«LA COLOMBARIA»
«STUDI»
CLXXXIV
GABRIELE COSTA
LE ORIGINI
DELLA LINGUA POETICA
INDOEUROPEA
Voce, coscienza e transizione neolitica
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MCMXCVIII
PREMESSA
5
PREMESSA
6
PREMESSA
7
PREMESSA
8
PARTE I
1
Gli studi sulla lingua poetica indeuropea sono una delle più belle
realtà dell’indeuropeistica degli ultimi trent’anni. Nel rifiorire genera-
le delle ricerche di linguistica comparata, di qua e di là dagli oceani,
questi studi hanno rappresentato uno sprone acuminato per la ricerca
e un banco di prova efficiente per sperimentare metodologie nuove.
Raccogliere e sistemare la vasta produzione specifica, seguendone
gli sviluppi scientifici e ricostruendone i passaggi intellettuali, equi-
varrà allora anche a delineare un capitolo della storia recente della
linguistica.
Poche discipline scientifiche hanno una tradizione così ricca di
riflessione su di sé e sull’oggetto delle proprie ricerche come la
linguistica; tuttavia, pochi lavori di linguistica, soprattutto storica,
sono autoriflessivi e metapropositivi: la fedeltà al paradigma e alle
scuole d’appartenenza, esauriscono spesso l’epistemologia nelle note
bibliografiche o in una breve rassegna iniziale dello stato dell’arte. Per
converso, sono sempre più numerosi i lavori di revisione o di messa a
1
Scrivo indeuropeo e non indoeuropeo, non per vezzo eufonico ma per rimanere, fin dalla
denominazione dell’oggetto d'indagine, nella tradizione di Giacomo Devoto e di Vittore Pisani;
comunque sia, da ora in avanti: indeuropeo = i.e.
11
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
2
Di TH. KUHN si vedano soprattutto: The Structure of Scientific Revolutions, Chicago
1970, IV ed., trad. it. Torino 1978 e The Essential Tension, Chicago 1977, trad. it. Torino 1985.
3
Com’è noto, la gran parte delle riviste scientifiche esce in realtà con uno, due, a volte
perfino tre anni di ritardo rispetto all' anno fittiziamente indicato in copertina: il termine del
1992 è dunque da intendersi come riferito a tutto ciò che nominalmente è stato pubblicato fino a
quell’anno: vd. III,5,1 Avvertenza, p. 433.
12
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
1. 1. I PRECEDENTI
Le prime ricerche sulla poesia i.e. risalgono agli inizi della seconda
4 5
metà dell’800, a quando Adalbert Kuhn, nel 1853, confrontò per la
prima volta la formula omerica klšoj ¥fqiton con quella vedica śrávo
ákşitam, un confronto che ha orientato e in qualche modo incentrato
su di sé l’intera ricerca e su cui, come vedremo, la discussione è tuttora
aperta. il termine ‘indogermanische Dichtersprache’ fu coniato invece
6
da Adolf Kaegi nel 1881, quando già erano apparsi, seppure in lavori
quasi sempre dedicati precipuamente ad altro, diversi e importanti
7
confronti poetici tra lingue i.e. È infatti caratteristica comune a quasi
tutte le osservazioni sulla lingua poetica i.e. pubblicate fino alla metà
del ’900, quella di essere sparse in ricerche diversamente ispirate o
4
Il primo capitolo di R. SCHMITT, 1967a (pp. 6-60), è dedicato a un esame, minuzioso e
attento, dei contributi apparsi fino al 1963 (lo studioso awerte in una nota – 338 a p. 60 – di non
aver potuto aggiornare alla data della pubblicazione, per motivi tecnici, il I capitolo, ma di averlo
potuto fare per i capitoli successivi): rinvio a questo lavoro per la storia degli studi precedenti e
alle numerose, belle recensioni – sono tutte reperibili nella Rassegna critica (III, 5), alle pp.
440-476 – che gli sono state dedicate, per le poche integrazioni necessarie; per un orientamento
sugli studi del decennio seguente, vd. M. DURANTE, 1976, cap. I e E. CAMPANILE, 1977, cap. I;
sulla congerie culturale e sulla prassi metodologica della linguistica ottocentesca, dopo gli
importanti studi di S. Timpanaro, si possono vedere con profitto, tra gli ultimi, MARIA PATRIZIA
BOLOGNA, Ricerca etimologica e ricostruzione culturale. Alle origini della mitologia comparata,
Pisa 1988 e K. KOERNER, The Natural Science Background to the Development of Historical-
Comparative Linguistics, in H. AERSTEN – R. J. JEFFERS (eds.), Historical Linguistics 1989. Papers
from the 9th International Conlerence on Historical Linguistics (Rutgers University: 14-
18/8/1989), Amsterdam-Philadelphia 1993, pp. 1-24.
5
Cfr. A. KUHN, Ueber die durch nasale erweiterten verbalstämme, «KZ» 2 (1853), p. 467.
6
Cfr. A. KAEGI, Der Rigveda, die älteste Literatur der Inder, Leipzig 1881, II ed., p. 128; vd.
anche R. M. MEYER, Alte deutsche Volksliedchen, «ZDA» 29 (1885), p. 234 e ID., Die altgerma-
nische Poesie nach ihren lormelhaften Elementen beschrieben, Berlin 1889, p. 516.
7
Per esempio in R. WESTPHAL, Zur vergleichenden metrzk der indogermanischen völker,
«KZ» 9 (1860), pp. 437-458; W. SONNE, Sprachliche und mythologische untersuchungen, angek-
nüplt an Rigv. I, 50, «KZ» 15 (1866), p. 378; A. WEBER, Zweites Buch des Atharva-Samhitâ, «IS»
13 (1873), p. 208.
13
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
8
È apparsa in «Philologus» 95 (1943), pp. 1-19 (= Kleine Schriften, Göttingen 1953, vol. I,
pp. 186-204), nello stesso anno di H. H. SCHAEDER, Auf den Spuren indogermanischer Dichtung,
«WL» 18 (1943), pp. 82-85; per un commento alle diverse posizioni dei due studiosi, vd. R.
SCHMITT, 1967a, pp. 43-44.
9
In un cursorio ordine cronologico, ricordo: W. SCHULZE, Etymologisches, «SbKPAW»
Jahrgang 1910, Berlin 1910, pp. 787-808 (= Kleine Schriften, Göttingen 1933, pp. 111-130); J.
WACKERNAGEL, Indoiranica. 9. Zum Dualdvandva, «KZ» 43 (1910), pp. 295-298 (= Kl. Schr. cit.,
pp. 280-283); K. BRUGMANN – B. DELBRÜCK, II, 3, (StraEburg 1916), p. 893; A. MEILLET, Les
origines indoeuropéennes des mètres grecs, Paris 1923; H. LOMMEL, Eine Beziehung zwischen
Veda und Edda, «ZDA» 73 (1936), pp. 245-251; F. SPECHT, Eine altind. – germ. Auffassung des
Heilvorganges, «KZ» 65 (1938), pp. 208-210; P. THIEME, Der Premdling im Rgveda. Eine Studie
über die Bedeutung der Worte ari, aryaman und arya, Leipzig 1938; E. SCHWYZER, Die Parenthese
im engern und weitern Sinne, «APAW» , Jahrgang 1939, Phil. – hist. Klasse, Nr. 6, Berlin 1939,
pp. 10 sgg.
10
Cfr. V. PISANI, 1966, p. 106.
11
Cfr. H. HIRT, vol. I, p. 124; la traduzione è tratta dall'articolo di V. Pisani citato nella
nota precedente.
14
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
12 13
all’indoiranico, o al germanico; ma è agli inizi degli anni sessanta
che cominciano a crescere sia l’esigenza di allargare la base compara- 14
tiva delle ricerche, coinvolgendo così nelle indagini altre lingue i.e.,
sia la necessità di una migliore comprensione della specificità del
linguaggio poetico i.e.,
15
delle figure e dei procedimenti stilistici che a
questo erano propri. 16
I tempi, insomma, erano oramai maturi perché qualcuno racco-
gliesse il materiale disperso in tanti rivoli e tentasse la prima definizio-
ne di un quadro d’insieme di quel che fino ad allora si era venuti
indagando e scoprendo.
Cfr. H. LUDERS, Varulņa, aus dem Nachlaß hrsg. von L. Alsdorf, Gottingen 1951-59,
12
voll. I-II; P. THIEME, Studien zur indogermanischen Wortkunde und Religionsgeschichte, Berlin
1952; di quest’ultimo vanno ricordati anche Die Wurzel vat, in Asiatica. Festo Fr. Weller, Leipzig
1954, pp. 663 sgg. e Vorzarathustrisches bei den Zarathustriern und bei Zarathustra, «ZDMG»
107 (1957), pp. 67-104; F. B. J. KUIPER, Svávŗşţi-, ŖS I. 52. 5a, 14c, «IIJ» 4 (1960), pp. 259-263.
13
Cfr. B. SCHLERATH, Zu den Merseburger Zaubersprüchen, in II. Fachtagung für indoger-
manische und allgemeine sprachwissenschaft, Vorträge und Veranstaltungen, IBK Sonderheft 15
(1962), pp. 139-142, che riprende A. KUHN, Indische und germanische segensprüche, «KZ» 13
(1864), pp. 49 sgg. e 113 sgg. e G. EIS, Der älteste deutsche Zauberspruch, «FF» 30 (1956), pp.
105 sgg. (poi in lo., Altdeutsche Zaubersprüche, Berlin 1964).
14
Tra cui lo slavo e il celtico, fino a quel momento trascurati in questo tipo di ricerche: vd.
R. JAKOBSON, Slavic Epic Verse: studies in Comparative Metrics, «OSlP» 3 (1952), pp. 21-66 (=
ID., Selected Writings, The Hague – Paris 1966, vol. IV, pp. 414 sgg.; C. WATKINS, Indo-
European Origins of a Celtic Meter, «Poetics» (1961), pp. 97-111 e ID., Indo-European Metrics
and Archaic Irish Verse, «Celtica» 6 (1963), pp. 194-249.
15
Sono di quegli anni, infatti, le prime ricerche di M. DURANTE sugli stilemi della lingua
poetica greca, visti alla luce di un’accorta comparazione i.e.: Il nome di Omero, «RaLinc» 12
(1957), pp. 94-11; Epea pteroenta. La parola come “cammino” in immagini greche e vediche,
«RaLinc» 13 (1958), pp. 3-14; Ricerche sulla preistoria della ligua poetica greca: la personificazio-
ne, ibid., pp. 366-379; Vedico sumná-, greco Ûmnoj, «RaLinc» 14 (1959), pp. 388-398; Ricerche
sulla preistoria della lingua poetica greca. La terminologia relativa alla creazione poetica, «RaLinc»
15 (1960), pp. 231-250; Appendice: la gloria poetica e la sfrag…j, ibid., pp. 224-226; Saggio sulla
lingua poetica greca, Palermo 1960; Ricerche sulla lingua poetica greca. L’epiteto, «RaLinc» 17
(1962), pp. 25-43.
16
Non si può non ricordare però, con M. DURANTE, 1976, p. 6 nota 3, come nelle due più
importanti opere sull'indeuropeo e sugli Indeuropei apparse in quel periodo – G. DEVOTO,
Origini indeuropee, Firenze 1962 e E. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-
européennes, Paris 1969 –, non vi sia menzione alcuna della lingua poetica i.e.; vd. però O.
SCHRADER – A. NEHRING, vol. I, pp. 187 sgg.
15
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
17
R. Schmitt è attualmente docente a Saarbrücken; dopo i lavori dedicati alla lingua
poetica i.e. (cfr. R. SCHMITT, 1967a, 1967b, 1968, 1969, 1973), si è dedicato soprattutto allo
studio dell’iranico e dell’armeno.
18
Cfr. R. SCHMITT, 1967a, Vorbemerkung.
19
Cfr. V. PISANI, 1966, pp. 105-122; anche l’articolo del 1968(b) di Federico Albano Leoni
parte dalla prima redazione del libro di R. Schmitt.
20
Cfr. V. PISANI, ibid., p. 105; la tesi della Foraboschi Porrino fu pubblicata poi nei
«Rendiconti dell’Istituto Lombardo» (cfr. EAD., 1969, pp. 49-77); non conosco altri lavori di
questa studiosa, perlomeno di argomento simile; un’altra tesi sullo stesso argomento, del 1949
ma rimasta purtroppo inedita, è segnalata da R. LAZZERONI, 1968, p. 222.
16
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
21
Cfr. R. SCHMITT, 1967a, p. 4.
22
Cfr. ivi, p. 317.
23
Gli altri capitoli sono dedicati agli elementi formali della lingua poetica i.e. (VII), al
poeta e il suo canto (IX) e alla metrica i.e. (X).
17
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
24
Vd. A. BLOCH, 1968; anche E. CAMPANILE, 1990c, p. 107, è scettico sulla possibilità di
ricostruire generi letterari di epoca i.e. ma con altre motivazioni: tornerò più avanti sull’argo-
mento.
25
E così la pensava anche V. PISANI, 1966, p. 106, da cui prendo la traduzione del passo di
M. Leumann, mentre il rinvio bibliografico è in R. SCHMITT, 1967a, p. 1.
26
Cfr. R. SCHMITT, 1967a, pp. 314 sgg.
27
Invito per ora il lettore a contentarsi di questa definizione provvisoria della lingua
poetica i.e.: anche su ciò tornerò più avanti.
18
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
1. 3. LE RECENSIONI
28
Cfr. V. PISANI, 1966, p. 108.
29
Con l’eccezione del solo Marcello Durante, come vedremo.
30
Le recensioni di R. SCHMITT, 1967a, a me note, sono di: A. BLOCH, 1968; R. HIERSCHE,
1969; J. GONDA, 1969; R. LAZZERONI, 1968; F. LOCHNER-HUTTENBACH, 1969; V. PISANI, 1966,
1968; E. RISCH, 1969a; A. SCHERER, 1968; F. R. SCHRÖDER, 1968; sono sostanzialmente recensio-
ni anche gli articoli di H. HUMBACH, 1967, F. ALBANOLEONI, 1968b e J.J.S. WEITENBERG, 1969.
19
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
31
Non così per l'indianista olandese Jan Gonda, che nella sua severa recensione (cfr. J.
GONDA, 1969, pp. 308-9) segnalò, oltre a diversi passi della propria sterminata produzione
trascurati da Schmitt, qualche lavoro che era sfuggito allo studioso, tra cui J. PORTENGEN, De
oudgermaansee dichtertaal in haar ethnologisch verband, Diss. Leiden 1915 e W. CALANO, A
Rhythmic Law in Language, «AOL» 9, pp. 9 sgg.; due assenze italiane di rilievo, sono segnalate
da R. LAZZERONI, 1968: G. PASQUALI, Preistoria della poesia romana, Firenze 1936, rist. Firenze
1981 (con la giunta di un lungo e appassionato saggio di S. TIMPANARO: Pasquali, la metrica, e la
cultura di Roma arcaica) e T. BOLELLI, Due studi irlandesi, Pisa 1950; altre integrazioni bibliogra-
fiche in F. LOCHNER-HÜTTENBACH, 1969, p. 203.
32
Cfr. ad es. E. RISCH, 1969a, p. 323 e F. R. SCHRÖDER, 1968, p. 454.
33
Cfr. E. RISCH, 1969a, p. 324.
34
Cfr. R. LAZZERONI, 1968, p. 227.
35
Cfr. J. GONDA, 1969, p. 309 e R. HIERSCHE, 1969, p. 234; francamente inconsistenti mi
paiono invece le accuse a Schmitt di prolissità e ripetitività nell'esposizione (cfr. E. RISCH, 1969a,
p. 323 e J. GONDA, 1969, p. 309); in quasi ogni recensione, sono presenti poi discussioni su
singoli punti dell'opera di R. Schmitt: poiché non apportano dati nuovi, mi permetto qui di
tralasciarle, rinviando alle singole note della Rassegna critica (III,5).
20
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
spiegare tutto, dall’altra bisogna pur dire che le domande ora menzio-
nate assumono un senso, la possibilità stessa di essere formulate,
proprio a partire dall’esistenza di un’opera di raccolta e di sintesi
come quella fatta dallo studioso tedesco. Intendo dire con ciò che più
che rilievi critici, le questioni poste dagli studiosi sopra citati, rappre-
sentano, e come tali vennero accolte dalla comunità scientifica e in
particolare da coloro che in seguito si occuparono dello stesso argo-
mento, l’indicazione di possibili temi per indagini ulteriori, temi che la
ricerca avrebbe dovuto affrontare proprio a partire dai risultati rag-
giunti da R. Schmitt.
A più di venticinque anni di distanza, le risposte a quei quesiti,
diventati nel frattempo veri e propri filoni d’indagine sulla lingua
poetica i.e., possiamo, come si vedrà oltre, formularle in maniera
sicura su una base di dati ampia e acquisita e tuttavia, anche con ciò
che si sapeva allora, era già possibile dare qualche risposta non
interlocutoria.
La risposta migliore al quesito in 1) è il volume stesso di Schmitt:
la messe dei confronti raccolti è tale, per quantità e qualità, da
escludere, una volta per tutte, che essi siano dovuti a una comunanza
tipologica tra testi poetici appartenenti a generi letterari simili; pari-
menti da escludere, per la raffinatezza e la consapevolezza poetologica
che intrinsecamente i testi dimostrano, è l’ipotesi che questi confronti
vadano attribuiti a una presunta elementarità delle forme del pensiero
36
poetico ‘primitivo’.
37
Al quesito in 2) si può intanto rispondere, come è stato fatto, che
la prevalenza dei confronti greco-arii, all’interno del materiale raccolto
da Schmitt, è dovuto prima di tutto all’estrema antichità delle due
tradizioni letterarie, poi al fatto contingente che molti tra gli studiosi
che si sono occupati di lingua poetica i.e. erano grecisti o indianisti di
formazione, infine che l’aver trascurato le altre tradizioni linguistiche
i.e. – qualcuna anche perché non ancora scoperta: l’ittita! –,
è appunto uno dei limiti più vistosi delle ricerche condotte fino ad
allora. Ciò non toglie, ma è un aspetto che verrà chiarito negli anni
36
Com’è noto, l’uso, in linguistica comparata, del concetto di Elementarverwandtschaft
risale a Hugo Schuchardt; esso appartiene a un armamentario di nozioni (Lévy-Bruhl, Boas ecc.)
superato dalla ricerca antropologica e storico-religiosa da decenni; a questo proposito si veda la
stroncatura impietosa di Giulia Piccaluga (in «SSR» I (1975), pp. 391-5) dei volumi di M.
Durante (1971 e 1976).
37
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, p. 34, nota 55.
21
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
1. 4. LA MODA
42
Negli anni successivi, sulla scia del successo ottenuto da Schmitt
e dell’interesse suscitato da un campo di studi che per tanti rappre-
38
Non intendo liquidare le teorie di V. Pisani così sbrigativamente: su alcune di quelle che
a me paiono sue ‘divinazioni’, tornerò più avanti nel presente lavoro.
39
Cit. da V. PISANI, 1966, p. 107.
40
Cfr. R. LAZZERONI, 1968, p. 228.
41
R. Schmitt tornò su argomenti di lingua poetica i.e., in parte già trattati nel suo volume,
con due articoli brevi (1967b e 1969), una recensione assai critica di W. WÜST, 1969c (1971) e
un saggio sui rapporti tra onomastica e composti bimembri (1973), recensito in A. SCHERER,
1973, G. SCHRAMM, 1974, J. TISCHLER, 1975, F. BADER, 1978; molto utile è poi l’antologia –
Indogermanische Dichtersprache – da lui curata e edita nel 1968, recensita poi in B. ROSENKRANZ,
1969, E. RISCH, 1969b, H. SCHMEJA, 1970.
42
Fra il 1968 e il 1970, furono pubblicati 32 tra articoli e recensioni sulla lingua poetica i.e.:
per i ritmi e i toni consueti all’indeuropeistica, si tratta di un numero di interventi eccezionale e
22
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
sentava una novità, le ricerche sulla lingua poetica i.e. divennero una
moda e molti si gettarono con entusiamo su un argomento che
sembrava promettere gloria per tutti: va detto infatti che se per taluni
la pubblicazione del volume di R. Schmitt significò l’inizio di una
duratura passione scientifica, per molti fu soltanto un amore occasio-
nale.
Osservando l’andamento quantitativo della produzione scientifica
sul grafico ideale che si può costruire sulla base della Sinossi cronolo-
gica (III,5,3), si nota agevolmente come, passato il periodo delle
recensioni ma anche quello dei lavori – pochi, in verità – che ancora
prescindono dallo Schmitt e che continuano l’onda dei primi anni
43
sessanta, esso si sviluppi attraverso un momento iniziale, tra gli anni
1973 e 1979, caratterizzato da singoli interventi di molti studiosi – ma
anche dall’uscita di volumi importanti come quelli di M. Durante
(1971 e 1976), G. Nagy (1974) e E. Campanile (1977) – e come, dopo
una fase di assestamento durata qualche anno, si possa parlare di un
ingresso definitivo, caratterizzato questo dai molti lavori di pochi
studiosi, della lingua poetica i.e. nel circuito degli studi a partire dalla
seconda metà degli anni ’80.
Quelle che si potrebbero considerare come le costanti di tale
andamento della ricerca, sono rappresentate invece dall’attività scien-
tifica di alcuni studiosi la cui produzione, tuttavia, per importanza,
connotazioni personali e sviluppo interno, ho ritenuto andasse esami-
nata e discussa in un capitolo a sé (I,2) e questo, anche per l’individua-
lità insopprimibile che comunque connota l’attività degli studi umani-
stici, senza che la cronistoria, almeno così mi sembra, ne uscisse
menomata al punto da essere irriconoscibile.
Nella parte centrale degli anni settanta, le attenzioni dei ricercato-
ri in parte si rivolsero a quegli aspetti trascurati o tralasciati dalle
indagini precedenti a cui si è accennato sopra e in parte al tentativo di
sondare nuove strade.
che ha riscontro forse solo con quello del recente dibattito scatenato da Archaeology and
Language. The Puzzle of Indo-European Origins di Colin Renfrew (London 1987).
43
Vd. supra, p. 15; tra questi vanno indicati l’utile lavoro di L. BOTTIN, 1969, sull’aumento,
quelli di V. V. IVANOV, 1967a e 1967b, E. BENVENISTE, 1968 e A. PAGLIARO, 1969. Accenno qui
brevemente, per tornarci poi nel capitolo sul metodo (1,3), ai lavori di W. Wüst (1969a, 1969b,
1969c): lo studioso vi sostenne una posizione di rifiuto pregiudiziale dell’esistenza di una lingua
poetica i.e., simile a quella di H. HUMBACH, 1967, che non ebbe seguito ma che fu comunque
una controprova utile.
23
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
44
Stimolate anche dal bel volume di G. Nagy (1974), diverse
furono le ricerche di metrica; tra queste vanno ricordate la tesi di
45
dottorato di J. F. Vigorita e gli articoli che ne trasse in seguito,
l’articolo di B. Vine 1977, sull’uso della catalessi e dell’acefalia nella
46 47
metrica i.e., le ampie ricerche di J. Kurylowicz, i cui risultati a
volte non sembrano condivisibili ma che sono sempre lezioni di rigore
48
metodologico, il lavoro di M. L. West sui metri standard dell’i.e.
Sono dedicate invece ai rapporti col mondo anatolico e mesopotamico
le indagini di]. Puhvel, R. Gusmani e H. Wagner; sobrio, equilibrato
ma anche, stante la pochezza del materiale, desolatamente privo di
49
risultati positivi, l’articolo sulle iscrizioni poetiche lidie di Gusmani,
ben fatto e innovativo nell’accostamento il lavoro del 1974 di
50 51
Puhvel su mito e narrazione nell’epopee i.e.; i dotti accostamenti
52
tra mondo celtico e Vicino Oriente di H. Wagner mi paiono invece
spesso poco convincenti, anche se è certo interessante il tentativo di
53
allargare la ricerca senza pregiudizi.
Se le ricerche di L. Hertzenberg, 1974 e di G. Dunkel, 1979, volte
alla ricostruzione di formule e metafore ascrivibili alla lingua poetica
i.e., sono nel solco della tradizione, fu invece innovativo un lavoro di
54
tre studiosi pisani apparso nel 1974: esso, comparando i tratti
44
Il lungo articolo di N. Berg del 1978 sull’origine dell’esametro, per esempio, trae
direttamente spunto – critico! – dai risultati di G. NAGY, 1974.
45
Cfr. J. F. VIGORITA, 1973, 1976, 1977a, 1977b.
46
Su questo vd. anche M. L. WEST, 1982.
47
Cfr. J. KURYt..OWICZ, 1970, 1975a, 1975b.
48
Di questo Autore va menzionata anche la recensione a G. NAGY, 1974: M. L. WEST,
1974.
49
R. Gusmani è giustamente contrario all’ottimismo ricostruttivo manifestato sullo stesso
tema da D. G. MILLER, 1968.
50
Lo studioso tornerà a occuparsi di lingua poetica i.e. una decina di anni dopo: cfr. J.
PUHVEL, 1983, 1988, 1991.
51
Su questo argomento esiste una comoda raccolta di saggi, curata e prefata da K. VON
SEE: ID., 1978.
52
Cfr. H. WAGNER, 1970 e 1975; utile anche la recensione di questo Autore (H. WAGNER,
1972) a W. MEIO, 1971.
53
Tra gli studi dedicati ai rapporti poetico-mitologici tra mondo greco e mondo anatolico,
va ricordato anche R. LAZZERONI, 1969.
54
Cfr. E. CAMPANILE – CH. ORLANDI – S. SANI, 1974; di S. Sani si può qui citare anche un
lavoro sull’allitterazione: cfr. S. SANI, 1972.
24
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
55
comuni al poeta celtico e a quello indiano antico, cominciò a chiari-
re le funzioni dei poeti nel mondo i.e., venendo così incontro a uno
56
dei limiti manifestati dagli studi precedenti.
57
In quegli anni, tra i lavori che tentarono nuove strade di avvici-
namento alla problematica della lingua poetica i.e., vi sono anche G.
K. Gresseth, 1979 che fece uso di metodologie proprie alla ricerca sul
folklore nel comparare l’Odissea e il Nalopakhyāna (= Mbh., III, 6,
52-77), mettendo in luce convergenze che tuttavia si resta incerti se
classificare come genetiche o – più probabilmente – come tipologiche
58
e un avvincente, lungo articolo di R. Ambrosini, rimasto purtroppo
l’unico su questo argomento nella vasta produzione del brillante
studioso. La novità, nel saggio di Ambrosini, sta nel taglio critico-
letterario dell’accostamento, un punto di vista fino ad allora scarsa-
mente utilizzato e che gli consente di ottenere la ricostruzione – si
tratta certo di speculazioni ardite ma la consistenza del materiale
addotto è solida – di una struttura compositiva antichissima, scavando
nella tradizione con un procedimento stratigrafico esemplare per
chiarezza e per difficoltà di applicazione ulteriore.
Adotta una metodologia di impianto storico-letterario, anche
l’ampio saggio firmato da T. Elizarenkova e V. N. Toporov (1979);
qui, pur in un lavoro assai utile e pieno di osservazioni interessanti e
innovative, lasciano tuttavia dubbiosi i numerosi paralleli con le lette-
rature moderne e una tendenza a voler ricostruire generi poetici sulla
base di quelli attestati nelle letterature storiche, soprattutto nella
59
letteratura indiana antica.
Ha invece un taglio semiotico-strutturalista B. L. Ogibenin, 1982,
la versione italiana di un articolo apparso in russo nel 1973 : è questa la
prima applicazione di un metodo d’indagine da alcuni ritenuto perso-
55
È dedicato al celtico anche W. MEIO, 1971, un breve saggio che ha avuto forse più
notorietà e recensioni di quanto meritasse.
56
Cfr. supra, p. 20.
57
Ho qualche difficoltà a classificare tra questi tentativi innovativi W. RUBEN, 1975: temo
infatti che l’accostamento marxista-leninista alla lingua poetica i.e. che lo contraddistingue, se
pure è una novità – rimasta peraltro inimitata –, non sia di alcuna utilità in questo genere di
studi.
58
Cfr. R. AMBROSINI, 1970.
59
In questo lavoro, che è noto ai più nella sua versione – a firma del solo V. N. Toporov –
pubblicata in tedesco nel 1981 su «Poetica», in realtà, c’è molto di più: avrò modo di tornare a
parlarne; anche D. WARD, 1973, propone la ricostruzione di un genere poetico di epoca i.e.: la
poesia satirica.
25
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
60
nalistico e fumoso, ma che consentirà poi allo studioso altre, più
61
ampie e forse più interessanti, ricerche.
Per qualche tempo poi gli studi sulla lingua poetica i.e. – con le
eccezioni dovute agli studiosi che vedremo nel capitolo I,2 – conob-
bero una fase di scarsa vitalità, un periodo forse necessario per
assorbire del tutto ciò che oramai era acquisito e per far sedimentare
le tante nuove proposte.
1. 5. L’ENTRATA IN CIRCOLO
60
Per le critiche, vd. R. SCHMITT, 1986 e C. H. WERBA, 1985.
61
Cfr. B. L. OGIBENIN, 1979, 1984, 1985.
62
Vd., per es., J. HAUDRY, L’indo-européen, Paris 1979, cap. VI e ID., Les Indo-Européens,
Paris 1981, pp.12 sgg., ma anche W. BURKERT, Griechische Religion der archaischen und
klassischen Epoche, Stuttgart 1977, ed. it. Milano 1984, vol. I, p. 26.
63
Vd. supra, p. 14.
64
A cui bisogna aggiugere le recensioni, non tutte favorevoli, che aveva ricevuto: cfr. M.
DURANTE, 1974a, M. L. WEST, 1974, M. W. HASLAM, 1976, J. BROUGH, 1977, H. HOENIGSWALD,
1977, F. BADER, 1979.
26
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
65
Il rinvio è alla nota 5; su quanto segue, vd. anche H. HOENIGSWALD, 1977.
66
Si riguardi la storia degli studi e il volume stesso di Schmitt: anche gli altri ‘generi
letterari’ sono pur sempre ancillari alla “gloria immortale”; di più: si legga la vulgata in J.
HAUDRY, Les Indo-Européens… cit. (nota 62), pp. 16 sgg., per rendersi poi conto appieno di
quanto romanzescamente improbabile sia questa visione della gloria i.e. (cfr. E. CAMPANILE,
1990c, p. 87).
67
Un passo forse decisivo, ma non ancora definitivo, verso la comprensione dell’humus
culturale che può aver generato questa formula così discussa, è quello di E. CAMPANILE, 1990c,
pp. 87-113.
27
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
68
In G. COSTA, 1984, sono in parte trascurate, volutamente, le possibilità di confronti con
l’avestico; si possono recupere con l’aiuto di L. H. GRAY, A List of the Divine and Demonic
Epithets in the Avesta, «JAOS» 4 (1926) pp. 97-153; V. GRAZI, 1990, propone invece, in uno dei
non molti lavori dedicati negli ultimi anni all’Edda e alla lingua poetica i.e., una serie di paralleli,
di diverso valore probatorio, tra epiteti divini islandesi antichi e greco-vedici.
69
Sui rapporti tra mondo greco e mondo anatolico, una comunanza di rapporti tuttora
poco indagata dal punto di vista di cui si parla qui, sono utili e ben fatti i già citati ultimi lavori di
J. PUHVEL: ID., 1983, 1988, 1991; è dedicato a ciò anche G. COSTA, 1987a.
70
Alla definizione della figura del poeta i.e., è dedicato anche P. MAC CANA, 1988, le cui
conclusioni, tuttavia, mi lasciano dubbioso.
28
1 – UN CAPITOLO DI STORIA DELLA LINGUISTICA
i.e. La novità dei due studi sta nell’essere riusciti a cogliere, sfruttando
le acquisizioni precedenti, le motivazioni socio culturali alla base delle
71
due formazioni morfo-stilistiche.
Restano invece a mio parere ancora poco risolutivi gli studi di
taglio comparativo-letterario, come J. E. Caerwyn Williams, 1986, P.
Mac Cana, 1989 o, meglio dei due precedenti, P. L. Henry, 1986;
anche M. L. West, 1988, una ripresa con aggiornamenti di Id., 1973a,
pur contenendo alcune idee interessanti, non mi pare vada concreta-
mente oltre le indicazioni un po’ generiche di correnti e di flussi
mitico-poetici.
Dedicati alla metrica i.e., un argomento che come in passato
continua a attirare spesso l’attenzione degli studiosi, sono gli utili ma
un po’ ripetitivi lavori di S. Suzuki (1988a, 1988b, 1992) sui fonda-
menti i.e. del verso germanico, l’articolo di storia della linguistica di P.
Swiggers, 1991, sul dibattito tra Meillet, Benveniste e Trubetzkoy a
proposito dell’indeuropeità della metrica greca, l’ardito ma compe-
tente lavoro di Z. Ritoók sulle origini dell’esametro, e, infine, il lungo
saggio di G. Olmsted, 1991, inficiato dalla misconoscenza di K. Klar –
72
B. O. Hehir – E. Sweetser, 1983-4, su metrica celtica e iscrizioni
73
poetiche celtiberiche.
Il giudizio sulle ultime tappe degli studi sulla lingua poetica i.e. è
quindi senza dubbio positivo, stante l’accortezza e direi quasi la
sagacia metodologica mostrate nell’allargamento dell’orizzonte com-
parativo, l’attenzione con cui si è cercato di coprire i vuoti delle
indagini passate, la prudenza impavida nell’apertura ai risultati delle
altre discipline.
71
Un bel lavoro tra lingua e cultura, che sintetizza in parte proprie ricerche precedenti, è
R. LAZZERONI, 1987.
72
È questo un lavoro importante e convincente che respinge le tesi espresse da C.
WATKINS in un famoso articolo del 1963 – Indo-European Metrics and Archaic Irish Verse… cit.
(nota 14, p. 15) – e torna a avvicinare la metrica celtica e quella germanica.
L’interessante, ecumenico e discusso volume di M. GASPAROV, Očerk istorii evropeisko-
73
vo sticha, Moskva 1989, trad. it. Bologna 1993, non riguarda direttamente l’argomento della
presente ricerca: l’Autore infatti, partendo dai risultati degli studi sul verso i.e., che ritiene – a
torto e con serie carenze informative – acquisiti per consenso generale, traccia una storia
genealogica delle varie metriche europee medievali e moderne; la «Fondazione Ezio Franceschi-
ni» ha dedicato alle ipotesi dello studioso russo una Giornata di studi su il verso europeo. Metrica
comparata e storia delle culture (Firenze: 4 maggio 1994), i cui atti sono in corso di stampa; tra le
relazioni presentate, ricordo qui R. AMBROSINI, Metrica e linguistica e P. SCARDIGLI, La metrica
germanica delle origini, entrambe utili, pur senza l’apporto di novità sostanziali.
29
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
Fin qui dunque, per sommi capi e con le esclusioni dette, la storia
lineare, cronologica, degli studi sulla lingua poetica i.e.; nei capitoli
che verranno, tornerò sulla gran parte dei lavori sopra citati e su altri
ancora, esaminandoli però come un insieme multilaterale, privo di
diacronia, percorso da sviluppi e da ritorni interni che ne segnano
direttrici spesso parallele e apparentemente ignote l’una all’altra ma
che poi danno – avvinte – implosioni tali da proiettare la conoscenza
mille anni indietro e la scienza cinquant’anni avanti.
Alcune di queste direttrici si identificano con l’attività intellettua-
le e il lavoro di ricerca di alcuni scienziati, che, più di altri, hanno
segnato gli studi recenti e recentissimi sulla lingua poetica i.e.: a loro è
dedicato il capitolo seguente.
30
CAPITOLO 2
GLI STUDIOSI
1
La studiosa insegna attualmente all’École pratique des hautes études di Parigi; le sue
competenze scientifiche sono ampie e la sua produzione è corposa: altri suoi titoli sono raccolti
in III,4,7.
2
Cfr. F. BADER, 1978b; sono di quegli anni anche due sue recensioni su questo argomento:
EAD., 1978a, 1979; per inciso, va notato qui anche un altro segno dell’avvenuta entrata in circolo:
ora, a differenza di quel che accadeva un tempo (cfr. supra, p. 13), se ci si occupa di lingua
poetica all’interno di lavori altri, lo si fa come di un argomento inserito necessariamente in una
visione globale dell’indeuropeità.
31
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
3
del 1980. In questo lungo articolo, ella, tornando in parte sulla figura
di Nestore già esaminata nel lavoro precedente, identifica «deux
larges morceaux de littérature héritée» (p. 80) sulle gesta del guerriero
policé, conservati nell’Iliade e nel Táin Bó Cúailnge – e in misura
4
minore nella storia romana –, comparabili tra loro per il contenuto,
la forma e l’uso di particolari tecniche letterarie.
Anche il lavoro seguente, del 1984, è dedicato all’identificazione e
alla ricostruzione di strutture narrative i.e. ereditate dalle letterature
storiche – in particolare, i temi iniziati ci della caccia e del furto della
cintura di una amazzone – e qui la studiosa, in alcune pagine introdut-
tive, chiarisce le sue idee sulla lingua poetica i.e.: «il a existé une tres
savante littérature i.e.» (p. 14) e di questa noi conosciamo i generi
letterari, le tecniche formali, la metrica, i modi di composizione e di
scrittura, le metafore, il ruolo del poeta; ma, aggiunge F. Bader, noi
conosciamo anche «motifs narratifs hérités» e «canevas de composi-
tion littéraire hérité» (p. 16) tra cui appunto quelli identificati dalla
Bader in questi suoi primi tre lavori, legati dunque tra loro da una
comune finalità ricostruttiva e da un progressivo affinamento metodo-
5
logico.
Slegato da questo filone, è l’articolo in 1988a, dove l’Autrice
6
ricostruisce la storia degli studi di A. Meillet sulla metrica i.e.: si
tratta di un lavoro ben informato e utile non solo per conoscere
l’evoluzione delle idee di Meillet, ma anche per farsi un’idea sul loro
accoglimento e sugli sviluppi posteriori delle ricerche sulla metrica i.e.
Si riaggancia invece ad alcuni dubbi espressi in F. Bader, 1980, il
lavoro del 1988(b) intitolato Homère et l’écriture: «mais la maîtrise
avec laquelle ces morceaux sont intégrés à l’ensemble de l’Iliade
s’accomode-t-elle d’une composition orale? Nous savons, a propos de
la Táin Bó Cúailnge, que Murgen a écrit un livre à partir de pièces
7
jusque-là séparées. N’a-t-il pu en être de même pour l’Iliade?».
3
Gli articoli di F. Bader superano spesso le cinquanta pagine, qualche volta addirittura le
cento: si leggono però senza annoiarsi e con fiducia nella loro utilità.
4
Sulle possibilità e i procedimenti necessari al recupero di fatti connessi alla lingua poetica
i.e. nell’epopea e nella storia romana, vd. infra, pp. 79.
5
Del metodo usato e dei risultati raggiunti da F. Bader, così come dagli altri studiosi
raccolti nel presente capitolo e nel precedente, parlerò estesamente nei capitoli 1,3 e 1,4.
6
F. Bader si era già occupata di metrica i.e. alcuni anni prima recensendo G. NAGY, 1974;
EAD., 1979.
7
Cit. da F. BADER, 1980, p. 83.
32
2 – GLI STUDIOSI
8
Cfr. anche F. BADER, La racine de POIKILOS, PIKROS, in Studies J. Chadwick,
Salamanca 1987, pp. 41-60, e vd. infra, pp. 271 sgg.
9
Un accenno alla necessità di indagare i «passages à double lecture» era già in F. BADER,
1984, p. 15.
10
Alla bibliografia su ‘la lingua degli dei’ raccolta in F. BADER, 1990b, p. 15 nota 14,
bisogna poi aggiungere D. MAGGI, Lingua degli dei nel Rigveda, «AGI» 77 (1992), pp. 105-121.
11
Pubblicato in E. CAMPANILE (ed.), Studi indoeuropei, Pisa 1985, pp. 9-50.
33
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
12
Si tratta di F. BADER, 1990a e 1992b, 1990b, 1990c e 1991b; cosa aggiungano al volume,
è precisato dalla stessa Autrice in 1990b, p. 4 nota 1 e in 1990c, p. 383 nota 1.
13
Ci vorrà tempo perché l’indeuropeistica e le varie filologie coinvolte vaglino e assorbano
le tante proposte – si pensi solo alle nuove etimologie per i nomi di Esiodo, Omero, Bellerofon-
te, Persefone, Febo, le Muse! – che esso contiene; per ora l’unica recesione a me nota, A. BLANC,
1990, è colma di ammirazione e di lodi.
14
Vd. infra, pp. 280 sgg.
15
Su questo argomento mi permetto di rinviare al mio Anemonimi benacensi. Lessico,
cognizione e tassonomia, Perugia 1992, in particolare alle pp. 131-150, e alla bibliografia ivi
raccolta; vd. poi infra, pp. 298 sgg.
16
Cit. da F. BADER, 1989, p. 102.
17
Ivi, p. 270.
34
2 – GLI STUDIOSI
2. 2. ENRICO CAMPANILE
20
Il contributo dello studioso pisano alla ricerca sulla lingua
poetica i.e., a differenza di quello di F. Bader, che, se anche innovativo
e per qualche aspetto addirittura geniale, resta pur sempre nel solco
tracciato dalla tradizione degli studi precedenti, si è distinto soprat-
tutto per aver impresso alle proprie indagini – ma anche a quelle degli
altri, avendo riscosso tra gli specialisti, a differenza della Bader, un
21
seguito più ampio, anche se forse proprio più nelle questioni meto-
18
Altri due suoi lavori di argomento poetico i.e. pubblicati nel 1992 sono: una recensione a
E. CAMPANILE, 1990c (= EAD., 1992a) e una versione abbreviata di F. BADER, 1990a (= EAD.,
1992b).
19
L’Autrice ha pubblicato un’altra versione, riassuntiva e senza bibliografia, ma con
qualche variazione, di questo lavoro in EAD., 1991c.
20
E. Campanile è morto, all’età di 58 anni, il 15 ottobre 1994; da molti anni insegnava al
Dipartimento di Linguistica di Pisa, città dove si era laureato con Tristano Bolelli e dove ho
avuto la fortuna di essere suo allievo negli anni del mio dottorato di ricerca; oltre che di lingua e
cultura poetica i.e, si era occupato, tra l’altro, di celtico, di iranico, di lingue dell’Italia antica:
alcuni di questi lavori, non precipuamente dedicati all’argomento della presente ricerca o
precedenti il 1967, sono raccolti in 111,4,7.
21
Non ho qui in alcun modo l’intenzione di stilare classifiche di merito, ma quella di
ricostruire, anche in termini di influenza sulle direzioni della ricerca, l’apporto fattivo di ogni
scienziato all’avanzamento degli studi sulla lingua poetica i.e.; è possibile, parzialmente e con
qualche difficoltà, determinare tali flussi con l’aiuto di quelle riviste, come per es. l’«Archivio
35
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
22
dologiche che nei risultati raggiunti – una direzione, quella della
ricostruzione e dell’interpretazione storico-culturale dei fatti di lingua
e di poesia i.e., che rappresenta, pur nella continuazione ideale di alcuni
tra i più duraturi saggi del passato – penso qui, per esempio, al Ven-
dryes de Les correspondances de vocabulaire entre l’indo-iranien et
l’italo-celtique –, la fondazione di un filone di ricerca nuovo e dirimente.
La produzione di E. Campanile sulla lingua poetica i.e. si è
incentrata infatti attorno ai volumi Ricerche di cultura poetica indoeu-
23
ropea del 1977, Studi di cultura celtica e indoeuropea del 1981, e La
24 25
ricostruzione della cultura indoeuropea del 1990, tre lavori legati
dalla continuità di una riflessione, sui temi delle strutture culturali e
ideologiche della società i.e. e delle produzioni testuali che a queste
davano la forma di una tradizione, diventata col tempo sempre più
personale e sempre più autorevole.
