elimina dalla memoria ricordi che non hanno più
importanza per il presente:

la mentalità orale non si interessa alle definizioni, le parole acquisiscono il


loro significato solo dal proprio habitat effettivo e costante, che non è
145
rappresentato, come in un dizionario, semplicemente da altre parole, ma
include anche i gesti, l’inflessione della voce, l’espressione del viso, e l’intero
ambiente umano ed esistenziale. I significati delle parole emergono continua-
mente dal presente, benché quelli passati abbiano influito in modi diversi e
non più rintracciabili. È vero che l’arte orale, l’epica ad esempio, conserva
alcune parole nella loro forma e nel loro significato arcaico, ma lo fa anche
grazie all’uso corrente, non nella lingua di tutti i giorni, ma in quella dei
poeti, che mantengono forme arcaiche nel loro vocabolario specializzato.
Poiché le loro performances fanno parte della vita sociale, le forme arcaiche
diventano d’uso corrente, pur limitatamente all’attività poetica, e così dura
anche il ricordo del vecchio significato. Col passare delle generazioni, se
l’oggetto o l’istituzione cui si riferisce una parola arcaica cessa di far parte
dell’esperienza vissuta del presente, allora, pur rimanendo essa in uso il suo
significato si altera o semplicemente svanisce.

Ciò significa, in definitiva, che «le tradizioni orali riflettono i


valori culturali di una società, piuttosto che le futili curiosità sul
passato», e che «la mentalità orale fa sì che le parti scomode del
passato vengano dimenticate, a causa delle esigenze del presente»,
incoraggiando in tal modo anche il trionfalismo adattivo delle narra-
146
zioni.

143
Ivi, p. 102.
144
lvi, pp. 75-76.
145
Per la distinzione tra lessico e enciclopedia, vd. tra gli altri, U. ECO, Trattato… cit. (nota
9, p. 139), pp. 143 sgg.; vd. anche D. SILVESTRI, Scrittura e testi arcaici di Uruk IV: dal repertorio
all’enciclopedia, in C. VALLINI (ed.), Scrittura e Scritture, Napoli 1983, pp. 155-179.
146
Cit. da W. J. ONG, Orality and Literacy… cit., pp. 76-79.

293
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

7) di tipo olistico-situazionale: nelle culture orali l’organizzazione


della conoscenza è centrata attorno alle azioni di esseri umani o
antropomorfi; in particolare: «la memoria orale opera meglio con
personaggi ‘forti’, le cui imprese sono monumentali, memorabili e
generalmente pubbliche, per questo – per organizzare l’esperienza in
una forma che possa essere ricordata a lungo – e non per ragioni
romantiche o didattiche vengono generate figure smisuratamente
grandi, cioè eroiche. Le personalità incolori non possono sopravvivere
nel contesto di una memorizzazione orale e, proprio per essere ritenu-
te importanti
147
e ricordate, le figure eroiche tendono alla tipizzazio-
ne».
Se conservazione, tradizionalismo, visione totalizzante del mon-
do, partecipazione empatica, antagonismo competitivo, rimozione del
passato scomodo o inattuale, culto delle memorie eroiche, ecc., sono
148
dunque tutti atteggiamenti psicologici e cognitivi erronei, – erronei
perché potenzialmente distorsivi della realtà –, propri a una cultura
orale, tanto più essi devono essere stati propri a una cultura, come
quella i.e., che dell’oralità e della lingua di tale oralità aveva fatto il
149
centro della propria identità.
Altre possibili fonti di errori risalenti alla matrice, sono poi da
individuare, oltreché nei limiti intrinseci dei concetti espressi dal
linguaggio naturale (sfocatezza, gradualità, somiglianza di famiglia
150
ecc.), anche in alcune delle caratteristiche che abbiamo visto essere
tipiche della lingua poetica: l’armonizzazione, la libera associabilità e
151
l’ermetismo.
A ciò bisogna infine aggiungere che nelle classificazioni della
psicologia popolare trasmesse dalla lingua poetica quali le tassonomie

147
Ivi, p. 103.
148
«L’atteggiamento è […] la denotazione esterna di una costellazione di oggetti mentali
variamente attivi o presenti, ma tra loro solidali e intergenerabili. Ne fanno parte le credenze
sull’oggetto, le valutazioni, gli scopi specifici verso l’oggetto, e le disposizioni, cioè l’insieme
dinamico di apprezzamenti, tendenze e valenze che ne costituiscono il nucleo più essenziale e
caratteristico»: cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore. Una teoria
cognitiva dei meccanismi e processi valutativi, Milano 1992, p. 242 (il corsivo è degli Autori).
149
È bene forse precisare che quanto ora sostenuto non conferma le tesi di chi, come M.
Gimbutas, descrive la cultura i.e. come maschilista e guerrafondaia, perché conservazione,
antagonismo, ecc., devono essere considerate come caratteristiche proprie a ogni cultura orale
primaria.
150
Su ciò, vd. G. COSTA, Anemonimi benacensi… cit. (nota 15, p. 34), cap. III.
151
Vd. supra, pp. 126 sgg.

294
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

etnoscientifiche, i tratti che compongono la configurazione di un


nucleo concettuale o taxon – cioè ciò che ne consente l’identificazio-
ne, la diversificazione e il raggruppamento –, sono poi in genere quasi
sempre di tipo eterogeneo (misurabili, oggettivi, relativi, contingenti,
assoluti, soggettivi ecc.), e questo non per una presunta illogicità
152
costitutiva della ‘mentalità primitiva’, ma per la stratificazione nel
tempo, per i cambi di punto di vista, per la messa a fuoco di interessi
progressivamente diversi e infine perchè, comunque, l’appartenenza
esclusiva di un’etnoscienza a una certa popolazione, non vuoi dire che
il patrimonio di cultura e di esperienze di quella comunità sia incluso
esaurientemente all’interno di un particolare dominio semantico-
cognitivo, o meglio nella documentazione di tale dominio che a noi
153
resta.
All’interno dunque di un sistema di finalità e di priorità etnolin-
guistiche collettive quale quello che possiamo ricostruire, parzialmen-
154
te e con le limitazioni operative che conosciamo, indagando il
corpus dei miti e dei racconti tradizionali i.e., la lingua poetica in
quanto veicolo di trasmissione e di asseverazione di tale corpus, in
quanto matrice in cui fu inscritta la mappa della coscienza i.e., proprio
per il suo carattere di lingua di una poesia orale, fu in sé anche causa
intrinseca di distorsioni interpretative della realtà, una fonte di errori
nell’epistemologia (inconscia) delle popolazioni i.e.: «le scorciatoie
cognitive (e sociali) hanno sempr,e i loro costi, in termini di fretta,
stereotipicità, automatismo, possibile irrazionalità dei comportamen-
155
ti».
156
Riprendendo un’idea di E. Campanile a cui ho già accennato,
intendo qui in definitiva sostenere che se da storici (della lingua e
della cultura) si resta ammirati quando si pensa alla «fermezza con cui
molte […] genti indoeuropee, pur divenute lontanisslme [tra loro]
nello spazio e nel tempo, seppero conservare le loro più vetuste
157
tradizioni culturali», da interpreti (della lingua e della cultura) non
possiamo non notare che

152
Vd. supra, pp. 200 sgg.
153
Anche su ciò, vd. G. COSTA, Anemonimi benacensi… cit., pp. 140 sgg.
154
Vd. supra, pp. 266 sgg.
155
Cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., p. 285; vd. anche
infra, pp. 304 sgg.
156
Vd. supra, pp. 37 sgg. e 105.
157
Così come J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 115, sono convinto
anch’io che la linguistica, l’antropologia e la psicologia culturale siano discipline interpretative e

295
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

una siffatta conservazione non sarebbe nemmeno pensabile senza l’esistenza


di una categoria di persone – ‘i poeti’ – cui istituzionalmente competeva la
funzione di salvaguardare e trasmettere il patrimonio culturale della propria
gente. Ma questa attività non si svolgeva solo agli elevati livelli di poesia e
religione; essa comportava continui interventi anche in campi che oggi
possono apparirci totalmente estranei al concetto di poesia e, per di più,
talora anche scarsamente rilevanti. In realtà, l’elemento unificatore in questa
amplissima varietà di competenze è sempre dato dal loro comune carattere
verbale senza, per altro, che questa giustificazione di ordine formale, ci porti
a minimizzare un fatto davvero sostanziale: il carattere, cioè, totalitario che
veniva ad assumere un’ideologia che parimenti si rifletteva in ogni attività
158
intellettuale.

Insomma,

quando vediamo con quanta saldezza questi poeti riuscivano a imporre la


forza della tradizione che essi incarnavano, anche in materia, tutto sommato,
159
di non eccezionale rilevanza, quale è l’onomastica, ci si può chiedere quale
fosse la forza e l’autorità su cui poggiava la loro opera di maestri del popolo.
La risposta a questa domanda è univoca: il poeta, in ogni sua attività
normativa, non godeva di altro sostegno se non di quello che gli veniva dal
prestigio della tradizione. Anche qui, cioè, s’intravede agevolmente una
situazione circolare: il poeta ha il suo supporto nella tradizione e la sua opera
vale a conservare e a rafforzare quella tradizione su cui, appunto, egli poggia.
In altre parole, una società fortemente conservatrice può trovare proprio in
questo suo carattere un elemento atto a generare forze che la preservino dai
160
rischi del nuovo.

La cultura poetica degli i.e. rafforzò dunque le caratteristiche


conservatrici e tradizionaliste tipiche di ogni cultura mitico-orale,
cristallizzandole in un’ideologia della memoria poetica che permeò in
maniera totalizzante le attività intellettuali e cognitive del gruppo,
orientando verso il totalitarismo la visione e la concezione che gli i.e.

che «il costruttivismo della psicologia culturale sia un’espressione profonda [e necessaria] della
cultura democratica» (ivi, p. 44).
158
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 78.
159
E. CAMPANILE (cfr. ivi, pp. 79-82) si riferisce qui soprattutto all’onomastica bimembre e
alle metafore poetiche che di essa sono alla base.
160
Ivi, p. 82.

296
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

avevano del proprio mondo e di se stessi, e restringendo unilateral-


mente lo schermo della loro coscienza.
161
Tuttavia, poiché, come sostiene giustamente J. Bruner, la vita-
lità e la validità di una cultura «consiste nella sua capacità di risolvere
i conflitti, di comporre le differenze e di rinegoziare i significati
162
sociali», è difficile credere che una cultura come quella ora descrit-
ta, chiusa totalmente su di sé e ostile pregiudizialmente al nuovo,
avrebbe potuto affrontare le turbolenze psicolinguistiche e gli shock
cognitivo-culturali causati dalla transizione neolitica senza rimanerne
sopraffatta, e tantomeno espandersi in gran parte dell’universo allora
conosciuto in una maniera, come si è detto, che non comportò né
163
invasioni di massa né genocidi.
Il quadro interpretativo della cultura poetica i.e. fin qui delineato
deve pertanto ritenersi parzialmente incompleto: ad esso mancano le
energie propulsive, le spinte verso quella sperimentazione e accetta-
zione del diverso pur possibili anche in una cultura orale: i valori.
***
Noi sappiamo già, intanto, che il mito è uno strumento efficace
164 165
per avere rapporti col nuovo e col diverso; sappiamo poi, aven-
do in precedenza definito la cultura come la somma teorica delle
conoscenze, delle credenze e dei saperi creati, posseduti e trasmessi da
una generazione all’altra, dai membri di una particolare società, che le
credenze o

i valori sono connessi alla scelta di modelli di vita, e i modelli di vita, con il
loro complesso sistema di interazioni, costituiscono una cultura. I valori non
hanno una relazione immediata con ogni situazione di scelta, né sono il
prodotto di individui isolati con forti pulsioni e nevrosi costrittive. Piuttosto,
questi valori sono sociali e sono conseguenti alle nostre relazioni con una
comunità culturale. Essi svolgono per noi delle funzioni all’interno della
comunità. […] Essi vengono situati nell’identità individuale e, al tempo stesso,
danno origine a un’identità particolare nell’ambito di una cultura.

161
Cfr. J. BRUNER, Acts of Meaning… cit., cap. I.
162
Ivi, p. 58.
163
Vd. supra, pp. 262 sgg.
164
Vd. supra, pp. 196 sgg.
165
Vd. supra, pp. 201 sgg.

297
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

166
Nella misura in cui una cultura, nel senso di Sapir, non è ‘spuria’, la scelta di
valori da parte dei suoi membri può fornire la base per la condotta coerente a
167
un modello di vita […];

sappiamo, infine, che è nei legami tra le proposizioni che dobbiamo


168
cercare i valori.
Ora, nel SISE di una cultura orale, i legami tra le proposizioni
169
sono costituiti dalle tassonomie.
Da qualche tempo, coerentemente con gli assunti probabilistici
della fisica moderna e in particolare con i principi di in determinazione
170
e di complementarietà, negli studi di linguistica e di antropologia
cognitiva, cioè nelle ricerche sulle interrelazioni tra linguaggio, pro-
171
cessi conoscitivi e istituzioni culturali, si è passati dal concetto di
tassonomie inferenziali, basate cioè su regole di inferenza (‘se A, allora
B’), a quello di tassonomie preferenziali, basate su regole del tipo ‘se
172
A, allora preferibilmente B’.
Le tassonomie, riconosciute in generale dalla ricerca oramai come
uno dei principi fondamentali che consentono nel tempo di sistemare
in un ordine coerente le risposte elaborate da un gruppo umano alle
esigenze poste dall’ambiente in cui vive, organizzate secondo regole di
preferenza, sembrano rispondere meglio ai problemi posti dalla se-

166
J. Bruner fa qui riferimento a E. SAPIR, Culture, Genuine and Spurius, in ID., Culture,
Language and Personality: Selected Essays, Berkeley 1956, trad. it. Torino 1972, pp. 65-96.
167
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit., p. 43.
168
Vd. supra, pp. 290 sgg.
169
Definisco una tassonomia l’unico grafo ad albero che risulta possibile come descrizione
di un insieme discreto (= dominio) di nuclei concettuali (= taxa), con dimensioni di significato e
definizioni componenziali date, in cui tutti i nodi corrispondono a dei taxa; per tutto ciò, vd, G.
COSTA, Anemonimi benacensi… cit., cap. III.
170
Vd. supra, pp. 152 sgg.
171
In questo ambito è ancora fondamentale S. A. TYLER (ed.), Cognitive Anthropology,
New York 1969; assai utili sono poi i volumi introduttivi di G. R. Cardona: vd. III, 4, 2.
172
Per una introduzione a questo tipo di logica, vd. G. GOE, Lezioni di Logica, Milano
1983, pp. 483 sgg.; per alcune implicazioni matematiche, vd. G. HERDAN, Type – Token
Mathematics. A Textbook of Mathematical Linguistics, The Hague 1960; applicazioni allo studio
della coscienza sono R. JACKENDOFF, Semantics and Cognition, Cambridge (Mass.) 1986, III ed.,
trad. it. Bologna 1989, e ID., Consciousness and the Computational Mind, Cambridge (Mass.)
1987, trad. it. Bologna 1990; un’applicazione alla dialettologia italiana, è il mio Anemonimi
benacensi… cit., cap. III, a cui mi permetto ancora una volta di rinviare per una presentazione
più discorsiva della questione, per l’esemplificazione delle regole preferenziali e per la bibl.

298
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

mantica naturale e corrispondere più da vicino alle modalità narrative


173
del funzionamento della psicologia popolare.
Ora, una tassonomia preferenziale è una tassonomia di preferen-
ze, cioè di scelte, di valori.
Coerentemente allora con l’impostazione seguita finora, ritenen-
do174che anche per i valori l’accostamento migliore sia quello cogniti- 175
vo e seguendo in parte i risultati di una mia ricerca precedente e
176
quelli di uno studio recente di M. Miceli e C. Castelfranchi, defini-
sco un valore come una valutazione tronca, una valutazione cioè in cui
il secondo argomento non è specificato: «quando diciamo che l’onestà
è un valore, diciamo che è buona, cioè che ha il potere di raggiungere
177
‘qualcosa’, ma non specifichiamo quel ‘qualcosa’».
Per la precisione, i valori sono valutazioni tronche o apprezza-
menti che soddisfano le seguenti restrizioni: quando menzionano
178
classi di eventi e non singoli eventi o entità; quando non sono
motivati, cioè non sono riconducibili alle valutazioni specifiche da cui
179
sono originati; quando sono condivisi da un gruppo sociale.
In effetti, «l’unica differenza tra valutazione e valore sta nel fatto
che la sincope avvenuta nel caso del valore lascia non specificato il
‘qualcosa’ per cui è buono l’x in questione. Quindi i valori appaiono
assoluti […], provocando una sorta di frattura artificiale nel conti-
180
nuum mezzi/scopi». Tuttavia, così come le valutazioni, anche i
valori danno origine a scopi, ma, «mentre le valutazioni danno origine
a scopi strumentali, cioè scopi rappresentati come mezzi per altri
181
scopi, i valori generano solo scopi terminali e assoluti».
I valori sono dunque assunzioni, sono giudizi, seppur vaghi e
generali, dicono che qualcosa è buono o cattivo, e hanno come

173
Vd. supra, pp. 195 sgg.
174
Cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, A Cognitive Approach to Values, «JTSB» 19
(1989), pp. 169-193.
175
Vd. G. COSTA, 1990.
176
Cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit. (nota 148, p. 294),
passim.
177
Ivi, p. 209 (il corsivo è degli A.); per la distinzione tra valori, norme e standard, vd. ivi,
pp. 212 sgg.
178
Per la distinzione tra classe e elemento di una classe, vd. supra, pp. 151 sgg.
(punto 4).
179
Cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., pp. 211-
212.
180
Ivi, pp. 210 (il corsivo è degli A.).
181
Ivi, p. 227.

299
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

caratteristiche l’infalsificabilità («i valori, non dando informazioni


sufficienti sulla propria strumentalità, sono infalsificabili»), l’indefini-
tezza («dato che i valori non specificano gli scopi per cui sono buoni,
non è possibile appurare fin dove lo sono, e in quali casi invece
possono entrare in conflitto con altri scopi»), la normatività («se
qualcosa è buono, deve essere acquisito, posseduto, usato, ricercato,
ecc. Se la bellezza è un valore, deve essere ricercata») e la terminalità
(«lo scopo o la norma generata da una valutazione […] è sempre
strumentale: x1 è oggetto di uno scopo perché è un mezzo per P1.
Quindi, se xi vuole P1, vorrà anche x1. Invece lo scopo o la norma
generata da un valore è sempre terminale, fine a se stessa, in quanto
P1 è assente sin dal principio. In una parola, non c’è alcuna (esplicita)
ipoteticità (non c’è alcun se) che condizioni lo scopo generato da un
valore. Quindi, se x1 non è ricercato in vista di qualcos’altro, sarà
182
ricercato per se stesso»).
I valori, allora, oltre ad avere anch’essi la funzione sociale di
garantire la stabilità e la coesione del gruppo che li condivide, avranno
anche le seguenti funzioni cognitive:
1) la generalizzazione di valutazioni relative a entità polifunziona-
li. Un valore ha «origine da una serie di valutazioni sulla stessa entità
[…] rispetto a scopi diversi. In altre parole, se un dato mezzo x1 è
valutato come buono (o cattivo) rispetto a una varietà di scopi, allora è
candidato alla condizione di valore […]; quanto più il mezzo è poli-
183
funzionale, tanto più è probabile che si trasformi in valore».
2) L’apertura a potenzialità nuove e incalcolabili. «Quanto più,
infatti, x1 è polifunzionale, tanto più sarà aperto a potenzialità incal-
colabili: potrebbe avere destinazioni non ancora esplorate, relative a
scopi nuovi, non ancora perseguiti o addirittura sconociuti al valutan-
184
te».
3) La facilità di acquisizione nella socializzazione e nell’apprendi-
mento. «[…] È più semplice apprendere che xl è buono, che va fatto
(mantenuto, rispettato, ecc.), che non acquisire e mantenere in memo-
ria il bagaglio di conoscenze relative alla particolari ragioni della sua
bontà o utilità. Il valore introiettato non solo riduce il carico di
informazioni da conservare in memoria, ma permette anche di evitare

182
Ivi, p. 219 (i corsivi sono degli A.).
183
Ivi, p. 224.
184
Ivi, p. 226.

300
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

un difficile compito di comprensione. Spesso infatti, le valutazioni


specifiche non sono date, ma vanno inferite da più o meno complesse
conoscenze causali, da altre valutazioni, o da semplici conoscenze
185
fattuali».
In conclusione, dal punto di vista cognitivo, i valori sono dunque
186
una sorta di ‘oggetto mentale di confine’ necessario alla coesione
del gruppo sociale, costituiscono un mezzo importante per risparmia-
re memoria e facilitare l’apprendimento, e soprattutto sono uno stru-
mento di apertura al nuovo e al possibile, di bilanciamento del conser-
vatorismo e della tradizione.
***
In una cultura mitico-orale quale quella i.e., le valutazioni e le
preferenze iniziali furono determinate collettivamente dall’eredità
dell’enciclopedia tradizionale fissata tra la fine del paleolitico e il
187
tardo mesolitico, furono fatte cioè in base alle finalità di gruppo
dettate dai programmi biologici e culturali di azione, programmi
codificati dai motivemi dei racconti tradizionali del corpus mitolo-
188
gico come strutture di senso senza referenza diretta. Esse die-
dero inizio alla formazione di un proprio e diverso sistema di
valori socialmente condiviso che fornì la base per la determinazio-
ne di un modello di vita unificante, e per la fissazione del canone
necessario a rendere coerente la condotta dei singoli con il model-
lo scelto.
Il fondamento normativo, cioè le valutazioni e le scelte, del mo-
dello prescrittivo i.e., cioè i valori, si perde dunque nella notte dei
189
tempi: «in un luogo imprecisato tra biologia e linguaggio».
Come ricorda tuttavia J. Bruner, «lo spartiacque nell’evoluzione
umana fu superato quando la cultura divenne il fattore principale nel
dare forma alla mente di coloro che vivono nell’ambito della sua
influenza. La cultura, come prodotto della storia più che della natura,

185
Ivi, p. 227.
186
Cfr. ivi, pp. 227-228.
187
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
188
Cfr. supra, pp. 198 sgg.
189
Vd. supra, pp. 199 sgg.; per l’identificazione tra livello prescrittivo e valori, e tra livello
normativo e valutazioni, cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., pp.
279 sgg.; vd. anche infra, pp. 325 sgg.

301
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

divenne allora il mondo a cui adattarsi, ma anche l’insieme degli


190
strumenti per farlo».
191
L’uscita dall’indifferenziazione culturale paleolitica e l’inizio
192
del processo di autoidentificazione etnolinguistica, coincise allora
per gli i.e. col passaggio dall’evoluzione genica all’evoluzione memica,
193
– un tipo di evoluzione molto più veloce della precedente –, perché
con la progressiva fissazione del corpus dei racconti tradizionali e la
194
nascente organizzazione dell’enciclopedia orale in tassonomie, le
unità di informazione o memi, – vale a dire, ancora una volta, le
differenze percepite ed estratte dalla realtà di cui gli i.e. erano consa-
195
pevoli –, codificate nelle formule e nei temi (o motivemi) della
lingua poetica, divennero in grado di replicare se stesse nel sistema di
immagazzinamento simbolico della memoria esterna collettiva, il SI-
SE, e di determinare in tal modo le forme e i modi della propria
196
sopravvivenza autoperpetuandosi.
Essendo la cultura i.e una cultura orale ed essendo il SISE costi-
tuito dal corpus mitologico trasmes,so poeticamente, il vettore che i
197
memi scelsero come unità di conservazione e propagazione fu
ovviamente la stessa lingua poetica.
Come si è detto, lo sviluppo del SISE portò anche alla creazione di
198
una mappa del SISE, cioè a un reticolo di meta-informazioni,
necessaria per ritrovare rapidamente le informazioni contenute nel
199
SISE. Si è detto anche che tale mappa è la lingua poetica; si può ora
precisare meglio tale affermazione.
Il200 reticolo di meta-informazioni che costituisce la mappa del
SISE è formato dalle tassonomie, cioè dalle strutture dei legami tra
le proposizioni auto convalidantesi che governano la segmentazione in

190
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 28.
191
Cfr. supra, pp. 266 sgg.
192
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
193
Cfr. supra, pp. 176 sgg.
194
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
195
Cfr. supra, pp. 283 sgg.
196
Cfr. supra, pp. 174 sgg.
197
Cfr. supra, p. 175.
198
Cfr. supra, pp. 222 sgg.
199
Cfr. supra, pp. 288 sgg.
200
Cfr. supra, pp. 223 sgg.

302
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
201
schemi del flusso dell’esperienza; poiché è nei legami che sono
202
celati i valori, i valori sono dunque costituiti cognitivamente da
203
meta-informazioni. L’insieme delle tassonomie della lingua poetica
è dunque la mappa delle meta-informazioni che guidano all’interno
del SISE, cioè la mappa delle tassonomie dei valori contenuti nel
corpus dei racconti tradizionali della cultura i.e.: pertanto, poiché il
204
corpus costituisce la coscienza di una società orale, la lingua poetica
è l’autocoscienza, cioè l’organizzazione della coscienza, degli i.e.
Fu insomma la cultura poetica che diede forma alla mente degli
i.e. diventando il mondo a cui adattarsi, ma anche l’insieme degli
strumenti per farlo.

4.3. LA LINGUA POETICA COME COSCIENZA DELLA DIVERSITÀ


205
Come si è detto, con l’ingresso nel neolitico pieno e poi nel
successivo eneolitico, dunque via via che la diaspora portava i popoli
i.e. verso le sedi storiche, la lingua poetica i.e. conobbe forse la sua
fase più significativa.
Col parziale ma verosimile intervento della scrittura, nelle varie
tradizioni poetiche i.e., dalla standardizzazione testuale si passò, attra-
206
verso probabili fasi intermedie tra scrittura e oralità, alla fissazione
del canone poetico: questo processo trasformò la lingua poetica in una
lingua letteraria, e fu il «frutto di un atto di consapevolezza», perché
la lingua letteraria «esiste in quanto se ne ha o se ne propone un
207
concetto».
La trasformazione consapevole della lingua poetica in una lingua
letteraria, portò con sé anche la definitiva cristallizzazione della cultu-
208
ra poetica in una ideologia della memoria, trasformando il mezzo in

201
Cfr. supra, pp. 283 sgg.
202
Cfr. supra, pp. 290 sgg.
203
Cfr. supra, pp. 299 sgg.
204
Cfr. supra, pp. 204 sgg.
205
Cfr. supra, pp. 270 sgg.
206
Cfr. supra, pp. 272 sgg.
207
Cfr. supra, pp. 127 sgg.
208
Cfr. supra, pp. 278 sgg.; sull’ideologia come permutazione conscia di codice, vd. U.
ECO, Trattato… cit. (nota 9, p. 139), pp. 358 sgg.: concordo insomma con Eco nel dire che
«l’ideologia è una visione del mondo organizzata che può essere soggetta all’analisi semiotica»
(ivi, p. 359).

303
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

209
messaggio, completando cioè la trasformazione della lingua poetica
da vettore del corpus e matrice in cui era inscritta la coscienza, in
210
autocoscienza: la chiusura idiosincratica del processo di autoiden-
tificazione tribale trovò dunque nella lingua poetica lo strumento con
cui esprimere la propria diversità e la propria potenziale egemonia
211
etnolinguistica.
A conferma di ciò, e concludendo il discorso iniziato sopra citan-
212
do E. Campanile, occorre qui ricordare, con E. Gellner, che una
delle premesse su cui si basa il ruolo delle ideologie nella costruzione
sociale della realtà, è il fatto che «the carriers of such systems of ideas
are not individuals but ‘languages’ or cultures, which are internalised
by individuals in the process of their education, of their ‘formation’ as
human beings with a cultural identity and a capacity to use a cultural
213
medium».
Dal punto di vista cognitivo, infatti, perché i valori e le norme
siano rispettate «è necessario […] che siano introiettate dall’individuo.
[…] Ora, l’introiezione impedisce di ‘barare’: chi ha introiettato una
norma non solo ritiene necessario che gli altri pensino che lui la
rispetta, ma non può fare a meno di rispettarla di fatto; se la viola,
incorre in sanzioni interne (quali il senso di colpa) a cui non ha
214
facilmente modo di sottrarsi».
E questo anche perché

l’abitudine rappresenta una cospicua economia di pensiero cosciente. […]


Possiamo permetterci di calare nell’inconscio quei generi di conoscenza che
continuano a essere veri indipendentemente dalle variazioni dell’ambiente,
mentre dobbiamo tenere a portata di mano tutti quei controlli del comporta-
mento che devono essere modificati in ogni caso particolare. […] L’economia
del sistema spinge infatti gli organismi a calare nell’inconscio quei tratti
generali della relazione che restano sempre veri, e a mantenere nella coscien-

209
Un accenno a ciò è in G. NAGY, 1974, p. 261; contrario era invece E. CAMPANILE, 1990c,
p.112.
210
Cfr. supra, pp. 218 sgg. e 291 sgg.
211
Cfr. supra, pp. 261 sgg.
212
Cfr. supra, pp. 295 sgg.
213
Cit. da E. GELLNER, Notes towards a Theory ofIdeology, «L’Homme» 18,3-4 (1978), p.
77 (il corsivo è mio).
214
Cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., p. 196.

304
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

za la prassi dei casi particolari. Le premesse possono, con vantaggio econo-


mico, esser ‘calate’, ma le conclusioni particolari devono essere coscienti.
Benché sia economico, l’atto di ‘calare’ nell’inconscio, tuttavia, esige un
prezzo: l’inaccessibilità. Poiché il livello al quale le cose sono calate è caratte-
rizzato da algoritmi iconici e dalla metafora, diventa difficile per l’organismo
esaminare la matrice da cui scaturiscono le sue conclusioni coscienti. Vice-
versa, si può notare che ciò che è comune a una particolare asserzione e a una
metafora corrispondente è di una generalità tale da rendere appropriato il
215
calarlo nell’inconscio.

L’ideologia, tuttavia, occultando le diverse opzioni a disposizio-


ne dell’interlocutore con un gioco serrato di commutazioni di codice
216
e di ipercodifiche, «è visione del mondo parziale e sconnessa:
ignorando le multiple interconnessioni dell’universo semantico essa
cela anche le ragioni pratiche per cui certi segni sono stati prodotti
insieme
217
con i loro interpretanti. Così l’oblio produce falsa coscien-
za».
***
Più tardi, già nelle sedi storiche, in alcune tradizioni poetiche,
218
come ad esempio quella vedica, la fissazione del canone poetico e la
fine dell’oralità primaria, coincisero verosimilmente con una crisi
219
ideologica e un cambiamento culturale, fatti che comportarono, tra
l’altro, il passaggio della custodia della tradizione dai poeti ai sacerdo-
ti.

215
Cit. da G. BATESON, Steps… cit. (nota 14, p. 140), pp. 176-177.
216
Cfr. U. ECO, op. cit., p. 368; per la definizione di ipercodifica, vd. supra, pp. sgg.
217
Cit. da U. ECO, op. cit., p. 369; quest’ultima affermazione di U. Eco va intesa priva delle
sue residuali implicazioni marxiane – cfr. E. DOYLE MCCARTY, Knowledge as Culture. The New
Sociology of Knowledge, London – New York 1996, e, in generale, B. M. MAZZARA, Appartenenza
e pregiudizio, Roma 1996 –, e limitata all’ambito semiotico-cognitivo che qui ci riguarda.
218
Il caso della grecità storica è così sintetizzato da C. O. Pavese: «a partire dalla fine del V
sec. e poi durante il IV e il III sec. la tradizione orale ellenica andò declinando, sia pure
lentamente, e – varcata la soglia della scrittura – si trasformò in letteratura ellenistica. Le forme
letterarie ellenistiche furono adottate dai Romani, e per il loro tramite esse diventarono le forme
su cui grado a grado si è esemplata la letteratura di ogni tempo e di ogni paese. I chierici
dell’Occidente procedettero, penna alla mano, a debellare le tradizioni pagane dei popoli
d’Europa, e con esse la loro poesia nativa, sostituendo ad essa una letteratura scritta di
derivazione romana, e ultimamente greca»: cit. da C. O. PAVESE, Poesia ellenica e cultura orale,
in C. BRILLANTE – M. CANTILENA – C. O. PAVESE (eds.), I poemi epici rapsodici non omerici e la
tradizione orale, Padova 1981, p. 259.
219
Cfr. supra, p. 276.

305
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

J. Bruner sostiene, in generale, che

quando in una cultura […] si verifica un fenomeno di rottura, normalmente si


può farlo risalire a parecchie cause. La prima è un profondo disaccordo su ciò
che costituisce l’ordinario e il canonico nella vita, e ciò che invece costituisce
l’eccezionale o il deviante. […] Una seconda minaccia è insita nella superspe-
cializzazione retorica della narrazione, quando le storie divengono motivate in
modo così ideologico o così finalizzato ai propri interessi che la sfiducia
prevale, e ‘ciò che è accaduto’ è considerato come una montatura. A un livello
più generale, questo è ciò che accade nei regimi totalitari […]. E infine, c’è la
220
crisi dovuta al mero impoverimento delle risorse narrative […].

Nel nostro caso, si può pensare che con la scomparsa dei poeti e
221
della società orale primaria di cui erano figli e maestri, l’ideologia di
cui erano portatori e che era valsa la conservazione delle tradizioni i.e.
fino ad allora, sia entrata in crisi perdendo la sua egemonia a vantag-
222
gio, almeno in taluni casi come quelli dell’India e dell’Iran, delle
223
religioni rivelate o istituzionali, e che le stesse risorse narrative della
lingua poetica mutassero radicalmente insieme al mutare della società,
impoverendosi a vantaggio della nascente letteratura scritta: «ampu-
tée du répertoire renouvelé d’images que lui fournit le système du
récit mythique, toute idéologie serait condamnée à l’exposé dogmati-
que et à la tautologie. Car, toujours coextensive au monde, mais au
monde tel qu’elle le décrit, elle ne peut rien reconnaìtre en dehors
224
d’elle-meme».
Infatti, «le mythe meurt de la littérature meme s’il survit dans la
médiocre, quels que soient par ailleurs les charmes de cette dernière.
Etant tous deux des produits du langage et des modes narratifs, la
littérature et le mythe se cotoient sans répit: mais seule la littérature
peut assimiler l’autre saps cesser d’etre elle-meme. Le mythe au
225
contraire est constamment menacé par elle».

220
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 97).
221
Cfr. supra, pp. 276 sgg.; sulle cause «per cui nelle singole culture l’antica e complessa
figura del poeta progressivamente si illanguidisce e tende a scomparire», vd. anche E. CAMPANI-
LE, 1990c, pp. 82 sgg.
222
Cfr. supra, pp. 272 sgg.
223
Per le differenze tra ideologia e religione, cfr. supra, pp. 102 sgg.
224
Cit. da D. DUBUISSON, Métaphisique du récit et genèse du mythe, «HRel» 9 (1983), p. 70.
225
Ivi, p. 73.

306
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Solo con la letteratura (laica) e la scrittura (individuale), dunque,


l’Altro, l’altro da sé, l’altro diverso dal sé, l’altro irriducibile al sé,
226
troverà definitivamente posto nella coscienza dei popoli i.e.
***
È tempo ora di offrire al lettore un’esemplificazione di quanto
sostenuto in questo capitolo. Poiché non rientra negli scopi della
presente ricerca proporre materiale nuovo, verificherò quanto espo-
sto finora riesaminando, e in parte modificando, i risultati di una mia
227
precedente indagine, un po’ come fanno gli scienziati quando
provano su di sé i nuovi vaccini.
Dunque, nella ricerca in oggetto, dopo aver esaminato tutti i
composti i.e. con *su- e *dus-, e aver concluso che tale tipo di compo-
sizione è vitale solo in indo-iranico, greco e celtico, ho ricostruito la
tassonomia che li organizzava, a partire dai composti con *su-, perché,
228
in generale, come ha mostrato E. M. Wolf, nella lingua la negazione
suppone non già la presenza della qualità negativa, ma l’assenza della
qualità positiva: quest’ultima è dunque il punto di partenza della scala
valutativa.
229
L’analisi dunque dell’etimologia e della significazione dei com-
posti greci, celtici e indo-iranici aventi come primo membro *su-, mi
226
Cfr. J. DERRIDA, L’écriture et la difference… cit. (nota 79, p. 281), e soprattutto E.
LEVINAS, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Paris 1974, III ed., Napoli 1985 II
ed.
227
Si tratta di G. COSTA, 1990; altri studi apparsi dopo, riguardano questioni specifiche.
228
Cfr. E. M. WOLF, L’évaluation et l’asymétrie des traits ‘bien/mal’, in Studies M. Alinei,
Amsterdam 1987, pp. 525-535; cfr. anche M. BIERWISCH, Some semantic Universals in German
Adjectivals, «FL» 3,1 (1967), pp. 1-36.
229
Ricordo a questo proposito, che, come nei sintagmi, anche nei composti, essendo essi
una micro-struttura sintagmatica ad arbitrarietà relativa, si realizza la capacità di significazione
di una norma linguistica: vale a dire che i composti, strutturandosi come diagrammi di contesti
istituzionali, cioè segni motivati, in quanto in essi appaiono motivate sia la selezione che la
combinazione, sono lo strumento (linguistico) col quale una norma (linguistica) esprime la
propria capacità di rappresentare (linguisticamente) le tassonomie culturali (istituzionali), e
questo mediante la selezione e la combinazione di unità di designazione (le parole) in sintagmi (o
composti) significanti. Ne consegue che lo studio dei composti non può che essere incentrato
principalmente sulla significazione e che il loro contesto di produzione linguistica non può che
essere istituzionale: nel nostro caso la lingua letteraria, in quanto varietà funzionale-contestuale
(sottocodice) rispetto a una ipotetica lingua ‘standard’, è contesto istituzionale primario dalla
specifica produttività linguistica: cfr. G. COSTA, 1990, pp.23-26. Ho utilizzato, in parte, D.
SILVESTRI, Storia delle lingue e storia delle culture… cit., pp. 55-85, su cui vd. G. COSTA,
«SILTA» 17 (1988), pp. 134-140; vd. anche R. AMBROSINI, Semantica funzionale e comparazione,
in «SSL» 7 (1967), pp. 171-188, e cfr. supra, pp. 127 sgg.; nonostante Kurylowicz-Mayrhofer I, 2,
cap. 5,2, p. 125, continua a non convincermi la trafila *h1su- <√ *(h1)es- “essere”.

307
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

ha consentito di individuare come nodi principali, o di rango superio-


230 231
re, della tassonomia i seguenti composti:
I) “dalla bella gloria”: ved. su-śravas-, su-śruta, av. haosravanha-,
232
om. ™ã-klei»j, a.irl. so-chIo, a.bret. ho-clou, gall. hy-glod.
II) “ben virile, che ha una bella virilità”: ved. sū-nára-, av. hu-
233
nara-, om. eÙ-»nwr, a.irl. so-nairt.
III) “ben fatto, dalla bella forma”: ved. sú-kŗta-, av. hu-kərəpta-,
234
a.irl. so-chrud, (cfr. gallo hy-bryd), om. eÜ-tuktoj.
IV) “che dona bene”: ved. su-das-, av. hu-dāh-, om. EÜ-dwroj,
235
a.bret. he-bē Ho-cet, gall. hy-ged.
V) “di bella origine, ben nato”: om. EÜ-dwroj, ved. su-jātá-, av.
236 237
hu-čiqra-, a.irl. so-chenéoil.
VI) “ben disposto”: ved. su-mánas-, av. hu-manah-, om. eÙ-
238
men»j.
***
230
Sull’articolazione gerarchica delle tassonomie in livelli o ranghi, vd. G. COSTA, 1990,
pp. 138-139.
231
Per le attestazioni, i rinvii ai dizionari etimologici, e la bibl., vd. in generale, G. COSTA
1990, e R. SCHMITT, 1967a.
232
È questo uno dei confronto più noti della lingua poetica i.e.: cfr. R. SCHMITT, 1967a,
passim, anche per i rinvii etimologici e la bibl.
233
Vd. R. SCHMITT, 1967a, pp. 100-1; in Omero, oltre al nesso ¢n¾r ºäj te mšgaj te (Il.
3,167-226; 23,664; Od. 9,508), è attestato due volte (Il. 19,342 e Od. 15,450) il sintagma ¢ndrÕj
˜Áoj: credo, con A. Pagliaro (1969, p. 711), che sia lo scioglimento del medesimo composto
attestato in indo-iranico.
234
L’etimologia accomuna qui solo celtico e indo-iranico (cfr. POKORNY, p. 641 sgg. e
MAYRHOFER, I, p. 258).
235
L’eccezione, dal punto di vista etimologico, è rappresentata qui dal celtico; il greco om.
conserva le tracce del modello solo in questo nome personale, probabilmente perché era
preferito il sintagma fisso dîtor ˜£wn (Il. 24,258; Od. 8,325-335; Hym. 18,12; 29,8), forse
risoluzione di un composto più arcaico: cfr. A. PAGLIARA, 1969, p. 713.
236
Sul significato del secondo membro, vd. BARTHOLOMAE, p. 587.
237
L’attestazione greca è negli Inni, ma cfr. qeoà gÒnon ºÝn ™Ònta in Il. 6,191; cfr. anche
CHANTRAINE, pp. 221-224.
238
Su questo confronto etimologico e semantico tra greco e indo-iranico, cfr. R. SCHMITT,
1967a, passim. Nei due poemi om. è attestato solo dusmev»j: secondo A. Pagliaro (1969, pp.
712-3) si deve forse alla presenza del nesso mšnoj ºä (“slancio, buon ardore” (Il. 17,456,23,254,
24,442 detto dei cavalli, ma Il. 20,8 di Enea; Il. 24,6 di Patroclo; Od. 2,271 di Odisseo) se nei
poemi non è attestato il composto; pur mancando il confronto celtico, ho ritenuto di dover
inserire questo nodo tra quelli primari per l’importanza del concetto espresso da *menos-, una
nozione legata inscindibilmente nel mondo i.e. alla “gloria immortale” e per la presenza, anche
se solo come nome proprio, del composto in mic. (per le attestazioni micenee vd. FR. BADER,
Études de composition nominale en mycenien: les prefixes melioratifs du grec, Rome 1969, p. 22).

308
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Accanto a questi nodi ‘superiori’, l’indagine ha evidenziato la


presenza di alcuni nodi ‘inferiori’, tali perchè il concetto da essi
espresso è assente in uno dei quattro gruppi linguistici sopra indicati,
ma presente negli altri tre. Essi sono:
239
VII) “dai bei figli”: ved. su-putrá-, av. hu-puqra-, om. eÜ-paij.
240
VIII) “dai bei buoi”: ved. su-gú-, av. hu-gav-, om. eÜ-booj.
IX) “dai
241
bei cavalli”: ved. sváśva-, av. hv-aspa-, om. eÙ-èdhj,
eÜ-pwloj.
X) “dal buon odore”: ved. su-gándhi, av. hu-baoday-, om. eÙ-èdhj,
242
cfr. l’antonimo a.irl. do-bolad.
XI) “dalle belle armi”: ved. svāyudhá-, av. hu-zaēna-, cfr.l’antoni-
243
mo a.irl. do-airm.
XII) “che ha dei buoni amici”: ved. su-şakhí-, av. huš.haxay-, a.irl.
244
so-chrait.
245
XIII) “dai bei possessi, ricco”: ved. svápnas-, a.irl. so-mme.
***

239
Cfr. MAYRHOFER, II, pp. 304-5; i sintagmi omerici ™äj p£ j e u‹oj ˜o‹o significano
“nobile figlio”, funzionano cioè come un composto determinativo mentre i composti qui
confrontati sono exocentrici; Euripide (Herc. F. 689; Iph. T. 1234) più tardi darà a eÜpaij valore
determinativo: cfr. A. PAGLIARA, 1969, p. 710.
240
Cfr. MAYRHOFER, I, p. 351; POKORNY, p. 482 sgg.; vanno qui ricordati anche i due
composti vedo su-gáva- “id.” e su-gávya- n. “ricchezza di buoi”.
241
Cfr. MAYRHOFER, I, p. 62 e POKORNY, p. 31; in Omero e nell’Avesta il composto è anche
n.pr., per il ved. vanno ricordati anche i derivati sváśvayú- “bramoso di bei cavalli” e sváśya- n.
“ricchezza, abbondanza di bei cavalli”.
242
L’avestico ha anche tre derivati: vd. in G. COSTA, 1990, i nn. 5300, 5310, 5320
dell’elenco; il significato del vedo su-rabhí-, e dei suoi derivati, è assai dubbio: “buona fragranza,
buon odore?”, cfr. MAYRHOFER, III, p. 486.
243
Ho ritenuto di fare del confronto vedico-avestico – che è solo semantico – qui istituito
un nodo, perchè la presenza in a.irl. dell’antonimo do-airm “male armato” e in greco di composti
come ™u-mmel…hj “dalla buona lancia”, fanno pensare che anche queste due lingue conoscessero
un composto uguale ai due indo-iranici.
244
Cfr. MAYRHOFER, III, p. 413; secondo A. Pagliaro (1969, p.711), il greco om. avrebbe
nel nesso ºÝj qer£pwn (qer£pwn è innovazione greca di etimologia incerta e vale in genere
“scudiero”) un confronto con su-şakhí-, almeno nei casi in cui è detto di Patroclo; i due composti
sono discussi da K. Hoffmann (1986, pp. 199-200), che preferisce tradurli “membro di un
seguito”.
245
Mi sento qui legittimato a istituire il nodo, dall’identità etimologica e di formazione dei
termini greco e a.irl., dal confronto con l’av. afnah-vant- “ricco di beni” (Yt. 7,5; F.2), e
soprattutto con Od. 18,127: ™än t’ œmen ¢fneiÒn; il nesso ™Új ¢fneiÒj è infatti – seguo in ciò
l’opinione di A. Pagliaro (1969, pp. 711-712 con bibl.) – formalmente e semanticamente
identico a svápnas- e a somme.

309
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Dunque, tra le centinaia di composti greci, celtici, e indo-


iranici con primo membro *su- attestati, i confronti qui sopra
elencati sono gli unici possibili e credibili; essi consentono di
attribuire a una fase pre-storica comune ai quattro gruppi linguisti-
ci un tipo di formazione composizionale che deve essere conside-
rata come uno stilema della lingua poetica i.e.: sono infatti possibili
numerose equazioni tra questi composti e alcuni dei sintagmi attri-
buiti tradizionalmente alla lingua poetica e con diversi composti col
246
nome dell’“oro”.
Anche dal punto di vista storico-culturale, gloria, virilità, bellezza,
generosità, nobili progenie, ricchezza di figli, di cavalli, di buoi, di
armi, di amici, ecc., sono tutte nozioni che rimandano al quadro
247
culturale espresso dalla lingua poetica i.e.
Il campo lessicale formato dai composti confrontati, è organizzato
al suo interno mediante una tassonomia, i cui nodi del primo livello
sono costituiti dai composti nei confronti I-VI; direttamente ma diver-
samente derivati dal primo livello, d sono poi i composti dei confronti
in VII-XIII: essi costituiscono il secondo livello della tassonomia. Da
tutti questi nodi si diparte, attraverso un sistema derivazionale com-
248
plesso ma evidente, una lunga serie di confronti e di creazioni
comuni, parallele o isolate, che rendono conto delle varie fasi di
sviluppo di questo sistema composizionale fino alla produttività aper-
249
ta dei rispettivi periodi storici.
250
Come ci si poteva aspettare, i composti in *dus-, che qui non
tratto, sono poi meno numerosi e le coppie antonimiche rare, tranne
che in irlandese antico, – per motivi stilistici probabilmente interni a
quella letteratura, e in avestico, – dove il dualismo zarathustriano deve
aver giocato un ruolo determinante di impulso alla contrapposizione,
251
anche lessicale, tra Bene e Male.

246
Cfr. R. SCHMITT, 1967a; M. DURANTE, 1976, pp. 91-98; G. COSTA, 1984.
247
Sul carattere terreno, laico, non escatologico, della cultura trasmessa dalla lingua
poetica i.e., vd., tra gli altri, E. CAMPANILE, 1990c, cap. III: Il concetto di gloria nella società
i.e.
248
Vd. G. COSTA, 1990, pp. 31 sgg.
249
Per queste derivazioni, che qui non ci interessano direttamente, rinvio a ID., ibid.
250
Cfr. supra, p. 307.
251
Cfr. ivi, pp. 23-24; la sopravvivenza in isl. di tor-, che si oppone a aua e non a su-,
scomparso, è un caso a sé.

310
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

252
Si è detto sopra, inoltre, che ad un certo punto la lingua poetica
i.e. divenne mediante un atto consapevole una lingua letteraria.
Nel caso del tipo di composti di cui qui si parla, la conferma di ciò
253
la troviamo nello stilema che K. Hoffmann ha identificato in una
delle epigrafi della tomba di Dario e confrontato con un brano della
versione Paippalāda dell’Atharva-Veda (Ps. III 27,4):

hamaranakara amiy ušhamaranakara: “come stratega sono un buon stra-


tega”;
asabāra uv asabāra amiy: “come cavaliere sono un buon cavaliere”;
a

qanuvaniya uqanuvaniya amiy: “come arciere sono un buon arciere”;


arštika uv arštika amiy: “come combattente con il giavellotto sono un
a

buon combattente con il giavellotto”.


yathā viśvāh pṛtanāh sañjayāsi
yathā śatrūn sahamānah sahāsai /
yathāsah samrāţ susamrād
evii tvendro ’prativadham kṛņotu //
“affinché tu vinca tutte le battaglie,
affinché tu pieghi vittorioso tutti i nemici,
affinché, come re dei re, tu sia un buon re dei re,
Indra ti renda irresistibile”.

Lo studioso conclude così il suo articolo: «die Verszeile yathāsah


samrāţ susamrād ist den altpersischen Belegen so gleichartig, daß mit
der Existenz einer indoiranischen Stilfigur gerechnet werden darf. Es
kann aber aufgrund der Beleglage vermutet werden, daß diese Stilfi-
gur 254vielleicht nur der Sprache des arischen Kriegeradels angehör-
te».
Uno stilema poetico di retaggio i.e., la composizione con *su- (e
*dus-), ha dunque conosciuto uno sviluppo interno al solo indo-
iranico, in particolare uno sviluppo stilistico proprio a una lingua
letteraria ideologicamente connotata come appartenente all’aristocra-
zia guerriera, e che sarà poi nelle sedi storiche scritta.

252
Cfr. supra, pp. 127 sgg.
253
Cfr. K. HOFFMANN, 1986, pp. 196-203, per i dati e la bibl.
254
Ivi, p. 203; ciò che qui sostengo, precisa e modifica parzialmente quanto affermato in G.
COSTA, 1990, pp. 61-64.

311
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Dal punto di vista espresso nel presente capitolo, quanto si è


appena detto andrà poi interpretato così come segue.
Nel SISE orale i.e. sono immagazzinati i racconti tradizionali, cioè
la coscienza delle popolazioni i.e. in quanto summa delle loro cono-
scenze; i racconti tradizionali, in particolare i miti, sono codificati
dalle formule, dai temi e dalle tassonomie della lingua poetica, intesa
come lingua della poesia, come insieme di tecniche poetiche, culturali
e mnemoniche e come vettore trasmissorio-asseverativo: una di tali
tecniche poetico-culturali di codifica e di trasmissione è costituita dai
composti con *su-, e i concetti da loro espressi sono appunto coerenti
con la visione del mondo trasmessa dalla cultura poetica.
I contenuti del SISE per essere adeguatamenti richiamati necessi-
tano di una mappa di meta-informazioni, di una mappa della mappa;
all’interno della lingua poetica, con la costruzione delle tassonomie, si
creò la mappa del SISE: i composti con *su- sono parte della lingua
poetica che tramanda i racconti tradizionali, cioè del SISE, ma la loro
tassonomia appartiene a quel settore della lingua poetica che costitui-
sce la mappa del SISE; il prefisso *su-, in particolare, essendo ciò che
lega tra loro i composti, codifica una meta-informazione, cioè un
valore.
255 256
Come si è detto, E. M. Wolf ha mostrato che il sistema della
valutazione, che è basato principalmente sui tratti ‘bene’ e ‘male’,
«suppose la prise en compte de la norme et des stéréotypes d’évalua-
tion, c’est à dire, des notions sociales définissant par rapport à tel ou
257
tel objet ce que recouvre ‘bien’ et ‘mal’», ma «[…] la norme ne
coincide pas avec la moyenne. Elle se déplace vers la partie positive
de l’échelle,
258
tandis que la moyenne se rapproche de la zone négati-
ve».
La scelta dunque di un prefisso dal significato vicino a quelle
259
parole (‘bello’, ‘buono’ ecc.) che M. Bierwisch sulla scorta di
considerazioni simili a quelle della Wolf, ha proposto di analizzare
come contenenti un tratto componenziale speciale / + Pos /, proprio
per indicare che in esse la norma è più vicina alla parte positiva della

255
Cfr. supra, p. 307.
256
Cfr. E. M. WOLF, art. cit., pp. 525 sgg.
257
Ivi, p. 526.
258
Ivi, p. 527.
259
Cfr. M. BIERWISH, art. cit., passim.

312
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
260
scala valutativa, era obbligata per una norma linguistico-cognitiva
che volesse formalizzare efficacemente in una tassonomia, mediante
uno strumento flessibile e produttivo come la composizione, parte del
sistema istituzionale della valutazione. Selezionato così il primo ele-
mento dei composti e regolato l’uso mediante una norma specifica, il
secondo elemento venne selezionato all’inizio scegliendo le parole
chiave della cultura poetica i.e., dando origine così alla tassonomia
canonica di riferimento, e poi ri-selezionato di volta in volta sulla base
delle nuove esigenze e marcato con l’approvazione sociale espressa
dal prefisso.
Il prefisso *su- divenne così nel tempo uno degli strumenti etnolin-
guistici con cui indicare la discriminazione tra ciò che era conforme
alla cultura del gruppo, cioè una meta-informazione, un valore; così
come il prefisso *dus-, più tardi, poichè il punto di partenza è quello
positivo, servì a marcare ciò che socialinente era ritenuto privo del
valore espresso da *su-.
Il prefisso *su- (e il suo opposto *dus-) fu dunque per un lungo
261
periodo della storia di alcune lingue i.e., uno degli indici lessicali
della conformità, o della estraneità, a quella che oramai era divenuta
l’ideologia del gruppo socialmente, linguisticamente e cognitivamente
dominante, operazione tanto più importante in una visione del mondo
in cui il ‘successo’ socio-linguistico di un uomo era dato dalla
rinomanza del suo nome, dalla sua ‘gloria’, dall’agire seguendo il
canone di un’ideologia della ‘differenza’.

4.4. LA LINGUA POETICA COME VIATICO ALLA STORIA: ORDINE,


COMPLESSITÀ E CAOS NELL’ETNOGENSI I.E.

Giunti a questo punto, sappiamo che non esiste una razza i.e., che
non esiste una facies archeologica sicuramente identificabile come i.e.
- pace Gimbutas, che le orde di cavalieri ariani e le invasioni rapide e

260
Data l’impossibilità di conoscere le condizioni pragmatiche di una lingua preistorica, è
impossibile comprendere perché sia stato scelto proprio *su-.
261
Un altro esempio di ciò è in C. WATKINS, Let us now praise famous grain, in C. WATKINS
(ed.), Indo-European studies III, Cambridge (Mass.) 1977, pp. 468-498 (poi anche in «PAPhS»
122 (1978), pp. 9-17); vd. anche ID., 1992, pp. 401 sgg.: «the suffix of the original pair [*melit- /
*sepit-] is a morphological index of the opposition nature vs. culture, and the shared suffix *-it-
an Indo-European indexical sign. Here the study of formula leads to the reconstruction of a total
semiotic model for a prehistoric culture».

313
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

violente non ci sono mai state, che Ursprache, Urvolk e Urheimat sono
invenzioni, pur coerenti col metodo, dei Neogrammatici.
Cosa resta dunque di quella grandiosa metafora scientifica che è
stata la ricostruzione dell’i.e.?
Certo non l’unitarietà primigenia, figlia e matrice di un’ideologia
ricostruttiva, e non «intrinseca al darsi storico delle varietà linguisti-
262
che geneticamente associabili», e certo nemmeno «l’attribuzione
di un astratto indeuropeo – praticamente senza storia o con storia
lineare e ‘stadiale’ – a tutte le fasi dell’espansione, senza tener conto
della varietà complessa e graduale che le premesse archeologiche
263
presuppongono»: se quanto ho sostenuto nella presente ricerca
riguardo alle origini della lingua poetica i.e. è verosimile, prima
dell’insorgere della lingua poetica gli Indeuropei non esistevano in
quanto tali, perché non possedevano una propria identità etnolingui-
stica e una coscienza di sé, e quando, grazie alla lingua poetica,
ebbero l’una e l’altra, gli i.e. furono popoli (i.e.) e non un popolo
264
(i. e.).
Nel quadro prospettato dalla· presente ricerca, una visione di
265
continuità che presume come non ancora terminata l’ominazione,
l’evoluzione dell’indeuropeo è durata decine di migliaia di anni ed è
dispersa in spazi fisici e antropologici così estesi da coincidere quasi
con l’origine dell’umanità: «la Terra fu il primo grande spazio di
significazione aperto dalla nostra specie. Esso poggia sui tre elementi
promordiali che caratterizzano l’homo sapiens: il linguaggio, la tecni-
266
ca e le forme complesse di organizzazione sociale […]. Il secondo
267
spazio antropologico, «il Territorio, è stato inventato a partire dal

262
Cit. da A. L. PROSDOCIMI, Filoni indeuropei in Italia… cit. (nota 74, p. 75), p. 149.
263
Cit. da ID., ibid.
264
F. Bader, (in EAD., 1984, p. 33), attribuisce all’ideologia tripartita il merito di aver
differenziato gli i.e. dai popoli loro confinanti nel passaggio dal paleolitico al neolitico; è un’idea
che la presente ricerca credo renda superata, ma che resta valida nel suo assunto di fondo: sono
la cultura, la lingua di tale cultura, e i valori che ne costituiscono il centro che differenziano i
popoli gli uni dagli altri.
265
Vd. supra, nota 37, p. 164.
266
Cit. da P. LÉVY, L’intelligence collective… cit. (nota 37, p. 164), p. 27.
267
«Che cos’è uno spazio antropologico? È un sistema di prossimità (spazio) proprio del
mondo umano (antropologico) e dunque dipendente dalle tecniche, dai significati, dal linguag-
gio, dalla cultura, dalle convenzioni, dalle rappresentazioni e dalle emozioni umane» (ivi, p. 27).
Gli spazi antropologici «sono apparsi progressivamente nel corso dell’avventura umana, hanno
preso consistenza, si sono resi autonomi, fino a diventare irreversibili. […] È la loro irreversibi-
lità che ci consente di qualificare questi spazi come antropologici» (p. 150). Gli spazi antropolo-

314
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Neolitico con l’agricoltura, la città, lo stato e la scrittura. Questo


secondo spazio non elimina la grande Terra nomade, ma le si sovrap-
pone268
parzialmente e tenta di renderla stanziale, di addomesticar-
la», ma quando il Territorio «si impossessa di un’entità proveniente
da un’altro spazio, la fissa secondo coordinate trascendenti, la codifi-
269
ca, la inscrive in una tradizione».
Ci si rivolge alle tecnologie della trascendenza, e tale deve essere
considerata anche la lingua poetica i.e., «quando il gruppo diventa
troppo numeroso perché gli individui si conoscano per nome e possa-
270
no capire in tempo reale quello che fanno insieme […]», come
avvenne con l’incremento demografico iniziato nel mesolitico ed
esploso nel neolitico. Ma «le tecnologie della trascendenza passano
per un centro, un punto elevato e, da questa astrazione, separano,
271
organizzano, e unificano il collettivo»: tale centro fu per gli i.e. la
lingua poetica.
La storia allora non è «la semplice successione degli avvenimenti
‘nel tempo’, ma la creazione e la distruzione di nuove forme e nuovi
mondi di significato, che istituiscono le temporalità loro proprie.
L’avvenimento non è solo datato, è potenzialmente ‘datante’, ovvero
ha la capacità di provocare conseguenze nelle configurazioni di senso
272
abitate dagli uomini e di modificarle»: nella vicenda i.e. è la lingua
poetica l’avvenimento datante.
Se cosÌ è, saranno le valutazioni, allora, che «danno al mondo la
273
sua rilevanza».
***

gici, tuttavia, «non sono in se stessi né infrastrutture né sovrastrutture ma ‘piani di esistenza’,


frequenze, velocità determinate nello spettro sociale. Improvvisamente l’umanità procede più
velocemente. E questa nuova velocità genera spazio» (p. 151), ma «a ogni spazio corrisponde un
tipo di identità, un genere di desiderio, una struttura psichica» (p. 155). Nessuna necessità
presiede alla comparsa degli spazi antropologici ed essi coesistono: «ogni nuovo spazio ‘riposa’
sui precedenti. Nessuno spazio antropologico può distruggere quelli sottostanti senza rischiare
di eliminare anche se stesso» (p. 226).
268
Ivi, p. 28.
269
Ivi, p. 227; cfr. anche ivi, p. 186: «perpetuare un racconto è trasmettere un inventario
ordinato di qualità e di azioni possibili su uno spazio».
270
Ivi, p. 65.
271
Cit. da ID., ibid.
272
Ivi, p. 198.
273
Cit. da ID., ibid.

315
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

274
Si è detto prima che i valori sono un oggetto mentale di
confine; ebbene, gli sviluppi della scienza della complessità han-
no275mostrato che è possibile prendere sul serio questa metafo-
ra.
276
A partire dagli anni ottanta, sulla base di idee sorte dagli
sviluppi della cibernetica, le ricerche sui sistemi complessi, cioè sui
sistemi nella cui azione sono coinvolti come interagenti numerosi
fattori indipendenti, hanno conosciuto un incremento teoretico e
277
sperimentale vigoroso. Come osservava già F. T. Arecchi, «trattan-
dosi di fenomeni che implicano molte componenti essi godono di una
universalità, cioè i comportamenti globali non dipendono dai dettagli
delle interazioni fra individui. […] Questa universalità permette di
278
estendere l’analogia alle situazioni delle società umane». Gli svi-
luppi recenti di tali studi hanno riguardato infatti non solo fenomeni
fisici o chimici, ma anche organismi complessi come l’economia, la
mente, gli ecosistemi, la cultura; la teoria della complessità, a mio
parere, anche se è ancora lontana dall’aver definito compiutamente le
sue leggi o essere pervenuta a un paradigma pienamente condiviso,
può tuttavia costituire un modello presunto anche per «lo specificum
della lingua in società, […] un sistema che è stato descritto come
‘chiuso’, ma che funziona, anzi per natura deve funzionare come
279
‘aperto’».
280
Ora, i «sistemi aperti, cioè con continui scambi di energia e
particelle col mondo esterno […] al variare del parametro di controllo,

274
Vd. supra, p. 301.
275
A ricerca ultimata, mi accorgo che anche A. L. PROSDOCIMI [Filoni indeuropei in Italia…
cit., pp. 152 sgg.] utilizza, in parte e con finalità metodologiche diverse da quelle qui prospettate,
la teoria della complessità: sono lieto di poter condividere con uno studioso così attento ai
problemi teorici della ricostruzione i.e., l’attenzione a uno degli sviluppi più importanti della
scienza contemporanea; forse, come osserva C. O. PAVESE [art. cit. (nota 218, p. 305), p. 259],
anche se «dicono qualche volta dei filologi [e dei glottologi, aggiungo io] che siamo robivecchi
inutili e sorpassati», esiste ancora qualche buona ragione per studiare il greco.
276
Si veda, per es., il lavoro pioneristico di H. A. SIMON, The Architecture of Complexity,
«PAPhS» 106,6 (1962), pp. 467-482; la bibl. di riferimento è in III,4,8.
277
Per la storia recente di questi studi, vd. M. M. WALDROP, Complexity… cit. (nota 57, p.
168).
278
Cit. da F. T. ARECCHI, Il caos, l’ordine e il tempo nella fisica di oggi. Diss. inaugurale per
l’apertura dell’a. ace. 1980-81 dell’Università degli Studi di Firenze, Firenze 1982, pp. 42-43.
279
Cit. da A. L. PROSDOCIMI, op. cit., p. 156.
280
Un sistema aperto è un sistema fuori dall’equilibrio: per la II legge della termodinamica,
vd. supra, pp. 151 sgg.

316
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

cioè della causa esterna che ne modifica il comportamento, possono


passare dal caos all’ordine […] alla complessità, i tre livelli non sono
dunque astrazioni concettuali, ma tre […] modi di comportamento di
281
un sistema aperto».
282
Come ho già accennato, i passaggi da uno stato all’altro avven-
gono tramite transizioni di fase del primo o del secondo ordine:

le transizioni del primo ordine sono quelle nette e precise con cui abbiamo
familiarità. Se si aumenta la temperatura di un cubetto di ghiaccio oltre 0° C,
il passaggio dal ghiaccio all’acqua si verifica in modo brusco. Cosa accade
allora? Le molecole sono costrette a fare una scelta tra ordine e caos. A
temperature inferiori alla transizione, esse vibrano abbastanza lentamente da
poter optare per l’ordine cristallino (ghiaccio), mentre a temperature supe-
riori vibrano con tanta energia che i legami molecolari si rompono più in
fretta di quanto non possano riformarsi, cosicché le molecole sono costrette a
283
optare per il caos.

Le transizioni del secondo ordine, pur avvenendo anch’esse alle


temperature e alle pressioni in cui è possibile la vita umana, sono
molto più rare in natura, e

anche assai meno brusche, in gran parte perché in un sistema del genere le
molecole non sono obbligate a fare una scelta tra due soli stati. Combinano
ordine e caos. Al di sopra della temperatura di transizione la maggior parte
delle molecole si urtano in una fase del tutto caotica, fluida. Tra queste si
trovano pure miriadi di isole submicroscopiche di solidi ordinati, con le
molecole disposte in reticoli cristallini, che si urtano a loro volta dissolven-
dosi e riformandosi di continuo. Queste isole non sono né molto grandi né
molto durevoli, neppure su scala molecolare. Perciò il sistema si trova
ancora in uno stato per lo più caotico. Ma quando si abbassa la temperatu-
ra, le isole maggiori cominciano a ingrandirsi e a vivere per un tempo
proporzionale alla loro grandezza. L’equilibrio tra caos e ordine si sposta.
Continuando a diminuire la temperatura, oltre quella di transizione di fase,
si avrebbe un rovesciamento di ruoli: i materiali si trasformerebbero da un
mare fluido punteggiato di isole a un continente di materia solida chiazzato
qua e là da laghi di solido. Proprio nel punto di transizione l’equilibrio però
è perfetto: le strutture ordinate riempiono un volume identico a quello del

281
Cit. da F. T. ARECCHI, art. cit., p. 37.
282
Vd. supra, pp. 167 sgg.
283
Cit. da M. M. WALDROP, op. cit., p. 365 (i corsivi sono miei).

317
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

fluido caotico. Ordine e caos s’intrecciano in una danza complessa e sempre


mutevole di braccia submicroscopiche e filamenti frattali. Le strutture
ordinate maggiori insinuano le loro dita nel materiale per distanze arbitra-
riamente lunghe e durano per un tempo arbitrariamente lungo. E nulla mai
284
si stabilizza.

Quel punto è chiamato il margine del caos:

il margine del caos è là dove la vita ha abbastanza stabilità da sostenersi e


abbastanza creatività da meritare il nome di vita. Il margine del caos è dove
nuove idee e genotipi innovativi erodono senza tregua i confini dello statu
quo, e dove persino la vecchia guardia meglio trincerata sarà infine capovolta.
Il margine del caos è dove secoli di schiavitù e segregazione cedono d’im-
provviso il passo al movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e
Sessanta; dove settant’anni di comunismo sovietico finiscono in disordini e
agitazioni politiche; dove, dopo milioni di anni di stabilità evolutiva, si
verificano repentine trasformazioni di specie su vasta scala. Il margine del
caos è il campo di battaglia perennemente in bilico tra inerzia e anarchia,
l’unico luogo in cui un sistema complesso può essere spontaneo, adattivo e
285
vivo.

Come sostiene anche C. G. Langton, il misterioso ‘qualcosa’ che


rende possibile la vita e la mente è un certo tipo di equilibrio tra il
caos e l’ordine: «proprio fra i due estremi, in una sorta di transizio-
ne di fase astratta detta ‘margine del caos’, si trova anche la com-
plessità; una classe di comportamenti dove le parti del sistema non
sono mai del tutto fissate in una posizione e neppure del tutto
dissolte nella turbolenza. Questi sistemi sono abbastanza stabili per
memorizzare informazione, ma anche abbastanza labili da trasmet-
terla: sono i sistemi che possono essere organizzati per eseguire
computazioni complesse, reagire al mondo, essere spontanei, adatti-
286
vi, vivi».
Le ricerche sulla complessità hanno mostrato, infine, che tutti i
287
sistemi complessi sono innanzitutto formati da una rete di molti

284
Ivi, p. 366 (i corsivi sono miei).
285
Ivi, p. 366.
286
Ivi, pp. 470-471.
287
Per la descrizione e l’analisi delle principali caratteristiche dei sistemi complessi –
adattività, autorganizzazione, autocatalisi, retroazione positiva, lock-in, coevoluzione, procedure

318
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

‘agenti’ che operano in parallelo. Nel caso di un cervello si tratterà di


cellule nervose, in un’ecologia saranno specie, in una cellula organuli
come il nucleo e i mitocondri, in un embrione le cellule, e via dicendo.
L.,] Comunque lo si voglia definire, ogni agente si trova in un ambien-
288
te determinato dalle sue interazioni con gli altri agenti del sistema.
[…] In secondo luogo un sistema complesso adattivo ha numerosi
livelli di organizzazione, dove gli agenti di un livello servono come
mattoni per gli agenti costruttori del livello superiore. […] I sistemi
complessi adattivi, accumulando esperienza, continuano a riesamina-
re e riordinare i loro mattoni. Le successive generazioni di organismi
modificano e risistemano i loro tessuti tramite il processo di evoluzio-
ne. Il cervello lavora incessantemente per rinsaldare o indebolire
miriadi di connessioni fra i neuroni in corrispondenza con quanto
l’individuo impara dai suoi rapporti col mondo. […] In terzo luogo
tutti i sistemi complessi adattivi sono in grado di prevedere il futuro.
[…] In generale ogni sistema complesso adattivo fa costantemente
ipotesi fondate sui suoi modelli interni del mondo, cioè in base ai
propri assunti impliciti o espliciti riguardo al funzionamento della
289
realtà esterna.
Insomma, «tutti i sistemi complessi adattivi – economie, menti,
organismi – costruiscono modelli che permettono loro di prevedere il
290
mondo» sulla base di assunti espliciti o impliciti, cioè di scelte e di
valutazioni che danno luogo a valori.
***
Sulla base di quanto ora detto, sarà possibile allora tentare di
visualizzare l’ipotesi che ho sostenuto nella presente ricerca così come
291
segue:

per ‘tentativi ed errori’, ecc. –, rinvio in parte a quanto già detto sopra (vd. pp. 146 sgg.), a M. M.
WALDROP, op. cit., passim, e alla bibl. in III,4,8.
288
Come ricorda B. Arthur, nella teoria della complessità, «non esiste nessun dualismo tra
uomo e natura. Noi facciamo parte della natura stessa, siamo al suo interno. Non c’è divisione
tra chi fa e chi subisce perché apparteniamo a una stessa rete interconnessa»: ivi, p. 537; cfr.
supra, pp. 142 sgg.
289
Cit. da M. M. WALDROP, op. cit., pp. 224-227.
290
Ivi, p. 279 (il corsivo è dell’A.).
291
Quello che qui traccio, non è un grafo, né un modello o uno schema, tantomeno una
sinossi; Jung direbbe forse che è un máņd ala: spero sia di qualche aiuto e non un ulteriore
complicazione.

319
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

La lingua poetica, inscritta nel cerchio dell’universo semiotico


creaturale, in una danza di significazione che si pone e si ricompone in
continuazione, passa per un punto astratto di concentrazione che è
una nostra astrazione, un’astrazione della scienza e della coscienza: la
lingua poetica come configurazioni di probabilità, di valori che origi-
nano spazi antropoligici di significato. Sta a noi imparare a muoverci
in questo spazio e fare dell’indeuropeistica la mappa delle differenze e
292
non dell’unità.
***

292
Scrive A. L. Prosdocimi: «sono sempre più convinto che, dopo tutto l’operare ricostrut-
tivo teso all’unità e presupponente l’unità – solo tenuamente mitigato dalla ‘dialettologia indeuro-
pea’ o dall’indeuropeo da distribuire in stadi spazio-temporali (e sociali: DIA) – ci sarebbe da
coltivare l’operare inverso, all’insegna di qualcosa come ‘über die Verschiedenheit der indoger-
manischen Sprachen’»: cit. da ID., Filoni indeuropei in Italia… cit. (nota 74, p. 75), p. 147.

320
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

Fuori dalla nuova, incompiuta metafora e senza rientrare nel


vecchio, usurato paradigma – al limite del caos verrebbe da pensare,
293
resta forse da dire che alcune intuizioni di V. Pisani sulla formazio-
ne dell’i.e., paiono ora meno paradossali di quanto sembrassero un
294
tempo. Dal momento che le idee di questo illustre studioso richia-
mano in apparenza quanto ho sostenuto nella presente ricerca, non
sarà qui inutile discuterle e confrontarle con le mie, anche per misura-
re le distanze coperte nel frattempo dalla ricerca e chiudere così
finalmente il cerchio su questo capitolo della storia recente dell’indeu-
ropeistica aperto in l,l.
Dunque, Pisani riteneva l’unità i.e. il risultato di una lega linguisti-
295
ca «costituita dalla sovrapposizione di varie bande di conquistatori
296
parlanti una fase anteriore del sanscrito (‘protosanscrito’), su popo-
297
lazioni alloglotte». Formatisi in tal modo i diversi dialetti i.e., essi
sarebbero stati poi «tenuti assieme da numerosissime isoglosse rap-
presentate specialmente in una lingua sacrale e ‘letteraria’ ancora
riconoscibile nelle tracce della ‘lingua poetica indeuropea’ di Wacker-
nagel, portata dalla classe sacerdotale ‘protobrahmanica’ che, come
più tardi nell’India storica, assicurava una certa comunicazione tra le
varie formazioni ‘statali’ costituite dai ‘conquistatori’ nell’immenso
298
spazio». Da qui sarebbero poi sorti i «singoli raggruppamenti

293
Vd. supra, p. 22.
294
Le idee di V. Pisani sull’i.e. credo siano ben note; se ne troverà comunque un compen-
dio nel suo Lingue e culture… cit. (nota 52, p. 252), passim.
295
«I gruppi di conquistadores, se così è lecito chiamarli, che hanno acquisito all’unità
indeuropea tanti popoli, linguisticamente e culturalmente diversi, dovevano costituire società
organiche guidate da guerrieri scelti e da sacerdoti. Questi ultimi […] dovevano avere un’organiz-
zazione salda e conservatrice, la quale ha permesso il perpetuarsi di certe tradizioni nel vario
mondo indeuropeo recenziore. E fra l’altro questo vale in rapporto alla lingua. È stato più volte
osservato, ad esempio dal Meillet, che l’indeuropeo è una lingua ‘aristocratica’: ciò è dovuto a mio
parere alle cerchie sacerdotali che hanno conservato la vecchia lingua, fornendo così ai vari
linguaggi indeuropei che si andavano costituendo […] un punto di riferimento centripetale
analogo a quello che nel mondo romanzo ha rappresentato, rispetto al centrifughismo dei dialetti,
il latino della letteratura, formatosi su quello delle cerchie patrizie romane […]»: ivi, p. 216.
296
Secondo V. Pisani, il protosanscrito era «il risultato della confluenza di elementi simili a
quelli delle lingue turche ecc., con altri simili a quelli delle lingue caucasiche e mediterranee,
dovuta alla fusione di un’aristocrazia guerriera nomadica e cavaliera, proviente dall’Asia centra-
le, con una classe essenzialmente sacerdotale recante una civiltà, riflesso di quelle mediterranea e
mesopotamica»: ivi, p. 23.
297
Cit. da ID., ibid.
298
Cit. da ID., ibid; secondo Pisani, tali contatti sarebbero stati mantenuti da poeti /
sacerdoti itineranti; cfr. ivi, pp. 355-356.

321
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

dialettali, presupposto delle posteriori relative unità: germanica, slava,


299
ecc.».

Dimodoché, quando noi ricostruiamo la fase unitaria precedente alla costitu-


zione delle diverse lingue indeuropee antiche, dobbiamo tener presente […]
tre fasi: i dialetti dell’unità indeuropea, in tutta la complessità spaziale e
temporale di questa; il ‘protosanscrito’ in quanto lingua parlata; la ‘lingua
letteraria indeuropea’ risalente a un uso letterario del ‘protosanscrito’ soprat-
tutto nelle classi sacerdotali e (per es. da parte di bardi analoghi ai sūta
indiani) in quelle guerriere da esse influenzate […]. Insomma, una vicenda di
dialetti e ‘Mischsprachen’ sullo sfondo di una storia culturale, sotto il quale
epiteto comprendo i risultati sia di conquiste politico-militari, sia di aggrega-
30o
zioni dovute a fattori economici o religiosi, e così via.

Pisani era insomma convinto dell’esistenza di una lingua letteraria


orale i.e., il cui frutto più vistoso era costituito dalla lingua poetica, e
che il vedico, in particolare il sanscrito brahmanico, fosse di essa il suo
continuatore più fedele; tale lingua, era per lui la versione letteraria del
protosanscrito parlato, la lingua diffusa per l’Eurasia dalle bande i.e. e
da cui sarebbero sorte le lingue i.e. storiche: le parziali affinità e le
sostanziali diversità con quanto sostengo nella presente ricerca sono
evidenti.
Messe da parte le origini ultime del protosanscrito o proto-
indeuropeo che dir si voglia, perché, nonostante i progressi della
macro-comparazione, non mi pare ci siano ancora risultati apprezza-
bili e comunque qui la questione non ci riguarda, occorre dire,
tuttavia, che Pisani sbagliava soprattutto nell’identificare le caratteri-
stiche di una lingua letteraria orale con quelle di una lingua letteraria
301
scritta, confondendo pertanto i rapporti, tipologici e genealogici,
tra scritto e orale, tra lingua della poesia e lingua poetica, tra fissazione
del canone poetico e nascita della lingua letteraria (orale e scritta); poi,
che l’idea dei sacerdoti itineranti resta per i tempi preistorici inverosi-
302
mile, e dunque che la continuità e la salvaguardia della tradizione
era garantita da altri strumenti; infine, in generale, che il modello

299
Cit. da ID., ibid.
300
Ivi, pp. 47-49.
301
Ivi, passim; vd. supra, pp. 127 sgg.
302
È invece diverso il caso della grecità storica, a cui forse Pisani si ispirava, vd. G. NAGY,
1990, p. 3 nota 7 e pp. 52-60; ID., Pindar’s Homer… cit. (nota 80, p. 46), p. 5.

322
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

dialettale romanzo non è applicabile al mondo i.e. preistorico e proto-


storico perché non solo non è mai esistito qualcosa che pur vagamente
somigliasse a un impero i.e., ma perché la stessa idea di un’unità
primigenia i.e., fosse anche frutto di un Sprachbund e non di una
Ursprache, è priva, come si è detto, di riscontri reali e resta un’ipotesi
legata a un particolare modello ricostruttivo.
Come spero di aver mostrato, è vero invece, – e va dato merito alla
coerenza e al coraggio con cui Pisani ha sostenuto nel tempo idee che
solo ora trovano per qualche aspetto conferma –, che la lingua poetica
ha costituito per molti popoli i.e. il centro dinamico della loro identità
etnolinguistica, della coscienza della loro diversità, della consapevo-
lezza della loro visione del mondo e dei valori che la garantivano: il
loro viatico alla storia.

323
CAPITOLO 5

CONCLUSIONI E PROIEZIONI

– Rendetemi allora comprensibile la natura del-


la coscienza!
– Se potessi farlo, sarei Dio, poiché la coscienza
nasce nel momento in cui la si capisce. Potre-
ste voi rendermi comprensibile l’essenza della
poesia?
(Novalis)

Se la validità dei valori dipende dalle valutazioni e dalle scelte da


cui sono originati, allora «sapere o scoprire (e cercare di ricordare) ‘da
dove vengono’ i valori sarebbe quindi prezioso per la progettazione e
riprogettazione di un sistema sociale: potrebbe, ad esempio, creare le
condizioni per far cadere in disuso quei valori che non sono, o non
sono più, giustificati da un’effettiva polifunzionalità; permetterebbe
di svelare gli interessi che possono star dietro la loro creazione e
trasmissione; permetterebbe di individuare le ragioni (e cioè le valuta-
zioni) che causano i conflitti tra valori, altrimenti difficilmente sanabi-
l
li».
Nel nostro caso, tuttavia, poiché il fondamento normativo del
sistema prescrittivo di cui la lingua poetica i.e. è veicolo, matrice e
fondamento, si perde nella notte del paleolitico e nelle urgenze geni-
2
che, è impossibile eplicitare il rapporto costante e sistematico tra
valutazioni e valori, un rapporto comunque in sé mai del tutto esauri-
bile in una computazione, tanto più quando, come in una cultura

l
Cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit. (nota 148, p. 294),
p.286.
2
Vd. supra, pp. 197 sgg.

325
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

3
orale, il processo sociale di acquisizione dei valori passa attraverso
l’introiezione delle figure significative, degli eroi, degli antenati, «di
4
verità tanto assolute e indiscutibili quanto irrazionali e indeducibili».
Certo è, come ricorda J. Hillman, che «finché la nostra cultura
sarà tradizionalmente e ufficialmente legata alle lingue indeuropee
[…] non potremo cambiare la nostra mente, anche se potremo benis-
5
simo ampliarla, rivederla e reimmaginarla».
Per rendersi conto di ciò, basta pensare ai nomi diversi, ma ai volti
sempre uguali che ha assunto nel tempo la rinomanza, la gloria
immortale – klšoj ¥fqiton / śrávo ákşitam: per esempio, la dea Fama
6
dei Romani, o la ‘reputazione’ rinascimentale e shakespiriana:
Riccardo II, n, 1, 50 sgg.:

«This blessed plot, this earth, this realm, this England […]
this land of such dear souls, this dear dear land,
dear for her reputation through the world […]».

e Otello, n, 3, 262 sgg:

«Reputation, reputation, reputation! O, l have lost my reputation! l have


lost the immortal part of myself, and what remains is bestial. My reputation,
7
lago, my reputation!».

3
Vd. supra, pp. 294 sgg.
4
Cit. da ID., ibid.
5
Cit. da J. HILLMAN, Kinds of Power, 1995, trad. it. Milano 1996, p. 183.
6
Così descritta da Virgilio in Eneide, IV, 174 sgg.:
«Fama, malum qua non aliud velocius ullum:
mobilitate viget virisque adquirit eundo;
parva metu primo, mox sese attolit in auras
ingrediturque solo et caput inter nubila condito
lliam Terra parens, ira inritata deorum,
extremam, ut perhibent, Coeo Enceladoque sororem
progenuit pedibus celerem et pernicibus alis,
monstrum horrendum ingens, cui quot sunt corpore plumae,
tot vigiles oculi supter (mirabile dictu) ,
tot linguae, totidem ora sonant, tot subrigit auris.
Nocte volat caeli medio terraeque per umbram
stridens nec dulci declinat lumina somno;
luce sedet custos aut summi culmine tecti,
turribus aut altis et- magnas territat urbes,
tam ficti pravique tenax quam nuntia veri».
7
Cfr. J. HILLMAN, op. cit., pp. 109 sgg.

326
5– CONCLUSIONI E PROIEZIONI

Ancora dunque il nome e la gloria, l’unica forma di immortalità


8
possibile per gli uomini: Iliade, 24,93-94:

ìj sÝ m n oÙd qanën Ônom’ êlesaj, ¢ll£ toi a„eˆ


p£ntaj ™p’ ¢nqrèpouj klšoj œssetai ™sqlÒn ’Acilleà
“così nemmeno morendo perdesti il nome, anzi sempre
tra tutti gli uomini la tua fama sarà nobile, o Achille”

e Teognide, 245-246:

oÙdšpot’ oÙd qanën ¢pole‹j klšoj, ¢ll¦ mel»seij


¥fqiton ¢nqrèpoij a„šn œcwn Ônoma
“mai la tua gloria morirà, tu morto, ma sarai (o Cirno)
nel cuore degli uomini, avendo sempre nome immortale”;

ma anche gVeda VI,l,4:

padám devásya námasā vyántah


śravasyávah śráva āpann ámṛktam ¦
nāmāni cid dadhire yajiñyāni […]
“andando pienamente sull’orma del dio,
essi desiderosi di *klewos, hanno ottenuto un *klewos indistruttibile
9
e si sono creati nomi degni di venerazione […]”.

Pensando poi all’attuale civiltà dell’immagine (televisiva), verreb-


be da credere a R. Pirsig, quando afferma che «la celebrità sta agli
schemi sociali come il sesso agli schemi biologici. […] Come il deside-
rio sessuale è la Qualità dinamica che è servita un tempo da forza
organizzatrice degli schemi biologici primitivi, così la celebrità è la
Qualità dinamica che è servita in origine a organizzare gli schemi
sociali primitivi. […] In un universo strutturato secondo i valori, […]
la notorietà, la celebrità, la fama diventano una forza organizzatrice
dell’intero livello sociale dell’evoluzione. Se non esistesse questa forza

8
È merito di E. Campanile (1992c, pp. 87 sgg.) l’aver mostrato l’equivalenza, già di epoca
i.e., tra il ‘nome’ e la ‘gloria’.
9
La traduzione è tratta da E. CAMPANILE, 1990c, p. 90.

327
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

non sarebbero possibili società umane complesse. […] La celebrità è


10
la forza della cultura, o almeno così sembra».
Certo è, invece, che l’autocoscienza dei popoli di lingua i.e. odier-
ni, ha radici che affondano saldamente in una visione totalizzante del
mondo e di sé che risale al paleo-mesolitico e alla transizione neolitica;
se tuttavia alcuni degli orrori di questo secolo, come indicava anche
11
W. Burkert, hanno forse un retaggio psichico lontano, nulla di
quanto formava e organizzava l’autocoscienza i.e. può servire a richia-
mare in vita inesistenti valori razzisti o antisemiti di origine indeuro-
pea: chi ha tentato di farlo, lo ha fatto per celare le vere valutazioni alla
base degli stermini.
Da una delle interviste di Gitta Sereny a Franz Stangl, comandan-
te di Treblinka:
– «A quel tempo lei quali pensava che fossero le ragioni di quegli
stermini?».
La sua risposta pronta fu: «Volevano i soldi degli ebrei».
– «Non dirà sul serio!».
La mia reazione incredula lo lasciò perplesso.
– «Ma naturale! ha la minima idea di che somme incredibili si
12
trattasse? È così che veniva comprato l’acciaio in Svezia».
Osserva J. Hillman:

la causa finale di Stangl, lo scopo pratico di quegli stermini ai quali, con tanta
efficienza, lui soprintendeva, stringi stringi, era quello di prendere ‘i soldi
degli ebrei’. Non si trattava di razzismo e dello sterminio di gente indesidera-
bile. Non si trattava di nazionalismo o di far stare meglio i tedeschi. Non era
odio, paura, vendetta. E neppure lealtà nei confronti di un capo o di una
causa, o in vista di un futuro migliore per cui andavano fatti spiacevoli
sacrifici. La causa finale di Stangl era priva di qualsiasi ideale, di qualsiasi
13
passione; nessun altro scopo che il profitto.