Dal punto di vista comparativo, l’apporto visibilmente più cospi-
cuo offerto dalle ricerche dello studioso pisano, è invece costituito dalla
grande messe di materiale tratto dalle lingue e dalle letterature celtiche
posta in gioco: se nelle ricerche sulla lingua poetica i.e. possiamo oggi
disporre di un altro polo ricostruttivo di importanza paragonabile a
quelli costituiti dal greco e dall’indo-iranico, lo dobbiamo soprattutto
alla libertà intellettuale e al convinto rigore metodologico con cui
questo studioso seppe affrontare un campo d’indagine reso oltremodo
infido dall’ardua leggibilità stratigrafica della sua documentazione.
Tra i risultati raggiunti in questo ambito, ricordo la scoperta di
paralleli irlandesi a l’inno avestico a Mitra (cfr. E. CAMPANILE, 1976-
77), l’attribuzione alla poesia i.e. della formula irlandese antica cú
26
glass (cfr. Id., 1979b), l’etimologia del celtico *bardos (cfr. ID., 1980),
Glottologico Italiano», che hanno un indice degli autori citati e con strumenti bibliografici come
l’Arts & Humanities Citation Index.
22
Un riassunto delle proprie idee e dei propri metodi, E. Campanile lo aveva dato in ID.,
1987 a; si vedano anche, tra i suoi ultimi lavori, Zur Vorgeschichte der idg. Dichterformeln, in Fest.
O. Szemerényi, Amsterdam-Philadelphia 1993, voI. III, pp. 61-71, e Réflexions sur la reconstruc-
tion de la phraséologie poétique indo-européenne, «Diachronica» 16,1 (1993), pp. 1-12.
23
Recensito in L. FLEURIOT, 1978, pp. 737-8.
24
Recensito da F. BADER, 1992a, pp. 134-139 e da C. STERCKX, 1991, pp. 257-259.
25
Oltre ai tre volumi, sono dedicati specificatamente alla ricostruzione di aspetti della
cultura poetica i.e. anche i due articoli E. CAMPANILE, 1974b e ID., 1989.
26
Le metafore poetiche sono state uno dei temi d’indagine di E. Campanile: si vedano
anche ID., 1974a, 1986a e la brillante e convincente analisi dell’esiodea ¢nÒstoj Ón pÒda tšndei
in ID., 1986b, ripreso e precisato in ID., 1988.
36
2 – GLI STUDIOSI
27
I principali riferimenti bibliografici qui sono: E. CAMPANILE, 1977, Cap. I: Poeta e
poesia in epoca indoeuropea; cap. II: Il poeta come professionista; cap. III: Il poeta e la
preghiera; ID., 1990c, cap. II: Funzioni del re e del poeta nella società indoeuropea; oltre i già
citati ID., 1974b e E. CAMPANILE – C. ORLANDI – S. SANI, 1974.
28
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, p. 36; lo studioso intendeva qui ‘autonomo’ dai risultati
dell’archeologia: tornerò sulla questione nel capitolo 1,3.
29
Nei riguardi della ricostruzione della cultura materiale i.e., E. Campanile era passato, nel
tempo, da un atteggiamento di chiusura completa, cfr. ID., 1981, p. 15, a un atteggiamento più
possibilista, cfr. ID., 1990c, p. 33; vd. anche infra, pp. 69 sgg.
30
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, p. 22; affronterò il problema dei rapporti tra cultura e
ideologia, due entità che diversamente da Campanile non ritengo siano sovrapponibili, nella
seconda parte della presente ricerca.
31
Sfrutterò questa importante idea di E. Campanile, cui avevo già fatto accenno in G.
COSTA, 1989, p. 105, ma in un’altra direzione, nella seconda parte.
37
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
32
re il patrimonio culturale della propria gente», intervenivano ege-
monicamente in ogni attività intellettuale della loro comunità,
nel’onomastica, nell’esercizio del diritto, nella pratica medica ecc.,
dimostrando così il carattere totalitario dell’ideologia tradizionale del
cui prestigio erano custodi, ideologia dalla quale però essi stessi
traevano prestigio, secondo uno schema circolare tipico di società
tenacemente conservatrici come quelle arcaiche.
33
Studioso attento ai fatti di metrica fin dalla sue prime ricerche,
E. Campanile espresse poi le sue opinioni sulla metrica i.e. soprattutto
in ID., 1979a, ID., 1990a, ID., 1990c, pp. 142-169: «non esiste dal
punto di vista metrico un verso indoeuropeo, il che significa che la
poesia indoeuropea si definiva, nei confronti della prosa quotidiana
attraverso strumenti diversi […] questi tratti vanno individuati nel-
l’impiego di formule, di metafore, di epiteti, di arcaismi linguistici:
queste sono le peculiarità della poesia indoeuropea e questi sono gli
elementi che da essa ebbero in eredità le culture poetiche arcaiche dei
34
popoli indoeuropei».
35
È questa un’opinione radicale che suscitò qualche perplessità –
«il se monstre hypercritique à l’égard de résultats obtenus par Meillet,
Jakobson, Watkins […] c’est que Campanile previlégie l’approche
formulaire de la poésie indo-européenne, surement beaucoup plus
riche pour la connaissance de la culture indo-européenne, mais ni
36
plus ni moins importante que la métrique pour celle de la poésie» –
e che, se pure aveva dalla sua, oltreché la coerenza con i propri
assunti, la pochezza, anche a mio parere, a fronte dei molti studi
dedicategli, di ciò che ragionevolmente possiamo attribuire alla metri-
ca i.e., non teneva sufficientemente in conto il fatto che una qualche
forma ritmica che trascendesse la ripetizione dell’enunciato, cioè la
forma più semplice di ritmo, era necessaria, stante altrimenti l’impos-
sibilità di nuove enunciazioni, all’apprendimento mnemonico verbale:
«sicché l’onere principale della pura ripetizione, di cui la memoria
abbisogna come di un puntello, è trasferito allo schema metrico privo
32
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 78.
33
A cominciare dall’ormai lontano Note sul saturnio, «ASNP» 32 (1963), pp. 183 sgg.;
sono dedicati all’analisi di alcuni aspetti formali della poesia i.e. anche ID., 1977, cap. V e 1990c,
cap. V.
34
Cit. da E. CAMPANILE, 1990a, p. 36 e p. 37.
35
Vd. anche infra, pp. 74 sgg.
36
Cit. da F. BADER, 1988a, p. 119.
38
2 – GLI STUDIOSI
2. 3. MARCELLO DURANTE
40
M. Durante è stato uno dei pionieri delle indagini moderne sulla
lingua poetica i.e.: gran parte delle sue ricerche sulla lingua poetica
37
Cit. da E. A. HAVELOCK, Preface to Plato, Cambridge (Mass.) 1963, trad. it. Bari 1973,
pp. 122-123.
38
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 19.
39
Vd. anche infra, pp. 74-5.
40
Dopo un decennio di grave malattia che lo aveva reso inabile all’attività scientifica,
Marcello Durante è morto il 19 luglio 1992 a Roma, dove era nato il I aprile del 1923; aveva
insegnato a Palermo, Perugia e Roma, università quest’ultima dove si era laureato con Antonino
Pagliaro nel 1945; traggo alcune di queste informazioni da un commosso articolo di D.
SANTAMARIA, Il Professor Marcello Durante a Perugia dal 1964 al 1971. L’omaggio di un allievo
39
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
41
risalgono infatti agli ultimi anni cinquanta e al decennio seguente e
precedono dunque lo spartiacque costituito dal volume di R. Schmitt.
42
Questi lavori, in gran parte modificati, confluirono poi nell’ope-
ra intitolata Sulla preistoria della tradizione poetica greca, la cui prima
43
parte, sottotitolata Continuità della tradizione poetica dall’età mice-
nea ai primi documenti, fu pubblicata a Roma nel 1971, come cinquan-
tesimo volume della prestigiosa collana Incunabula Greca, diretta da
44
Carlo Gallavotti, mentre la seconda, Risultanze della comparazione
indoeuropea, uscì nel 1976, come sessantaquattresimo volume della
stessa collana.
Inspiegabilmente, se tanto successo avevano avuto i singoli contri-
buti precedenti, al punto che tre di essi erano stati tradotti e inclusi
45
nell’antologia Indogermanische Dichtersprache curata da R. Schmitt,
46
i due volumi non conobbero invece grande fortuna.
40
2 – GLI STUDIOSI
47
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 10.
48
Riguardo poi alla metrica comparata, M. Durante riteneva, diversamente da A. Meillet,
di cui in particolare non condivideva l’accettazione dell’interpretazione wilamowitziana degli
eolismi omerici e l’ipotesi di un rapporto con la cultura egea (cfr. M. DURANTE, 1971, p. 127),
che l’esametro fosse uno sviluppo, su base eolica, dalla metrica lirica ereditata, concordando in
questo con G. Nagy (si veda l’attenta, e per altri aspetti critica, recensione che M. Durante – ID.,
1974b – fece di G. NAGY, 1974); «sarà da attribuire al filone ereditato della tradizione metrica
greca anche una serie di consuetudini prosodiche, di validità generale o limitate a particolari
sistemi, le quali si ritrovano nella poesia vedica. Tali sono la sillaba ancipite in fin di verso;
l’abbreviamento di vocale lunga o dittongo avanti inizio di parola vocalico; l’equiparazione di
sillaba lunga ‘per posizione’ alla sillaba lunga naturale, […] l’eliminazione di una sequenza di tre
brevi mediante allungamento di una delle sillabe» (cit. da M. DURANTE, 1976, p. 65.).
49
Ivi, p. 67; Giulia Pittaluga, che ha impietosamente raccolto nella sua recensione al
volume del 1976 diverse di queste affermazioni, scrive: «molto si sarebbe avvantaggiato un
41
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
lavoro di linguistica ad ampio respiro come questo vuol essere, dell’apporto che la moderna
problematica storico-religiosa avrebbe senz’altro potuto dargli, evitando così all’autore di
incorrere in vecchie posizioni pregiudiziali oramai superate» (cit. da EAD., art. cit., p. 393). Dal
punto di vista metodologico, M. Durante suffragava le sue convinzioni sul celtico, ritenendo
poco probanti i confronti istituiti sulla base della norma geolinguistica delle aree laterali (cfr. M.
DURANTE, 1976, pp. 17-18): «particolarmente discutibile è la classificazione del celtico come
lingua marginale» (cit. da ID., Aspetti e problemi cit., p. 54); su tutto ciò vd. infra, pp. 66 sgg.
50
Cit. da ID., 1976, p. 66.
51
Cit. da ID., Aspetti e problemi cit., pp. 52-3. 52 Cit. ID., 1976, p. 66.
53
Cit. da ID., 1971, p. 153.
54
Cfr. ID., Aspetti e problemi cit., pp. 54 sgg.
42
2 – GLI STUDIOSI
2. 4. GREGORY NAGY
56
Nella sua attività scientifica, G. Nagy ha affrontato, in chiave
comparativa e nel corso dei decenni, quasi tutte le problematiche più
importanti legate alla storia linguistico-culturale della grecità classica
e preclassica, indagando sempre con conoscenza della letteratura
diretta e indiretta ammirevole.
55
M. Durante, ad esempio, respingeva sia le ipotesi di G. Dumézil che «da tendenza, che
oggi va di moda, a riconoscere presunti connotati primitivi nella cultura greca arcaica» (cit. da
ID., 1976, p. 72, nota 2).
56
G. Nagy insegna al Department of the Classics della Harvard University; diversi altri
suoi lavori sono indicati in 111,4,7. Il suo libro più noto – The Best of the Acheans. Concepts of the
Hero in Archaic Greek Poetry, Baltimore – London 1979 –, ha ricevuto il prestigioso premio
Goodwin Award of Merit della American Philological Association.
43
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
57
Sono di quegli anni, per esempio, i suoi articoli Observations on the Sign-grouping and
Vocabulary of Linear A, «AJA» 69 (1965), pp. 295-330, On Dialectal Anomalies in Pylian Texts,
in Atti e Memorie del I Congresso Internazionale di Micenologia, Roma 1968, pp. 663-679, e il
volume Greek Dialects and the Transformation of an Indo-European Process, Cambridge (Mass.)
1970.
58
Cit. da G. NAGY, 1979, p. 611; è questo il motivo per cui egli non potè tener conto di M.
L. WEST, 1973a, 1973b, due articoli che sostanzialmente giungevano alle stesse conclusioni dei
suoi Studies.
59
Cfr. supra, p. 23.
60
Quelle a me note sono già state citate alla nota 64, p. 26.
61
Cfr. supra, p. 26.
62
Cfr. J. BROUGH, 1977, p. 297.
63
Cfr. M. W. HASLAM, 1976, p. 202.
64
«The book has its faults. Parts of its are wrong; it is prolix in exposition and uncouth in
style…»: così M. L. WEST, 1974, p. 459, che qualche anno dopo ebbe poi in parte a ricredersi: «I
was perhaps too sceptical in my review»: cit. da ID., 1982, p. 296, nota 45.
65
«[…] pourquoi ne pas tirer davantage parti, dans la recherche sur l’histoire de l’hexamè-
tre, du fait (rappelé en Introduction) que a finale de ce dernier est celle d’une parémiaque? est-il
légitime dans une étude d’histoire métrique de previlégier une seule formule, comme le fait G.
Nagy, non pas dans sa partie grecque, où il manie un matériel riche, mais dans sa partie indienne,
et, par-delà, comparative? doit-on continuer à considérer comme la composition formulaire
comme preuve du caractère oral de la poésie épique?» (cit. da F. BADER, 1979, p. 117).
66
Cfr. M. DURANTE, 1974a, p. 44.
67
Cfr. H. M. HOENIGSWALD, 1977, p. 88.
44
2 – GLI STUDIOSI
68
metterei, con M. Durante, la prova che l’esametro omerico compor-
tava in origine la base eolica e che dunque lo si debba considerare
come sorto da uno sviluppo della metrica ereditata e non una creazio-
69
ne anellenica, e con F. Bader l’ipotesi solida che il greco abbia
ereditato una tradizione lirica indipendente, nel metro e nella metrica
formulare, da quella epica; costuisce poi davvero un contributo pione-
70
ristico e innovativo allo studio della dizione formulare rigvedica,
l’analisi, condotta nel capitolo IX, della distrubuzione fraseologica e
metrica di śrávs; infine, mi pare importante, anche se forse non
71
risolutiva come vorrebbe l’Autore, l’idea portante del volume che
gli sviluppi del metro non siano autonomi ma dipendano dall’espan-
72
sione delle formule.
G. Nagy tornò poi sugli argomenti del volume del 1974 in due
articoli successivi (ID., 1979 e 1981a): nel primo, partendo dalle
differenze tra le sue ipotesi e quelle di M. L. WEST, 1973a e 1973b,
precisò e in parte modificò le sue tesi sull’origine dell’esametro; nel
secondo, in risposta alle argomentazioni contrarie di E. D. FLOYD,
73
1980, ribadì la sua convinzione della comune ereditarietà poetica, in
greco e in vedico, della formula klšoj ¥fqiton / śráva(s) ákşitam.
74
68
Cfr. M. DURANTE, 1974a, p. 44.
69
Cfr. F. BADER, 1979, p. 116.
70
Cfr. ancora M. DURANTE, 1974a, p. 44.
71
Osservazioni critiche a questa impostazione sono anche in M. L. WEST, 1974, p. 457 e in
M. DURANTE, 1974a, p. 43.
72
G. Nagy riprende qui, com’è evidente, alcune delle ipotesi di M. Parry, di A. B. Lord, di
A. Hoekstra e di J. B. Hainsworth: vd. G. NAGY, Formula and Meter, in A. STOLZ – R. S.
SHANNON, Oral Literature and the Formula, Ann Arbor (Mich.) 1976, pp. 239-260 e la discussio-
ne che ne seguì, tra cui alcune opinioni di J. Puhvel degne di attenzione, alle pp. 261-272;
affronterò questo problema metodologico nel cap. 1,3.
73
Vd. ancora supra, p. 26.
74
In una recensione a W. Meid, 1978, di quegli anni, G. Nagy (1980) si mostrò tuttavia
contrario all’ipotesi, sostenuta come sappiamo anche da M. Durante (cfr. supra, p. 42), dell’esi-
stenza di un sottogruppo linguistico-poetico greco-indo-iranico.
75
Cit. da G. NAGY, 1981b, p. 137.
45
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
76
diction poétique» di due temi mitico-narrativi ereditati: «un thème
général qui suggère implicitement le parallélisme des héros, non
seulement dans leurs caractères mais encore dans leurs actions, avec
77
un dieu correspondant», e un tema più particolare in cui «le héros et
78
le dieu sont traditionnelement représentés comme des sosies», arric-
chendo in tal modo l’analisi precedente di G. Dumézil dello schema
i.e. dell’antagonismo dio/eroe e potendo poi sostenere che «étant
donné que le témoignage grec offre des parallelismes entre les dieux
et le héros, qui sont attestés même au niveau du culte, la perception de
Dumézil sur l’épopée telle que structurée par le mythe peut même être
79
étendue un peu plus loin: de l’epopée au mythe et jusqu’au rite».
Questo interessante articolo, in gran parte modificato così come
diversi altri già pubblicati e raccolti nello stesso volume, è confluito
80
poi in Greek Mythology and Poetics del 1990, un libro notevole per
più aspetti; come dichiara l’autore stesso nell’introduzione, «the pri-
mary aims is to examine the Greek language, by way of comparison
with cognate languages, as a reflection of Greek society, with special
attention to the function of language as vehicle of mythology and
poetics. The emphasis of this book, however, is not the Indo-
European heritage of the Greek language. Rather, it is on the forces
that transformed this Indo-European heritage into a distinctly Greek
heritage; let us call it Hellenism. As for the process of transformation,
let us call it Hellenization».
La prima parte del volume – The Hellenization of Indo-European
Poetics. 1. Homer and Comparative Mythology; 2. Formula and Meter:
The Oral Poetics of Homer; 3. Hesiod and the Poetics of Pan-Hellenism –,
è quella che ci riguarda più da vicino: in essa G. Nagy, senza peraltro
sostanziali aggiunte di nuovo materiale comparativo, rielabora tre suoi
81
lavori precedenti, inserendoli però in un accostamento alla grecità
76
Ivi, p. 142.
77
Ivi, p. 139.
78
Cit. da ID., ibid.
79
Ivi, p. 140; i corsivi sono dell’Autore.
80
Sempre nel 1990 è uscito un altro bel volume di G. Nagy, che raccoglie anch’esso
contributi in parte già noti, intitolato Pindar’s Homer. The Lyric Possession of an Epic Past,
Baltimore – London, e che qui non esamino, così come The Best of the Acheans del 1979, perché
non riguarda direttamente l’argomento della presente ricerca; per inciso, il volume contiene una
Appendix: A Comparative Survey of Pindar’s Meters, che riprende G. NAGY, 1979.
81
Essi sono: G. NAGY, 1981b, Formula and Meter cito (nota 72, p. 45) e Hesiod, apparso in
T. J. LUCE (ed.), Ancient Writers, New York 1982, pp. 43-72.
46
2 – GLI STUDIOSI
che riesce oramai, dopo i primi tentativi invero non del tutto convin-
centi, a coniugare felicemente e produttivamente l’indeuropeistica e la
mitologia comparata con le teorie sull’oralità di M. Parry e A. B. Lord,
la critica letteraria più agguerrita e recente, la linguistica teorica – in
particolare: la teoria degli speech-acts di J. L. Austin e J. R. Searle, gli
importanti studi sui rapporti tra Vicino Oriente e religione greca di
W. Burkert e, infine, i metodi e le teorie dell’antropologia sociale e
culturale.
Si tratta di una lezione di metodo non solo intelligente nella
conduzione e affascinante nei risultati, ma soprattutto di grande
sensibilità e di attenzione mirabile alla globalità dei fatti di lingua e di
cultura, tale da costituire un punto di riferimento per gli studi sulla
lingua poetica i.e. a venire.
In definitiva, l’apporto di Gregory Nagy agli studi sulla lingua
poetica i.e., appare limitato quantitativamente e temporalmente, quasi
come una tappa all’interno delle diverse fasi delle sue ricerche e dei
suoi interessi; similmente a Enrico Campanile, a Françoise Bader e,
come vedremo tra breve, al suo collega di Harvard Calvert Watkins,
egli è però giunto con i suoi ultimi studi alla definizione di un metodo
di lavoro che si distingue per creatività, passione e competenze multi-
ple al punto da apparire nei fatti come uno dei maestri della cosiddet-
ta ‘New Comparative Philology’.
82
Calvert Watkins insegna al Department of Linguistics della Harvard University; oltre
che di lingua poetica e di ricostruzione culturale, nelle sue indagini si è occupato anche di
flessione verbale, di sintassi, di etimologia, con competenze che variano su quasi tutte le lingue
i.e.: i suoi articoli più importanti sono ora raccolti in ID., Selected Writings, Innsbruck 1994, voll.
I-II.
83
Si tratta di Indo-European Origins of a Celtic Meter e di Indo-European Metrics and
Archaic Irish Verse, entrambi già citati alla nota 14, di p. 15.
47
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
84
risultati ottenuti, per il metodo adottato e per aver segnato l’ingres-
85
so definitivo del celtico nella comparazione sulla metrica i.e.
86
Dopo aver per qualche tempo lavorato su altri temi, C. Watkins
tornò alla lingua poetica i.e. con un articolo del 1970 e da allora, con
una continuità di produzione e una evidenza di risultati ammirevoli,
non ha più smesso di occuparsene.
Dirò subito che la ricerca sulla lingua poetica i.e. deve molto a
questo studioso: innanzitutto, egli condivide con E. Campanile il
merito di aver dato al celtico, inteso sia come tradizione linguistica che
come tradizione letteraria, il posto che meritava nella comparazione
poetica i.e.; poi, dobbiamo a lui la nostra acquisita consapevolezza di
quali confronti poetico-letterari, importanti e forse inattesi, sia possi-
bile individuare nelle lingue i.e. anatoliche; infine – ed è quello che
ritengo uno dei suoi meriti maggiori, aldilà dei singoli risultati ottenuti
sul versante comparativo, che di seguito esaminerò –, egli ha saputo
utilizzare al meglio, soprattutto nelle sue ricerche più recenti, le
acquisizioni più convincenti della linguistica teorica contemporanea,
tra cui alcuni concetti tratti dalla grammatica generativo-tra-
sformazionale, inserendole in un contesto di elaborata consapevolezza
87
metodologica, fortemente fiducioso nelle proprie potenzialità e ca-
pacità euristiche e sicuro della sostanziale novità costituita, nella
tradizione centenaria di ricerche di linguistica storica, dalla ‘Compa-
88
rative Indo-European Poetics’.
Come dicevo, l’articolo del 1970 su «Language of Gods and Lan-
89
guage of Men», è importante perché distinguendo nelle varie tradi-
zioni i.e. interessate ciò che è ereditato da ciò che si può considerare
84
Come ho avuto già modo di dire, questi risultati furono poi confutati, in maniera
argomentata e convincente, da K. KLAR – B. O. HEHIR – E. SWEESTER, 1983-4: tornerò meglio
sull’argomento in 1,4.
85
Vd. supra, p. 15.
86
È di quegli anni il suo Geschichte der indogermanischen Verbalflexion. I. Formenlehre,
Heidelberg, 1969, terzo volume della Indogermanische Grammatik curata da Jerzy Kurilowicz e
Manfred Mayrhofer.
87
Anche del metodo di C. Watkins, parlerò nel cap. 1,3; lo studioso ha espresso i suoi
convincimenti metodologici soprattutto in ID., 1981b, 1989, 1990, 1992.
88
«Comparative Indo-European Poetics may be defined as a linguistic approach, both
diachronic (genetic) and synchronic (typological), to the form and function of poetic language
and archaic literature in a variety of ancient Indo-European societies from India to Ireland» (cit.
da C. WATKINS, 1987c, p. 270; il corsivo è dell’A.).
89
Per la bibliografia sull’argomento, cfr. supra, nota 10, p. 33.
48
2 – GLI STUDIOSI
90
Vd. supra, p. 33; un altro suo articolo che ha spianato la strada all’interpretazione
corretta di un testo enigmatico, è C. WATKINS, 1978a: cfr. E. CAMPANILE, 1986b e 1988.
91
Cit. da C. WATKINS, 1970, p. 2; i corsivi sono dell’A.
92
Vd. ID., 1975a, 1978b e 1987b.
93
Vd. ID., 1977a e 1987b.
94
Vd. ID., 1976b, 1977a, 1977b, 1979a.
49
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
addotte poi a una linea di testo luvio, mi lasciano assai dubbioso sulla
sua realtà poetica.
Tra le sue ricerche degli ultimi anni settanta, trovo invece partico-
larmente utile il lavoro apparso nella miscellanea, curata da E. Neu e
95
W. Meid, Hethitisch und Indogermanisch; esso segna una tappa a
mio parere fondamentale: l’ingresso a pieno titolo, cioè con l’apporto
di materiale poetico encorico, dell’ittita negli studi sulla lingua poetica
i.e.:
95
Si tratta di C. WATKINS, 1979a.
96
Cit. da ID., 1979a, p. 269 e p. 270 (il corsivo è dell’A.).
97
Ivi, p. 287.
50
2 – GLI STUDIOSI
we are looking for ‘the Indo-European touch’ and it is in the formula that we
101
will find it», perché le «formulas are the vehicles, the carriers of themes;
102
theme is the deep structure of formula». Il riesame delle attestazioni
consente a C. Watkins di estrapolare da esse «an Indo-European mythologi-
cal theme, with partiallexical expression:
w
HERO SLAY (*g hen-) SERPENT
The verbal formula which is the vehicle for this theme – asymmetrically
is boxed:
98
I lavori di C. Watkins che trattano della ricostruzione della formula i.e. per l’uccisione
del drago sono: ID., 1986a, 1986b, 1987b, 1987c, 1991; tali indagini sono state poi raccolte, e in
parte rielaborate, nel suo volume How to kill a Dragon: Aspects of Indo-European Poetics,
Oxford 1995. Devo aggiungere che ho potuto prendere visione di questo volume solo quando la
presente ricerca era oramai ultimata.
99
Cfr. E. BENVENISTE – L. RENOU, Vŗtra et Vŗθraγna. Étude de mythologie indo-iranienne,
Paris 1934.
100
Cfr. V. V. IVANOV – V. N. TOPOROV, Issledovanija v oblasti slavjanskix drevnostej
Leksičeskie ifrazeologičeskie rekonstrukcii tekstov, Moskva 1974; degli stessi autori si vd. anche
Le mythe indo-européen du dieu de l’orage poursuivant le serpenl: reconstruction de schéma,
apparso in precedenza in Mélanges C. Lévi-Strauss, Paris – The Hague 1970, pp. 1180-1206; cfr.
anche J. FONTENROSE, Python. A Study of Delphic Myth and its Origins, Berkeley – Los Angeles
1959, rist. 1980; J. VARENNE, Cosmogonies védlques, Paris – Milan 1982; J. HAUDRY, Beowulf dans
la tradition indo-européenne, «EIE» 9 (1984), pp. 1-59; R. LAZZERONI, La madre di Vŗtra, in E.
CAMPANILE (ed.), Studi Indoeuropei, Pisa 1985, pp. 101-107; C. A. MASTRELLI, Motivi indraici
nel Beowulf e nella Grettis Saga, «AION-G» 28-29 (1985-6), pp. 405-420; G. COSTA, Su alcune
espressioni indeuropee della sovranità, in G. DEL LUNGO CAMICIOTTI – F. GRANUCCI – M. P.
MARCHESE – R. STEFANELLI (a cura di), Studi in onore di Carlo Alberto Mastrelli. Scritti di allievi
e amici fiorentini, Padova 1994, pp. 67-79, in particolare p. 73, nota 34.
101
Cit. da C. WATKINS, 1987c, p. 271; tutti i corsivi, anche quelli che seguono, sono dell’A.
102
Ivi, p. 270.
51
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
w
HERO SLAY (*g hen-) SERPENT
«It is the claim of this paper that the ‘intertextuality’ of these versions of
the basic formula we have established, varying in time, pIace and language
but taken collectively, constitute a background without which one cannot
fully apprehend, understand and appreciate the traditional elements in a
given ancient Indo-European literature. In this sense we may speak of a
104
genetic Indo-European comparative literature».
103
Ivi, p. 276.
104
Ivi, p. 299.
105
Cfr. ID., 1989, passim.
52
2 – GLI STUDIOSI
cui si sono svolte le indagini sulla lingua poetica i.e.; con questa
mappa, seguendo i sentieri tracciati, possiamo ora evitare di perderci
con circoli viziosi nel noto e lasciarci condurre fino alle soglie del-
l’ignoto.
Nei due capitoli che seguono, tenterò dapprima di mettere a
punto un metodo che riassuma, condensi e trascenda ciò che mi
appare più convincente degli orientamenti teoretici finora emersi
nella ricerca e poi di fare il punto sullo stato attuale delle nostre
conoscenze fattuali.
L’ultimo capitolo della prima parte, ci dirà infine di quali risposte
possiamo già disporre e quali domande possiamo invece porre.
53
CAPITOLO 3
IL METODO
3. 1. IL METODO GENEALOGICO
1
Fino alla sintesi di R. Schmitt inclusa, dunque fino al 1967, nelle
ricerche sulla lingua poetica i.e. ha prevalso un orientamento metodo-
logico di tipo genealogico, tendente cioè, tramite la comparazione
etimologica, alla ricostruzione degli archetipi, per lo più lessemi e
sintagmi, da cui sarebbero poi derivate le forme variamente attestate
nelle lingue storiche.
Alla lingua poetica, nonostante le diverse finalità ricostruttive e il
differente materiale affrontato, fu in sostanza applicata la stessa meto-
dica comparativa di derivazione schleicheriana della ricerca storico-
linguistica in senso stretto.
Il mancato riconoscimento della diversità della comparazione
‘poetica’ e quindi della diversa metodologia con cui essa andava
praticata, rispetto alla comparazione che si occupa della ricostruzione
morfo-fonologica e lessicale – «[…] La comparazione tra testi poetici
di lingue apparentate non può far suoi i criteri di valutazione, gli
obiettivi e altresì le certezze che vigono nella normale prassi compara-
l
Tra le recensioni a R. SCHMITT, 1967a, che affrontano questioni metodologiche, sono da
ricordare: J. GONDA, 1969, H. HUMBACH, 1967, E. RISCH, 1969a, R. STERNEMANN, 1969, oltre
alle recensioni di V. Pisani già più volte citate: con la sola eccezione di quest’ultimi (cfr. supra,
pp. 19 sgg.), tutti gli altri interventi sono limitati in definitiva all’esame del problema ‘tipologia
elementare vs. origine genetica’.
55
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
2
tiva; richiede una metodologia propria […]» –, è da imputare, in
parte, alla sporadicità e all’occasionalità di molti degli studi preceden-
3
ti il 1967, ma soprattutto alla generale concezione dell’indeuropeo
4
che risale all’insegnamento dei Neogrammatici.
I meriti storici e i limiti teoretici della dottrina neogrammatica
5
sono troppo noti perché debba qui soffermarmici, i loro riflessi
metodologici nelle ricerche sulla lingua poetica i.e. ci riguardano
invece direttamente.
Tra i meriti da ascrivere alle indagini impostate genealogicamente,
vi è certamente quello di avere verosimilmente esaurito, pur nella
dispersione e nella disorganicità, il novero dei confronti rintracciabili
6
nei e coi vocabolari etimologici, così come dimostra anche la scarsez-
za delle nuove acquisizioni di questo tipo riscontrabili negli studi
7
posteriori: il thesaurus così raccolto è da ritenersi, dal punto di vista
etimologico, come un’acquisizione duratura, fatte salve ovviamente le
eventuali
8
comparazioni rese possibili da nuove proposte etimologi-
che.
Tale inventario, tuttavia, è necessariamente autolimitato ai non
molti confronti per cui è ricostruibile un antecedente omogeneo, cosa
già di per sé rara nella normale ricostruzione lessicale i.e., perché il
metodo stesso assume come criterio per asseverare un rapporto prei-
storico tra le coincidenze di tradizioni poetiche di lingue apparentate
– e ovviamente non legate tra loro da rapporti culturali di epoca
storica, come, per esempio, quelli di epoca classica tra la letteratura
latina e la letteratura greca – la loro comune derivazione da una
Urform, ricostruita secondo i crismi di un’ipotesi che concepisce la
protolingua come primariamente unitaria e indifferenziata e scandisce
2
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 7.
3
Vd. supra, pp. 13 sgg.
4
Era della stessa opinione anche M. DURANTE: cfr. ID., 1976, p. 11.
5
Si troverà tutto quel che occorre in A. QUATTORDIO MORESCHINI (ed.), Un periodo di
storia linguistica: i Neogrammatici. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia
(Urbino: 25-27/10/1985), Pisa 1986.
6
Così anche E. CAMPANILE, 1987a, p. 22. 7 Vd. supra, pp. 23 sgg.
8
Altro discorso va fatto invece per quel che riguarda la valutazione semantica e storico-
culturale dd medesimo materiale: vd. supra, pp. 22 sgg.; con una comunicazione personale, B.
Schlerath mi informa però che dal Magisterarbeit di un suo allievo sui resti della lingua poetica
i.e. in lettone, è lecito attendersi novità importanti.
56
3 – IL METODO
9
Cfr. M. DURANTE, 1976, cap. I.
10
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, cap. I.
11
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 9.
12
Ivi, p. 14.
13
Cfr. B. SCHLERATH, Zu den Merseburger Zaubersprüchen… cit. (nota 13, p. 15), pp. 139
sgg.; vd. anche ID., Die Indogermanen, Innsbruck 1973, p. 29; sul più generale problema della
ricostruzione i.e., lo studioso tedesco, di cui ricordo con piacere di essere stato allievo in due
prolungati soggiorni berlinesi, ha scritto poi in anni recenti alcuni articoli che hanno suscitato un
dibattito vivace e approfondito: vd. ID., Ist ein Raum/Zeit-Modell für eine rekonstruierte Sprache
möglich?, «KZ» 95 (1981), pp. 195-202; ID., Sprachvergleich und Rekonstruktion: Methoden und
Möglichkeiten, «InL» 8 (1982-3), pp. 53-69; ID., Probleme der Rekonstruktion: Schlusswort und
Ausblick, «InL» lO (1985), pp. 11-19; ID., On the Reality and Status of a Reconstructed Language,
«JIES» 15 (1987), pp. 41-46; ID., Konnen wir die urindogermanische Sozialstruktur rekonstruie-
ren?, in W. MEID (hrsg.), Studien zum idg. Wortschatz, Innsbruck 1987, pp. 249-263.
57
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
14
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, pp. 88-96.
15
Cfr. G. COSTA, 1984 e supra, nota 68, p. 28.
16
Cfr. anche M. DURANTE, Ricerche sulla lingua poetica greca. L’epiteto… cit. (nota 15, p.
15), p. 42 nota 81 e F. ALBANO LEONI, 1968a, p. 150.
17
Altri esempi che confutano l’applicazione dci metodo genealogico alle ricerche sulla
lingua poetica i.e., sono in M. DURANTE, 1976, cap. I. e E. CAMPANILE, 1977, cap. I.
18
Cfr. G. COSTA, 1987b, passim e F. ALBANO LEONI, 1968a; in quest’ultimo lavoro, tuttavia,
l’utilizzo dell’etimologia è volto soprattutto, sulla scia di Durante, alla ricostruzione di un
processo post-unitario di formazione di una lingua poetica comune solo al greco e all’indo-
iranico.
58
3 – IL METODO
19
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 14.
20
Vd. infra, pp. 144 sgg.
21
Cfr., tra gli altri, E. CAMPANILE, 1977, pp. 27-33.
59
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
3. 2. IL METODO SEMANTICO-STILISTICO
22
Vd. supra, pp. 24 sgg.
23
Vd. supra, pp. 40 sgg.
60
3 – IL METODO
24
Cit. da M. DURANTE, 1976, pp. 7-8.
25
Ivi, p. 7 nota 1.
61
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
26
metodologici che dovrebbero consentire di fissare «il valore proba-
tivo che inerisce a congruenze tra documentazioni di lingue poetiche
27
apparentate»:
26
Cfr. anche G. COSTA, 1984, pp. 29-32.
27
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 8.
28
Ivi, pp. 9-10.
29
Cfr. P. THIEME, The Comparative Method for Reconstruction in Linguistics, in D. HYMES
(ed.), Language in Culture and Society: A Reader in Linguistics and Anthropology, New York
1964.
62
3 – IL METODO
30
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 24.
31
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 12.
32
Ivi, p. 13.
33
Cfr. G. COSTA, 1984.
34
Vd. supra, p. 28.
63
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
Durante fosse entrato in circolo già da tempo, ben prima della sintesi
definitiva del 1976.
Comunque sia, in quell’occasione Durante conferì dignità d’insie-
me alle osservazioni sparse nelle indagini che aveva condotto nei quasi
vent’anni precedenti, dando così una copertura teoretico-euristica al
molto materiale raccolto: il metodo semantico-stilistico elaborato dal-
lo studioso rappresenta un indubbio passo in avanti rispetto a quello
usato – implicitamente, più che apertamente – nelle ricerche a lui
precedenti.
Colti con precisione i limiti del passato, egli sposta la ricerca dalla
frammentarietà dei confronti lessicali a una dimensione globalmente
letteraria, in cui la stilistica assume, nell’indagine, il valore di punto di
riferimento discriminante. Di questo metodo, credo si possano util-
mente conservare le affermazioni su esposte e soprattutto i risultati
che esso ha consentito a M. Durante di ottenere: a conferma della sua
mirata efficacia, è verosimile infatti che sul fronte della stilistica i.e.
35
molto di più non si riuscirà a scoprire.
Purtroppo, è vero anche che il metodo di Durante risente dell’es-
ser stato elaborato in forma definitiva solo a posteriori, quando la gran
36
parte delle sue ricerche erano già state pubblicate, e che la rielabo-
razione dei lavori confluiti nel volume del 1976 non cancella le
contraddizioni della prassi dello studioso nei confronti del suo stesso
metodo, ma mette in luce anzi aporie, che, forzando l’euristica, assu-
mono l’aspetto, seppure forse non consapevolmente, di giustificazioni
alla direzione teleologica e monotematica – «si può parlare di lingua
poetica comune solo tra Greci e Arii» – delle sue indagini.
Parlando, per esempio, delle solidarietà che possono intercorrere
tra tradizioni mitologiche diverse – solidarietà che come egli stesso
aveva poco prima riconosciuto, sono alla base dei rapporti poetico-
letterari, poiché «[…] in culture non dotate di scrittura, le storie
mitiche del passato vivono precipuamente la vita della poesia, della
37
quale fungono da contenuti» –, egli afferma con decisione che vale
la pena di occcuparsi solo delle affinità suffragate dal criterio etimolo-
38
gico, negando così a priori ogni validità alle indagini di mitologia
35
Così come molto di nuovo non è stato scoperto dal 1976 a oggi: cfr. supra, pp. 23 sgg.
36
Vd. supra, nota 15, p. 15 e pp. 39 sgg.
37
Cit. da M. DURANTE, 1976, p. 55.
38
Cfr. ivi, p. 61.
64
3 – IL METODO
39
Cfr. ivi, pp. 16 sgg., soprattutto la nota 6 a p. 17.
40
Vd. W. WÜST, 1969a, 1969b, 1969c, 1971.
65
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
41
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 23.
42
Su questo argomento, è ancora utile il già menzionato Paleontologia Linguistica. Atti del…
cit. (nota 44, p. 40); dati e teorie più recenti sono in V. V. SHEVOROSHKIN (ed.), Reconstructing
Languages an Cultures, Bochum 1989, II ed. 1992; ID. (ed.), Proto-Languages and Proto-Cultures,
Bochum 1990; E. C. POLOMÈ, Linguistic Paleontology: Migration Theory, Prehistory and Archeo-
logy correlated with Linguistic Data, in ID. (ed.), Research Guide on Language Change, Berlin –
New York 1990, pp.137-159; ID., (ed.), Reconstructing Languages and Cultures, Berlin –
New York 1992.
43
Su ciò, vd. anche E. CAMPANILE, 1981, pp. 12-14 e infra, pp. 70 sgg.
44
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, pp. 23-4.
45
Ivi, pp. 24-25.
66
3 – IL METODO
46
Ivi, p. 25.
47
Ivi, p. 25, nota 33.
48
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, pp. 24-25.
49
Cit. da G. BERTONI – M. G. BARTOLI, Breviario di neolinguistica, Modena 1928, p. 68; il
corsivo è degli Autori.
67
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
50
È quello che ho cercato cursoriamente di mostrare in un mio lavoro recente, a cui mi
permetto di rinviare e che ho già citato alla nota 100, p. 51; in generale, su questo argomento è
utile A. NOCENTINI, A Dynamic Reinterpretation of the Areal Linguistic Norms, in stampa.
51
Cfr. V. N. TOPOROV, 1969, passim; vd. anche infra, p. 79.
52
Cit. da G. BERTONI – M. G. BARTOLI, op. cit., p. 73, il corsivo è degli Autori.
53
Vd. anche infra, p. 242.
68
3 – IL METODO
Nello stesso capitolo del suo volume del 1977, Campanile conti-
nuava poi: «il problema metodologico resta, comunque, subordinato
a quello del fine della ricostruzione. Se […] si deve rinunciare all’illu-
sione di evocare in vita il fantasma della poesia indoeuropea – giacché
poesia significa testo, non catalogo di stilemi o di eterogenee formu-
lette –, lo studioso, allora, dovrà utilizzare questi materiali in vista di
un diverso obiettivo: chiarire la cultura e l’ideologia in cui nacque e si
54
svolse quella poesia».
Muovendo quindi dalle concordanti testimonianze celtiche e in-
diane antiche sulle attività e l’importanza del poeta come «l’uomo che
domina l’arte della parola in tutte le sue possibili finalizzazioni: è,
cioè, sacerdote, giurista, medico, storico, incantatore, apologeta della
struttura aristocratica indoeuropea, unico conservatore delle sue più
55
vetuste tradizioni», Campanile concludeva ponendosi come obietti-
vo «un’analisi dei fatti culturali, sociologici e ideologici che, lungo un
amplissimo arco di tempo, costituirono il quadro e, insieme, le pre-
messe di questa ‘poesia’. Più che mai, dunque, in questo genere di
ricerca, ci terremo liberi dall’ipoteca di fondare il nostro ragionamen-
to solo su confronti confortati da identità etimologica; e ciò […] per
l’obiettivo stesso della nostra indagine che, mirando alla ricostruzione
dei tratti oggi recuperabili di una cultura preistorica, assume di neces-
56
sità un carattere essenzialmente fattuale e contenutistico».
La risposta che Enrico Campanile diede, fin dagli inizi delle sue
ricerche, al quesito che ho posto all’inizio del paragrafo, appare
dunque chiara e al contempo severamente delimitante: a essa, pur con
qualche aggiustamento non trascurabile, egli rimase fedele fino all’ul-
timo; si tratta, tuttavia, di una risposta secondo me parziale e fuorvian-
te, che non colpisce il bersaglio, o meglio, che sposta la mira su di un
bersaglio diverso. Vediamo perché.
Lo studioso negava, innanzi tutto, che la cultura materiale degli
57
Indeuropei fosse un possibile obiettivo di indagine scientifica e
questo per due motivi: a) non si può trasformare in oggetto reale ciò
che è solo il significato presumibile di un lessema ricostruito, ovvero:
54
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, pp. 26-7.
55
Ivi, p. 29.
56
Ivi, pp. 33-34.
57
Cfr. E. CAMPANILE, 1981, p. 15; ma in ID., 1990c, p.33, rettificava in parte le proprie
opinioni scrivendo: «ciò non significa, comunque, che noi potremo accantonare serenamente
l’intera questione della cultura materiale come non pertinente alle nostre indagini».
69
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
58
Cfr. E. CAMPANILE, 1981, pp. 11-15; cfr. anche ID., 1990c, pp. 32-36, dove però il
giudizio sui risultati delle ricerche della Gimbutas, contrapposti a qudli, che a suo parere erano
inaccettabili, di Renfrew, è più sfumato; vd. anche B. G. TRIGGER, A History of Archaeological
Thought, Cambridge 1989, e L. MESKELL, Goddess, Gimbutas and ‘New Age’ Archaeology,
«Antiquity» 69 n. 262 (1995), pp. 74-86.