Nella coscienza degli Indeuropei non c’erano campi di sterminio


e cavalieri biondi dell’apocalisse: li abbiamo noi sulla coscienza e se

10
Cit. da R. M. PIRSIG, Ula. An Inquiry into Morals, 1991, trad. it. Milano 1992, p. 319.
11
Vd. supra, pp. 248 sgg.
12
Cit. da G. SERENY, In quelle tenebre, trad. it. Milano 1975, p. 232.
13
Cit. daJ. HILLMAN, op. cit., p. 39.

328
5– CONCLUSIONI E PROIEZIONI

l’occidente ha una cattiva coscienza non può darne la colpa agli


Indeuropei.
Il fatto è che il pozzo del passato, come diceva Thomas Mann, pur
essendo profondo non è insondabile, ma la coscienza e la mente, come
tutte le nozioni in cui si condensa semioticamente un intero processo,
si sottraggono a ogni definizione esauriente, perché è definibile e
14
dunque pienamente comprensibile soltanto ciò che non ha storia.

14
Cfr. F. NIETZSCHE, Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrzft, II, 13, Leipzig 1887,
trad. it. Milano 1968, p. 279.

329
PARTE III

BIBLIOGRAFIA
CAPITOLO 1

PRESENTAZIONE E ISTRUZIONI PER L’USO

La terza parte del presente volume contiene tutto ciò che, in


diverso modo e a vario titolo, ho utilizzato nella ricerca e per la
stesura del libro, e ne costituisce dunque l’ossatura e l’humus.
Limitatamente ai temi affrontati nella ricerca, essa vorrebbe pre-
sentarsi anche come aggiornamento bibliografico per gli specialisti,
come iniziazione alla lingua poetica i.e. per gli studenti e i giovani
studiosi, come introduzione a questo settore degli studi umanistici per
il lettore colto.
La rassegna critica degli studi sulla lingua poetica i.e. dal 1967 al
1992 qui contenuta e condotta con i criteri esposti a p. 433, può
fungere inoltre da introduzione analogica per chi, per motivi scientifi-
ci o per curiosità intellettuale, preferisca avere, prima di affrontare la
lettura delle altre due parti, un panorama esauriente degli studi recen-
ti sulla lingua poetica i.e.
All’interno del volume, per i rinvii alla bibliografia, ho fatto uso
dei criteri seguenti: i Repertori bibliografici (III,2), presenza indispen-
sabile ma sottesa, non sono citati mai; le Opere di consultazione (III,3)
sono citate col solo nome degli Autori (per es.: O. Schrader – A.
Nehring, vol. I, p. 187 sgg. = O. Schrader – A. Nehring, Reallexikon
der indogermanischen Altertumskunde, voll.I-II, Berlin-Leipzig 1917-
1929, H ed.); i lavori raccolti nella Bibliografia generale (III,4) sono
citati la prima volta per esteso, a parte la casa editrice indicata solo
nella Bibliografia generale, e poi in forma abbreviata e con un rinvio
alla prima citazione in tutte le altre occasioni (per es: J. Derrida,
L’écriture… cit. (nota 79, p. 281), p. 20); i lavori della Rassegna critica
(III,5) sono citati col nome dell’Autore, seguito dall’anno di pubblica-
zione e con la giunta ulteriore di una lettera se dallo stesso Autore
sono stati pubblicati più lavori nello stesso anno (per esempio: R.

333
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Schmitt, 1967a = R. Schmitt, Dichtung und Dichtersprache in indoger-


manischer Zeit, Wiesbaden 1967).
Infine, tutte le traduzioni, quando non è specificato diversamente,
sono mie e le abbreviazioni, elencate qui di seguito, valgono per tutto
il volume.

1. 1. ABBREVIAZIONI

Lingue:
aat. = antico alto tedesco got. = gotico
accad. = accadico gr. = greco
air. = antico iranico i.e. = indeuropeo
airi. = antico irlandese itt. = ittita
aisI. = antico islandese lat. = latino
aind. = antico indiano lett. = lettone
anord. = antico nordico lit. = lituano
aol. = antico olandese mic. = miceneo
arm. = armeno mord. = mordavo
asl. = antico slavo om. = omenco
av. = avestico oum. = osco-umbro
balt. = baltico apers. = antico persiano
cdt. = celtico pie. = proto-indeuropeo
curdo = curdo toc. A / B = tocario A / B
est. = estone ucr. = ucraino
finn. = finnico um. = umbro
gall. = gallese ung. = ungherese
gath. = gathico ved. = vedico
germ. = germanico ven. = venetico

Riviste:
AA = American Antiquity.
AAHG = Anzeiger für die Altertumswisswnschaft. Herausgegeben von der
Österreichischen humanistischen Gesellschaft. Innsbruck.
Abr-Nahrain = Abr-Nahrain: An Annual Published by the Department of
Middle Eastern Studies, University of Mdbourne. Leiden.
ACF = Annuaire du Collège de France. Paris.
AE = Anatomic Embriology.
AGI = Archivio Glottologico Italiano. Firenze.
AION = Annali Istituto Orientale di Napoli.
ALH = Acta Linguistica Hafniensia. Copenhagen.
AJA = AmericanJournal of Archaeology. New York.

334
1– PRESENTAZIONE E ISTRUZIONI PER L’USO

AJOSt = Aligarh Journal of Oriental Studies. Aligarh (India).


AJP = Australasian Journal of Psychology.
AJPA = America Journal of Physical Anthropology.
AJPh = American Journal of Philology. Baltimore.
AJPr = American Journal of Primatology.
AJPs = American Journal of Psychiatry.
Akkadika = Akkadika. Périodique bimestriel de la Fondation Assyriologique
G. Dossin. Bruxelles.
ALB = Brahmavidyā. The Adyar Library Bulletin. Adyar, Madras (India).
AmNat = American Naturalist.
AmPs = American Psychologist.
AnEu = Annals of Eugenics.
Annales ESC = Annales: économies, sociétés, civilisations. Paris.
AnSt = Anatolian Studies. Journal of the British Institut of Archaeology at
Ankara. London.
Anthropos = Anthropos. International Review of Ethnology and Linguistics.
St. Augustin (TX).
Antiquity = A Quarterly Review of Archaeology. Newbury, Berks.
ANYAS = Annals of the New York Academy of Sciences.
AQL = Acta Orientalia Lugdunensia. Lyon.
AÖAW = Anzeiger der Österreichischen Akademie der Wissenschaften,
philosophisch-historische Klasse. Wien.
APAW = Abhandlungen der PreuBischen Akademie der Wissenschaften.
Berlin.
ARAnt = Annual Review of Anhtropology.
Arethusa = Arethusa. A Journal of the Wellsprings of Wester Man. Buffalo
(NY).
AReNe = Annual Review of Neuroscience.
ArNe = Archives of Neurology.
ArsS = Ars Semeiotica. International Journal of American Semiotics. Am-
sterdam.
ASGM = Atti del Sodalizio Glottologico Milanese. Milano.
ASNP = Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di lettere e
filosofia. Pisa.
BAGB = Bulletin de l’Association Guillaume Budé. Paris.
Bazmavep = Bazmavêp: hayagitakan-banasirakan-grakan handês. Saint-
Lazare, Venise.
BBCS = The Bulletin of the Board of Celtic Studies. Cardiff.
BBS = The Behavioral and Brain Sciences.
BCSS = Bollettino Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Palermo.
BDC = Bulletin of the Deccan College Research Institute. Poona.
B&C = Brain and Cognition.
Beh = Behaviorism.
BEI = Bulletin d’Études Indiennes. Paris.

335
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

B&L = Brain and Language.


B&Ph = Biology and Philosophy.
BJP = British J ournal of Psychology.
BNF = Beiträge zur Namenforschung. Neue Folge. Heidelberg.
Brain = Brain.
BSL = Bulletin de la Société de Linguistique de Paris. Paris.
CA = Current Anthropology.
Cal = Calibration.
Cahiers STS = Cahiers.
CanPs = Canadian Psychology.
CBT = Cognition and Brain Theory.
CCC = College Composition and Communication.
CFS = Cahiers Ferdinand de Saussure. Genève.
Chiron = Miteilungen der Kommission für alte Geschichte und Epigraphik des
Deutschen Archäologischen Instituts. München.
CILL = Cahiers de l’Institut de Linguistique, Université Catholique de
Louvain. Louvain-la-N euve.
CJ = The Classical Journal. Greenville, Se.
ClAnt = Classical Antiquity. Berkeley.
CLO = Cahiers de littérature orale.
CIPh = Classical Philology. Chicago.
CIW = The Classical Word. Bethlhem (Pa).
CM = Clio Medica. Acta Academiae internationalis historiae medicinae.
Amsterdam.
CMCS = Cambridge Medieval Celtic Studies. Leamington Spa (Warwickshi-
re).
CNS = Concepts Neuroscience.
Cognition = Cognition. International Journal of Cognitive Science. Amster-
dam.
CoNe = Cognitive Neuropsychology.
ConPs = Contemporary Psychology.
Cortex = Cortex.
CPs = Cognitive Psychology.
CQ = The Classical Quarterly. New Series. London.
CR = The Classical Review. Oxford - London.
CS = Contemporary Sociology.
CSHS = Comparative Studies in History and Society. Oxford.
DAFI = Délégation Archéologique Française in Iran. Cahiers. Paris.
Diachronica = International Journal for Historical Linguistics. Amsterdam.
Die Sprache = Die Sprache. Zeitschrift für Sprachwissenschaft. Wien.
DLZ = Deutsche Literaturzeitung für Kritik der internationalen Wissen-
schaft. Berlin.
EC = Études Celtiques. Paris.
Écriture = Écriture.

336
1– PRESENTAZIONE E ISTRUZIONI PER L’USO

E&S = Ethology and Sociobiology.


EF = Études Française.
EIE = Études Indo-Européenes. Lyon.
EJS = European Journal of Sociology. New Y ork.
EL = English Linguistics. Journal of the English Linguistic Sociey of Japan.
EM = Emerita. Boletin de linguistica y filologia clasica. Madrid.
EMC = Échos du Monde Classique. Classical News and Views. Ottawa.
ER = Educational Research.
Ériu = Ériu. Dublin.
ES = English Studies. Lisse
Fabula = Fabula. Zeitschrift für Erzahlforschung. Berlin.
FF = Forschungen und Fortschritte.
FoSI = Folia Slavica. Columbus (Ohio).
GeR = Georgia Review.
GGA = Göttingische Gelehrte Anzeigen. Göttingen.
GL = General Linguistics. University Park, PA.
Glotta = Glotta. Zeitschrift fur griechische und lateinische Sprache. Göttin-
gen.
Gnomon = Gnomon. Kritische Zeitschrift fiir die gesamte klassische Altertu-
mswissenschaft. Miinchen.
GRBS = Greek, Roman and Byzantine Studies. Durham, Ne.
GRM = Germanisch-Romanische Monatsschrift. Heidelberg.
Helikon = Helikon. Rivista di Tradizione e Cultura Classica. Roma.
HE = Human Ecology.
HER = Harvard Educational Review. Harvard.
Hermeneus = Hermeneus. Tijdschrift voor de antieke Cultuur. Culemborg
(Olanda).
HEv = Human Evolution. HN = Human Neurobiology.
H&T = History and Theory. Studies in the Philosophy of History. Middle-
town (Conn.).
HL = Historiographia Linguistica: International Journal for the History of
the Language Sciences. Amsterdam.
HuNe = Human Neurobiology.
HR = History of Religion. Chicago.
HRel = Homo Religiosus.
HSCPh = Harvard Studies in Classical Philology. Cambridge (Mass.).
ICP = Imagination, Cognition and Personality.
IF = Indogermanische Forschungen. Zeitschrift für Indogermanistik und
allgemeine Sprachwissenschaft. Berlin.
IJHS = Indian Journal of History of Science.
InL = Incontri Linguistici. Trieste.
Int = Interchange.
IIJ = Indo-Iranian Journal. The Hague.

337
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

ISt = Indische Studien. Berlin.


ISR = Interdisciplinary Science Review.
IZAP = Internationale Zeitschtift für ärztliche Psychoanalyse.
JA = Journal Asiatique. Paris.
JAAC = Journal of Aesthetics and Art Criticism.
JAAR = Journal of the American Academy of Religion.
JAF = Journal of American Folklore.
JAL = Journal of Arabic Literature. Leiden.
JASC = Journal of the Asiatic Society. Calcutta.
JAULLA = Journal of the Australasian Universities Language and Literature
Association.
JBL = Journal of Biblical Literature. Philadelphia.
JBRS = Journal of the Bihar Research Society. Patna (India).
JC = Journal of Communication.
JCN = Journal of Comparative Neurology.
JCS = Journal of Consciousness Studies.
JESHO = Journal of the Economic and Social History of the Orient. Leiden.
JESP = Journal of Experimental Social Psychology.
JEPs = Journal of Experimental Psy,chology: Human Perception and Perfor-
mance. General.
JF = Juznoslovenski Filolog. Beograd.
JHE = Journal of Human Evolution.
JHI = Journal of the History of Ideas. Washington & Philadelphia.
JHS = Journal ofHellenic Studies. London.
JIES = Journal of Indo-European Studies. Hattiesburg (Miss.).
JMB = Journal of Mind and Behavior.
JMP = Journal of Medicine and Philosophy.
JNe = Journal of Neuroscience.
JNESCU = Journal of the Near East Society of the Columbia University.
JNMD = Journal of Nervous and Mental Diseases.
JOIB = Journal of the Oriental Institut, M.S. University of Baroda. Baroda
(India).
JOIC = Journal of the Oriental Institute, K. R. Cama (India).
JPSP = Journal of Personality and Social Psychology.
JRAS = Journal of Royal Asiatic Society of Great Britanin and Ireland.
London.
JTB = Journal of Theoretical Biology.
JTSB = Journal for the Theory of Social Behaviour.
JTSt = Journal of Tamil Studies. Madras.
JWP = Journal of World Prehistory.
Kailash = Kailash. Kathmandu.
Kratylos = Kratylos. Kritisches Berichts- und Rezensionsorgan für indoger-
manische und allgemaine Sprachwissenschaft. Wiesbaden.

338
1– PRESENTAZIONE E ISTRUZIONI PER L’USO

KZ = Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung auf dem Gebiete der


indogermanischen Sprachen, begründet von A. Kuhn. Göttingen.
Lalies = Actes des Sessions de Linguistique et de Literature de l’École Normale
Supérieure. Paris.
Language = Language. Journal of the Linguistic Society of America. Baltimo-
re (Mar.).
La Recherche = La Recherche.
LB = Leuvense Bijdragen. Tijdschrift voor Germaanse filologie. Leuven.
L&C = Language and Communication: an Interdisciplinary Journal. Oxford.
LEC = Les Études Classiques. Namur.
L’Homme = L’Homme. Revue française d’anthropologie. Paris.
LiL = Linguistics in Literature.
Lingua = Lingua. International Review of General Linguistics. Amsterdam.
LS = Lingua e Stile. Bologna.
L&S = Language and Speech. Teddington (Middlesex, England).
Man = Man. The Journal of the Royal Anthropological Institute. London.
ManQ = The Mankind Quarterly. Washington.
M&C = Memory and Cognition.
M&L = Mind and Language. Oxford - New York.
MH = Museum Helveticum: schweizerische Zeitschrift für klassische Alter-
tumswissenschaft. Basel.
Minos = Minos. Revista de Filologia Egea. Salamanca.
MLR = The Modern Language Review. Cambridge.
Mnemosyne = Mnemosyne. Bibliotheca Classica Batava.
Leiden. Mosaic = University of Manitoba.
MPh = Modern Philology. Chicago.
MPhL = Museum Philologum Londiniense. Amsterdam.
MSS = Miinchener Studien zur Sprachwissenschaft. München.
Nature = Nature. A Weekly Journal of Science. London – New York.
NBS = Newsletter of Baluchistan Studies.
Ne = Neurology.
NePs = Neuropsychologia.
NOWELE = North-Western European Language Evolution. Odense.
NPhM = Neuphilologische Mitteilungen. Helsinki.
OLZ = Orientalische Literaturzeitung. Berlin.
Or = Orientalia. Commentarii periodici Pontivicii Instituti Biblici. Roma.
OS = Orientalia Suecana. Stockholm.
OSIP = Oxford Slavonic Papers. London.
OT = Oral Tradition.
Paideia = Paideia. Rivista Letteraria di Informazione Bibliografica.
PalB = Paleobiology.
pAPhS = Proceedings of the American Philosophical Society. Philadelphia.
PBM = Perspectives in Biology and Medicine.

339
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

PCLS = Papers from the … Regional Meeting of the Chicago Linguistic


Society.
Personalist = The Personalist.
PhEW = Philosophy East and West. Honolulu.
Philologus = Philologus. Zeitschrift für klassische Philologie. Berlin.
Phoenix = The Phoenix: the Journal of the Classical Association of Canada.
Toronto.
PhR = Physiological Review.
PhSt = Philosophical Studies.
PhTo = Philosophical Topics.
PICL = Proceedigs of the ....International Congress of Linguistics.
PMLA = Pubblications of the Modern Language Association of America.
New York.
PMS = Perceptual and Motor Skills.
PNAS = Proceedings of Natural Academic Sciences.
PoeT = Poetics Today. Theory and Analysis of Literature and Communication.
Tel Aviv.
Poetica = Poetica. Zeitschrift für Sprach- und Literaturwissenschaft. Amster-
dam.
Poétique = Poétique: revue de théorie et d’analyse littéraire. Paris.
PP = La Parola del Passato: Rivista di Studi Antichi. Napoli.
PPPP = Progress in Psychobiology and Physiological Psychology.
PPQ = Pacific Philosophical Quarterly.
PsB = Psychological Bulletin.
PsR = Psychological Review.
PRIA = Proceedings of the Royal Irish Academy, Section C. Dublin.
QdS = Quaderni di Storia. Bari.
QNL = The Quarterly Newsletter of the Laboratory of Comparative Human
Cognition. La Jolla.
QRB = Quarterly Review of Biology.
QUCC = Quaderi Urbinati di Cultura Classica. Roma.
RaLinc = Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe
di scienze morali, storiche e filologiche. Serie VIII. Roma.
Raritan = Raritan.
RBi = Revue Biblique. Paris.
REG = Revue des Études Grecques. Paris.
RF = La Ricerca Folklorica: funzioni e ideologia.
RHR = Revue d’Histoire des Religions. Paris.
RIL = Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Classe di
lettere e scienze morali e storiche. Milano.
RM = Rheinisches Museum für Philologie. Frankfurt a.M.
RPBP = Review Physiological Biochemical Pharmacological.
RPh = Revue de Philologie. Paris.
RSO = Rivista degli Studi Orientali. Roma.

340
1– PRESENTAZIONE E ISTRUZIONI PER L’USO

SA = Scientific American.
SbKP A W = Sitzungsbereichte der Koniglich Preußischen Akademie der
Wisswnschaften. Berlin.
SCelt = Studia Celtica. Cardiff.
Science = Science.
SCO = Studi Classici e Orientali. Pisa.
S&C = Scrittura e Civiltà. Alessandria.
Semiotica = Semiotica. Revue publiée par l’Association Internationale de
Sémiotique. Juornal of the International Association for Semiotic Stu-
dies. The Hague.
SemNe = Seminars in Neurosciences.
SI = Sistemi Intelligenti. Bologna
SILTA = Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata. Padova.
SL = Studia Linguistica. Revue de linguistique générale et comparée. Lund.
SMEA = Studi Micenei ed Egeo-Anatolici. Roma.
SMSR = Studi e Materiali di Storia delle Religioni. L’Aquila.
SSI = Social Science Information.
SSL = Studi e Saggi Linguistici. Supplemento alla rivista «L’Italia dialettale».
Pisa.
StG = Studium Generale. Berlin – Heidelberg.
StIr = Studia Iranica. Leiden.
Synthese = Synthese. An International Journal for Epistemology, Methodo-
logy and Philosophy of Science. Dordrecht.
TAPA = Transactions and Proceedings of the American Philological Asso-
ciation. Cleveland (Ohio).
Teoria = Rivista di filosofia. Pisa.
Theoria = Theoria. A Swedish Journal of Philosophy and Psychology. Lund.
The Sciences = The Sciences.
Topoi = An International Review of Philosophy. Dordrecht.
TPhS = Transactions of the Philological Society. Oxford.
UF = Ugarit – Forschungen: internationales Jahrbuch für die Altertumskunde
Syrien – Palastinas.
UOPA = University of Oklahoma Papers in Anthropology.
UZTarU = Tartu riikliku ülikooli toimetised / Učenye zapiski Tartuskogo
gosudarstvennogo universiteta. Tartu.
Verbum = Verbum. Revue de Linguistique pubbliée par l’Université de
Nancy II. Nancy.
Viator = Medieval and Renaissance Studies. Berkeley.
VL = Visible Language. Cleveland (OH).
WA = World Archaeology. London.
WL = Die WeltLiteratur.
WJA = Wiirzburger Jahrbiicher fiir die Altertumswissenschaft. Würzburg.
WO = Die Welt des Orients. Göttingen.
YCS = Yale Classical Studies.

341
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

ŽA = Živa Antika. Skopje.


ZCPh = Zeitschrift fiir celtische Philologie. Tübingen.
ZDA = Zeitschrift für deutsches Altertum und deutsche Literatur. Wiesba-
den.
ZDMG = Zeitschrift der Deutschen Morgenlandischen Gesellschaft. Leipzig –
Wiesbaden.
ZPh = Zeitschrift für Physik.
ZRG = Zeitschrift für Religions- und Geistesgechichte. Koln.

342
CAPITOLO 2

REPERTORI BIBLIOGRAFICI

American (poi: Annual / International) Bibliography of Books and Articles on


the Modern Languages and Literatureslor the Year, in «PMLA» 37, New
York, Modern Language Association, 1922 sgg.
Annual Educational Bibliography. Bibliographie pédagogique annuelle, Gene-
va, Bureau International d’education, 1943 sgg.
Annual Egyptological Bibliography. Bibliographie égyptologique annuelle, Lei-
den, Brill, 1948 sgg.
Archäologische Bibliographie. Beilage zu Jahrbuch des Deutschen Archäologi-
schen Instituts, Berlin, de Gruyter, 1889 sgg.
Arts & Humanities Citation Index, Philadelphia, Institute for Scientific Infor-
mation, 1984 sgg.
J. G. BARROW, A Bibliography of Bibliographies in Religion, Ann Arbor,
DMI,1955.
T. BESTERMAN, A World Bibliography of Bibliographies, voll. I-V, Totowa
(NJ), Rowman & Littlefield, 1980.
Bibliographie analitique de l’assyriologie et de l’archéologie du Proche-Orient,
Leiden, Brill, 1956 sgg.
Bibliographie linguistique. Linguistic Bibliography, Utrecht-Bruxelles,
Spectrum, aa. 1939-1947, voll. I-II; 1948 sgg.
Bibliography of Comparative Literature, in Yearbook of Comparative and
General Literature, Bloomington, Indiana University Press, 1952 sgg.
Biological Abstracts, Philadelphia, Bioscences Information Service, 1926 sgg.
CD-Theses, Paris, Chadwick-Healey, 1972 sgg.
R. N. DANDEKAR, Vedic Bibliography, vol. I aa. 1930-1946, Bombay, Karna-
tak, 1946; vol. II aa. 1946-1961, Poona, Bhandarkar Oriental Research
Institute, 1961; vol. III aa. 1961-1972, Poona 1973; voI. IV, aa. 1973-
1983, Poona 1985.
Dissertation Abstracts Ondisc, Ann Arbor, DMI (Archivio retrospettivo I: aa.
1861-1981; II: aa. 1982-1987) 1988 sgg.
Euro Abstracts, Luxembourg, European Commssion, 1963 sgg.

343
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Excerpta Medica. The International Medical Abstrcting Service, Amsterdam,


Excerpta Medica Foundation, 1947 sgg.
Excerpta Medica. Psychiatry, Amsterdam, Excerpta Medica Foundation,
1948 sgg.
Excerpta Medica. Neurology and Neurosurgery, Amsterdam, Excerpta Medica
Foundation, 1948 sgg.
Excerpta Medica. Neurosciences, Amsterdam, Excerpta Medica Foundation,
1980 sgg.
FAO Documentation. Corrent Index, Rome, FAO, 1967 sgg.
Fasti Archaeologici. Annual Bulletin of Classical Archaeology, Firenze, Le
Lettere, 1946 sgg.
J. M. FOLEY, Oral-Formulate Theory and Research: An Introduction and
Annoted Bibliography, New York – London, Garland, 1985.
Genetics Abstracts, London, Bothesda, 1968 sgg.
H. GUERRY, A Bibliography of Philosophical Bibliographies, Wesport (Conn.) –
London, Greenwood, 1977.
E. R. HAYAMES, A Bibliography of Studies Relating to Parry’s and Lord’s Oral
Theory, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1973.
Index Medicus, Washington, U.S. Dpt. of Health, Education, and Welfare,
1960 sgg.
Index to Religious Periodical Literature, vol. I aa. 1945-1952, Chicago, Ame-
rican Theological Library Association, 1953 sgg.
Indogermanische Chronik, in «Die Sprache», Wien, Verlag des Wiener Spra-
chgesellschaft, 1967 sgg.
International Bibliography of Historical Sciences. Internationale Bibliographie
der Gesehichtswissenschalten, München, Saur, 1930 sgg.
International Bibliography of Social and Cultural Anthropology. Bibliographie
internationale d’anthropologie sociale et culturelle, Paris, Unesco, 1955
sgg.
International Bibliography of Sociology. Bibliographie internationale de Socio-
logie, Nendeln, Kraus, 1951 sgg.
International Bibliography of the History of Religions. Bibliographie interna-
tionale de l’histoire des religions, Leiden, Brill, 1952 sgg.
International Bibliography of the Social Sciences. Bibliographie internationale
des sciences sociales, London – New York, Routledge, 1960 sgg.
International Philosophieal Bibliography. Répertoire Bibliographique de la
Philosophie. Bibliogra/isch Repertorium van de Wijsbegeerte, Louvain,
Peeters, 1949 sgg.
Internationale volkskundliehe Bibliographie. Bibliographie internationale des
arts et traditions populaires. International Folklore Bibliography, Basel,
Krebs, vol. I aa. 1939-1941; vol. II aa. 1942-1947; 1949 sgg.
M. K. JAIN, Indiana: a Bibliography of Bibliographical Sources, New Delhi,
Concept Pub. Co., 1989.

344
PARTE 3 – REPERTORI BIBLIOGRAFICI

Keilsehriftbibliographie, in «Orientalia», Roma, Pontificio Istituto Biblico,


1941 sgg.
L’année philologique. Bibliographie critique et analytique de l’antiquité gréco-
latine, Paris, Les Belles Lettres, aa. 1924-1926 vol. I; 1928 sgg.
Linguistic and Language Behavior Abstracts, New York, Silver Platter, 1973
sgg.
Neurosciences Citation Index, Philadelphia, Institute for Scientific Informa-
tion, 1984 sgg.
J. PERADOTTO, Classical Mythology. An Annotated Bibliography, Urbana,
University of lliinois Press, 1973.
Psychological Abstracts, Arlington, American Psychological Association, 1927
sgg.
L. RENOU, Bibliographie védique, Paris, Maisonneuve, 1931.
Religion Indexes, Chicago, American Theological Library Association, 1975
sgg.
Religious & Theological Abstracts on CD-Rom, Myrston, Religious and Theo-
logical Abstracts, 1957 sgg.
A. SORRENTINO, Saggio di una bibliografia sulla preistoria linguistica dell’Eura-
sia, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1988.
The Classical World Bibliographies, voll. I-V, New York-London, Garland,
1978.
Zentralblatt für die gesamte Neurologie und Psychiatrie, Berlin, Springer, 1921
sgg.
***
In un sito Internet (http://ling.ucsc.edu/~chalmerslbiblio1.html) a
cura di David J. Chalmers, uno studioso attualmente al Dipartimento
di Filosofia dell’Università di Santa Cruz in California (E-Mail:
chalmers@paradox.ucsc.edu.), si può trovare: Contemporary Philosophy of
Mind: An Annotated Bibliography, una rassegna contenente più di 2300
titoli relativi agli ultimi 35 anni, spesso annotati o riassunti.

345
CAPITOLO 3

OPERE DI CONSULTAZIONE

AA.VV., (Contributions to a) Dictionary of the Irish Language, Dublin, Royal


Irish Academy, 1939-1976.
AA.VV., Encyclopaedia Iranica, London – New York, Routledge & Paul Kegan,
1983 sgg.
AA.VV., Standard Dictionary of Folklore, Mythology, and Legend, New York,
Funk & Wagnalls, 1950.
AA.VV., Thesaurus Graecae Linguae, voll. I-VIII, rist. Graz, Akademische
Druck- u. Verlagsanstalt, 1954.
AA.VV., Thesaurus linguae latinae, Leipzig, Teubner, 1900 sgg.
N. ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, Torino, UTET, rist. 1984.
V. I. ABAEV, Istoriko-etimologičeskij slovar’ osetinskogo jazyka, Moskva –
Leningrad, Nauka, 1958 sgg.
H. H. ACARYAN, Hayeren armatakan barāran, voll. I-IV, Erevan, Erevani
hamalsarani hratarakč’ut’in, 1971-1979.
E. H. ANTONSEN, A Concise Grammar of the Older Runic Inscriptions,
Tübingen, Narr, 1975.
V. S. APTE, The Practical Sanskrit-English Dictionary, voll. I-III, New Delhi,
Motilal Banarsidass, 1977-1979.
H. ARBOIS DE JUBAINVILLE, Cours de littérature celtique, voll. I-V, Paris,
Thorin, 1892.
P. ARUMAA, Urslavische Grammatik, voll. I-III, Heidelberg, Winter, 1964-
1985.
V. BANDHU (ed.), Vaidika-pad ānukramakośa. A Vedic Word-Concordance,
voll. I-V, Lahore – Hoshiarpur, Vedic Research Institut, 1935-1965, II
ed. dei voll. I, II, III, 1973-1977 .
CH. BARTHOLOMAE, Altiranisches Wörterbuch, Straßburg, Trübner, 1904, rist.
Berlin, de Gruyter, 1961.
H. BECK (ed.), Reallexikon der germanischen Altertumskunde, voll. I-VII,
Berlin – New York, de Gruyter, 1973-1989.
S. P. S. BEEKES, A Grammar of Gatha-Avestan, Leiden, Brill, 1988.

347
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

H. H. BENDER, A Lithuanian Etymological Index, Princeton, Princeton


University Press, 1921.
E. BENVENISTE, Origines de la formation des noms en indo-européen, Paris,
Maisonneuve, 1935.
ID., Noms d’agent et noms d’action en indo-européen, Paris, Maisonneuve,
1948.
E. BERNEKER, Slavisches etymologisches Wörterbuch, vol. I, Heidelberg,
Winter, 1924.
J. B. BESSINGER (ed.), Concordance to the Anglo-Saxon Poetic Records, Ithaca –
London, Cornell University Press, 1978.
N. BIRD, The Distribution of lndo-European Root Morphemes (a Checklist for
Philologists), Wiesbaden, Harrassowitz, 1982.
M. BLOOMFIELD, A Vedic Concordance, Cambridge (Mass.), Harvard Univer-
sity Press, 1906, rist. New Delhi, MCLD, 1964, II ed.
ID., Rig-Veda Repetitions, Cambridge (Mass.), Harvard University Press,
1916, rist. New Delhi, MCLD, 1981.
M. BLOOMFIELD – F. EDGERTON, Vedic Variants, voll. I-III, Philadelphia,
Linguistic Society of America, 1930-1934, rist. New Delhi, OBRC, 1979.
O. BÖHTLINGK – R. ROTH, Sanskrit Wörterbuch, voll. I-VII, St. Petersburg,
Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, 1855-1875, rist. Graz, Aka-
demische Druck- u. Verlagsanstalt, 1966.
ID., Sanskrit Wörterbuch in kürzerer Fassung, voll.I-III, St. Petersburg, Kai-
serlichen Akademie der Wissenschaften, 1879-1889, rist. Graz, Akade-
mische Druck- u. Verlagsanstalt, 1959.
E. BOISACQ, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, Paris – Heidel-
berg, Winter, 1909-1916, IV ed. 1950.
J. BOSWORTH – T. N. TOLLER, An Anglo-Saxon Dictionary, Oxford, Oxford
University Press, 1882, Supplement, Oxford 1921, new ed. 1972.
M. BOYCE, A Word-List of Manichaean Middle Persian and Parthian, Leiden –
Téhéran – Liège, Brill, 1977.
W. BRANDENSTEIN – M. MAYRHOFER, Handbuch des Altpersischen, Wiesba-
den, Harrassowitz, 1964.
K. BRUGMANN – B. DELBRÜCK, Grundriß der vergleichenden Grammatik der
indogermanischen Sprache, Straßburg, Trübner, 1897-1916, II ed., rist.
Berlin, de Gruyter, 1967.
C. D. BUCK, A Dictionary of Selected Synonyms in the Principal Indo-
European Languages, Chicago, The University of Chicago Press, 1949.
C. D. BUCK – W. PETERSEN, A Reverse Index of Greek Nouns and Adjectives,
Chicago, The University of Chicago Press, 1944.
T. BURROW – M. B. EMENAU, A Dravidian Etymological Dictionary, Oxford,
Oxford University Press, 1961; Supplement, Oxford, 1968.
E. CAMPANILE, Profilo etimologico del cornico antico, Pisa, Pacini, 1974.
A. CAMPBELL, Old English Grammar, Oxford, Clarendon Press, 1983.

348
3 – OPERE DI CONSULTAZIONE

J. CAMPBELL, Historical Atlas of World Mythology, New York, Harper &


Row, 1988.
C. CAPPELLER, Sanskrit-Wörterbuch, Straßburg, Trübner, 1887, rist. Berlin,
de Gruyter, 1966.
P. CHANTRAINE, Grammaire homérique, voll. I-II, Paris, Klincksieck, 1948-
1953.
ID., Dictionnaire étimologique de la langue grecque, Paris, Klincksieck, 1968-
1980.
J. D E V RIES, Altnordisches etymologisches Wörterbuch, Leiden, Brill, 1957-
1961, II ed. 1977.
ID., Nederlands etymologish woordenboek, Leiden, Brill, 1971.
X. DELAMARRE, Le vocabulaire indo-européen: Lexique étymologique théma-
tique, Paris, Maisonneuve, 1984.
S. DEMIRAJ, Historische Grammatik der albanischen Sprache, Wien, Österrei-
chischen Akad. der Wiss., 1993.
P. DIELS, Altkirchenslawische Grammatik, Heidelberg, Winter, 1932-1934.
F. DORNSEIFF – B. HANSSEN, Reverse Lexikon of Greek Proper Names,
Chicago, Chicago University Press, 1978.
P. DOTTIN, Manuel pour servir à l’étude de l’antiquité celtique, Paris, Klinck-
sieck, 1915, II ed.
H. DUNBAR, A Complete Concordance to the Odyssey of Homer, Oxford,
Oxford University Press, 1880, new ed. by B. Marzullo, Hildesheim,
Olms, 1962.
P.-M. DUVAL, Recueil des inscriptions gauloises, Paris, CNRS, 1985.
H. EBELING, Lexicon Homericum, voll. I-II, Leipzig, Teubner, 1885.
U. ECO, Trattato di semiotica generale, Bologna, Bompiani, 1975.
F. EDGERTON, Buddhist Hybrid Sanskrit Grammar and Dictionary, voll. I-II,
NewHaven, Yale University Press, 1953.
A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire étimologique de la langue latine,
Paris, Klincksieck 1967, IV ed.
D. E. EVANS, Gaulish Personal Names, Oxford, Oxford University Press,
1967.
G. FATOUROS, Index verborum zur frühgriechischen Lyrik, Heidelberg, Win-
ter, 1966.
S. FEIST, Etymologisches Wörterbuch der gotischen Sprachen, Leiden, Brill,
1936-1939.
ID., Vergleichendes Wörterbuch der gotischen Sprache, Leiden, Brill, 1939, III
ed.
L. FLEURIOT, Dictionnaire des gloses en vieux breton, rist. Toronto, Pre-
pCorp, 1985.
L. FLEURIOT – C. EVANS, Dictionnaire des gloses en vieux breton, Part II,
Toranto, PrepCorp, 1985.
E. FRAENKEL, Litauisches etymologisches Wörterbuch, voll. I-II, Heidelberg,
Winter, 1955-1965.

349
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

J. FRIEORICH, Hethitisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 1952.


ID., Hethitisches Elementarbuch, voll.I-II, Heidelberg, Winter, 1960, II ed.
H. FRISK, Griechisches etymologisches Wörterbuch, voll. I-III, Heidelberg,
Winter, 1954-1973.
T. GAISFORD (ed.), Etymologicon Magnum, rist. Amsterdam, Hakkert, 1962.
A. GEHRING, Index Homericus, voll.I-II, rist. Hildescheim – New York, Olms,
1970.
W. GEIGER – E. KUHN (hrsg.), Grundriß der iranischen Philologie, Straß-
burg, Trübner, 1895-1903.
K. F. GELDNER, Avesta. The Sacred Book of the Parsis, voll.I-III, Stuttgart,
Kohlhammer, 1886-1896.
A. M. GHATAGE (ed.), An Encyclopaedic Dictionary of Sanskrit on Historical
Principles, Poona, Deccan College, 1976 sgg.
A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT, Le lingue indoeuropee, Bologna, Il
Mulino, 1993, II ed. 1995.
H. GRASSMANN, Wörterbuch zum Rig-Veda, Leipzig, Brockhaus, 1873, rist.
Wiesbaden, Harrassowitz, 1955.
M. J. GREEN, Dictionary of Celtic Myth and Legend, London, Thames &
Hudson, 1992.
J. A. C. GREPPIN, An Etymological Dictionary of the Indo-European Compo-
nents of Armenian, «Bazmavep» 141 (1983), pp. 235-323.
G. A. G RIERSON, Linguistic Survey of India, voll. I-XI, rist. New Delhi,
Motilal Banarsidass, 1967.
P. GRIMAL, Dictionnaire de la mythologie grecque et romaine, Paris, P.U.F.,
1963, III ed.
R. GUSMANI, Lydisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 1964.
H. G. GÜTERBOCK – H. A. HOFFNER (eds.), Chicago Hittite Dictionary,
Chicago, The Oriental Institute Press, 1980 sgg.
O. HAAS, Die phrygischen Sprachdenkmäler, Sofia, Académie Bulgare des
Sciences, 1966.
A. HEUSLER, Altisliindisches Elementarbuch, Heidelberg, Winter, 1931.
H. HIRT, Indogermanische Grammatik, voll. I-VII, Heidelberg, Winter,
1921-1937.
ID., Handbuch des Urgermanischen, voll. I-III, Heidelberg, Winter, 1931-
1934.
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PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

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431
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

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432
CAPITOLO 5

RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA


POETICA INDEUROPEA DAL 1967 AL 1992

5. 1. AVVERTENZA

Qui di seguito sono raccolti e commentati tutti i contributi sulla lingua


poetica i.e. apparsi tra il 1967, anno della pubblicazione definitiva del
volume di Rüdiger Schmitt, e il 1992, che sono stato in grado di reperire,
con l’aiuto dei repertori bibliografici e con lo spoglio diretto di riviste e
miscellanee pervenute o fatte da me pervenire nei dipartimenti e nelle
biblioteche in cui ho lavorato; pur ritenendo di aver verosimilmente raccol-
to tutto ciò che aveva a che fare coh l’argomento in oggetto, non posso
escludere, tuttavia, che mi sia sfuggito qualcosa, magari a margine di lavori
più ampi: ringrazio fin da ora chi vorrà segnalarmi le dimenticanze e le
sviste.
Come ho già detto (cfr. nota 3, p. 12), è noto come la gran parte delle
riviste scientifiche venga pubblicata in realtà uno, due, a volte perfino tre
anni dopo rispetto a quanto indicato in copertina: per aver modo di racco-
gliere tutto ciò che era stato effettivamente pubblicato fino a un dato anno
nominale, sono stato dunque costretto a porre un limite temporale non
troppo ravvicinato; i pochi lavori sulla lingua poetica i.e. apparsi in numeri di
riviste indicati come posteriori al 1992 e che ho potuto vedere, sono pertanto
citati nella Bibliografia generale (III, 4) e utilizzati nel corpo del volume, ma
esclusi dalla Rassegna critica.
Ho escluso anche dalla presente Rassegna critica – riportandolo però
nella Bibliografia generale (III, 4) –, tutto ciò che affrontava sì la lingua
poetica, ma non da un punto di vista comparativo, rimanendo dunque
circoscritto all’interno di una lingua o di un testo particolare; sono qui
parimenti esclusi tutti quei lavori che trattano la lingua poetica i.e. come cosa
nota in margine a discorsi generali di lingua e di civiltà i.e.

433
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

5. 2. SINOSSI TEMATICA

Volumi: [24]

Bader, F. (12) / Campanile, E. (32) (36) (46) / Compton, T. M. (48) /


Costa, G. (49) (54) / Durante, M. (57) (60) / Kuryowicz, J. (94) / Meid, W.
(106) (108) (109) / Nagy, G. (112) (117) / Ogibenin, L. (123) / Puhvel, J. (134) /
Ruben, W. (140) / Sacks, R. (141) / Schmitt, R. (147) (148) (153) / Vigorita,
J. F. (170) / Wüst, W. (215).

Articoli: [146]

Albano Leoni, F. (1) / Ambrosini, R. (3) / Bader, F. (5) (7) (8) (10) (11)
(13) (14) (15) (16) (17) (18) (20) / Benveniste, É. (21) / Berg, N. (22) / Bottin,
L. (26) / Caerwyn Williams, J. E. (28) / Campanile, E. (29) (30) (31) (33) (34)
(35) (37) (38) (39) (40) (41) (42) (43) (44) (45) / Campanile, E. – Orlandi, C. –
Sani, S. (47) / Costa, G. (50) (51) (52) (53) / D’Avino, R. (55) / Dunkel, G.
(56) / Durante, M. (59) / Edwars, A. T. (61) / Elizarenkova, T. – Toporov, V.
N. (62) / Euler, W. (63) / Fernandez Delgado, J. A. (64)/ Finkelberg, M. (65) /
Floyd, E. D. (67) (68) (69) / Foraboschi Porrino, L. (70) / Grazi, V. (74) /
Gresseth, G. K. (75) / Gusmani, R. (76) / Hamp, E. P. (77) / Henry, P. L.
(79) / Hertzenberg, L. (80) / Hiltebeitel, A. (83) / Hoffmann, K. (85) /
Hooker, J. T. (86) / Humbach, H. (87) / Ivanov, V. V. (88) (89) / Klar, K. –
O Hehir, B. – Sweetser, E. (90) / Kurke, L. (91) / Kuryowicz, J. (92) (93) /
Lazzeroni, R. (96) (97) (98) (99) (100) (101) / Mac Cana, P. (103) (104) (105) /
Meid, W. (107) / Miller, D. G. (110) / Naafs-Wilstra, M. C. (111) / Nagy,
G. (113) (115) (116) / Oettinger, N. (119) / Ogibenin, B. L. (120) (121) (122) /
Olmsted, G. (124) / O’Nolan, K. (125) / Pagliara, A. (126) / Pisani, V.
(130) / Puhvel, J. (131) (132) 133) / Risch, E. (137) / Ritoók, Z. (138) / Sani,
S. (142) / Schmitt, R. (149) 151) / Sen, S. K. (157) / Smirnickaja, O. A. (158) /
Strunk, K. (161) / Suzuki, S. (162) (163) 164) / Swiggers, P. (165) / Tichy,
E. (166) / Toporov, V. N. (168) / Vigorita, J. F. (171) (172) (173) / Vine, B.
(174) / Wagner, H. (176) (178) / Ward, D. (179) / Watkins, C. (180) (181)
(182) (183) (184) (185) (186) (187) (188) (189) (190) (191) (192) (193) (194)
(195) (196) (197) (198) (199) (200) (201) (202) (203) / West, M. L. (206)
(207) (209) (210) (211) (212) / Wüst, W. (213) (214) (216).

Antologie: [2]

Schmitt, R. (150) / Von See, K. (175)

434
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

Recensioni: [44]

Albano Leoni, F. (2) / Bader, F. (4) (6) (9) (19) / Birkhan, H. (23) /
Blanc, A. (24) / Bloch, A. (25) / Brough, J. (27) / Durante, M. (58) / Fleuriot,
L. (66) / Garda – Ramon, J. L. (71) / Gignoux, Ph. (72) / Gonda, J. (73) /
Haslam, M. W. (78) / Hertzenberg, L. (81) / Hiersche, R. (82) / Hoeni-
gswald, H. (84) / Lazzeroni, R. (95) / Lochner – Hüttenbach, F. (102) /
Nagy, G. (114) / Neu, E. (118) / Pisani, V. (127) (128) (129) / Risch, E. (135)
(136) / Rosenkranz, B. (139) / Scherer, A. (143) (144) / Schmeja, H. (145) /
Schmidt, K. H. (146) / Schmitt, R. (152) (154) / Schramm, G. (155) /
Schroder, F. R. (156) / Sterckx, C. (159) / Sternemann, R. (160) / Tischler, J.
(167) / Vermeer, H.J. (169) / Wagner, H. (177) / Weitenberg, J. J. S. (204) /
Werba, C. H. (205) / West, M. L. (208).

***
Metodologia:

Albano Leoni, F. (2) / Campanile, E. (31) (32, cap.I) (33) (36, cap. I) (40)
(46, cap. I) / Durante, M. (57) (60, cap. I) / Elizarenkova, T. – Toporov, V.
N. (62) / Gignoux, Ph. (72) / Ganda, J. (73) / Hoenigswald, H. (84) /
Humbach, H. (87) / Meid, W. (107) / Nagy, G. (117) / Ogibenin, B. L. (120)
(121) / Pisani, V. (127) / Risch, E. (135) / Scherer, A. (143) / Schmitt, R.
(148) (152) (154) / Schramm, G. (155) / Sternemann, R. (160) / Toporov, V.
N. (168) / Vermeer, H. J. (169) / Watkins, C. (193) (198) (199) (200) (203) /
Wüst, W. (213) (214).

Fraseologia:

Albano Leoni, F. (1) / Bader, F. (4) (5) (11) (12) (13) (14) (15) (16) (18) /
Benveniste, E. (21) / Birkhan, H. (23) / Campanile, E. (32) (35) (41) (46) /
Costa, G. (49) (50) (51) (52) (53) (54) / D’Avino, R. (55) / Durante, M. (59)
(60, cap. II) / Edwards, A. T. (61) / Euler, W. (63) / Finkelberg, M. (65) /
Floyd, E. D. (67) (68) (69) / Foraboschi Porrino, L. (70) / Grazi, V. (74) /
Hamp, E. P. (77) / Hertzenberg, L. (80) / Hoffmann, K. (85) / Humbach, H.
(87) / Kurke, L. (91) / Lazzeroni, R. (96) (97) (98) (99) / Naafs-Wilstra, M. C.
(111) / Nagy, G. (112, cap. IX) (113) (115) / Oettinger, N. (119) / Ogibenin,
B. L. (122) / Pagliaro, A. (126) / Pisani, V. (129) (130) / Puhvel, J. (132) (133) /
Risch, E. (137) / Rosenkranz, B. (139) / Schmitt, R. (148) (151) (153) /
Strunk, K. (161) / Toporov, V. N. (168) / Wagner, H. (176) / Watkins, C.
(181) (182) (183) (190) (191) (194) (195) (197) (198) (199) (201) (202) (203) /
Wüst, W. (214) (215).

435
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Stilistica:

Bader, F. (5) (12) (13) (14) (16) (18) / Bottin, L. (26) / Campanile, E.
(29) (32, cap. V) (34) (38) (39) (42) (46, cap. III) / D’Avino, R. (55) / Dunkel,
G. (56) / Durante, M. (59) (60) / Floyd, E. D. (69) / Ivanov, V. V. (88) (89) /
Kurke, L. (91) / Lazzeroni, R. (100) / Mac Cana, P. (104) / Ogibenin, B. L.
(121) (123, cap. V) / Puhvel, J. (134) / Sani, S. (142) / Schmitt, R. (148) (149) /
Strunk, K. (161) / Wagner, H. (176) / Watkins, C. (182) (186) (187) (188)
(190) (202) / West, M. L. (211).

Metrica:

Bader, F. (6) (10) / Berg, N. (22) / Brough, J. (27) / Campanile, E. (33)


(44) (46, cap. V) / Durante, M. (57, cap. III) (58) / Fernandez Delgado, J. A.
(64) / Gusmani, R. (76) / Haslam, M. W. (78) / Hoenigswald, H. (84) /
Ivanov, V. V. (88) / Klar, K. – O Hehir, B. – Sweetser, E. (90) / Kuryowicz, J.
(92) (93) (94) / Mac Cana, P. (105) / Meid, W. (109, cap. III) / Miller, G. D.
(110) / Nagy, G. (112) (113) / Olmsted, G. (124) / Ritook, Z. (138) / Sacks,
R. (141) / Schmitt, R. (148) / Smirnickaja, O. A. (158) / Suzuki, S. (162) (163)
(164) / Swiggers, P. (165) / Tichy, E. (166) / Vigorita, J. F. (170) (171) (172)
(173) / Vine, B. (174) / Wagner, H. (177) / Ward, D. (179) / Watkins, C.
(184) (185) / West, M. L. (206) (207) (208) (209).

Tematica:

Bader, F. (7) (8) (11) (12) (13) (14) (15) (16) (17) / Campanile, E. (30)
(32, cap. VI) (46, cap. III) / Costa, G. (50) / Gresseth, G. K. (75) /
Hiltebeitel, A. (83) / Hooker, J. T. (86) / Kurke, L. (91) / Lazzeroni, R. (96) /
Nagy, G. (115) (116) (117) / Ogibenin, B. L. (122) (123, cap. VII) / Schmitt,
R. (148) / Wagner, H. (178) / Watkins, C. (182) (187) (190) (192) (198) (199)
(202).

Letterarietà:

Ambrosini, R. (3) / Bader, F. (7) (8) (12) / Blanc, A. (24) / Caerwyn


Williams,J. E. (28) / Campanile, E. (36, cap. III) (37) (45) / Costa, G. (53) /
Edwards, A. T. (61) / Elizarenkova, T. – Toporov, V. N. (62) / Floyd, E. D.
(68) / Henry, P. L. (79) / Hiltebeitel, A. (83) / Mac Cana, P. (103) (105) /
Nagy, G. (117) / O’Nolan, K. (125) / Puhvel, J. (131) / Sen, S. K. (157) /
Ward, D. (179) / Watkins, C. (186) (187) (191) (199) / West, M. L. (206)
(210) (212).

436
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

Poetologia:

Bader, F. (11) (12) (13) (14) (15) (17) (20) / Campanile, E. (36) (43) (46,
cap. II) / Campanile, E. – Orlandi, C. – Sani, S. (47) / Compton, T. M. (48) /
Durante, M. (57, cap. IV) (60, cap. VIII) / Elizarenkova, T. – Toporov, T. N.
(62) / Hiltebeitel, A. (83) / Lazzeroni, R. (101) / Mac Cana, P. (104) / Meid,
W. (106) (107) (109) / Nagy, G. (117) / Ogibenin, B. L. (123) / Schmitt, R.
(148) / Sterckx, C. (159) / Ward, D. (179) / Watkins, C. (180) (183) (185)
(191) / West, M. L. (210).

5. 3. SINOSSI CRONOLOGICA

1965: [l]
Schmitt, R. (147).

1966: [1]
Pisani, V. (127).

1967: [5]
Humbach, H. (87) / Ivanov, V. V. (88) (89) / Schmitt, R. (148) (149).

1968: [10]
Albano Leoni, F. (1) (2) / Benveniste, É. (21) / Bloch, A. (25) / Lazzero-
ni, R. (95) / Miller, D. G. (110) / Pisani, V. (128) / Scherer, A. (143) /
Schmitt, R. (hrsg.) (150) / Schröder, F. R. (156).

1969: [18]
Bottin, L. (26) / Foraboschi Porrino, L. (70) / Gonda, J. (73) / Hiersche,
R. (82) / Lazzeroni, R. (96) / Lochner – Hüttenbach, F. (102) / O’Nolan, K.
(125) / Pagliara, A. (126) / Risch, E. (135) (136) / Rosenkranz, B. (139) /
Schmitt, R. (151) / Sternemann, R. (160) / Toporov, V. N. (168) / Weiten-
berg, J. J. S. (204) /Wüst, W. (213) (214) (215).

1970: [6]
Ambrosini, R. (3) / Kuryowicz, J. (92) / Lazzeroni, R. (97) / Schmeja, H.
(145) / Wagner, H. (176) / Watkins, C. (180).

1971: [6]
Birkhan, H. (23) / Durante, M. (57) / Meid, W. (106) / Pisani, V. (129) /
Schmitt, R. (152) / Wiist, W. (216).
Mac Cana, P. (103) / Sani, S. (142) /Vermeer, H.J. (169) / Wagner, H.
(177).

437
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

1973: [7]
García – Ramón, J. L. (71) / Scherer, A. (144) / Schmitt, R. (153) /
Vigorita, J. F. (170) / Ward, D. (179) / West, M. L. (206) (207).

1974: [12]
Campanile, E. (29) (30) / Campanile, E. – Orlandi, C. – Sani, S. (47) /
Durante, M. (58) (59) / Hertzenberg, L. (80) / Nagy, G. (112) / Neu, E. (118) /
Puhvel, J. (131) / Sacks, R. (141) / Schramm, G. (155) / West, M. L. (208).

1975: [10]
Gusmani, R. (76) / Kuryowicz, J. (93) (94) / Lazzeroni, R. (98) (99) /
Ruben, W. (140) / Tischler, J. (167) / Wagner, H. (178) / Watkins, C. (181)
(182).

1976: [7]
Durante, M. (60) / Haslam, M. W. (78) / Vigorita. J. F., (171) (172) /
Watkins, C. (183) (184) (185).

1977: [11]
Brough, J. (27) / Campanile, E. (31) (32) / Hamp, E. P. (77) / Hoeni-
gswald, H. (84) / Lazzeroni, R. (100) / Meid, W. (107) / Vigorita, J. F. (173) /
Vine, B. (174) / Watkins, C. (186) (187).

1978: [10]
Bader, F. (4) (5) / Berg, N. (22) / Fleuriot, L. (66) / Hertzenberg, L. (81) /
Meid, W. (108) / Pisani, V. (130) / Von See, K. (hrsg.) (175) / Watkins, C.
(188) (189).

1979: [12]
Bader, F. (6) / Campanile, E. (33) (34) / Dunkel, G. (56) / Elizarenkova,
T. – Toporov, V. N. (62) / Gignoux, P. (72) / Gresseth, G. K. (75) / Nagy, G.
(113) / Ogibenin, B. L. (120) / Schmidt, K. H. (146) / Watkins, C. (190)
(191).

1980: [5]
Bader, F. (7) / Campanile, E. (35) / Floyd, E. D. (67) / Hooker, J. T. (86) /
Nagy, G.(114).

1981: [7]
Campanile, E. (36) / D’Avino, R. (55) / Nagy, G. (115) (116) / Tichy, E.
(166) / Watkins, C. (192) (193).
1982: [7]
Costa, G. (49) / Euler, W. (63) / Fernandez Delgado, J. A. (64) /
Hiltebeitel, A. (83) / Ogibenin, B. L. (121) / Strunk, K. (161) / West, M. L.
(209).

438
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

1983: [I]
Puhvel, J. (132).

1984: [4]
Bader, F. (8) / Costa, G. (50) / Klar, K. – O Hehir, B. – Sweetser, E. (90) /
Ogibenin, B. L. (122).

1985: [4]
Campanile, E. (37) / Ogibenin, B. L. (123) / Sen, S. K. (157) / Werba, C.
H. (205).

1986: [12]
Bader, F. (9) / Caerwyn Williams, J. E. (28) / Campanile, E. (38) (39) /
Finkelberg, M. (65) / Henry, P. L. (79) / Hoffmann, K. (85) / Schmitt, R.
(154) / Smirnickaja, O. A. (158) / Watkins, C. (194) (195) (196).

1987: [11]
Campanile, E. (40) (41) / Costa, G. (51) (52) / Lazzeroni, R. (101) /
Naafs-Wilstra, M. C. (111) / Risch, E. (137) / Ritoók, Z. (138) / Watkins, C.
(197) (198) (199).

1988: [10]
Bader, F. (10) (11) / Campanile, E. (42) / Compton, T. M. (48) / Edwars,
A. T. (61) / Mac Cana, P. (104) / Puhvel, J. (133) / Suzuki, S. (162) (163) /
West, M. L. (210).

1989: [7]
Bader, F. (12) / Campanile, E. (43) / Costa, G. (53) / Kurke, L. (91) /
Mac Cana, P. (105) / Watkins, C. (200) / West, M. L. (211).

1990: [13]
Bader, F. (13) (14) (15) / Blanc, Alain (24) / Campanile, E. (44) (45) (46) /
Costa, G. (54) / Grazi, V. (74) / Meid, W. (109) / Nagy, G. (117) /
Oettinger, N. (119) / Watkins, C. (201).

1991: [8]
Bader, F. (16) (17) (18) / Olmsted, G. (124) / Puhvel, J. (134) / Sterckx,
Claude (159) / Swiggers, P. (165) / Watkins, C. (202).

1992: [7]
Bader, F. (19) (20) / Floyd, E. D. (68) (69) / Suzuki, S. (164) / Watkins,
C. (203) / West, M. L. (212).

439
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

5. 4. RASSEGNA

ALBANO LEONI, FEDERICO (1) Aggiunge alcune testimonianze greche al


1968a – Su alcune corrispondenze for- dossier raccolto da R. Schmitt.
mulari omerico-vediche, «OS» 17
(1968), pp. 137-154. BADER, FRANÇOISE (5)
Aggiunge qualche raffronto tra epiteti 1978b – De “protéger” à “razzier” at
greci e vedici a quelli già raccolti da M. néolitique indo-européen: phraséolo-
Durante nel 1962 (ora in Durante, 1976 e
gie, étymologie, civilisation, «BSL»:
in traduzione tedesca in Schmitt, 1968)
73 (1978), pp. 103-219.
che riesamina, e ritiene che l’origine di All’interno di un imponente esame – dia-
queste formule risalga a un periodo post- lettale, fraseologico, etimologico, socio·
unitario di rapporti tra Greci e Arii. culturale – delle radici i.e. *pā- / *swer·
“sorvegliare, proteggere”, affronta e
ALBANO LEONI, FEDERICO (2) chiarisce esaurientemente le formule e le
1968b – Quelques observations sur metafore poetiche a queste connesse,
la Indogermanische Dichtersprache, nella scia degli studi di Mauss sul potlach
«SL» 22 (1968), pp. 124-8. e sulla trifunzionalità di Dumézil.
Si tratta di una recensione di Schmitt,
BADER, FRANÇOISE (6)
1965: pur lodando l’accuratezza del vo-
1979 – recensione di Nagy, 1974,
lume, ritiene che si possa parlare di un «BSL» 74 (1979), pp. 114-8.
comune linguaggio poetico solo tra greco
e indo-iranico. Attenta rassegna, con l’indicazione di al-
cune questioni irrisolte, di un «livre diffi-
cile et stimulant».
AMBROSINI, RICCARDO (3)
1970 – Dialogo e narrazione in inni
BADER, FRANÇOISE (7)
rig-vedici e nell’epos omerico,
1980 – Rhapsodies homeriques et ir-
«BCSS» 2 (1970), pp. 51-87.
landaises, in R. Bloch (ed.), Recher-
È uno dei rari lavori di taglio critico- ches sur les religions de l’Antiquité
letterario: dall’esame di materiale per lo classique, Genève – Paris, Droz –
più greco-ario ma anche di paralleli eddi- Champion, 1980, pp. 9-83.
ci, ricostruisce una tecnica epica di riela-
L’A. continua (cfr. Bader, 1978b: lo
borazione narrativo-unificatrice di parti
sfondo metodologico è lo stesso) le sue
di una più antica poesia di tipo
ricerche sul neolitico i.e., soffermandosi
drammatico-dialogico, arrivando all’ipo-
questa volta sulla razzia guerresca e
tesi, induttiva ma avvincente, dell’esi-
l’esaltazione della funzione guerriera nel-
stenza di una poesia recitata a più voci di l’Iliade e nell’epopea irlandese – impor-
epoca i.e_, «un filone di struttura compo- tante l’analisi del formulario di Nestore –,
sitiva unitario, antichissimo» (p. 87). evidenziando una comune eredità di
contenuti, forme e tecniche letterarie –
BADER, FRANÇOISE (4) importanti sono qui le due pagine finali
1978a – recensione di Schmitt, 1973, sulla scrittura narrativa e i dubbi sulla
«BSL» 73 (1978), pp. 133-4. natura orale dell’Iliade.

440
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

BADER, FRANÇOISE (8) una pratica segreta riservata a pochi ini-


1984 – Une structure narrative indo- zziati, l’A. ricostruisce, con una ingegno-
européenne héritée: fiction et réalité, sità sorprendente, all’interno delle quat-
in Hommages à L. Lerat, Paris, tro attestazioni iliadiche della ‘lingua de-
Belles-Lettres, pp. 15-30. gli dei’, un perfetto gioco di figure foneti-
Esamina due motivi narrativi i.e. eredita- che, indizio di una ricerca sull’alfabeto e
sulla fonologia di un poeta ‘ermetico’ che
ti dalle singole letterature: la caccia e il
conosceva la tradizione delle scuole poe-
furto della cintura di una ‘amazzone’ da
tiche i.e. e la scrittura. Con questo ammi-
parte di un eroe e alcuni «canevas de
rabile lavoro, l’A. inizia una serie di ricer-
composition littéraire hérité», riguardan-
che che segnano una svolta nella com-
ti l’iniziazione dei giovani e quella dei
prensione della lingua poetica i.e.
guerrieri; nelle dense e avvincenti pagine
finali, inquadra gli argomenti trattati nel
BADER, FRANÇOISE (12)
passaggio da una cultura di caccia e rac-
1989 – La langue des dieux, ou l’her-
colta paleolitica, incentrata sul potlach
métisme des poètes indo-européens,
alla cultura del neolitico i.e., organizzata
Pisa, Giardini, 1989, pp. 1-308.
sull’ideologia trifunzionale. Un lavoro per
più versi affascinante. (Avant-propos; I. Noms d’intellectuels
dans les langues indo-européennes: I.
BADER, FRANÇOISE (9) Poètes: les brillants-voyants obscurs; II.
1986 – recensione di Meid, 1978, Druides. II. Énigmes sur la condition hu-
«BSL» 81 (1986), pp. 123-5. maine: l’escargot, la fourmi et l’araignée,
fable hésiodique. III. Une collection d’é-
Breve riassunto con giudizio positivo e nigmes sur la condition humaine: la lan-
l’aggiunta di precisazioni basate su pro- gue des dieux).
pri lavori.
L’impegnativa ipotesi di fondo dell’A. –
«il a existé une littérature indo-eu-
BADER, FRANÇOISE (10)
ropéenne d’énigmes, qui procède d’une
1988a – Meillet et la poésie indo-
réflexion métaphysique sur les rapports
européenne, «CFS» 42 (1988), pp. 97-
de l’homme au cosmos, de la pensée et de
125. la langue» – costituisce una chiave di let-
Lavoro assai utile che ripercorre, crono- tura convincente per molti testi finora
logicamente e criticamente, gli studi di oscuri; forse non tutto è condivisibile e
Meillet sulla metrica i.e., la loro acco- pienamente dimostrato, ma certo si tratta
glienza tra gli studiosi contemporanei e di un opera piena di fatti e di dottrina e
illustra poi rapidamente i rapporti tra le dall’affabulazione affascinante.
ricerche seguenti e le tesi del maestro
francese. BADER, FRANÇOISE (13)
1990a – Le liage, la peausserie et les
BADER, FRANÇOISE (11) poètes-chanteurs Homère et Hésiode:
1988b – Homère et l’écriture, «Ver- la racine *seh- “lier”, «BSL» 85
bum» 11,3-4 (1988), pp. 209-231. (1990), pp. 1-59.
A partire dall’ipotesi che l’esistenza della Esamina gli esiti della radice *sehT “le-
radice *pei-k/-g- testimoni l’uso della scrit- gare” in varie lingue i.e., nelle quali, tra
tura in epoca i.e. e che questa, sulla base di l’altro, è servita da matrice per alcune
passi come Cesare, B. G. 6,14,3-4, fosse metafore della composizione poetica, in-

441
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

tesa come legame di episodi autonomi; ¢ellÒpoj, pod»vemoj çkša, «SCO»


dalla stessa radice, l’A. fa derivare dei 41 (1991), pp. 35-86.
nomi di poeta come “Omhroj “qui agence Esaminati accuratamente gli sviluppi
une composition poétique et musicale”, delle radici che significano la ‘rapidità’
A‡sqpoj “qui compose des figures” e nelle varie lingue i.e., identifica all’inter-
A„siodoj, `Hs…odoj; “qui compose des
no del formulario di Iris alcuni sintagmi
chants”, delle kenningar costruite con
poetici ereditati e i giochi fonologici in
tecniche ‘ermetiche’ da poeti che cono-
scevano la lingua degli dei e che intesero essi nascosti; appendice su işirá- / ƒerÒj.
darsi nomi propri iniziatici. Nelle pagine
finali, l’A. esamina anche la radice omo- BADER, FRANÇOISE (17)
fona *sH2 “riversarsi, versare”. 1991b – Autobiographie et héritage
dans la langue des dieux: d’Homère à
BADER, FRANÇOISE (14) Hésiode et Pindare (2e partie),
1990b – La langue des dieux: herméti- «REG» 104 (1991), pp. 330-345.
sme et autobiographie, «LEC» 58 Seconda parte del lavoro in (15).
(1990), I pp. 3-26, II pp. 221-245.
Aggiunge alcuni complementi e diverso BADER, FRANÇOISE (18)
materiale al volume del 1989: la compa- 1991c – Autour de #‡rij ¢ellÒpoj:
razione delle tecniche d’ermetismo di étymologie et métaphore, «RPh» 65
Esiodo con quelle del poeta della lingua (1991), pp. 31-44 (= Étymologie dia-
degli dei dell’Iliade l’allitterazione, l’indi- chronique et étymologie synchronique
viduazione di notizie autobiografiche en grec ancien. Actes du colloque de
nella lingua degli dèi. Rouen des 21 et 22 novembre 1991).
BADER, FRANÇOISE (15) Versione riassuntiva e senza bibliografia
1990c – Autobiographie et héritage di F. Bader, 1991a, con qualche modifica
dans la langue des dieux: d’Homère à nell’analisi della comparazione tra ken-
Hésiode et Pindare (le partie), ning greca e kenning vedica e accenni a
«REG» 103 (1990), pp. 383-408. un’interconnessione tra allitterazione e
enigmi poetici.
Anche questo lavoro aggiunge dei com-
plementi e dei dati al volume del 1989: la
parentela tematica (l’ordine cosmico, la BADER, FRANÇOISE (19)
sovranità di un dio che presiede a quel- 1992a – recensione di Campanile,
l’ordine, la legittimità familiare, la bises- 1990c, «BSL» 87 (1992), pp. 134-
sualità necessaria alla nascita) tra la ‘lin- 139.
gua degli dei’ ittita e quella dell’Odissea di Lusinghiera e discorsiva presentazione,
Esiodo e Pindaro; l’intromissione di noti- con qualche integrazione bibliografica e
zie autobiografiche criptate nell’Iliade in qualche garbata ma ferma presa di di-
Esiodo e in Pindaro; la trasmissione del- stanza.
l’eredità poetica attraverso l’insegnamen-
to e le innovazioni individuali dei poeti. BADER, FRANÇOISE (20)
1992b – Liage, peausserie, et poètes-
BADER, FRANÇOISE (16) chanteurs, in F. Létoublon (ed.), La
1991a – Les messagers rapides des langue et les textes en Grec ancien.
dieux: d’Hermès ™rioÚvioj à Iris Actes du colloque P. Chantraine

442
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

(Grenoble: 5-8/9/1989), Amsterdam, BLANC, ALAIN (24)


Gieben, 1992, pp. 105-119. 1990 – recensione di Bader, 1989,
Versione abbreviata, senza note e senza «BSL» 85 (1990), pp. 72-75.
bibliografia di Bader, 1990a. Lusinghiera presentazione analtica di un
libro giudicato innovativo nei contenuti e
BENVENISTE, ÉMILE (21) nei metodi.
1968 – Phraséologie poétique de
l’indo-iranien, in Mélanges L. Renou, BLOCH, ALFRED (25)
Paris, Boccard, 1968, pp. 73-9. 1968 – recensione di Schmitt, 1967 a,
«Die Sprache» 14 (1968), pp. 77-8.
Malgrado sia limitato all’ambito vedico-
avestico e rinvii a ricerche sistematiche Discorsiva presentazione positiva, con
da fare, è un lavoro importante per il qualche dubbio sulla divisione in generi
tema della lingua poetica i.e., perché di- della poesia i.e. e una discutibile presa di
mostra una volta per tutte il fondo comu- posizione sul concetto di ‘oral poetry’.
ne di composizione poetica delle due tra-
dizioni letterarie.
BOTTIN, LUIGI (26)
1969 – Studio sull’aumento in Omero,
«SMEA» lO (1969), pp. 69-145.
BERG, NILS (22)
1978 – Parergon metricum: der Ur- Lungo e dettagliato studio, le cui conclu-
sprung des griechischen Hexameters, sioni sono che la particella deittica *e
«MSS» 37 (1978), pp. 11-36. come caratterizzante del preterito, è
un’innovazione indipendente e parallela
Riesaminato lo stato della questione e
in greco, indo-iranico e armeno, e che il
criticate le proposte di Nagy, 1974, l’arti-
fondamento della possibilità di omettere
colo propone, attraverso una coerente, l’aumento nella lingua omerica è lingui-
teoria di Katametronisierung di vedere le stico e non poetico.
origini dell’esametro nell’unione tra un
ferecrateo finale con base eolica e un BROUGH, J. (27)
ottosillabo iniziale; questa teoria, anche 1977 – recensione di Nagy, 1974,
se chiarisce diversi fenomeni importanti «CR» 27 (1977), pp. 297-8.
come l’origine della cesura eptemimera,
Severa critica, anche puntuale, del meto-
lo sviluppo della struttura kat¦ mšton e
do adottato dall’A. e forti dubbi sulle sue
del computo delle more, conferisce tut-
conclusioni: un libro inutile?
tavia eccessiva importanza alla cesura ep-
temimera, lasciando non chiarite la pen- CAERWIN WILLIAMS, J. E. (28)
temimera e la trocaica, assai più diffuse 1986 – Celtic Literature. Origins, in
(cfr. Ritoók, 1987 e Fernandez Delgado, K. H. Schmidt (hrsg.), Geschichte
1982). und Kultur der Kelten. Vorbereitun-
gskonferenz (Bonn: 25-28/10/1982),
BIRKAHN, HELMUT (23) Heidelberg, Winter, 1986, pp. 145-
1971 – recensione di Meid, 1971, 153.
«Kratylos» 16 (1971), pp. 103-5.
Discorsiva panoramica dei principali stu-
Positiva rassegna, con l’arricchimento di di sulle origini delle letterature celtiche,
qualche parallelo indiano antico, di un con accenni comparativi ma senza nuovi
lavoro ritenuto utile. dati.

443
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

CAMPANILE, ENRICO (29) Il volume è dedicato alla ricostruzione


1974a – Indo-european and Non-indo- dell’ideologia della poesia i.e., oltreché
european Metaphors, «JIES» 2 all’esame di temi e stilemi; importanti le
(1974), pp. 247-258. osservazioni sul metodo e in generale
Esamina alcune metafore poetiche, chia- l’attenzione al mondo celtico, trascurato,
rendo quali si possano attribuire all’i.e. e quando non escluso del tutto, dalle ricer-
quali siano invece di origine più recente. che precedenti.

CAMPANILE, ENRICO (30) CAMPANILE, ENRICO (33)


1974b – Aspetti della cultura indoeu- 1979a – Indogermanische Metrik und
ropea arcaica. I. La raffigurazione del altirische Metrik, «ZCPh» 37 (1979),
re e dell’eroe, «SSL» 14 (1974), pp. pp. 174-202.
185-227. Ampio lavoro di comparazione, con cri-
Analizza la raffigurazione ideale del re e tiche alle ipotesi precedenti e un accosta-
dell’eroe nell’antica poesia eulogistica ir- mento, personale ma ben motivato, ten-
landese e nelle altre più antiche tradizio- dente a dare più importanza ai fatti di
ni poetiche i.e., concludendo a questo linguaggio e di cultura poetica che alla
riguardo che esiste una comunanza di metrica.
immagini e tecniche risalenti a una con-
sapevole e coerente tradizione di creazio- CAMPANILE, ENRICO (34)
ne poetica. 1979b – Meaning and Prehistory of
Old Irish cú glass, «JIES» 7 (1979),
CAMPANILE, ENRICO (31) pp. 237-247.
1976-77 – Parallèles irlandais à l’hym- A partire dall’analisi della forma irlande-
ne avestique à Mitra. A propos de la se antica, identifica la metafora ‘lupo =
langue poétique indo-européenne, straniero, uomo bandito dal suo popolo’
«EC» 15 (1976-77), pp. 7-18. in ittita, germanico e indiano antico, at-
Sulla base di alcuni testi irlandesi, propo- tribuendola all’i.e.
ne una nuova interpretazione della strofe
144 dell’Inno a Mithra soffermandosi poi CAMPANILE, ENRICO (35)
sulla metodologia ricostruttiva della lin- 1980 – Per l’etimologia di celt. *bar-
gua poetica i.e. dos, «SSL» 20 (1980), pp. 183-8.
Respinta l’etimologia tradizionale, pro-
CAMPANILE, ENRICO (32) pone convincentemente di far derivare -
1977 – Ricerche di cultura poetica in- *bardos da un antico composto i.e. *g ṛH-
w

doeuropea, Pisa, Giardini, 1977, pp. dheH1-s “facitore di canti di lode”, aven-
1-137. te gli stessi elementi lessicali di un sintag-
(I. Poeta e poesia in età indoeuropea. II. ma vedico-avestico e attribuisce poi il
Il poeta come professionista. III. Il poeta nesso alla lingua poetica i.e.
e la preghiera. IV. Il carattere totalitario
della cultura poetica indoeuropea. V. Il CAMPANILE, ENRICO (36)
significato funzionale di alcuni stilemi 1981 – Studi di cultura celtica e indoe-
poetici indoeuropei, VI. Il quadro ideo- uropea, Pisa, Giardini, 1981, pp. 1-
logico di un motivo poetico). 109.

444
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

(I. La ricostruzione culturale. II. Aspetti zu indogermanischen Wortschatz, In-


sacrali e istituzionali della monarchia ar- nsbruck, IBS, 1987, pp. 21-28.
caica. III. Un genere letterario di età in-
Breve ma densa presentazione delle me-
doeuropea. IV. Sulla preistoria del culto
todologie e delle problematiche connes-
delle Matres celtogermaniche. V. La col-
lana dei Celti. VI. Per un nuovo modello se alla ricostruzione della lingua poetica
di dizionario etimologico). i.e. e della cultura che ne connotava i
suoi contenuti.
Ideale continuazione del volume del
1977, allarga l’interesse agli aspetti cultu-
ralmente unitari nell’ambito politico e CAMPANILE, ENRICO (41)
religioso. 1987b – Histoire et prehistoire d’une
formule poétique indo-européenne,
CAMPANILE, ENRICO (37) «EIE» 6 (1987), pp. 17-24.
1985 – L’antico irlandese e la sua ge- Ricostruisce la formula poetica i.e. “Au-
nesi come lingua letteraria, in La for- rora che risplende ampiamente” dalla
mazione delle lingue letterarie. Atti comparazione di greco, vedico e avesti-
del Convegno della Società Italiana di
co, chiarendo anche alcune espressioni
Glottologia (Siena: 16-18/4/1984),
ad essa connesse.
Pisa, Giardini, 1985, pp. 57-69.
Breve storia delle origini della letteratura
CAMPANILE, ENRICO (42)
irlandese come incontro tra la cultura
scritta latina e la cultura indigena precri- 1988 – Ancora su ¢nÒsteoj Ón pÒda
tšndei, «SCO» 38 (1988), pp. 155-7.
stiana di tradizione orale.
Aggiunge al dossier precedente (cfr.
CAMPANILE, ENRICO (38) Campanile, 1986b) una testimonianza
1986a – I bovi del Sole Iperione, plutarchea, che precisa fortuna e crono-
«InL» 11 (1986), pp. 25-30. logia della metafora.
Dalla comparazione con l’Avesta e il
gveda ricostruisce le tracce in un episo- CAMPANILE, ENRICO (43)
dio dell’Odissea di una metafora poetica 1989 – I carmi epigrafici greci d’età
e di un mito arcaico. arcaica ed alcune questioni di cultura
indoeuropea, «AION» 11 (1989), pp.
CAMPANILE, ENRICO (39) 119-135.
1986b – ’AnÒsteoj Ón pÒda tšndei, in Dall’esame del materiale raccolto da P.
Fest. E. Risch, Berlin – New York, de
A. Hansen, Carmina Epigraphica Graeca
Gruyter, 1986, pp. 355-362.
saeculorum VII-V, Berlin – New York,
Ripreso Watkins, 1978a, chiarisce bril- de Gruyter, 1983, riconosce negli autori
lantemente e definitivamente un passo
di questi carmi dei poeti professionisti,
oscuro di Esiodo confrontandolo col
l’ultima incarnazione del poeta i.e.: se-
gveda e attribuisce poi la sottesa meta-
fora erotica alla lingua poetica i.e . guire le loro vicende in epoca storica
«può essere un metodo eccellente per
CAMPANILE, ENRICO (40) delineare diacronicamente l’evoluzione
1987a – Indogermanische Dichter- e il mutarsi di quell’originario patrimo-
sprache, in W. Meid. (hrsg.), Studien nio».

445
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

CAMPANILE, ENRICO (44) CAMPANILE, ENRICO / ORLANDI,


1990a – Sull’origine dei metri greci, in CHATIA / SANI, SAVERIO (47)
R. M. Danese – F. Gori – C. Questa 1974 – Funzione e figura del poeta
(a cura di), Metrica classica e lingui- nella cultura celtica e indiana, «SSL»
stica. Atti del colloquio (Urbino: 3- 14 (1974), pp. 228-251.
6/10/1988), Urbino, Quattroventi, Supplisce a quella che fino ad allora era
1990, pp. 25-43. stata una carenza negli studi, evidenzian-
Dopo una disamina degli studi prece- do un insieme di tratti comuni alla figura
denti, conclude che non esisteva un me- del poeta celtico e di quello indiano anti·
tro i.e. e che la poesia i.e. si differenziava co: una feconda premessa alle ricerche
seguenti della scuola pisana.
dalla prosa con altri strumenti letterari e
compositivi e che questi sono la vera
COMPTON, TODD MERLIN (48)
eredità nelle singole lingue della poesia
1988 – The Exile of the Poet: Bardic
i.e.
Expulsion and Death in the Archaic
Greek and Indo-European Tradition,
CAMPANILE, ENRICO (45) Diss. Univ. of California, Los Ange-
1996b – Épopée celtique et épopée ho- les, UMI, 1988, pp. 1-420.
mérique, «Ollodagos» 1,7 (1990),
(I. Aesop: the Satirist as Pharmakos in
pp. 257-278.
Archaic Greece. II. The Excluded Poet
Esamina numerosi paralleli tra epos in Ancient Greece. III. Poets in Greek
omerico e celtico, notando come Myth. IV. The Excluded Poet in Irish
un’epos i.e. difficilmente possa essere Myth. V. Starkathr/Suibhne: the Stakes
immaginato come una narrazione gran- of the Poet. VI. Germanic Myth: the Sa-
diosa e definita a questi simile, ma anche crificed Poet. VII. The Burning Poet:
che le due tradizioni storico-letterarie Satirist at Rome. VIII. Transformations
conservano le tracce del sistema etico e of Myth: the Poet, Society, and the Sa-
sociale i.e. cred. IX. Epilogue. Appendix: the Exi-
led Prophet in the Old Testament).
CAMPANILE, ENRICO (46) Anche se l’accostamento è più storico-
1990c – La ricostruzione della cultura religioso (duméziliano) che linguistico,
indoeuropea, Pisa, Giardini, 1990, l’argomento trattato – l’esilio, la punizio-
pp. 1-190. ne e l’uccisione, storica e mitica, dei poe-
(I. Questioni metodologiche. II. Funzio- ti – ha direttamente a che fare con la
ni del re e del poeta nella società indoeu- lingua poetica i.e.; l’idea portante – utile
ropea. III. li concetto di gloria nella so- da un punto di vista mitopoietico, stori-
camente improbabile – è quella che paz-
cietà indoeuropea. IV. Tecniche della ri-
zia, ispirazione e aggressività consentano
costruzione culturale. V. I caratteri for-
di associare il poeta e il guerriero in una
mali della poesia indoeuropea).
comune figura ambigua, violenta, perico-
L’A. affronta e spesso reinterpreta in ma- losa ma necessaria per la società i.e.
niera convincente questioni vecchie e
nuove; importanti anche questa volta le COSTA, GABRIELE (49)
pagine sul metodo, appassionate e coe- 1982 – Comparazione di epiteti divini
renti. della Grecia e dell’India, Firenze a.a.

446
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

1980-81, p. 1-230 (tesi di laurea non etno-linguistici tra Indeuropei orientali e


pubbl.). popoli Mesopotamici.
(I. Introduzione; II. I risultati della com-
parazione: 1) gli epiteti dell’eternità; 2) COSTA, GABRIELE (52)
gli epiteti del comando; 3) gli epiteti del 1987b – Isoglosse vs. isoide nelle lin-
terrore; 4) gli epiteti della lode e della gue indeuropee orientali: omer.
laossÒoj, ved. nṛn cyautna- e gath.
gloria; 5) gli epiteti della luminosità e del
śyaoqna, «AGI» 72 (1987), pp. 49-54.
colore; 6) gli epiteti dell’oro; 7) gli epiteti
della corporeità; 8) gli epiteti della guer- All’interno di una isoglossa i.e. orientale,
ra; 9) gli epiteti della parentela; 10) gli evidenzia l’esistenza di un tratto poetico
epiteti della fertilità; III. Osservazioni greco-vedico da cui, forse per motivi ri-
conclusive). conducibili alla predicazione zarathu-
striana, resta escluso l’avestico.
Tesi di laurea inedita che raccoglie i con-
fronti noti, e ne presenta molti di nuovi, COSTA, GABRIELE (53)
tra epiteti greci e vedici, evidenziando 1989 – Funzionalità e contesto nella
una continuità dell’eredità greco-aria più lingua letteraria: gli incipit omerici
arcaica nella tradizione religiosa e poetica del monumento di Agrios, «SSL» 29
omerica e post-omerica. (1989), pp. 95-105.
Dall’esame di quattro versi omerici uti-
COSTA, GABRIELE (50)
lizzati come invocazioni in un monumen-
1984 – Il dio d’oro in Grecia e in
to funebre di epoca ellenistica, si ipotizza
India: lingua poetica e tradizione reli- che anche in Omero questi versi fossero
giosa, «AGI» 69 (1984), pp. 26-52. funzionalmente policontestuali e che ri-
Dai numerosi confronti evidenziati tra salgano alla lingua poetica i.e., lingua che
epiteti greci e arii incentrati sul nome conferma la sua piena e consapevole let-
dell’‘oro’, ricostruisce la funzionalità di terarietà.
un campo lessi cale e di un tema poetico
comune. COSTA, GABRIELE (54)
1990 – I composti indoeuropei con
COSTA, GABRIELE (51) *dus- e *su-, Pisa, Giardini, 1990, pp.
1987 a – Guerrieri indeuropei e fortez- 1-135.
ze orientali: il “distruttore di mura” «Il prefisso *su- (e, secondariamente, an-
nella poesia greca e nella poesia vedi- che il prefisso *dus-) è servito a dar vita,
ca, «SSL» 27 (1987), pp. 151-175. in alcune lingue i.e., a gruppi di composti
L’A. esamina gli epiteti greci e vedici che che, modellati su un ristretto nucleo ini-
significano “distruttore di fortezze” e as- ziale di concetti-modello uguali per tutti,
segna questa nozione al comune patri- formano un insieme ideologicamente
monio poetico; dietro questo comune coerente con quanto sappiamo della cul-
elemento linguistico-culturale, evidenzia tura laico-guerriera dell’aristocrazia i.e.»
l’esistenza di un concetto più arcaico, (p. 61).
quello di “colui che atterra le mura”. La
comparazione con alcune letterature del D’AVINO, FUTA (55)
Vicino Oriente, rende verosimile l’ipote- 1980-81 – Messaggio verbale e tradi-
si che questa nozione risalga a contatti zione orale: homo œpea pterÒenta,

447
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

«Helikon» 20-21 (1980-81), pp. 87- degli schemi metrici discussi, riconosce
117. al volume due importanti acquisizioni: la
Da un riesame della metafora in ambito dimostrazione che l’esametro omerico
soprattutto greco, chiarisce l’originario «comportava originariamente la base eo-
valore sacrale di œpea come “messaggio lica e che quindi va considerato uno svi-
verbale” e la semantica del nesso inter- luppo della metrica ereditata» e la dimo-
pretandolo “parola vestita di penne”, al- strazione «di quanto sia rigida la dizione
l’interno di «quella visione religiosa in formulare rigvedica e quanto stretti siano
cui la volontà degli dei si comunica sem- i suoi legami col metro».
pre attraverso segni, ed in particolare
con il volo degli uccelli» (p. 109). DURANTE, MARCELLO (59)
1974b – Greco kîmoj, ant.ind.
DUNKEL, GEORGE (56) śámsa, in Studi T. Bolelli, Pisa, Paci-
1979 – Fighting Words: Alcman Par- ni, 1974, pp. 119-135.
theneion 63 m£contai, «JIES» 7 Convincente proposta di confronto eti-
(1979), pp. 249-272. mologico e semantico tra due termini che
Chiarisce convincentemente un passo di esprimono un comune concetto di cele-
Alcmane, illustrando come le metafore brazione di esseri umani e non divini, in
della competizione poetica come corsa di un contesto di poesia laico-guerriera.
cavalli e/o combattimento tra guerrieri,
siano un’eredità della lingua poetica i.e.; DURANTE, MARCELLO (60)
la comparazione, limitata al solo vedico, 1976 – Sulla preistoria della tradizione
avrebbe tuttavia potuto utilmente allar- poetica greca. II. Risultanze della
garsi ad altre tradizioni poetiche i.e. comparazione indoeuropea, Roma,
Ateneo, 1976, pp. 1-220.
DURANTE, MARCELLO (57) (I. La grecità preistorica e il mondo di
1971 – Sulla preistoria della tradizione rapporti indoeuropeo; II. Modi stilistici
poetica greca. I. Continuità della tra- tradizionali. L’epiteto; III. La metafora e
dizione poetica greca dall’eta micenea il paragone; IV. Analisi di un campo
ai primi documenti, Roma, Ateneo, metaforico: il discorso come "cammino";
1971, pp. 1-164. V. La personificazione; VI. La ripe-
(I. La fase eolica della poesia omerica. II. tizione; VII. Nomi e struttura dell’inno
Tratti linguistici micenei in Omero. III. greco e vedico; VIII. La terminologia
Altre eredità micenee. IV. Apporti allotri della creazione poetica in quanto testi-
nella fase predocumentaria della tradi- monianza di poesia; Appendice. Il nome
zione). di Omero).
Prima parte di un’opera importante e di In questa seconda parte, l’A. raccoglie
riferimento per la comprensione della contributi già pubblicati, ma che qui su-
poesia greca arcaica. biscono molte modifiche, e capitoli nuo-
vi, tra cui (cap. I) una fondamentale mes-
DURANTE, MARCELLO (58) sa a punto metodologica sulla problema-
1974a – recensione di Nagy, 1974, tica della lingua poetica i.e. Gli studi di
«Kratylos» 19 (1974), pp. 41-4. M. Durante sugli stilemi i.e. hanno intro-
Dopo aver rimproverato all’A. di aver dotto nella ricerca un punto di vista nuo-
trascurato la specializzazione funzionale vo e irrinunciabile.