59
Per es. nel suo La religione degli Indeuropei, in P. TACCHI VENTURI, Storia delle Religioni,
Torino 1971, VI ed. a cura di G. Castellani, vol. II, pp. 345-360.
70
3 – IL METODO
lità storica del singolo studioso e non lo studio della storia in sé. Certo,
60
come scrive ironicamente W. Belardi, c’è anche chi ritiene «[…] che
ciò che può produrre una cultura da maestro elementare sia sufficien-
te purché questa sia integrata da una teoria formalizzata di grammati-
ca generale o da un vivo interesse per il parlato quotidiano attuale
[…]» …!
E. Campanile sosteneva invece, poi, che:
60
Cfr. W. BELARDI, Presentazione in P. MARTINO, Arbiter, Roma 1986, p. 6.
61
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, pp. 17-18; sul problema lingua/cultura, di E. Campanile
vanno visti anche gli interventi in F. CREVATIN (ed.), Ricostruzione linguistica e ricostruzione
culturale (Trieste: 25-26/10/1982), Trieste 1983, e i suoi contributi apparsi in R. LAZZERONI,
Linguistica storica, Roma 1987, pp. 115-146 (nello stesso volume, pp. 55-85, è utile anche D.
SILVESTRI, Storia delle lingue e storia delle culture); in Ricostruzione culturale e ricostruzione
linguistica. Atti del Congresso del Circolo Glottologico Palermitano (Palermo: 20-22/10/1988),
Palermo 1991, pp. 197-204 (nello stesso volume, pp. 151-165, va visto anche R. LAZZERONI, La
ricostruzione culturale fra comparazione lessicale e ricostruzione etimologica); in A. GIACALONE
RAMAT – P. RAMAT (a cura di), Le lingue indoeuropee, Bologna 1993, pp. 19-43; in F. BADER
(ed.), Langues indo-européennes, Paris 1994, pp. 26-41.
71
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
62
Cit. da E. CAMPANILE, 1981, p. 18.
63
Ivi, p. 20; cfr. anche ID., 1990c, p. 15 e p. 19.
64
Cfr. supra, pp. 36 sgg.
65
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, p. 19; vd. anche le pp. 139-141.
72
3 – IL METODO
guaggio nella sua concretezza storica, bensì una serie di usi linguistici
e di atti stilistici che caratterizzavano il parlare poetico nei confronti di
quello quotidiano. […] Il punto essenziale, cioè, a nostro parere, è
avere costantemente presente che, anche quando può sembrarci di
avere evidenziato un elemento concreto del linguaggio poetico indoe-
uropeo, ciò che abbiamo evidenziato, in realtà, è solo un uso linguisti-
66
co».
«Con ciò, naturalmente, non si vuole negare la possibile esistenza
di una fraseologia poetica propria di singole culture – e, dunque,
eventualmente, anche di quella indoeuropea – […], ma si vuole,
piuttosto, evidenziare che il concetto stesso di fraseologia poetica si
riferisce a specifici e molto limitati elementi, mentre ciò che noi
ricerchiamo come caratterizzanti la poesia indoeuropea, sono proce-
67
dimenti di carattere assai più generale».
E così, infine, egli concludeva nel 1990 quello che, purtroppo,
doveva essere il suo ultimo libro:
66
Ivi, p. 154.
67
Ivi, p. 155.
68
Ivi, p. 169.
73
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
69
Si prenda per il momento per buona la definizione di cultura intellettuale data sopra (vd.
p. 71) da Campanile: esporrò le mie idee più avanti.
70
Cfr. supra, pp. 38 sgg.
71
Cfr. supra, p. 37.
72
Per non sottovalutare l’apporto di Campanile, occorre tener presente che l’uso della
comparazione testuale nelle ricerche di indeuropeistica è sempre stato visto con sospetto e
74
3 – IL METODO
tacciato di scarsa scientificità, basti pensare alle polemiche mai spente sugli studi di G. Dumézil
(e riattizzate ora da un lungo saggio di B. Schlerath: vd. nota 74); che per quelle sulla lingua
poetica i.e., in particolare, non si tratti di un’acquisizione metodologica facile o scontata,
apparirà subito chiaro solo se si ricordi che ancora nel 1974, uno studioso, che pure non manca
di una certa profondità teoretica, come W. Meid (cfr. ID., 1977; vd. anche PH. GIGNOUX, 1979),
proponeva l’utilizzo di un metodo basato esclusivamente sull’analisi e la ricostruzione di lessemi
e che lo stesso M. Durante (cfr. supra, p. 64) era in definitiva contrario ad un uso esteso della
comparazione testuale.
73
Vd. supra, p. 73.
74
Nel II capitolo dello stesso volume, tuttavia, lo studioso aveva scritto: «i materali in
nostro possesso non debbono indurci ad attribuire alla società indoeuropea una struttura
obiettivamente tripartita, si tratti di caste chiuse o di classi aperte; essi suggeriscono solo che
quella società analizzava tutto l’esistente – e, dunque, anche se stessa – alla luce di tre funzioni:
quella rdigiosa, quella guerriera e quella diretta alla produzione» (cit. da E. CAMPANILE, 1990c,
p. 41); per le opinioni di E. Campanile su Dumézil si può vedere anche ID., Georges Dumézil
indoeuropeista, in «Opus» 2 (1983), pp. 355 sgg. e su di esse F. Bader, 1992a. B. Schlerath ha ora
pubblicato in «Kratylos» 40 (1995) pp. 1-48, la prima parte – la seconda è in stampa nel volume
41 della stessa rivista – di un lungo saggio critico intitolato Georges Dumézil und die Rekonstruk-
75
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
75
poetica i.e. vi si ricollegano invece direttamente fin dagli inizi.
A parte qualche singolo rilievo critico che ho già espresso, mi
sembra infatti che la caratteristica principale che contraddistingue il
metodo di F. Bader sia, da una parte, avere come punto obbligato di
riferimento interpretativo la teoria della trifunzionalità e dall’altra un
progressivo accostare tra loro i testi, a partire da quella tesi, che
risente visibilmente del modo di procedere che era di Dumézil, qual-
che volta anche nei suoi aspetti meno convincenti, che sono poi quelli
di più stretta derivazione dalla ricerca etno-antropologica ottocente-
sca, quelli, per intendersi, spesso felici ma non sempre rigorosamente
76
fondati di un K. O. Müller.
Insomma, se è certo da condividere la sua idea «que le temps est
venu pour la reconstruction de la pensée i.e.», resta qualche dubbio
sul fatto che «le seul bon outil de travail qui permette d’y accéder est
77
l’union de la mythologie et de la linguistique».
A questa impostazione di fondo, la studiosa aggiunge di suo
78
un’inventiva etimologica di prim’ordine e una grande e variata
competenza linguistica e filologica, nel solco della migliore tradizione
comparativa francese; tradizione che ella, per esempio nelle sue inda-
tion der indogermanischen Kultur, confermando le sue opinioni negative sulla teoria di Dumézil
e sull’impossibilità di ricostruire le strutture sociali i.e. sulla base del lessico conservato; dirò
qualcosa su ciò in 1,5. Alcune utili riflessioni sull’opera di Dumézil sono anche in A. L.
PROSDOCIMI, Filoni indeuropei in Italia. Riflessioni e appunti, in A. LANDI (ed.), L’Italia e il
Mediterraneo antico. Atti del Convegno S.I.G. (4-5-6/11/1993), Pisa 1995 [recte: 1996], vol. II,
pp. 42-52. Così come altri, sono convinto anch’io che la migliore illustrazione del suo metodo
Georges Dumézil l’abbia data, più che nelle sue opere scientifiche, in quel geniale divertissement
che è … Le moyne noir en gris dedans Varennes, Paris 1984, trad. it. Milano 1987. Delle proprie
ricerche lo studioso francese diceva autoironicamente: «anche supponendo che io abbia total-
mente torto i miei indoeuropei saranno come le geometrie di Riemann e di Lobačevskij:
costruzioni fuori dal reale. Non sarà poi tanto male. Basterà cambiarmi di posto negli scaffali
delle biblioteche: passerò nella sezione ‘romanzi’» (cit. da G. DUMÉZIL, Entretiens avec Didier
Eribon, Paris 1987, trad. it. Parma 1992, p. 162).
75
La studiosa francese, probabilmente, deve aver fatto suo quel motto di Goethe che dice:
«das Höchste wäre zu begreifen, daß alles Faktische schon Theorie ist», perché espliciti cenni
metodologici nei suoi scritti sulla poesia i.e. non se ne trovano; quel che segue è dunque frutto
solo di mie osservazioni, per alcune delle quali vd. anche supra, pp. 34 sgg.
76
A questo proposito, si può leggere ancora con profitto la prefazione – Dumézil e la
‘frangia di ultra-storia’ – che F. JESI scrisse per Ventura e sventura del guerriero, Torino 1974, ed.
it. di Heur et malheur du guerrier, Paris 1969.
77
Cit. da F. BADER, recens. di B. Lincoln, Priests, Warriors and Cattle. A study in the
Ecology of Religions, Berkcley 1981, in «BSL» 79,2 (1984), p. 113.
78
Ho tuttavia l’impressione che F. Bader qualche volta attribuisca eccessivo peso esplica-
tivo alle singole etimologie da lei proposte e che alcune di queste risentano un po’ dell’applica-
zione meccanica di clichés del tipo ‘concreto>astratto’.
76
3 – IL METODO
Je ne puis ici résumer le travail des trente ans qui ont suivi. Je dirai
seulement qu’un progrès décisif fut accompli le jour où je reconnus, vers 1950,
que l’‘idéologie tripartie’ ne s’accompagne pas forcément, dans la vie d’une
société, de la division tripartie réelle de cette société, selon le modèl indien;
qu’elle peut au contraire, là où on la constate, n’etre (ne plus etre, peut-être
n’avoir jamais été) qu’un idéal et, en meme temps, un moyen d’analyser,
d’interpréter les forces qui assurent le cours du monde et la vie des hommes. Le
prestige des varņa indiens se trouvant ainsi exorcisé, bien des faux problèmes
ont disparu, par exemple celui que j’énonçais tout à l’heure: les flamines
79
Su questo argomento, della studiosa francese si veda ora il volumetto Anagrammes et
allitérations, Paris – Louvain 1993. Occorre qui però dare atto a V. V. Ivanov di essere stato
verosimilmente il primo, in due studi pioneristici apparsi nel 1967 (vd. infra, p. 80) e citati
pochissimo, a utilizzare, nell’ambito delle indagini sulla lingua poetica, le idee dello studioso
ginevrino sull’esistenza di anagrammi di epoca i.e.
80
Cfr. soprattutto F. BADER, 1978b, 1980, 1984.
81
Vd. anche G. COSTA, recens. a G. Dumézil, Matrimoni Indoeuropei, Milano 1984, in
«AGI» 69 (1984), pp. 169-172 e ID., Su alcune espressioni… (cit. alla nota 100, p. 51), pp. 77-8.
77
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
uno strumento interpretativo della civiltà i.e., nel senso più largo che
gli antropologi danno a questo termine, potenzialmente efficace e
produttivo, a patto naturalmente di non farne, come qualcuno vorreb-
be che fosse stato anche nella proto-storia, la nostra unica visione del
mondo (i.e.).
Per utilizzare tale strumento, nel campo di studi di cui qui ci si
occupa, oltre che con la stratigrafia della Bader di cui ho detto sopra,
integrerei però la teoria della trifunzionalità anche con un’intuizione
di E. Campanile: «ciò che possiamo intuire […] è qualche elemento di
natura ideologica, cioè il fatto che gli avvenimenti che nella storia dei
singoli popoli sono tra i più antichi, vengono sistematicamente calati
nel tradizionale stampo del tripartitismo, anche a costo di deformarli
totalmente. Questo è un tratto tipico della cultura indoeuropea e in
questo, dunque, le singole culture continuano una ‘metodologia’ mol-
to arcaica, il che, a nostro parere, implica non l’ipotesi di una creati-
vità popolare in senso romantico, bensì la presenza di un professioni-
sta culturalmente capace di riportare l’eterogeneità degli avvenimenti
in uno schema unitario e coerente. Il che significa, in altre parole, che
questi racconti sono opera di ‘poeti’ che procedevano nel solco del
83
loro archetipo indoeuropeo».
Messa da parte anche qui una certa confusione tra cultura e
ideologia, l’idea di Campanile è ricca di implicazioni importanti:
cercherò di sfruttarla adeguatamente nella seconda parte della presen-
te ricerca.
82
Cit. da G. DUMÉZIL, Mythe et Epopée, Paris 1968, vol. I, p. 15; i corsivi sono dell’A.
83
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, p. 73.
78
3 – IL METODO
84
Cfr. supra, p. 32.
85
Per esempio in F. BADER, 1980, passim.
86
A partire perlomeno da E. PERUZZI, Mycenaeans in Early Latium, Rome 1980.
87
Cfr. T. EUZARENKOVA – V. N. TOPOROV, 1979 (= V. N. TOPOROV, Die Ursprünge der
indoeuropäischen Poetik, «Poetica» 13 (1981), pp. 189-251); per V. N. TOPOROV, 1969, vd. supra,
p. 68; B. L. OGIBENIN, 1979, 1982, 1984, 1985; in tali lavori si troverà citata la gran parte della
79
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
produzione scientifica di questi studiosi che non riguarda direttamente l’oggetto della presente
ricerca. Ricordo che di lingua poetica i.e. si era occupato anche V. V. Ivanov: cfr. ID., 1967a,
1967b; vd. supra, nota 79, p. 77.
88
Da alcuni anni questo studioso, che ora insegna all’École Pratique des Hautes Études, ha
francesizzato il proprio cognome in Oguibénine.
89
Cito da B. L. OGIBENIN, 1982, pp. 228-229.
90
Ivi, p. 202.
91
Ivi, p.203; questa proposta di Ogibenin ricorda da vicino il criterio della ‘realtà concreta’
di W. Wüst, vd. supra, pp. 65 sgg.
92
L’originale russo è del 1973; poiché Ogibenin continua a citare questo lavoro (per es. in
ID., 1979, p. 130, nota 12, a sua volta ripreso in ID., 1985, p. 15, nota 10) devo presumere che egli
non abbia mutato le sue opinioni.
80
3 – IL METODO
93
tempo verso una personale semiotica della cultura, mi pare generica
nella teoria e discutibile nella prassi, a partire dalle sue analisi dei testi
94
primari e, per quel che ci riguarda qui, non foriera di risultati
sicuramente utilizzabili.
Nel suo corposo lavoro del 1981, Toporov in realtà più che
delineare le origini della poetica i.e, si occupa delle radici i.e. della
95
poesia vedi ca, rifacendosi, come già altri, alle teorie poetiche di
Jakobson, alla semantica del Vocabulaire di Benveniste e alle idee sugli
anagrammi i.e. di Saussure.
Anche se l’idea della comparazione testuale come concreta possi-
bilità di ricostruire tratti di civiltà i.e non è nuova e resta comunque, al
contrario di quel che sembra pensare Toporov, un’euristica dai risul-
tati non assoluti, è interessante l’enfasi posta sull’importanza dei testi
e sulla necessità di indagare le regole che sovrintendevano alla loro
formazione. Toporov identifica alcune di queste regole negli inni
vedici, postulandone poi la validità anche per la poesia i.e.: come ho
già detto, non è affatto sicuro che tali proiezioni all’indietro di fatti
96
monoglottici possano dare risultati probanti, ma certo nel caso del
vedico si tratta di possibilità degne di essere verificate, magari con
l’ausilio di riscontri allotrii, anche di tipo negativo.
97
In ultimo la pensava così anche E. Campanile:
93
Cfr. le Notes d’introduction a ID., 1985, pp. 11-26; «ein unglücklicher Zwitter aus
textimmanent-kulturhistorischer Analyse und diachron-linguistischer Komparatistik» (cit. da
CH. WERBA, 1985, p. 320).
94
Cfr. B. SCHLERATH, in «Die Sprache» 21 (1975), 52a; CH. WERBA, 1985; R. SCHMITT,
1986.
95
Più appropriatamente, il titolo originale era infatti La poesia indiana antica e le sue origini
indoeuropee; il saggio si rivela in definitiva utile più per le analisi in esso contenute – quelle della
‘lingua degli dei’ e di alcuni testi vedici –, piuttosto che per le presunte novità teoriche avanzate:
vd. anche supra, p. 25.
96
Cfr. supra, pp. 68.
97
Cit. da E. CAMPANILE, 1990c, pp. 140-141.
81
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
98
Con «comparative historical ethnosemantics», lo studioso intende qui far riferimento
soprattutto al metodo e ai risultati de Le vocabulaire… cit. (nota 16, p. 15) di Emile Benveniste:
cfr. C. WATKINS, 1989, p. 785; per la definizione che C. Watkins dà di ‘comparative poetics’, vd.
supra, nota 88, p. 48.
99
Forse non è inutile ricordare che nei paesi anglosassoni Comparative Philology, o
semplicemente Philology, è stata per lungo tempo – il tempo in cui era quasi esclusivamente
linguistica indeuropea – e qua e là lo è ancora, la denominazione accademica della linguistica
storico-comparativa (cfr. per es. W. BELARDI, Linguistica e filologia, in ID., Linguistica generale
filologia e critica dell’espressione, Roma 1990, p. 8), disciplina che poi ha assunto il nome di
Historical Linguistics, di contro a Linguistics per la linguistica generale e teorica; preposto al
nome di una disciplina scientifica, l’aggettivo new ha poi, negli stessi paesi, una valenza
particolare, esistono infatti da decenni, tra le altre, anche una New Archaeology e una New
Comparative Mythology: esso indica, in sostanza, il desiderio di rifondare su basi più aggiornate e
moderne una scienza di antica data. Com’è noto, invece, la fortuna del termine glottologia in
Italia si deve a Graziadio Ascoli che intitolò la raccolta delle sue lezioni Corsi di Glottologia,
82
3 – IL METODO
son may extend to higher units than sounds and forms; several are proposed
which permit the reconstruction of formulaic phrases, whole complex sen-
tences, and even proto-texts or text fragments. The new parameters of
poetics and ethnosemantics permit a precision in historicallinguistics hith-
100
erto impossible.
Torino 1870 e, nei suoi Studj Critici, II, Torino 1877, p. 45, disse espressamente di preferire
glottologia a linguistica»: cit. da C. TAGLIAVINI, Introduzione alla Glottologia, Bologna 1969, VII
ed., vol. I, p. 1 nota 1, i corsivi sono dell’A.; è altresì noto come glottologia sia un calco del ted.
Sprachwissenschaft. Sugli anacronismi e le incongruenze della pletora di denominazioni
burocratico-concorsuali in cui è divisa la linguistica in Italia, è illuminante e al contempo
sconfortante C. A. MASTRELLI, Gli insegnamenti linguistici nell’ordinamento universitario italiano,
in Atti S.I.G. … cit. (nota 5, p. 56), pp. 11-21.
100
Cit. da C. WATKINS, 1989, p. 783.
101
Ivi, p. 798. Chiedo venia al lettore per la fatica che gli imporrò da qui alla fine del
capitolo: ho ritenuto più efficaci le lunghe citazioni che seguiranno, piuttosto che una sintesi più
scorrevole ma forse fuorviante.
83
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
what, then, are these new paramethers? Let us take our starting point the
simplest possible model of comparative historical linguistics, of genetic
filiation as determined by the application of the Comparative Method. Two
languages, A and B, exhibit systematic similarities, which cannot be attrib-
uted to borrowing, or to universals, or to change. The systematic similarities
can be accounted for only by the postulation of an original common language
O, the ancestor of A and B, as in Figure 1.
Figure 1.
The description of O is its grammar and lexicon. The task of the histori-
callinguist is both to describe O (by reconstruction) and, more important, to
show how it is possible to get from O to A and from O to B.
Now in favorable circumstances the use of languages A and B for artistic
purposes, which I will designate poetic languages A’ and B’, may also exhibit
systematic similarities which are not attributable to borrowing, universality, or
change. The only explanation of the Comparative Method is again a common
‘original’ – the use of O itself for artistic purposes, poetic language O’, thus
Figure 2.
Figure 2.
84
3 – IL METODO
The description of O’ is its poetic grammar and repertory. Here the task
of the historical linguist is not only to describe O’, and to show how it is
possible to get from O’ to A’ and O’ to B’ – which are diachronic concerns –
but also to show the relation of A to A’, B to B’, and O to O' – which are
synchronic concerns. We begin to see some new parameters. Add to this
another: that it may often happen that a feature of ordinary language A is
inherited from poetic language O’, rather than from ordinary language O. The
study of O’ is here indispensable to the ‘ordinary’; linguistics need poetics.
Poetic language and poetic grammar may be approached purely syn-
chronically (typologically), with the goal of discovering universals, but they
may also be studied with an eye to history. Indo-European comparative
historical poetics, just like Indo-European comparative historical linguistics,
in practice combines the two, and good comparatists like a Saussure, a
Wackernagel, or a Delbruck moved freely and effortlessly between dia-
chrony and synchrony.
Poetic language is of course only one of many registers available to the
members of a given society. A language necessarily implies a society, a speech
community, and a culture. And a proto-language equally necessarily implies
a ‘proto-culture’, that is, the culture of the users of the proto-language. In
terms of our model one can also reinterpret O’, A’, B’ as representing any
linguistically relevant aspect of the proto-culture.
Language is linked to culture in a complex fashion; it is at once the
expression of a culture and a part of it. And it is in the first instance the
lexicon of language or proto-language which affords an effective way –
though not the only one – to approach or access the culture of its speak-
102
ers.
102
Cit. da C. WATKINS, 1989, pp. 784-5; i corsivi sono dell’A.
85
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
the deep structure of formula. These formulas are collectively the verbal
expressions of the traditional culture of the Indo-European, which is the
totality of themes. These formulas are the expression of an underlying
semiotic system. They are not remembered and repeated merely because they
delight the ear; rather they are signals, in poetic elaboration and as verbal art,
of the relations of things: of the traditional conceptualizations, the percep-
tion of man and the universe, the values and expectations of the society.
The function of the Indo-European poet was to be the custodian and
transmitter of this tradition. The totality of themes as expressed in formulas
was in a preliterate society entrusted precisely to the professionals of the
103
word, the poets.
103
Cit. da C. WATKINS, 1987c, pp. 270-1, ripreso poi parzialmente in ID., 1989, pp. 792-3;
i corsivi sono dell’A.
104
Cit. da C. WATKINS, 1989, p. 791.
86
3 – IL METODO
related. These texts are in some sense the same. Exploration of what may
legitimately be termed the ‘genetic intertextuality’ of these variants casts
much light on the meaning of the ancient texts themselves – the similarities
are by and large more numerous in older than in more recent texts – and, on
the basis of the samenesses, we may in previleged cases reconstruct to some
extent proto-texts or text-fragments. At the point we are of necessity led to
assume – i.e. reconstruct – a ‘user’ of the text in the language; in other words
and via another route, we thus reconstruct features of a real proto-culture
105
[…].
105
Ivi, p. 794.
106
Ivi, p. 792.
107
Cfr. supra, pp. 51 sgg.
108
Ivi, p. 793.
87
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
may function
109
to encapsulate entire myths and other narratives
[…]».
Condensate così le tesi di C. Watkins, inizierò l’approfondimento
del metodo della ‘New Comparative Philology’ partendo proprio da
quest’ultimo punto.
Dunque, secondo Watkins, «the formula […] is the verbal and
grammatical device in oralliterature for encoding and transmitting a
given theme or interaction of theme, with the repetition or potential
repetition assuring the long-term preservation of the surface structu-
110
re, the wording»; riprendendo questa definizione del 1974, egli
aggiunse poi una prima volta: «that is to say that theme is the deep
111
structure of the formula», e infine, nel 1992, rivedendo ulterior-
mente le sue affermazioni, precisò che: «the point can stand even if
today I would be inclined to think that ‘deep’ theme is not so far from
‘surface’ formula, or what Nagy in his influenti al 1979 book The best
112
of the Acheans calls simply ‘diction’».
Sia Watkins che Nagy partono esplicitamente dagli studi di M.
Parry, che definiva la formula: «a group of words which is regularly
employed, under the same metrical conditions, to express a given
113
essential idea»; anche G. Nagy infatti, riprendendo e precisando
Parry, definisce, similmente all’ultimo Watkins, la formula come «a
109
Ivi, p. 796.
110
Cit. da C. WATKINS, Response to P. KIPARSKY, Oral Poetry: Some Linguistic and
Typological Considerations, in A. STOLZ – R. S. SHANNON (eds.), op. cit. (nota 72, p. 45), p. 110.
111
Cit. da C. WATKINS, 1981b, p. 779.
112
Cit. da C. WATKINS, 1992, p. 392; l’idea di G. Nagy a cui egli si riferisce, è espressa così
a p. 1 del volume suddetto (i corsivi sono dell’A.): «my approach to archaic Greek poetry is
based on two major working assumptions. One, the mechanics and artistry of a given poem are
traditional not only on the level of form – let us call it diction – but also on the level of content –
let us call it theme. Two, the diction is a most accurate expression of the theme».
113
Cit. da M. PARRY, Studies in the Epic Technique of Oral Verse-Making. 1. Homer and
Homeric Style, in «HSCPh» 14 (1930), p. 80; gli studi di Milman Parry, scomparso prematura-
mente in un incidente di caccia nei Balcani, sono stati poi raccolti dal figlio Adam, a sua volta
morto prematuramente in un incidente automobilistico in Gran Bretagna, in A. PARRY (ed.), The
Making of Homeric Verse. The Collected Papers of Milman Parry, Oxford 1971; alle ricerche
pioneristiche di Parry, hanno fatto seguito altri lavori fondamentali sulla dizione epica, tra i quali
vanno ricordati almeno: A. B. LORD, The singer of Tales, Cambridge (Mass.) 1960; A. HOEKSTRA,
Homeric Modifications of Formulaic Prototypes. studies in the Development of Greek Epic
Diction, Amsterdam 1965; ID., The Sub-Epic stage of Formulaic Tradition, Amsterdam 1969; J. B.
HAINSWORTH, The Flexibility of the Homeric Formula, Oxford 1968; la bibl. posteriore è in III,
4,5, pp. 375 sgg. Anche in questo ambito, l’apporto della scuola italiana è cospicuo e importan-
te: basti pensare, per fare qualche nome, agli studi di B. Gentili, M. Cantilena, C. O. Pavese, L.
E. Rossi ecc.
88
3 – IL METODO
114
Cit. da G. NAGY, Formula and Meter, in A. STOLZ – R. S. SHANNON (eds.), op. cit. (nota
72, p. 45), p. 251, ripreso in G. NAGY, 1990, p. 29.
115
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 9, nota 10, il corsivo è dell’A.; ho citato per esteso il volume di
A. B. Lord alla nota 113.
116
Cit. da G. NAGY, Pindar’s... (cit. alla nota 80, p. 46), p. 4, nota 15.
117
Cfr. G. NAGY, 1990, p. 8.
118
Cit. da W. BURKERT, Mythisches Denken, in H. POSER (hrsg.), Philosophie und Mythos.
Ein Kolloquium, Berlin – New York 1979, p. 29; Burkert (vd. infra, pp. 198 sgg.) parla di
motivemi invece che di temi, ma la nozione è la stessa. Insieme a G. NAGY, 1990, p. 10, adotto
qui anche la definizione di ‘rito’ proposta da Burkert: «il ‘rituale’, visto dall’esterno, è un
programma di azioni dimostrative – prefissato a seconda del tipo di esecuzione e spesso a
seconda del luogo e del periodo – ed è ‘sacro’, in quanto ogni omissione o disturbo suscita
grande ansietà ed è causa di sanzioni. Comunicazione e impronta nel contempo, il rituale crea ed
assicura la solidarietà del gruppo chiuso»: cito da W. BURKERT, Griechische Religion... cit. (nota
62, p. 26), vol. I, pp. 12-3; per una definizione di ‘culto’ operativamente utile, anche se forse
89
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
riduttiva, seguo invece direttamente G. NAGY, 1990, p. 8: «by ‘cult’ I mean a set of practices
combining elements of ritual as well as myth».
119
Tornerò sui rapporti tra mito e linguaggio poetico nella seconda parte: vd. infra, pp. 197
sgg.
120
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 25.
121
Ivi, p. 28.
122
Ivi, p. 32; Nagy basa queste affermazioni sulla flessibilità della tradizione formulare,
principalmente sui risultati del lavoro di Hainsworth citato sopra.
123
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit. (nota 80, p. 46), p. 6; nello stesso volume, nota 18 di p.
21, egli afferma: «I am using the terms diachronic and synchronic […] not as synonyms for
historical and current respectively. It is a mistake to equate diachronic with historical, as is often
done. Diachrony refers to the potential for evolution in a structure. History is not restricted to
phenomena that are structurally predictable»; i corsivi sono tutti dell’A.; sull’applicazione di
‘sincronia e diacronia’ nello studio della ‘oral poetry’, vd. anche G. NAGY, 1990, pp. 19-20. Sulla
storia di queste due nozioni, sono importanti le riflessioni di R. AMBROSINI, Momenti e problemi
di storia della linguistica. De saussure – Jakobson – Chomshy, Pisa 1985, passim e i saggi di W.
BELARDI, Contrasti teoretici nella linguistica del Novecento, e, Linguistica e poetica di Roman
Jakobson, in ID., op. cit. (nota 99, p. 82), rispettivamente pp. 93 sgg. e 375 sgg.; vd. anche V.
ORIOLES (ed.), Modelli esplicativi della diacronia linguistica. Atti del Convegno della Società
Italiana di Glottologia (Pavia: 15-17/9/1988), Pisa 1989 e M. NEGRI – D. POLI (ed.), La
semantica in prospettiva diacronica e sincronica. Atti S.I.G. (Macerata-Recanati: 22-24/10/12),
Pisa 1994.
90
3 – IL METODO
124
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 35; la cit. di A. B. Lord, è tratta da ID., Homer as Oral Poetry,
«HSCPh» 72 (1968), p.4 6; cfr. anche P. ZUMTHOR, Introduction à la poésie orale, Paris 1983, p.
34.
125
Cfr. ad esempio, C. WATKINS, 1981b, pp. 774 sgg. e ID., 1987c, p. 290.
126
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit. (nota 80, p. 46), p. 6, i corsivi sono dell’A.; la citazione
di R. Jakobson è da ID., Russian and slavic Grammmar: studies 1931-1981 (ed. by M. Halle and
L. R. Waugh), The Hague 1984, p. 47 (il lavoro originale è del 1957); alla nota 16 della stessa p.
6, G. Nagy precisa che ha omesso «the final segment of Jakobson’s definition, “the general
meaning of the corresponding unmarked category states nothing about the presence of A, and is
used chiefly, but not exclusively, to indicate the absence of A”», sulla base di B. COMRIE, Aspect:
An Introduction to the study of Verbal Aspect and Related Problems, Cambridge 1976, p. 122;
91
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
Secondo Nagy,
we can find that marked speech occurs as a rule in ritual context, as we can
observe most clearly in the least complex or smallest-scale societies. It is in
such societies also that we can observe most clearly the symbiosis of ritual
and myth, and the ways in which the language of ritual and myth is marked,
whereas ‘everyday’ language is unmarked. The Greek language gives us an
exemple of these semantics: múō means “I have my eyes closed” or “I have
my mouth closed” in everydays situations, but “I see in special way” or “I say
in special way” in ritual. Hence mústēs is “one who is initiated” and mustē-
rion is “that into which one is initiated, mystery (Latin mysterium)”. Hence
also mûthos, “myth”: this word, it has been argued, is a derivate of múō and
anche su questa nozione, molto si impara dai lavori di Ambrosini e Belardi citati nella nota 123.
127
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 8, i corsivi sono dell’A.; cfr. anche ivi, p. 29: «I have
used the term oral tradition only in a broad sense – to the extent that the medium of writing is
not to be taken as a prerequisite for either composition or transmission»: per ora, come
definizione di lavoro, sarà anche la mia; con literacy, termine intraducibile, si intende in genere
«da dimestichezza con la scrittura»: cfr., ad es., J. GOODY, The Interface between the Written and
the Oral, Cambridge 1987, trad. it. Milano 1989, p. 3; un esempio di utilizzo della nozione
‘marcato – non-marcato’ nella ricostruzione i.e., è in A. L. PROSDOCIMI, Il lessico istituzionale
italico. Tra linguistica e storia, in La cultura italica. Atti S.I.G. (Pisa: 19-20/12/1977), Pisa 1978,
pp. 35 sgg.
128
Sull’applicazione di questa teoria negli studi di etnolinguistica, vd. G. R. CARDONA,
Introduzione all’etnolinguistica, Bologna 1980, II ed., pp. 214 sgg.
92
3 – IL METODO
129
Cit. da G. NAGY, 1990, pp. vm-XI; i corsivi sono dell’A.
130
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 9.
131
Ivi, p. 19; cfr. A. B. LORD, op. cit. (nota 113, p. 88), p. 13: «Singer, performer, composer,
and poet are one under different aspects but at the same time. Singing, performing, composing
are facets of the same act».
132
Cit. da A. B. LORD, op. cit., p. 33, vd. anche G. NAGY, 1990, p. 26.
133
Per le tradizioni celtica e avestica, cioè le altre due grandi apportatrici di materiale alla
comparazione poetica i.e., la situazione è in parte diversa, come si vedrà oltre.
134
Sull’aspetto prevalentemente sin cronico dell’accostamento di M. Parry a Omero, in-
fluenzato dalle sue ricerche sul campo, vd. G. NAGY, 1990, pp. 20 sgg.
93
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
135
Anche nel caso di Nagy, come già per Watkins, metto insieme osservazioni sparse in
varie sue opere: naturalmente, è mia la responsabilità interpretativa connessa a questa opera di
ricucitura.
94
3 – IL METODO
[…] the Vedas have been transmitted unchanged, as a fixed ‘text’, for all
these year by way of mnemonic techniques that had been part of the oral
tradition. Given the authority of the Homeric and Hesiodic poems by the
time they surface in the historical period of Greece, it is not unreasonable to
suppose that their rhapsodic transmission entailed comparable mnemonic
efforts – which need not have required writing at allo In theory, though,
written texts of the Homeric and Hesiodic poems could have been generated
136
Cit. da E. CAMPANILE, in F. CREVATIN (ed.), op. cit. (nota 61, p. 71), p. 30; cfr. anche E.
CAMPANILE, 1987a, p. 28.
137
Cit. da G. NAGY, The Best cit. (nota 56, p. 43), p. 8, vd. anche le pp. 78-9.
95
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
at any time – in fact, many times – during the lenghty phase of rhapsodic
138
transmission.
138
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 41, il corsivo è dell’A.; sfrutterò meglio quest’ultima
affermazione di Nagy nella seconda parte, precisando le mie idee, diverse da quelle di Nagy,
sull’esistenza e la funzione della scrittura nel mondo i.e.
139
Cfr., tra gli altri, G. NAGY, 1990, p. 59; sulla figura dci poeta i.e, resta fondamentale E.
CAMPANILE, 1977, cap. II.
140
Cfr. J. WACKERNAGEL, Beträge zur Lehre vom griechischen Akzent, in «Programm zur
Rektoratsfeier der Universitat Basci» (1893), p. 34 = ID., Kleine schriften, Göttingen 1953, vol.
II, p. 1103; M. L. WEST, Thesinging ofHomerand the Modes of Early Greek Music, «JHS» 101
(1981), p. 114, nota 12; G. NAGY, Hesiod, in T. J. LUCE (ed.), op. cit. (nota 81, p. 46) pp. 45 e 69.
141
Uso il termine ‘rapsodo’ per indicare, in generale per tutto il mondo di lingua i.e. e non
per il solo mondo greco, una figura di poeta, laico elo religioso, che esibiva la sua maestria di
fronte a un pubblico, che, condizionato dal ricordo di generazioni di esecuzioni poetiche, si
attendeva da lui il massimo grado di fissità nci contenuto e nella forma dci testo: cfr. G. NAGY,
1990, p. 27; per la differenza tra l’uditorio dci rapsodo e quello dell’aedo, vd. ivi, pp. 42-43;
dissento qui, in parte, da M. DURANTE, 1976, pp. 177-179.
142
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 42.
143
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit. (nota 80, p. 46), p. 28.
96
3 – IL METODO
basis derivation
144
SO NG song types
vs
145
poetry
vs
speech
Infatti,
144
«I print song types, not just song, to indicate the potential plurality of song types in
opposition with any single given type of poetry»: cito da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 29, nota 67;
i corsivi sono dell’A.
145
«[…] The affinities between song and poetry in ancient Greece can be viewed in terms
of an evolution of various kinds of song into something differentiated from song – let us call it
poetry – so that song and poetry can then coexist as alternative forms of expression»: ivi, p. 18.
146
Ivi, p. 30, i corsivi sono dell’A.
97
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
ing, and traveling. The marked speech-acts associated with the special occa-
sion of ritual and myth are what we are calling SONG. Internal criteria for
marked speech acts can be expected to vary from society to society: what may
147
be marked in one may be unmarked or everyday in another.
in most societies, not only the smaller-scale but the more complex as well, the
pattern of opposition between marked and unmarked speech takes the forffi
of an opposition between SONG and speech respectively, with the ‘singing’
of SONG being marked by a wide variety of patterns resulting from con-
straints on available features of speech in the given language. From the
standpoint of our own cultural preconceptions, singing is a patterning of
149
both melody (stylized tone or intonation) and rhythm (stylized duration
and/or intensity). From a cultural survey of a variety of societies, however, it
is evident that singing may also be equated with many other available types of
stylized phonological patterning, such as isosyllabism, rhyme, assonance, and
alliteration, and that the patterning of SONG extends to the levels of
150
morphology as syntax as well.
147
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 31, i corsivi sono dell’A.
148
Ivi, p. 31; il corsivo è dell’A.
149
«When differences in pitch have a lexical function (as in ancient Greek), it is a matter of
tone; where they have a syntactical function (as in English), it is a matter of intonation»: ivi, p. 33
nota 86, vd. anche p. 34, nota 94; cfr. A. M. DEVINE – L. D. STEPHENS, Stress in Greek?, in
«TAPA» 115 (1985), pp. 125-152.
150
Ivi, p. 33.
98
3 – IL METODO
may not require melody. In other words what counts as poetry for us may in
another given society count as song if there are no melodic prerequisites. In
this light, I cite a particularly useful formulation by An Ben-Amos, based on a
wide cross cultural variety of ethnographic data: ‘The existence or absence of
metric substructure in a message is the quality first recognized in any
communicative event and hence serves as the primary and most inclusive
151
attribute for the categorization of oral tradition. Consequently, prose [=
what I have been calling speech] and poetry [= what I have been calling
SONG] constitute a binary set in which the metric substructure is the crucial
attribute that differentiates between these two major divisions. It serves as
the definitive feature that polarizes any verbal communication and does not
provide any possible intermediary positions. A message is either rhythmic or
noto However, within the category of poetry [in my sense of SONG],
speakers may be able to perceive several patterns of verbal metrical redun-
152
dancy which they would recognize as qualitatively different genres’.
first, [...] traditional phraseology simply contains built-in rhythms. Later, the
factor of tradition leads to the preference of phrases with some rhythms over
phrases with other rhythms. Stilliater, the preferred rhythms have their own
dynamics and become regulators of any incoming non-traditional phraseol-
ogy. By becoming a viable structure in its own right, meter may evolve
independently of traditional phraseology. Recent metrical developments may
even obliterate aspects of the selfsame traditional phraseology that had
154
engendered them, if these aspects no longer match the meter.
151
Questa affermazione di D. Ben-Amos, basata su consistenti dati etno-comparativi e
condivisa da una lista di specialisti troppo lunga per essere citata, conferma che E. Campanile
aveva torto nel misconoscere l’importanza della metrica come strumento di differenziazione tra
poesia e prosa quotidiana: vd. supra, p. 38 e p. 74.
152
Ivi, pp. 36-7; la citazione di D. Ben-Amos è tratta da ID., Analytical Categories and
Ethnic Genres, in D. BEN-AMOS (ed.), Folklore Genres, Austin 1976, p. 228.
153
Egli fa qui riferimento a W. S. ALLEN, Accent and Rhythm. Prosodic Features of Latin
and Greek: A study in Theory and Recontruction, Cambridge 1973 e ID., Vox Graeca: The
Pronunciation of Classical Greek, Cambridge 1987, III ed.
154
Cit. da G. NAGY, 1974, p. 145.
99
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
the phraseology of SONG tends to stylize and regularize its own built-in
rhythms, and that these regularizations result diachronically in what we call
meter. Similarly, I also propose that the phraseology of SONG can stylize
and regularize its own built-in tones or intonations, resulting diachronically
in that we cali melody. If we combine the two proposals, we get a scheme
where both rhythm and melody in SONG could be viewed as regularized
outgrowths of speech that serve eventually to distinguish SONG from speech.
In term of this composite scheme, I am now ready to substituite rhythm or
155
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., p. 37, il corsivo è dell’A.
156
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 30; lo studioso aveva risposto ad alcune obbiezioni espresse
da J. Puhvel (in B. A. STOLZ – R. S. SHANNON, Oral Literature… cit., pp. 261-263) sulla
prevalenza della fraseologia sulla metrica, già in G. NAGY, 1979, pp. 615-6; anche E. Campanile
(cfr. ID., 1990c, pp. 142 sgg.) si opponeva alla prevalenza della formula sul metro, ma con
argomenti a mio parere deboli e senza conoscere apparentemente gli studi di Nagy seguenti al
1974 (cfr. ivi, Bibliografia).
157
Cit. da G. NAGY, 1990, p. 32.
100
3 – IL METODO
SO NG song types
vs
vs
speech poetry poetry types
vs
161
prose».
158
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., pp. 38-9, i corsivi sono dell’A.
159
Ivi, p. 41, il corsivo è dell’A.
160
Ivi, p. 45, il corsivo è dell’A.
161
Ivi, p. 46, il corsivo è dell’A.
101
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
with any differentiation of poetry from song through the loss of melody,
there would have to come about a new structural strain in the oral tradition.
Melody can be an important feature in the mnemonics of oral tradition in
song, as we know from the studies of folklorists who scrutinize the transmis-
sion and diffusion of song: melody helps recall the words. […] In terms of
differentiation of oral SONG into oral poetry as opposed to oral song, I offer
this axiom: with the structural strain brought about by the loss of melody in
poetry, there would come about, for the sake of mnemonic efficiency, a
compensatory tightening up of rules in the poetic tradition. This tightening
up would entail an intensification of both phraseological and prosodic
regularities […]. I also suggest that the concept of formula, stemming ulti-
mately from Milman Parry’s study of Homeric phraseology, applies primarily
to such regolarities stemming from the differentiation of oral poetry from
oral song. In other words the formula is to be seen as a characteristic
primarily of oral poetry as opposed to song. In order to account for the
distinct regularities of oral song as opposed to poetry, the concept of formula
162
could be considerably broadened.
162
Cit. da G. NAGY, Pindar’s… cit., pp. 50-1, i corsivi sono dell’A.
163
Definisco quindi la cultura come la somma teorica delle conoscenze, delle credenze e
dei saperi creati, posseduti e trasmessi da una generazione all’altra, dai membri di una particola-
re società; con ideologia definisco invece ogni credenza, o sistema di credenze – intendo credenza
nel suo significato più esteso di nozione impegnativa per la condotta pubblica e privata a
prescindere dalla sua fondatezza o dalla sua realizzabilità – usato per il controllo dei comporta-
menti collettivi; infine, con religione intendo la credenza in una garanzia soprannaturale offerta
102
3 – IL METODO
103
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
165
Vd. supra, p. 86.
166
Cfr. infra, pp. 144 sgg.
167
In specie se per concetto intendiamo ogni procedimento mentale che renda possibile la
descrizione, la classificazione e la previsione degli oggetti conoscibili: cfr. N. ABBAGNANO, s.v.
168
Cfr. C. WATKINS, 1992, p. 408.