448
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

EDWARDS, ANTHONY T. (61) da autori moderni, con un accostamento


1988 – KLEOS AFQITON and Oral tipologico-letterario utile, e forse anche
Theory, «CQ» 38 (1988), pp. 25-30. necessario, ma non del tutto convincen-
L’articolo è una confutazione di Finkel- te. La parte centrale e finale del lavoro è
berg, 1986: l’A., partendo proprio dalla incentrata sull’analisi della parola e delle
‘oral theory’ ma utilizzando – giustamen- figure fonetiche e etimologiche come vo-
te! – gli sviluppi della teoria posteriori a ce della magia e dell’incantesimo, soprat-
M. Parry, respinge con convincente sicu- tutto in ambito vedico, sulla necessità di
rezza gli argomenti della studiosa, dimo- distinguere i vari generi in cui si articola-
strando come la ‘oral theory’ poco abbia va necessariamente la lingua poetica i.e. e
da dire, in questo caso, sull’antichità re- sulla definizione di alcuni principi che
lativa delle formule in esame. sovrintendono alla composizione degli
inni vedici. Si tratta senza dubbio di un
ELIZARENKOVA, TATIANA / TOPO- lavoro stimolante, il cui unico limite ri-
ROV, VLADIMIR N. (62) siede forse in un utilizzo eccessivo del
1979 – Древнеидийская позтика materiale indiano antico, a scapito di
и ее индоевропейске истоке, possibili più ampie comparazioni.
(Drevneindiskaja poètika i eë indoe-
vropejskeie istoki) [La poetica india- EULER, WOLFRAM (63)
na antica e le sue origini indoeuro- 1982 – Es war ein König – eine Einlei-
pee), in Литература и култура tungsformel mit indogermanischer
длевней и средневеконой Инднн, Grundlage, in Sprachwissenschaft in
Moskva, Nauka, 1979, pp. 36-88 Innsbruck, Innsbruck, IBS, 1982, pp.
(tradotto, con l’aggiunta di poche 53-68.
modifiche iniziali, come V. N. Topo- Aggiunti diversi altri confronti ai due no-
rov, Die Ursprünge der indoeuropäi- ti (cfr. Schmitt, 1967a, p. 275), traendoli
schen Poetik, «Poetica» 13 (1981), dal sanscrito classico, dall’irlandese anti-
pp. 189-251). co e dal latino, rende plausibile l’ipotesi
Dopo una storia della ricerca, il lavoro che la formula sia di antichità i.e.
affronta, sulla scia di Benveniste e Jakob-
son come superamento delle posizioni di FERNANDEZ DELGADO, J. A. (64)
Meillet e con l’obbiettivo di una ricostru- 1982 – La poesia sapiencial de Grecia
zione concreta di proto-testi, innanzitut- arcaica y los origines del hexámetro,
to la questione della metodologia neces- «Em» 50 (1982), pp. 305-321.
saria in questa particolare prassi compa- Dopo una lunga, attenta e utile ricostru-
rativa – utili qui le analisi sulla teoria zione critica degli studi precedenti, sof-
poetica indiana antica; passa poi alla ferma la sua analisi sulla dizione formula-
questione lingua degli dei / lingua degli re gnomica così come è estrapolabile in
uomini, vista come diglossia inerente alla quelle metà esametriche autonome, per
stessa lingua poetica i.e., esaminandola lo più il segmento anteriore all’eptemi-
dettagliatamente nelle varie tradizioni; mera, che contengono antichi proverbi o
prosegue parlando dello status sociale massime, esaminando materiale tratto
dei poeti e della loro funzione nell’epoca soprattutto da Le opere e i giorni e con-
mitopoietica dell’organizzazione dell’or- cludendo che si può pensare a «una com-
dine cosmico, con paralleli tratti anche binación de metremas tipo hemíepes mas

449
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

tipo enhoplio come el necessario patròn FLOYD, EDWIN D. (68)


primero del hexámetro» (p. 168). 1992a – Who and Whose Are You:
An Indo-European Poetic Formula,
FINKELBER, MARGALIT (65) «Word» 43 (1992), pp. 399-409.
1986 – Is klšoj ¥fqiton a Homeric Riesamina il sintagma pronome interro-
Formula?, «C Q» 36 (1986), pp. 1-5. gativo al nominativo + pronome interro-
Sulla scorta della ‘oral theory’, sostiene gativo al genitivo + II persona singolare
che il sintagma omerico non rappresenta del verbo “essere” (cfr. Schmitt, 1967a,
un’eredità della lingua poetica i.e., per- pp. 135-138), illustrando alcuni passi
ché: 1) essendo attestata una sola volta dell’Odissea (19, 105; 10, 325-335) e del
non può essere definita, secondo i criteri Mahābhārata (III, 190-191; III, 190, 12)
di M. Parry, una formula; 2) l’unicità dove, diversamente dall’Iliade, il conte-
dell’attestazione fa pensare che si tratti di sto è erotico e non guerriero; da qui,
un’innovazione; la sua ipotesi conclusiva alcune acute osservazioni sulla metaco-
municazione del riconoscimento tra
è che klšoj ¥fqiton œstai rappresenti in
Odisseo e Penelope. Tuttavia, l’aver in-
Iliade 9,413 un’espressione formulare
dividuato altri e diversi contesti in cui si
creata per sostituire la meglio attestata situa il sintagma, rende a mio parere an-
klšoj ¥fqiton Ñle‹tai (cfr. Edwars, 1988).
cora più forte il sospetto (cfr. Durante,
1976, p. 7 nota 7) che in questo caso, più
FLEURIOT, LÉON (66)
che con un frammento di lingua poetica
1978 – recensione di Campanile,
i.e., si abbia a che fare con un caso di
1977, «EC» 15 (1978), pp. 737-8. Elementarverwandtschaft.
Presentazione favorevole del volume,
con qualche integrazione bibliografica e FLOYD, EDWIN D. (69)
un invito all’approfondimento dell’ono- 1992b – Bacchylides 18.31 and Indo-
mastica bretone. European Poetics, «JIES» 20 (1992),
pp. 305-315.
FLOYD, EDWIN D. (67) Chiarisce un passo di Bacchilide (18,31),
1980 – Kleos aphthiton: An Indo- evidenziando come sia un’altra attesta-
European Perspective on Early Greek zione, in un contesto erotico, del sintag-
Poetry, «Glotta» 58 (1980), pp. 133- ma poetico i.e. discusso nel lavoro prece-
157. dente.
Riesaminate attentamente le attestazioni
omerico-vediche, nota – giustamente! – FORABOSCHI PORRINO, LUCIANA (70)
una grande differenza nell’uso delle for- 1969 – Per uno studio delle corrispon-
mule nelle due tradizioni: dal confronto denze poetiche che legano alcune lin-
con l’uso post-omerico, letterario e epi- gue indeuropee al sanscrito, «RIL»
grafico, e da una lettura più stringente 103 (1969), pp. 49-77.
dei passi vedici, trae l’avvincente e inno- Articolo tratto dalla tesi di laurea del-
vativa conclusione che il significato di l’autrice, allieva di V. Pisani, discussa nel
“gloria eterna”, tramandata dal poeta 1965; presenta e discute parte del mate-
per chi muore eroicamente in battaglia, riale che poi raccoglierà Schmitt, 1965,
sia in realtà un’innovazione che ha origi- 1967a, nella scia del suo maestro (cfr.
ne da Iliade 9,413. Pisani, 1966): la lingua poetica i.e. non è

450
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

un qualcosa di unico e indifferenziato 10/9/1988), Spoleto, Centro italiano


nel tempo e nello spazio, ma il risultato di studi sull’alto medioevo, 1990, pp.
della diffusione di un movimento cultu- 545-570.
rale ‘alto’, che ha le sue origini nell’ario Dopo alcune osservazioni sulla kenning
storico. e una presentazione storico-metodo-
logica, propone una serie di confronti
GARCÍA-RAMÓN, JOSÉ L. (71) tipologico-semantici, qualcuno convin-
1973 – recensione di Durante, 1971, cente, altri più dubbi, tra epiteti divini
«Minos» 14 (1973), pp. 192-4. islandesi antichi e greci, in qualche caso
Sulla base di fatti concreti e di obiezioni anche vedi ci, divisi secondo la seguente
metodologiche, respinge la tesi di M. tipologia: 1. Gebiet der Verwandtschaf-
Durante sull’inesistenza di una fase achea tsverhältnisse; 2. Gebiet der spezifi-
nella costituzione dei poemi omerici. schen Kompetenz und der charakteri-
sierenden Taten der Gottheit; 3. Ikoni-
GIGNOUX, PHILIPPE (72) sche Charaktere det Gottheit. Si tratta
1979 – recensione di Meid, 1978, di uno dei pochi lavori utili, specificata-
«StIr» 8 (1979), pp. 158-160. mente dedicati all’Edda dal punto di vi-
Si sofferma soprattutto sulla metodolo- sta delle ricerche sulla lingua poetica
gia e ritiene le ipotesi dell’A. sull’indeu- i.e.
ropeo congetture difficilmente dimostra-
bili. GRESSETH, GERALD K. (75)
1979 – The Odyssey and the Nalo-
GONDA, JAN (73) pakhyāna, «TAPA» 109 (1979), pp.
1969 – recensione di Schmitt, 1967 a, 63-85.
«Lingua» 23 (1969), pp. 301-9. Interessante lavoro di comparazione,
Severa rassegna critica, con molte ob- condotto con le metodologie della ricer-
biezioni, soprattutto su questioni vedi- ca folklorica, tra le strutture narrative, i
che; il recensore propende in generale temi e i motivi dell’Odissea e quelli del
per la parentela tipologica ed è molto Nalopakhyāna una storia inserita nel III
prudente sull’esistenza di una lingua libro del Mahābhārata; le pur notevoli
poetica i.e. comune. Pur apprezzando convergenze messe in luce, lasciano tut-
l’acribia dell’A., gli rimprovera prolissi- tavia irrisolta la questione se esse siano
tà, ripetizioni e scarsa attenzione per la dovute a poligenesi o a un qualche rap-
letteratura scientifica non tedesca e in porto di parentela, non apportando dun-
generale per i fatti stilistici, le tecniche que alcun materiale nuovo alla lingua
poetiche e le funzioni mantiche e sociali poetica i.e.
dei poeti.
GUSMANI, ROBERTO (76)
GRAZI, VITTORIA (74) 1975 – Le iscrizioni poetiche lidie, in
1990 – Die “Götterlieder” der Edda Studi L. A. Stella, Trieste, Università
und die “Indogermanische Dichter- degli Studi, 1975, pp. 255-270.
sprache”, in Atti del XII Congresso Richiama opportunamente l’attenzione
Internazionale di studi sull’alto me- sui carmi epigrafici lidi, trascurati dalle
dioevo. The Seventh International indagini comparative precedenti; tutta-
Saga Conference, (Spoleto: 4- via, a parte il cfr. tra indiano antico kavis

451
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

e lidio kaveś “poeta”, il dossier illustrato HERTZENBERG, LEONHARDT (80)


contiene pochi elementi affidabili e talu- 1974 – Zur Rekonstruktion indoger-
ne caratteristiche metrico-ritmiche di manischer Formeln, in Antiquitatej
questi carmi (p. es. l’uso della rima) in- Indogermanicae, Innsbruck, IBS,
ducono allo scetticismo. 1974, pp. 93-99.
Esamina gli epiteti per “scuotitore della
HAMP, ERIC P. (77) terra” in greco, indiano antico, e khota-
1977 – The Semantic of Poetry in Ear- nese, ricostruendo convincentemente una
ly Celtic, «PCLS» 13 (1977), pp. formula i.e *neu- *dhĝhóm “die Erde
147-151. erschüttern”; alcune considerazioni me-
Breve ma denso articolo, in cui l’A. pro- todologiche finali, insistono sull’impor-
pone di inquadrare i termini irlandesi tanza dell’indagine sulle motivazioni nel-
antichi e gallesi per “poeta”, “poesia”, la prassi ricostruttiva.
“poema” etc. in un comune campo se-
mantico, di cui dà lo schema e che ritiene HERTZENBERG, LEONHARDT (81)
rifletta uno stadio culturale i.e.; in questa 1978 – recensione di Meid, 1978,
w
visione, propone una trafila *g rsdo- > «OLZ» 78 (1983), pp. 178-180.
*barzdo- > bardo- che risolverebbe, a suo Positiva presentazione riassuntiva.
parere, il problema fonetico insito nella
w
derivazione diretta di bardo- da *g er(e)- HIERSCHE, ROLF (82)
“alzare la voce, cantare”. 1969 – recensione di Schmitt, 1967a,
«GGA» 221 (1969), pp. 225-234.
HASLAM, MICHAEL W. (78)
Utile e minuziosa revisione, con discus-
1976 – recensione di Nagy, 1974,
sione critica di numerosi punti, arricchi-
«JHS» 96 (1976), pp. 202-3.
menti bibliografici e considerazioni sulle
Utile revisione critica, con apprezzamen- differenzazioni dialettali e sociolinguisti-
ti per l’attenzione ai legami tra metrica e che all’interno della lingua poetica i.e.;
fraseologia, qualche dubbio metodologi- qualche riserva metodologica sulla se-
co, la disapprovazione decisa dell’inter- conda parte del volume.
pretazione di Nagy del trimetro giambi-
co, qualche precisazione puntuale e un HILTEBEITEL, ALF (83)
appunto finale sulla scarsa unitarietà e 1982 – Brothers, Friends, and Chario-
scorrevolezza dell’esposizione. teers: Parallel Episodes in the Irish
and Indian Epics, in E. C. Polomé
HENRY, P. L. (79) (ed.), Hommages to G. Dumézil,
1986 – The Celtic Literatures in the Washington, Institute for the Study
Context of World Literature, in K. H. of Man, 1982, pp. 85-111.
Schmidt (hrsg.), Geschichte und Kul-
Esamina parallelamente il racconto del
tur der Kelten. Vorbereitungskonfe-
combattimento tra Cú Chulainn e Fer
renz (Bonn: 25-28/10/1982), Heidel-
Diad nel Táin Bó Cúailnge e quello del
berg, Winter, 1986, pp. 123-144.
combattimento tra Arjuna e Karņa nel
Interessante comparazione in termini di Mahābhārata, evidenziando molte con-
generi letterari tra letteratura indiana e cordanze narrative e tematiche e ren-
letteratura celtica, con paralleli tratti an- dendo plausibile l’ipotesi che i due testi
che da altre letterature i.e.

452
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

conservino, pur all’interno di una re- l’Odissea con dei noti passi vedici e ave-
mitologizzazione della narrazione nella stici, confermando che si tratta di eredità
tradizione induista indiana e di una de- narrative i.e.
mitologizzazione nella tradizione irlan-
dese cristiana, i resti di un arcaico tema HUMBACH, HELMIT (87)
epico i.e.; interessanti le osservazioni 1967 – Indogermanische Dichterspra-
sulle funzioni ‘bardiche’ degli aurighi che?, «MSS» 21 (1967), pp. 21-31.
reali. Sulla scorta di alcuni confronti greco-
germanici e di paralleli con l’accadico,
HOENIGSWALD, HENRY M. (84) respinge con ironia l’ipotesi stessa di lin-
1977 – recensione di Nagy, 1974, gua poetica i.e., sostenendo come predo-
«AmJPh» 98 (1977), pp. 82-88. minante l’ipotesi della tipologia elemen-
Lunga e accurata presentazione critica, tare.
con alcune osservazioni utili; il giudizio
finale, positivo più riguardo alle doti del- IVANOV, VJAČESLAV V. (88)
l’autore che alle tesi proposte, auspica un 1967 a – Заметки по сравнительно- -
allargamento della ricerca alle tematiche исторической индоевропейской
più generali del linguaggio poetico i.e., позтике (Zametki po sravavnitel’no-
evitando di attribuire «an almost mystical istoričeskoj indoevropejskoj poėtike)
importance» a formule come klšoj [Note sulla poetica storico-compa-
¥fqiton ~ śrávo ákśitam, importanti sì rativa indoeuropea], in To Honor R.
ma che non sono né uniche né decisive. Jakobson, The Hague, Mouton, 1967,
vol. II, pp. 977-988.
HOFFMANN, KARL (85) Il lavoro è diviso in tre parti: nella prima,
1986 – Zu den arischen Komposita l’A. riesamina un testo ittita pubblicato
mit Vorderglied su-, in Fest. E. Risch, nel 1929 da Hrozny; nella seconda, un
Berlin – New York, de Gruyter, 1986, breve componimento poetico armeno
pp. 196-203. antico: l’analisi, condotta alla luce delle
Esaminati con sicura dottrina i composti idee di Saussure sulle figure fonetico-
indo-iranici con primo membro *su- evi- etimologiche come anagrammi, rende
denzia l’esistenza di uno stilema poetico plausibile l’idea che anche in questi testi,
connesso all’ideologia dell’aristocrazia seppure in maniera tra loro diversa, si
guerriera aria (cfr. Costa, 1990); la sco- abbia a che fare con una tecnica di paro-
perta è di sicuro interesse anche per la nomasia già individuata in altre letteratu-
lingua poetica i.e. in generale. re i.e. La terza parte è dedicata alla com-
parazione tra la metrica dei Canti degli
HOOKER, JAMES T. (86) Slavi occidentali di Puškin e la metrica
1980 – Indo-European Themes in Ho- slava antica.
mer, in Papers in Honor of M. S. Bee-
ler, The Hague, Mouton, 1980, pp. IVANOV, VJAČESLAV V. (89)
357-382. 1967b – Использование для зтим-
Confronta, persuasivamente, gli episodi логических исследований соче-
iliadici relativi a Sarpedone con dei passi таний одокоренных слов в поз-
eddici e quelli relativi alla punizione dei зии на древних индоевропейских
‘peccatori’ dell'undicesimo libro del- языках (Ispol’zovanie dlja ètimologi-

453
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

českih issledovanij sočetanij odnoko- stress variant», derivato – con Watkins –


rennyh slov v poèzii na drevnih in- da un paremiaco i.e. e celtico comune
doevropejskih jazykah) [L’uso per le e molto più vicino alla metrica allittera-
ricerche etimologiche dei nessi di pa- tiva germanica di quanto finora si rite-
role derivate da un’unica radice nella nesse.
poesia delle lingue indoeuropee anti-
che], « Зтимология », (1967), pp. KURKE, LESLIE (91)
40-56. 1989 – Pouring Prayers: a Formula of
L’A. indaga l’uso ininterrotto delle figure Indo-European Sacral Poetry?,
etimologiche nella poesia russa, da «JIES» 17 (1989), pp. 113-125.
quella epico-popolare antica a quella Identifica una metafora del “versare una
contemporanea e con confronti col bal- poesia o una preghiera come una libagio-
tico, l’iranico e l’islandese antico, facen- ne” in vedico, greco e latino, come sotto
do ricorso anche qui alle idee di Saussure categoria di un campo semantico ‘liquid
sugli anagrammi ma non sottovalutan- poetics’, ma resta in dubbio se conside-
do la possibilità che si tratti di un caso di rarla innovazione indipendente o esito di
tipologia elementare; analizzando alcuni una formula poetico-sacrale i.e.; in que-
prestiti caucasici in un testo poetico ar- st’ultimo caso, la formula sarebbe *gheu-
meno antico, lo stesso del lavoro prece- + prayer or song as its object “to pour
dente, dimostra poi come sia possibile
forth prayers like a libation” e il solo
sfruttare, nelle ricerche etimologiche, il
vedico conserverebbe il contesto origina-
fatto che in una stessa linea, grazie per lo
le.
più al procedimento dell’accusativo in-
terno, compaiano parole derivate dalla
KURYLOWICZ, JERZY (92)
stessa radice. Le conclusioni ipotizzano
che nell’armeno antico l’uso poetico del-
1970 – The Quantitative Meter of
l’allitterazione sia da attribuire alla stabi-
Indo-European, in G. Cardona – H.
lizzazione dell’accento più che a un’ere- M. Hoenigswald – A. Senn (eds.),
dità i.e. Indo-European and Indo-Europeans,
Philadelphia, University of Pennsyl-
KLAR, KATHRYN / O HEHIR, vania Press, 1970, pp. 421-430.
BRENDAN / SWEETSER, EVE (90) Dopo alcune importanti note di metodo,
1983-4 – Welsh Poetics in the Indo- esamina e chiarisce diversi fatti di metri-
European Tradition. The Case of the ca greca e indiana alla luce dell’ipotesi di
Book of Aneirin, «SCelt» 18-19 una transizione, dovuta secondo l’A.
(1983-4), pp. 30-51. principalmente alla generalizzazione dei
Importante e innovativo lavoro sulla fenomeni di «word-internal sandhi», dal
metrica celtica: respinte quasi del tutto, ritmo ‘naturale’ dell’accentuazione, pro-
e spesso con argomenti inoppugnabili, prio del linguaggio colloquiale, al ritmo
le conclusioni di un famoso articolo di metrico ‘artificiale’ basato sulla quantità
Watkins del 1963, le A.A. propongono delle sillabe: questa ipotesi avvincente e
come verso base per il gallese e l’irlan- ben fondata, applicabile forse anche al
dese antichi non un eptasillabo cadenzato persiano e all’arabo, lascia tuttavia aperta
ma un verso molto più breve: «a syl- agli studi seguenti la questione di una
labically variable line constituted of two comune origine i.e. della metrica greca e
metrical stresses, with a catalectic single- indiana.

454
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

KURYLOWICZ, JERZY (93) Lunga e accurata disamina: giudizio po·


1975a – Phonetisches und Metrisches sitivo con qualche distinguo, utili arric·
im Indogermanischen, in H. Rix (hr- chimenti di bibliografia italiana, indica-
sg.), Flexion und Wortbildung. Ak- zioni di possibili altre indagini.
ten der 5. Fachtagung der Indoger-
manischen Gesellschaft (Regen- LAZZERONI, ROMANO (96)
sburg: 9-14/9/1973), Wiesbaden, 1969 – Stratificazioni nella lingua poe-
Harrassowitz, 1975, pp. 164-174. tica greca, in Studi in onore di V.
Interessante lavoro metodologico e com- Pisani, Brescia, Paideia, 1969, vol. II,
parativo, basato in parte su alcuni princi- pp. 619-634.
pi della scuola di Praga, sulle interferen- Utile raccolta di paralleli tra tradizione
ze reciproche tra fenomeni fonetici, san- anatolica e lingua epica greca, volta ad
dhi in particolare, e fatti di metrica quan- indicare una corrente di scambi poetico-
titativa e accentuativa. mitologici, in cui sono coinvolte anche le
civiltà egee e anarie.
KURYLOWICZ, JERZY (94)
1975b – Metrik und Sprachgeschichte, LAZZERONI, ROMANO (97)
Wrocaw, Zaklad, 1975, pp. 1-254.
1970 – Etimologia e semantica del gr.
(I. Einleitung; II. Homer; III. Plautus; ¢ndr£podon, «SSL» 11 (1970), pp. 165-
IV. Der Rigveda; V. Das persische Mu- 173.
taqarib; VI. Die Gathas des Awesta (Y.
Respinge l’associazione formale di
28-34); VII. Die altgermanische Langzei-
¢ndr£poda con tetr£poda e lo confronta
le; IX. Bemerkungen zur Metrik der rus-
invece coll’indiano antico dvipád-, ipotiz-
sischen Byliny; X. Die silbische Metrik,
zando che ¢ndr£poda risalga alla formu-
neuerer Sprachen; XI. Litauisch; XII.
la i.e. “bipedi e quadrupedi”, cioè a un
Anhang: Zwei semitischen Metren; XIII.
formulario arcaico di cui la civiltà vedica
Zusammenfassung und Folgerungen).
si conferma l’erede più fedele.
Del volume, dedicato ad un’analisi storico-
ricostruttiva delle tecniche di versificazio- LAZZERONI, ROMANO (98)
nenellevarielinguei.e. in una visione volta 1975a – Cultura vedica e cultura in-
a chiarire reciprocamente fatti di lingua e doeuropea: la formula “bipedi e qua-
di metrica, ci interessano qui le considera- drupedi”, «SSL» 15 (1975), pp. 1-19.
zioni finali: l’A. ritiene che le differenze tra
Esamina le attestazioni della formula i.e.
metrica vedica e gathica rendano difficile
e conclude «che è i.e. tutto il sistema
l’ipotesi di una metrica indoiranica comu-
ne, cosi come molto scettico si mostra sul- concettuale che sta alla base del campc
l’eventualità di un metrica i.e., mentre ri- semantico fondato sulla rappresentazio-
tiene che le affinità tra metrica greca e ve- ne del movimento come indizio di vita e
dica appartengano eventualmente a un pe- dei piedi come simbolo del movimento».
riodo comune preletterario non-i.e.
LAZZERONI, ROMANO (99)
LAZZERONI, ROMANO (95) 1975b – Cultura vedica e cultura in-
1968 – recensione di Schmitt, 1967a, doeuropea: la formula ”visto e non
«SSL» 8 (1968), pp. 221-9. visto”, «SSL» 15 (1975), pp. 20-35.

455
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Esclude, con argomenti convincenti, che tenzioni poetico-comparative ma senza


la formula, attestata in vedico, latino e alcun fatto nuovo.
umbro, risalga a una comune origine di
poesia i.e. MAC CANA, PROINSIAS (104)
1988 – The Poet as Spouse of his Pa-
LAZZERONI, ROMANO (100) tron, «Ériu» 39 (1988), pp. 79-85.
1977 – Fra glottogonia e storia: in- Dopo aver notato che il topos del poeta
giuntivo, aumento e lingua poetica in- come sposa del suo patrono è attestato
doeuropea, «SSL» 17 (1977), pp. 1- non solo nella letteratura irlandese ma
30. anche in quella gallese, dal confronto
con noti testi indiani antichi dove si parla
Ampia e importante messa a punto della
di un identico rapporto tra re e sacerdote
questione: «l’uso opzionale dell’aumento
e dove peraltro la divisione dei ruoli ses-
non è dunque eredità poetica i.e.: esso,
suali è meno chiara, trae la conclusione
invece, consegue alla sopravvivenza del-
che, stante la compresenza delle funzioni
l’ingiuntivo nella tradizione conservatri-
poetiche e religiose nel poeta della tradi-
ce della poesia». zione celtica, le due realtà abbiano una
comune origine i.e.
LAZZERONI, ROMANO (101)
1987 – L’organizzazione del lessico in- MAC CANA, PROINSIAS (105)
deuropeo: etimologia e ideologia, 1989 – Notes on the Combination of
«ASGM» 28 (1987), pp. 1-13. Prose and Verse in Early Irish Narra-
Presentazione e sintesi organica di ricer- tive, in S. N. Tranter – H. L. C.
che precedenti sulla nozione di movi- Tristram (eds.), Early Irish Literatu-
mento come tratto distintivo della vita, e re: Media and Communication /
sulla nozione di atto verbale come sosti- Mündlichkeit und Schriftlichkeit in
tuto dell’oggetto materiale sia nella prati- der frühen irischen Literatur, Tübin-
ca esorcistica sia nel rituale sacrificale. gen, Narr, 1989, pp. 125-147.
Con un’analisi tutta interna al celtico,
LOCHNER-HÜTTENBACH, senza aggiungere nuovi dati e con curiosi
FRITZ (102) paralleli con le letterature africane, re-
1969 – recensione di Schmitt, 1967a, spinge come inutili e inconsistenti le ipo-
«IF» 74 (1969), pp. 199-204. tesi su una derivazione i.e. della combi-
nazione prosa / verso nelle letterature
Particolareggiata esposizione con ag-
celtiche e indiane.
giunte bibliografiche, precisazioni pun-
tuali e ringraziamenti finali all’A. per il MEID, WOLFGANG (106)
suo solido e accurato lavoro. 1971 – Dichter und Dichtkunst im al-
ten Irland, Innsbruck, IBS, 1971, pp.
MAC CANA, PROINSIAS (103) 5-20.
1972 – Conservation and Innovation Breve saggio introduttivo alla poesia ir-
in Early Celtic Literature, «EC» 13 landese e alle sue origini i.e. e cristiane,
(1972), pp. 61-119. con qualche utile discussione, piccole ca-
Discorsiva panoramica sulle origini e la renze bibliografiche (cfr. Wagner, 1972)
storia delle letterature celtiche, con at- e qualche opinione non condivisibile.

456
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

MEID, WOLFGANG (107) MILLER, GARY D. (110)


1977 – Figura e funzioni dei poeti nel- 1968 – Traces of Indo-European Metre
la primitiva cultura indeuropea. Eini- in Lydian in Studies R. Jakobson,
ge allgemeine Gedanken zum Pro- Cambridge (Mass.), Harvard Uni-
blem der indogermanischen Dichter- versity Press, 1968, pp. 207-221.
sprache und der sprachlichen Tradi- Nonostante le ottimistiche conclusioni
tion iiberhaupt, in Paleontologia dell’A. – «There can be little doubt that
linguistica. Atti del VI Convegno In- Lydian metre is of Indo-European pro-
ternazionale di Linguisti (Milano: 2- venience. The fixed cadence and the po-
6/9/1974), Brescia, Paideia, 1977, sition of the caesura are identical in both
pp. 67-89. tradition. The inherited verse line of ei-
Rassegna problematico-metodologica sui ght, ten, eleven, and twelve syllables all
principali fatti della ricerca, con qualche have their counterpart in Lydian. The
nuovo parallelo, un’interessante ipotesi fact that these are the only existing metri-
sulla cronologia dell’i.e. e la proposta di cal lengths in Lydian and the only len-
una metodologia di lavoro innovativa ma gths that can be reconstructed for Indo-
in parte ancora ferma alla ricostruzione European from other comparative evi-
di parole e non di più ampi dati di lingua dence supports our claim that Lydian
e di poesia. metre represents a direct continuation of
the Indo-European tradition» – (p. 221),
MEID, WOLFGANG (108) quasi tutto quello che sostiene resta in-
1978 – Dichter und Dichtkunst in in- certo (cfr. Gusmani, 1975, ma anche M.
dogermanischer Zeit, Innsbruck, IBS, L. West, Lydian Metre, «Kadmos» 11
1978, pp. 5-25. (1972), pp. 165-175 e W. Brandenstein,
Ristampa con poche modifiche migliora- Metrisches in epichorischen Texten des
tive del lavoro precedente. grossägäischen Raumes, in Fest. E. Gru-
mach, Berlin, de Gruyter, 1967, pp. 23-
MEID, WOLFGANG (109) 31), a cominciare dalla poeticità stessa
1990 – Formen dichterischer Sprache dei testi.
im Keltischen und Germanischen, In-
nsbruck, IBS, 1990, pp. 1-77. NAAFS-WILSTRA, MARIANNE C. (111)
(Dichter und Dichtkunst im alten Irland 1987 – Indo-European ‘Dichterspra-
[cfr. Meid, 1971]; Die Dichtung der iri- che’ in Sappho and Alceus, «JIES» 15
schen Friihzeit im Übergang zur Schrif- (1987), pp. 273-284.
tkultur; Spachstruktur und metrische L’analisi di alcuni sintagmi della poesia
Form; Metrischen im Gallischen; Sta- lesbia, rende verosimile l’ipotesi dell’A.
breim und W ortwahl. Zum Gebrauch che, oltre a una metrica non omerica di
von Personenbezeichnungen der Herr- origine i.e., in Saffo e Alceo siano presen-
schaftssphiire als Mittel poetischer Cha- ti più elementi della lingua poetica i.e.
raktererisierung in der Edda; Erklären- non documentati da Omero di quanto
des Glossar). finora si fosse ritenuto.
Raccolta di saggi, alcuni dei quali già
editi, dedicati in particolare al celtico e al NAGY, GREGORY (112)
germanico ma con riferimenti all’i.e. e 1974 – Comparative Studies in Greek
con materiale comparativo utile. and Indic Meter, Cambridge (Mass.),

457
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Harvard University Press, 1974, pp. parte, propone per i versi vedici una
1-335. composizione in unità ritmiche minime
(Part I. klšoj ¥fqiton and Greek Meter; di quattro sillabe, riducibili per catalessi
1. The Common Heritage of Greek and o acefalia: nei dimetri si uniscono
Indic Meter: A Survey; 2. Internal un’unità iniziale e una finale, nei trimetri
Expansion; 3. On the Origins of si ha espansione dell’uno o dell’altro
Dactylic Hexameter; 4. The Metrical tratto, come avviene nella metrica greca
Context of klšoj ¥fqiton in Epic and giustificando così la connessione che
Lyric; 5. The Wedding of Hektor and l’A. fa tra jagatï e trimetro giambico gre-
Andromache: Epic Contacts in Sappho co.
44LP; 6. Formula and Meter: A Sum-
mary. Part II. śráva(s) akşitam and Indic NAGY, GREGORY (113)
Meter; 7. The Metrical Context of Rig-
1979 – On the Origins of the Greek
Vedic śráva(s) akşitam and akşiti śrávas;
Hexameter: Synchronic and Diachro-
8. An Inquiry into the Origins of Indic
nic Perspectives, in Fest. O. Szeme-
Trimeter; 9. The Distribution of Rig-
Vedic śrávas: An Intensive Correlation
rényi, Amsterdam, Benjamins, 1979,
of Phraseology with Meter. Epilogue: pp. 611-631.
The Hidden Meaning of klšoj ¥fqiton L’A. risponde qui, non avendo potuto
and śráva(s) akşitam Appendix A. m»dea tenerne conto in Nagy, 1974, alle appa-
and ¥fqita m»dea e„dèj. Appendix B. renti affinità di risultati delle sue ricerche
Dovetailing: Speculations on Mechanics con quelli di West, 1973a, 1973b, oltre
and Origins). che alle critiche ricevute, precisando, e in
Il libro, citato spesso anche oltre i suoi parte modificando, le sue opinioni sul-
meriti reali e discutibile in più parti, pre- l’origine dell’esametro: insistendo sem-
senta tesi più affascinanti che convincen- pre sul fatto che le origini dell’esametro
ti, a volte difese con argomenti sbagliati vadano cercate nelle interrelazioni tra
(cfr. Brough, 1977) o inconsistenti (cfr. metrica e fraseologia, l’A., traendo ulte-
West, 1974), ma sostenute sempre con riore materiale da alcuni frammenti di
passione e acutezza; le pagine più impor- Stesicoro recentemente pubblicati e con
tanti e innovative sono forse proprio un’esame stringente condotto sia sul ver-
quelle che meno hanno a che fare con la
sante della diacronia che su quello della
ricostruzione della metrica i.e. (cfr. Du-
sincronia, propone ancora di considerare
rante, 1974).
il ferecrateo (tipo 3d a p. 612, cosi come
Attraverso un esame della formula klšoj appare in Alceo Fr. 368) come l’antenato
¥fqiton / śráva(s) akşitam che è il tenue dell’esametro dattilico, ma con argomen-
filo conduttore del volume, la tesi prin-
ti più semplici e efficaci e attraverso due
cipale sostenuta nella prima parte è la
innovazioni: 1) la sostituzione facoltativa
seguente: l’esametro è uno sviluppo del-
di – uu con – – nel II, III, IV, V piede; 2)
la metrica ereditata, realizzato a partire
dalla struttura di un ferecrateo (uu-uu- la sostituzione della ‘base eolica’ u u con
u_), attraverso una tripla espansione – – nel I piede, con la sostituzione facol-
dattilica (tetrametro eolico, pentametro, tativa di – u u.
esametro eolico), con le prime due silla-
be, in origine a prosodia libera, norma- NAGY, GREGORY (114)
lizzate nello spondeo e più tardi con 1980 – recensione di Meid, 1978,
l’ammissione del dattilo; nella seconda «Kratylos» 25 (1980), p. 209.

458
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

Respinge la tesi di un sottogruppo lingui- (Part I. The Hellenization of Indo-


stico / poetico greco-indoiranico, ma European Poetics; Part II. The Helleni-
considera il volumetto una utile introdu- zation of Indo-European Myth and Ri-
zione alla poetica indeuropea. tual; III. The Hellenization of Indo-
European Social Ideology).
NAGY, GREGORY (115) Di questo volume, bello e avvincente e
1981a – Another Look at kleos che in parte riunisce alcuni scritti già
aphthiton, «WJA» 9 (1981), pp. 113- editi, ci interessa qui in particolare la
116. prima parte, dedicata alle pulsioni che
hanno trasformato l’eredità poetica i.e.
Commenta le osservazioni di Floyd, 1980
in quella unicità che è la tradizione let-
e ribadisce la propria interpretazione
teraria greca: in pagine lucide e sinteti-
della formula comune (cfr. Nagy, 1974)
che, l’A. chiarisce il suo metodo d’inda-
come sunto della «notion of a poetic tra-
gine, basato per lo più sugli studi di
dition that willlast forever, […] an inhe-
Dumézil, Parry e Lord, e il suo accosta-
rited Indo-European theme» e sostiene
mento alla grecità, che con Watkins
che la differenza importante tra Iliade 9,
chiameremo ‘New Comparative Philolo-
413 e g-Veda I, 9, 7, non è tanto nella
gy’, non apportando al tema della lingua
scissione del tema della ricchezza mate-
poetica i.e nuovi materiali, ma inserendo
riale da quello dell’eternità, temi che Na-
alcuni di quelli noti, anche per prece-
gy ritiene non incompatibili in epoca i.e.,
denti ricerche dello stesso A., in una
come sostiene invece Floyd, ma nella coerente visione d’insieme linguistico-
scelta di Achille di preferire l’immortalità culturale del processo protostorico e
della poesia a quella dell’¢ièn e del storico che diede origine al mondo elle-
nÒstoj. nico.
NAGY, GREGORY (116) NEU, ERIC (118)
1981b – Essais sur Georges Dumézil 1974 – recensione di Meid, 1971,
et l’étude de l’épopée grecque, in «IF» 79 (1974), pp. 330-1.
Cahiers pour un temp / Georges Du-
Breve rassegna con un appunto sulla
mézil, Paris, Centre G. Pompidou,
traduzione di un testo.
1981, pp. 137-145.
Coerente con le ipotesi di Dumézil, l’A. OETTINGER, NORBERT (119)
identifica nel confronto tra epopea ome- 1989-1990 – Die “dunkle Erde” im
rica e epopea indiana due temi mitico- Hethitischen und Griechischen,
narrativi di epoca i.e: il parallelismo anta- «WO» 20-1 (1989-1990), pp. 83-98.
gonista tra il carattere e le azioni degli Esaminate le attestazioni greche e ittite
eroi e quelli degli dei e la somiglianza della formula e il loro contesto mitico-
fisica, quasi da sosia, tra eroi e dei corri- religioso, respinge l’ipotesi che si tratti di
spondenti. una formula poetica i.e. non avendo, a
suo parere, le formule irlandesi antiche e
NAGY, GREGORY (117) serbo croate alcun rapporto genetico con
1990 – Greek Mythology and Poetics, quelle ittite e greche, dipendendo queste
Ithaca-London, Cornell University ultime, come egli mostra persuasivamen-
Press, 1990, pp. 1-363. te, da una «vermutlich breiten Strömung

459
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

orientalischer Einflüsse in vorhomeri- coerente, sebbene non ancora definiti-


scher Zeit» (p. 95). vo.

OGIBENIN, BORIS L. (120) OGIBENIN (OGUIBÉNINE),


1979 – Sprachwissenschaft und die Er- BORIS L. (123)
forschung mythologischer Texte. Die 1985 – Essais sur la culture védique et
Aufgaben der Semiotik im Bereich der indo-européenne, Pisa, Giardini,
Etymologie, «SILTA» 8 (1979), pp. 1985, pp. 1-192.
121-135. (Notes d’introduction. I. Le guerrier vé-
dique et le scštlioj d’Homère. II. As-
Formulazione teoretica, impostata sulla
pects du sacrifice dans le ŔPgveda. III.
teoria dei campi semantici e sulla semio-
Notes sur la guerre et la religion chez les
tica della cultura, di una metodologia eti-
Indo-europeéens. IV. Le signifiant et le
mologica e ricostruttiva i cui risultati – le
signifié dans le sacrifice védique. V. La
ricerche dell’A. stesso – sono molto di- parole poétique cuisinée et la formation
scussi (cfr. Werba, 1985). du double sens dans la poétiqe védique.
VI. Le yoga védique primitif. VII. De la
OGIBENIN, BORIS L. (121) spéculation védique aux thèmes poéti-
1982 – L’aspetto semantico dello stu- ques et religieux indo-européens.)
dio della lingua poetica vedica in rela- Solo i capitoli III, V e parte del II sono
zione al problema della ricostruzione inediti, gli altri erano già stati pubblicati,
della lingua poetica indoeuropea, sostanzialmente identici, in riviste note e
«SILTA» 11 (1982), pp. 197-231. in tempi recenti; l’A. raramente presenta
(Versione ital. di un articolo già ap- dati nuovi, ma le sue osservazioni sono
parso in Etimologia 1971 Moskva, spesso interessanti, qualche volta discuti-
Nauka,1973). bili.
Discussione sul metodo ricostruttivo, con
la proposta, lodevole ma epistemolo- OLMSTED, GARRETT (124)
gicamente vaga e certo vecchia almeno 1991 – Gaulish, Celtiberian and Indo-
quanto lo strutturalismo, di legare le in- European Verse, «TIES» (1991), pp.
dagini sulla semantica ai concreti fatti 259-307.
etnografici di un determinata comunità L’A., che sembra non conoscere Klar –
culturale. Utili le osservazioni sulla speci- O Hehir – Sweetser 1983-4, respinte an-
ficità dei testi poetici e l’esame di alcune ch’egli le ipotesi del lavoro di Watkins
metafore vediche (toro-sole / mucca-au- del 1963, compara il verso, secondo lui
rora). ricostruibile come prototipo i.e. della
metrica greca e vedica (un tetrametro
OGIBENIN, BORIS L. (122) coriambico, «essentially aline of four te-
trasyllabic cola»), con la metrica latina,
1984 – Les correspondants de védique
germanica e celtica, ritenendo che metri-
yui- et yóga dans le vocabulaire et les
ca quantitativa e metrica accentuativa
thèmes poétiques indo-européens,
abbiano la stessa comune origine, e pro-
«BSL» 79 (1984), pp. 131-153. pone «that originally there were three
Riesamina alcune note corrispondenze basic PIE meters: a long line of 4 cola
greco-arie, allargando la comparazione and around 16 syllables, a medium line of
all’ittita e inserendole in un quadro più 3 cola and around 12 syllables, and a

460
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

short line of 2 cola and round 8 sylla- PISANI, VITTORE (128)


bles» (p. 263); la parte restante del lavoro 1968 – recensione di Schmitt 1967a,
è dedicata all’esame di alcune iscrizioni «Paideia» 23 (1968), pp. 232-233.
celtiberiche e galliche, che l’A., mediante
Breve presentazione dell’edizione defini-
la comparazione tra queste e la metrica
tiva di R. Schmitt, 1965 (= R. Schmitt,
celtica e vedica, dimostra come verosi-
1967a), con qualche ulteriore osservazio-
milmente poetiche.
ne.
O’NOLAN, K. (125)
1969 – Homer and Irish Heroic Narra- PISANI, VITTORE (129)
tive, «CQ» 19 (1969), pp. 1-19. 1971 – recensione di Meid, 1971,
«Paideia» 26 (1971), pp. 223-4.
Confronto tra le tecniche narrative ome-
riche e quelli irlandesi, alla luce delle Rimprovera all’A. di non aver confronta-
teorie di M. Parry; un lavoro oramai da- to i poeti irlandesi con quelli vedici, indi-
tato ma ancora utile per i fatti esaminati. cando alcuni paralleli.