169
Anche in questo caso, ritengo dunque in parte giustificati i dubbi espressi a suo tempo
da J. Puhvel, in B. A. STOLZ – R. S. SHANNON, Oral Literature… cit., pp. 262-263; su tutto ciò, vd.
comunque infra, pp. 198 sgg.
170
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning, Cambridge (Mass.) 1990, trad. it. Torino 1992, p.
48; sul pensiero narrativo, vd. infra, pp. 195 sgg.
171
Sul metodo storico-comparativo e il problema della ricostruzione linguistica, vd. tra gli
ultimi, H. H. HOCK, Principles of Historical Linguistics, Berlin – New York 1986; A. MORPURGO
DAVIES, Il metodo comparativo, passato e presente, «AION» 10 (1988), pp. 27-48; R. ANTILLA,
Historical and Comparative Linguistics, Amsterdam – Philadelphia 1989, II ed.; PH. BALDI (ed.),
Linguistic Change and Reconstruction Methodology, Berlin – New York 1990; A. GARRETT, Indo-
European Reconstruction and Historical Methodologies, «Language» 67 (1991), pp. 790-804; C.
F. JUSTUS, The Comparative Method and Reconstruction in Historical Linguistics, «Diachronica»
9 (1992), pp. 87-104; M. NEGRI – V. ORIOLES (eds.), Storia problemi e metodi del comparativismo
linguistico. Atti del Convegno S.I.G (Bologna: 29-11/1-12-1990), Pisa 1992; W. P. LEHMAN,
Theoretical Bases of Indo-European Linguistics, London 1993 (questo volume, anche se si
propone come introduzione per neofiti, in realtà è tutt’altro che un libro divulgativo); A. FOX,
Linguistic Reconstruction. An Introduction to Theory and Method, Oxford 1995; R. S. P. BEEKES,
Comparative Indo-European Linguistics. An Introduction, Amsterdam – Philadelphia 1995 (gli
ultimi due sono manuali utili e informati); sul cambio linguistico, in particolare, vanno visti tra
104
3 – IL METODO
gli ultimi: L. E. BREIVIK – E. H. JAHR (eds.), Language Change. Contributions to the Study of Its
Causes, Berlin – New York 1989; E. C. POLOMÉ (ed.), Research Guide on Language Change,
Berlin – New York 1990; V. LABOV, Principle of Linguistic Change. Internal Factors, Oxford 1994.
172
Cfr. E. CAMPANILE, 1990c, p. 79.
173
Ivi, p. 107; la poesia i.e. sarà da intendere piuttosto come totalizzante che totalitaria, ma
anche su ciò, vd. infra, pp. 295 sgg.
174
Cfr., tra gli altri, J. VANSINA, La tradizione orale. Saggio di metodologia storica, Roma
1976, ed. it. riveduta e aggiornata, e G. R. CARDONA, op. cit., cap. 7,4: «qui si userà l’accezione
ampia, corrente nell’etnografia della comunicazione e nello studio dell’arte verbale, per cui è un
genere ogni modello testuale che abbia sue proprie ed enunciabili caratteristiche formali e
strutturali»; ivi, p. 192, il corsivo è mio.
175
Cit. da J. GOODY, The Domestication of Savage Mind, Cambridge 1977, trad. it. Milano
1987, II ed., p. 181; vd. anche infra, pp. 207 sgg.; come dicevo sopra, vd. pp. 17 sgg., non è
tuttavia credibile che si possa determinare l’esistenza di un genere letterario di epoca i.e. sulla
base di una classificazione semantico-tipologica estrapolata dalle formule stesse e comunque
suggerita da una mentalità moderna: l’esistenza o meno di un genere i.e. andrà stabilita invece
per molteplicità di indizi e plausibilità di assunti storico-culturali.
105
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
176
Con W. Belardi, posto che il metodo comparativo-ricostruttivo
si basa sul principio che stabilisce che «[…] perché gli elementi
linguistici possano essere comparati tra loro e si possa da essi rico-
struire l’archetipo, è necessario che essi possano essere osservati e
studiati nell’atto di funzionare sul piano immediatamente superiore a
177
quello a cui appartengono», e che pertanto, poiché «le parole delle
lingue storiche sono i complessi stabili e riusabili più grandi che ci è
178
dato osservare in sede di studio comparativo-ricostruttivo», la
ricostruzione fonologica e morfologica è l’unica che possa dirsi real-
mente genealogica, tale «geneaologia linguistica può essere soltanto
179
sostanziale-materiale».
Eccezionalmente, tuttavia, «complessi stabili più grandi delle pa-
role sono le locuzioni, ma qui la stabilità è un fatto di stile formulare.
Ne discende la possibilità di studiare anche locuzioni indoeuropee,
riconducendole però a un particolare livello di stile. È il livello […] sul
quale si colloca la cosiddetta ‘lingua poetica’ indoeuropea, preistorica
e protostorica, ricca di composti e di locuzioni, espressione di partico-
lari strati sociali – guerrieri, sacerdoti – dei quali strati, pertanto, si
180
intravvede qualche leit-motiv ideologico».
«Nell’insieme, comunque, si tratta di un numero assai limitato di
formule, e il motivo di questa rarità è evidente: la ricostruzione di una
formula poetica indoeuropea presuppone non solo l’esistenza della
formula, ma presuppone altresÌ l’esistenza in più lingue indoeuropee
di testi arcaici che coltivino il particolare genere letterario in cui quella
data formula poteva apparire; in quelle stesse lingue deve, inoltre,
essersi mantenuto inalterato ogni singolo lessema che compariva nella
formula in questione. Se non si realizzano entrambe queste due
condizioni, allora la ricostruzione di una formula è a priori impossibi-
181
le».
176
Cfr. W. BELARDI, Genealogia, tipologia, ricostruzione e leggi lonetiche, in ID., op. cit.
(nota 99, p. 82), pp. 155-216.
177
Ivi, p. 184.
178
Ivi, p. 185.
179
Ivi, p. 199; il corsivo è dell’A.
180
Ivi, p. 185; non credo ci siano difficoltà ad identificare i ‘leit-motiv ideologici’ di Belardi
con i temi di Watkins e di Nagy, e con i motivemi di Burkert: vd. infra, pp. 198 sgg.
181
Cit. da E. CAMPANILE, La ricostruzione linguistica e culturale, in R. LAZZERONI (ed.),
Linguistica storica… cit. (nota 61, p. 71), p. 135.
106
3 – IL METODO
182
Cfr. supra, pp. 56 sgg.
183
Cit. da R. LAZZERONI, Indoeuropeo e Indoeuropa; un problema di metodo, in «InL» 9
(1984), p. 94; si troverà in questo lavoro di Lazzeroni la bibl. di riferimento.
184
Cit. da B. SCHLERATH, art. cit. (nota 74, p. 75), p. 13; cfr. anche R. LAZZERONI, La
ricostruzione culturale Ira comparazione lessicale e ricostruzione… cit. (nota 61, p. 71), pp.
163-165.
107
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
alla lingua effettivamente parlata, con tutte le sue varianti, dalla (o dalle)
comunità donde è proceduta la colonizzazione. […] Sul piano dell’indoeuro-
peo reale – e, dunque, della storia – si possono formulare le ipotesi seguenti:
1) è certo che alcuni (e forse molti) tratti dell’i.e. ricostruito corrispondo-
no a tratti dell’i.e. reale. […] Se, però, è vero che i tratti (o molti tratti) comuni
alle lingue i.e. storiche sono ereditati, allora è possibile che siano ereditati
anche alcuni tratti derivati da varianti prediasporiche. L’i.e. reale sicuramen-
te era, come ogni altra lingua, differenziato in senso diatopico e diastratico;
[…] 2) una parte dei tratti attribuiti alle protolingue intermedie può
corrispondere ai caratteri di un sottoarchetipo reale – ovviamente né unitario
né impermeabile – nell’ipotesi che un sottogruppo derivi dalla disgregazione
di un’area colonizzata secondariamente da una data lingua;
[…] 3) le lingue i.e. debbono le loro caratteristiche all’intreccio di
isoglosse irradiate in varie epoche e da vari centri e perciò ai processi di
disgregazione e aggregazione – di circolazione linguistica, insomma – di cui
188
tale intreccio è espressione.
185
Cit. da W. BELARDI, op. cit, p. 213; all’interno di questo passo, Belardi cita dal proprio
Superstitio, Roma 1976, p. 96.
186
Cfr. ancora W. BELARDI, op. cit., p. 214 e supra, pp. 59 sgg.
187
Cfr. supra, pp. 51 sgg.
188
Cit. da R. LAZZERONI, Indoeuropeo e Indoeuropa… cit., pp. 93-95.
108
3 – IL METODO
ogni ipotesi sull’i.e. reale e sulla formazione delle lingue storiche deve
muovere da questo presupposto e proporsi di ricostruire la storia di questa
circolazione. I punti di metodo fondamentali saranno i seguenti:
1) in linea di principio le isoglosse parziali comuni a più lingue sono
indizio di una relazione storica o preistorica fra le lingue medesime. L’ipotesi
è tanto più probabile (e tanto meno lo è quella contraria, che esse siano
dovute a sviluppi paralleli e indipendenti) quanto più numerosi sono i tratti
comuni e più vicine sono, o sono state, le lingue che li condividono;
2) gli archetipi unitari non appartengono alla realtà; e perciò è metodica-
mente fallace ritenere, senz’altre prove, i tratti non unificabili più recenti dei
tratti unificabili, oppure, sempre in nome dell’unità dell’archetipo, attribuire
alla preistoria di una lingua i tratti documentati da un’altra;
3) se le isoglosse comuni a due o più lingue sono, nella cronologia
relativa, più antiche di quelle differenziali, ciò indicherà un fenomeno di
disgregazione: la circolazione linguistica in un’area dialettale si sarà attenuata
o interrotta e le parti di quell’area che prima gravitavano intorno a centri
comuni avranno preso a gravitare intorno a centri diversi;
4) se, invece, le isoglosse differenziali sono più antiche di quelle unitarie,
ciò indicherà un fenomeno di aggregazione: aree dialettali prima orientate
189
verso centri diversi avranno preso a gravitare intorno a centri comuni.
189
109
Ivi, p. 100.
190
Cfr. lD., ibid.
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
191
Cit. da E. CAMPANILE, Reconstruction culturelle et reconstruction linguistique, in F.
BADER (ed.), Langues Indo-Européens, Paris 1994, p. 40; in questo lavoro, uno degli ultimi
dello studioso pisano, E Campanile risponde, in maniera spesso convincente, anche alle critiche
metodologiche espresse da alcuni studiosi tedeschi – B. Schlerat, J. Untermann, S. Zimmer –
sulla ricostruzione culturale.
110
Capitolo 4
IL MATERIALE
l
Il numero tra parentesi che compare dopo il nome dell’Autore rimanda appunto alla
Rassegna critica.
2
Laddove non vi siano indicazioni di lingue particolari, l’argomento è da intendersi come
riferito all’i.e. in generale.
111
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
3
riferimento primario per ogni utilizzo ulteriore; il materiale di diver-
so tipo presente nello stesso lavoro, per es. confronti fraseologici e
identificazione di temi poetici comuni, è qui raccolto in paragrafi
diversi.
4. 1. FRASEOLOGIA
3
Questa avvertenza è particolarmente necessaria per F. BADER, 1989 (12): il volume della
studiosa francese sulla lingua poetica i.e. è infatti così denso di dati, attestazioni, etimologie,
interpretazioni, riletture ecc., che ogni tentativo di schematizzare le novità in esso contenute
temo sia destinato inevitabilmente a perdere qualcosa per strada.
112
4 – IL MATERIALE
i sintagmi ved. giro dhā- e av. garō dā-: il nesso appartiene al lessico
della lingua poetica i.e.
E. Campanile, 1987b (41): formula de ‘l’aurora che risplende
ampiamente’ in gr., ved. e av.
G. Costa, 1982 (49): circa 50 nuovi confronti tra epiteti divini gr. e
ved.
G. Costa, 1984 (50): 9 confronti tra formule gr. e vedo del tipo
teonimo + composto avente come primo termine il nome dell’‘oro’;
qualche confronto anche con l’av.; paralleli con gr., ved., airl. e germ.
G. Costa, 1987a (51): confronto tra gli epiteti gr. e ved. che
significano “distruttore di fortezze”; identificazione della nozione
arcaica di ‘atterratore di mura’ nelle due lingue.
G. Costa, 1987b (52): confronto tra il vedo nŗn cyautná- e l’om.
laossÒoj.
G. Costa, 1990 (54): molti confronti tra composti gr., ved., air. e
celt. con *dus- e *su- come primo membro.
M. Durante, 1974b (59): confronto tra il gr. kîmoj, il ved. śámsa- e
il gath. səņgha- (e alcuni loro composti) nel significato poetico di
“lode di esseri umani, encomio di eroi”.
M. Durante, 1976 (60): 32 isoglosse poetiche comuni al gr., al ved. e
spesso anche all’av.; 25 confronti tra formule gr. e vedo del tipo nome +
epiteto, con confronti avo e paralleli da altre lingue i.e.; confronto tra
Ûmnoj e aind. sumná-; lessico del ‘fare poetico’, del poetare come
‘tessere’ e come ‘filare’ in gr. e indo-ir.
W. Euler, 1982 (63): la formula es war ein König (cfr. R. Schmitt,
1967a, p. 275) appartiene alla lingua poetica ie.
V. Grazi, 1990 (74): 12 confronti tra epiteti divini gr., aisl. e ved.;
1 tra aisl. e ved.; 14 tra gr. e aisl.
R. Gusmani, 1975 (76): illidio kaveś “poeta, sacerdote” è l’unico
corrispettivo i.e. dell'aind. kavís “saggio, veggente, poeta”.
L. Hertzenberg, 1974 (80): formula greco-vedica die Erde erschüt-
tem.
R. Lazzeroni, 1970 (97): ¢ndr£podoj è il risultato della trasfigura-
zione greca della formula i.e ‘bipedi e quadrupedi’ (cfr. R. Schmitt,
1967a, pp. 12 sgg.).
113
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
w
klewes) o direttamente al sintagma (*ak hthiton klewos) (contra, E.
Campanile, 1990c, p. 105).
R. Schmitt, 1969 (151): confronto tra om. qrasumšmnon e ved.
dhŗşaņmanas-.
C. Watkins, 1975a (181): confronto tra il lat. iouiste e il ved.
yávişţha-: l’uso del superlativo in -isto- per l’epitesi divina risale all’i.e.
C. Watkins, 1976a (183): confronto tra airl. dúan “poema” e
anord. tafn, armo tawn e lat. damnum.
C. Watkins, 1979a (190): formulario ereditato e tassonomia della
‘ricchezza’ in itt.
C. Watkins, 1979b (191): formulario dell’Atto di Verità in ved.,
av., gr. e airl.
C. Watkins, 1986a (194): un esempio della formula i.e. per l’ucci-
sione del drago in un rituale luvio.
C. Watkins, 1986b (195): confronto tra la seconda parte del
nome Meleagro = *(-)#agroj e vedo vájra-, avo vazrō come residuo
della formula i.e. per l’uccisione del drago.
C. Watkins, 1987b (198): la formula i.e. per l’uccisione del drago
in gr., itt. e ved.
C. Watkins, 1987c (199): aggiunge esempi av., air., gr., germ. alla
formula precedente.
C. Watkins, 1991 (202): formulario dell’escatologia e sue connes-
sioni con la formula per l’uccisione del drago in gr., lat., av., itt. e ved.
114
4 – IL MATERIALE
4. 2. STILISTICA
F. Bader, 1978b (5): la formula del tipo poim¾n laîn non è una
metafora ma una designazione ereditata del ‘protettore’.
F. Bader, 1988b (11): le figure fonetiche come sapienza iniziati ca
sulla scrittura.
F. Bader, 1989 (12): aind. ŗşi- come metafora corporale; il nome
dei druidi come esempio di kenning ereditata; kenningar temporali;
designazioni di animali e kenningar; meccanismo di creazione di una
kenning; l’ossimoro come tipo di enigma ereditato; indicazioni astrali
e kenningar; le metafore del vento.
F. Bader, 1990a (13): il ‘legare’ ( i.e. *sH2-) come metafora
dell’attività poetica.
F. Bader, 1990b (14): le kenningar come stilema ermetico; i nomi
doppi nella ‘lingua degli dei’; allitterazione, figure e giochi fonetici
come legame costruttivo dell’ermetismo poetico.
F. Bader, 1991a (16): allitterazione e figure fonetiche nel formula-
rio di Iris
F. Bader, 1991c (18): connessioni tra allitterazione e enigmi poeti-
ci.
E. Benveniste, 1968 (21): figura etimo comune al vedo e all’av.:
sákhā sákhye / haxa haše “le compagnon au compagnon”, parallelo è
anche l’impiego di susakhí- e di huš-haxi- “ben disposto, amichevole”.
L. Bottin, 1969 (26): conferma che l’uso dell’aumento non è
regolato da fatti poetici, tantomeno di origine i.e.
E. Campanile, 1974a (29): metafore del toro e della vacca, del
vitello e della giovenca per indicare il marito e la moglie, l’uomo e la
donna in gr., ved. e airl.
E. Campanile, 1974b (30): metafora del timoniere come ‘guida sul
campo di battaglia, principe che saggiamente e coraggiosamente gui-
da i suoi uomini in guerra’ (assente in gr.); metafora dell’eroe come
colonna in celt. e gr.; metafora dell’eroe come onda o tempesta o
fuoco che tutto devasta.
E. Campanile, 1977 (32): metafore del poeta come carpentiere e
come tessitore in ved., celt., av., aingl.; metafora del ‘lupo = guerriero’
e i suoi rapporti con l’onomastica; stilema sommatorio in lat., gr., ved.
airl.: indica un dato reale attraverso l’enumerazione degli elementi che
lo costituiscono; stilema dell’espressione polare come espressione
della totalità in av., ved., gr., oum., lat.; stilema del tipo Aussage plus
negierte Gegenaussage (a un dato elemento lessicale o concettuale e
115
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
116
4 – IL MATERIALE
4. 3. METRICA
117
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
118
4 – IL MATERIALE
119
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
4. 4. TEMATICA
F. Bader, 1978b (4): tema del certamen oratorio in gr., airl. e ved.;
tema delle gesta di Nestore; tema del festino; tema della razzia e
dell’eroe che va in cerca dei buoi.
F. Bader, 1980 (7): tema dell’iniziazione del guerriero in lat., gr. e
airl.; tema della razzia in om. e airl.
F. Bader, 1984 (8): motivo della caccia; motivo del furto della
cintura di un’amazzone da parte di un eroe; canovacci narrativi eredi-
tati: Nestore e Cli Chulainn; Romolo e Remo; Eracle; Achille; Melea-
gro, Sigfrido e Bellerofonte; strutture narrative dell’iniziazione.
F. Bader, 1988b (11): la ‘lingua degli dei’ come conoscenza inizia-
tica della scrittura; tema dell’iniziazione alla scrittura di Odino e
Bellerofonte.
F. Bader, 1989 (12): trame narrative ereditate ne l’Avíssmál.
F. Bader, 1990b (14): altri esempi gr. e aisl. della ‘lingua degli dei’.
F. Bader, 1990c (15): connessioni tematiche tra la ‘lingua degli
dei’ itt. e quella gr. (Omero, Esiddo e Pindaro): tema dell’ordine e
della sovranità cosmica, della legittimità sociale, della bisessualità,
dell’autobiografia poetica.
F. Bader, 1991a (16): tema del messaggero veloce degli dei.
E. Campanile, 1974b (30): tema dell’eroe che combatte in prima
linea; tema dell’eroe vincitore.
E. Campanile, 1977 (32): tema delle virtù militari del principe
committente; tema dell’oltretomba.
E. Campanile, 1981 (36): tema delle nozze sacre tra re e dea; tema
del culto delle Matres in germ. celt. e ved.
E. Campanile, 1990c (46): tema dell’uccisione dei nemici in gr. e
airl.; tema della genealogia come elogio; tema dell’immortalità del
nome e del destino dell’uomo dopo la morte.
T. M. Compton, 1988 (48): tema dell’esilio (della punizione lega-
le, dell’uccisione, dell’espulsione dal corpo sociale) del poeta a causa
dei suoi versi satirici; tema del guerriero-poeta; tema del poeta come
farmakÒj.
G. Costa, 1984 (50): tema dell’oro nell’epitesi divina.
M. Durante, 1971 (57): origine mic. dei temi om. di Aiace Tela-
mania, Eracle e Merione.
M. Durante, 1976 (60): temi mitico-poetici greco-ved.: gesta di
Eracle e di Indra, il cielo di pietra, la terra sovraffollata alleggerita dal
peso degli uomini con una guerra.
120
4 – IL MATERIALE
4.5. LETTERARIETÀ
121
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
122
4 – IL MATERIALE
4.6. POETOLOGIA
123
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
124
CAPITOLO 5
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
1
Vd. supra, pp. 88 sgg.
125
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
5) i testi più antichi delle lingue i.e. da un certo punto in avanti sono
diventati formulazioni orali standardizzate, cioè testi fissi;
6) in una società arcaica la letteratura orale costituisce la summa
dei saperi di quella specifica etnia.
Detto questo, cosa intendere allora per ‘lingua poetica’?
Senza entrare nel labirinto delle decine di teorie diverse esistenti
2
su tale concetto, farò qui riferimento in parte ad alcuni scritti di R.
Ambrosini, uno studioso che nel corso del tempo è tornato più volte
ad esaminare, specificatamente ma non esclusivamente, la nozione di
3
lingua poetica i.e.
La prima distinzione da fare è quella tra lingua poetica, lingua
della poesia e lingua letteraria; il termine di confronto per tutte e tre
queste nozioni è la lingua in genere, la lingua spontanea, la lingua
quotidiana, la prosa, insomma quella lingua che non essendo né
poetica né letteraria ha «una forma che deliberatamente prescinde da
4
costanti strutturazioni ritmico-melodiche».
Lingua poetica e lingua della poesia non sono la stessa cosa: la
lingua della poesia è la lingua dei testi in versi in quanto opposti ai testi
non in versi; invece, con lingua poetica bisogna intendere, in generale,
un tipo di lingua le cui caratteristiche formali (per es. l’andamento
ritmico-musicale o drammatico, la complessità sintattica e lessicale,
ecc.) la contrappongono sì alla lingua quotidiana, ma che non è esclusi-
5
va della poesia, potendo essere propria anche a opere in prosa.
Nel caso della lingua poetica i.e., tuttavia, lingua poetica e lingua
della poesia finiscono per coincidere perché non abbiamo testimo-
nianze arcaiche in prosa ‘alta’ coeve a quelle in poesia: il contenuto
delle tavolette micenee è noto; la parte in prosa dell’Atharva-Veda,
oltre a essere di redazione più recente, così come l’Edda in prosa
2
Pur nel rispetto dovuto a uno dei miei maestri – mi sono infatti addottorato a Pisa
avendolo come relatore della tesi finale (insieme a R. Lazzeroni), un volume che poi ha avuto la
bontà di pubblicarmi nella sua ‘Nuova collana di linguistica’ –, come si vedrà tuttavia non tutto
di ciò che egli sostiene su questi argomenti mi convince.
3
A questo riguardo, di R. Ambrosini va visto innanzitutto Per una concezione processuale
della ricostruzione linguistica, in Studi T. Bolelli, Pisa 1974, pp. 17 -37, e poi alcuni lavori dedicati
precipuamente ai concetti di ‘lingua letteraria’ e di ‘lingua poetica’ apparsi nel 1984/1988, ma
rivisti e ripubblicati in ID., Saggi di critica linguistica, Pisa 1989; da ultimo, anche alcune pagine
di ID., Le lingue indo-europee. Origini, sviluppo e caratteristiche delle lingue indo-europee nel
quadro delle lingue del mondo, Pisa 1991.
4
Cit. da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 70.
5
Secondo R. AMBROSINI (Saggi… cit., pp. 69 sgg.), le caratteristiche principali della lingua
poetica sono l’armonizzazione, la libera associabilità e l’ermetismo.
126
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
6
Cit. da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 72.
7
Il caso del miceneo e delle lingue i.e. anatoliche, le uniche fonti di testimonianze arcaiche
i.e. scritte, è ovviamente più complesso di quanto qui possa apparire: verrà trattato nella seconda
parte.
8
Cfr. E. A. HAVELOCK, op. cit. (nota 37, p. 39), p. 41.
9
Vd. infra, pp. 271 sgg.
10
Cit. da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 72.
127
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
11
Ivi, p. 53.
12
Su tutto ciò, vd. anche G. COSTA, 1989; alcune altre caratteristiche messe in luce da R.
Ambrosini mi sembrano proprie soltanto a una lingua letteraria scritta e forse moderna.
13
Cito da R. AMBROSINI, Saggi… cit., p. 67.
14
Ivi, p. 64.
15
Cfr. supra, pp. 96 sgg.
128
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
5. 2. I RISULTATI
16
Non credo comunque che la libera associabilità sia «il risvolto formale dell’indipendenza
del rapporto vero/falso» (R. AMBROSINI, op. cit., p. 90); in una lingua poetica arcaica, è per lo più
il mito a parlare e l’ambito del mito è il certum non il verum, come già distingueva G. B. Vico: cfr.
J. HILLMAN, On Mythic Certitude, «Sphinx» (1990), ora in versione italiana in ID., Oltre
l’umanismo, Bergamo 1996, pp. 31-59, vd. anche infra, pp. 197 sgg.
17
Cfr. supra, p. 20.
129
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
risultati già acquisiti, quali confronti attribuire alla lingua poetica i.e. e
quali invece escludere per la loro non restringibile indeterminatezza.
La risposta alla seconda domanda è più complessa e, almeno per
ora, può essere compiutamente definita solo come ipotesi di lavoro.
Innanzitutto, va osservato che se resta vero che nessuna lingua i.e.
ha una tradizione letteraria paragonabile per arcaicità e quantità a
quelle greca e indiana antica, e dunque il numero dei confronti tra
questi due dominii linguistici non può sorprenderci, è pur vero anche
che l’iranico, forse perché la valenza innovativa della ‘rivoluzione’
zarathustriana dovette essere forte anche sul patrimonio poetico ere-
18
ditato, se molto ha in comune sul versante poetico con l’indiano
antico, viceversa più raramente offre riscontri al greco, e dunque non
di fenomeno genericamente greco-ario si dovrebbe parlare ma al più
di fatti greco-vedici.
Comunque sia, l’argomento decisivo contro l’ipotesi, sostenuta
soprattutto da M. Durante, che il materiale poetico comparato appar-
tenga a una lingua poetica greco-aria e non globalmente i.e., viene
dalla gran messe di testimonianze raccolte nel celtico: una mole di
confronti la cui importanza è per lo meno di pari valore a quella delle
tradizioni greca e aria. Se non per questo siamo autorizzati a ipotizzare
una lingua poetica greco-ario-celtica, tuttavia, diversamente da E.
Campanile, non invocherò qui la norma delle aree laterali per attribui-
re all’i.e.le concordanze celtico-vediche: in generale, la mia opinione è
che il materiale raccolto da Schmitt e quello messo in luce dalle
ricerche seguenti, evidenzi, all’interno di un fenomeno che dovette
essere proprio già al periodo comune, una serie di articolazioni pro-
prie sia a fasi prediasporiche, che a fasi post-diasporiche in cui già si
erano formate le singole etnie pre-storiche. Dicendo ciò, non intendo
riesumare i nodi intermedi dell’albero geneaologico e tutto quel che
ne consegue: la lingua poetica appartiene variamente e diversamente
alle singole popolazioni i.e. non solo perché, ad esempio, diversissima
è la documentazione superstite delle fasi arcaiche delle varie lingue
19
i.e., ma perché essa appartiene all’i.e. storico e pertanto ne riflette e
20
ne sostanzia le DIA-variazioni.
18
Un caso è segnalato in G. COSTA, 1987b.
19
Vd. supra, pp. 108 sgg.
20
Seguendo A. L. PROSDOCIMI, «Con DIA intendo convenzionalmente il modulo comples-
sivo della variabilità linguistica, ove accanto alla dimensione diacronica, vengono considerati – e
pariteticamente intesi – ai fini della variabilità i parametri dello spazio (diatopia), della società
130
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
131
PARTE I – VENTICINQUE ANNI DOPO
22
V d. supra, nota 8, p. 56.
23
Vd. G. SASSO, Le strutture anagrammatiche della poesia, Milano 1982 e soprattutto ID.,
La mente in tra linguistica. L’instabilità del segno: anagrammi e parole dentro le parole, Genova
1993.
24
Vd. supra, p. 76.
132
5 – CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
la maniera sagace e mirabile con cui oggi noi rendiamo accessibile alla
conoscenza il passato più remoto deriva dalla trasformazione del nostro
sentimento del tempo. Così lo sguardo della storiografia acquista intensità
evocatrice, e si fa tutt’uno con la poesia. Questa facoltà di evocare per
incantesimo la più antica umanità dalle sue ombre è uno dei nostri grandiosi
spettacoli. Quali sono i reperti e le fonti primarie? perché cominciano a
parlare oggi, dal momento che esistevano già, da sempre? Per lo spirito, essi
hanno la funzione di talismani, ed è impressionante vedere, quando vengono
26
sfiorati come la lampada di Aladino, che cosa sale dalle arcate dei millenni.
25
Cfr. R. DESCARTES, Principia philosophiae, 1644, vol. I, par. 9.
26
Cit. da E. JÜNGER, Am Sarazenenturm (1954), trad. it. in ID., Il contemplatore
solitario, Parma 1995, p. 100.
133
PARTE II
137
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
1
Cit. da G. BATESON, Steps… cit. (nota 14, p. 140), p. 321.
2
Cfr. supra, passim.
3
Vd. supra, pp. 132-3.
4
Vd. supra, p. 132.
138
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
5
Cit. da G. BATESON, Steps… cit. (nota 14, p. 140), p. 24.
6
Cit. da J. C. ECCLES, How the Self controls Its Brain, Berlin – Heidelberg 1994, trad. it.
Milano 1994, p. 19.
7
Cfr. G. BATESON, Mind and Nature… cit. (nota 14, p. 140), pp. 191-194.
8
Ivi, p. 192.
9
Vd. U. ECO, Trattato di semiotica generale, Bologna 1975, pp. 185-188.
139
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Dal punto di vista della teoria dei codici, infatti, l’abduzione è uno
di quei casi in cui la presenza di determinanti non codificate fanno sì
che l’interpretazione, distinta pertanto dalla decodifica, conferisca
senso a vaste porzioni del discorso sulla base di de codifiche parziali:
«il termine interpretazione acquista allora il senso che ha nelle discus-
10
sioni ermeneutiche o nella critica letteraria e artistica».
«[…] Queste interpretazioni talora producono nuove porzioni di
codice in quanto costituiscono processi embrionali di ipercodifica o di
11
ipocodifica»: rimanendo nel nostro campo di studi, un caso tipico di
ipercodifica è quello delle regole narrative individuate da V. J. Propp
12
nei racconti di fiabe, mentre un caso di ipocodifica è per esempio la
via con cui tentiamo la comprensione di testi appartenenti a civiltà
13
scomparse.
Dal punto di vista della storia del pensiero scientifico, l’abduzione
è quindi un procedimento frequente, essendo tra l’altro, per esempio,
alla base anche dell’analisi newtoniana del sistema solare e del sistema
periodico degli elementi di Mendeleev: a patto di inserirla in un
rigoroso sistema ipotetico-deduttivo, riconoscerne prima la sua fun-
zione nel pensiero comune e applicarla poi con consapevolezza nel
metodo scientifico, può rappresentare una base epistemologica con
cui sfruttare senza rischi di tautologie le regole di descrizione, le
nozioni e i concetti di altri ambiti disciplinari.
***
Detto ciò, esporrò ora, sulla base soprattutto delle idee e degli studi
14
di Gregory Bateson, alcuni dei principi generali che considero neces-
10
Ivi, p. 185.
11
Ivi, p. 188.
12
Cfr. ivi, p. 189; secondo U. Eco, si ha un’ipercodifica quando sulla base di una regola
precedente si propone una regola additiva per un’applicazione particolarissima della regola
generale: cfr. ivi, p. 188.
13
«Dunque l’ipocodifica può essere definita come l’operazione per cui, in assenza di
regole più precise, porzioni macroscopiche di certi testi sono provvisoriamente assunte come
unità pertinenti di un codice in formazione, capaci di veicolare porzioni vaghe ma effettive di
contenuto, anche se le regole combinatorie che permettono l’articolazione analitica di tali
porzioni espressive rimangono ignote»: ivi, p. 191; cfr. anche pp. 309 sgg.
14
Farò riferimento per lo più a G. BATESON, Steps to an Ecology of Mind, New York 1975,
trad. it. Milano 1977; ID., Mind and Nature, New York 1979, trad. it. Milano 1984, e al postumo
ID. – MARY CATHERINE BATESON, Angels Fears. Towards an Epistemology of the Sacred, New
York 1987, trad. it. Milano 1989; a cura della sola M. C. Bateson, figlia di Gregory B., va tenuto
presente Our Own Metaphor: A Personal Account of a Conference on Conscious Purpose and
140
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
15
sari per iniziare a determinare un’epistemologia, che, chiarendo a noi
stessi i limiti delle nostre possibilità conoscitive e rendendoci esplicita-
mente consapevoli di come sono costruite le nostre nozioni fondamen-
16
tali, ci consenta di affrontare il problema della coscienza evitando il
rischio di fare affermazioni palesemente auto contraddittorie o di pro-
porre idee in contrasto con le attuali conoscenze scientifiche.
Ho parlato di epistemologia perché, seguendo G. Bateson, «defi-
nisco l’epistemologia come la scienza che studia il processo del cono-
17
scere, l’interazione tra la capacità di rispondere alle differenze da
una parte e, dall’altra, il mondo materiale in cui queste differenze in
qualche modo hanno origine. Abbiamo
18
quindi a che fare con un’inter-
faccia tra Pleroma e Creatura».
Human Adaptation, New York 1972. Pur essendo in questo contesto meno utili, ricordo anche
gli altri volumi di cui è autore G. Bateson: Naven, Cambridge 1936, Stanford – London 1958, II
ed.; ID., Communication: the social Matrix of Psychiatry, New York 1951, II ed. 1968, trad. it.
Bologna 1976; il suo lungo saggio intitolato, The Message ‘This is Play’, in B. SCHAFFNER (ed.),
Group Processes. Trans. of the II Conf. (Princeton: 9-12/10/1955), New York 1956, pp. 145-242,
appare ora in trad. it. come volume autonomo: Milano 1996. Su G. Bateson, infine, si può
utilmente vedere: J. BROCKMAN (ed.), About Bateson, New York 1977.
15
Iniziare a determinare, perché, in generale, occorre tener presente che solo una teoria
universale può essere completa anche sul piano epistemologico: l'unità essenziale della natura
impedisce infatti la costruzione di teorie esaurienti e autoconsistenti per una classe limitata di
fenomeni: cfr. A. EINSTEIN, Note autobiografiche, in P. A. SCHILPP (ed.), Albert Einstein,
scienziato efilosofo, ed. it. Torino 1958, pp. 46-7.
16
Come ricorda J. Hillman a proposito della psicologia, ma anche qui l’avvertimento può
essere esteso con profitto alle altre scienze umane, «[…] le idee che non sappiamo di possedere ci
posseggono modellando le nostre esperienze dietro le nostre spalle, a nostra insaputa. Compito
della psicologia, secondo me, è di vedere, prima o durante l’esame dei dati o degli eventi, il
fattore soggettivo, archetipico, che sta nei nostri occhi. Altre scienze devono far mostra di essere
oggettive, di descrivere le cose come sono; la psicologia per fortuna è sempre vincolata dai suoi
limiti psichici e può risparmiarsi la finzione dell’oggettività. Anziché l’obbligo a essere oggetti-
vamente fattuale, ha quello di essere soggettivamente consapevole; il che è possibile soltanto se
siamo disposti ad affrontare, senza trascurarne nessuno, tutti i postulati delle nostre nozioni più
basilari»: cito da J. HILLMAN, Anima. An Anatomy of a Personified Notion, Princeton 1985, trad.
it. Milano 1989, p. 131.
17
Secondo G. Bateson la differenza (o unità elementare d’informazione) è quell’entità
astratta e non localizzabile che scorgiamo per es. nella diversità tra un oggetto di carta e un
oggetto di legno: «quando si entra nel mondo della comunicazione dell’organizzazione, eccetera
[la Creatura], ci si lascia alle spalle l'intero mondo in cui gli effetti sono prodotti da forze, urti e
scambi di energia [il Pleroma]. Si entra in un mondo in cui gli ‘effetti’ […] sono prodotti da
differenze. Cioè essi sono prodotti da quel tipo di ‘cosa’ che viene trasferita dal territorio alla
mappa [vd. infra, p. 150]. Questa è la differenza» (cit. da Steps… cit., p. 469); la parola ‘idea’,
nella sua accezione più dementare, per Bateson è sinonimo di differenza: cfr. ivi, pp. 469-470.
18
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON op. cit., p. 39 (il corsivo è dell’A.). «Vi è una
definizione più tradizionale, secondo la quale l’epistemologia è semplicemente lo studio filosofi-
co di come sia possibile conoscere. Io preferisco la mia definizione – come di fatto si conosce –
141
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
perché inquadra la Creatura nella più ampia totalità, nd regno presumibilmente senza vita del
Pleroma»: ivi, p. 39 (i corsivi sono dell’A.).
19
Questo termine sostituisce in un contesto tridimensionale la nozione di confine; G.
Bateson, e io con lui, usa il termine per indicare confini di sistemi definiti da scambi d’informa-
zione e da cambiamenti di codifica: interfaccia è dunque il termine per indicare il luogo
dell’interazione sistemica; cfr. ivi, p. 315.
20
Cfr. C. G. JÜNG, Septem sermones ad Mortuos, in A. JAFFÉ (hrsg.), Erinnerungen,
Traume, Gedanken von C. G. Jung, Zürich 1961.
21
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 36 (il corsivo è dell’A.); vd. anche ivi,
pp. 95-102.
142
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
22
K. R. Popper e di J. C. Eccles a cui farò riferimento più avanti
nell’esaminare il problema dell’evoluzione della coscienza; la princi-
pale differenza di rilievo – nel sistema di Bateson vi sono due
‘mondi’, nel sistema di Popper tre – si assottiglia se consideriamo,
come qui propongo, il Mondo 2 e il Mondo tre di Popper, cioè
quello che comprende le esperienze coscienti e quello della creati-
23
vità e della conoscenza, come inclusi entrambi nella Creatura;
questo anche perché se si seguisse un opinione non irrilevante
24
diffusa ancora oggi tra i matematici, dovremmo postulare l’esi-
stenza di un quarto Mondo, quello platonico delle forme matemati-
che.
Comunque sia, il fatto importante è che entrambe le teorie si
discostano dal dualismo cartesiano classico, che è sostanziale e non
interattivo, perché considerano parallele e interagenti l’evoluzione
biologica e quella della coscienza, ammettendo l’efficacia causale
degli stati mentali e della coscienza nel provocare cambiamenti negli
eventi nervosi del cervello.
A quanto detto, devo aggiungere che per giustificare conveniente-
mente l’adozione da parte mia delle seguenti tesi, occorrerebbe scrive-
re un altro libro, poiché ciascuna di esse richiama secoli di inesausto
dibattito filosofico, e tuttavia, proprio perché nessuna di esse costitui-
sce più per il panorama intellettuale moderno una novità, è qui forse
sufficiente la forma schematica e scusabile il tono apodittico. Chie-
25
derò dunque al lettore che le consideri per ora a mo’ di postulati: il
22
Gli scritti di K. Popper sono troppo noti per doverli citare; può essere utile invece
ricordare, perché edito solo di recente, il testo di una serie di conferenze su questo argomento
che Sir Karl tenne nel 1969 all’Università di Emory: Knowledge and the Body-Mind Problem. In
Defence of Interaction, London – New York 1994, trad. it. Bologna 1996 (il lettore interessato
troverà comunque in questo volume una bibl. degli scritti di K. R. Popper); qui però farò
soprattutto riferimento a K. R. POPPER – J. C. ECCLES, The self and Its Brain, Berlin – Heidelberg
1977, trad. it. Roma 1992, II ed., e a J. C. ECCLES, op. cit., cap. I e IX; vd. anche infra, pp. 165
sgg.
23
È chiaro che le due teorie non sono certo sovrapponibili, tuttavia la versione del
dualismo interazionista che sostiene le ricerche recenti di J. C. Eccles, è più duttile e convincente
di quella del 1977, anche se quest’ultima, cioè la teoria sui tre mondi di Popper, resta comunque
il suo punto di riferimento primario.
24
Vd., per es., J. PENROSE, Shadows of the Mind, Cambridge 1994, trad. it. Milano 1996,
pp. 500 sgg.
25
Diversamente dal formalismo logico-matematico moderno, uso qui postulato nel suo
significato aristotelico (cfr. An. Post., I, 10, 76b 14; I, 2, 72a 15) di ‘proposizione che si ammette,
o si chiede che sia ammessa, allo scopo di rendere possibile una dimostrazione o un procedimen-
143
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
corso del lavoro chiarirà, con una serie di note e di rimandi, l’utilità e
26
l’uso di quanto qui affermato.
Esse sono:
27
1) la scienza non prova mai nulla;
2) non esiste esperienza oggettiva;
3) la divisione in parti e totalità dell’universo percepito è vantag-
giosa e forse necessaria, ma niente determina come ciò debba essere
fatto;
4) le successioni divergenti sono imprevedibili;
5) le successioni convergenti sono prevedibili;
28
6) dal nulla nasce nulla (senza informazione);
29
7) il numero è diverso dalla quantità;
8) la quantità non determina la struttura;
9) la logica è un cattivo modello della causalità;
10) la causalità non opera all’indietro;
11) stabilità e cambiamento, così come sincronia e diacronia o
tipologia e origine genetica, descrivono parti delle nostre descrizioni;
12) il linguaggio mette in luce di solito solo un aspetto di qualun-
que interazione;
13) ciò che vediamo o sentiamo non è mai direttamente il fenome-
no che abbiamo indagato, ma sempre soltanto qualcuna delle sue
conseguenze;
to qualsiasi e che, pur essendo dimostrabile, viene assunta e utilizzata senza dimostrazione’: cfr.
N. ABBAGNANO, s.v.
26
Per i rinvii biblografici, le esemplificazioni e in generale per un’esposizione più ragionata
e discorsiva, rimando il lettore alle opere di G. Bateson citate alla nota 14, p. 140: la gran parte
delle tesi qui dencate sono tratte infatti, o sono comunque influenzate, dalle ricerche di questo
studioso, uno dei non molti, a mio parere, che ha affrontato cognitivamente il problema del
modo in cui percepiamo, del sistema di presupposizioni inconsce, quell’epistemologia «sepolta
nelle profondità della nostra mente, ma inaccessibile alla coscienza» (cit. da G. BATESON – M. C.
BATESON, op. cit., p. 145) che regge il meccanismo delle nostre percezioni, ottenendo risultati
sfruttabili nel contesto della presente ricerca.
27
G. BATESON, in Mind and Nature… cit., pp. 46-47 (i corsivi sono dell’A.), afferma anche
che «[…] la scienza è un modo di percepire e di dare per così dire ‘senso’ a ciò che percepiamo.
[…] Ciò che noi, come scienziati, possiamo percepire è sempre limitato da una soglia: ciò che è
subliminale non giunge ad arricchire le nostre cognizioni. In qualsiasi istante, la nostra cono-
scenza è sempre funzione della soglia dei mezzi di percezione di cui disponiamo. […] La scienza
non prova, esplora».
28
Sui problemi posti dallo ‘zero’, l’assenza completa di ogni evento indicativo, come
messaggio, vd. G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 67-71.
29
«Il numero appartiene al mondo della struttura formale, della Gestalt e del calcolo
numerico; la quantità appartiene al mondo del calcolo analogico e probabilistico»: ivi, p. 72.
144
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
30
Su fisica e linguaggio, vd., tra gli altri, W. HEISENBERG, Physics and Philosophy, New
York 1958, trad. it. Milano 1961, pp. 175-6 e F. CAPRA, The Tao of Physics, New York 1975,
trad. it. Milano 1982, pp. 53 sgg.
31
Alcune recentissime teorie sulla coscienza, tra cui quella di D. J. Chalmers esposta anche
in «SA» (1995), f. 12, trad. it. in «Le Scienze. Quaderni» 91 (1996), pp. 74-80, tornano con
qualche approssimazione alla teoria dell'informazione e alle idee del fisico J. A. Wheeler,
trascurando tuttavia il fatto che a diverse questioni di principio – per es. se un termostato possa
essere cosciente – aveva già risposto G. Bateson. La risposta è no, naturalmente: cfr. G.
BATESON, Steps… cit., pp. 346 sgg., e infra, pp. 148 sgg.
32
Su condizione vs. causalità, vd. infra, pp. 153 sgg.
145
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
33
Questa sintesi è tratta per lo più da N. ABBAGNANO, s.v. Cibernetica; cfr. anche N.
WIENER, Cibernetics, or Control and Communication in the Animal and the Machine, Cambridge
1948, trad. it. Milano, Bompiani, 1953, n. ed. 1992; E. R. CAIANIELLO – E. DI GIULIO, La
cibernetica, Firenze 1980; H. R. MATURANA – F. J. VARELA, Autopoiesis and Cognition, Dordre-
cht 1980.
34
Sembra invece che evitare di definire cosa sia o cosa si intenda per mente, sia un costume
oramai invalso nella letteratura specialistica recente: vd., per es., R. PENROSE, op. cit., p. 61.
35
«Ci imbattiamo qui in una differenza assai cospicua tra il modo in cui descriviamo il
comune universo materiale (il Pleroma di Jung) e il modo in cui siamo costretti a descrivere la
mente. La diversità sta in questo, che per l’universo materiale saremo di solito in grado di dire
che la ‘causa’ di un evento è una forza o un urto esercitati dal sistema materiale su qualche altra
sua parte: una parte agisce su un’altra. Viceversa, nel mondo delle idee [la Creatura] occorre
una relazione, o tra due parti oppure tra una parte all'istante 1 e la stessa parte all'istante 2, per
poter attivare una qualche terza componente che possiamo chiamare il ricevente. Ciò a cui il
ricevente (ad esempio, un organo di senso terminale) reagisce è una differenza o un cambiamen-
to. […] Il nostro sistema sensoriale – e certo anche quello di tutte le altre creature […] e perfino
i sistemi mentali che stanno dietro i sensi – […] può funzionare solo con eventi, che possiamo
146
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
chiamare cambiamenti [cioè differenze]. […] Gli organi terminali ricevono continuamente
eventi che corrispondono a contorni dd mondo visibile. Noi tracciamo distinzioni, cioè le
estraiamo. Le distinzioni che non vengono estratte non esistono […]. Le differenze latenti, cioè
quelle che per una ragione qualsiasi non producono una differenza, non sono informazioni […].
Attneave ha dimostrato che l’informazione (cioè la differenza o distinzione percettibile) è
necessariamente concentrata nei contorni»: cit. da G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 130
sgg. (i corsivi sono dell’A.); il riferimento è a F. ATTNEAVE, Applications of Information Theory
to Psychology, New York 1959. Sulla distinzione tra differenze sottrattive e differenze di
rapporto, vd. G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 101; sul concetto di entropia negativa,
vd. infra, p. 151.
36
Secondo G. Bateson, l’informazione può essere definita anche come una differenza che
produce una differenza a distanza: «in effetti ciò che intendiamo per informazione (per unità
elementare d’informazione) è una differenza che produce una differenza ed è in grado di produrre
una differenza perché i canali neurali, lungo i quali essa viaggia e viene continuamente trasfor-
mata, sono anch’essi dotati di energia»: cit. da G. BATESON, Steps… cit., p. 470 (il corsivo è
dell’A.); cfr. anche G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 34 e p. 186.
37
Cfr. ivi, pp. 37 e 134; G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 126 sgg.
38
G. Bateson ha messo in luce come la patologia sia possibile solo nella Creatura, «perché
nel Pleroma la causazione fisica diretta rende impossibile l’errore. L’universo fisico non com-
mette errori. L’universo fisico fornisce casualità ed entropia, ma l’errore è un fenomeno
biologico – se col termine errore vogliamo indicare l’esistenza o il valore di un eventuale
qualcosa che sarebbe ‘giusto’ o ‘corretto’, essendo l’errore una differenza fra ciò che è e
ciò che avrebbe potuto essere»: cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 286 (il
corsivo è dell’A.).
147
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
39
ci come ‘tentativi 40
ed errori’, apprenderà e ricorderà, accumulerà
entropia negativa, sarà in grado 41
di unirsi ad altri sistemi simili a sé
per costruire totalità più grandi.
Tale sistema
eseguirà confronti, sarà cioè sensibile alla differenza (oltre a essere influenza-
to dalle ordinarie ‘cause’ fisiche, come collisioni o forze); ‘elaborerà informa-
zione’, e sarà inevitabilmente autocorrettivo, o in direzione dell’ottimalità
omeostatica ovvero in direzione della massimizzazione di certe variabili. […]
Ma, ed è ciò che più conta in questo contesto, si sa che nessuna parte di
questo sistema in interazione può esercitare un controllo unilaterale sul resto
del sistema o su una qualunque altra sua parte. Le caratteristiche mentali
sono inerenti o immanenti nell’insieme in quanto totalità. […] La portata di
questa conclusione si rivela quando ci si chiede: ‘Un calcolatore può pensa-
re?’ oppure: ‘La mente è nel cervello?’. E la risposta sia all’una sia all’altra
domanda sarà negativa […]. Il calcolatore è soltanto un arco di un circuito
più ampio, che comprende sempre un uomo e un ambiente, da cui esso
riceve informazioni e su cui i messaggi efferenti dal calcolatore esercitano un
effetto. Si può dire legittimamente che questo sistema totale, questo aggrega-
to, mostra caratteristiche mentali; esso opera per tentativi ed errori e ha
carattere creativo. Analogamente si può dire che la ‘mente’ è immanente in
quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello; oppure
che la mente è immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel
sistema cervello più corpo; oppure, infine, che la mente è immanente nel più
42
vasto sistema: uomo più ambiente.
39
Una successione di eventi è detta stocastica se combina una componente casuale con un
processo selettivo in modo che solo certi risultati del casuale possano perdurare.
40
Su ciò, vd. infra, p. 151, nota 48.
41
Cfr. G. BATESON, Mind and Nature… cit., pp. 171-173.
42
Cit. da ID., Steps… cit., pp. 346-349 (i corsivi sono dell’A.); negli ultimi anni, l’opposizio-
ne – Searle, Penrose, ecc. – all’idea che i computer prima o poi potranno pensare, e dunque che
la mente funzioni come un computer, è andata crescendo.
43
Cfr. G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., pp. 37-38.
148
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
44
Secondo G. Bateson,
l’unità autocorrettiva totale che elabora l’informazione, o che, come dico io,
‘pensa’ e ‘agisce’ e ‘decide’, è un sistema i cui confini non coincidono affatto
coi confini del corpo o di ciò che volgarmente si chiama l’‘io’ o la ‘coscienza’;
ed è importante osservare che vi sono molteplici differenze tra il sistema
pensante e l’‘io’ come viene volgarmente percepito:
1. Il sistema non è un’entità trascendente, come invece è comunemente
supposto esserlo l’‘io’.
2. Le idee sono immanenti in una rete di canali causali lungo i quali si
propagano le trasformate delle differenze. Le ‘idee’ del sistema hanno in ogni
caso una struttura almeno binaria: non sono ‘impulsi’ ma ‘informazioni’.
3. Questa rete di canali non è limitata alla coscienza, ma si estende fino
ad includere tutti i canali dei processi mentali inconsci, siano essi neurovege-
tativi, repressi, nervosi, ormonali.
4. La rete non ha per confine la pelle, ma include tutti i canali esterni
lungo i quali può viaggiare l’informazione. Include anche quelle differenze
efficaci che sono immanenti negli ‘oggetti’ di tali informazioni. Include i
canali sonori e luminosi lungo i quali viaggiano le trasformate di differenze
inizialmente immanenti in cose e in altre persone – e specialmente nelle
nostre stesse azioni. È importante osservare che le credenze basilari (e, io
credo, erronee) dell’epistemologia ordinaria si rinforzano l’una con l’altra.
Se, per esempio, viene scartata l’ordinaria ipotesi della trascendenza, essa
vien subito sostituita da un’ipotesi d’immanenza nel corpo. Ma quest’alterna-
tiva sarà inaccettabile, poiché vaste porzioni della rete pensante sono situate
fuori del corpo.
44
Cit. da G. BATESON, Steps… cit., p. 351 (l’ultimo corsivo è mio).
45
Cfr. G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., pp. 40-41 e G. BATESON, Mind and Nature…
cit., pp. 47 sgg.
149
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
46
«Ogni individuo umano, anzi ogni organismo, costruisce le sue conoscenze secondo
abitudini personali, e ogni sistema culturale o scientifico favorisce certe abitudini epistemologi-
che. […] Warren McCulloch [uno dei padri della cibernetica] soleva dire che chi pretende di
avere una conoscenza diretta, cioè di non avere un’epistemologia, ha in realtà una cattiva
epistemologia. È compito degli antropologi fare confronti tra molti e diversi sistemi e magari
valutare il prezzo che i sistemi disorganizzati [cfr. supra, p. 145, punto 14] pagano per i propri
errori. La maggior parte delle epistemologie locali, personali e culturali, sbagliano di continuo,
ahimè, perché confondono la mappa con il territorio e perché ritengono che le regole per
tracciare le mappe siano immanenti alla natura di ciò che viene rappresentato nella mappa» (cit.
da G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 40), mentre invece «ogni descrizione, spiegazione o
rappresentazione è necessariamente in qualche senso una proiezione degli elementi derivati dai
fenomeni da descrivere su una qualche superficie o matrice o sistema di coordinate. Nel caso di
una carta geografica, la matrice ricevente è di solito un foglio di carta piano e di estensione finita,
e le difficoltà si presentano quando ciò che si deve proiettare è troppo grande o, ad esempio,
sferico. Altre difficoltà sorgerebbero se la matrice ricevente fosse la superficie di un foro
(ciambella), o una successione lineale discontinua di punti. Ogni matrice ricevente, anche una
lingua o una rete tautologica di proposizioni, ha caratteristiche formali proprie che, in linea di
principio, distorcono i fenomeni che devono esservi proiettati» (cit. da G. BATESON, Mind and
Nature… cit., p. 71, nota 8, il corsivo è dell’A.).
47
Questo principio, nella sua prima formulazione, risale a A. KORZYBISKI, Science and
sanity, New York 1941. «[…] L’interfaccia tra Pleroma e Creatura è un esempio della contrap-
posizione tra ‘mappa’ e ‘territorio’, anzi ne è forse l’esempio primo e più fondamentale»: cit. da
G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 40. Occorre inoltre tener presente che «tutte le
informazioni digitali [un segnale è digitale se tra esso e gli altri segnali dai quali deve essere
distinto vi è discontinuità; quando invece una grandezza o una quantità del segnale vien usata
per rappresentare una quantità dd referente variabile in modo continuo, il segnale si dice
analogico] hanno a che fare con la differenza. Nelle relazioni tra mappa e territorio (di qualsiasi
genere, nel senso più ampio) quello che passa dal territorio alla mappa è sempre e necessaria-
mente la notizia di una differenza [cioè un’informazione]. Se il territorio è omogeneo, sulla
mappa non ci sono segni. […] Il concetto di differenza interviene due volte nell’interpretazione
del processo della percezione: primo, deve esserci una differenza latente o implicita nel territo-
rio; secondo, questa differenza deve essere trasformata in un evento dentro il sistema percipien-
te, cioè la differenza deve superare una soglia, deve essere diversa da un valore di soglia»: cit. da
G. BATESON – M. C. BATESON, op. cit., p. 186 (i corsivi sono dell’A.). Secondo G. Bateson,
sembra che in tutte le percezioni e in tutte le misurazioni agisca una sorta di legge di Weber-
Fechner, ogni volta cioè che un organo di senso viene usato per confrontare due valori della
stessa quantità percepibile (per es., il peso o la luminosità), vi sarà una soglia di differenza
percepibile al di sotto della quale l’organo non può discriminare tra le quantità; questa soglia di
differenza sarà un rapporto e questo rapporto sarà costante su un intervallo di valori assai ampio.
Ciò significa che fra ingresso e sensazione sussiste una relazione tale che la quantità o intensità di
sensazione varia come il logaritmo dell’intensità dell’ingresso (cfr. G. BATESON – M. C. BATE-
SON, op. cit., pp. 185-189).
150
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
48
Alla contraddizione tra l’idea che il nuovo possa essere estratto solo dal casuale e
l’inevitabilità dell'entropia, G. Bateson ha dedicato il VI Cap. di Mind and Nature. Nella teoria
dell’informazione, partendo dall’osservazione che un messaggio inviato attraverso un canale
151
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
4) III principio: nessun sistema può essere portato allo zero assolu-
to, l’entropia infatti tende a zero con la diminuzione della temperatu-
ra.
***
Dalla meccanica quantistica assumerò invece i seguenti principi:
5) principio di indeterminazione: non possiamo mai conoscere con
precisione la posizione e la quantità di moto di una particella; in
generale: non è possibile determinare con esattezza una quantità
osservabile senza rendere indeterminato il valore di altre quantità
49
osservabili: «[…] in generale, le esperienze eseguite per determinare
una grandezza fisica rendono illusoria la conoscenza di altre grandez-
ze ottenute precedentemente; esse infatti influenzano il sistema su cui
si opera in modo incontrollabile, quindi i valori delle grandezze
50
precedentemente conosciute ne risultano alterati».
Una sorta di principio di indeterminazione era stato adottato
anche da U. Eco nel suo Trattato:
qualsiasi subisce nel corso della trasmisssione deformazioni diverse per cui al suo arrivo una
parte delle informazioni che conteneva è andata perduta, si stabilisce un’analogia tra questa
perdita e l’entropia. In base a questa analogia, la quantità di informazione trasmessa può essere
calcolata come entropia negativa – o neghentropia, dato che nella trasmissione dei messaggi,
come nella trasformazione dell’energia, l’entropia negativa decresce continuamente perché
quella positiva, cioè la perdita d’informazione o la degradazione dell’energia, cresce continua-
mente (cfr. C. E. SHANNON – W. WEAVER, The Mathematical Theory of Communications, Urbana
1949, ed. it. Milano 1971).
49
Com’è noto, la prima formulazione di questo principio fu data nel 1927 da W. HEISEN-
BERG, in Über den anschaulichen Inhalt der quantentheoretischen Kinematik und Mechanik,
«ZPh» 43 (1927), pp. 172-198.
50
Cit. da W. HEISENBERG, Die physikalischen Prinzipien der Quantentheorie, Berlin 1930,
vol. I, par. 1.
51
Cit. da U. ECO, op. cit., pp. 44-5.
152
1 – VERSO UN METODO COMPLESSO
ogni volta che vengono descritte delle strutture della significazione si verifica
qualcosa, nell’universo della comunicazione, che non le rende più completa-
mente attendibili. Questa condizione di squilibrio non è però una contraddi-
zione della semiotica: è una condizione metodologica che la accomuna ad
altre discipline come la fisica, rette da criteri di metodo come il principio di
52
indeterminazione o il principio di complementarità.
52
Ivi, p. 182.
53
Cit. da H. REICHENBACH, Wahrscheinlichkeitslehre, Berlin 1935, ed. ingl. 1949, p. 10;
dello stesso, vd. anche Philosophic Foundations of Quantum Mechanics, Los Angeles 1944, trad.
it. Torino 1954.
54
Cit. da N. ABBAGNANO, s.v. Condizione.
55
Cfr. supra, p. 146, punto n. 20.
153
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
56
Cfr. A. D’ABRO, The Rise of New Physics, New York 1951, passim.
57
Cit. da N. BOHR, Discussione con Einstein sui problemi epistemologici della fisica atomica,
in P. A. SCHILPP (ed.), op. cit., pp. 156-7; sull’impossibilità di distinguere tra osservatore e
osservato nello studio della mente, vd. anche N. BOHR, Atomtheorie und Naturbeschreibung,
Berlin 1931, p. 62 e W. PAULI, Die philosophische Bedeutung der Idee der Komplementarität, in
“Experientia” 6 (1950), p. 72; da ultimo, infine, vd. T. MAUDLIN, Quantum Non Locality and
Relativity: Metaphysical Intimations of Modern Physics, Oxford 1994.
154
CAPITOLO 2
1
Esistono, come si sa, teorie che negano tout court l’esistenza della coscienza, ma, come
osserva J. Jaynes, è «un esercizio interessante cercare con un po’ di calma di essere coscienti di
ciò che significa dire che la coscienza non esiste»: cit. da J. JAYNES, op. cit. (p. 157, nota 6),
p. 28.
2
Cit. da A. SCHOPENAUER, Über Schriftstellerei und Stil, in ID., Parerga e Paralipomena,
Berlin 1851 (= A. HÜBSCHER (hrsg.), A. SCHOPENAUER, Sämtliche Werke, Wiesbaden 1988, IV
ed.) cap. 23, par. 277, trad. it. Torino 1963, n. ed. Milano 1993, p. 30.
155
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
3
Cit. da S. SUTHERLAND, The International Dictionary of Psychology, New York 1989, II
ed. 1995, s.v., la trad. it. è tratta da F. CRICK, The Astonishing Hypothesis, New York 1994, trad.
it. Milano 1994, p. 7.
4
La bibliografia di riferimento è in III,4,6; sugli aspetti del dibattito in corso, vd. N. BLOCK –
O. FLANAGAN – G. GÜZELDERE (eds.), The Nature of Consciousness: Philosophical and Scientific
Debates, Cambridge (Mass.) 1996; sugli aspetti (neuro-)psicologici e clinici, vd. G. GÜZELDERE,
Consciousness, «JCS» 2 (1995), pp. 30-51 e pp. 112-143, e M. VELMANS, The Science Of
Consciousness: Psychological, Neuropsychological, and Clinical Review, New York 1996.
156
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
5
Cfr. J. SEARLE, The Rediscovery of the Mind, Cambridge (Mass.) 1992, trad. it. Torino
1994, pp. 264-265.
6
Cfr. J. JAYNES, The Origins of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind,
Boston 1976, trad. it. Milano 1984, nel 1996 è uscita una nuova ed. it. contenente alle pp.
531-558 un lungo Post Scriptum, che è però del 1990, in cui J. Jaynes riprende, precisa e in
qualche punto corregge la sua teoria; in «CanPs» 27,2 (1986), pp. 123-182, sono raccolti invece
gli atti di un McMaster-Bauer Symposium on Consciousness (22/11/1983), in cui J. Jaynes difende
le tesi del suo volume discutendo, con materiale e bibl. più aggiornata, con D. C. Dennett, J.
Miller e G. Ojemann.
7
Il volume di J. Jaynes è infatti uno dei rarissimi studi dedicati alla storia della coscienza;
un esempio precedente, e altrettanto discusso, è E. NEUMANN, Ursprungsgeschichte des Bewuß-
tseins, Zürich 1949, trad. it. Roma 1978.
8
Le molte recensioni che ha ricevuto questo volume – spesso fortemente critiche, a volte
glorificanti, mai sobrie – sono indicate in 111,4,6.
9
In grandissima sintesi, lo studioso sostiene che vi è stato un tempo in cui la mente
dell’uomo era bicamerale, aveva cioè un funzionamento legato a una sorta di dialogo tra i due
emisferi cerebrali: nell’emisfero destro risiedeva la ‘voce degli dei’; una serie di sconvolgimenti
socio-culturali causò il passaggio all’attuale tipo di mente, cioè una mente in cui l’emisfero
sinistro sembra essere deputato al disbrigo della gran parte delle attività coscienti e il destro
157
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
10
sappiamo sul funzionamento degli emisferi cerebrali, nel suo volu-
me vi sono tuttavia idee e spunti che è utile riprendere, qui e più
avanti, per qualche aspetto.
Nel presente lavoro, distinguerò allora tra inconscio, coscienza e
11
autocoscienza nella seguente maniera: fanno parte dell’inconscio
12
tutti quei processi mentali di cui l’‘io’ non è consapevole; tutti i
processi della percezione, ad esempio, sono inaccessibili alla coscien-
13
za, solo i prodotti della percezione sono a volte consci: «so in quale
direzione punto gli occhi e sono conscio del prodotto della percezio-
ne, ma non so nulla del processo intermedio con il quale le immagini
14
vengono formate».
essere depositario di un tipo di pensiero emotivo ed iconico, dando inizio al lungo processo
storico-culturale che portò alla coscienza moderna.
10
Il problema della lateralizzazione delle funzioni cerebrali (quale funzione si è lateralizzata
per prima, quale era la funzione dell’emisfero sinistro prima dell’evoluzione del linguaggio ecc.),
argomento di studio fin dall’Ottocento (sulle teorie ottocentesche riguardo alle funzioni e alle
relazioni tra i due emisferi cerebrali, c’è un bel libro di A. HARRINGTON: Medicine, Mind, and the
Double Brain. A Study in Nineteenth-Century Thought, Princeton 1987, trad. it. Roma 1994), non
è ancora stato chiarito del tutto: una discussione ragionata, con dati e bibl. recente, è anche in M.
DONALD, Origins of the Modern Mind, Cambridge (Mass.) 1991, trad. it. Milano 1996, pp. 76-101.
11
La mia distinzione tra coscienza e autocoscienza corrisponde all’incirca a quella che
molti studiosi, soprattutto anglosassoni, fanno tra coscienza primaria e coscienza di ordine
superiore; per i diversi significati di consciousness, vd. T. NATSOULAS, Consciousness, in «AmPs»
33 (1974), pp. 906-914.
12
Considero l’io come quella parte di se stesso, della propria persona(lità), che ciascuno di
noi conosce e identifica come la propria soggettività; ricordo anche tuttavia che la cibernetica
riconosce che «l’‘io’ com’è ordinariamente inteso [“Forse ciò che ciascuno di noi intende per ‘io’
è in realtà un aggregato di abitudini di percezione e di azione adattiva più, istante per istante, i
nostri ‘stati immanenti di azione’”] è solamente una parte esigua di un sistema funzionante ‘per
tentativi ed errori’ molto più grande, che pensa agisce e decide [cfr. supra, p. 149]. Questo
sistema comprende tutti i canali d’informazione che a un dato momento hanno importanza per
una data decisione. L’‘io’ è una falsa reificazione di una parte impropriamente delimitata di
questo assai più vasto campo di processi interconnessi. La cibernetica riconosce anche che due e
più persone (un gruppo qualunque di persone) possono formare insieme un sistema pensante e
agente di quel tipo»: cit. da G. Bateson, Steps… cit., p. 366 (il corsivo è dell’A.); la cit. interna alla
cit. è tratta da ivi, p. 291.
13
Le verifiche sperimentali di ciò sono oramai innumerevoli e affidabili: per un panorama,
vd. per es. N. HUMPHREY, The Inner Eye, London 1986, trad. it. Torino 1992, pp. 59 sgg.; in Mind
and Nature… cit., p. 51 n. 2, G. Bateson, a proposito della formazione delle immagini, osserva che
«non solo i processi della percezione visiva sono inaccessibili alla coscienza, ma anche che è
impossibile formulare una qualunque descrizione verbale accettabile di ciò che deve accadere nel
più semplice atto visivo. Per ciò che non è conscio il linguaggio non fornisce alcun mezzo di
espressione»; cfr. supra, p. 145, punto 16. B. Russell riteneva invece che noi siamo coscienti di ogni
cosa che percepiamo: cfr. ID., Analysis of Mind, London 1921, trad. it. Firenze 1967.
14
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, Angels Fear… cit. (nota 14, p. 140), p. 144. «La
nostra non-consapevolezza dei nostri processi di percezione ha alcuni interessanti effetti
158
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
collaterali. Ad esempio, quando questi processi operano senza essere controllati dal materiale
in entrata proveniente da un organo di senso, come nel caso del sogno o dell’allucinazione o
dell'immagine eidetica, è talora difficile dubitare della realtà esterna di ciò che le immagini
sembrano rappresentare»: cit. da G. BATESON, Mind and Nature… cit., p. 57; cfr. supra, p. 145,
punto 14.
15
Cfr., tra i molti, D. A. OAKLEY (ed.), Brain and Mind, London 1985, passim.
16
«Sebbene la percezione sia autonoma dalle facoltà mentali di alto livello che si esplicano
nel pensiero cosciente e nell’uso della conoscenza cosciente, voglio ugualmente sostenere che
essa è ‘intelligente’, intendendo con ciò che è basata su processi analoghi a quelli del pensiero –
descrizioni, inferenze, soluzioni di problemi – seppur fulminei, non coscienti e non verbali […].
La nozione di inferenza implica che determinate proprietà percettive siano computate, a partire
da informazioni sensoriali date, utilizzando regole note a livello inconscio [è questa l’epistemo-
logia inconscia di cui parla G. Bateson: vd. supra, nota 26, p. 144]. Le dimensioni dell’oggetto
percepito, ad es., vengono inferite a partire dall’angolo visuale da cui l’oggetto viene percepito,
dalla percezione della distanza a cui si trova e dalle regole dell’ottica geometrica, grazie alle quali
è possibile porre in relazione questi due tipi di informazioni»: cit. da I. ROCK, Perception, New
York 1984, p. 234 (la trad. it. è tratta da J. SEARLE, op. cit., p. 248).
17
Cfr., per es., L. WEISKRANTZ, Visual Capacity in the Hemianopic Field following a
Restricted Occipital Ablation, in «Brain» 97 (1974), pp. 709-728.
18
La coscienza può avere invece ovviamente un ruolo importante nell’apprendimento di
tali attività.
19
Cit. da J. JAUNES, op. cit., p. 44.
159
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
20
Il primo capitolo de The Inner Eye di N. HUMPHREY, è dedicato a un paragone tra la
genialità artistica e quella scientifica: in entrambi i casi la coscienza interviene soltanto prima e
dopo la ‘scoperta’, e anche qui non sempre.
21
Cit. da N. HUMPREY, op. cit., p. 20; il grande matematico J.-H. Poincaré era solito
raccontare come l’idea che le trasformazioni che aveva usato per definire le funzioni fuchsiane
fossero identiche a quelle della geometria non euclidea, gli fosse venuta all’improvviso prenden-
do un omnibus: vd. J.-H. POINCARÉ, Mathematical Creation, in The Foundations of Science, New
York 1913, p. 387.
22
Cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 123.
23
«La coscienza, per ovvie ragioni meccaniche, dev’essere sempre limitata a una frazione
piuttosto ridotta del processo mentale, se è davvero utile dev’essere perciò lesinata. La non-
160
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
coscienza associata all’abitudine è un’economia sia di pensiero che di coscienza: lo stesso vale
per l’inaccessibilità del processo di percezione. L’organismo conscio non ha bisogno (ai fini
pragmatici) di sapere come percepisce, ma solo di sapere che cosa percepisce»: cit. da G.
BATESON, Steps... cit., p. 170 (i corsivi sono dell’A.).
24
Il sentimento, qualitativo e soggettivo, caratteristico di alcuni dei nostri stati mentali, le
parti distinguibili di una scena mentale, in sé complessivamente unitaria fatte salve le situazioni
patologiche, sono dette qualia: «i qualia costituiscono la collezione di esperienze personali e
soggettive, di sentimenti e di sensazioni che accompagnano la consapevolezza. Sono stati
fenomenici, - ‘come le cose ci sembrano’ -, in quanto esseri umani: per es., l’‘essere rosso’ di un
oggetto rosso è un quale»: cit. da G. M. EDELMAN, Bright Air, Brilliant Fire. On the Matter of the
Mind, New York 1992, trad. it. Milano 1993, p. 177.
25
La coscienza è soggettiva perché tutti gli stati coscienti, il dolore ad es., non possono che
essere gli stati coscienti di qualcuno: «il lavoro filosofico e psicologico condotto negli ultimi
cinquant’anni […] ha risentito pesantemente delle conseguenze dell’incapacità di confrontarsi in
modo adeguato con la soggettività della coscienza. Sarebbe difficile sopravvalutare gli effetti
negativi di questa carenza: sia il fallimento di buona parte della filosofia della mente, sia la
sterilità di molta ricerca psicologica accademica hanno scontato, sia pur per ragioni che è spesso
difficile individuare con chiarezza, la persistente incapacità di confrontarsi col fatto che l’onto-
logia del mentale è irriducibilmente soggettiva. Motivazioni estremamente profonde, forse
intrecciate con la storia delle nostre convinzioni inconsce, ci rendono difficile, se non impossibi-
le, accettare l’idea che nel mondo reale – il mondo descritto dalla chimica, dalla fisica e dalla
biologia – trovi spazio un elemento soggettivo ineliminabile. Pur sapendo di essere coscienti –
noi e coloro che ci circondano – per la maggior parte della nostra vita, fatichiamo a capire come
sia possibile conciliare questa consapevolezza, che ci costringe ad ammettere l’esistenza di
misteriose entità coscienti, con un’immagine coerente del mondo. D’altra parte, pur essendo
accecati da una cattiva filosofia e da una certa psicologia accademica, siamo certi che i cani, i
gatti, le scimmie e i bambini sono coscienti, e che la loro coscienza è soggettiva quanto la nostra»:
cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 111 (cit. anche da]. C. ECCLES, op. cit., p. 75); cfr. anche supra, p.
144, numero 2: non esiste esperienza oggettiva.
26
Sull’intenzionalità, vd. S. GOZZANO, Storia e teorie dell’intenzionalità, Roma – Bari 1996;
secondo J. SEARLE (op. cit., cap. 6) la coscienza ha anche altre proprietà: devo dire tuttavia che la
sua idea di estendere alcune proprietà della percezione alla coscienza, come nel caso, per es.,
della ‘struttura gestaltica figura-sfondo’, non mi convince.
161
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
la coscienza trasmette a tutti noi soltanto la nozione dei nostri personali stati
d’animo; che anche altre persone abbiano una coscienza è una conclusione
analogica che, in base alle azioni e manifestazioni osservabili degli altri, ci
permette di farci una ragione del loro comportamento. (O, per usare una
formulazione psicologicamente più esatta: senza riflettere più che tanto noi
attribuiamo a tutti gli altri soggetti la nostra costituzione e quindi anche la
nostra coscienza, e questa identificazione è il presupposto della nostra com-
27
prensione).
27
Cit. da S. FREUD, Das Unbewusste, in «IZAP» 3,4-5 (1915), pp. 189-203; 257-269, trad.
it. in Opere di S. Freud, Torino 1976, vol. VIII, p. 52; è questo uno dei suoi cinque saggi teorici,
meta psicologici come li aveva lui stesso definiti, rimastici; tra quelli andati perduti ve ne era uno
dedicato specificatamente alla coscienza: cfr. C. L. MUSATTI, Introduzione, in Opere di S. F.,
Torino 1976, vol. VIII, p. XII.
28
Cfr. N. HUMPHREY, op. cit., p. 94.
29
Cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 112.
162
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
io credo che si possa ricorrere al fatto che gli esseri umani sono in una
posizione previlegiata. Può darsi che noi non siamo gli unici animali coscien-
ti; ma siamo, con l’eventuale eccezione degli scimpanzé, gli unici animali che
34
hanno coscienza di sé. Siamo gli unici animali dotati della parola, capaci di
modellare il mondo svincolati dal presente, capaci di riferire, studiare e
correlare i nostri stati fenomenici con i risultati della fisica e della biologia.
Tutto ciò suggerisce un modo di accostarsi al problema dei qualia: come
fondamento di una teoria della coscienza, è sensato supporre che i qualia
siano presenti, proprio come sono presenti in noi stessi, negli altri esseri
umani dotati di coscienza, sia che li si consideri come osservatori scientifici
sia che li si consideri come soggetti (importa solo che questi qualia siano
presenti, non che siano identici per tutti gli osservatori). Si può quindi
ritenere che gli esseri umani siano i migliori referenti canonici per studiare la
coscienza; ciò è giustificato dal fatto che, per gli esseri umani, si possono
stabilire correlazioni tra i resoconti soggettivi (compresi quelli sui qualia), le
azioni e le funzioni e strutture cerebrali. […] È la nostra capacità di riferire e
correlare – mentre sperimentiamo individualmente i qualia – che schiude la
possibilità scientifica della coscienza. L’ipotesi dei qualia distingue la coscien-
za di ordine superiore [l’autocoscienza] dalla coscienza primaria [la coscien-
za]; la prima si basa sulla consapevolezza diretta di un essere umano, dotato
della parola, con un’esistenza soggettiva che può essere raccontata; la secon-
30
Cfr. supra, p. 145, punto 16.
31
Cfr. supra, p. 154.
32
Cfr. J. SEARLE, op. cit., p. 114.
33
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., pp. 149-150.
34
La questione se e quale tipo di coscienza abbiano o non abbiano gli animali com’è noto è
molto discussa: nel presente lavoro non me ne occuperò specificamente.
163
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
35
Cit. da G. M. EDELMAN, op. cit., pp. 179-180 (i corsivi sono dell’A.); ritengo comunque
che abbia ragione J. Searle (ibid., pp.160-165) nel sostenere che l’incorreggibilità e l’introspezio-
ne, in senso cartesiano, non siano facoltà speciali o proprietà essenziali della coscienza.
36
L’idea, sostenuta per es. da D. W. SMITH, The Structure of (Self) Consciousness, in
«Topoi» 5,2 (1986), pp. 149-156, che ogni stato di coscienza sia contemporaneamente uno stato
di autocoscienza, ciò che l’essere cosciente di se stessi sia una caratteristica di tutti gli stati
mentali coscienti, è sbagliata, come ha mostrato ancora recentemente J. SEARLE, op. cit., pp.
158-159.
37
Sono convinto anch’io come P. LÉVY, L’intelligence collective: pour une anthropologie du
cyberspace, Paris 1994, trad. it. Milano 1996, p. 17 e M. DONALD, op. cit., p. 442, che l’ominazione
e lo sviluppo della mente non siano ancora terminati; ricordo infatti che (a parte gli stati di
coscienza alterati dalle patologie e dall’assunzione di droghe, il cui studio è ben sviluppato e
importante per la ricerca sulla mente) la tradizione indiana conosce da sempre una forma di
ultra-coscienza, il samprajñāta samādhi, uno stato mentale in cui le facoltà della coscienza sono
enormemente accresciute, indotto dallo yóga (vd. M. ELIADE, Le Yoga, immortalité et liberté,
Paris 1954, trad. it. Milano 1973, pp. 81 sgg.) o causato dal risveglio del dio-serpente Kuņdalini
(si veda il commento di J. Hillman in GOPI KRISHNA, Kundalini. The Evolutionary Energy in
Man, London 1970, trad. it. Roma 1971).
38
Secondo G. Bateson (Steps… cit., passim), se ogni forma di apprendimento è in qualche
misura stocastica, si può costruire un ordinamento dei processi di apprendimento sulla base di
una classificazione gerarchica dei tipi di errore che si possono correggere nei vari processi
di apprendimento (è questa la base della sua teoria del deutero-apprendimento, la teoria che
condusse lo studioso alla scoperta del ‘doppio vincolo’); nella scala proposta da Bateson
(apprendimento 0/1/2/3/4) l’io e la coscienza si situano allivello 2; se bene intendo, l’autoco-
scienza non costituisce tuttavia già il livello 3, ma uno degli strumenti con cui raggiungerlo:
«nella misura in cui un uomo consegue l’Apprendimento 3 e impara a percepire e ad agire in
termini di contesti dei contesti, il suo ‘io’ assumerà una sorta di irrilevanza. Il concetto dell’‘io’
164
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
non fungerà più da argomento cruciale nella segmentazione dell’esperienza»: ivi, p. 333. Il
livello 4 sembra non si manifesti in alcun organismo adulto vivente.
39
Per un aggiornamento sul dibattito filosofico intorno al concetto di autocoscienza, sono
utili K. DUSING, C’è un circolo dell’autocoscienza? Uno schizzo delle posizioni paradigmatiche e dei
modelli di autocoscienza da Kant a Heidegger, e A. FERRARIN, Autocoscienza, riferimento dell’io e
conoscenza di sé. Introduzione a un dibattito contemporaneo, entrambi in «Teoria» 12 (1992), pp.
3-29 e pp. 111-152.
40
In italiano, sono utili introduzioni, L. CERVETTO – C. A. MARZI – G. TASSINARI, Le basi
fisiologiche della percezione, Bologna 1987, e A. CASSINI – A. DELLANTONIO, Le basi fisiologiche
dei processi motivazionali ed emotivi, Bologna, entrambi con ampie e aggiornate bibl.; da ultimo,
vd. anche R. PIERANTONI, La trottola di Prometeo. Introduzione alla percezione acustica e visiva,
Roma – Bari 1996.
41
Si tratta del già citato (nota 6, p. 139) J. C. ECCLES, How the Self controls Its Brain.
Questo volume costituisce per lo studioso, premio Nobel nel 1963, il compimento di una lunga e
gloriosa carriera scientifica, dedicata per la gran parte proprio alle ricerche neurofisiologiche.
42
È di questa opinione anche P. DAVIES, About Time, New York 1995, trad. it. Milano
1996, pp. 310-311.
43
Il lettore interessato ad approfondire l’argomento, troverà nel volume di Eccles, un po’
complicato e forse mal strutturato, tutto quel che gli occorre: glossario, descrizioni anatomiche,
calcoli, risultati sperimentali, bibliografia; per non appesantire ulteriormente il discorso qui mi
limiterò alle indicazioni essenziali; per un commento, vd. B. I. B. LINDAHL – P. ARHEM, Mind as
a Force Field: Comments on a New Interactionist Hypothesis, «JTB» 171 (1996), pp. 111-122.
165
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
44
Se la miglior esposizione della teoria dell’identità, fondamento esplicito o implicito di
quasi tutte le teorie materialiste sulla mente, è quella di H. FEIGL, The ‘Mental’ and the ‘Physical’,
Minneapolis 1967, la sua più efficace confutazione è in E. POLTEN, Critique of the Psycho-physical
Identity Theory, Paris 1975.
45
Oltre che in K. R. POPPER – J. C. ECCLES, op. cit. (p. 143, nota 22), parte I, ripresa in J. C.
ECCLES, op. cit., passim, una discussione critica argomentata delle principali teorie materialiste di
questo secolo sulla mente è in J. SEARLE, op. cit. (p. 157, nota 5), cap. 2; sull’intelligenza
artificiale, vd. V. SOMENZI – R. COROESCHI (a cura di), La filosolia degli atomi. Origini dell’intel-
ligenza artificiale, Torino 1994, e R. COROESCHI, L’intelligenza artiliciale, in L. GEYMONAT, Storia
del pensiero filosolico e scientifico. Il Novecento, Milano 1996, vol. 10,4.
46
Cfr. supra, pp. 142-3; vd. anche J. FOSTER, The Immaterial Self: a Delense of the Cartesian
Dualist Conception of Mind, New York 1991, R. LAHAV – N. SHANKS, How to be a Scientifically
Respectable Property Dualist, «JMB» 13 (1992), pp. 211-232, T. L. S. SPRIGGE, Consciousness,
«Synthese» 98 (1994), pp. 73-93, R. WARNER – T. SZUBKA (eds.), The Mind-Body Problem: A
Guide to the Current Debate, Oxford 1994.
47
Cfr. J. SEARLE, op. cit., p. 70.
48
Cfr. supra, p. 145, punto 16.
49
Sui paradossi logici e sulla discrepanza tra tempo fisico e tempo soggettivo o psicologico
indotti dalle teorie einsteiniane, vd. P. DAVIES, op. cit., passim.
166
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
50
fisici quantistici e i mistici orientali, sono convinto che l’universo sia
una rete dinamica di configurazioni di energia non separabili e che
concetti come ‘sostanza materiale’, ‘oggetto isolato’ o ‘spirito’ non
abbiano più alcun significato; in questo senso, sono d’accordo allora
ancora una volta con J. Searle quando dice che «la coscienza, in
quanto coscienza, in quanto mentale, in quanto soggettiva e qualitati-
51
va, è fisica, e lo è proprio perché mentale», ma non perché il mentale
sia fisico, bensì perché la distinzione tra fisico e mentale esiste solo
nelle nostre descrizioni.
Dirò qui anche che pur condividendo, come si è visto, alcune idee
di J. Searle, non condivido però la sua tesi di fondo, il ‘mentalismo
ingenuo’, perché: a) rispondere alla domanda ‘com’è possibile che
componenti di materia non cosciente producano materia non coscien-
te?’, affermando che «ciò è possibile in virtù di specifiche – sebbene
ancora in gran parte sconosciute – proprietà neurobiologiche del
52
cervello», significa non soltanto rinviare sine die la questione, ma
anche trascurare ciò che già sappiamo, per es. che sulla base degli
assunti della fisica classica non è possibile che eventi materiali possano
53
generare eventi mentali, e b) perché affermare che la coscienza è una
proprietà di alto livello, o emergente, del cervello, allo stesso modo in
cui la solidità è una proprietà emergente delle molecole di H2O
quando assumono la struttura di un reticolo cristallino ordinato (il
54
ghiaccio), significa innanzitutto fare un paragone tra entità di diver-
55
so tipo logico, e poi, in contrasto con la definizione di coscienza data
da Searle stesso – «la coscienza è una proprietà biologica del cervello
56
[…] ed è parte integrante dell’ordine biologico», porre inaccettabil-
mente a confronto entità del mondo biologico con quelle del mondo
inanimato. Comunque sia, anche assumendo che il paragone sia vali-
do, se nel passaggio dallo stato liquido e quello solido le molecole
dell’acqua attraversano una transizione di fase di primo ordine e la
cristallizzazione è la proprietà che emerge dopo la transizione, al
50
Per un confronto tra le teorie degli uni e le dottine dgli altri, vd. F. CAPRA, op. cit.
(p. 145, nota 30).
51
Cit. da J. SEARLE, op. cit., p. 31.
52
Ivi, p. 73.
53
Cfr., per tutti, J. C. ECCLES, op. cit., p. 73.
54
Cfr. J. SEARLE, op. cit., p. 73.
55
Vd. supra, p. 144, punti 8 e 9.
56
Ivi, p. 106.
167
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
la mente può essere considerata un campo nel comune senso fisico del
termine. Ma si tratta di un campo non-materiale; l’analogo più simile è forse
57
Cfr. M. M. WALDROP, Complexity. The Emerging Science at the Edge of Order and Chaos,
New York 1992, trad. it. Torino 1995, passim, e P. DAVIES, op. cit., p. 310; vd. anche i lavori
raccolti in H. HAKEN (ed.), Complex System: Operational Approaches in Neurobiology, Physics
and Computers, Berlin – Heidelberg 1986.
58
Vd. S. WOLFRAM, Theory and Applications of Cellular Automata, Singapore 1986.
59
Vd. supra, pp. 151 sgg.
60
Vd. i lavori raccolti in H. P. STAPP, Mind, Matter, and Quantum Mechanics, Berlin –
Heidelberg 1993; vd. anche R. PENROSE, op. cit. (nota 24, p. 143), pp. 269-295, e M. LOCKWOOD,
Mind, Brain, and the Quantum, Oxford 1989.
61
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., p. 72.
62
Vd. H. MARGENAU, The Miracle of Existence, Woodbridge (CT) 1984.
63
In precedenza, altri studiosi avevano indicato la necessità di far intervenire la meccanica
quantistica nelle indagini sulla mente, ma, come osserva Eccles (op. cit., p. 178), «tutti questi
tentativi hanno in comune il fatto che essi considerano in termini molto generali un’interpreta-
zione della meccanica quantistica e i suoi concetti di probabilità. Tuttavia non c’è molta
connessione con le verità empiricamente stabilite dalla fisiologia cerebrale, né gli autori hanno
situato il processo quantistico nell’ultrastruttura della neocorteccia».
168
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
64
Cit. da H. MARGENAU, op. cit., p. 97; la trad. it. è tratta da J. C. ECCLES, op. cit., p. 104.