PAGLIARA, ANTONINO (126) PISANI, VITTORE (130)


1969 – Risoluzione di composti arcaici 1978 – Omerico (™n) nuktÕj ¢molgù
in Omero, in Studi V. Pisani, Brescia, e la lingua poetica indeuropea, in Stu-
Paideia, 1969, val. II, pp. 697-714. di A. Ardizzoni, Roma, Ateneo, 1978,
Esaminati alcuni composti omerici e al- vol. II, pp. 701-708.
cuni nessi, che da essi fa convincente- Sulla base di un confronto norreno, pro-
mente derivare, con ™Új, li confronta con pone una diversa, più plausibile interpre-
composti vedici, attribuendo i comuni tazione dell’espressione omerica.
semantemi alla lingua poetica greco-aria
(cfr. Costa, 1992). PUHVEL, JAAN (131)
1974 – Transposition of Myth to Saga
PISANI, VITTORE (127) in Indo-European Epic Narrative in
1966 – Lingua poetica indeuropea, Antiquitates Indogermanicae, Inn-
«AGI» 51 (1966), pp. 105-122; sbruck, IBS, 1974, pp. 175-184;
(= ID., Lingue e culture Brescia, Pai- (= Cahiers pour un temp / Georges
deia, 1969, pp. 347-365). Dumézil, Paris, Centre G. Pompidou,
Si tratta in realtà di una lunga recensione 1981, pp. 173-186).
di Schmitt, 1965: a un iniziale giudizio
Interessante lavoro di taglio narrato-
positivo, lo studioso fa seguire una serie
logico-duméziliano, ma con salde basi fi-
di critiche – metodologiche e fattuali –
lologiche, sul passaggio dal linguaggio
basate sulla sua ben nota visione del
mitico alla narrazione della saga nelle
mondo indeuropeo come «fusione di ele-
principali epopee i.e.
menti nomadi e cavalieri provenienti dal-
l’Asia sud-occidentale e di elementi ‘cau-
casici’ imbevuti di civiltà mesopotami- PUHVEL, JAAN (132)
ca», respingendo anche il rifiuto apriori- 1983 – Homeric Questions and Hittite
stico di cercare confronti poetici fuori Answers, «AJPh» 104 (1983), pp.
dall’indeuropeo. 217-227.

461
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Esamina e chiarisce cinque formule ome- struzione, sui domini linguistici non ana·
riche alla luce di fatti ittiti, apportando lizzati a fondo; un contributo significati.
paralleli da un dominio linguistico finora vo a un libro reputato utile soprattuttc
poco sfruttato negli studi sulla lingua per la documentazione.
poetica i.e.
RISCH, ERNST (136)
PUHVEL, JAAN (133) 1969b – recensione di Schmitt, 1968,
1988 – An Anatolian Turn of Phrase «Gnomon» 41 (1969), pp. 326-7.
in the Iliad, «AJPh» 109 (1988), pp.
591-3. Svelta presentazione, con un appunto su
due lavori di P. Thieme.
Chiarisce Iliade 1,290-1 con un confron-
to anatolico, pensando a un bilinguismo
poetico omerico, sulla scorta anche di un RISCH, ERNST (137)
altro breve parallelo finale. 1987 – Die ältesten Zeugnisse für
klšoj ¥fqiton, «KZ» 100 (1987),
PUHVEL, JAAN (134) pp. 3-11.
1991 – Homer and Hittite, Inn- Riesaminate ancora una volta le attesta-
sbruck, IBS, 1991, pp. 7-29. zioni greco-vediche della formula, dal-
(I. Embedded Anatolianism in Greek l’analisi dell’onomastica micenea trae ,
Epic; II. The East Ionic And Hittite l’affascinante ipotesi che il nome proprio
femminile a-qi-ti-ta / Ak hthitā/ sia una
w
Iteratives; III. Homeric and Hittite
Similes Compared). forma abbreviata del composto
w
Breve ma denso saggio, com’è nello stile *Ak hthito-klewejja cioè la più antica te-
dell’A. e della collana, dedicato ai possi- stimonianza della formula i.e.
bili influssi diretti del mondo anatolico
sulla lingua e lo stile omerico; i confronti RITOÓK, ZSIGMOND (138)
addotti dall’A. sono stringenti e avvin- 1987 – Vermutungen zum Ursprung
cente appare la sua tesi di fondo: «In any des griechischen Hexameters, «Philo-
event it implies contact if not symbiosis logus» 131 (1987), pp. 2-18.
between an eastern form of the Late
Dotto e informato lavoro che ricostruisce
Mycenaean Greek and thirteenthcentury
Hittite in or around western Anatolia, la storia degli studi sulla metrica i.e. e fa
and especially of some familiarity with il punto sulla questione con utili osserva-
Hittite language and literature on the zioni e alcune interessanti, anche se mol-
part of an incipient aeodic tradition» (p. to speculative, ipotesi sui rapporti tra
20). Appare, tuttavia, difficoltoso appor- storia della lingua e metrica, proponendo
tare per questa via materiale attribuibile perfino una cronologia relativa, con un
alla lingua poetica i.e. tipico accento di scuola sull’importanza
dei rapporti del proto-greco col mondo
RISCH, ERNST (135) illirico e daco-misio nell’area del Mar
1969a – recensione di Schmitt, Morto, dello sviluppo dell’esametro.
1967a, «Gnomon» 41 (1969), pp.
321-6. ROSENKRANTZ, BERNHARD (139)
Molte osservazioni critiche: di metodo, di 1969 – recensione di Schmitt, 1968,
forma, su singole analisi, sul fare rico- «BNF» 4 (1969), pp. 394-6.

462
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

Insieme a una favorevole presentazione, dere le conclusioni generali: «1) l’allitte-


propone un nuovo parallelo greco- razione risale a un periodo molto antico;
vedico e auspica nuove indagini compa- 2) il suo impiego è particolarmente legato
rate sulla metrica anatolica, indicando al- a un tipo di poesia magico-rituale».
cuni riferimenti bibliografici. Meno convincente appare il quadro del-
lo sviluppo storico dell’uso di questa tec-
RUBEN, WALTER (140) nica, tracciato dall’A. sulla base della
1975 – Die homerischen und die altin- norma delle aree laterali: «il tipo primiti-
dischen Epen, Berlin, Akademie- vo e originale dell’allitterazione sarebbe
Verlag, 1975, pp. 7-63. così quello attestato dal vedico e dal lati-
(I. Die Problematik; II. Einige auffallen- no…, che mostrano un uso parco e anco-
de Gemeinsamkeiten und Besonderhei- ra irregolare e capriccioso di questo pro-
ten; III. Entwicklung der beiden Gesell- cedimento…» (p. 226).
schaften und ihrer Epen; IV. Probleme
der Religion; V. Probleme des Priedens; SCHERER, ANTON (143)
VI. Probleme der Demokratie; VII. Pro- 1968 – recensione di Schmitt, 1967a,
bleme des Humanismus; VII. Probleme «Kratylos» 13 (1968), pp. 41-4.
der Porm; IX. Die vier Epen im Rahmen
der Weltgeschichte der Heldenepik; X. Dopo una presentazione analitica, condi-
Bewertung der Epen; Anhang: Das vide i dubbi di Pisani 1966, sull’esistenza
mythologische Motiv der Überlastung di una lingua poetica comune a tutti gli
der Erde). Indeuropei.
Lavoro di orientamento marxista-
SCHERER, ANTON (144)
leninista, dedicato al confronto tematico
tra le due tradizioni epiche, in chiave di
1973 – recensione di Schmitt, 1973,
lotta di classe e di democrazie militari; «Kratylos» 18 (1973), pp. 205-6.
privo, tra l’altro, di ogni riferimento bi- Interessanti osservazioni sulle motivazio-
bliografico agli studi sulla lingua poetica ni sociolinguistiche che potrebbero essere
i.e., è sostanzialmente inutilizzabile. alla base dell’onomastica esaminata da
R. Schmitt.
SACKS, R. (141)
1974 – Studies in Indo-European and SCHMEJA, HANS (145)
Common Germanic Poetic Diction: 1970 – recensione di Schmitt, 1968,
on the Origins of Old English Verse, «AAHG» 23 (1970), pp. 213-5.
AB. Diss. Harvard 1974.
Breve ma accurata rassegna.
Non mi è stato possibile reperirlo.
SCHMIDT, KARL H. (146)
SANI, SAVERIO (142) 1979 – recensione di Meid, 1978,
1972 – Studi sull’allitterazione nel «BNF» 14 (1979), pp. 183-4.
Rgveda, «SSL» 12 (1972), pp. 193-
226. Attenta presentazione di un lavoro defi-
nito utile e di gradevole lettura.
Importante e approfondito lavoro sulle
tecniche allitteratorie nel gveda; le pa-
SCHMITT, RUDIGER (147)
gine finali (pp. 223-6) sono dedicate alla
1965 – Studien zur indogermanischen
comparazione e se ne possono condivi-
Dichtersprache.

463
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Inaugural-Dissertation zur Erlangung A partire dai risultati di Hoffmann, 1967,


des akademischen Grades eines Doktors considera le forme non aumentate del
der Philosophie der Philosophischen miceneo come ingiuntivi aoristi che
Fakultät der Universität des Saarlandes, avrebbero il valore di constatazioni risul-
Saarbrücken, c.i.p., 1965, pp. 1-344. tative, cioè constatano un’azione passata
Edizione ciclostilata dei primi sei capitoli con riguardo al presente: l’aumento è
del volume seguente. funzionale e la sua omissione non è un
fatto di lingua poetica i.e.
SCHMITT, RÜDIGER (148)
1967 a – Dichtung und Dichtersprache SCHMITT, RÜDIGER (hrsg.) (150)
in indogermanischer Zeit, Wiesba- 1968 – Indogermanische Dichterspra-
den, Harrassowitz, 1967, pp. 1-375. che, Darmstadt, Wissenschaftliche
Buchgesellschaft, 1968, pp. 1-343.
(Prolegomena; I. Die Geschichte des
Problems – Anstelle einer Bibliographie; (A. Kuhn, Indische und germanische Se-
II. Der “Ruhm” als Zentralbegriff indo- gensspriiche; J. Darmesteter, Eine gram-
germanischer Heldendichtung; III. Wei- matikalische Metapher des Indogermani-
tere Spuren einer indogermanischen schen; J. Wackernagel, Zum Dvandva; In-
Heldendichtung; IV. Indogermanische dogermanische Dichtersprache; W. Schul-
Götterdichtung; V. Indogermanische ze, Tocharisch tseke peke; A. Meillet, Die
Sakraldichtung; VI. Phraseologische Ursprung der griechischen Metrik; F. Spe-
Überstimmungen unbestimmter Stilgat- cht, Zur indogermanischen Sprache und
tung; VII. Formale Elemente gemein- Kultur; P. Thieme, ¢ride…ketoj, ™rikud»j
indogermanischer Dichtersprache; VIII. und genossen; Nektar; Ambrosia; Hades;
Indogermanische Zauberdichtung; IX. Die Wurzel Wat; Vorzarathustrisches bei
Der Dichter und sein Lied; X. Indoger- den Zarathustriern und bei Zarathustra;
manische Metrik; Epilegomena). H. H. Schaeder, Ein indogermanischer
Liedtypus in den Gathas; Auf den Spuren
È il fondamentale volume grazie a cui è
indogermanischer Dichtung; V. Pisani,
(ri-)sorto il mai del tutto sopito interesse
Indisch-griechische Beziehungen aus dem
per lo studio della lingua poetica i.e.; si
Mahiibhiirata; W. Porzig, Das Rätsel der
tratta di un opera dai molti pregi – so-
Sphinx; F. R. Schröder, Eine indogerma-
prattutto: completezza della bibliografia e
nische Liedform. Das Aufreihlied; M. Du-
del materiale; acribia, prudenza, accu-
rante, Epea pteroenta. Die Rede als
ratezza nelle analisi – e dai pochi difetti –
“Weg” in griechischen und vedischen Bil-
i più seri: alcuni dominii linguistici e let-
dern; Untersuchungen zur Vorgeschichte
terari sono del tutto trascurati, viene da-
der griechischen Dichtersprache. Die ter-
to un peso eccessivo alle concordanze
minologie für das dichterische Schaffen;
etimologiche, stilemi e tecniche narrative
Untersuchungen zur Vorgeschichte der
sono poco trattati –, con poche novità nel
griechischen Dichtersprache. Das Epithe-
materiale ma che presenta per la prima
ton; R. Schmitt, Nektar; B. Schlerath, Zu
volta una visione d’insieme, organica e
den Merseburger Zaubersprüchen).
coerente, della questione.
Antologia di 23 famosi articoli sulla lin-
SCHMITT, RÜDIGER (149) gua poetica i.e., raccolti, tradotti – quelli
1967b – Zwei Bemerkungen zum che in origine non erano scritti in tedesco
Augment, «KZ» 61 (1967), pp. 63- – e prefati da R. Schmitt e con uno schiz-
67. zo finale dello stesso sulla questione.

464
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

SCHMITT, RÜDIGER (151) SCHRODER, FRANZ R. (156)


1969 – Vedisch dhṛşaņmanas- und 1968 – recensione di Schmitt, 1967a
griechisch qrasumšmnwn, «KZ» 83 «GRM» 18 (1968), pp. 453-4.
(1969), pp. 227-9. Giudizio molto positivo con discussione
Propone, convincentemente, di aggiun- di qualche confronto e l’indicazione di
gere al noto confronto tra dhṛşáņ mánah / propri lavori non citati. Brevissima pre-
dhṛşaņmanas- e mšnoj poluqarsšj / sentazione finale di Schmitt, 1968.
mšnoj kaˆ q£rsoj anche il composto
qrasumšmnwn, che fa derivare da un SEN, SUBHADRA K. (157)
*qrasu-mšn»j, identico quindi al 1985 – Wullila and Indo-European
composto vedico, a sua volta fatto risalire Literary Tradition, «JASC» 27
a un * dhṛşu-mánas-. (1985), pp. 121-4.
Sostiene, con poche esili prove, che la
SCHMITT, RÜDIGER (152) nota caratteristica del gotico biblico di
1971 – recensione di Wüst, 1969c, indicare la marcatezza semantica di un
«Die Sprache» 17 (1971), p. 67-8. lessema con delle variazioni di genere e/o
Lo Schmitt risponde, contrattaccando di numero, risale ad un uso poetico i.e.
anche sul metodo, ad alcune critiche ai
suoi volumi. SMIRNICKAJA, O. A. (158)
1 9 8 6 – ИНДОЕВРОПЕЙСКОЕ
SCHMITT, RÜDIGER (153) В ГЕРМАНСКОЙ ПОЭЗИИ
1973 – Indogermanische Dichterspra- (Indoevropejskoe v germanskoj poe-
che und Namengebung, Innsbruck, zii) [L’indoeuropeo nella poesia ger-
IBS, 1973, pp. 1-28. manica], in Epos Severnoj Evropy: pu-
Breve saggio sui rapporti tra lingua poe- ti evoljucii Moskva, Nauka, 1986, pp.
tica i.e. e onomastica personale, con ri- 7-34.
guardo soprattutto ai composti bimembri L’Autrice, dopo una breve disamina delle
e ai loro stretti rapporti con l’epiclesi. opinioni precedenti, si occupa soprat-
tutto dei rapporti tra verso allitterante
SCHMITT, RÜDIGER (154) scaldico e metrica i.e., propendendo più
1986 – recensione di Ogibenin, 1985, per l’esame delle convergenze tipologi-
«Kratylos» 31 (1986), pp. 188-190. che che per la ricostruzione genetico-
Presentazione con elegante presa di di- comparativa; si tratta di un contributo
stanza da un metodo di lavoro ritenuto privo di novità sostanziali e scarsamente
troppo personale. informato sui progressi anche metodolo-
gici, ottenuti per es. da Campanile e da
SCHRAMM, GOTTFRIED (155) Watkins, nella ricostruzione della cultura
1974 – recensione di Schmitt, 1973, poetica i.e.
«BNF» 9 (1974), pp. 261-2.
STERCKX, CLAUDE (159)
L’A. di Namenschatz und Dichtersprache
1991 – recensione di Campanile,
svolge un interessante confronto tra i
1990c, «Ollodagos» 2,2 (1991), pp.
propri metodi e risultati e quelli di R.
257-259.
Schmitt.

465
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Dopo aver rinviato a un proprio lavoro, proprie al solo verso germanico, e cioè
respinge l’ipotesi (capitolo II) che nel l’obbligatorietà dell’allitterazione e la va-
mondo indeuropeo solo re e poeti godes- riabilità del numero delle sillabe, sareb-
sero di uno status sociale particolare; del bero la conseguenza, indotta dall’evolu-
III cap. viene criticata la tesi che l’idea di zione delle strutture fonologiche della
sopravvivenza della coscienza individua- lingua, della ristrutturazione degli sche-
le sia uno sviluppo storico tardo (?!). mi ereditati.
Lode e approvazione per tutto il resto.
SUZUKI, SEIICHI (163)
STERNEMANN, REINHARD (160) 1988b – Old Germanic Metrics in the
1969 – recensione di Schmitt, 1967a, Light of Indo-European Metrics and
«DLZ» 90 (1969), pp. 398-401. Accent Typology, «EL» 5 (1988), pp.
Propende, per alcuni dei confronti pro- 226-244.
posti, più per la parentela tipologica che L’articolo ripropone sostanzialmente le
per quella genetica e rileva qualche gene- tesi esposte nel lavoro precedente, con
ricità nel concezione che Schmitt ha del- l’aggiunta di alcune considerazioni inte-
l’indeuropeo; ritiene, comunque che si ressanti sulle differenze tipologiche tra
tratti di un sicuro punto di riferimento. celtico e germanico e le loro conseguenze
sulla ricostruzione della metrica di questi
STRUNK, KLAUS (161)
due domini linguistici.
1982 – “Vater Himmel”. Tradition
und Wandel einer sakralsprachlichen
SUZUKI, SEIICHI (164)
Formel, in Fest. G. Neumann, Inn-
sbruck, IBS, 1982, pp. 427-438. 1992 – The Germanic Hypermetric
Line in Indo-European Perspective, in
Con un attento esame formale, ricostrui- Studies in Honor of E. C. Polomé,
sce un schema minimale di flessione della McLean (VA), Institute far the Study
formula i.e. e i suoi esiti in greco, vedico,
of Man, 1992, vol. II, pp. 480- 501.
latino e umbro; la genericità della iunctu-
ra lascia tuttavia nel lettore di questo L’Autore sostiene plausibilmente che le
lavoro dubbi sulla sua effettiva origine da relazioni tra verso normale e verso iper-
una tradizione poetica i.e. metrico nella poesia allitterante germani-
ca sono comparabili con quelle tra verso
SUZUKI, SEIICHI (162) lungo e verso corto i.e.: «the hypermetric
1988a – The Indo-European Basis of line is derived by embedding an extra
Germanic Alliterative Verse, «Lin- colon into the normalline» (p. 498); tale
gua» 75 (1988), pp. 1-24. assunzione gli consente di dar conto in
L’assunzione, come modello esplicativo, maniera più sistematica delle proprietà
dei principali schemi metrici i.e., così co- strutturali del verso germanico.
me sono stati individuati soprattutto da
Meillet, Jakobson, Watkins e West, con- SWIGGERS, PIERRE (165)
sente all’A. di spiegare, organicamente e 1991 – The Indo-European Origin of
plausibilmente, le principali caratteristi- the Greek Meters: A. Meillet’s Views
che del verso allitterante germanico co- and their Reception by E. Benveniste
me il risultato di un’eredità i.e.; anche and N. Trubetzkoy, in Studies in Ho-
quelle che appaiono come caratteristiche

466
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

nor E. C. Polomé, McLean (VA), In- vedici. In polemica con B. Schlerath, so-
stitute far the Study of Man, 1991, stiene che la presenza di tali formule an-
vol. I, pp. 199-215. che fuori del mondo i.e. non è motivo
L’A., pubblicando tra l’altro una lettera sufficiente a impedire il tentativo di una
ricostruzione all’interno della tradizione
di Benveniste a Meillet e una di Tru-
i.e. Per consentire tale ricostruzione, se-
betzkoy allo stesso, ricostruisce lo scam-
condo l’A., è sufficiente dimostrare l’an-
bio di opinioni dei tre grandi maestri
tichità e la motivazione delle formule-
sulle origini dell’esametro.
fonti all’interno delle singole tradizioni;
infatti, l’uso di lessemi diversi per con-
TICHY, EVA (166) cetti identici in lingue imparentate non
1981 – Hom. ¢ndrotÁta und die Vor- inficia la possibilità e la fondatezza della
geschichte des daktylischen Hexame- ricostruzione, tanto più se si ha a che
ters, «Glotta» 59 (1981), pp. 28-67. fare, come nel caso degli esorcismi in
Approfondisce e precisa le teorie di Berg, questione, con parti del lessico – qui: i
1978, chiarendo esaurientemente le lessemi che indicano le parti del corpo –
lunghe irregolari come in ¢ndrotÁta. per cui sappiamo che è impossibile rico-
struire un archetipo i.e. Coerente con tali
TISCHLER, JOHANN (167) assunti, l’A. propone poi la ricostruzione
1975 – recensione di Schmitt, 1973, degli schemi dei temi e dei motivi di tre
«ZDMG» 125 (1975), pp. 392-3. esorcismi i.e.: questi tentativi, senza dub-
bio utili per il nuovo materiale slavo ap-
Breve e discorsiva analisi.
portato, appaiono tuttavia viziati da una
circolarità di conferma delle prove ad-
TOPOROV, VLADIMIR N. (168) dotte e dall’assenza di una netta distin-
1969 – К рекоиструкции индо- zione tra letteratura e tradizione folklori-
европейскогo ритуала и ритуаль- ca, tra testo poetico e contesto magico-
нопоэтических формул (на ма- sacrale. Anche se i nuovi materiali addot-
териале заговоров ) (K rekon- ti allargano la base comparativa e
strukcii indoevropejskogo rituala i conferiscono più solidità ai confronti, il
ritual’no-poėtičeskth formul (na ma- problema di una parentela tipologica re-
teriale zagorovov) [Per la ricostruzio- sta, con questo lavoro, irrisolto.
ne del rituale indoeuropeo e delle for-
mule poetiche rituali (su materiale VERMEER, HANS J. (169)
tratto da esorcismi), «UZTarV» 236 1972 – recensione di Wüst, 1969c,
(1969), pp. 9-43. «LB» 61 (1972), pp. 274-278.
Dopo una breve storia della questione, Lunga e severa critica delle idee e delle
l’A. rivolge l’attenzione alla concreta opinioni espresse nel primo e più impor-
possibilità di ricostruire singoli testi, pre- tante dei tre lavori raccolti nel volume:
vilegiando l’aspetto semantico della com- Wüst infatti, sulla falsariga di Humbach,
parazione. Sulla base di alcune conside- 1967, ritiene che molti fatti attribuiti alla
razioni euristiche, esamina alcuni esorci- lingua poetica i.e. siano in realtà dovuti
smi della tradizione popolare slavo- alla universalità del linguaggio poetico, è
orientale fino ad allora trascurati e li dubbioso sull’esistenza di cultura i.e.
confronta convincentemente coi noti pa- unitaria e dunque anche sull’esistenza di
ralleli tra esorcismi germanici e atharva- una sola lingua poetica.

467
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

VIGORITA, JOHN F. (170) re originally two variants of the short


1973 – Indo-European Comparative line» (p. 208) e conclude che «the epic
Metrics, Ph. D. Diss. Univ. of Cali- decasyllable (xxxx/xxuu-x) has perhaps
fornia, Los Angeles 1973, pp. 1-290. the strongest claim to antiquity. It is rela-
(O. Introduction. 0.0 Preface. 0.1 We- ted to the Greek paroemiac and the rare
stphal’s School. 0.2 Meillet’s School. 0.3 Vedic decasyllable. The longer line of
My Position. 1. Vedic. 1.1 Gāyatrī. 1.2 laments (xxxx/xxxx/xxxx) is probably
Metrical Efficiency in the Gāyatrī Line. to be derived from the shorter line
1.3 Triśtubh. 1.4 Metrical Efficiency in (xxxx/xxxx) by a simple process of addi-
the Triśtubh Line. 1.5 The Trochaic Gā- tion» (p. 209).
yatrī. 1.6 Metrical Efficiency in the Tro-
chaic Gāyatrī Line. 2. Greek. 2.0 Intro- VIGORITA, JOHN F. (172)
duction. 2.1 Octosyllables. 2.2 Heptasyl- 1976b – The Indo-European 12-
lables. 2.3 Words Ends and Metrical Ef- syllabe Line, «KZ» 90 (1976), pp.
ficiency in Octosyllables. 2.4 En- 37-46.
neasyllables. 2.5 Decasyllables and Lon- Riprende, con sintesi e chiarezza esposi-
ger Lines. 2.6 Dactylic Hexameter and tiva, le argomentazioni del volume prece-
Distich. 3. Other I.-E. Languages. 3.1 dente, limitatamente al problema del-
Latin. 3.2 Germanic. 3.3 Slavic. 4. Con-
l’esistenza di un verso i.e. di 12 sillabe,
clusion).
ipotesi che respinge con buone argomen-
Seguendo i lavori di Meillet, Jakobson, tazioni.
Watkins e Nagy ricostruisce, con dottrina
e acribia, un verso di 8/7 sillabe (xx- VIGORITA, JOHN F. (173)
x/x/xu-), sopprimendo la quinta 8 > 7, e 1977 – The Indo-European Origins of
un verso di 11/10 sillabe (xx-x/x/uuxu- the Greek Hexameter and Distich,
x), sopprimendo la quinta 11 > 10; tutta-
«KZ» 91 (1977), pp. 288-299.
via diversamente da Meillet, ritiene il do-
decasillabo non un’eredità i.e. ma una Sulla base di un esame della frequenza
identica e indipendente innovazione del delle varie cesure nell’epica greca, ri-
greco, del ve dico e del serbocroato come prende l’ipotesi che l’esametro sia «an
risultato di un processo di metrization di original ‘heroic couplet’ (7 + 10) with the
un originario verso di otto sillabe, forma- break after syllable seven»; la compara-
to a sua volta da due versi di quattro zione con la metrica vedica e serbocroata
sillabe. prima e con quella latina arcaica e irlan-
dese antica dopo, servono poi all’A. per
sostenere, oltre che l’ipotesi sull’esame-
VIGORITA, JOHN F. (171) tro, anche l’idea che «the elegiac couplet
1976a – The Antiquity of Serbo- represents an original 7.10.7.7 system»
Croatian Verse, «JF» 32 (1976), pp. (p. 298).
205-211.
Riprese le note analisi di R. J akobson sul VINE, BRENT (174)
verso epico slavo e esaminati alcuni testi 1977 – On the Heptasyllabic Verses of
serbo-croati, ipotizza che «in the short the Rig-Veda, «KZ» 91 (1977), pp.
lines (4/4 and 5/3) of Serbo-Croatian 246-255.
there is a new scheme imposed, by the
opposition between symmetrical and Dopo aver esaminato la struttura e la
asymmetrical verse in Slavic, on what we- distribuzione dei versi di sette sillabe nel

468
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

g-Veda, sostituendo alla distinzione di Respinta l’etimologia di Pokorny (p.


Arnold tra catalectic e heptasyllabic quel- 1113), propone di interpretare l’irlandese
la di catalectic vs. acephalic e identifican- fáth come “subject for poets, poetic
do tre tipi principali di contesti metrici composition; maxims of (legal and medi-
(«Type A: Alternating 8/7 syllables, cata- cal) wisdom; wisdom or learning in gene-
lectic and acephalic; Type B: Alternating ral”, vicino dunque al significato del gal-
8/7 syllables, catalectic; Type C: Alterna- lese gwawd e dell’islandese antico óđr
ting 11/7 syllables, catalectic»), propone “canzone, poesia, linguaggio”; sicura la
di confrontare i tipi A e B con gliconeo, derivazione dei tre termini da un celto-
ferecrateo e priapeo e il tipo C con alcu- germanico *wātu- / wōtu-, lo confronta
ne forme di stanze irlandesi antiche; col tema indiano *wātu- del verbo vātave
l’ipotesi finale è che, se pur resta da di- “tessere”, e propone il significato di
mostrare l’esistenza di un verso di sette “stuff, material” e, metaforicamente,
sillabe i.e., certo è ormai l’uso nell’evolu- “subject matter (for poets or administra-
zione della metrica i.e., e in particolare tors of sacrifice and law), poetry, poetic
art, learning”; poi, sulla base di questa
nella metrica vedica, della catalessi e del-
abile proposta, interpreta il nome di
l’acefalia.
Odino, che fa derivare dalla stessa radi-
ce, come “the lord (or god) of poetry
VON SEE, KLAUS (hrsg.) (175)
(speech, wisdom)” e fa derivare da qui
1978 – Europäische Heldendichtung,
anche il lat. vates; complice di tutto ciò
Darmstadt, Wissenschaftliche Buch-
sarebbe la cultura orfica dei Traci. Si
gesellschaft, 1978, pp. 1-457.
tratta certo di un’ipotesi altamente spe-
[I. Indogermanische Heldendichtung culativa.
(4); II. Griechische Heldend. (7); III. Rö-
mische Heldend. (2); IV. Germanische WAGNER, HEINRICH (177)
Heldend. (3); V. Französische Heldend. 1972 – recensione di Meid, 1971,
(5); VI. Spanische Heldend. (4); VII. «ZCPh» 32 (1972), pp. 290-2.
Serbokroatische Heldend. (5); VIII. Rus- Precisazioni bibliografiche e puntualiz-
sische Heldend. (2); IX. Keltische Hel- zazioni critiche soprattutto sulla metrica,
dend. (1)]. da un punto di vista eurocentrico e con
Utile raccolta di 33 articoli più o meno accostamenti alla letteratura demotica.
noti sull’epica europea, preceduta da
un’introduzione inedita dell’A. WAGNER, HEINRICH (178)
1975 – Studies in the Origins of Early
WAGNER, HEINRICH (176) Celtic Tradition, «Ériu» 26 (1975),
1970 – Studies in the Origins of Early pp. 1-26.
Celtic Civilisation II. Irish fáth, Wel- Insieme a molti, non sempre cogenti, pa-
sh gwawd, Old Icelandic óđr Poetry" ralleli tra cultura celtica e mesopotamica,
and the Germanic God Wotan / esamina il tema dei fiumi e dei laghi co-
Ođinn, «ZCPh» 31 (1970), pp. 46-58 me fonte di saggezza e ispirazione poeti-
(= ID., Studies in the Origins of the ca nelle tradizioni celtica e indiana: qui i
Celts and Early Celtic Civilisation, paralleli col mondo vicino-orientale ap-
Belfast-Tübingen, Narr, 1971, pp. paiono più stringenti, anche se non defi-
46-58). nitivi.

469
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

WARD, DONALD (179) poi il contesto poetico-religioso di epoca


1973 – On the Poets and Poetry of the i.e. in cui si situa il termine latino.
Indo-Europeans, «JIES» 1 (1973), pp.
127-144. WATKINS, CALVERT (182)
Sulla base di fatti testuali coerenti e di 1975b – La famille indo-européenne
assodate convergenze sul tipo di verso du grec Ôrcij: linguistique, poétique
usato, propone convincentemente che la et mythologie, «BSL» 70 (1975), pp.
poesia satirica delle tradizioni greca, ger- 11-26.
manica, celtica e vedica risalga a un gene- L’A. fa derivare convincentemente il so-
re già i.e. stantivo *H1órĝhis “testicolo”, attestato
come tale solo in ittita ma con derivati nel
WATKINS, CALVERT (180) germanico e nel baltico, dalla radice
1970 – Language of Gods and Langua- verbale *H1erĝh- “montare (di animali)”;
ge of Men: Remarks on Some Indo- l’esame delle attestazioni gli consente poi
European Metalinguistic Traditions, di confrontare anche il vedico ṛghāyáte e
in J. Puhvel (ed.), Myth and Law Ñrcšomai, verbi che hanno nel loro im-
among the Indo-Europeans, Berkeley, piego una decisa connotazione sessuale:
University of California Press, 1970, da qui, con l’identificazione di una rete di
pp. 1-17. elementi tematici in testi letterari e
cultuali vedici, ittiti, armeni e greci, il
L’A. riesamina la questione e propone di
riconoscimento di una metafora sessuale
considerare la lingua degli dei come se-
di epoca i.e.
manticamente marcata rispetto alla non
marcata lingua degli uomini; considera
WATKINS, CALVERT (183)
alcuni passi anatolici portati a confronto
1976a – The Etymology of Irish Dúan,
da altri autori come sviluppi interni alla
«Celtica» 11 (1976), pp. 270-7.
pratica cultuale anatolica e aggiunge poi
al dossier alcune importanti testimonian- Esaminato il rapporto dono-scambio tra
ze celtiche, che dimostrano come si ab- poeta e mecenate nel mondo vedico e
bia qui a che fare con «a genuine inheri- irlandese antico, propone come etimolo-
tance from an Indo-European poetic gia per l’irl. dúan “poema” una deriva-
doctrine, a doctrine of the nature of poe- zione dalla radice i.e. *dap-, la semantica
tic language and its ralation to ordinary dei cui derivati ruota intorno alla nozione
language» (p. 16). di dono-scambio e confronta dúan <
*dap-nā con l’a. nord. tafn “animale sacri-
WATKINS, CALVERT (181) ficale, cibo sacrificale”, l’arm. tawn “fe-
1975a – Latin iouiste et le vocabulaire stival” e il lat. damnum “damage entailing
religieux indo-européen, in Mélanges liability”.
E. Benveniste, Paris, Seuil, 1975, pp.
527-534. WATKINS, CALVERT (184)
Propone persuasivamente di confrontare 1976b – Observations on the “Ne-
il lat. iouiste con il vedo yáviśtha- un epi- stor’s Cup” Inscription, «HSCPh» 80
teto divino già indo-iranico, e di inter- (1976), pp. 25-40.
pretarlo come un superlativo arcaico in Esamina l’iscrizione alla luce della com-
*-isto-; grazie all’accostamento con alcu- parazione i.e., chiarendo diversi dubbi e
ne formule greche e celtiche, chiarisce mettendo in evidenza alcuni tratti arcaici

470
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

di sintassi e di metrica che ritiene di epo- WATKINS, CALVERT (187)


ca i.e. 1977b – On mÁnij, in Indo-European
Studies III, Cambridge (Mass.), Har-
WATKINS, CALVERT (185) vard University Press, 1977, pp. 686-
1976c – Syntax and Metrics in the 722. (= «BSL» 72 (1977), pp. 187-
Dipylon Vase Inscription, in Studies 209).
L. R. Palmer, Innsbruck, IBS, 1976, Riesamina le proposte etimologiche per
pp. 431-441. µijvu; alla luce delle teorie di M. Parry,
Dal confronto con alcuni testi ittiti e dal- chiarendo la semantica del sostantivo, e
l’analisi secondo i metodi della linguisti- dei suoi derivati, attraverso le formule
ca generativo-trasformazionale di alcune omeriche e epigrafiche in cui è attestato;
frasi relative in essi contenuti, ricostrui- questa analisi gli consente di rettificare la
sce i principi organizzativi della struttura dissimilazione della proposta di Schwy-
superficiale delle relative i.e. arcaiche, li zer ([*men- >] mn©nij > m©nij) come de-
confronta con la prosa vedica e latina formazione tabuistica, all’interno di una
arcaica e con Omero, e dimostra che la serie simmetrica di espressioni verbali di
frase iniziale contenuta nell’iscrizione è relazioni reciproche dei/uomini, spesso
una relativa identica a queste; chiarisce composte secondo una tecnica circolare
poi che questa relativa è un esametro già di epoca i.e.
perfettamente costruito secondo le regole
della dizione formulare epica e che il WATKINS, CALVERT (188)
suo autore doveva essere l’erede di una 1978a – ¢nÒsteoj Ön pÒda tšndei, in
antichissima ma ancor viva tradizione Travaux de linguistique et de gram-
poetica; affascinante ma poco convin- maire comparée offerts à M. Lejeune,
cente la proposta finale di confrontare
Paris, Klincksieck, 1978, pp. 231-
metricamente l’interezza dell’iscrizione
235.
con una strofa vedica e di ricostruire così
un metro lirico greco finora sconosciuto. È sulla base di questo lavoro che Campa-
nile 1986b ha potuto chiarire del tutto
WATKINS, CALVERT (186) l’enigma di Esiodo, Op. 524: partendo
1977a – Old Irish saithe, Welsh haid: dall’identificazione del corrispettivo ir-
Etymology and Metaphor, in Indo- landese antico di tšndw e affermando,
European Studies III, Cambridge per la prima volta nella storia dell’esegesi
(Mass.), Harvard University Press, di questo passo, che vi è sottesa una me-
1977, pp. 530-536. tafora erotica, l’A. esamina testimonian-
ze irlandesi, slave, anglosassoni e vedi-
Propone per i due termini una derivazio-
ne da *sətios dalla radice i.e. *sā-/sə-, che, concludendo – erroneamente – che
*seH2-/sH2-, e ne chiarisce la semantica esse indicano come in Esiodo si celi un
alla luce di esempi greci che evidenziano antico mito i.e. di acquisizione e trasmis-
l’esistenza di una metafora – “sazietà, sione della saggezza.
abbondanza di api = sciame di api” –
(forse) di epoca i.e.; interessanti poi le WATKINS, CALVERT (189)
considerazioni finali, tratte da questa in- 1978b – A Palaic Carmen, in Studies
dagine, sulla creatività ricorsiva della lin- A. A. Hill, The Hague, Mouton,
gua poetica. 1978, vol. III, pp. 305-314.

471
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Analizza un testo rituale palaico inter- Ritorna sulla comparazione tra l’Atto di
pretandolo come un brano poetico del Verità celtico e quello indiano, aggiun-
tipo del Carmen Arvale latino: l’ipotesi si gendovi confronti tratti dal greco e dal-
rivela proficua per l’analisi testuale e an- l’iranico, evidenziando, oltre alla conti-
che se la traduzione proposta resta larga- nuità culturale, anche quella linguistico-
mente congetturale, non è irragionevole formulare e letteraria.
ritenere con l’A. che così si acquisisca
uno dei brani più antichi di poesia i.e. WATKINS, CALVERT (192)
1981a – In essar dam do á?, in Indo-
WATKINS, CALVERT (190) European Studies IV, Cambridge
1979a – Namra GUD UDU in Hittite: (Mass.), Harvard University Press,
Indo-European Poetic Language and 1981, pp. 569-576.
the Folk Taxonomy of Wealth, in E. Dopo aver analizzato e restituito il testo
Neu – W. Meid (hrsg.), Hethitisch di un arcaico componimento irlandese, il
und Indogermanisch, Innsbruck, IBS, cui primo verso funge da titolo per l’arti-
1979, pp. 269-287. colo, ne confronta la tecnica compositiva
Questo lavoro apporta, per la prima vol- ad incasso, la tematica e lo stile dialogico
ta nella storia della ricerca, materiale itti- con un passo di Esiodo (Op. 448 sgg.) e
ta alla lingua poetica i.e.: l’A., con con- conclude ritenendo di aver individuato
vincente acribia, individua nell’Epica del uno dei temi della poesia popolare i.e.
mercante un testo letterario ittita antico,
una conchiusa e completa tassonomia WATKINS, CALVERT (193)
della ricchezza, organizzata lessicalmente 1981b – Aspects of Indo-European
secondo il procedimento poetico, già i.e., Poetics, in Indo-European Studies IV,
del merismo: «a bipartite, commonly Cambridge (Mass.), Harvard Uni-
asyndetic noun phrase serving to desi- versity Press, 1981, pp. 765-799 (= in
gnate globally an immediately higher ta- E. C. Polomé (ed.), The Indo-
xon» (p. 270). Alcune delle formule di Europeans in the IV and III Millen-
questa tassonomia, «an idealized poetic nia, Ann Arbor, Karoma, 1982, pp.
tradition, rather than a synchronic eco- 104-120).
nomic reality» (p. 287), sono attestate, Concreta messa a punto metodologica e
come avevano individuato precedenti teoretica, utile non solo a chiarire il pen-
note ricerche, anche in greco, indo- siero dell’A., attraverso una storia degli
iranico, latino e umbro, ma solo in que- studi e delle tematiche indagate, con l’in-
sto testo ittita è testimoniata l’interezza dicazione di possibili altri campi d’inda-
della tassonomia: ciò consente all’A. di gine, alcune precisazioni e esempi noti.
chiarire le testimonianze parziali altre e
di cominciare a comprendere meglio i WATKINS, CALVERT (194)
rapporti tra genti ittite e mondo anindeu- 1986a – The Indo-European Back-
ropeo. ground of a Luwian Ritual, «Die
Sprache» 32,2 (1986), pp. 324-333.
WATKINS, CALVERT (191) Esaminato un rituale magico-ortatorio
1979b – Is tre f*ír flathemon: Margina- luvio e confrontatolo con inni rigvedici e
lia to Audacht Morainn, «Ériu» 30 atharvavedici, scopre che l’uno e gli altri
(1979), pp. 181-198. sono varianti della formula base i.e. per

472
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

l’uccisione del drago (cfr. Watkins, WATKINS, CALVERT (198)


1987c). 1987b – Questions linguistiques de
poétique, de mythologie et de prédroit
WATKINS, CALVERT (195) en indoeuropéen, «Lalies» 5 (1987),
1986b – The Name of Meleager, in pp. 3-29.
Fest. E. Risch, Berlin – New York, de Dopo una messa a punto metodologica
Gruyter, 1986, pp. 320-8. che riprende Watkins 1981b, esamina,
A partire anche qui dalla sua ricostruzio- con risultati convincenti, la struttura
ne della formula i.e. per l’uccisione del poetica ereditata di un malum carmen
drago (cfr. Watkins, 1987c), propone di osco, il tema i.e. del prestito del carro in
interpretare, originato da una variante greco e in irlandese antico, e le espressio-
della formula, Meleagro come un com- ni formulari del mito dell’uccisione di un
posto Melš-#agroj, dove *(-)#agroj sa- drago/serpente da parte di un dio/eroe
rebbe l’equivalente dell’indoiranico in greco, ittita e vedico, ricostruendo
*wājras “arma” (ved. vājra-/ avest. vazrō): l’originaria formula poetica i.e. e il suo
una parola e una semantica poetica risa- passaggio dal mito all’epopea e al carme
lenti al comune periodo linguistico e magico.
poetico dei Greci e degli Indoiranici.
L’etimologia del 1865 di B. Delbrück WATKINS, CALVERT (199)
trova dunque finalmente conferma. 1987c – How to kill a Dragon in Indo-
European, in Studies W. Cowgill,
WATKINS, CALVERT (196) Berlin – New York, de Gruyter, 1987,
1986c – The Language of the Trojans, pp. 270-299.
in M. J. Mellik (ed.), Troy and the
Sostanziale ripresa dell’articolo prece-
Trojan War: a Symposium held at
dente, limitata tuttavia a una arricchita,
Bryn Mawr College 1984, Bryn Mawr
lunga, dettagliata, avvincente analisi del
College, 1986, pp. 45-62.
mito, e delle sue realizzazioni formulari,
Esaminate le poche possibili ipotesi sulla dell’uccisione del drago nelle varie lingue
lingua dei Troiani, propone una compa- i.e. Importanti la lettura bidirezionale
razione affascinante ma fragile tra la linea della formula i.e. ricostruita – (Hero [slay
di un testo luvio e alcuni testi greci, ittiti w
{*g hen-} Serpent]) – e la bella dimostra-
e gallesi. zione dell’intertestualità della formula
base e delle sue trasformazioni attraverso
WATKINS, CALVERT (197) le identificazioni “Hero = Guest, Ser-
1987a – Linguistic and Archaeological pent = Anti-Guest”. Un lavoro magistra-
Light on some Homeric Formulas, in le: «we may speak of a genetic Indo-
Studies M. Gimbutas, Washington, European comparative literature» (p.
Institute far the Study of Man, 1987, 299).
pp. 286-298.
Esamina, alla luce della lingua poetica WATKINS, CALVERT (200)
i.e. e con dati archeologici, cinque for- 1989 – New Parameters in Historical
mule omeriche con ¢t£lantoj, chiaren- Linguistics, Philology, and Culture
done il contesto storico e la metafora History, «Language» 65 (1989), pp.
poetica sottesa. 783-799.

473
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

Accorata rivendicazione, a beneficio saeculares, C. Watkins interpreta sae-


probabilmente soprattutto dell’accade- culum come “lifespans” e Tarentum co-
mia statunitense, della centralità della me “crossing place” («the Roman ritual
linguistica storica e del metodo compara- for the dead at the Tarentum “the cros-
tivo negli studi sul linguaggio, condotta sing place”, is at the same time a ritual to
attraverso una panoramica dei propri e assure the long !ife and orderly succes-
altrui più importanti lavori dedicati alla sion of the generations; it is a reaffirma-
lingua poetica i.e: l’A., seguendo e non tion of the crossing of the saecula of a
per la prima volta, le suggestioni dell’ul- hundred years»: p. 143) e ricostruisce,
timo Benveniste, ritiene che in questi stu- anche sulla base di cogenti testimonianze
di, e nelle raffinate e potenti tecniche vedi che, greche, ittite e avestiche, le for-
euristiche da essi messe a punto, siano mule di trasmissione dell’escatologia i.e.,
sorte una nuova poetica storica e una legate appunto a quella del’uccisione del
nuova etnosemantica storica e che en- drago / avversario: [HERO SLAY
trambe rappresentino bene il modo di w
(*g hen-) DEATH] e [HERO OVER-
procedere nell’indagine linguistico-
COME (*terH2) DEATH / ADVER-
culturale di ciò che egli chiama ‘New
SARY], evidenziando anche un’identità
Comparative Philology’. A parte le pole-
di strutture narrative tra ittita e avestico.
miche ad uso ‘interno’, l’articolo rappre-
senta una ulteriore importante teorizza-
WATKINS, CALVERT (203)
zione della metodologia, e della pruden-
za, necessaria in questo nuovo/vecchio
1992 – The Comparison of Formulaic
campo di studi. Sequences, in E. C. Polomé (ed.), Re-
constructing Languages and Cultures,
WATKINS, CALVERT (201) Berlin – New York, de Gruyter, 1992,
1990 – Some Celtic Phrasal Echoes, in pp. 391-418.
Fest. E.P. Hamp, Van Nuys (Ca), Dopo una breve ricostruzione degli studi
Ford & Bailie, 1990, pp. 47-56. sulla lingua poetica i.e., discute delle tec-
Riprende, precisandoli e arricchendoli, niche di analisi delle formule poetiche,
alcuni argomenti di Watkins 1989. con dovizia di esempi tratti da propri e
altrui studi e con alcune osservazioni,
WATKINS, CALVERT (202) nuove e interessanti, su klšoj ¥fqiton.
1991 – Latin tarentum Accas, the ludi
Saeculares, and Indo-European WEITENBERG, JOSEPH J. S. (204)
Eschatology, in W. P. Lehmann – H.- 1969 – Het timmeren van ein lied,
J. Jakusz (eds.), Language Typology «Hermeneus» 40,6 (1969), pp. 321-
1988. Typological Models in Recon- 9.
struction, Amsterdam – Philadelphia, Più che di un articolo autonomo, si tratta
Benjamin, 1991, pp. 135-147. di una lunga e discorsiva presentazione
Anche in questo articolo, l’A. riprende la di Schmitt, 1967a e 1968, con qualche
formula base per l’uccisione del drago di divagazione metodologica sulla tipologia
Id., 1987c, esaminando la frase tarentum dell’epica.
Accas Larentinas di un passo di Varrone
(De lingua latina VI, 23-4), che lo Scali- WERBA, CLODWIG H. (205)
gero definiva locus corruptissimus; recu- 1985 – recensione di Ogibenin, 1985,
perato il legame mitologico con i ludi «Die Sprache» 31 (1985), pp. 320-1.

474
5 – RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA

Stroncatura impietosa di quella che è ri- counting, with an opposition of long and
tenuta un’Autokollektion di lavori meto- short syllables in the cadence» (p. 286);
dologicamente discutibili e filologica- sembra non conoscere B. Vine, 1977.
mente inaffidabili.
WEST, MARTIN L. (210)
WEST, MARTIN L. (206) 1988 – The Rise of the Greek Epic,
1973a – Greek Poetry 2000 – 700 «JHS» 108 (1988), pp. 151-172.
B.C., «CQ» 23 (1973), pp. 179-192. Riprende il proprio lavoro del 1973 (cfr.
L’A. traccia una personale ma coerente West, 1973a), arricchendolo di dati e di
storia della letteratura greca arcaica alla aggiornamenti bibliografici e con un par-
luce delle recenti scoperte sulla lingua ticolare interesse per la comparazione
poetica i.e., basandosi soprattutto su fatti poetica i.e.; l’A. ritiene tuttavia, seguendo
di metrica. una corrente di opinione in voga, che
molte siano le influenze del Vicino
WEST, MARTIN L. (207) Oriente sulla letteratura greca, soprattut-
1973b – Indo-European Metre, to nella parte finale della fase ionica e a
«Glotta» 51 (1973), pp. 161-187. partire dall’Eubea, e che esistessero poeti
Accettata l’ipotesi dell’esistenza di una bilingui. Si tratta certo di un campo di
metrica i.e. così come appare dalle ricer- studi da approfondire e di opinioni auto-
che di Meillet, Jakobson e Watkins, l’A. revoli di cui la ricerca sulla lingua poetica
delinea una teoria generale dei metri i.e. non può non tener conto.
standard; dopo aver esaminato i rapporti
tra versi i.e. ricostruiti e metri storici nei WEST, MARTIN L. (211)
vari domini i.e., prospetta alcune ipotesi 1989 – An Unrecognized Injunctive,
plausibili sulla forma delle stanze, sul ti- Usage in Greek, «Glotta» 67 (1989),
po di metro che ognuna richiedeva e sul- pp. 135-138.
l’origine delle cadenze.
L’A. mostra la possibilità che esistesse,
oltre ai due noti, un terzo uso dell’in-
WEST, MARTIN L. (208)
giuntivo: «the use of present-stem injun-
1974 – recensione di Nagy, 1974,
ctive forms in describing habitual (time-
«Phoenix» 28 (1974), pp. 457-9.
less) activities of gods or other superna-
Critiche puntuali e fondate a diversi fatti tural beings» (p. 135); un ulteriore esem-
di metrica; caustico su alcune ingenuità e pio di una tradizione greco-vedica da cui
prolissità. Omero è escluso.

WEST, MARTIN L. (209) WEST, MARTIN L. (212)


1982 – Three T opics in Greek Meter, 1992 – The Descent of the Greek Epic:
«c Q» 32 (1982), pp. 281-297. A Reply, «JHS» 112 (1992), pp. 173-
Il lavoro affronta la catalessi, la posizione 175.
ancipite e la cesura nella metrica greca in
un’ottica anche i.e.; riprendendo ID., Replica pacata ma ferma dell’A. a due
1973b, ipotizza l’esistenza di un prototi- interventi su M. L. West, 1988: qui ci
po i.e. per l’opposizione tra trochei aca- interessa la sua ribadita opinione, contra
talettici e catalettici greci e che il verso J. Chadwick, che dietro i poemi omerici
i.e. «can be seen as essentially syllable- ci sia una poesia di epoca i.e.

475
PARTE 3 – BIBLIOGRAFIA

WÜST, WALTER (213) metaphysische Aura come esempio di


1969a – Zum Problem einer indoger- Elementarverwandschaft.
manischen Dichtersprache, in Studi
A. Pagliaro, Roma, Istituto di Glot- WÜST, WALTER (215)
tologia dell’università, 1969, vol. III, 1969c – Von indogermanischer Di-
pp. 251-280. chtersprache, Müncher 1969, Kitzin-
Lunga e in sé coerente esposizione di una ger, pp. 9-112.
teoria, non condivisibile nelle argomen- Ristampa, con poche ininfluenti modifi-
tazioni così come nell’impianto episte- che, dei due precedenti lavori, con l’ag-
mologico e nelle finalità, volta a respin- giunta di un capitolo inedito, dedicato
gere gran parte delle ricerche sulla lingua anch’esso, come Wüst 1969b, a confronti
poetica i.e. esistenti e a orientare quelle
tra il g-Veda e Pindaro, in particolare
future con un’euristica basata su un con-
 V I, 161, 9; VI, 47, 26-28 e Pi., Ol. I,
cetto, quello della konkrete Realität fu-
1-7; Ol. III, 42, confronti che l’A. ritiene
moso e inapplicabile.
paralleli elementari e funzionali alla sua
negazione dell’esistenza di una lingua
WÜST, WALTER (214)
poetica i.e.
1969b – Dichtersprachliche Zusam-
menhiinge zwischen Veda und Pin-
dar, in Fest. Altheim, Berlin, de WÜST, WALTER (216)
Gruyter, 1969, vol. II, pp. 24-34. 1971 – Von indogermanischer Di-
chtersprache, «Anthropos» 66 (1971),
Tentativo di applicazione del principio
pp. 241-2.
euristico della ‘realtà concreta’ ad alcu-
ni passi vedici e pindarici, posti a con- Breve esposizione riassuntiva del lavoro
fronto per identificare una spirituell- precedente.

476
CONGEDO

La storia di ogni giorno. Che cos’è che fa in te la storia di ogni giorno?


Osserva le tue abitudini delle quali essa si compone: sono esse il prodotto di
innumerevoli piccole viltà e pigrizie, ovvero il risultato della tua valentia e
della tua ingegnosa ragione? Per quanto siano diversi questi due casi, potreb-
be darsi che gli uomini ti tributassero la stessa lode e che anche in realtà tu
fossi loro comunque di ugual vantaggio. Ma lode, utilità e rispettabilità
possono bastare per colui che si limita a voler avere una buona coscienza: non
già per te, che scruti nelle viscere, che possiedi un sapere riguardo alla
l
coscienza!
***
Col volume che qui licenziando affido alla benevolenza paziente
del lettore, procedendo dal noto vçrso l’ignoto mi sono spinto fino al
punto oltre il quale forma e significato disegnano, ancora indistinti, il
mdI).c).ala dell’unità uroborica: come scrisse all’incirca una volta, un
po’ per celia e un po’ per vanto, quel famoso semiologo e romanziere,
da ora in avanti accetterò discussioni sui limiti e le possibilità della
comparazione poetica indeuropea solo sulla base di queste pagine.
Vale.

I
Cit. da F. NIETZSCHE, Die fröhliche Wissenschaft… cit. (nota 316, p. 235) IV, 308, p. 180
(il corsivo è dell’A.).

477
INDICI
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI*

Adrados F.R.: 240 n. 1. Attneave F.: 147 n. 35.


Aertsen H.: 13 n. 4. Austin J.L.: 47; 93.
Agostiniani L.: 226 n. 279. Avesta: 65; 309 n. 245.
AielloL.C.: 170 n. 71.
Akert K.: 171 n. 74. Bachofen J.J.: 250 n. 44.
Albano Leoni F.: 16 n. 19; 19 n. 30; 20; Baddeley A.D.: 224 n. 269, n. 274.
58 n. 16, n. 18; 440. Bader F.: 22 n. 41; 26 n. 64; 31, n. 1, n.
Alföldi L.: 252 n. 51. 2; 32, n. 3, n. 5, n. 6, n. 7; 33, n. 8,
Alinei M.: 184 n. 127; 189 n. 146; 190 n. 9, n. 10; 34, n. 12, n. 16, n. 17;
n. 149; 243 n. 12; 245 n. 24; 252 n. 35, n. 18, n. 19; 36 n. 24; 38, n. 36;
50; 257 n. 60. 43; 44 n. 65; 45, n. 69; 47; 49; 71 n.
Allen W.S.: 99, n. 153. 61; 75, n. 74; 76, n. 75, n. 77, n.
Ambrosini R.: 25, n. 58; 29 n. 73; 90 n. 78; 77, n. 79, n. 80; 78; 79, n. 85;
123; 92 n. 126; 120; 126, nn.; 127, 104; 110 n. 191; 112, n. 3; 115;
n. 6, n. 10; 128, nn.; 129 n. 16; 240 120; 121; 122; 123; 125; 129; 132;
n. 2; 251 n. 49; 270 n. 22; 278 n. 272 n. 32; 278, n. 62, n. 63, n. 64;
61; 282, n. 80; 307 n. 229; 440. 279, nn.; 280, n. 71, n. 72, n. 73;
Ammerman A.J.: 257 n. 62. 281, n. 75; 308 n. 238; 314 n. 264;
Anthony D.W.: 250 n. 44; 261 n. 74. 440; 441; 442; 443.
Antilla R.: 104 n. 171. Baldi P.: 104, n.171.
Arecchi F.T.: 316, n. 278; 317, n. 281. Bara B.: 178 n. 103.
Arhem P.: 165 n. 43. Bartlett F.C.: 283, n. 86.
Aristofane: 228 n. 295. Bartoli M.G.: 67, n. 49; 68, n. 52.
Armelagos G.: 258 n. 65. Bateson G.: 104; 138, n. 1; 139, nn.;
Arthur B.: 319 n. 288. 140, n. 14; 141, nn.; 142, n. 19, n.
Ascoli G.l.: 82 n. 99. 21; 143; 144 nn.; 145 n. 31; 146, n.
AsdorfL.: 15 n. 12. 35; 147 nn.; 148, nn.; 149, n. 44, n.
Assurbanipal: 265. 45; 150 n. 46, n. 47; 151 n. 48;
Atharva-Veda: 311. 158, n. 12, n. 13, n. 14; 159 n. 14,

* Dal presente indice sono esclusi i rinvii a manuali, vocabolari e simili, così come quelli
agli Autori che compaiono soltanto nella Bibliografia generale. Sono invece qui riportati anche i
rinvii alla Rassegna critica e alle citazioni letterarie antiche e moderne. Il numero rimanda alla
pagina: 20 n. 2 indica la nota 2 a pag. 20; 20, n. 2, significa invece che l’A. compare due volte
nella stessa pagina: a pag. 20 e alla nota 2 della pag. 20.

481
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

n. 16; 161 n. 23; 164 n. 38; 174 n. Brown A.L.: 219 n. 249.
91; 199 n. 180; 205 n. 200; 216, Bruce F.F.: 273 n. 33.
nn.; 217, nn.; 218, n. 247; 290, n. Brugmann K.: 14 n. 9.
126; 291, n. 128; 305, n. 215. Bruner J.: 104, n. 170; 195, n. 169; 198
Bateson M.C.: 140 n. 14; 141 n. 18; n. 176, n. 177; 199 n. 182; 201 n.
142, n. 21; 144 n. 26; 147 n. 35, n. 190; 219, n. 249, n. 250; 233 n.
36, n. 37; 148 n. 43; 149 n. 45; 150 313; 283, n. 83, n. 84; 284, n. 88;
n. 46, n. 47; 158, n. 14; 291, n. 287; 295 n. 157; 297, n. 161, n.
128. 162; 298, n. 166, n. 167; 301; 302,
Bateson P.P.G.: 174 n. 92. n. 190; 306, n. 220.
Baurain C.: 226 n. 281. Buckout R.: 224 n. 272.
Bausani A.: 273 n. 33. Burkert W.: 26 n. 62; 47; 89, n. 118;
Beck F.: 163; 169, n. 65. 104; 106 n. 180; 197, n. 173, n.
Beekes R.S.P.: 104 n. 171. 174; 198, n. 178, n. 179; 199; 200;
Belardi W.: 41 n. 40; 71, n. 60; 82 n. 201, n. 186; 202; 214; 247, n. 31;
99; 90 n. 123,92 n. 126; 106, nn.; 248, n. 33; 249, n. 35, n. 36; 250,
108, n. 185, n. 186; 198 n. 177; n. 41, n. 44; 251; 287; 328.
247 n. 28. Burr D.: 182 n. 115.
Ben-Amos D.: 99, n. 151, n. 152; 101. Burrow T.: 242 n. 8.
Benn G.: 111. Buser P.: 170 n. 71.
Benveniste E.: 15 n. 16; 23 n. 43; 28; Byrne R.: 210 n. 213.
29; 51, n. 99; 81; 82 n. 98; 95; 112;
115; 467. Caerwyn Williams J.E.: 29; 443.
Berg N. : 24 n. 44; 443; 467. Caianiello E.R.: 146 n. 33.
Berger T.W.: 170 n. 71. Caillat C.: 242 n. 8.
Bertoni G.: 67, n. 49; 68, n. 52. Calame C.: 272 n. 30.
Biedenkapp G.: 243 n. 14. Caland W.: 20 n. 31.
Bierwisch M.: 307 n. 228; 312, n. 259. Callia: 232, n. 311.
Birkhan H.: 443. Campanile E.: 13 n. 4; 18 n. 24; 21 n.
Blanc A.: 34 n. 13; 443. 37; 23; 24 n. 54; 27 n. 66, n. 67; 33,
Bloch A.: 18 n. 24; 19 n. 30; 443. n. II; 35, n. 18, n.20; 36, n.22, n.
Block N. : 156 n. 4. 25, n. 26; 37, n. 27, n. 28, n. 29, n.
Boehtlingk O.: 274 n. 43. 30, n. 31; 38, n. 32, n. 33, n. 34;
Bohr N. : 154, n. 57. 39, n. 38; 40 n. 46; 42; 47; 48; 49 n.
Bolelli T.: 20 n. 31; 126 n. 3. 90; 51 n. 100; 56 n. 6; 57, n. 10; 58
Bologna M.P.: 13 n. 4; 40 n. 44. n. 14, n. 17; 59 n. 21; 63 n. 30; 65;
Bongard-Levin G.M.: 252 n. 51. 66, n. 41, n. 43, n. 44; 67, n. 46, n.
Bonnet C.: 226 n. 281. 47, n. 48; 68; 69, nn.; 70, n. 58; 71,
Bottin L.: 23 n. 43; 115; 443. n. 61; 72, nn.; 73, nn.; 74; 75, n.
Brandenstein W.: 457. 74; 78, n. 83; 81, n. 97; 82; 94; 95,
Breivik L.E.: 105 n. 171. n. 136; 96 n. 139; 99 n. 151; 100 n.
Brelich A.: 249, n. 37. 156; 105, n. 172, n. 173; 106 n.
Bresson F.: 227 n. 286. 181; 109; 110, n. 191; 113; 115;
Brockman J.: 141 n. 14. 116; 117; 120; 122; 123; 124; 130;
Broglio A.: 180 n. 111. 240, n. 3; 251 n. 47; 252 n. 52; 255
Brogyanyi B.: 259 n. 69. n. 57; 272 n. 29; 277 n. 57; 278 n.
Bronkhorst J.: 275 n. 45. 62; 280, n. 73; 289; 295; 296, nn.;
Brough J.: 26 n. 64; 44 n. 62; 443; 458. 304, n. 209; 306 n. 221; 310 n.

482
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

247; 327, n. 8, n. 9; 444; 445; 446; Craik F.: 224 n. 267


471. Crane E.: 269 n. 16.
Camps G.: 180 n. 111. Creutzfeld O.D.: 172 n. 81.
Capra F.: 145 n. 30; 167 n. 50. Crevatin F.: 40 n. 40; 71 n. 61; 95 n.
Cardona G.: 261 n. 74. 136; 275, n. 44; 276, n. 51, n. 52,
Cardona G.R.: 92 n. 128; 105 n. 174; n. 54, n. 55.
204 n. 197; 298 n. 171. Crick F.: 156 n. 3.
Carena C.: 272 n. 31. Crings V.: 226 n. 281.
Carlson J.C.: 24 n. 28.
Cassini A.: 165 n. 40. D’Abro A.: 154 n. 56.
Castelfranchi C.: 294 n. 148; 295, n. Daffinà P.: 274, n. 40, n. 42, n. 43; 276,
155; 299, nn.; 300, nn.; 301, nn.; n. 53; 277, n. 58, n. 59; 278 n. 60.
304, n. 214; 325, n. 1; 326, n. 4. Dandekar R.: 277 n. 57.
Cavalli-Sforza L.L.: 257, n. 62; 258 n. Darmesteter J.: 464.
63. Davidson I.: 178 n. 104.
Cavallo G.: 226 n. 281. Davies P.: 165 n. 42; 166 n. 49; 168 n.
Cervetto L.: 165 n. 40. 57.
Cesare: 33; 272, n. 29. D’Avino R.: 447; 448.
Chadwick J.: 475. Dawkins R.: 174, n. 92; 175, nn.; 176;
Chagas C.: 182 n. 115. 177.
Chalmers D.J.: 145 n. 31; 176 n. 102. Deacon T.: 190 n. 149.
Chambelain V.: 247 n. 28. Delbruck B.: 14 n. 9; 85; 473.
Chantraine P.: 227 n. 283. Dellantonio A.: 165 n. 40.
Chartier R.: 226 n. 281; 227, n. 286. Del Lungo Camiciotti G.: 51 n. 100.
Chirassi Colombo I.: 248, n. 32; 249, n. Denes F.: 178 n. 105.
38; 250, n. 40, n. 42; 251. Dennell R.: 258 n. 65.
Christianson S.: 224 n. 268. Dennett D.C.: 157 n. 6; 14 n. 92.
Ciochon R.L.: 178 n. 105. Derrida J.: 227 n. 285; 281 n. 79; 307 n.
Clark G.: 253 n. 55. 226.
Cohen M.: 258 n. 65. Descartes R. (Cartesio): 133, n. 25.
Compton T.M.: 28; 120; 124; 446. Detienne M.: 272 n. 30.
Comrie B.: 91 n. 126. Devine A.M.: 98 n. 149.
Conrad J.: 8. Devoto G.: 6; 11 n. 1; 15 n. 16; 70, n.
Cook A.B.: 252 n. 51. 59; 243 n. 12; 244 n. 21; 247 n. 28,
Cordeschi R.: 166 n. 45. n. 29; 255 n. 57.
Corruccini R.S.: 178 n. 105. Diakonoff I.M.: 257 n. 61.
Costa G.: 28, n. 68, n. 69; 34 n. 15; 37 Diebold A.R. jr.: 251 n. 48; 261 n. 73;
n. 31; 51 n. 100; 58 n. 15, n. 18; 62 269 n. 15, n. 16.
n. 26; 63 n. 33; 68 n. 50; 77 n. 81; Di Francesco M.: 178 n. 103.
111; 113; 120; 122; 124; 128; 130 Di Giulio E.: 146 n. 33.
n. 18; 245 n. 24; 257 n. 62; 261 n. Dolukhanov P.M.: 258 n. 66.
72; 268 n. 11; 284 n. 89; 285 n. 90; Donald M.: 158 n. 10; 164 n. 37; 178,
294 n. 150; 295 n. 153; 298 n. 169, n. 106; 179, n. 109; 180, n. 110;
n. 172; 299 n. 175; 307, n. 227, n. 181, n. 113, n. 114; 182, n. 117;
229; 308 n. 230, n. 231; 309 n. 183, n. 124, n. 125; 184, n. 126, n.
242; 310 nn.; 311 n. 254; 446; 447; 127; 185, n. 130; 186, n. 131, n.
453; 461. 132; 187, nn.; 188, n. 140; 189, n.
Cowgill W.: 51. 146; 190, nn.; 191, nn.; 192, nn.;

483
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

193, nn.; 194, nn.; 195, n. 168; Edelman G.M.: 161 n. 24; 163; 164, n.
196, nn.; 197, n. 172; 200 n. 185; 35.
201 n. 186; 202; 204, n. 196; 205, Edwards A.T.: 27; 450.
nn.; 206, nn.; 207, nn.; 208; 209, Edwards D.: 283 n. 85; 449.
n. 210, n. 211; 210 n. 215; 211, Eibl-Eibesfeldt I.: 213 n. 228.
nn.: 212, nn.; 213, nn.; 218; 219, Einstein A.: 141 n. 15; 160.
n. 248; 220, nn.; 221, nn.; 222, n. Eis G.: 15 n. 13.
259; 223, nn.; 225, nn.; 226 n. 28; Eliade M.: 65; 164 n. 37.
245; 246; 247, n. 27; 287, n. 104, Elizarenkova T.: 25; 79 n. 87; 116; 120;
n. 106; 288, n. 108. 122; 124; 280 n. 74; 449.
Douglas M.: 283 n. 86. Epica del Mercante: 50.
Downing P.: 275 n. 47. Epstein R.: 210 n. 214.
Doyle McCarty E.: 305 n. 217. Eribon D.: 75 n. 74.
Dubuisson D.: 306, n. 224, n. 225.
Erler M.: 227 n. 285.
Dumézil G.: 31; 37; 43 n. 55; 45; 46;
65; 70; 73; 75,n. 72,n. 74; 76, n. Ermippo: 227 n. 284.
76; 77, n. 81; 78, n. 82; 79; 272 n. Erodoto: 265.
29, n. 32. Eschilo: 231 n. 305.
Dunbar R.I.M.: 170 n. 71. Esiodo: 228 n. 291.
Dundes A.G.: 104; 198 n. 178. Euler W.: 113; 449.
Dunkel G.: 24; 116; 448. Euripide: 228 n. 295; 309 n. 239.
Durante M.: 13 n. 4; 15 n. 15, n. 16; 19, Evjen H.: 229 n. 298.
n. 29; 22; 23; 26 n. 64; 28; 39, n.
40; 40, n. 41, n. 42, n. 43, n. 44; Facchini F.: 180 n. 111.
41, n. 47, n. 48, n. 49; 42, n. 50, n. Falk D.: 182 n. 115.
51, n. 52, n. 53, n. 54; 43, n. 55; 44 Falk H.: 274 n. 40; 276 n. 50.
n. 66; 45, n. 68, n. 70, n. 71, n. 74; Feigl H.: 166 n. 44.
47; 56 n. 2, n. 4; 57, n. 9, n. 11, n. Feldmann M.W.: 258 n. 63.
12; 58 n. 16, n. 17, n. 18; 59 n. 19; Fernandez Delgado J.A.: 118; 443;
60; 61, n. 24, n. 25; 62, n. 27, n. 449.
28; 63, n. 31, n. 32; 64, n. 37; 65, Ferrarin A.: 165 n. 39.
n. 39; 68; 75 n. 72; 79; 96 n. 141; Finkelberg M.: 27; 450.
113; 116; 117; 120; 122; 124; 130; Flanagan O.: 156 n. 4.
247, n. 30; 251; 252, n. 50; 278 n. Fleischauer K.: 170 n. 73.
62; 310 n. 246; 440; 448; 450; 458; Fleuriot L.: 36 n. 23; 450.
464. Floyd E.D.: 26; 27; 28; 450; 459.
Düsing K.: 165 n. 39. Fontenrose J.: 51 n. 100.
Foraboschi Porrino L.: 16, n. 20; 450;
Eccles J.C.: 139, n. 6; 143, n. 22, n. 23; 451.
161 n. 25; 163, n. 33; 165, n. 41, n. Forge A.: 245 n. 24.
43; 166, n. 45; 168 n. 61, n. 63;
Forni G.: 250 n. 45.
169, nn.; 170, n. 69, n. 70, n. 73;
Forrest J.-D.: 270 n. 25.
171, n. 75, n. 77; 172, nn.; 173,
nn.; 174, nn.; 177; 182 n. 115; 220 Foster J.: 166 n. 46.
n. 251. Fox A.: 104 n. 171.
Eco U.: 139 n. 9; 140, nn.; 152, n. 51; Freud S.: 161; 162, n. 27; 281 n. 79.
153, n. 52; 293 n. 145; 303 n. 208; Frisk V.: 221 n. 255.
305, n. 216, n. 217; 477. Fussman G.: 271 n. 28; 274 n. 40.

484
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

Gallup G.C.: 210 n. 213. Halloway R.: 190 n. 149.


Gamble C.: 188 n. 142; 252 n. 53. Hamp E.P.: 124; 452.
Garbini G.: 262; 263, n. 77. Hampe M.: 174 n. 92.
Garda-Ramon J.L.: 40 n. 43, n. 46: Hansel B.: 261 n. 74.
451. Hansen P.A.: 445.
Gardner H.: 178 n. 103. Harley J.B.: 245 n. 24.
Garrett A.: 104 n. 171. Harrington A.: 158 n. 10.
Gasparini E.: 251 n. 46. Harris R.: 204 n. 197.
Gasparov M.: 29 n. 73. Harvey F.D.: 232 n. 311.
Gathercole S.E.: 224 n. 269. Harvey P.D.: 245 n. 24.
Gellner E.: 304, n. 213. Haslam M.W.: 26 n. 64; 44 n. 63; 452.
Gentili B.: 275 n. 48. Haudry J.: 26 n. 62; 27 n. 66; 51 n. 100;
Gibson K.R.: 178 n. 105. 243 n. 16; 273, n. 37.
Gignoux P.: 75 n. 72; 451. Havelock E.A.: 39 n. 37; 127 n. 8; 208,
Gilmore R.: 217 n. 243. n. 208, n. 209; 228 n. 290, n. 292;
Gimbutas M.: 66; 70 n. 58; 250 n. 44; 230 n. 303.
251 n. 46; 257 n. 52; 294 n. 149; Hakwins G.S.: 245 n. 22.
313. Hayes J.R.: 219 n. 249.
Gnoli G.: 273, n. 33, n. 35, n. 36. Hayward K.M.: 240 n. 1.
Goe G.: 298 n. 172. Heelas P.: 233 n. 314.
Goethe J.W.: 6; 13; 76 n. 75; 137; 163. Heisenberg W.: 145 n. 30; 152 n. 49, n.
Goldstein D.B.: 258 n. 63. 50.
Goetsch P.: 275 n. 47. Henry P.L.: 29; 122; 452.
Gonda J.: 19 n. 30; 20 n. 31, n. 35; 55 Herdan G.: 298 n. 172.
n. 1; 451. Heron W.: 224 n. 273.
Goody G.: 92 n. 127; 105, n. 15; 275, Hertzenberg L.: 24; 113; 452.
n. 47, n. 48; 292 n. 136. Hiersche R.: 19 n. 30; 20 n. 35; 452.
Gozzano S.: 161 n. 26. Hillman J.: 129 n. 16; 141 n. 16; 164 n.
Granucci F.: 51 n. 100. 37; 233 n. 313; 326, n. 5; 328, n.
Graves R.: 252 n. 51; 281 n. 78. 13.
Gray L.H.: 28 n. 68. Hiltebeitel A.: 121; 124; 452; 453.
Grazi V.: 28 n. 68; 113; 451. Hingvar H.: 172 n. 81.
Green P.J.: 174 n. 92. Hirt H.: 14, n. 11.
Green S.: 258 n. 65. Hock H.H.: 104 n. 171.
Gregory R.L.: 191, n. 153. Hockett C.F.: 31.
Greppin J.A.c.: 245 n. 22; 251 n. 45; Hoekstra A.: 45 n. 72; 88 n. 113.
257 n. 61; 258 n. 66. Hoenigswald H.: 26 n. 64; 27 n. 65; 44
Gresseth G.K.: 25; 451. n. 67; 261 n. 74; 453.
Griffin D.: 210 n. 213. Hoffmann K.: 16; 28; 81; 116; 309 n.
Gusmani R.: 24, n. 49; 113; 118; 451. 244; 311, n. 253, n. 254; 453.
Güzeldere G.: 156 n. 4. Hooker J.T.: 120; 453.
Guyonvarch C.J.: 252 n. 51. Hopf M.: 251 n. 45.
Howell C.: 178 n. 105.
Haarmann H.: 255 n. 58; 259 n. 68; Humbach H.: 19 n. 30; 20; 23 n. 43; 55
278 n. 61. n. 1; 453; 467.
Hagège c.: 281 n. 79. Humphrey N.: 158 n. 13; 160, n. 20, n.
Hainsworth J.B.: 45 n. 72; 88 n. 113. 21; 162 n. 28; 210 n. 217; 215, n.
Haken H.: 168 n. 57. 232, n. 233, n. 234.

485
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

Hymes D.: 62 n. 29. Kuiper F.B.J.: 15 n. 12.


Kurke L.: 28; 454.
Iliade: 26; 33; 65-6; 308 nn.; 327. Kurylowicz J.: 24, n. 47; 117; 454; 455.
Ingold T.: 178 n. 105.
Ivanov V.V.: 23 n. 43; 51, n. 100; 77 n. Labov V.: 105 n. 171.
79; 80 n. 87; 116; 453; 454. Làdavas E.: 178 n. 105.
Lahav R.: 166 n. 46.
Jackendoff R.: 298 n. 172. Landi A.: 76 n. 74; 259 n. 69.
Jacopin P.-Y.: 203, n. 194. Langton c.G.: 318.
Jaffé A.: 142 n. 20. Lanza R.P.: 210 n. 214.
Jahr E.H.: 105 n. 171. Lazzeroni R.: 16 n. 20; 19 n. 30; 20 n.
Jakobson R.: 15 n. 14; 38; 77; 81; 91, n. 31, n. 34; 22, n. 40; 24 n. 53; 29 n.
126; 468; 475. 71; 40 n. 40; 51 n. 100; 71 n. 61;
Jaynes J.: 155 n. 1; 157, nn.; 159, n. 19. 106 n. 181; 107, n. 183, n. 184;
Jeffers R.J.: 13 n. 4. 108, n. 188; 109, nn.; 113; 114;
Jensen A.E.: 249, n. 37. 116; 126; 242 n. 8; 261 n. 72; 455;
Jerison H.J.: 184 n. 125. 456.
Jesi F.: 76 n. 76. Leach E.: 202; 203, n. 194, n. 195.
Joanette Y.: 179 n. 109. Leakey R.: 178 n. 105; 180 n. 111; 189
Joki A.J.: 256 n. 59. n. 144, n. 145; 210, n. 216; 215 n.
Jung C.G.: 142, n. 20; 146 n. 35; 239; 233; 216 n. 236.
319 n. 291. Lecours A.R.: 179 n. 109.
Jünger E.: 133, n. 26. Lehmann W.P.: 104 n. 171; 240 n. 1.
Justus F.: 104 n. 171. Lemay M.: 182 n. 115.
Leroi-Gourhan A.: 252; 253, n. 54;
Kaegi A.: 13, n. 6. 279, n. 67.
Kandel E.R.: 171 n. 76. Le Roux F.: 252 n. 51.
Kassel T.M.: 171 n. 76. Leucippo: 230.
Kara D.A.: 170 n. 73. Leumann M.: 18, n. 25.
Kelber W.: 281 n. 79. Levinas E.: 307 n. 226.
Kerényi K: 252 n. 51. Lévy P.: 164 n. 37; 314, n. 266, n. 26;
Kintsch W.: 183 n. 120. 315, nn.
Kiparsky P.: 88 n. 110. Lévi-Strauss c.: 51, n. 100; 292, n. 138.
Kirk G.S.: 197 n. 173. Lewin B.: 171 n. 76.
Klar K: 29; 48 n. 84; 118; 460; 454. Lewin R.: 178 n. 105; 189 n. 145.
Klein R.G.: 178 n. 105. Lewis C.M.: 245 n. 24.
Klopfer P.H.: 174 n. 92. Liebermann P.: 181, n. 115; 182.
Koerner K: 13 n. 4. Lima S.D.: 275 n. 47.
Korenchy E.: 256 n. 59. Lincoln B.: 76 n. 77; 251 n. 47.
Korzybiski A: 150 n. 47. Lindahl B.I.B.: 165 n. 43.
Kozowski J.: 180 n. 111. Liverani M.: 270, n. 21, n. 23, n. 26.
Knox B.M.W.: 228, n. 294. Lobeck C.A.: 280, n. 74.
Krappe A.: 252 n. 51. Lochner-Hiittenbach F.: 19 n. 30;
Krishna G.: 164 n. 37. 456.
Kuhn A.: 13, n. 5; 15 n. 13; 27, n. 65; Lock A.: 233 n. 314.
464. Lockwood M.: 168 n. 60.
Kuhn T.: 12, n. 2. Lommel H.: 14 n. 9.

486
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

Lord A.B.: 45 n. 72; 47; 88 n. 113; 89 Miller D.G.: 24 n. 49; 457.


n. 115; 91, n. 124; 93, n. 131, n. Miller G.: 223 n. 263; 224 n. 271.
132; 95. Miller J.: 157 n. 6.
Luce T.J.: 46 n. 81; 96 n. 140. Milner B.: 221 n. 255.
Lüders H.: 15 n. 12. Moerck E.L.: 212 n. 224.
Moore T.G.: 245 n. 24.
Mac Cana P.: 28 n. 70; 29; 120; 456. Morgan S.R.: 174 n. 92.
Macqueen J.G.: 242 n. 7. Morpurgo Davies A.: 104 n. 171.
Macurdy G.H.: 252 n. 51. Moscovitch M.: 221 n. 255.
Maddem J.: 170 n. 72. Most G.W.: 248 n. 33.
Maggi D.: 33 n. 10. Müller K.O.: 76.
Mahābhārata: 25; 277. Munn N.D.: 245 n. 24.
Mallory J.P.: 240 n. 1, n. 2; 243 n. 13, Musatti C.L.: 162 n. 27.
n. 16; 255 n. 57; 267 n. 6; 270 n.
22. Naafs-Wilstra M.C.: 28; 114; 457.
Malinowski B.: 203. Nagy G.: 23; 24, n. 44, n. 48; 26, n. 64;
Mandler J.: 283 n. 83. 32 n. 6; 41 n. 48; 43, n. 56; 44, n.
Mann T.: 329. 57, n. 58; 45, n. 72, n. 74, n. 75;
Marchese M.P.: 51 n. 100. 46, n. 80, n. 81; 47; 59; 65; 88, n.
Margenau H.: 168, n. 62; 169, n. 64. 112; 89, nn.; 90, nn.; 91, n. 124, n.
Markey T.L.: 245 n. 22; 251 n. 45; 257 126; 92, n. 127; 93, nn.; 94, n. 135;
n. 61; 258 n. 66. 95, n. 137; 96, nn.; 97, nn.; 98, nn.;
Martin H.J.: 278 n. 61. 99, nn.; 100, nn.; 101, nn.; 102, n.
Martino P.: 71 n. 60. 162; 103, n. 164; 106 n. 180; 118;
Marzi C.A.: 165 n. 40. 120; 198 n. 178; 304 n. 209; 322 n.
Mason I.L.: 269 n. 16. 302; 452; 457; 458; 459; 468.
Mastrelli C.A.: 51 n. 100; 83 n. 99.
Natsoulas T.: 158 n. 11.
Maturana H.R.: 146 n. 33.
Negri M.: 90 n. 123; 104 n. 171.
Maudlin T.: 154 n. 57.
Neisser U.: 224 n. 272.
Mayrhofer M.: 16; 242 n. 8.
Mays A.: 183 n. 119. Nelson KE.: 212 n. 224.
Mazzara B.M.: 305 n. 217. Neu E.: 50; 459.
McAndrews M.P.: 221 n. 255. Neumann E.: 157 n. 7.
McGaugh J.L.: 224 n. 273. Nieddu G.: 231 n. 305.
McGeer E.: 171 n. 77. Nietzsche F.: 6; 55; 155; 234 n. 316;
McGeer P.L.: 171 n. 77. 235; 236; 237, n. 317; 239; 329;
Meid W.: 24 n. 52; 25 n. 55; 45 n. 74; 477.
50; 57 n. 13; 75 n. 72; 456; 457. Nitecki M.H.: 188 n. 141.
Meillet A.: 14 n. 9; 29; 32; 38; 41 n. 48; Nitecki V.: 188 n. 141.
95; 278 n. 63; 321 n. 295; 464; Noble W.: 178 n. 105.
467; 468; 475. Nocentini A.: 68, n. 50.
Meskell L.: 70 n. 58. Noonan M.: 275 n. 47.
Meuli K: 250 n. 44. Novalis: 325.
Meyer R.M.: 13 n. 6.
Miceli M.: 294 n. 148; 295, n. 155; 299, Oakley D.A.: 159 n. 15; 183 n. 119.
nn.; 300, nn.; 301, nn.; 304, n. O’Connor M.: 281 n. 79.
214; 325, n. l; 326, n. 4. Oden n. L.: 258 n. 62.
Middleton D.: 283 n. 85. Odissea: 25; 308 nn.

487
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

Oettinger n. : 28; 114; 459. Pisani V.: 11 n. 1; 14, n. 10; 16, n. 19, n.
Ogibenin B.L.: 25; 26, n. 60, n. 61; 79, 20; 18 n. 25; 19, n. 28, n. 30; 20;
n. 87; 80, nn.; 81 n. 93, n. 94; 117; 22, n. 38, n. 39; 55 n. 1; 65; 117;
460. 252 n. 52; 263; 321, nn.; 322, nn.;
O Hehir B.: 29; 48 n. 84; 118; 454; 460. 323; 450; 461; 463; 464.
Ojemann G.: 157 n. 6. Pittaluga G.: 21 n. 36; 40 n. 46; 41 n.
Oliver F.: 275 n. 49. 67.
Oliverio A.: 178 n. 105. Pizzamiglio L.: 178 n. 105.
Olmsted G.: 29; 117; 460. Platone: 227, n. 285, n. 287, n. 288;
Olton D.S.: 224 n. 273. 228, n. 289; 231, n. 306, n. 308.
Ong W.J.: 275 n. 47; 282, n. 81; 291 n. Plotkin H.C.: 183 n. 125.
134; 292, nn.; 293, nn.; 294, n. Plutarco: 272, n. 31.
147. Pohlmann E.: 232 n. 311.
O’Nolan K: 461. Poincare J.-H.: 16 n. 21.
Orioles V.: 90 n. 123; 104 n. 171; 263 Poli D.: 90 n. 123.
n. 77. Pollet G.: 277 n. 55.
Orlandi C.: 24 n. 54; 37 n. 27; 122; Polome E.: 66 n. 42; 105 n. 171; 251 n.
124; 277 n. 57; 446. 47, n. 48; 255 n. 57; 261 n. 74.
Polten E.: 166 n. 44.
Pagliaro A.: 23 n. 43; 39 n. 40; 40 n. 43; Pompeo Faracovi O.: 245 n. 22.
114; 308 n. 233, n. 235, n. 238; Popper K.R.: 143, n. 22, n. 23; 166 n.
309 n. 239, n. 244, n. 245; 461. 45.
Paioni G.: 275 n. 48. Portengen J.: 20 n. 31.
Panaino A.: 244 n. 20. Porzig W.: 464.
Parker K: 261 n. 74. Poser H.: 89 n. 118.
Parry A.: 88, n. 113. Propp V.J.: 104; 140; 198 n. 177.
Parry M.: 19; 27; 45 n. 72; 47; 88, n. Prosdocimi A.L.: 76 n. 74; 92 n. 127;
113; 93 n. 134; 95; 102; 449; 450; 130 n. 20; 242 n. 11; 243 n. 12;
461; 471. 252 n. 50; 314, n. 262, n. 263; 316,
Pasquali G.: 5; 16; 20 n. 31. n. 275, n. 279; 320 n. 292.
Pauli W.: 154 n. 57. Puhvel J.: 24, n. 50; 28 n. 69; 45 n. 72;
Pavese C.O.: 272 n. 30; 305 n. 218; 316 100 n. 156; 104 n. 169; 461; 462.
n. 275.
Peduto M.D.: 242 n. 7. Quattordio Moreschini A.: 56 n. 5; 242
Penrose J.: 143 n. 24; 146 n. 34; 168 n. n. 9; 252 n. 52.
60.
Peper K: 171 n. 4. Raible W.: 275 n. 47; 276 n. 50.
Perkins D.: 219 n. 249. Rédei K: 256 n. 59; 269 n. 17.
Perlman S.: 258 n. 65. Redman S.J.: 171 n. 78.
Peruzzi E.: 79, n. 86; 243 n. 12; 255. Reichenbach H.: 153, n. 53.
Peters A.: 170 n. 73. Reid L.: 171 n. 76.
Peterson L.R.: 224 n. 270. Renfrew c.: 23 n. 42; 70 n. 58; 251 n.
Peterson M.J.: 224 n. 270. 49; 257, n. 62; 262 n. 75; 268 n.
Pierantoni R.: 165 n. 40. 13.
Pindaro: 231. Renou L.: 51, n. 99; 274 n. 41; 276 n.
Pinna G.: 180 n. 111. 55.
Pirsig R.: 327; 328, n. 10. g-Veda: 327.