65
Cfr. per es. F. BECK – J. C. ECCLES, Quantum Aspects of Brain Activity and the Role of
Consciousness, «PNAS» 8 (1992), pp. 11357-11361, lavoro che anticipa alcuni conclusioni del
volume del 1994 di J. C. Eccles.
66
Nel linguaggio della meccanica quantistica, questa è una selezione di eventi: «la selezio-
ne quantistica è il solo modo possibile per produrre stati finali differenti da condizioni iniziali
identiche, con gli stessi valori delle quantità conservate. Una tale situazione non potrebbe
prevalere in un processo che obbedisca ai princìpi della fisica classica, dove una variazione nello
stato finale implica necessariamente una variazione delle condizioni iniziali o della dinamica»:
cit. da J. C. ECCLES, op. cit., p. 192.
67
Ivi, p. 104.
169
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
68 69
indeterminazione, a parere di Eccles è possibile allora dimostrare
che una vescicola del reticolo vescicolare presinaptico può essere
70
selezionata per l’esocitosi da uno psicone.
Nell’evoluzione dei mammiferi, ad un certo punto, è comparsa
una neocorteccia cerebrale con un livello superiore di complessità
71
nervosa, in particolare nella struttura delle sue cellule piramidali
72
(= principali neuroni della corteccia, di forma piramidale). I
dendriti (= appendice di un neurone specializzato come recettore;
costituisce la regione postsinaptica di un neurone) delle cellule
piramidali possiedono un’enorme afferenza sinaptica (= assone che
trasmette impulsi verso il sistema nervoso centrale) e nella loro
ascesa attraverso le lamine corticali si riuniscono in fasci. All’inter-
no di un fascio dendritico, cioè l’unita ricettiva fondamentale della
73
corteccia cerebrale che Eccles propone di denominare dendrone,
ci sono centinaia di migliaia di afferenze sinaptiche che passano
attraverso i bottoni (= espansione terminale di una fibra nervosa
68
Vd. supra, pp. 152 sgg.
69
La dimostrazione matematico-sperimentale dell’ipotesi è contenuta nel capitolo 9 del
volume di Eccles citato.
70
L’ipotesi di Eccles prevede che «tutti gli eventi mentali e le esperienze, di fatto tutto il
complesso delle sensibilità interne ed esterne del Mondo 2, siano un insieme di eventi mentali
unitari o elementari, che possiamo definire psiconi» (ivi, p. 117); ciascuno di questi psiconi è
reciprocamente connesso in modo esclusivo a uno specifico dendrone (il mondo della mente è
dunque per Eccles di natura microgranulare): questo legame rappresenta la base dell’interazione
mente-cervello, interazione che avviene attraverso un’interfaccia (cfr. supra, p. 142, nota 19).
Precedentemente, da altri autori era stato dimostrato sperimentalmente che le intenzioni attiva-
no la corteccia cerebrale in certe regioni ben definite prima che si verifichi il movimento: la bibl.
di riferimento è in ivi, pp. 241-242.
71
La suddivisione laminare canonica della neo corteccia è quella di J. SZENTÁGOTHAI, The
Neuron Network of the Cerebral Neocortex. A Functional Interpretation, «PRSL» 201 (1978), pp.
219-248; ID., The Local Neuronal Apparatus of the Cerebral Cortex, in P. BUSER – A. RONGEUL-
BUSER (eds.), Cerebral Correlates of Conscious Experience, Amsterdam 1978, pp. 131-138; vd.
anche ID., The Modular Architectonic Principle of Neural Centers, «RPBP» 98 (1983), pp. 11-61;
vd. anche, L. C. AIELLO – R. I. M. DUNBAR, Neocortex Size, Group Size, and the Evolution of
Language, «CA» 34 (1993), pp. 184-193.
72
Sulle basi sinaptiche della memoria, vd. R. F. THOMPSON – T. W. BERGER – J. MADDEM
IV, Cellular Processes of Learning and Memory in the Mammalian CNS, «AReNe» 6 (1983), pp.
447-491; R. F. THOMPSON, The Neurobiology of Learning and Memory, «Science» 233 (1986), pp.
941-947.
73
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., p. 128; sui fasci apicali come unità anatomica fondamentale
della corteccia, vd. C. SCHMOLKE – K. FEISCHAUER, Morphological Characteristics of Neocortical
Laminae when Studied in Tangential Semithin Sections through the Visual Cortex of the Rabbit,
«AE» 169 (1984), pp. 125-132; A. PETERS – D. A. KARA, The Neuronal Composition of Area 17
of Rat Visual Cortex. IV. The Organization of Pyramidal Cells, «JCN» 260 (1987), pp. 573-590.
170
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
74
Cfr. K. AKERT – K. PEPER – C. SANORI, Structural Organization of Motor End Plate and
CentraI Synapses, in P. G. WASER (ed.), Cholinergic Mechanisms, New York 1975, pp. 43-57.
75
Cfr. J. C. ECCLES, op. cit., p. 195.
76
I processi molecolari che determinano l’esocitosi non sono tuttavia ancora del tutto
chiari: per una rassegna dei problemi, vd. T. M. KASSEL – E. R. KANDEL – B. LEWIN – L. REID (a
cura di), Signaling at the Synapse «Cell» 72 (1993) (= «Neuron» 10).
77
Cfr. P. L. MCGEER – J. C. ECCLES – E. MCGEER, The Molecular Neurobiology of the
Mammalian Brain, New York 1987, II ed.
78
Su ciò vd. anche. S. J. REDMAN, Quantal Analysis of Synaptic in Neurons of the Central
Nervous System, «Phfu» 70 (1990), pp. 165-198.
171
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
79
Cit. da J. C. ECCLES, op. cit., p. 173; il corsivo è mio.
80
Cfr. ivi, p. 176.
81
Ivi, p. 195; vd. anche D. H. INGVAR, On Ideation and ‘Ideography’, in J. C. ECCLES – O.
D. CREUZFELD (eds.), Experimental Brain Research, Berlin – Heidelberg 1990, pp. 433-453.
82
Cit. da J. C. ECCLES, op. cit., p. 195.
83
Ivi, p. 155.
84
Secondo Eccles, solo con l’evoluzione della trasmissione tra neuroni da quella elettrica a
quella chimica, cioè con l’accumulo di trasmettitori chimici nelle vescicole sinaptiche e con la
loro conservazione attraverso un’esocitosi controllata, fu possibile l’inizio dell’interazione
mente/cervello.
172
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
85
Ivi, p. 172.
86
Coscienza intesa nel senso sopra definito: vd. pp. 160 sgg.
87
«Naturalmente, non conosciamo alcun elemento anatomico di questo dialogo fra io e
cervello. Si tratta di una prestazione funzionale, la cui affermazione deriva dalle esperienze di
tutta la vita»: ivi, p. 207.
88
ID., ibid.; per una conferma di quanto sostiene qui Eccles, vd. infra, pp. 219 sgg.
173
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
89
Cfr. ivi, p. 211.
90
Cfr. ivi, pp. 149-150.
91
Eccles è convinto che l’autocoscienza costituisca l’esperienza unica di ciascun essere
umano, che dipenda dal miracoloso avvento dell’io o anima e che pertanto sia da attribuire a una
creazione spirituale soprannaturale (cfr. ivi, p. 154, p. 212 e p. 215). Questa posizione, presa
come un atto di fede individuale, è in sé degna di rispetto; personalmente comunque, come ho
già detto con G. Bateson, non considero l’io un’entità trascendentale: vd. supra, pp. 149 sgg. Dal
punto di vista scientifico, invece, non credo sia possibile conciliare il fatto che la mente e la
coscienza siano frutto di un’evoluzione filogenetica, con l’idea che l’io e l’autocoscienza siano un
dono divino; comunque sia, nella presente ricerca, dove non mi occupo del problema dell’ani-
ma, riterrò l’io e l’anima come entità non sovrapponibili.
92
Cfr. R. DAWKINS, The Selfish Gene, Oxford 1976, II ed. 1989, trad. it. Milano 1992, pp.
198 sgg. e ID., The Extended Phenotype, New York 1982, trad. it. Bologna 1986, pp. 125 sgg.;
per precisazioni e critiche, tra gli altri vd. P.J. GREEN, From Genes to Memes?, in «CS» 7 (1978),
pp. 706-709; J. E. R. STADDON, On a Possible Relation between Cultural Transmission and
Genetical Evolution, in P.P.G. BATESON – P. H. KLOPFER (eds.), Perspectives in Ethology IV,
New York 1982; M. HAMPE – S. R. MORGAN, Two Consequences of Richard Dawkins’ View of
Genes and Organisms, in «SHPS» 19 (1988), pp. 119-138; D. C. DENNETT, Memes and the
Exploitation of Imagination, in «JAAC» 48 (1990), pp. 127-135.
93
Cfr. supra, pp. 141 sgg.
174
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
94
poiché essi sono vettori medianti i quali, e all’interno dei quali, i geni si
spostano. La selezione di replicatori è il processo tramite il quale alcuni
sopravvivono a spese di altri. La selezione dei vettori è il processo tramite il
quale alcuni vettori hanno più successo di altri nell’assicurare la sopravviven-
95
za dei replicatori che contengono.
replicatore ogni cosa dell’universo della quale si possono fare copie, alcuni
esempi potrebbero essere le molecole di DNA o un foglio di carta fotocopia-
to. I replicatori possono essere classificati in due modi diversi: ‘attivi’ o
‘passivi’ e, indipendentemente da ciò, potrebbero essere replicatori della
‘linea germinale’ o a ‘punto morto’. Un replicatore attivo è un qualsiasi tipo di
replicatore la cui natura ha qualche influenza sulla probabilità di essere
duplicato. […] Un replicatore passivo, al contrario, è un replicatore che non
può influire sulle probabilità di essere duplicato. […] Un replicatore della
linea germinale (che potrebbe essere sia attivo che passivo) è un replicatore
potenzialmente capace di dare origine ad una linea di discendenti indefinita-
mente lunga. […] Un replicatore a punto morto (il quale potrebbe anch’esso
essere sia attivo che passivo) è un replicato re che può essere duplicato in un
numero di copie finito, dando origine ad una breve catena di discendenti, ma
che non è potenzialmente capace di formare un’analoga catena indefinita-
96
mente lunga.
97
«Per più di tremila milioni di anni» – afferma Dawkins – «il
DNA è stato l’unico replicatore nel mondo di cui valesse la pena
parlare, ma non è detto che debba mantenere sempre questo
monopolio. Ogni volta che si verificheranno le condizioni in cui un
nuovo tipo di replicatore potrà fare copie di se stesso, il nuovo
replicatore tenderà a prendere il sopravvento e a iniziare un nuovo
94
«Un vettore è una qualsiasi unità, sufficientemente discreta da sembrare degna di questo
nome, la quale contenga una collezione di replicatori e funzioni come unità di conservazione e
propagazione di tali replicatori. […] L’abilità e il successo di un vettore si misurano dalle sue
capacità di propagare il replicatore che ospita al suo interno. Il più ovvio archetipo di vettore è il
singolo organismo, ma questo potrebbe non essere il solo livello della gerarchia della vita al
quale è applicabile questa qualifica»: cit. da R. DAWKINS, The Extended Phenotype… cit., p. 147.
95
Ivi, p. 108 (il corsivo è dell’A.).
96
Ivi, pp. 108-109 (i corsivi sono dell’A.).
97
Cit. da ID., The Selfish Gene… cit., p. 203 (i corsivi sono dell’A.); l’affermazione finale di
Dawkins sulla velocità dell’evoluzione memica è importante: vd. infra, pp. 185 sgg.
175
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
98
Il successo nella sopravvivenza di un meme dipenderà certo dall’ambiente sociale
e biologico, nonché dalla natura genetica della popolazione, ma dipenderà anche dai
memi già presenti o dominanti nel pool memico: cfr. ivi, p. 143.
99
Cfr. supra, pp. 139 sgg.
100
Su questo punto tornerò più avanti.
176
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
101
Cfr. supra, pp. 163.
102
Alcuni studiosi, da ultimo vd. D. J. CHALMERS, The Conscious Mind: in Search of a
Fundamental Theory, Oxford 1996, convinti che nessuna teoria neurofisiologica o fisica, per
quanto completa, potrà mai spiegare ‘il mistero dell’esperienza cosciente soggettiva’, hanno
proposto di considerare l’esperienza cosciente una caratteristica basilare, irriducibile a qualcosa
di più elementare, e che pertanto essa risponda a proprie leggi ‘psicofisiche’, ancora tutte da
scoprire, interagenti con le leggi della fisica vera e propria. Si tratta, com’è evidente, di una sorta
di dualismo implicito – «[…] le idee che non sappiamo di possedere ci posseggono modellando
le nostre esperienze dietro le nostre spalle […]», (cfr. supra, p. 141, nota 16) – e improprio perché
comunque pretende di predire la struttura dell’esperienza cosciente a partire dai processi
cerebrali, accetta cioè la teoria dell’identità (cfr. supra, p. 166); che il mondo degli psiconi, o dei
memi se si preferisce, sia poi governato da leggi generali sue proprie, è possibile, pretendere che
esse debbano essere descritte con semplicità ed eleganza come le leggi basilari della fisica, mi
pare francamente chiedere troppo a noi stessi.
177
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
103
Negli ultimi tempi, sulla scia della ‘rivoluzione cognitiva’, si
104
sono moltiplicati i tentativi di delineare alcune tappe o intere
sintesi
105
della storia (naturale) dello sviluppo della cognizione uma-
na; per gli scopi della presente ricerca, il volume di Merlin
Donald pubblicato nel 1991 costituisce uno dei tentativi più riusci-
106
ti.
L’ipotesi generale di Donald è che la mente si sia evoluta a partire
da quella dei primati attraverso una serie di grandi adattamenti,
ognuno dei quali avrebbe portato alla comparsa di un nuovo sistema
rappresentativo; ciascuno di questi nuovi sistemi di rappresentazione
si sarebbe successivamente conservato, intatto o in forma vestigiale,
fino al raggiungimento dell’architettura mentale odierna: la mente
dell’uomo attuale sarebbe quindi un mosaico, un ibrido formato sia
da stadi cognitivi che risalgono ai primordi dell’evoluzione umana, sia
107
da strutture simboliche recenti.
103
È d’obbligo qui citare H. GARDNER, The Mind’s New Science, New York 1985, trad. it.
Milano 1988, un libro importante e tuttavia un libro in cui curiosamente la parola coscienza non
compare mai; opere introduttive più recenti sono B. BARA, Scienza cognitiva, Torino 1990, e M.
DI FRANCESCO, Introduzione alla filosofia della mente, Bologna 1996.
104
Si veda, per es., I. DAVIDSON – W. NOBLE, The Archaeology of Perception. Traces of
Depiction and Language, in «CA» 30 (1989), pp. 125-137 e il dibattito che ne seguì: ibid., pp.
137-155 e pp. 330-342.
105
Vd., tra gli altri, R. G. KLEIN, The Human Career. Human Biological and Cultural
Origins, Chicago – London 1989; ID., Anatomy, Behavior, and Modern Human Origins, «GWPr»
9 (1995), pp. 167-198; K. R. GIBSON – T. INGOLD (eds.), Tools, Languages and Cognition in
Human Evolution, Cambridge 1993; R. S. CORRUCCINI – R. L. CIOCHON (eds.), Intregrative Paths
to the Past. Paleoanthropological Advances in Honor of F. Clark Howell, Englewood Cliffs 1994;
R. LEAKEY – R. LEWIN, Origins, New York 1977, trad. it. Bari 1979, passim; ID., Origins
Reconsidered, New York 1992, trad. it. Milano 1993, cap. 15; R. LAEKEY, The Origin of
Humankind, New York 1994, trad. it. Milano 1995, cap. 6; in generale sugli argomenti del
presente paragrafo, in italiano, di possono ulteriormente vedere: E. LÀVADAS – C. UMILTÀ, Neurop-
sicologia, Bologna 1987; L. PIZZAMIGLIO – F. DENES (eds), Manuale di neuropsicologia, Bologna
1990; A. OLIVERIO, Biologia e filosofia della mente, Roma – Bari 1995.
106
Si tratta del già citato (nota 10, p. 158) M. DONALD, Origins of the Modern Mind. Dello
stesso A. vd. anche The Neurobiology of Human Consciousness: An Evolutionary Approach,
«NePs» 33 (1995), pp. 1087-1102; anche in questo caso, il lettore interessato all’approfondimen-
to o alla verifica di quanto qui di seguito affermato, troverà nel volume di M. Donald tutti i dati e
i rinvii bibl. che servono.
107
Dal punto di vista neurofisiologico, il cervello ha sicuramente una struttura a strati, ‘a
cipolla’: esso «si evolse con una serie di cambiamenti strutturali sistematici, e le strutture più
‘arcaiche’, come il midollo allungato, comparvero in organismi molto primitivi come le lamprede
e gli squali. Il mesencefalo comparve in seguito, e continua ad essere la struttura più complessa
della maggior parte dei pesci e degli anfibi. La comparsa dell’ippocampo e della corteccia
cerebrale è ancora successiva, e queste due strutture sono caratteristiche dei mammiferi»: ivi, p.
169; vd. anche supra, pp. 170 sgg.
178
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
108
Vd. supra, p. 173.
109
Tra la molta letteratura citata da M. Donald, il lavoro più importante è quello in cui
viene esaminato il famoso caso di ‘frate John’: A. R. LECOURS – Y. JOANETTE, Linguistic and
Other Aspects of Paroxysmal Aphasia, in «B&L» lO (1980), pp. 1-23.
179
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
110
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 114.
111
Dati aggiornati e sintesi efficaci sono nelle opere di R. Leakey sopra citate: nota 105, p.
178; vd. anche, G. CAMPS, La preistoria, Milano 1985; A. BROGLIO – J. KOZOWSKI, Il paleolitico.
Uomo, ambiente e cultura, Milano 1987; G. PINNA, Paleontologia, Milano 1992; F. FACCHINI
(ed.), Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico, Milano 1993.
180
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
112
Nonostante le ricerche di Ph. v. Tobias, non abbiamo invece prove verosimili che
Homo habilis possedesse un linguaggio, ancorchè rudimentale.
113
«La più forte impressione che si riceve da Homo erectus è quella di un essere capace di
ragionamento sistematico e di un buon livello di organizzazione, in grado di cooperare con i
propri simili nella caccia e nella costruzione di strumenti, in grado di utilizzare il fuoco per
cuocere e di trasmettere le proprie conoscenze alle generazioni luture»: ivi, p. 127 (il corsivo è
mio); sull’espansione encefalica, cfr. anche supra, pp. 170 sgg.
114
Cfr. ivi, p. 141.
115
Vd. P. LIEBERMANN, On the Origins of Language: an Introduction to the Evolution of
Human Speech, New York 1975; ID., The Biology and Evolution of Language, Cambridge (Mass.)
1984; ID., Uniquely Human. The Evolution of Speech, Thought, and Selfless Behavior, Cambridge
181
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
116
demo, e di conseguenza il linguaggio verbale pienamente sviluppa-
to, sarebbe un’innovazione molto recente, risalente all’avvento di
Homo sapiens sapiens.
In che modo allora il linguaggio, il cui avvento da solo, come si è
detto, non è sufficiente a spiegare il divario cognitivo tra antropomor-
fe e uomo, si situò all’interno dell’architettura cognitiva già esistente?
Dopo un’analisi sulla cognizione dei primati, M. Donald conclu-
de il capitolo 5 indicando come le antropomorfe 117
rappresentino la
massima espressione della mente episodica, una forma di mente
legata a quel
118
tipo di memoria che E. Tulving ha definito appunto
episodica. Tale memoria, che differisce 119
da quella procedurale,
strutturalmente diversa e più arcaica, così come da quella seman-
(Mass.) 1991; l’ipotesi di Liebermann, ipotesi che lo studioso stesso ha nel tempo aperto alla
possibilità che una qualche forma di linguaggio non pienamente sviluppato dovesse forse esistere
anche in fasi precedenti, ha avuto comunque diverse critiche: vd., tra gli altri, M. LEMAY, The
Language Capability of Neanderthal Man, in «AJPA» 42 (1975), pp. 9-14; D. FALK, Comparative
Study of the Larynx in Man and the Chimpanzee: Implications for Language in Neanderthal, in
«AJPA» 43 (1976), pp. 123-132; D. BURR, Neanderthal Vocal Tract Reconstructions: a Critical
Appraisal, in «JHE» 5 (1976), pp. 285-290; G. L. STEBBINS, Darwin to DNA, Molecules to
Humanity, New York 1982; P. V. TOBIAS, Recent Advances in the Evolution of the Hominids with
Special Relerence to Brain and Speech, in C. CHAGAS (ed.), Recent Advances in the Evolution of
Primates, Roma 1983; anche J. C. ECCLES, op. cit. (nota 6, p. 139), p. 62, respinge l’ipotesi di
Liebermann, ma egli sbaglia perché lega la coscienza al linguaggio, mentre, come vedremo, il
linguaggio è legato a un tipo di autocoscienza (verbale) e non alla coscienza in generale.
116
Nell’uomo, il tratto vocale è caratterizzato da una posizione molto bassa della laringe e,
viceversa, da una posizione alta della faringe, che forma un angolo retto con la cavità orale; la
lunghezza del palato molle, la discesa della lingua e della faringe costituiscono una morfologia
anatomica propria solo all’uomo attuale, legata alla posizione delle vertebre cervicali e a una
accentuata curvatura basicranica assente nei gorilla, negli scimpanzé, nelle australopitecine e nei
neandertaliani. Tale innovazione anatomica è certamente connessa ad uno sviluppo neurale
altamente specializzato delle aree sensoriali e motorie, nonché a innovazioni della muscolatura e
del sistema di controllo della respirazione, cioè ad innovazioni che coinvolsero il sistema nervoso
centrale nella definizione di una nuova mappatura sistematica dell’apparato percettivo basato
sulla nuova anatomia motoria, perché la ricezione e la produzione del linguaggio sono due
aspetti necessari dello stesso sistema funzionale.
117
«Di fatto, la parola che sembra riassumere meglio la cultura cognitiva delle antropo-
morfe […] è il termine episodico. La loro vita è vissuta interamente nel presente, come una serie
di episodi concreti, e il più elevato elemento del loro sistema di rappresentazione della memoria
sembra situarsi allivello di rappresentazione di eventi. Mentre l’uomo è capace di rappresenta-
zioni astratte della memoria simbolica, le antropomorfe sono vincolate alla situazione concreta o
al singolo episodio, e il loro comportamento sociale rispecchia tale limitazione situazionale. La
loro cultura potrebbe quindi essere classificata come ‘episodica’»: cit. da M. DONALD, op. cit., p.
179 (il corsivo è dell’A.).
118
Cfr. E. TULVING, Elements of Episodic Memory, New York 1983.
119
La memoria procedurale può essere considerata come la componente mnestica di
modelli di azione appresi; al contrario di quella episodica, essa conserva il ricordo degli aspetti
182
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
120 121
tica, la memoria predominante nella mente umana, 122
si caratteriz-
za per un certo grado di consapevolezza conscia e si è evoluta nelle
antropomorfe più che in altre123 specie, portandole a una maggiore
capacità di percepire gli eventi.
La principale limitazione della cultura episodica riguarda la rap-
124
presentazione: le antropomorfe eccellono nell’analisi situazionale e
nel richiamo alla memoria, ma non sono in grado, né individualmente
né collettivamente, di rievocare un evento per riflettere su di esso.
Tuttavia, rispetto per esempio alle società formate da insetti, i cui
membri agiscono in base a meccanismi automatici stereotipati e rifles-
si, le antropomorfe ricordano i rapporti diadici appresi e sono in
grado di avere una vita in comune regolata da complessi rapporti
sociali plurimi. Le antropomorfe, insomma, nelle loro capacità cogni-
tive individuali e di gruppo sono assai più evolute, per esempio, delle
api: «nonostante l’assenza di evoluzione linguistica o simbolica, l’evo-
125
luzione sociale e cognitiva è continuata».
generali dell’azione, ignorando gli aspetti specifici delle situazioni e degli eventi con un tipo di
strategia di immagazzinamento che è opposto a quella della memoria episodica: cfr. D. A.
OAKLEY, The Varieties of Memory: a Philogenetic Approach, in A. MAYS (ed.), Memory in
Animals and Humans, Wokingham 1983; D. F. SHERRY – D. L. SCHACTER, The Evolution of
Multiple Memory Systems, «PsR» 94 (1987), pp. 439-454.
120
Vd. W. KINTSCH, The Rappresentation of Meaning in Memory, Hillsdale 1974.
121
L’uomo possiede sistemi di memoria procedurale e episodica, ma essi sono gerarchica-
mente dominati, e di fatto quasi sostituiti, dalla memoria semantica, la forma di memoria di gran
lunga predominante nella cultura umana.
122
Vd. infra, pp. 210 sgg.
123
La percezione di eventi è la capacità di percepire come unitari gruppi a volte ripetitivi di
stimoli complessi e in movimento; rispetto alla percezione di oggetti, la percezione di eventi è in
grado di prendere in considerazione una pluralità di input contestuali in situazioni di crescente
astrazione e complessità, come ad es. eventi sociali in cui sono coinvolti agenti e oggetti diversi
per un periodo di tempo significativamente lungo.
124
Secondo Donald, la dipendenza delle antropomorfe dalla memoria episodica spiega
anche perché esse abbiano tante difficoltà ad apprendere il linguaggio gestuale: più di 20 anni di
studi sperimentali sistematici hanno dimostrato che esse «hanno rappresentazioni interiori, forse
persino intenzioni, e che possiedono qualche capacità di ‘etichettare’ le proprie cognizioni
quando siano state istruite con un sistema di segni adatto a loro», ma anche che esse non sono in
grado di ordinare sintatticamente più di due parole o di «saper rappresentare pienamente la loro
palese conoscenza del proprio ambiente»; ma la constatazione più importante è che «esse non
sono in grado di inventare spontaneamente nè segni nè simboli» (le cit. sono da M. DONALD, op.
cit., p. 161, il corsivo è mio).
125
Ivi, p. 192; su teoria evoluzionistica e sviluppo cognitivo, vd. H. C. PLOTKIN, Evolu-
tionary Epistemology and Evolutionary Theory, in ID. (ed.), Learning, Development, and Cultu-
re: Essays in Evolutionary Epistemology, Chichister 1982; ID., Evolutionary Epistemology as
Science, «B&Ph» 2 (1987), pp. 295-313; ID., An Evolutionary Epistemological Approach to the
183
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Evolution of Intelligence, in H.J. JERISON (ed.), The Evolutionary Biology of Intelligence, New
York 1988.
126
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 164; occorre precisare che secondo lo studioso (cfr. ivi, p.
194), stante la pochezza dei fossili e l’incertezza sull’attribuzione della cultura olduvaiana, è
pressoché impossibile trarre conclusioni verosimili sullo stadio cognitivo rappresentato da
Homo abilis (e dalle ultime austrolopitecine).
127
Com’è noto, uno dei principi fondamentali della teoria del’evoluzione, è quello
secondo il quale i vantaggi ottenuti con gli adattamenti precedenti si conservano nelle fasi
seguenti: «una cultura cognitiva qualitativamente nuova come quella che deve aver caratteriz-
zato Homo erectus lasciò tracce nei suoi discendenti, e una cultura cognitiva che seppe
inventare, mantenere e trasmettere complesse capacità sociali e tecnologiche continuò a essere
utile anche dopo la comparsa del linguaggio. Dovremmo quindi essere in grado di individuare
le vestigia cognitive di Homo erectus nella società attuale»: ivi, p. 197; anche M. ALINEI, Origini
delle lingue d’Europa. Vol. 1: La teoria della continuità, Bologna 1996, pp. 250 sgg., pur con
altri termini, teorizza e utilizza questo concetto; sul suo uso in linguistica, vd. anche infra, pp.
241 sgg.
184
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
128
Nel caso degli uccelli è anche intraspecifica: i pappagalli, p. es., sono in grado di
riprodurre i suoni emessi da altri uccelli.
129
«La mimica può comprendere una gran varietà di azioni e di modalità adatte ai propri
scopi. Toni di voce, espressioni facciali, movimenti degli occhi, segni e gesti manuali, atteggia-
menti posturali, movimenti standardizzati dell’intero corpo e lunghe sequenze di questi elementi
possono esprimere numerosi aspetti del mondo percepito. La pantomima, che ha un’origine
antichissima e che tuttora pratichiamo per divertimento nonostante il possesso del linguaggio
verbale, mette in risalto le nostre capacità mimiche, evidenti anche nei bambini piccoli. La azioni
compiute nel contesto di questo genere di giochi sono prevalentemente non apprese e non
reiterate, ed è improbabile che nascano semplicemente dall’imitazione, ma sono piuttosto azioni
espressive, creative e inedite»: ivi, p. 201.
130
Cit. da Id., ibid.; questo punto è importante, ci tornerò sopra più avanti.
185
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
131
Ivi, p. 206; su quest’ultimo punto tornerò più avanti. L’estensione delle capacita
mimiche alla sfera sociale dà luogo a un modello concettuale collettivo della società espresso nei
riti e nei giochi condivisi perché attraverso i riti e i giochi mimici reciproci, come la danza, è
possibile modellare il comportamento degli adulti, i ruoli, le attività e i rapporti sociali senza
ricorrere al linguaggio. Una cultura mimica è probabilmente in grado di raggiungere una
complessità rituale assai limitata ed è intrinsecamente assai conservatrice, come dimostra la
lentissima modificazione degli atti mimici di gruppo dell’uomo moderno.
132
Ivi, p. 203; dimostrazioni, dati e bibl. sono nel cap. 6 del volume suddetto.
133
Cfr., tra gli altri, T. SHALLICE, From Neuropsychology to Mental Structure, Cambridge
1988, trad. it. Bologna 1990; frate John, per es., durante le crisi epilettiche in cui era afasico,
disartrico e dislessico era comunque in grado di usare la mimica per comunicare: cfr. supra, p.
179, nota 109.
134
Cfr. supra, pp. 159 sgg.
186
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
135
eventi sono riuniti in sequenze che esprimono relazioni. Tali sequenze
rappresentano gli eventi così come essi avvengono nel mondo reale e, di
fatto, potrebbero essere considerati come un ideale modello di riferimento
136
degli stessi.
135
Cfr. infra, pp. 192 sgg.
136
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 234.
137
Cit. da ID., ibid.
138
Ivi, p. 237.
139
Cit. da ID., ibid.
187
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
140
Cit. da ID., ibid.
141
Cfr. A. G. THORNE – M. H. WOLPOFF, The Multiregional Evolution of Humans, «SA»
(1992,4), pp. 76-83; M. H. WOLPOFF (et al.), Multiregional Evolution. A World-Wide Source for
Modern Human Populations, in M. H. NITECKI – V. NITECKI (eds.), Origins of Anatomically
Modern Humans, New York 1994, pp. 175-199.
142
Cfr. C. STRINGER – C. GAMBLE, In Search of the Neanderthal, London 1993.
143
Dal punto di vista anatomico, questa ipotesi presenta almeno un problema di difficile
soluzione: i neandertaliani erano bassi, tarchiati, di braccia e gambe corte e di costituzione
188
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
robusta, caratteristiche insomma che li rendevano adatti al clima freddo; i primi uomini
anatomicamente moderni che abitarono le stesse regioni erano invece alti, slanciati e dagli arti
lunghi, tutte caratteristiche adatte a un clima tropicale o temperato.
144
Cit. da. R. LEAKEY, The Origin of Humankind… cit., p. 100.
145
Anche in questo caso rimane tuttavia qualche dubbio: l’ipotesi correlativa basata sulle
analisi del DNA mitocondriale, sostiene che l’uomo anatomicamente moderno sorto in Africa
non si sarebbe mescolato geneticamente coi suoi predecessori neandertaliani (di contatti cultu-
rali abbiamo invece tracce sicure: la tecnologia chatelperroniana: cfr. R. LEAKEY – R. LEWIN,
Origins Reconstdered… cit., pp. 218 sgg.): come avvenne allora la sostituzione? Di genocidi non
c’è traccia; quale vantaggio, ancorché piccolo, avrebbe dato nell’arco di non più di due millenni
una superiorità tale all’uomo di Cro-Magnon da cancellare la presenza dei neandertaliani? Una
delle risposte possibili è il linguaggio di tipo moderno.
146
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 245; anche M. ALINEI, op. cit., p. 730, considera ai fini
delle indagini linguistico-comparative tutto sommato ininfluente quale delle due teorie sulle
origini dell’uomo moderno finirà per prevalere tra gli specialisti.
189
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
147
Ivi, p. 247.
148
Cit. da ID., ibid.
149
Come si è detto, cfr. supra, p. 181, nota 115, l’ipotesi che lo sviluppo del linguaggio
articolato coincida con quello dell’uomo anatomicamente moderno non è provata con sicurezza
né accettata da tutti: tra i contrari, vd. ancora R. HALLOWAY, Human Paleontological Evidence
Relevant to Language Behavior, «HN» (1983,2), pp. 105-114; T. DEACON, The Neural Circuitry
Underlaying Primate Calls and Human Language, «HEv» (1989,4), pp. 367-401; tendenzialmen-
te contrario anche M. ALINEI, op. cit., passim.
150
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 255.
151
Cfr. supra, p. 183.
190
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
152
Ivi, p. 258.
153
M. Donald fa qui riferimento a R. L. GREGORY, Mind in Science, London 1981, trad. it.
Milano 1985.
154
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 258.
155
Ivi, p. 259.
156
Ivi, p. 260.
157
Ivi, p. 265; non è detto però che tutte le forme di gesto osservabili nell’uomo attuale, di
solito usate come complemento del linguaggio verbale, dovessero far parte anche di culture
umane precedenti.
191
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
non poterono comparire per primi e, per il fatto di essere stati inventati, dare
l’avvio al linguaggio e al pensiero. L’invenzione di simboli, parole comprese,
deve aver seguito un progresso delle capacità di pensiero, e fu parte integran-
te dell’evoluzione della capacità di costruire modelli. Analogamente, è ancora
più improbabile che la semplice comparsa di un meccanismo per la vocaliz-
zazione del linguaggio verbale sia nel cervello che nel tratto vocale delle
antropomorfe, o addiruttura in Homo erectus, possa aver condotto all’inven-
zione di simboli o al linguaggio verbale. Essa potrebbe aver condotto solo
all’imitazione e a un ulteriore uso pragmatico della vocalizzazione imitativa.
[…] la capacità vocale non comportò cambiamenti cognitivi, ma seguì (o
almeno procedette in parallelo con) un fondamentale cambiamento delle
capacità intellettive di modellamento che rese utile la capacità vocale. La più
importante fonte di pressione selettiva per l’evoluzione di un apparato vocale
più affinato fu una mente cui, per la propria attività di modellamento,
158
occorrevano le caratteristiche necessarie per il linguaggio vocale.
158
Ivi, p. 259; il corsivo è dell’A.
159
Vd. supra, p. 183.
160
Ivi, p. 274.
192
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
161
Ivi, p. 254.
162
Vd. supra, p. 180.
163
Ivi, p. 279.
164
ID., ibid.
193
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Il linguaggio, insomma,
165
Ivi, p. 292.
166
Ivi, p. 295.
167
Ivi, p. 296; è per questo motivo che frate John non può pensare linguisticamente (cfr.
supra, pp. 186-7): «i modelli e le loro parole sono così strettamente interrelati che, in assenza di
194
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
parole, l’intero sistema viene meno. In altri termini, non sopravvive ‘un linguaggio del pensiero’
da cui le parole siano scollegate, e la loro assenza determina un’assenza totale di simboli, di
pensiero simbolico e di complessi modelli simbolici»: ivi, pp. 296-297.
168
Ivi, p. 305; i corsivi sono dell’A.
169
Cfr. soprattutto J. BRUNER, Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge (Mass.),
London 1986, trad. it. Roma – Bari 1988; ID., Acts of Meanings… cit. (nota 170, p. 104), vd. anche
A. SMORTI, Il pensiero narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della conoscenza sociale, Firenze
1994, e infra, pp. 197 sgg.
195
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
170
Ivi, p. 302; il corsivo è dell’A.
171
Ivi, p. 303.
196
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
172
Ivi, pp. 314-315.
173
Vd. supra, p. 89; W. Burkert riprende un’ipotesi di G. S. KIRK, Myth: Its Meaning and
Functions in Ancient and Other Cultures, Berkeley – Los Angeles 1970, trad. it. Napoli 1980, pp.
17-55; ID., The Nature of Greek Myths, Harmondsworth 1976, II ed., trad. it. Roma – Bari 1980,
pp. 23-31.
174
La lunga ma necessaria cit. che segue è tratta da W. BURKERT, Structure and History in
Greek Mythology and Ritual, Berkeley 1979, trad. it. Roma – Bari 1987, cap. I: L’organizzazione
del mito, pp. 3-57, passim, i corsivi sono sempre dell’A.
197
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
conservazione, anche senza l’uso della scrittura, in una civiltà orale ‘primiti-
va’. […] Un racconto diviene tradizionale non in virtù della creazione, ma
175
grazie all’essere ripetuto e accettato.
[…] La forma del racconto non è prodotta dalla realtà, ma dal linguag-
176
gio, donde è derivato il suo carattere essenziale: la linearità.
[…] Mito, allora, all’interno del genere dei racconti tradizionali, è un
racconto di storia non fattuale.
[…] I miti sono polivalenti: lo stesso mito può essere riferito alla natura o
alla storia, alla metafisica o alla psicologia, e ha un senso in ciascun campo,
rilevando a volte un senso in accordo con le predilezioni dell’interprete, ma
la vasta pluralità delle applicazioni deve metterci in guardia; un mito, in
quanto racconto, non può essere ridotto a referente, in modo specifico e
immediato, di un aspetto della realtà, di una ‘origine’ fuori dal racconto.
Quanto detto porta alla seconda tesi, che non vanta maggiore originalità
della prima: l’identità di un racconto tradizionale, incluso il mito – indipen-
dente com’è da ogni testo o linguaggio particolare e da un riferimento diretto
alla realtà – deve essere trovata in una struttura di senso all’interno del
177
racconto stesso.
178
[…] Un racconto è una sequenza di motivemi; in termini linguistici:
una catena sintagmatica con varianti ‘paradigmatiche’; in termini più elemen-
tari: un programma di azioni - intendendo ‘azione’ in senso lato, compren-
dente piani, reazioni ed esperienza passiva nella sequenza dell’intreccio.
[…] Il concetto di una ‘struttura di senso senza referenza diretta’ non è
I79
autocontradditorio. Il significato, sebbene collegato alla referenza, non si
identifica con essa. […] Il significato di un racconto, anche allivello di una
sequenza ‘proppiana’, è molto più ricco e più complesso. La sequenza
175
Su oralità e tradizione, vd. supra, pp. 86 sgg.
176
Sulla sequenzialità come proprietà prima e fondamentale della narrazione, cfr. J.
BRUNER, Acts of Meaning… cit., pp. 54 e 81 sgg.
177
«Una seconda caratteristica della narrazione è che essa può essere ‘reale’ o ‘immagina-
ria’, senza che la sua forza come racconto abbia a soffrirne. Questo significa che tra il senso e il
riferimento esterno del racconto sussiste una relazione anomala. L’estraneità del racconto
rispetto alla realtà extralinguistica sottolinea il fatto che esso possiede una struttura interna al
discorso. In altre parole, la sequenza delle frasi, piuttosto che la verità o la falsità di una qualsiasi
di esse, è ciò che determina la configurazione o trama generale. Questa particolare sequenzialità
è indispensabile perché un racconto sia significativo e perché la mente si organizzi in modo da
coglierne il significato»: cit. da J. BRUNER, op. cit., p. 55 (i corsivi sono dell’A.).
178
Sostituendo con i ‘motivemi’ le ‘funzioni’ di V. J. Propp (ma anche i temi di Nagy e
Watkins e i leit-motiv di Belardi: vd. supra, p. 89 e p. 106), Burkert segue qui A. G. DUNDES, The
Morphology of North American Indian Folktales, Helsinki 1964, pp. 50-53; si tratta però della
stessa nozione: essi sono le ‘unità d’azione della trama’; sulle funzioni di Propp come esempio di
ipercodifica, vd. supra, p. 140.
179
W. Burkert si richiama in tal modo a quanto sostenuto tra gli altri da P. RICOEUR, La
métaphore vive, Paris 1975, trad. it. Milano 1981, pp. 285 sgg.
198
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
180
È questa in sostanza anche la tesi di fondo sostenuta da G. Bateson: il mondo della
Creatura è un’unità biologica e sociale, dove tutto è determinato dall’informazione e dalla
differenza: cfr. supra, pp. 142 sgg.
181
Si ricordi qui quanto detto sopra sulla cibernetica, vd. pp. 145 sgg.
182
Sulle strutture narrative come ‘teoria della mente’ condivisa da un gruppo sociale, vd.
ancora J. BRUNER, op. cit., capp. 2 e 3.
199
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
183
Che la tramissione orale debba necessariamente basarsi anche sull’uso di strutture
ritmiche, è quanto ho sostenuto nella prima parte della presente ricerca, cfr. supra, pp. 38 sgg.
184
Su questo punto si ricordi quanto sostiene e dimostra C. Watkins (vd. supra, pp. 87
sgg.) e quanto sie è detto (vd. supra, pp. 174 sgg.) sui memi.
185
È quanto abbiamo visto sostenere anche da M. Donald: cfr. supra, p. 196.
200
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
186
Anche qui Burkert e Donald sono in sintonia: cfr. supra, p. 195.
187
Sul ruolo della cultura mitica come sintesi unificatrice degli eventi episodici della
cultura mimica, vd. supra, pp. 196 sgg.
188
Su questi ultimi due punti, vd. infra, pp. 297 sgg.
189
Sul mito come tipo di autocoscienza, vd. infra, pp. 214 sgg.
190
Sul racconto e la tradizione narrativa come fonte di legittimità e autorevolezza, vd.
anche J. BRUNER, op. cit., pp. 57 sgg.
201
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
191
Sulle formulazioni orali standardizzate, vd. supra, pp. 93 sgg.
192
Abbiamo qui pertanto una conferma di più del fatto che – in teoria – è possibile
identificare attraverso i testi specifiche facies culturali: cfr. supra, pp. 73 sgg.
193
Sulla necessità di integrare i dati dell’archeologia e della paleoantropologia con le
ricerche etnografiche, vd. supra, pp. 180 sgg.
202
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
limited and the sense in which the mythology refers to the past is qualified.
The hero-ancestor-deity characters who are the protagonists of the stories are
presumed to be close at hand both in time and space.
3. The various stories form a corpus. They lock in together to form a
single theological-cosmological-jural whole. Stories from one part of the
corpus presuppose a knowledge of stories from all other parts. There is
implicit cross-reference from one part to another. It is an unaivoidable
feature of storytelling that events are made to happen one after another, but
in cross-reference, such sequence is ignored. It is as if the whole corpus
referred to a single instant of time, namely, the presents moment.
4. The principal use to which these stories are put is to justify whatever is
now being done. As Malinowski put it, ‘myths’ […] provide charters (id est,
legal precedents) for social action. But as P.-Y. Jacopin has recently pointed
194
out, this formula can also be reversed. It is not just that the myth provides
a model for social reality but social behavior is conducted as if the myth
referred to a presently existing real world in which human beings attempt to
partecipate.
5. From this point of view even the most mundane everyday actions are
reenactments of myth, but there is also a special class of behaviors that the
visiting anthropologist is likely ot categorize as ‘ritual’.
[…] Myth requires the existence of a corpus of text, id est, many distinct
stories which can be treated as a transformational set; the mythical ‘message’
is not to be found in any one story but in the set as a whole. In my prototype
case the corpus of text is provided by a body of oral traditions recorded in a
single locality in a ‘preliterate’ community.
[…] But in what circumstanèes does a document become part of a
mythology? And are there circumstances when an ‘oral tradition’ is not part
of a mythology?
[…] An oral tradition is not a myth if it is simply an isolated story
standing by itself; it becomes a myth – or part of a myth – only when it is
treated as a part of a transformational set of stories all of which derive from
the same general context. […] But what about literary documents? The same
general principle applies. A single document taken by itself can never be a
myth. It has no meaning other than that contained in its manifest content.
But as soon as we have a number of documents, all of which purport to be
about the same general subject matter even though their manifest content is
substantially or even totally different, then we have the materials for con-
195
structing a mythology.
***
194
E. Leach fa qui riferimento a P.-Y. JACOPIN, La parole générative de la mythologie des
indiens Yakuna, Diss. Neuchatel 1981.
195
Cit. da E. LEACH, Critical Introduction, in M. I. STEBLIN-KAMENSKIJ, Mif, Leningrad
1976, trad. ingl. Ann Arbor 1982, pp. 1-20, passim (i corsivi sono dell’A.); l’ultimo esempio
203
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
proposto da E. Leach corrisponde al caso della lingua poetica i.e.: un corpus di testi letterari
costruiti con una comune lingua poetica e sorretti da una comune mitologia: cfr. supra, pp. 102
sgg.
196
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 322-323.
197
In italiano, una buona introduzione è G. R. CARDONA, Storia universale della scrittura,
Milano 1986; anche se sulla nascita della scrittura e sui suoi rapporti con la cultura mitico-orale
tornerò a dilungarmi più avanti, bisogna qui ricordare tuttavia che il solo possesso di un
linguaggio verbale non conduce automaticamente all’invenzione grafica, anzi: delle migliaia di
lingue parlate in tempi e luoghi diversi, meno di un decimo ha sviluppato una propria forma
scritta e di queste solo poco più di un centinaio ha generato un corpus letterario di qualche
rilevo: cfr., tra i molti, R. HARRIS, The Origin of Writing, London 1986.
204
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
la terza transizione, dalla cultura mitica alla cultura teoretica, differisce dalle
precedenti nell’hardware: mentre le prime due transizioni dipesero da un
nuovo hardware biologico, e specificatamente da cambiamenti intervenuti nel
sistema nervoso, la terza transizione dipese da un equivalente cambiamento
198
nell’hardware tecnologico, e specificatamente da cambiamenti dei disposi-
tivi della memoria esterna. Fin dall’inizio la cultura teoretica fu codificata
esternamente, e la sua costruzione coinvolse una nuovissima sovrastruttura
di meccanismi cognitivi esterni alla memoria biologica dell’individuo. Come
nelle transizioni precedenti, i più antichi adattamenti vennero conservati e a
poco a poco la cultura teoretica inglobò le dimensioni episodica, mimica e
199
mitica della mente, estendendo ciascuna di esse in nuovi territori.
198
A parere di Donald, «da natura non biologica dell’hardware non ha alcuna rilevanza dal
punto di vista di una storia naturale della cognizione, poiché il risultato ultimo fu una transizione
evolutiva non meno fondamentale delle precedenti. Quando i dispositivi della memoria esterna
furono presenti e quando la nuova architettura cognitiva comprese un circuito della memoria
esterna illimitatamente espandibile e perfezionabile, erano state gettate le fondamenta della
future strutture teoretiche»: cit. da M. DONALD, op. cit., p. 414.
199
Ivi, pp. 321-322.
200
Ivi, p. 360; se, come osserva lo stesso Donald (ibid., p. 361) che è uno psicologo, la
psicologia non offre alcuna struttura teoretico-concettuale in cui inserire la nozione di memoria
esterna, la teoria dell’informazione (e gli studi di G. Bateson, come si è visto: cfr. supra, pp. 140
sgg.), costituisce invece a questo proposito un punto di riferimento sicuro.
205
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
201
«L’invenzione visuografica e il risultante accrescimento dei mezzi della memoria simbo-
lica esterna hanno alterato la natura della memoria di lavoro e il ruolo della memoria biologica
dell’uomo. Ora il più importante locus della memoria di lavoro, per scopi teoretici, è esterno, e i
più importanti sistemi schiavi della memoria di lavoro sono anch’essi esterni; il vero sketchpad
visuospaziale è il campo della memoria di lavoro esterna, e la narrazione di eventi per iscritto è
molto più importante del loop articolatorio, almeno per la costruzione di un prodotto teoretico
finito. Ciò si verifica perché i dispositivi esterni permanenti permettono che un processo di
pensiero iterativo e interattivo operi ripetitivamente sui propri prodotti; e, ancora più importan-
te, il processo di pensiero in sé può essere esteriorizzato e istituzionalizzato in larga misura.
Poiché i dispositivi della memoria esterna sono in grado di stabilire un collegamento con tutti i
precedenti livelli dell’evoluzione cognitiva, essi servono anche nella costruzione di un campo
integrativo, dove i prodotti di vari tipi di pensiero possono essere giustapposti e combinati»: ivi,
p. 415; vd. anche infra, pp. 219 sgg.
202
«Seguendo Giordano Bruno e Leibnitz, la mente biologicamente incapsulata potrebbe
essere definita una monade»: ivi, p. 365.
203
Ivi, pp. 364-366.
206
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
204
Ivi, p. 357; «il sistema di immagazzinamento simbolico esterno (SISE) si distingue dal
campo della memoria esterna (CME) per disponibilità e permanenza. La definizione di SISE si
applica a tutti gli item della memoria immagazzinati in un formato esterno relativamente
permanente, indipendentemente dal fatto che siano o non siano immediatamente disponibili per
l’utente. TI CME è un insieme temporaneo di parte del materiale contenuto nel SISE, ad uso del
singolo individuo. In questo modo una persona può avere un’intera biblioteca di materiale
disponibile per un progetto, ma può rimuovere solo alcuni item e disporli in un ordine per le sue
necessità immediate; la prima fa parte del SISE mentre i secondi costituiscono il CME di cui
quella persona dispone in quel momento»: cit. da ID., ibid.
205
Ivi, p. 387; la parte conclusiva del capitolo 8 del volume di M. Donald è dedicata
all’individuazione delle principali tappe dello sviluppo del pensiero teoretico; su una di esse, le
prime conoscenze astronomiche, tornerò più avanti.
206
«I maggiori prodotti del pensiero analitico, d’altra parte, sono generalmente assenti
dalle culture puramente mitiche. Un elenco, seppure incompleto, delle caratteristiche assenti
comprende: le argomentazioni formali, la tassonomia sistematica, l’induzione, la deduzione, la
verifica, la differenziazione, la quantificazione, l’idealizzazione e i metodi di misura uniformati.
Il dibattito, la scoperta, la prova e la sintesi teoretica, al contrario, fanno parte dell’eredità di
questo tipo di pensiero. Il più elevato prodotto del pensiero analitico, e il costrutto che lo
governa, è la teoria formale, un dispositivo integrativo che è molto più dell’invenzione simbolica,
e consiste piuttosto in un modo di pensare e di argomentare mediante il quale è possibile
formulare previsioni e spiegazioni»: ivi, p. 321.
207
Ivi, p. 390.
207
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
208
Cit. da E. A. HAVELOCK, Alle origini della filosolia greca. Una revisione storica (trad. it.
postuma dell’inedito The Preplatonic Thinkers of Greece. A Revisionist History), Roma – Bari
1996, pp. 6-7.
209
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 414.
208
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
2. 3. TIPOLOGIE DELL’AUTOCOSCIENZA
Con l’analisi del volume di M. Donald, siamo giunti fin quasi alle
soglie della classicità; quel che è accaduto poi nella storia dello svilup-
po della mente e della coscienza umana è per lo più noto e comunque
non riguarda direttamente la presente ricerca.
Per la mia ipotesi, tuttavia, il dato più importante che si può trarre
dal lavoro di M. Donald, è il fatto che lo studioso, nel corso della
storia naturale della cognizione che egli traccia, identifichi e isoli per
ciascuna delle tre transizioni ricostruite, forme diverse di coscienza e
di consapevolezza di sé: ciò significa che sono esistite tipologie di
autocoscienza diverse da quella dell’uomo attuale, basata, come ognu-
no di noi sa, sul dialogo interiore con se stessi.
L’insorgere di quest’ultimo tipo di autocoscienza, è legato al
nome di un uomo la cui esistenza ha modificato, forse come nessuno
mai nella storia dell’umanità, il nostro modo di pensare e la nostra
stessa concezione di attività mentale: Socrate. Egli è stato uno dei
primi uomini di cui abbiamo notizia con certezza, se non il primo in
assoluto, a possedere una voce interiore, di dentro, con cui, nella
solitudine della propria mente, discutere e dibattere, parlare e ascolta-
re, una voce da cui prendere ordini e ricevere consigli. Socrate nacque
nel 469 e morì nel 399 a.c.; se si può dunque individuare nella vita di
Socrate lo spartiacque temporale per la nascita dell’autocoscienza
210
«Le capacità metalinguistiche sono state determinanti per il successo umano con il SISE
e hanno costituito l’essenza dei curricula scolastici per due millenni, cominciando con la retorica
classica e proseguendo attraverso diversi stadi addizionali. Le discipline su cui i corsi di studio
erano imperniati si spostarono dalla forma parlata a quella scritta, da una struttura complessiva-
mente narrativa alle intricate capacità di pensiero coinvolte nella grammatica, nella logica e
nell’induzione, e infine dall’esteso modello di costruzione di una narrazione ampia alla costru-
zione di prodotti teoretici via via più specializzati»: ivi, p. 415.
211
Ivi, p. 416.
209
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
212
Cfr. supra, p. 183.
213
Cfr. G. G. GALLUP, Chimpanzees: Self Recognition, «Science» 167 (1970), pp. 86-87;
ID., Self Awareness and the Emergence of Mind in Primates, «AJPr» 2 (1982), pp. 237-248; D.
GRIFFIN, Prospects for a Cognitive Ethology, «BBS» 4 (1978), pp. 527-538; anche gli esperimenti
basati sul cosiddetto ‘test dell’inganno tattico’ danno risultati sostanzialmente simili: cfr. R.
BYRNE – A. WHITEN, Machiavellian Intelligence: social Expertise and the Evolution of Intellect in
Monkeys, Apes, and Human, Oxford 1988; vd. anche D. GRIFFIN, Animal Minds, Chicago 1992.
214
Cfr., tra gli altri, R. EPSTEIN – R. P. LANZA – B. F. SKINNER, ‘Self Awareness’ in the
Pigeon, «Science» 212 (1981), pp. 695-696.
215
Il controllo della mano comporta, per la prima volta nella storia dell’evoluzione, una
convergenza di retroazioni visive, tattili e propriocettive sullo stesso sistema di azione: cfr. M.
DONALD, op. cit. (p. 158, nota 10), p. 176.
216
Cfr. R. LEAKEY, The Origin of Humankind… cit. (p. 178, nota 105), p. 164.
217
Cfr., tra gli altri, N. HUMPREY, The Inner Eye… cit. (p. 158, nota 13), e ID., A History of
the Mind, New York 1993.
210
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
218
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 427; il corsivo è dell’A.
219
Cfr. supra, pp. 184 sgg.
220
Ivi, p. 225.
221
Cit. da ID., ibid.
211
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
222
Ivi, p. 226.
223
Ivi, p. 228; il concetto di nube statistica è tratto dalla meccanica quantistica.
224
Cfr. E. L. MOERCK, The Fuzzy set called ‘Imitàtions’, in G. E. SPEIDEL – K. E. NELSON
(eds.), The Many Faces of Imitation in Language Learning, New York 1989, pp. 277-303; sulle
differenze tra imitazione e mimica, vd. supra, p. 185.
225
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 228.
226
Ivi, p. 229; il corsivo è mio.
212
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
213
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
229
Cfr. supra, p. 89 e pp. 160 sgg.
230
Vd. pp. 197 sgg.
214
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
231
Cfr. supra, pp. 190 sgg.
232
Cfr. i volumi di N. Humphrey citati alla nota 217 di p. 210.
233
«Una volta che l’autocoscienza si fu sviluppata non vi fu modo di tornare indietro
perché gli individui meno dotati si trovarono in una situazione evolutivamente svantaggiata,
mentre quelli che ne erano dotati in misura maggiore, anche di poco, furono ulteriormente
favoriti. Ne seguì una sorta di ‘corsa agli armamenti’ che spinse il processo ancora più avanti,
accrescendo l’intelligenza e rendendo più acuta la consapevolezza di sé. A mano a mano che
l’occhio della mente acuiva la propria capacità di osservazione sarebbe necessariamente emerso
un vero e proprio senso del sé, una coscienza autoriflessiva sintetizzabile nel binomio ‘occhio
interiore/io interiore’»: la cit. è da R. LEAKEY, The Origin of Humankind… cit. (p. 178, nota
105), pp. 158-159, ma qui lo studioso descrive, e accetta, la teoria dell’intelligenza sociale di N.
Humphrey, che così riassume le proprie opinioni: «in termini evolutivi l’occhio della mente deve
aver rappresentato un significativo passo in avanti. Immaginiamo i vantaggi biologici goduti dai
nostri progenitori che per primi svilupparono la capacità di fare illazioni plausibili sulla vita
interiore degli altri, e si trovarono così a poter visualizzare in qualsiasi momento tanto i pensieri
dei rivali quanto le loro probabili azioni future: leggere nella mente degli altri semplicemente
leggendo nella propria. Tutto ciò aprì la via a nuove pratiche sociali fra gli uomini, da cui a loro
volta nacquero la comprensione, la compassione, la fiducia, il tradimento e la doppiezza, vale a
dire ciò che ci rende veramente umani»: cit. da N. HUMPHREY, The Inner Eye… cit., p. 80.
234
Ivi, p. 164; il corsivo è mio.
235
Cfr. supra, pp. 158 sgg.
215
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
236
parziale e selettiva, perché ciò che giunge alla coscienza è un
campione sistematico, ma non stocastico, della totalità – dell’attività
237
che si svolgono e delle informazioni che raggiungono – la mente:
«se questa parte è scelta in una maniera sistematica qualunque, è certo
che le verità della coscienza saranno, nel loro insieme, una distorsione
238
della verità di qualche unità più vasta».
239
Infatti, se l’insieme della mente è una rete integrata, ciò che
apparirà sopra la superficie, in seguito alla resezione operata dalla
coscienza, saranno «archi di circuito, e non i circuiti completi, o i più
vasti circuiti completi di circuiti. […] La vita dipende da circuiti di
contingenze interconnessi, mentre la coscienza può vedere solo quei
brevi240 archi di tali circuiti sui quali il finalismo umano può interveni-
re».
241
Se la coscienza agisce sul resto della mente e se la coscienza ha a
che fare solo con una parte degli eventi che coinvolgono la mente nel
suo complesso, esiste dunque una differenza sistematica, vale a dire
non aleatoria, tra la consapevolezza che noi abbiamo dell’io e del
mondo e la loro vera natura. Tale differenza distorce il processo di
adattamento tra uomo e ambiente, rendendo l’accoppiamento per il
tramite della coscienza tra l’uomo e i sistemi omeostatici che lo
236
È di questa opinione tra gli altri anche lo stesso N. Humphrey: cfr. ID., The Inner Eye…
cit., p. 75.
237
«È ovvio che la totalità della mente non potrebbe essere riprodotta in una sua parte e ciò
consegue logicamente dal rapporto fra il tutto e la parte. Lo schermo televisivo non fornisce una
rappresentazione o riproduzione degli eventi che accadono nell’intero procedimento televisivo;
e ciò non solo perché gli spettatori non sarebbero interessati a un tale resoconto, ma anche
perché la descrizione di ogni ulteriore parte del processo complessivo richiederebbe ulteriori
circuiti, e la descrizione degli eventi in questi circuiti richiederebbe a sua volta un ulteriore
aggiunta di circuiti e così via. Ogni ulteriore passo verso un aumento di coscienza porterà il sistema
più lontano dalla coscienza totale [questo corsivo è mio). Aggiungere la descrizione degli eventi
in una certa parte della macchina farà in realta diminuire la percentuale degli eventi descritti»:
cit. da G. BATESON, Steps… cit. (p. 140, nota 14), p. 446, il corsivo è dell’A.; è dunque fuori strada
J. Searle (op. cit., p. 125) quando afferma che si può ipotizzare che «il vantaggio evolutivo
conferitoci dalla coscienza vada ricercato nella maggior flessibilità, sensibilità e creatività di cui,
proprio grazie ad essa disponiamo»: come ben sanno tutti i grandi artisti, la coscienza è
costrizione della volontà, non libertà creativa.
238
Cit. da G. BATESON, Steps… cit., p. 180.
239
«Se il contenuto della coscienza è solo un campionario di varie parti e luoghi di questa
rete, allora, inevitabilmente, l’immagine cosciente della rete come un tutto è una mostruosa
negazione dell’integrazione di quel tutto»: ivi, p. 180; sulla mente come parte di una rete
cibernetica, cfr. supra, pp. 146 sgg.
240
Ivi, p. 181; il corsivo è mio.
241
Cfr. supra, pp. 160 sgg.
216
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
242
Cfr. G. BATESON, Steps… cit., pp. 459 sgg.
243
Ivi, p. 459, il corsivo è mio. «Le particolari caratteristiche acquisite generate in risposta
a un dato cambiamento dell’ambiente possono essere prevedibili. Se si riducono le riserve
alimentari, è probabile che l’individio dimagrisca […]. Analogamente, è spesso possibile preve-
dere un cambiamento particolare all’interno dell’ambiente: si può prevedere che una variazione
climatica verso il freddo ridurrà la biomassa locale e ridurrà quindi le riserve di cibo per molte
specie di organismi. Ma ambiente e organismo presi insieme diventano imprevedibili. Né
l’organismo né l’ambiente contengono informazioni che permettano all’uno di conoscere la
mossa successiva dell’altro»: cit. da G. BATESON, Mind and Nature… cit. (p. 140, nota 14), p. 237,
il corsivo è dell’A. Per esemplificare l’imprevedibilità generata dall’accoppiamento inadeguato
di due sistemi biologici, G. Bateson ricorda la partita a croquet tra Alice e il fenicottero: in quella
partita, Lewis Carroll crea un gioco meta-aleatorio perché la sua casualità non può essere
ristretta a insiemi finiti di alternative note ai giocatori, come per es. in ‘testa o croce’; vd. anche R.
GILMORE, Alice in Quantumland, Berlin – New York 1995, trad. it. Milano 1996.
244
Cfr. G. BATESON, Steps… cit., pp. 101 sgg., e supra, p. 144, punti 4 e 5.
245
Cfr. supra, p. 145, punto 14.
246
Cfr. supra, pp. 147 sgg; e in particolare la nota 38.
217
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
nel sottomettere una società rivale, il primo atto dei vincitori è l’imposizione
dei propri miti ai vinti. E il più forte istinto di questi ultimi è di opporre
resistenza, poiché la perdita dei propri miti comporta una perdita di identità
e un conseguente profondo disorientamento. In questo tipo di società il
sistema mitologico si colloca alla sommità della piramide cognitiva; esso non
solo regola il comportamento e difende gelosamente la conoscenza, ma pone
vincoli sulla percezione della realtà e incanala le capacità di pensiero di
coloro che vi aderiscono. E chi era responsabile per la conservazione e la
247
Ivi, p. 448.
218
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
2. 4. LA VOCE DI DENTRO
248
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 302-303; cfr. supra, pp. 196 sgg.
249
J. Bruner fa qui riferimento soprattutto agli studi di A. L. BROWN, J. R. HAYES e D.
PERKINS; le indicazioni bibl. sono in J. BRUNER, Actual Minds… cit. (nota 169, p. 195), p. 219, e
ID., Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 146.
250
Cit. da J. BRUNER, Actual Minds… cit., pp. 82-83; i corsivi sono miei.
219
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
251
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 429; è questa una conferma di quanto sostenuto anche da
Eccles, vd. supra, pp. 173 sgg.
252
Ivi, p. 420.
220
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
mezzi questo tipo di pensiero non sarebbe possibile perché lo stato finale, o
‘conclusione’, raggiunto dalla mente è indotto direttamente dalla stessa
rappresentazione. Dunque illocus di un processo come la sintesi teoretica è
difficile da attribuire a qualsivoglia singola parte della rete interna-esterna che
253
costituisce il sistema.
253
Ivi, pp. 437-438; i corsivi sono dell’A.
254
Sull’evoluzione della corteccia cerebrale, vd. supra, pp. 170 sgg.
255
M. Donald intende qui riferirsi agli ormai molti casi clinici documentati dalla letteratura
neuropsicologica, in cui una diversa riconfigurazione delle attività mentali ha consentito a dei
cerebrolesi di supplire in parte ai danni derivati da lesioni anche estese: vd., per es., D. L.
SCHACTER – M. P. MCANDREWS – M. MOSCOVITCH, Access to Consciousness: Dissociation
between Implicit and Explicit Knowledge in Neuropsychological Syndromes, in L. WEISKRANTZ
(ed.), Thought without Language, Oxford 1986, e V. FRISK – B. MILNER, The Relationship of
Working Memory to the Immediate Recall of Stories Following Unilateral Temporal or Frontal
Lobectomy, «Neps» 28 (1990), pp. 121-135.
256
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 439-440; il corsivo è dell’A.
257
Cfr. ivi, pp. 431-437, con bibl. e esemplif.
258
Cfr. supra, pp. 204 sgg.
221
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
259
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 372.
260
Cfr. supra, pp. 205 sgg.
261
Su questo punto, vd. supra, p. 288.
222
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
262
Ivi, p. 374; sulla creazione e i requisiti delle mappe, vd. supra, pp. 150 sgg.
263
Ivi, pp. 374-375. Nella memoria biologica hanno luogo sia la suddivisione che il
raggruppamento delle informazioni, ma la suddivisione viene operata prevalentemente in termi-
ni di ritmo, durata e aggregazione spaziale e dipende dall’apprendimento di più ampi gruppi di
item significativi; questo fatto è noto fin da G. MILLER, The Magical Number seven Plus or Minus
Two: Some Limits on our Capacity to process Information, «PsR» 63 (1956), pp. 81-97, vd. anche
supra, pp. 95 sgg. e pp. 205 sgg.; delle strutture della narrazione tradizionale si è già parlato a
lungo.
264
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 376.
265
Cfr. ivi, p. 377.
266
Cfr. ivi, p. 378.
223
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
267
Quale che sia la sua base fisiologica, «il materiale della memoria di lavoro è più rilevante
e ‘disponibile’ per il pensiero conscio del materiale che – proprio perché è contenuto nel
magazzino a lungo termine – è presumibilmente meno accessibile per l’elaborazione»: ivi, p.
381; vd. anche D. L. SCHACTER, On the Relation between Memory and Consciousness: Dissociable
Interactions and Conscious Experience, in H. ROEDIGER – F. CRAIK (eds.), Varieties of Memory
and Consciousness: Essays in Honor of E. Tulving, Oxford 1989.
268
Opere recenti e aggiornate sulla memoria, sono: S. RONCATO, Apprendimento e memo-
ria, Bologna 1982; R. L. SQUIRE, Memory and Brain, Oxford 1987; S. CHRISTINSON (ed.),
Handbook of Emotion and Memory, Hillsdale 1992; qui di seguito citerò invece studi oramai
classici.
269
Sulla memoria di lavoro, vd. A. D. BADDELEY, The Psychology of Memory, New York
1976; ID., Working Memory, Oxford 1986, trad. it. Milano 1990; S. E. GATHERCOLE – A. D.
BADDELEY, Working Memory and language, Hillsdale 1993.
270
Cfr. L. R. PETERSON – M. J. PETERSON, Short Term Retention of Individual Verbal Items,
«JEPs» 58 (1959), pp. 193-198.
271
Cfr. G. MILLER, art. cit., passim.
272
Cfr. R. BUCKOUT, Eyewitness Testimony, in U. NEISSER (ed.), Memory Observed:
Remembering in Natural Context, New York 1982, pp. 00.
273
Cfr. W. HERON, The Pathology of Boredom, in J. L. MCGAUGH – N. WEINBERGER – R.
WHALE (eds.), Psychobiology, San Francisco 1967; vd. anche D. S. OLTON, spacial Memory «SA»
236 (1977), pp. 82-98.
274
Cfr. A. BADDELEY, Working Memory… cit., passim.
224
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
275
Cit. da M. DONALD, op. cit., pp. 383-384.
276
In un mondo prealfabetizzato le sole fonti di informazioni presuddivise sono probabil-
mente da ricercare nell’organizzazione temporale del linguaggio parlato e nella gestualità; nel
SISE, invece, «la suddivisione e il raggruppamento coinvolgono molta flessibilità spaziale, e non
solo nel raggruppamento di parole e locuzioni […], La memoria biologica non si presta
facilmente a questo tipo di organizzazione e senza dubbio ciò ha imposto gravi limitazioni al
pensiero umano precedentemente all’accrescimento del SISE»: ivi, p. 371.
277
Vd. supra, pp. 205 sgg.
225
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
278
Cfr. M. DONALD, op. cit., p. 385.
279
Sulle origini dell’alfabeto greco, vd. da ultimo, L. AGOSTINIANI, La nascita delle scritture,
in stampa, pp. 40, con ampia bibl.
280
Cfr. supra, pp. 13 e 26 sgg.
281
Cfr. J. SVENBRO, La Grecia arcaica e classica: l’invenzione della lettura silenziosa, in G.
CAVALLO – R. CHARTIER (eds.), Storia della lettura nel mondo occidentale, Roma – Bari 1995, pp.
3-36; dello stesso A. si vedano anche Phrasikleia. Anthropologie de la lecture en Grèce ancienne,
Paris 1988, trad. it. Roma – Bari 1991, pp. 161 sgg., e La lecture à haute voix. Le témoignage des
verbes grecs signifiant ‘lire’, in C. BAURAIN – C. BONNET – V. CRINGS (eds.), Phoimkeia grammata.
Lire et écrire en Méditerranée, Liège – Namur 1991, pp. 539-548.
282
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 4.
226
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
283
L’esame del lessico greco della lettura, ci consente innanzitutto
di stabilire che inizialmente la lettura era, com’è naturale nell’antichi-
tà, fatta ad alta voce, ma che tale lettura tuttavia era un “distribuire
oralmente tra gli ascoltatori”, così come lo stesso nÒmoj “legge”, nome
284
d’azione di nšmein, verbo il cui significato principale è “distribuire”,
indica come anche la legge fosse una distribuzione vocale, appoggiata
285
da principio alla memoria e poi alla scrittura.
Una lettura, insomma, le cui principali caratteristiche, secondo
Svenbro, erano la natura strumentale del lettore o della voce lettrice, il
carattere incompleto della scrittura, che aveva bisogno per essere
286
compresa di essere sonorizzata, e, conseguenza delle prime due
caratteristiche, la concezione dei destinatari dello scritto come ‘udito-
ri’ (¢koÚontej, ¢kroata….).
Come e perché sorse dunque la lettura silenziosa in Grecia?
Dopo aver individuato in un ‘iscrizione parlante’ del VI sec. a.C.
alcuni indizi che sembrano già indicarne l’esistenza, J. Svenbro ricor-
287 288
da come dal Sofista e dal Teeteto, noi apprendiamo che il pensie-
283
Cfr. J. SVENBRO, art. cit., pp. 4-15; a questo proposito, va ricordato qui un famoso
articolo di P. CHANTRAINE, Les verbs grecs signifiant ‘lire’, in Mélanges Grégoire, Bruxelles 1950,
vol. II, pp. 115-126.
284
Dall’esame di un frammento di Sofocle (114 Nauck), Svenbro rende plausibile l’idea
che nšmein significasse anche “leggere ad alta voce”, così come due suoi rari composti: ¢nanšmein
e ¢nanšmesqai; dal fatto che nšmein si trovi forse al centro di una famiglia lessicale che significa
“leggere” mi pare invece meno probabile si possa ricavare che nÒmoj avesse poi il valore basilare
di “lettura”, anche se sappiamo (cfr. ERMIPPO, Fr. 88 Wehrli), per es., che le leggi di Caronda
venivano cantate.
285
Su nÒmoj e lÒgoj in Platone, vd., tra i molti, J. DERRIDA, La dissémination, Paris 1972,
trad. it. Milano 1989, pp. 101 sgg.; su Platone e la scrittura, è utile anche M. ERLER, Der sinn der
Aporien in den Dialogen Platons: Ubungsstücke zur Anteilung im philosophischen Denken, Berlin
1987, trad. it. Milano 1991.
286
È quel che si ricava tra l’altro anche dall’esame dei verbi ™pilšgesqai e ¢nagignèskein:
cfr. J. SVENBRO, art. cit., pp. 10-12; vd. anche F. BRESSON, La lecture et ses difficultés, in R.
CHARTIER (ed.), Pratiques de la lecture, Paris 1985, pp. 14-45.
287
Cfr. PLAT., Sph., 263e-264a: «pensiero e discorso non sono forse la stessa cosa, salvo che
il dialogo interiore dell’anima con se stessa, senza voce, questo appunto fu da noi denominato
pensiero?». Questa trad. e la seguente sono tratte da Platone. Tutte le opere, Firenze 1974.
288
Cfr. PLAT., Tht., 18ge-190a: «io, insomma, mi figuro che, quando l’anima pensa, non
faccia altro che ragionare con se medesima, per via di domande e risposte, di affermazioni e
negazioni; e che, quando si ferma in un pensiero ben definito, sia che vi pervenga più o meno
lentamente, o rapidamente e d’un colpo; quando si decide e non dubita più, questa noi la
riteniamo la sua opinione. Sicché io, per conto mio, dico che l’opinare è un ragionare, e
l’opinione un ragionamento espresso con parole, non però ad un altro né con la voce, ma a se
medesimo, in silenzio».
227
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
289
Cfr. anche PLAT., Thg., 128d, e Phdr., 242b-c.
290
Cfr. E. A. HAVELOCK, The Greek Concept of Justice from Its shadow in Homer to Its
substance in Plato, Cambridge (Mass.) 1978, trad. it. Roma – Bari 1981.
291
Tra le testimonianze antiche, vd. per es. ESIODO, Op., v. 213 e v. 224.
292
Cfr. E. A. HAVELOCK, Dikaiosyne. An Essay in Greek Intellectual History, «Phoenix» 23
(1969), pp. 49-70; cfr. anche ID., op. cit., pp. 365 sgg.
293
Cit. da J. SVENBRO, art. cit., p. 20.
294
Cfr. B. M. W. KNOX, Silent Reading in Antiquity, «GRBS» 9 (1968), pp. 421-435.
295
Si tratta dell’Ippolito di Euripide (vv. 874-875) che è del 428 e dei Cavalieri di
Aristofane (vv. 118-127) che è del 424.
228
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
296
Fu infatti solo con la Scolastica che la lettura silenziosa prese piede nel medioevo, pur
rimanendo confinata al solo ambito monacale: cfr. P. SAENGER, silent Reading. Its Impact on Late
Medieval Script and Society, «Viator» 13 (1982), pp. 378 sgg.
297
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 23.
298
Su questo punto cfr. anche CH. SEGAL, Greek Tragedy: Writing, Truth, and the
Rappresentation of the Self, in H. EVJEN (ed.), Mélanges Hulley, Chico (CA) 1984, pp. 43-67, e
ID., La musique du sphinx, Paris 1987, pp. 263-298.
299
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 24.
229
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
300
rapporto con lo scritto che sembrerebbe piuttosto di tipo passivo. Non è più
strumento dello scritto, poiché lo scritto gli ‘parla’ da solo. […] Il lettore
che legge nella propria testa non deve attivare o riattivare lo scritto mediante
l’intervento della propria voce. Gli sembra, semplicemente, che la scrittura
gli parli. Egli è all’ascolto di una scrittura – come lo spettatore teatrale è
all’ascolto della scrittura vocale degli attori. Lo scritto ‘riconosciuto’ in
maniera visiva sembra possedere la stessa autonomia dello spettacolo teatra-
le. Le lettere si leggono – o piuttosto, si dicono – da sole. il lettore ‘silenzioso’
non ha bisogno di intervenire sulla scena della scrittura: capaci di ‘parlare’, le
lettere possono fare a meno dell’intervento della voce. Al lettore spetta
soltanto di ‘ascoltarla’ – all’interno di se stesso. La voce lettrice si trova ad
301
essere interiorizzata.
300
Il controllo della mente, insomma, è posto temporaneamente all’esterno: cfr. supra, pp.
206 sgg.
301
Ivi, pp. 24-25.
302
Cfr. ivi, pp. 27-29.
303
Sui filosofi cosiddetti presocratici, ma in realtà contemporanei di Socrate, cfr. il già
citato E. A. HAVELOCK, The Preplatonic Thinkers of Greece. A Revisionist History, ed. it.
Roma – Bari 1996.
230
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
304
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., pp. 28-29; su questi argomenti, vd. anche S.
SAMBURSKY, The Phisical World of the Greeks, Oxford 1956, trad. it. Milano 1983, IV ed., e H.
WISSMANN, Le modèle graphique des atomistes, comunicazione al colloquio L’Ecriture, son
autonomie et ses nouveaux objets intellectuels en Grèce ancienne (Paris, septembre 1984), cit. in J.
SVENBRO, Phrasikleia… cit. (nota 281, p. 226), p. 176, nota 60.
305
Si veda ad es. ESCHILO, Prom., vv. 788-78: «a te, lo, dirò dapprima gli errori della tua
corsa turbinante: scrivili sulle tavolette fedeli della tua memoria», e Coef, V. 450: «ascolta,
Oreste, e iscrivi nel tuo cuore»; cfr. G. NIEDOU, La metalora della memoria come scrittura e
l’immagine dell’animo come deltos, «QS» 19 (1984), pp. 213-219.
306
Cfr. PLAT., Phaedr., 275d-276a; Phil., 38e-39a.
307
Cit. da J. SVENBRO, art. cit., pp. 31-32.
308
Cfr. PLAT., Phaedr., 276d.
231
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
309
‘pro-memoria’, da non confondere con la memoria vivente di una persona.
Conscio dei limiti di questa memoria oggettivata, il filosofo Platone ne fa uso,
al pari del poeta drammatico, il cui testo costituisce un ØpÒmnhma, scritto non
in funzione dei lettori futuri, bensì in vista dello spettacolo unico, di cui
sembra essere una condizione indispensabile.
Se lo spazio mentale può esteriorizzarsi nello spazio scritto, lo spazio
310
scritto può, a sua volta, esteriorizzarsi nello spazio teatrale.
In primo luogo, naturalmente, quando il testo drammatico è portato sulla
scena, movimento in un certo senso originale in questo sistema di
rappresentazioni interdipendenti, poiché dà luogo a quella che ho definito
‘scrittura vocale’. Ma questa esteriorizzazione è stata anche – letteralmente –
messa in scena nella Grecia antica – e in modo assai singolare – nello
311
Spettacolo dell’alfabeto del poeta ateniese Callia.
309
Su memoria biologica e memoria esterna, cfr. supra, pp. 205 sgg.
310
Sull’importanza del sistema di immagazzinamento simbolico esterno (SISE) e sulla sua
interdipendenza con la mente biologica in ogni espressione di pensiero creativo, cfr. supra, pp.
207 sgg.
311
Cit. da J. SVENBRO, La Grecia arcaica… cit., p. 33; sul testo di Callia, che è verosimilmen-
te della seconda metà del V sec. a.c. ed è intitolato Grammatik¾ qewr…a (= Fr., 31 Edrnonds), vd.
E. POHLMANN, Die ABC-Komodie des Kallias, «RM» 114 (1971), pp. 230-240; vd. anche F. D.
HARVEY, Literacy in the Athenian Democracy, «REG» 79 (1966), pp. 585-635.
232
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
za sonora – non è più l’unica. In breve, nella mente di qualcuno per il quale la
312
lettura silenziosa è intimamente familiare.
312
Cit. da J. SVENBRO, art. cit., p. 35.
313
Sul concetto di sé esteso, vd. J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), cap. 4,
con ampia bibl.; si vedano poi anche i lavori di J. Hillman citati in 111,4,6.
314
Cfr. i lavori raccolti in P. HEELAS – A. LOCK, Indigenous Psychologies. The Anthropology
of the Self, London – New York 1981, e C. TAYLOR, sources of the Self, Cambridge (Mass.) 1989,
trad. it. Milano 1993; sull’evoluzione del concetto di individualità in Grecia, si legge ancora con
profitto B. SNELL, Die Entdeckung des Geistes. Studien zur Entstehung des europäischen Denkens
bei den Griechen, Hamburg 1953, III ed., trad. it. Torino 1963, VI ed.
315
Va da sé che le definizioni di pp. 158 sgg. devono esser prese per quello che sono, un
tentativo, una sorta di reductio ad scientiam.
233
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
316
Scriveva Nietzsche: «la coscienza è l’ultimo e più tardo sviluppo dell’organico e di
conseguenza anche il più incompiuto e il più depotenziato. Nella coscienza hanno radice errori
che provocano la morte di una bestia o di un uomo prima del tempo necessario, «al di là del
destino», come dice Omero. Se il vincolo conservatore dell’istinto non fosse così assolutamente
potente, se non servisse, nel complesso, da regolatore, l’umanità dovrebbe perire per i suoi errati
giudizi e il suo fantasticare a occhi aperti, per la sua superficialità e la sua credulità: o piuttosto,
senza di quello, essa sarebbe già scomparsa da un bel pezzo! Prima che una funzione sia
compiutamente formata e maturata, costituisce un pericolo per l’organismo: è un bene se viene
così a lungo e validamente tiranneggiata! Così è la coscienza a essere validamente tiranneggiata:
e in misura non indifferente dall’orgoglio che se ne ha. Si pensa che qui sia il nocciolo dell’essere
umano: ciò che di esso è durevole, eterno, ultimo, assolutamente originario! Si considera la
coscienza una stabile grandezza data! Si negano il suo sviluppo, le sue intermittenze! La si
intende come ‘unità dell’organismo’! Questa ridicola sopravvalutazione, questo travisamento
della coscienza hanno come corollario un grande vantaggio, consistente nel fatto che con ciò è
234
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
stato impedito un troppo celere perfezionarsi della medesima. Perché gli uomini ritenevano di
possedere già la coscienza, si sono dati scarsa premura per acquistarla, e anche oggi le cose non
stanno diversamente! È ancor sempre un compito del tutto nuovo, proprio in questo momento
baluginante all’occhio umano e a stento riconoscibile con chiarezza, quello di incarnare in se
stessi il saper e di farlo istintivo: un compito scorto soltanto da chi è giunto a comprendere che
fino ad oggi si sono incarnati in noi solo i nostri errori e che tutta la nostra coscienza è in
rapporto ad errori!»: cit. da F. NIETZSCHE, Die fröhliche Wissenschaft, II, 11, Leipzig 1887, II
ed., trad. it. Milano 1986, IV ed., pp. 44-45, i corsivi sono dell’A.
235
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
per i suo bisogni, fare per lo più assegnamento sugli altri. A me sembra
pertanto che relativamente a intere razze e catene di generazioni le cose
stiano in questo modo: laddove il bisogno, la necessità hanno lungamente
costretto gli uomini a comunicare tra loro, a comprendersi l’un l’altro in
maniera rapida e sottile, esiste alla fine un eccesso di questa forza e arte della
comunicazione, per così dire una facoltà che si è gradatamente potenziata, e
che aspetta ora soltanto un erede che ne faccia un prodigo uso (i cosiddetti
artisti sono questi eredi, similmente i predicatori, gli oratori, gli scrittori: tutti
gli uomini che vengono sempre alla fine d’una lunga catena, ogni volta ‘nati
in ritardo’ nel senso migliore della parola e, come si è detto, dissipatori per
natura). Posto che sia giusto questo rilievo, mi è lecito procedere alla suppo-
sizione che la coscienza in generale si sia sviluppata soltanto sotto la pressione
del bisogno di comunicazione, che sia stata all’inizio necessaria e utile soltanto
tra uomo e uomo (in particolare tra colui che comanda e colui che obbedi-
sce), e soltanto in rapporto al grado di questa utilità si sia inoltre sviluppata.
Coscienza è propriamente soltanto una rete di collegamento tra uomo e
uomo – solo in quanto tale è stata costretta a svilupparsi: l’uomo solitario,
l’uomo bestia da preda non ne avrebbe bisogno. Il fatto che le nostre azioni, i
pensieri, i sentimenti, i movimenti siano anche oggetto di coscienza – almeno
una parte di essi – è la conseguenza di una terribile ‘necessità’, che ha
lungamente signoreggiato l’uomo: essendo esso l’animale maggiormente in
pericolo, ebbe bisogno d’aiuto, di protezione; ebbe bisogno dei suoi simili,
dovette esprimere le sue necessità, sapersi rendere comprensibile – e per
tutto questo gli fu necessaria, in primo luogo, ‘coscienza’, gli fu necessario
anche ‘sapere’ quel che gli mancava, ‘sapere’ come si sentiva, ‘sapere’ quel
che pensava. Perché, lo ripeto ancora una volta: l’uomo, come ogni creatura
vivente, pensa continuamente, ma non sa; il pensiero che diviene cosciente ne
è soltanto la più piccola parte, diciamo pure la parte più superficiale e
peggiore: infatti soltanto questo pensiero consapevole si determina in parole,
cioè in segni di comunicazione, con la qual cosa si rivela l’origine della
coscienza medesima. Per dirla in breve, lo sviluppo della lingua e quello della
coscienza (non della ragione, ma soltanto del suo divenire autocosciente)
procedono di pari passo. Si aggiunga poi, che non soltanto il linguaggio serve
da ponte tra uomo e uomo, ma anche lo sguardo, la pressione, la mimica: il
farsi coscienti in noi stessi le nostre impressioni sensibili, la forza di poterle
fissare e di porle, per così dire, al di fuori di noi, tutto ciò è andato crescendo
nella misura in cui è progredita la necessità di trasmetterle ad altri mediante
segni. L’uomo inventore di segni è insieme l’uomo sempre più acutamente
cosciente di sé: solo come animale sociale l’uomo imparò a divenir cosciente
di se stesso – è ciò che egli sta facendo ancora, ciò che egli fa sempre di più.
Come si vede, il mio pensiero è che la coscienza non appartenga propriamen-
te all’esistenza individuale dell’uomo, ma piuttosto a ciò che in esso è natura
comunitaria e gregaria; che – come deriva da tutto questo – essa si è
sottilmente sviluppata solo in rapporto ad una utilità comunitaria e gregaria;
236
2 – LE ORIGINI DELLA COSCIENZA
Come sempre gli accade nei suoi momenti più felici per equilibrio
tra visione e serenità – e La gaia scienza è da questo punto di vista forse
il suo libro migliore, in sole quattro pagine Nietzsche delinea e risolve
l’enigma dell’autocoscienza, fondando – senza che nessuno se ne sia
accorto – lo studio scientifico della coscienza: esse costituiscono il
miglior riassunto possibile del capitolo appena scorso.
317
Cit. da F. NIETZSCHE, op. cit., V, 354, pp. 220-223, i corsivi sono dell’A.
237
CAPITOLO 3
LE ORIGINI INDEUROPEE
3. 1. LE VESTIGIA PALEOMESOLITICHE
239
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
parlare di ‘sedi originarie’ significa, di fatto, supporre che […] gli Indoeuro-
pei fossero una popolazione stanziale, saldamente ancorata a un certo terri-
torio, e che di lì, a un certo momento, si trasformarono in nomadi conquista-
tori. Ora, una tale ipotesi non ha alcun fondamento documentario ed è
inconsciamente suggerita solo dal bisogno di dare un inizio alla storia degli
Indoeuropei: dalla notte dei tempi fino al 5000 a.C. gli Indoeuropei vegeta-
no, come oggetti di natura, in un certo territorio; dopo quella data comincia-
no a muoversi e così ha inizio la loro storia. La presupposizione è ingenua. La
storia non ha inizio, se non per il taglio arbitrario che lo storico dà alla sua
narrazione e per la presenza di documenti, diretti o indiretti, su cui egli possa
basarsi. Nel caso degli Indoeuropei non si ha alcuna prova a favore dell’esi-
stenza di una ‘sede originaria’; potremmo, ugualmente bene, immaginarli
come popolazioni nomadi anche nelle età più lontane: come tutti i falsi
3
problemi, anche questo ammette più di una soluzione.
l
Sugli sviluppi recenti dell’indeuropeistica, vd. O. SZEMERÉNYI, Recent Development in
Indo-European Linguistics, «TPhS» (1985), pp. 1-71; K. M. HAYWARS, The Indo-European
Language and the History of its Speakers: the Theories of Gamkrekidze and Ivanov, «Lingua» 78
(1989), pp. 37-86; W. P. LEHMANN, The Current Thrust of Indo-European Studies, «GL» 30
(1990), pp. 1-52, ID., Die gegenwärtige Richtung der indogermanistischen Forschung, Budapest
1992; F. R. ADRADOS, The New Image of Indo-European. The Story of a Revolution, «IF» 97
(1992), pp. 1-28; J. P. MALLORY, Encyclopedia of Indo-European Studies, in stampa.