488
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

Ricoeur P.: 198 n. 179. 31, n. 35; 21; 22, n. 41; 23; 26 n.
Ries J.: 251 n. 47; 273 n. 33. 60; 27 n. 66; 40, n. 45; 50; 55, n. 1;
Risch E.: 19 n. 30; 20 n. 32, n. 33, n. 35; 60; 65; 81 n. 94; 103; 107; 113;
22 n. 41; 27; 40 n. 43; 55 n. 1; 114; 114; 117; 129; 130; 131; 242 n. 8,
242 n. 9; 462. n. 9; 281 n. 77; 308 n. 231, n. 232,
Ritoók Z.: 29; 443; 462. n. 233, n. 238; 310 n. 246; 440;
Rock I.: 159 n. 16. 449; 450; 463; 464; 465; 474.
Roediger H.: 224 n. 267. Schmolke C.: 10 n. 73.
Roncato S.: 224 n. 268. Schopenhauer A.: 155, n. 2.
Rongeul-Buser A.: 170 n. 71. Schramm G.: 22 n. 41; 465.
Rosenkranz B.: 22 n. 41; 462. Schroder F. R.: 19 n. 30; 20 n. 32; 464;
Ross T.E.: 245 n. 24. 465.
Rossi A.V.: 242 n. 8. Schuchardt H.: 21 n. 36.
Ruben W.: 25 n. 57; 463. Schulze W.: 14 n. 9; 464.
Ruggles C.: 245 n. 22. Schwartz M.: 281 n. 77.
Ruiz-Linares W.: 258 n. 63. Schwyzer E.: 14 n. 9.
Rupp E.G.: 273 n. 33. Searle J.: 157, n. 5; 159 n. 16; 160, n.
Russell B.: 158 n. 13. 22; 161 n. 25, n. 26; 162, n. 29;
163, n. 32; 164 n. 35, n. 36; 166, n.
Saenger P.: 229 n. 296. 45, n. 47; 167, nn.; 216 n. 237.
Sambursky S.: 231 n. 304. Searle J.R.: 47; 93.
Sammalahti P.: 256; 257, n. 60. Segal C.: 229 n. 298.
Sándor S.: 261 n. 74. Sen S.K.: 465.
Sandri C.: 171 n. 74. Sengupta P.C.: 244 n. 18.
Sani S.: 24 n. 54; 37 n. 27; 117; 122; Senn A.: 261 n. 74.
124; 277 n. 57; 446; 463. Sereny G.: 328, n. 12.
Santamaria D.: 39 n. 40. Shakespeare W.: 8; 326.
Sapir E.: 11; 298, n. 166. Shallice T.: 186 n. 133.
Sasso G.: 132, n. 23. Shanks N. : 166 n. 46.
Saussure F.: 77; 81; 85; 86; 132; 280; Shannon C.E.: 152 n. 48.
281 n. 77. Shannon R.S.: 45 n. 72; 88 n. 110; 100
Scardigli P.: 29 n. 73. n. 156; 104 n. 169.
Schacter D.L.: 183 n. 119; 221 n. 255; Sherry D.F.: 183 n. 119.
224 n. 26. Shevoroshkin V.V.: 66 n. 42.
Schaeder H.H.: 14 n. 8; 464. Shotter J.: 283, n. 85.
Schaffner B.: 141 n. 14. Silvestri D.: 65; 71 n. 61; 242 n. 7; 252
Scherer A.: 19 n. 30; 22 n. 41; 463. n. 52; 255 n. 57; 259, n. 69; 260,
Schiller F.: 6. nn.; 261, n. 72; 293 n. 145; 307 n.
Schilpp P. A.: 141 n. 14; 154 n. 57. 229.
Schlerath B.: 15 n. 13; 56 n. 8; 56, n. Simon H.A.: 316 n. 276.
13; 75 n. 72, n. 74; 81 n. 94; 107, Sinor D.: 256, n. 59.
n. 184; 110, n. 191; 464; 467. Skinner B.F.: 210 n. 214.
Schmalstieg W.R.: 242 n. 10. Skjaervo P.O.: 281 n. 77.
Schmeja H.: 22 n. 41; 463. Skomal S.N.: 261 n. 74.
Schmidt K.H.: 463. Smirnickaja O.A.: 465.
Schmitt, R.: 12; 13 n. 4; 14 n. 8; 15; 16, Smith C.D.: 245 n. 24.
n. 17, n. 18, n. 19; 17, n. 21, n. 22; Smith D.W.: 164 n. 36.
18, n. 25, n. 26; 19, n. 30; 20, n. Smorri A.: 195 n. 169.

489
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

Snell B.: 233 n. 314. Thomson B.A.: 258 n. 62.


Sofocle: 227 n. 284. Thorne A.G.: 188 n. 141.
Sokal R.R.: 257 n. 62. Tichy E.: 467.
Somenzi V.: 166 n. 45. Tilak L.G.B.: 243 n. 14, n. 15; 244, n
Sonne W.: 13 n. 7. 17, n. 19.
Sorrentino A.: 242 n. 7. Timpanaro S.: 13 n. 4; 20 n. 31.
Specht F.: 14 n. 9; 464. Tischler J.: 22 n. 41; 467.
Speidel G.E.: 212 n. 224. Tobias P.V.: 181 n. 112; 182 n. 115.
Squire R.L.: 224 n. 268. Toporov V.N.: 25, n. 57; 51, n. 100; 68
Staal F.: 274 n. 38; 276 n. 50. n. 51; 79, n. 87; 81, n. 95; 82; 116;
Staddon J.E.R.: 174 n. 92. 120; 122; 124; 280, n. 74; 449;
Stapp H.P.: 168, n. 60. 467.
Starobinski J.: 77; 280 n. 74; 281 n. 77. Trigger B.G.: 70 n. 58.
Stebbins G. L.: 182 n. 115. Trubetzkoy n. S.: 29; 467.
Steblin-Kamenskij M.I.: 203 n. 195. Tulving E.: 182, n. 118; 224 n. 267.
Stefanelli R.: 51 n. 100. Tyler S.A.: 298 n. 171.
Stephens L.D.: 98 n. 149.
Sterckx C.: 36 n. 24; 251 n. 47; 465; Umiltà C.: 178 n. 105.
466. Untermann J.: 110 n. 191.
Sternemann R.: 55 n. 1; 466.
Stolz A.: 45 n. 72; 88 n. 110; 100 n. Valeri V.: 242 n. 7.
156; 104 n. 169. Vallini C.: 293 n. 145.
Stringer C.: 188 n. 142. Vansina J.: 105 n. 174.
Strunk K: 466. Varela F.J.: 146 n. 33.
Sutherland S.: 156, n. 3; 157; 162. Varenne J.: 51 n. 100.
Suzuki S: 29; 118; 466. Velmans M.: 156 n. 4.
Svenbro J.: 226, n. 281, n. 282; 227, n.
Vendryes J.: 36; 67.
283, n. 286; 228, n. 293; 229, n.
Vermeer H.J.: 467.
297, n. 299; 230, n. 301, n. 302;
Vernant J.-P.: 272 n. 30.
231, n. 304, n. 307; 232, n. 311;
233, n. 312; 272 n. 30. Vico G.B: 129 n. 16.
Sweetser E.: 29; 48 n. 84; 118; 454; Vigorita J.F.: 24, n. 45; 118; 119; 468.
460. Vine B.: 24; 119; 468; 469; 475.
Swiggers P.: 29; 466; 467. Virgilio: 326 n. 6.
Szemerényi O.: 36 n. 22; 240 n. 1; 259 Von See K: 24 n. 51; 469.
n.69.
Szentagothai J.: 170 n. 71. Wackernagel J.: 5; 14, n. 8, n. 9; 85;
Szubka T.: 166 n. 46. 95; 96 n. 140; 321; 464.
Wagner H.: 24, n. 52; 456; 469.
Taporewala I.J.S.: 244 n. 18. Waldrop M.M.: 168 n. 57; 316, n. 277;
Tardieu M.: 273 n. 34. 317, n. 283; 318, nn.; 319, nn.
Tassinari G.: 165 n. 40. Ward D.: 25 n. 59; 119; 122; 470.
Taylor c.: 233 n. 314. Waser P.G.: 171 n. 74.
Teognide: 327. Watkins C.: 15 n. 14; 29 n. 72; 38; 43;
Thieme P.: 14 n. 9; 15 n. 12; 62, n. 29; 47, n. 82, n. 83; 48, n. 86, n. 87, n.
462; 464. 88; 49, nn.; 50, nn.; 51, n. 98, n.
Thomas H.L.: 253; 254; 255, n. 56. 101;52, n. 105; 65; 82, n. 98; 83,
Thompson R.F.: 10 n. 71. n. 100, n. 101; 84; 85, n. 102; 86,

490
INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MODERNI

n. 103, n. 104; 87, nn.; 88, nn.; 89; Wheeler J.A.: 145 n. 31.
90; 91; 93; 94, n. 135; 95; 103; 104, White J.B.: 245 n. 22.
n. 168; 106 n. 180; 108; 114; 116; Whiten A.: 210 n. 213.
117; 119; 120; 122; 123; 124; 125; Widengren G.: 272 n. 29; 273 n. 33.
131; 198 n. 178; 200 n. 184; 268, Wiener N.: 146 n. 33.
n. 11; 280, n. 73; 281 n. 76; 313 n. Wilson C.: 258 n. 62.
261; 445; 454; 460; 468; 470; 471; Wissmann H.: 231 n. 304.
472; 473; 474; 475. Witzel M.: 242 n. 8; 276 n. 55.
Watt I.P.: 275 n. 48. Wolf E.M.: 307, n. 228; 312, nn.
Weaver W.: 152 n. 48. Wolfram S.: 168, n. 58.
Weber A.: 13 n. 7. Wolpoff M.H.: 188 n. 141.
Weinberger N.: 224 n. 273. Woodard D.: 245 n. 24.
Weiskrantz L.: 159 n. 17; 221 n. 255. Wüst W.: 22 n. 41; 23 n. 43; 65, n. 40;
Weitenberg J.J.S: 19 n. 30; 474. 80 n. 91; 476.
Weller F.: 15 n. 12.
Werba C.: 26 n. 60; 81 n. 93, n. 94; Young J.: 247 n. 28.
460; 474; 475.
West M.L.: 24, n. 46, n. 48; 26 n. 64; Zimmmer S.: 110 n. 191; 261 n. 74.
29; 39; 44 n. 58, n. 64; 45, n. 71; Zohary D.: 251 n. 45.
96 n. 140; 117; 119; 457; 458; Zumthor P.: 91 n. 124.
475. Zvelebil K.V.: 258 n. 64, n. 66.
Westphal R.: 13 n. 7. Zvelebil M.: 258 n. 64, n. 66.
Whale R.: 224 n. 273.

491
INDICE DEGLI ARGOMENTI

Abduzione: 139 sgg.; 176. Antropomorfe (scimmie): 180 sgg.


– definizione di: 139. – coscienza delle: 172-3.
Aedo: 96 n. 141. – cultura episodica delle: 180 sgg.; 182
Affinità elementare: 58. n. 117; 210.
– vs. parentela genetica: 20; 55 n. 1; – autocoscienza nelle: 210 sgg.
129 sgg. – intelligenza delle: 179; 183.
Agricoltura – e linguaggio gestuale: 183 n. 124.
– agricoltori: 260 sgg. – modelli mentali delle: 192.
– cerealicola: 248 sgg. – e test dello specchio: 210, n. 213.
– di zappa: 251. Apicoltura: 269 sgg.
– ignicoltura: 250 n. 45. Apprendimento: 164, n. 38; 217; 290;
– origini e diffusione della: 257 sgg.; 301.
Archetipo: 55-56; 58; 63.
269.
Armeno: 42; 251 n. 49; 268.
– orticultura: 249 sgg. Aikido: 220.
Arte
Alfabeto – paleo-mesolitica: 259; 287.
– criptato: 33; 280 sgg. – e mimica: 185.
– greco: 208 sgg.; 226 sgg., n. 279. – origini della: 181.
– indiano: 274, n. 39, n. 40. – e scrittura: 279 sgg.
– iranico: 273. Aśoka
– ricerca su: 33; 279 sgg. – iscrizioni di: 274, n. 39; 277.
– societa prealfabetizzate: 196; 225 n. Astronomia / Astrologia: 244 sgg.
276. – i.e.: 244 n. 21.
– e teatro greco: 229 sgg. – iranica: 244 n. 20; 247 n. 28.
Allevatori: 259 sgg. – megalitica: 245 n. 22.
Anagrammi: vd. Enigmi. Atomisti: 230 sgg.
Analogico: 144, n. 29; 245, n. 23, n. Atteggiamento: 294 sgg.
24; 246. – definizione di: 294 n. 148.
– definizione di: 150 n. 47. Autocoscienza: 158 sgg.; 173; 174, n.
Anima: 174 n. 91; 228. 91; 177; 226; 267 sgg.; 285 sgg.;
– metafora della scrittura nella: 231. 328.

* Sono qui indicati soltanto i rinvii principali agli argomenti più significativi trattati – e
quelli alle definizioni dei termini chiave utilizzati – nel corso del volume, ad esclusione della
Bibliografia.

493
INDICE DEGLI ARGOMENTI

– definizione di: 164. – insegnamento dell’attività cognitiva:


– vs. coscienza: 158 n. 11. 219; 290.
– interiorizzazione della: 228 sgg. – potere nella gerarchia cognitiva: 219;
– studio della: 164 sgg. 289.
– tipologie della: 209 sgg. – rivoluzione cognitiva: 178; 208.
– vantaggi evolutivi della: 214 sgg. – stadi della: 178 sgg.; 180 sgg.; 183 n.
Autonomia: 147; 149. 125; 190; 208.
Avestico: 36; 243 sgg.; 272 sgg.; 307 – e valori: 300 sgg.
sgg. – vantaggi cognitivi: 180; 190; 214 sgg.
Azione Complementarietà
– principio di: 154; 162-3; 298.
– programmi di: 199 sgg.; 267.
Complessità
– – e motivemi: 199. – entità / sistemi complessi: 98; 149;
– – e racconti tradizionali: 199. 316 sgg.
– – caratteristiche dei: 318 n. 287.
Balto-slavo: 20; 42; 242; 267. – margine del caos: 318 sgg.
Bellerofonte: 33; 278; 290. – e mente: 171 sgg.; 318 sgg.
Bipedismo: 180; 193. – ordine, complessità e caos: 317 sgg.
Buddhismo: 273. – teoria della: 316 sgg.
Composti
Cacciatori / raccoglitori: 180; 195; – con *su– e *dus-: 307 sgg.
248, sgg.; 259 sgg.; 267 sgg. Concetto
Cantore: 96. – definizione di: 104 n. 167.
Caos: vd. Complessità. Condizione / Condizionamento: vd.
Causa / Causalità Causa.
– definizione di: 153. Confine: 142 n. 19.
– vs. condizione: 152 sgg. Corpus
Celtico: 20; 32; 36-37; 41; 48; 65; 67; – mitico / tradizionale: 266 sgg.; 275
251; 271; 307 sgg. sgg.; 286 sgg.295 sgg.; 301 sgg.
Cervello – – come SISE: 222; 286 sgg.; 302; 312
– evoluzione del: 143; 172 sgg.; 176; sgg.
178 n. 107; 180. Coscienza: 148; 156 sgg.; 210 sgg.; 285
sgg.
– interazione con la mente: 169 sgg.
– vs. autocoscienza: 158 n. 11.
– lateralizzazione delle funzioni nel: – dell’autocoscienza: 164 sgg.
158, n. 10; 179; 220. – caratteristiche e proprietà della: 160
– neo corteccia: 170, n. 71 sgg.; 221. sgg.
– sinapsi: 169 sgg. – definizione di: 156; 160.
Cibernetica: 144 sgg.; 199, n. 18; 289; – evoluzione della: 143; 156; 165 sgg.;
316 sgg. 210 sgg.
Città-stato: – finalità della: 217 sgg.; 286 sgg.; 301.
– origine della: 261-3; 270, n. 25; 315. – limiti della: 160, n. 23 sgg.; 215 sgg.
– rapporti con gli i.e.: 263; 270 sgg. – localizzazione della: 156; 173; 220.
Classe: 151; 212; 299. – mappa della: 285 sgg.
CME (Campo della Memoria Esterna): – mitica: 201 sgg.; 286 sgg.
207 sgg.; 224-5; 288 sgg. – neurofisiologia della: 165 sgg.
– definizione di: 207 n. 204. – ultra-coscienza: 164 n. 37.
Cognizione: – vantaggi della: 216 n. 237.

494
INDICE DEGLI ARGOMENTI

Creatura: 137 sgg.; 150; 199 n. 180; – interazionista: 143, n. 23; 166 sgg.;
320. 319 n. 288.
– definizione di: 142.
Credenza Élite
– definizione di: 102 n. 163. – dell’eta dei metalli: 291.
Culto – nascita delle: 262.
– definizione di: 89 n. 118. Encefalizzazione: vd. Cervello.
Cultura Enigmi
– codificazione della: 104; 139 sgg.; – letterarura di: 34; 77, n. 79; 81; 132;
301 sgg. 280 sgg.
– crisi della: 305 sgg. Entropia: 145 sgg.
– definizione di: 102 n. 163. – definizione di: 145-6.
– democratica: 7; 295 n. 157. – negativa: 151, n. 48.
– episodica: 182 sgg.; 210 sgg. Epistemologia: 141 sgg.; 149.
– e ideologia: 37, n. 30; 71; 78; 296. – definizione di: 141, n. 18.
– i.e.: 14; 26; 37; 69 sgg.; 74; 85 sgg.; – inconscia: 141 n. 16; 144 n. 26; 150 n.
102; 107 sgg.; 244 sgg.; 251 n. 46; 46; 159 n. 16; 286, n. 94; 295.
297; 305 sgg. – e interfaccia: 141.
– mimica: 185 sgg.; 186 n. 131; 211 – vincoli epistemologici: 138 sgg.
sgg. Ermetismo
– mitica: 188 sgg.; 196 sgg.; 202 sgg. – e scrittura: 33; 278 sgg.
– orale: vd. Orale. – tradizione di: 33; 126 n. 5; 129; 278
– poetica: vd. Lingua poetica. sgg.
– teoretica: 197; 204 sgg.; 208; 220 Errore: 217; 291 sgg.; 294-5.
sgg.; 245-7; 275. – definizione di: 147 n. 38.
Esocitosi: 169 sgg.
– totalitaria degli i.e.: 37-38; 105, n.
– definizione di: 171.
173; 295-7; 328-9.
Ethnos: 60; 268 sgg.
– e valori: 297 sgg.; 325 sgg.
– definizione di: 268 n. 13.
Curricula: 209 n. 210.
Etimologia
– e comparazione poetica: 55-59.
Definizione del mondo Etnomusicologia: 99-101.
– processo di: 194; 208; 215 sgg.; 246- Etnopsicologia / psicologia popolare:
7; 283 sgg.; 319 sgg. 104; 195; 283 sgg.; 294 sgg.
Determinismo: 153. Euristica
DIA: 130, n. 20; 320 n. 292. – principi euristici: 18; 62 sgg.
Diacronia: 85; 90-91; 144. – evidenza comulativa: 62.
Differenza: 146, n. 35; 147 sgg.; 216 – realtà concreta: 65-66; 476.
sgg.; 285 sgg. – innovazione monoglottica: 66-68;
– definizione di: 141 n. 17. 81.
Digitale: 144, n. 29. Evoluzione
– definizione di: 150 n. 47. – del cervello: vd. Cervello.
Dizione (poetica): 102. – cognitiva: vd. Cognizione.
– definizione di: 88, n. 112. – genica: vd. Gene.
DNA: 175-6; 258 n. 63. – memica: vd. Meme.
– mitocondriale: 189 n. 145. – della mente: vd. Mente.
Dualismo – teoria della: 183 n. 125; 184 n. 127.
– cartesiano: 142-3. – umana: vd. Homo.

495
INDICE DEGLI ARGOMENTI

Figure fonetiche: 33; 35. – definizione di: 102 n. 163.


Finalismo: vd. Coscienza. – i.e.: 37; 78; 263; 270; 303; 311 sgg.
Fisica – – della memoria: 278 sgg.; 303.
– classica: 151; 168; 172-4. Imitazione: vd. Mimica.
– principi della: 142; 151 sgg. Inconscio
– quantistica: 152 sgg.; 166 sgg.; 298. – definizione di: 158.
– e studio della coscienza: 169 sgg. – processi: 147; 158 sgg.; 304 sgg.
– termodinamica: 151; 168; 172-4. – totalitarismi dello: 6; 326.
Formula (formulare): 45; 85 sgg.; 102; Indeterminazione
106 sgg.; 288 sgg.; 302. – principio di: 152-3; 298.
– definizione di: 86; 88-89. Indeuropeo
– valenza della: 18; 106. – concetto di: 70.
Fraseologia – diaspora: 239 sgg.; 251 n. 49; 276;
– tradizionale: 73; 87; 99 sgg.; 104; 112 303.
sgg.; 268 sgg. – formazione dello: 22; 261; 314.
– – teorie di V. Pisani sulla: 22; 321 sgg.
Gene: 174 sgg. – in Grecia: 46.
– definizione di: 174. – invasioni: 262; 271, n. 28; 297; 313.
– evoluzione dei: 175 sgg. – pensiero: 132; 138.
– – lentezza della: 176; 302. – reale: 107 sgg.; 130; 241.
– vs. Meme: 176; 302. – ricostruito / ricostruzione: 5; 107
Generiletterari: 17-18; 105, n. 175. sgg.; 240-1.
– definizione di: 105 n. 174. – e scrittura: 33; 278 sgg.
Genetica di popolazioni: 257 sgg. – Sprachbund: 321 sgg.
Germanico: 42; 58; 67; 120; 126-7; – Urform: vd. Archetipo.
268; 272. – Urheimat: 241 sgg.; 257; 314.
Glaciazioni: 252 sgg. – Ursprache: 56; 241 sgg.; 259 sgg.;
Greco: 17; 26-28; 32; 42; 93-5; 126-7; 314; 323.
132; 242 sgg.; 271 sgg.; 307 sgg. – Urvolk (vd. anche Popolo): 240-1;
Gruppo: 260 sgg. 314.
– definizione di: 260. Indo-iranico: 67; 242 sgg.; 255 n. 57;
271 sgg.; 307 sgg.
Hardware – prestiti in UF: 256 sgg.; 269.
– biologico: 205, n. 198 sgg. Induzione / deduzione: vd. Metodo.
– tecnologico: 205 sgg. Informazione: 285 sgg.
Homo: 180; 211. – definizione di: 147 n. 36.
– abilis: 181; 184 n. 126. – teoria della: 145 sgg.; 205 n. 200.
– erectus: 181; 184; 187 sgg.; 192. – valori come: 300 sgg.
– – capacita mentali di: 181 n. 113; Intelligenza
184 n.127. – rappresentativa: 191.
– di Neandertal: 188, n. 143; 189. – sociale: 179; 183; 187; 210; 213; 215,
– necans: 248 sgg. n. 233.
– sapiens arcaico: 181; 188; 204. – umana vs. antropomorfa: 179 sgg.;
– sapiens sapiens: 173; 181-2; 184; 188 182 sgg.
sgg.; 259. Interfaccia: 141 sgg.; 170 n. 70; 269
sgg.
Ideologia: 7; 152; 290; 303 sgg. – definizione di: 142, n. 19.

496
INDICE DEGLI ARGOMENTI

Io: 6; 149; 158 sgg.; 174 n. 91; 218; – realtà della: 20; 22; 105 sgg.; 129
233. sgg.; 261.
– definizione di: 158 n. 12. – ricostruzione della: 59; 69; 75; 105
Ipercodifica / ipocodifica sgg.
– definizione di: 140 n. 12; 140 n. 13; – come tecnologia della trascendenza:
303 n. 208; 305. 315.
Iperborei: 252, n. 51. Linguaggio
Iris: 35. – autoidentificazione linguistica: 259-
Italia antica: 42; 49; 79; 242, n. 11; 261; 267 sgg.; 271; 302.
243, n. 12; 268. – assenza di: 179 sgg.; 211.
– colloquiale: 61; 99; 126 sgg.
Isoglosse: 109; 260.
– limiti del: 144-5.
Ittita (anatolico): 20; 21; 24; 28; 42; – e fisica: 145, n. 30.
48; 50; 61; 241 sgg.; 249-50; 255 – e musica: 101 sgg.
n. 57; 268; 282. – origini del: 180 sgg.; 190 sgg.; 214;
286.
Lessico: 107; 194; 222; 260; 267-8; – vantaggi del: 180; 189 n. 145; 213.
310. Linguistica:
– indice lessicale: 313, n. 261. – e archeologia: 66 sgg.
Letteratura: 121 sgg. – come scienza interpretativa: 6-7; 295
– lingua letteraria: 13; 126 sgg.; 307 n. n.157.
229; 311 sgg. – comparata e filologia: 94-95.
– orale: 59-60; 126. – geografia: 66 sgg.; 130.
Lettura: 221 sgg. – limiti della: 138.
– in Grecia: 226 sgg. – paleontologia: 66 n. 42.
-lessico della: 227. – e ricostruzione: 5; 105 sgg.
– silenziosa: 227 sgg. Literacy
Lingua degli dei: 33, n. 10; 280 sgg. – definizione di: 92 n. 127.
Lingua poetica (i.e.) Locus: 176-7.
– come autocoscienza: 285 sgg. – del controllo cognitivo: 206; 219
– canone della: 266 sgg.; 303 sgg. sgg.
– – fissazione del: 266-8.
Mano
– caratteristiche della: 72; 125 sgg.
– controllo della: 210, n. 215.
– comparazione: 63; 105 sgg. Manicheismo: 273.
– definizione di: 14; 18; 125 sgg. Mappa: 150 sgg.
– come fenomeno di circolazione lin- – corporea: 211.
guistica: 108-109; 131; 241. – cognitiva: 219; 222 sgg.; 285 sgg.
– filoni d’indagine sulla: 21. – del SISE: 287 sgg.; 302 sgg.; 312 sgg.
– grammatica della: 84 sgg. Marcato / non marcato: 49; 91 sgg.;
– greco-aria vs. panindeuropea: 20-22; 97; 312-3.
42-43; 58 n. 18; 64; 129 sgg. – definizione di: 91.
– ipotesi generale: 13 7 -8. – lingua marcata: 9; 288.
– come lingua franca: 270, n. 22. Matriarcato: 250, n. 44; 251 n. 46.
– vs. lingua letteraria: 127 sgg.; 303 Matrice
sgg. – distorsioni prodotte dalla: 150 n. 46;
– come mappa cognitiva: 288 sgg.; 301 291 sgg.; 295.
sgg. Meme: 174 sgg.
– e mito: 90; 266. – definizione di: 174.

497
INDICE DEGLI ARGOMENTI

– evoluzione dei: 176; 301 sgg. – genetico / genealogico: 55 sgg.; 107;


– – velocita della: 176; 301-2. 241.
– vs. gene: 176; 302. – ipotetico-deduttivo: 138 sgg.; 207 n.
– e psiconi: 177, n. 102. 206.
Memoria: 208 sgg. – induttivo: 138-9; 207 n. 206.
– basi sinaptiche della: 170, n. 72. – semiologico-etnografico: 80-81.
– biologica: 205 sgg.; 222 sgg.; 287 – storico-letterario: 25; 29.
sgg. Metrica:
– episodica: 182 sgg.; 210. – esametro: 45.
– esterna: 205 sgg.; 220; 222 sgg.; 231– – e fraseologia: 99 sgg.
2; 287 sgg.; 302 sgg.
– ricerche sulla: 24; 32; 38-39; 117 sgg.
– – sistemi di immagazzinamento
nella: 205 sgg.; 222 sgg,; 232; 287 Miceneo: vd. Greco.
sgg. Mimica / Mimetimo: 185 sgg.; 211
– ideologia i.e. della: 278 sgg.; 296 sgg. sgg.
– di lavoro (o a breve termine): 206 n. – caratteristiche cognitive della: 187.
21; 223 sgg. – e linguaggio: 186.
– limiti della: 224, nn. – come mezzo di comunicazione
– a lungo termine: 224 sgg. socia-le: 185.
– procedurale: 182, n. 119; 210. Mitanni: 242.
– regolazione dell’affetto nella: 283 Mito / Mitologia: 90; 93; 97; 103; 196
sgg.; 287. sgg.; 202 sgg.; 286 sgg.
– ricordo: 194; 223 sgg.: 283 sgg. – caratteristiche del: 202 sgg.
– selettività e priorità nella: 222 sgg. – conservatorismo del: 201 sgg.
– semantica: 183, n. 121; 197; 222 sgg. – corpus di: 203; 218.
– tecniche della: 95; 179; 274 sgg. – e coscienza: 201 sgg.; 214 sgg.; 286
Mentalita primitiva: 21. sgg.
– come sistema semiotico: 145; 295. – definizione di: 89.
Mente: 146 sgg.; 178 sgg. – età del: 201-2.
– bicamerale: 157, n. 9. – forza organizzatrice del: 196; 201;
– come campo di probabilità: 168 sgg. 218.
– e coscienza: 160; 215 sgg. – origini del: 181; 197; 247.
– definizione di: 146.
– polivalenza del: 198.
– evoluzione della: 178 sgg.
– natura microgranulare della: 170 n. – come racconto tradizionale: 197
70. sgg.; 306.
– natura sistemica della: 146 sgg.; 218. – – strutture di senso nel: 198-9.
– occhio della: 215 n. 233. come strumento decisionale: 196; 218.
– come processo: 147 sgg. trasmissione e conservazione del: 198;
– stati alterati della: 164 n. 37. 218-9; 286 sgg.; 305 sgg.
– strutture narrative come teoria della: Modelli / Modellamento
199. – arbitrari di comportamento: 215.
– teorie materialiste sulla: 166 sgg. – dispositivi mimici di: 187.
Mesolitico: vd. Paleolitico. – matematici: 145.
Messapico: 268. – mentali: 146; 186 sgg.; 192; 195.
Metodo / metodologia: – processi di: 194 sgg.; 207; 211 sgg.;
– abduttivo: vd. Abduzione. 245-6; 286 sgg.; 319.
– comparativo: 19; 55 sgg.; 82 sgg.; Morte: 147; 217 sgg.; 286.
104 n. 171; 105 sgg. Motivo (vd. anche Tema)

498
INDICE DEGLI ARGOMENTI

– motivemi: 89; 104; 198, n. 178; 267; Panini: 277.


301. Pantomima: vd. Mimica.
– – sequenze di: 198-9. Paradigma: 5; 11-12; 14; 82; 103; 251
– leit-motiv: 106, n. 180; 198 n. 178. n. 49: 321.
Pensiero
Narrazione: 125 sgg.; 195 sgg.; 222; – analitico: 207, n. 206.
305 sgg. – definizione di: 133.
– funzioni di Propp: 104; 140; 198. – linguaggio del: 194 n. 167.
– linearità e sequenzialità della: 198, n. – mitico: 200 sgg.; 214; 292 sgg.
177. – narrativo: 195 sgg., n. 169.
– strutture della: 199 sgg. – schemi del: 139 sgg.; 150 sgg.
Neogrammatici: 14; 55-60; 314. – silenzioso: 228 sgg.
Neolitico: 181 sgg.; 247 sgg.; 315 sgg. – teoretico: 207 sgg.
Nestore: 32. Percezione: 144 sgg.; 158 sgg.
Neuropsicologia: 179 sgg. – di eventi: 183 sgg.; 192; 212 sgg.
Nicchia – – definizione di: 183 n. 123.
– definizione di: 261. – processi inconsci della: 144; 158 sgg.
– culturale: 261: 270. Pigmei: 251; 260.
– ecologica: 190; 270. Pista: 259 sgg.
– geografica: 261. – definizione di: 260.
Nomadismo: 261-2. Pitagorici: 272.
Nome: 150 sgg. Platone: 208 sgg.
Norma: vd. Valori. Pleroma: 137 sgg.; 150.
– definizione di: 142.
Odino: 32; 278; 290. Plurilinguismo: 260 sgg.; 267, n. 6.
Oggettività: 5; 144; 161 n. 25. Poeta: 96; 123 sgg.; 219; 266.
Olocausto: 328-9. – famiglie di: 276 sgg.; 289.
Ominazione: 164, n. 37; 314. – suo ruolo nella società i.e.: 37 -38;
Orale / oralità / oral poetry: 19 sgg.; 49; 69; 131; 289 sgg.; 296 sgg.;
85 sgg.; 195 sgg.; 203; 208; 267 305 sgg.
sgg.; 292 sgg. Polo nord (ipotesi artica): 243 sgg.;
– caratteristiche della cultura: 292 sgg. 255.
– composizione: 93; 103. Popolo: 261; 285; 314.
– definizione di: 92 n. 127. Postulato: 143 sgg.
– enciclopedia: 267 sgg.; 301. – definizione di: 143 n. 25.
– esecuzione: 93; 103. Prosa: 99, n. 151; 126 sgg.
– occasione: 102. Psiconi
– – definizione di: 97. – definizione di: 170 n. 70.
– vs. scritto: 18-19; 92; 125 sgg. – ipotesi degli: 174 sgg.
– teoria della: 27; 90, n. 123; 93 sgg.; – e memi: 177, n. 102.
102.
– trasmissione di testi fissi: 93 sgg.; Qualia: 163 sgg.; 174; 177.
103; 200 sgg.; 267 sgg. – definizione di: 161 n. 24.
Ordine: vd. Complessità.
Racconto (vd. anche Narrazione)
Paleolitico: 181 sgg.; 189 sgg.; 239 – tradizionali: 197 sgg.
sgg.; 252 sgg. – – applicati: 200 sgg.

499
INDICE DEGLI ARGOMENTI

– strutture del: 199. – – come metodo di immagazzinamen-


Rappresentazione: 183 sgg. to nella memoria esterna: 205
Rapsodo: 95 sgg.; 128. sgg.
– definizione di: 96 n. 141. – e mezzi grafici: 204 sgg.
Religione: 41-2; 273 sgg.; 290; 306. – uso dei: 190 sgg.
– definizione di: 102 n. 163. Sincronia: 85; 90-91; 144.
Ritmo: 103; 125; 223 n. 263. SISE (Sistema di Immagazzinamento
Rito: 97. Simbolico Esterno): 207 sgg.;
– definizione di: 89, n. 118. 246 sgg.; 269 sgg.; 287 sgg.; 298
– origini del: 181; 247. sgg.; 312 sgg.
– come vantaggio cognitivo: 248 sgg.; – definizione di: 207 n. 204.
249 n. 35. Socrate: 209; 226 sgg.
Sostrato
Sacerdoti: 219; 266 sgg.; 277; 305 sgg. – indo-mediterraneo: 65; 250; 252, n.
Sassanidi: 272-3. 52; 262-3.
Scacchi sociali (vd. anche Intelligen- – semitico: 263.
za): 215. Spazi: 259 sgg.
Schismogenesi – definizione di: 259.
– definizione di: 217. Spazio antropologico: 314 sgg.
Sciamani: 41; 219; 266; 289. – definizione di: 314 n. 267.
Scienza Speech-act: 47; 92 sgg.
– definizione di: 144 n. 27. Stilistica: 115 sgg.
-limiti della: 144 sgg. – stilemi: 35; 41; 310 sgg. Stocastico
Scrittura (vd. anche Orale): 270 sgg.; – definizione di: 148 n. 39.
278 sgg.; 289 sgg.; 303; 315. – giochi: 147-8; 216.
– e ebraismo: 281 n. 79.
Tassonomia: 34; 288 sgg.; 298 sgg.;
– e esoterismo: 271 sgg.; 278 sgg.
308 sgg.
– e Indeuropei: 33; 278 sgg.
– etno-scientifica / culturale: 260; 267
– in Grecia: 32-3; 208 sgg.
sgg.; 295 sgg.
– in India: 95; 275 sgg. – definizione di: 298 n. 169.
– in Iran: 272-3; 281 n. 77. – formazione delle: 260; 267 sgg.
– e memoria: 206; 284, n. 87. – inferenziale: 298-9.
– come operazione ermetica: 33; 278 – preferenziale: 298.
sgg. – di valori: 298 sgg.
– e pensiero analitico: 207. Teatro: 229 sgg.
– e scuole poetiche: 278 sgg. Tema (tematico): 85 sgg.; 102; 120
– e teatro: 229 sgg. sgg.; 288 sgg.; 302.
Semitico / Semiti: 137-8; 263. – definizione di: 88-9.
– antisemitismo: 328. – ereditato: 31; 46; 51; 104.
Significazione: 63; 98; 125; 152; 307 n. Teoria dei codici: 140.
229; 320. Teoria della complessità: vd.
Simbolo Comples-sita.
– invenzione dei: 183 n. 124; 184; 191 Teoria dell’identità: 166, n. 44 sgg.
sgg. Teoria del mentalismo ingenuo: 167-8.
– invenzione visuosimbolica / visuo- Territorio: 150 sgg.; 285 sgg.; 314 sgg.
grafica: 204 sgg.; 221-2; 245-6. Termodinamica: vd. Fisica.
– – definizione di: 204. Testo: 39; 69; 71 sgg.; 126 sgg.

500
INDICE DEGLI ARGOMENTI

– comparazione di: 55 sgg.; 73; 76 86- Valutazione: vd. Valori.


87. Vedico: 17; 42 sgg.; 58; 80-82; 93; 95;
– corpus di: 203; 204 n. 197. 126 sgg.; 132; 243 sgg.; 273 sgg.;
– fissazione: 95 sgg.; 100; 126; 268; 308 sgg.
303. – fissazione del canone: 273 sgg.
Tipologia (comunanza tipologica): vd – tradizione: 80; 273 sgg.
Affinità elementare. Venetico: 268.
Transizioni di fase: 167-8; 317 sgg. Verità (vd. anche Inconscio e Episte-
Trascendenza mologia)
– tecnologie della: 315 sgg. – della coscienza: 215 sgg.
Tribù: 260; 268 – valori di: 291 sgg.
– definizione di: 260. Vestigia
Trifunzionalità: 31; 45; 76-79. – cognitive: 178; 184.
– definizione di: 184 n. 127.
Ugro-finnico: 256 sgg. – paleomesolitiche: 239 sgg.; 266.
– prestiti i.e. in: 255 n. 57; 269. Vita: 148; 297; 317 sgg.
– prestiti indoir. in: 255 sgg.; 269. Voce
– apparato vocale: 181 sgg.; 182 n.
Valori: 74; 87; 291 sgg.; 297 sgg.; 315 116; 190-2.
sgg.; 325 sgg. – interiore: 209; 213; 219 sgg.; 226
– caratteristiche e funzioni cognitive sgg.
dei: 300 sgg. Wolfram S.
– definizione di: 299. – regole di: 168, n. 58.
– come meta-informazioni: 303; 312.
– ricostruzione dei: 6-7; 297 sgg. Zarathustra: 130; 310.
– tassonomie di: 298-9.

501
INDICE GENERALE

Premessa pag. 5

PARTE I
VENTICINQUE ANNI DOPO (1967-1992)

1. UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA » 11


1.1. I precedenti » 13
1.2. La svolta: il volume di Rüdiger Schmitt » 15
1.3. Le recensioni » 19
1.4. La moda » 22
1.5. L’entrata in circolo » 26

2. GLI STUDIOSI » 31
2.1. Françoise Bader » 31
2.2. Enrico Campanile » 35
2.3. Marcello Durante » 39
2.4. Gregory Nagy » 43
2.5. Calvert Watkins » 47

3. IL METODO » 55
3.1. Il metodo genealogico » 55
3.2. Il metodo semantico-stilistico » 60
3.3. Il metodo testuale » 65
3.4. Il metodo post-duméziliano » 75
3.5. Il metodo della New Comparative Philology » 79

503
INDICE GENRALE

4. IL MATERIALE pag. 111


4.1. Fraseologia » 112
4.2. Stilistica » 115
4.3. Metrica » 117
4.4. Tematica » 120
4.5. Letterarietà » 121
4.6. Poetologia » 123

5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE » 125


5.1. Sul concetto di lingua poetica » 125
5.2. I risultati » 129
5.3. La lingua poetica come euresi del pensiero in-
deuropeo » 132

PARTE II
LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA

1. VERSO UN METODO SISTEMICO » 137

2. LE ORIGINI DELLA COSCIENZA » 155


2.1. Per un’ecologia della coscienza » 155
2.2. Diacronia della mente e nascita della coscienza » 165
2.3. Tipologie dell’autocoscienza » 209
2.4. La voce di dentro » 219

3. LE ORIGINI INDOEUROPEE » 239


3.1. Le vestigia paleomesolitiche » 239
3.2. La transizione neolitica » 257

4. LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDOEUROPEA » 265


4.1. La lingua poetica come coscienza dell’oralità » 265
4.2. La lingua poetica come oralità della coscienza » 285
4.3. La lingua poetica come canone della diversità » 303

504
INDICE GENRALE

4.4. La lingua poetica come viatico alla storia: ordine,


complessità e caos nell’etnogenesi indeuropea pag. 313

5. CONCLUSIONI E PROIEZIONI » 325

PARTE III
BIBLIOGRAFIA

1. PRESENTAZIONE E ISTRUZIONI PER L’USO » 333


1.1. Abbreviazioni . . » 334

2. REPERTORI BIBLIOGRAFICI » 343

3. OPERE DI CONSULTAZIONE » 347

4. BIBLIOGRAFIA GENERALE » 357


4.1. Studi e opere varie » 357
4.2. Studi etno-antropologici, storico-religiosi e di
storia della cultura » 358
4.3. Studi storici e archeologici » 366
4.4. Studi di genetica e di paleo-economia » 369
4.5. Studi sulla scrittura, l’oralità e la narrazione » 375
4.6. Studi sulla coscienza, la cognizione, la mente e il
cervello » 391
4.7. Studi di linguistica e letteratura » 409
4.8. Studi di cibernetica e di fisica » 429

5. RASSEGNA CRITICA DEGLI STUDI SULLA LINGUA POETICA


INDOEUROPEA DAL 1967 AL 1992 » 433
5.1. Avvertenza » 433
5.2. Sinossi tematica » 434
5 .3. Sinossi cronologica » 437
5 .4. Rassegna » 440

CONGEDO » 477

Indice degli autori antichi e moderni. » 481

Indice degli argomenti » 493

505

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