2
Per una panoramica, vd. J. P. MALLORY, A Short History of the Indo-European Problem,
«JIES» 1 (1973), pp. 21-65; ID., The Indo-European Homeland Problem: the Logic of the Inquiry,
Ph. D. Thesis, Los Angeles 1975; ID., In Search of the Indo-Europeans. Language, Archaeology
and Myth, London 1989, capp. I e VI; R. AMBROSINI, Le lingue indo-europee… cit. (nota 3, p.
126), capp. I e II; la bibl. di riferimento è comunque in III,4,7.
3
Cit. da E. CAMPANILE, Antichità indoeuropee, in A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT
(eds.), op. cit. (nota 61, p. 71), p. 39.
240
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
4
Vd. supra, pp. 108 sgg.
5
Oltre che di una facies archeologica sicuramente e autonomamente definibile come i.e.:
cfr. supra, pp. 69 sgg.
6
Vd. supra, pp. 108 sgg.
241
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
7
altre due lingue i.e. imparentate con l’ittita antico ed a esso coeve,
il palaico e illuvio (cuneiforme), ma anche le più antiche attestazio-
ni dell’indo-ario (1500-1300 a.c.), risalenti quest’ultime al periodo
8
del regno hurrita dei Mitanni. Sappiamo poi anche che il greco
delle tavolette micenee in linerare B risale al 1500-1200 a.c. e che
esso probabilmente fa parte già di una variante dialettale meridona-
9
le.
Da tutto ciò ne consegue direttamente che nel II millennio a.C. le
lingue e le popolazioni i.e. suddette erano già pienamente e definitiva-
mente differenziate dall’i.e. e tra loro, ma anche, indirettamente, che
con grande verosimiglianza dovevano essere già autonome, distinte e,
almeno qualcun’ altra di esse, come lo slavo, già stanziate nelle sedi
10
storiche, anche le rimanenti lingue i.e. Nel caso, per esempio, del
latino e delle altre lingue i.e dell’Italia antica, pur se un’infinità di
11
questioni restano aperte, credo si possa dire oramai con buona
7
Vd., per tutti, J. G. MACQUEEN, The Hittites and Their Contemporaries in Asia Minor,
London 1988, II ed.; su quest’area in generale, utili aggiornamenti bibl. sono: D. SILVESTRI, Gli
studi sulla preistoria linguistica dell’Eurasia: prospettive e retrospettive, «AION» 10 (1988), pp.
17-25; A. SORRENTINO, Saggio di una bibliografia sulla preistoria linguistica dell’Eurasia, Napoli
1988; V. VALERI – M. D. PEDUTO, Preistoria e protostoria linguistica dell’Eurasia. Aggiornamenti
bibliografici, «AION» 12 (1990), pp. 357-361.
8
Cfr. T. BURROW, The sanskrit Language, London 1973, III ed., pp.27 sgg.; ID., The
Proto-Indoaryans, «JRAS» (1973), pp. 123-140; R. LAZZERONI, Per una definizione dell’unità
indo-iranica, «SSL» 8 (1968), pp. 131-159; lo., sanscrito, in A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT
(eds.), Le lingue indoeuropee… cit. (nota 61, p. 71), pp. 123 sgg.; M. MAYRHOFER, Die Arier im
Vorderen Orient – Ein Mythos?, Wien 1974; A. V. ROSSI, Preistoria linguistica dell’area di
contatto indo-iranica, «AION» 10 (1988), pp. 217-237 (con bibl. archeologica aggiornata); R.
SCHMITT, Aryans, in Y. ESHAN (ed.), Encyclopaedia Iranica, London-New York 1987, vol. II, 7,
pp. 684-687; M. WITZEL, Tracing the Vedic Dialects, in C. CAILLAT (ed.), Dialects dans les
littératures indo-aryennes, Paris 1989, pp. 97-265.
9
Cfr. E. RISCH, Die Gliederung der griechischen Dialekte in neuer sicht, «MH» 12 (1955),
pp. 61-76; R. SCHMITT, Einführung in die griechischen Dialekte, Darmstadt 1977; A. QUATTOR-
DIO MORESCHINI, Dal miceneo al Greco alfabetico. Osservazioni sullo sviluppo delle labiovelari con
particolare riferimento alla lingua epica, Pisa 1990.
10
Per quel che riguarda il baltico, è di questa opinione anche W. R. SCHMALSTIEG, Le
lingue baltiche, in A. GIACALONE RAMAT – P. RAMAT (eds.), op. cit., p. 482, con bibl.
11
Su questo argomento è ora importante il già citato (nota 74, p. 75) A. L. PROSDOCIMI,
Filoni indeuropei in Italia. Riflessioni e appunti, dove a p. 15 è detto: «il discorso fatto per il greco
vale anche per le altre realtà linguistiche preistoriche, quelle che ho pudicamente chiamato
‘filoni’, ma che – sia pure con le dovute attenzioni per quanto è pertinente al culturale e/o al
politico nell’essere della lingua – devono essere configurate come realtà linguistiche complete così
come lo è il greco rispetto al latino, il nordico rispetto all’anglosassone, ecc.» (il corsivo è mio).
Anche per questo lavoro di Prosdocimi, pervenutomi nel novembre 1996 a ricerca oramai
conclusa, vale quanto detto per il volume di Alinei: cfr. la nota seguente.
242
3 – LE ORIGINI INDEUROPEE
12
Era quel che cominciava a pensare negli ultimi anni anche G. Devoto: vd. ID., Il latino di
Roma, in A. L. PROSDOCIMI (ed.), Popoli e civiltà dell’Italia antica. VI: Lingue e dialetti dell’Italia
antica, Roma 1978, pp. 471-485 (il saggio è stato pubblicato postumo, ma la sua stesura risale in
realtà agli anni 1970-71 ed era già apparso in tedesco parzialmente nella Fest. L. R. Palmer, Wien
1976, come indica anche A. L. PROSDOCIMI nella Premessa alla ristampa anastatica a G. DEVOTO,
Storia della lingua di Roma, Bologna 1983, (I 1940, II 1944), p. XVII). Vedo ora che è di questa
opinione anche M. ALINEI, Origini delle lingue d’Europa… cit. (nota 127, p. 184), cap. IV;
quando questo volume di Alinei è apparso (ottobre 1996), la presente ricerca era già sostanzial-
mente terminata: sono lieto di poter constatare, che, pur con finalità e da punti di vista diversi e
sfruttando dati differenti, su alcune questioni centrali i nostri due studi giungono a conclusioni
assai simili; mi riservo, tuttavia, di esprimere il mio giudizio complessivo su questo lavoro
ponderoso quando sarà pubblicato il secondo e ultimo volume. Desidero qui ringraziare, infine,
il Prof. M. Alinei per il proficuo e utile colloquio che mi ha concesso il 31 ottobre 1996. Ricordo
ancora (cfr. supra, p. 79) che sui rapporti greco-latini di età micena sono fondamentali e
illuminanti le ricerche di E. Peruzzi (le indicazioni bibi. sono in 111,4,7).
13
Per dati e indicazioni, vd. tra i molti J. P. MALLORY, In search of… cit. (nota 2, p. 240),
pp. 24-30.
14
Si tratta di L. G. B. TILAK, The Arctic Home in the Vedas, Poona 1971, III ed. (I ed., ivi
1903), trad. it. Genova 1986, in precedenza (1979), ne era uscita anche una trad. francese
pubblicata a Milano; dello stesso A. vd. anche Orion, or Research into the Antiquity of the Vedas,
Poona 1893, trad. it. Genova 1991; in tedesco, un ampio riassunto, con l’aggiunta di ulteriori
riscontri mitologici e un appoggio convinto alle tesi di Tilak, era stato dato da G. BIEDENKAPP,
Der Nordpol als Volkerheimat, Jena 1906.
15
Tra gli studiosi favorevoli alle tesi sostenute da Tilak, ci furono H. Jacobi, M. Bloomfield
e, limitatamente a qualche aspetto, lo stesso Max Müller; tra i contrari Macdonell, Keith,
Oldenberg, Thibaut, Whitney: la bibi. fino al 1912 è in A. A. MACDONNEL – A. B. KEITH, vol. I,
pp. 409-431, s.v. nakşatra.
16
Per es. da A. LOROI-GOURHAN, La préistoire, Paris , III ed., pp. 192-193, e da J. HAUDRY,
Les Indo-Européens… cit. (nota 63, p. 26), pp. 119-121; tra gli oppositori recenti invece J. P.
MALLORY, In search of… cit., p. 269.
243
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
17
Ne ricorderò soltanto qualcuno tra quelli esaminati da Tilak e da altri: un giorno e una
notte di 6 mesi ciascuno, l’aurora che dura molti giorni, le 30 parti dell’alba, l’anno di dieci mesi
e di 5 stagioni, i 100 sacrifici fatti durante 100 notti consecutive, ecc.
18
Vd. I. J. S. TAPAROREWALA, The Indo-European Homeland: a Restotement of the Que-
stion, in Proc. and Trans. of the sixth Ali-India Conjerence, Patna 1930, pp. 635-642; P. C.
SENGUPTA, Ancient Indian Chronology, Calcutta 1947; S. C. KAK, On the Chronology of Ancient
India, «IJHS» 22 (1987), pp. 222-234; ID., Astronomy in Satapatha-Brahmal:la, in Proc. of the Int.
symposium on Indian and other Asiatic Astronomies, Hyderabad 1991; lo., The Indus Tradition
and the Indo-Aryans, «ManQ» 32,3 (1992), pp. 195-213.
19
Altre tesi sostenute in questo volume sono, al contrario, scientificamente inverosimili.
Per quanto riguarda poi gli aspetti politico-ideologici sottesi all’idea di una sorta di perduta età
dell’oro della tradizione ariana contenuta nel libro di Tilak, che è comunque un’idea ben diversa
da quella famigerata e altrettanto inconsistente di razza ariana, essi a me paiono sostanzialmente
innocui e del tutto trascurabili; riguardo invece all’uso che ne è stato fatto in seguito – il volume
di Tilak è infatti diventato nel tempo uno dei capisaldi del cosiddetto ‘pensiero tradizionale’, un
atteggiamento questo, più che una filosofia, cronologicamente collaterale, e qualche volta, nelle
vicende personali, colluso, ma che ci tiene a distinguersi, con i totalitarismi di destra di questo
secolo: cfr. R. GUÉNON, Forme tradizionali e cicli cosmici, Roma 1974 (1929), pp. 28 sgg.; J.
EVOLA, Rivolta contro il mondo moderno, Roma 1969 (1934), III ed., p. 236, e il numero
monografico dedicato a La tradizione artica della rivista «Arthos» 27-28 (1983) –, io credo che
nessun autore possa essere chiamato a rispondere dell’intelligenza dei propri lettori, e comun-
que sia, Tilak resta pur sempre un eroe della resistenza anticolonialista indiana, Guénon un
grande studioso e Evola, come si dice a Firenze, un rintronato.
20
Per es., l’eclisse parziale della stella Tişya (= Sirio) descritta in alcuni testi vedici, è
databile con precisione al 4650 a.c.; sul corrispettivo iranico di Tişya, vd. A. PANAINO, Tiştrya.
Part 1: The Avestan Hymn to syrius, Roma 1990. Sirio è la stella (a della costellazione del Cane
maggiore) più luminosa del cielo e fin dalla più remota antichità la regolarità del suo moto è
servita a misurare il tempo: gli Egizi, per es., che la chiamavano Sothis, basavano sul suo sorgere
eliaco (è questa la denominazione con cui si indicava il primo levare di una stella nel crepuscolo
del mattino), costantemente sempre intorno al 20 luglio, il cosiddetto periodo sotìaco, cioè il
periodo di 1460 anni solari che Sirio impiegava per riportarsi nuovamente alla stessa data
dell’anno civile egiziano.
21
Per il lessico i.e. ‘celeste’, vd. O. SCHRADER – A. NEHRING, vol. II, pp. 70-76; G. DEVOTO,
Origini indeuropee, Firenze 1962, p. 215 (e sgg.): «il vocabolario compatto […] documenta
largamente fenomeni celesti, come oggetto di osservazione, come strumento di organizzazione e
di calcolo del tempo […]».
244
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
22
Per una descrizione astronomica del più famoso ‘osservatorio’ preistorico, sulla cui
origine tuttavia si è ancora incerti, vd. G. S. HAWKINS, Stonehenge Decoded, «Nature» 200
(1963), p. 306; ID., Stonehenge: A Neolithic Computer, «Nature» 202 (1964), p. 1258; G. S.
HAWKINS – J. B. WHITE, Stonehenge Decoded, London 1965; un lavoro recente assai utile, con
ampia bibl. e che ripercorre criticamente gli studi precedenti sulla cosiddetta ‘astronomia
megalitica’, è quello di C. RUGGLES, Astronomical and Geometrical Influences on Monumental
Design: Clues to Changing Patterns of social Tradition?, in T. L. MARKEY – J. A. C. GREPPIN
(eds.), When Worlds Collide: The Indo-Europeans and the Pre-Indo-Europeans, Ann Arbor 1990,
pp. 115-150; per una storia recentissima dell’astrologia nel mondo occidentale, vd. O. POMPEO
FARACOVI, Scritto negli Astri, Venezia 1996.
23
Per la distinzione tra analogico e digitale, vd. supra, nota 47, p. 150; per la distinzione tra
numero e quantità, vd. supra, punto 7, p. 144 e nota 29.
24
Sulle rappresentazioni analogiche spazi ali in alcune popolazioni aborigene, vd. N. D.
MUNN, The spatial Presentation of Cosmic Order in Walbiri Iconography, in A. FORGE (ed.),
Primitive Art and society, London 1973; P. D. HARVEY, The History of Topographical Maps,
London 1980; C. D. SMITH, Cartography in the Preistoric Period in the Old World: Europe, the
Middle East and North Ajrica, in J. B. HARLEY – D. WOODARD (eds.), History of Cartography, Vol.
1: Cartography in Prehistoric, Ancient and Medieval Europe and the Mediterranean, Chicago
1987; C. M. LEWIS, Indian Delimitations ojPrimary Geographic Regions, in T. E. ROSS – T. G.
MOORE (eds.), A Cultural Geography of North American Indians, Boulder (CO) 1987; nel mio
libro Anemonimi Benacensi… cit. (nota 15, p. 34), in part. vd. cap. IV, è ricostruito un sistema,
tassonomicamente completo e ancor’oggi funzionante, di misurazione analogico-spaziale me-
diante l’osservazione e la descrizione dei venti gardesani, la cui origine, se le mie ipotesi sono nel
giusto, risalirebbe perlomeno al neolitico. Sui dialetti come fonte di dati preistorici, torna ora a
insistere con forza M. ALINEI, Origini delle lingue d’Europa… cit., passim.
245
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
25
Sul Sistema di Immagazzinamento Simbolico Esterno (SISE), vd. supra, pp. 206 sgg.
26
Su tutto ciò, cfr. supra, pp. 191 sgg.
246
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
27
Cit. da M. DONALD, op. cit. (nota 10, p. 158), pp. 390-396; l’ultimo corsivo è mio.
28
Vd. POKORNY, p. 703 e 731; ERNOUT-MEILLET, s.v. mensis, G. DEVOTO, Origini… cit., pp.
219-220, ecc.; in generale, vd. V. CHAMBERLAIN – J. YOUNG – J. C. CARLSON (eds.), Proc. of the
First World Ethnoastronomy symposium, Washington 1989. Sull’astronomia zarathustriana, vd.
W. BELARDI, Studi mithraici e mazdei, Roma 1977, cap. II: Teologia e astronomia nel calendario
zoroastriano.
29
Cit. da G. DEVOTO, Origini… cit., p. 217; vd. POKORNY, p. 1175.
30
Cfr. M. DURANTE, Aspetti e problemi della paleontologia indeuropea… cit. (nota 44, p.
40), pp. 42 sgg.
31
Vd. soprattutto W. BURKERT, Homo necans: Interpretationen altgriechischer Opferriten
und Mythen, Berlin – New York 1972, trad. it. Torino 1981, e ID., Wilder Ursprung. Opferritual
und Mythos bei den Griechen, Berlin 1990, trad. it. Roma – Bari 1992.
247
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
32
dall’altro agli studi di Ileana Chirassi Colombo sulla presenza nei
miti e nei riti greci di consistenti residui di fasi culturali precedenti o,
in qualche caso, parallele agli inizi della cerealicoltura neolitica, inizi
che in Grecia vengono ora indicati al VI-V millennio a.c.
A partire da Homo necans, un libro che merita appieno il largo
successo che ha avuto anche al di fuori della ristretta cerchia degli
33
antichisti, W. Burkert ha mostrato, in particolare, come nei miti e
nei riti greci di epoca storica connessi ai sacrifici cruenti, agiscano
ancora modalità di comportamento ritualizzate risalenti alla cultura di
caccia paleo- e mesolitica:
32
Vd. in particolare I. CHIRASSI COLOMBO, Elementi di culture precereali nei miti e nei riti
greci, Roma 1968.
33
Questo forse perché Homo necans è un libro ricco anche di tensione morale e letteraria:
«la coesione e la perpetuazione di un gruppo e della sua cultura sono perfettamente garantite, in
virtù di un’istanza suprema ed eterna, nel rituale religioso e nella conseguente adorazione del
dio. Egli consente di trasformare l’opposizione in collaborazione. Nelle tempeste della storia
hanno sempre finito per affermarsi solo le organizzazioni sociali fondate su basi religiose.
Dell’impero di Roma rimase la Chiesa romana. Anche al centro di questa rimase il sacrificio
inaudito, unico e volontario, nel quale la volontà del padre diviene una con quella del figlio,
ripetuto nel banchetto sacro che, col riconoscimento della colpa, porta alla redenzione. In tal
modo, si è istituito un ordine duraturo, il progresso della civiltà nel quale però si è conservata la
violenza dell’uomo. Tutti i tentativi di fare un uomo nuovo sono sino a oggi falliti. Si potranno
aprire nel futuro prospettive forse più favorevoli, se l’uomo comincerà col riconoscere se stesso
nell’uomo antico, che reca l’impronta del passato»: cit. da ID., op. cit., p. 72. Come scrive G. W.
MOST, in La ricerca assidua delle origini selvagge. Walter Burkert sul mito e il rito, prefazione a W.
B., Origini selvagge… cit., p. XII: «sempre di nuovo egli conduce il lettore dalla chiara luce del
giorno dell’umanità greca alla notte spaventosa dell’aggressione incontrollata, delle pulsioni
distruttive che precedettero quel giorno, costantemente lo assediarono e continuamente minac-
ciarono di distruggerlo. Una vera inquietudine promana dalla apollinea rappresentazione di
oggetti dionisiaci, dalla erudita trattazione di terribili pericoli che Walter Burkert ci offre».
248
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
34
dei costumi: erano indispensabili proprio questi riti per la loro particolare
efficacia. Sembra chiaro che nel corso della preistoria e della storia si siano
imposti solo quei gruppi che si erano consolidati attraverso la forza mortale
35
presente nel rituale. La prin1issima comunità umana si era costituita per
l’uccisione collettiva nella caccia; nel rituale sacrificale la società trovò in
seguito la propria forma grazie alla solidarizzazione, alla cooperazione artico-
36
lata e all’istituzione di un ordine incrollabile.
34
Sulla cultura mimica e sul rito, in quanto forma mimico-arcaica di auto-consapevolezza
tribale e sulla sua importanza nell’evoluzione cognitiva, vd. supra, pp. 211 sgg.
35
A proposito del rituale, W. BURKERT (Homo necans... cit., p. 38, il corsivo è mio) sostiene
che «un rituale può sopravvivere nella comunità solo se non porta alla autoeliminazione della
comunità stessa. […] Il rituale religioso porta un evidente vantaggio selettivo per un gruppo, se
non per l’individuo, in ogni caso per la sopravvivenza dell’identità del gruppo». Ciò conferma
ancora una volta quanto dicevo sopra (vd. pp. 217 sgg.) riguardo al fatto che possono darsi, e
nella storia di fatto si sono date, forme di autocoscienza inadatte a garantire la sopravvivenza del
gruppo sociale di cui sono espressione.
36
Cit. da W. BURKERT, Homo necans... cit., Cap. I, passim.
37
Cfr. A. E. JENSEN, Das religiose Weltbild einer jriihen Kultur, Stuttgart 1948; ID., Mythos
und Kult bei Naturvolker, Wiesbaden 1960; ID., Prometheus und Hainuwele Mythologem,
«Anthropos» (1963), pp. 145 sgg.; A. BRELICH, Quirinus, «SMSfu> 31 (1960), pp. 63-119.
38
Cit. da I. CHIRASSI COLOMBO, op. cit., pp. 12-3.
39
Ivi, p.197.
249
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
40
Ivi, p. 198.
41
W. Burkert ha chiarito l’evoluzione del proprio pensiero e in qualche modo preso le
distanze da alcuni aspetti dei suoi lavori precedenti, in Burkert über Burkert. «Homo necans»:
Der Mensch, der tötet, «Frankfurter Allgemeine Zeitung» 3 agosto 1988, n. 178, pp. 29-30, e An
Interview with Walter Burkert, «Favonius» 2 (1988), pp. 41-52.
42
La studiosa stessa d’altronde mi pare non le difenda più: vd. I. CHIRASSI COLOMBO, La
religione in Grecia, Roma-Bari 1983, pp. 7-12.
43
Vd. infra, pp. 262 sgg.
44
«La geniale e fantastica ricostruzione del ‘matriarcato’ preistorico a opera di Bachofen
[cfr.]. J. BACHOFEN, Das Mutterrecht, Stuttgart 1861, ora in K. MEULI (ed.), Gesammelte Werke,
Basel 1948, vol. II, trad. it. Torino 1988] ha ostacolato la comprensione di queste divinità
femminili. Di un reale predominio della donna non si può parlare né per le civiltà agricole del
Neolitico né per le società di caccia del Paleolitico superiore. Inoltre, in queste dee è sempre
presente il carattere del selvaggio, del pericoloso: sono loro che ammazzano, pretendono e
giustificano il sacrificio»: cit. da W. BURKERT, Homo necans… cit., p. 71 (il corsivo è mio). Ho già
detto sopra (vd. pp. 69 sgg.) che prima ancora che nei dati archeologici e etno-antropologici (per
una critica ben documentata, vd. per es. D. W. ANTHONY, The ‘Kurgan Culture’. Indo-European
Origins, and the Domestication of the Horse: a Reconsideration, «CA» 27 (1986), pp. 291-313),
ritengo la teoria ‘kurganica’ di M. Gimbutas inaccettabile dal punto di vista metodologico e
viziata, al pari delle precedenti teorie invasioniste ‘ariane’, da pregiudizi politico-ideologici
uguali e contrari.
45
«Dal tardo Paleolitico al Mesolitico s’intensifica (in modo variabile da regione a regione)
l’impiego del fuoco (ignicoltura) per incrementare lo sviluppo dell’erba e quindi la selvaggina,
come pure gli alimenti vegetali per l’uomo. È ovvio che tale tipo di economia non sia di caccia e
raccolta tout court, ma già in sostanza, abbia carattere produttivo, cioè in nuce di coltivazione (in
particolare dei foraggi) e di allevamento […]. Nel primo neolitico, accanto a tale tipo di
economia, si inizia e sviluppa l’orticoltura nelle aree umide. L’impiego del fuoco nell’ambito di
questa si limita al disboscamento iniziale, e al successivo contenimento della vegetazione erbacea
e arbustiva. Nei periodi seguenti, si assiste all’incrocio, e quindi alla fusione, tra l’orticoltura e
l’agricoltura estensiva nei territori interfluviali più asciutti. Il risultato è il sorgere dell’agricoltura
vera e propria, e l’invenzione dell’aratro. […] Con l’introduzione del maggese si riduce notevol-
mente, nelle regioni asciutte più densamente abitate, il ruolo dell’ignicoltura cerealicola. In
quelle umide irrigue (valle del Nilo, ad esempio) si sviluppa la coltura continua»: cit. da G.
FORNI, Problemi di convergenze linguistico-archeologiche nelle indagini sulle origini dell’agricoltura
euro-mediterranea: metodologie e applicazioni, «QdS» 13 (1992), p. 51; vd. anche ID., Gli
250
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
albori dell’agricoltura. Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici, Roma 1990. In questo
ambito di ricerca il testo di riferimento è ora: D. ZOHARY – M. HOPF, Domestication of Plants in the
Old World, Oxford 1988, vd. anche D. ZOHARY, Domestication of Plant in the Old World: the
Emergingsynthesis, in T. L. MARKEY – J. A. C. GREPPIN (eds.), op. cit. (nota 22, p. 245), pp. 35-44.
46
Cfr. E. GASPARINI, Il matriarcato slavo. Antropologia culturale dei Protoslavi, Firenze
1973. Questo bello e misconosciuto volume raccoglie a mio parere prove etno-antropologiche
più che sufficienti a mostrare come verosimilmente gli Slavi siano sempre stati all’incirca dove
sono oggi e come il neolitico li abbia raggiunti sono in tempi relativamente recenti; su quella che
era la tesi di fondo di Gasparini, cioè che gli Slavi siano un popolo non i.e. indeuropeizzato nella
lingua ma non nella cultura, temo tuttavia di non poter essere d’accordo: non sono gli Slavi a non
avere una cultura di tipo i.e., ma è l’immagine della cultura i.e. così come è stata vulgata in
passato (e, ahime!, anche in tempi recenti, per es. da personaggi come la Gimbutas) – monilitica,
patriarcale, guerresca, elitaria, razzista, nomadico-pastorale, ecc. – che è sbagliata.
47
Vd. tra gli ultimi C. STERCKX, Les Tetes Coupées et le Graal, «SCelt» 20-1 (1985-6), pp.
1-42; B. LINCOLN, The Druids and Human sacrifice, in studies in Honor of E. C. Polomé,
Washington 1991, vol. I, pp. 381-395; E. CAMPANILE, Aspetti del sacro nella vita dell’uomo e
della società celtica, in J. RIES (ed.), Trattato di Antropologia del Sacro, vol. II: L’uomo indoeuro-
peo e il sacro, Milano 1991, pp. 166 sgg.
48
Cit. da A. R. DIEBOLD JR., The Traditional View of the Ind-European Paleoeconomy:
Contradictory Evidence from Anthropology and Linguistics, in E. C. POLOMÉ (ed.), Reconstructing
Languages... cit. (nota 42, p. 66), p. 353, nota 10.
49
Credo vada dato atto a C. Renfrew di essere stato il primo a rendersi conto del fatto che
solo una datazione alta (VIII-VII millennio) può conciliare archeologia e linguistica sul proble-
ma della diaspora i.e.; Renfrew ha anche il merito indiscutibile di aver scosso dalle fondamenta
un paradigma oramai sterile e di aver sottratto ai linguisti una vicenda, come è appunto quella
delle origini i.e., troppo importante per lasciarla solo in loro mano. Dato a Renfrew quel che è di
Renfrew, dirò soltanto che seppure la sua teoria, oramai abbastanza nota da non doverla qui
riassumere, presenti alcuni aspetti avvincenti e taluni convincenti, essa tuttavia lascia irrisolti più
problemi di quanti ne risolva (per es. la posizione dell’armeno e i suoi rapporti col greco, i
rapporti tra greco e indiano antico, l'indo-iranico, ecc.); di più non mi pare corretto aggiungere,
perché, come osserva tra gli altri R. Ambrosini (cfr. ID., Le lingue indo-europee… cit. [nota 3, p.
126], p. 24), una delle obbiezioni più forti al quadro i.e. preistorico delineato da Renfrew, è
proprio l'esistenza e la consistenza della lingua poetica i.e.
251
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
50
fino al Paleolitico superiore (circa 30000-15000 a.C.)» la tradizione
dei popoli di lingua i.e.
Tornando allora all'ipotesi vista prima di una fase – certo non
dell’origine i.e.! – circumpolare, presente nei miti ‘iperborei’ di diver-
51
se popolazioni i.e., miti della cui appartenenza al cosiddetto sostrato
52
indo-mediterraneo non sono in alcun modo convinto, bisogna dire
che essa ci consentirebbe di risalire alla fine dell’ultima glaciazione
53
(Würm) e agli inizi della deglaciazione nell’Europa settentrionale, e
di porre per qualche tempo gli antenati di alcune popolazioni i.e. più a
nord di quanto in genere si è propensi a credere:
50
Cit. da M. DURANTE, Aspetti e problemi… cit. (nota 44, p. 40), p. 44. Altre testimonianze
lessicali che sembrano rinviare al paleolitico sono indicate, tra gli altri, anche in M. DURANTE,
art. cit., passim, e in M. ALINEI, op. cit., pp. 502 sgg.: non intendo discuterle singolarmente
poiché, per gli scopi della presente ricerca, è qui sufficiente l’aver mostrato che il mondo (che
sarà poi) i.e. risale perlomeno al paleolitico superiore; esula anche dagli scopi della presente
ricerca tentare di ricostruire fasi linguistiche e culturali i.e. che precedono il paleolitico superio-
re, ammesso che esistano e che sia possibile indagarle. Su questo problema riflessioni per lo più
condivisibili sono in A. L. PROSDOCIMI, Lingua e preistoria, Appunti di lavoro, in Miscellanea E.
Manni, Roma 1980, pp. 1833-1890, e ID., Filoni indeuropei in Italia… cit. (nota 74, p. 75), pp.
144 sgg.
51
Testi e materiali in G. H. MACURDY, «CR» (1916), pp.180 sgg.; L. ALFOLDI, «Gnomon»
9 (1933), pp. 517 sgg.; A. B. COOK, Zeus, Cambridge 1914-1940, vol. II, pp. 459-501; A. KRAPPE,
«CIPh» 37 (1942), pp. 353 sgg.; K. KERÉNYI, Apollon: studien über antike Religion und
Humanität, Düsseldorf 1953, III ed., pp. 42 sgg.; ID., Dionysos. Urbild des unzerstöbaren Lebens,
München – Wien 1976, trad. it. Milano 1993, II ed., pp. 198 sgg.; per i corrispettivi celtici, vd. F.
LE ROUX – C. J. GUYONWARCH, Les Druides, Paris 1982, III ed., pp.302 sgg., e anche R. GRAVES,
The White Goddess. A Historical Grammar of Poetic Myth, London 1961, II ed., trad. it. Milano
1992, pp. 112 sgg. e 328-333; l’ipotesi di G. M. BONGARD-LEVIN, The Origin of Aryans, New
Delhi 1980, secondo il quale Indo-Arii, Iranici, Sciti e Greci avrebbero elaborato insieme tali
miti nel periodo comune delle steppe ponto-caspie si avvicina forse in parte alla soluzione.
52
Era invece un’idea, tra gli altri, anche di V. PISANI, L’unità culturale indo-mediterranea
anteriore all’avvento di semiti e Indeuropei, in Scritti in onore di A. Trombetti, Milano 1936, pp.
199-213, poi in ID., Lingue e culture, Brescia 1969, pp. 53 sgg.; sul sostrato (indo-mediterraneo),
vd. D. SILVESTRI, La nozione di indomediterraneo in linguistica storica, Napoli 1974; ID., La
teoria del sostrato: metodi e miraggi, Napoli 1977, vol. I, 1979 vol. II,1981 vol. III; ID., La teoria
ascoliana del sostrato e la sua rilevanza metodolgica, «AION» 4 (1982), pp. 15-33; ID., La teoria
del sostrato nel quadro delle ricerche di preistoria e protostoria linguistica indeuropea, in E.
CAMPANILE (ed.), Problemi di sostrato nelle lingue indoeuropee, Pisa 1983, pp. 149-157; ID.,
Epilegomena a G. I. Ascoli sostratista, in A. QUATTORDIO MORESCHINI (ed.), Un periodo di storia
linguistica: i Neogrammatici… cit. (nota 5, p. 56), pp. 131-145.
53
Vd. C. GAMBLE, The Paleolithic settlement of Europe, Cambridge 1986.
252
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
que certains hommes du Würm finale, très adaptés au gibier des steppes
neigeuses, ont pu suivre les rennes dans les plaines péri-arctiques nouvelle-
ment libérées des glaciers; il y avait déjà, peut-ètre, une sorte de symbiose
entre la troupe de rennes et celle des hommes, comme naguère dans le Grand
Nord européen. Ces émigrés nordiques ont-ils été la souche lointaine des
Indo-Européens? Les fouilles futures en zone péri-arctique et une linguisti-
54
que comparative plus fine le diront peut-ètre.
today it is evident that archaeologists and linguists have not been able to find
a generally accepted homeland for the Indo-European through the use of
archaeological evidence largely relevant to their dispersal. In view of this it
would seem to be usfeul to search for clues as to its possible location in the
archaeological record of the transition from the Upper Palaeolithic through
the Mesolithic to the Neolithic. […] In Europe, major changes began with the
retreat of the Scandinavian ice-sheet and mountain glaciers during the Las-
caux Inter-Stadial (15.000-13.000 B.C.). It was followed by a renewal of cold
during the Oldest Dryas, which was the time of cultures such as the Magdale-
nian. With the warm Allerod period (10.000-9.000 B.C.), the Upper Paleo-
lithic cultures gave way to the Epi-Paleolithic cultures that persisted through
the coulder Younger Dryas (9.000-8.000 B.C.), which marks the end of the
Pleistocene. The increasing warmth of the Pre- Boreal and Boreal brought the
final retreat of the Scandinavian ice-sheet from centraI Sweden and Southern
Finland. The oceanic waters looked up in the Scandinavian ice-sheet melted
and led to a dramatic rise in sea-levels. The area of the English Channel and
southern North Sea above water throughtout the Upper Pleistocene, sank
below the sea. The increasing warmth culminated in the Atlantic Optimum.
There were major changes in both floral and faunal distributions creating
environmental conditions often associated with the Proto-Indo-
55
Europeans. The impact of the warm Atlantic climate is marked in the
archaeological record by technological changes made by Mesolithic peoples.
They range from the domestication of plants and animals in southwestern
Asia to the development of composite microlithic tools to cope with new
54
Cit. da A. LEROI-GOURHAN, op. cit. (nota 16, p. 243), loc. cit.
55
Cfr. G. CLARK, The Earlier stone Age settlement of scandinavian, Cambridge 1975.
253
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
254
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
56
Cit. da H. L. THOMAS, Indo-European: from the Paleolithic to the Neolithic, in Studies E.
C. Polomé, Washington 1991, vol. I, pp. 29 sgg.; vd. anche ID., Archaeology and Indo-European
Comparative Linguistics, in E. POLOMÉ (ed.), Reconstructing Languages… cit. (nota 42, p. 66), pp.
281-315.
57
Dato che anche a me non sembra esistano prestiti significativi in ugro-finnico (o in
proto-uralico) sicuramente attribuibili all’i.e. in quanto tale – i lessemi riconducibili al periodo
proto-uralico comune sono infatti forse solo una decina e su di essi non c’è unanimità di giudizio;
più solide sembrano invece le concordanze sui pronomi e i suffissi derivativi –, non ritengo ci sia
materiale sufficiente per poter parlare di rapporti tra i.e. tout court e queste lingue, né tantomeno di
un ‘indo-uralico’, cioè di una parentela originaria (è quello che pensava, tra gli altri, anche G.
DEVOTO, op. cit. (nota 21, p. 244), p. 36). È più verosimile invece l’ipotesi di D. SILVESTRI [in La
posizione linguistica dell’indoeuropeo. Genealogie, tipologie, contatti, in E. CAMPANILE (ed.), Nuovi
materiali per la ricerca indoeuropeistica, Pisa 1981, pp. 161-201, con ampia bibi. sui rapporti tra
l’i.e. e le altre famiglie linguistiche; per gli aggiornamenti successivi, vd. supra, nota 7, p. 242], il
quale sostiene che i dislivelli della documentazione vanno interpretati come due distinte fasi di
rapporti tra lingue i.e. e lingue uraliche: una prima fase che coincide con il distacco dell’anatolico
e del tocario, e una seconda fase posteriore al distacco del gruppo indo-iranico. A quanto sostiene
Silvestri bisogna aggiungere, naturalmente, le fasi dei rapporti con le lingue germaniche e balto-
slave, di epoca posteriore. Va detto, infine, che non esistono dati che ci obblighino a credere che gli
Indo-iranici possano essere stati sempre e soltanto a sud dei Proto-Uralici, come sembra pensare
invece J. P. MALLORY, In search… cit., pp. 145 sgg.
58
Un’eccezione è H. HAARMANN, Contact Linguistics, Archaeology and Ethnogenetics: an
Interdisciplinary Approach to the Indo-European Homeland Problem, «JIES» 22 (1994), pp.
265-288, ma con assunti e conclusioni diverse da quelle qui prospettate.
255
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Proto-Uralic was the language spoken in the vast area between the Baltic
Sea and the Ural mountains (and perhaps beyond) during the Mesolithic age.
Nothing indicates that there would have been other linguistic groups in the
area and no relicts other languages have been found. The sparse Stone Age
population of that area must have been very small by the modern scale,
perhaps under 100.000 people subsisting on fishing, hunting, and gathering.
It is likely that they were constantly on the move following a given migration
pattern as do most of the arctic and subarctic subsistence populations we
have information ono The populations was probably also divided into exo-
gamic groups of roughly 200-300 individuals in each. Frequent latitudinal
eontacts between subsistence groups living in the same ecological zone by
which artifaets, material and genes were exchanged between the groups
contribuited to areallinguistic homogeneity. This relative homogeneity be-
gan disintegrating after the introduction of neolithic techniques and live-
hoods together with the new possibilities for longitudinal contacts that
emerged when agricolture began producing relocatable surplus resources in
the areas south of the Uralic proto-population. It can be estimated that
Proto-Uralic began diverging – as a result of new are al patterns of comunica-
tion – into Proto-Finno-Ugric and Proto-Samoyed as early as seven or six
thousand years ago during the early Neolithic. The disintegration of Proto-
Finno-Ugric can be dated at about 3500-3000 B.C. or approximately at the
time when comb ceramics were introduced in the western part of settlement
59
Si tratta di K. RÉDEI, Die ältesten indogermanischen Lehnworter der uralischen Sprachen,
pp. 638-664, e di E. KORENCHY, Iranischer Einfluß in den finnisch-ugrischen sprachen, pp.
665-681, in D. SINOR (ed.), The Uralic Languages. Description, History and Foreign Influences,
Leiden 1988; sui prestiti i.e., nella stessa silloge vd. anche A. J. JOIA, Zur Geschichte der
uralischen sprachgemeinschaft unter besonderer Berücksichtigung des Ostseefinnischen, pp. 584
sgg.; di questo A. resta importante Uralier und Indogermanen. Die alteren Berührungen zwischen
den uralischen und indogermanischen sprachen, Helsinki 1973.
256
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
3. 2. LA TRANSIZIONE NEOLITICA
60
Cit. da P. SAMMALAHTI, Historical Phonology of the Uralic Languages, with Special
Reference to Samoyed, Ugric, and Permic, in D. SINOR (ed.), op. cit., p. 480; vedo ora che anche M.
ALINEI, op. cit. (nota 127, p. 184), pp. 116-118, 312-314, 571, intende sfruttare in ambito i.e. le
teorie recenti sulla sede originaria dei Proto-Uralici: dagli accenni all’uso che ne farà nel secondo
volume, mi pare che le nostre idee, almeno nei riguardi dell’indo-iranico, divergano assai.
61
Per vie diverse giunge alle stesse conclusioni, tra gli altri, I. M. DIAKONOFF, Languages
Contacts in the Caucasus and the Near East, in T. L. MARKEY – J. A. C. GREPPIN (eds.), op. cit.
(nota 22, p. 245), pp.53-65.
62
Il lettore troverà comunque tutto ciò che gli occorre nella recentissima edizione italiana
di L. L. CAVALLI-SFORZA, Gènes, peuples et langues, = Gem; popoli e lingue, Milano 1996. La
proposta contenuta in questo volume (pp. 236 sgg.) di unificare le teorie di Renfrew e della
Gimbutas in un’unica teoria compatibile con i dati della genetica, è inverosimile, come ha
ribadito lo stesso C. Renfrew più volte. Su A. J. AMMERMAN – L. L. CAVALLI-SFORZA, The
Neolithic Transition and the Genetics of Population in Europe, Princeton 1984, trad. it. Torino
1986, il primo e forse più importante studio complessivo di Cavalli-Sforza su tale argomento, si
può vedere la mia recensione in «AGI» 72 (1987), pp. 150-154. Per una opinione genetista
spesso diversa da quella di Cavalli-Sforza e i suoi collaboratori, vd. R. R. SOKAL (et al.), Genetic
Differences among Language Families of Europe, «AJPA» 79 (1989), pp. 489-582; ID., Genetic
257
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
63
L’interpretazione del gradiente di sviluppo messo in luce dalle
mappe della distribuzione di alcune delle strutture genetiche delle
attuali popolazioni europee e medio-orientali, come risultato dell’on-
da di diffusione dell’agricoltura neolitica a partire dal Vicino Oriente
basata su una migrazione continua e ininterrotta di popolazioni di
agricoltori verso l’Europa, non ha riscontri archeologici e paletnologi-
64 65
ci, sottovaluta gli sviluppi demografici mesolitici, non mostra
ondate migratorie dirette verso il nord-est, ecc.
È dunque assai più agevole pensare invece che l’agricoltura si
66
diffuse non a onda ma a mosaico: in alcune aree, piccoli gruppi di
coloni medio-orientali si integrarono con le presistenti popolazioni
and Language in European Population, «AmNat» 135 (1990), pp. 157-175; R R. SOKAL – N. L.
ODEN – C. WILSON, Genetic Evidence for the spread of Agricolture in Europe by Demic Diffusion
«Nature» 351 (1991), pp. 143-145; R. R. SOKAL – N. L. ODEN – B. A. THOMSON, Origins of the
Indo-European: Genetic Evidence, «PNAS» 89 (1992), pp. 7669-7676.
63
È bene ricordare che proprio di interpretazione si tratta, perché a) le nostre attuali
conoscenze scientifiche non ci consentono ancora,di estrarre il DNA dai fossili e dunque tutte
queste ricerche si basano solo sulle mappe dei geni delle popolazioni attuali, e b) è impossibile
scoprire un gene presente, prima della diffusione dell’agricoltura, in una delle due popolazioni
(europei e medio-orientali) e assente del tutto nell’altra. Insomma, non potendo i genetisti
autodatare le mappe genetiche, le loro proiezioni (prei-)storiche di dati genetici sono e restano
interpretazioni, non dati incontrovertibili: «ogni espansione ha prodotto gradienti di diversa
importanza, ma ha sempre avuto come risultato una mescolanza graduale con le popolazioni
vicine. Siccome ne sono avvenute parecchie, che si sono in parte sovrapposte, sarebbe difficile
isolarle l’una dall’altra senza l’aiuto delle componenti principali. Finora non è stato possibile
darne una datazione quantitativa diretta, ma si può forse stabilire qualitativamente l’ordine
storico, che dovrebbe corrispondere di solito a quello della loro importanza numerica. […]
Pressoché tutte le date di separazione ottenute in genetica sono calcolate in riferimento a tempi
esterni standard, e sono valide se questi sono corretti e se la relazione tra numero di differenze in
nucleotidi (o aminoacidi per le proteine) e tempo di separazione rimane costante»: cit. da L. L.
CAVALLI-SFORZA, Gènes... cit., pp. 193-194. Il metodo di datazione genetica assoluta sviluppato
in D. B. GOLDSTEIN – W. RURZ-LINARES – L. L. CAVALLI-SFORZA – M. W. FELDMANN, Genetic
Absolute Dating Based on Microsatellites and the Origin of Modern Human, «PNAS» 92 (1995),
pp. 6723-6727, è soggetto ancora a un errore statistico cosÌ elevato da essere poco utilizzabile.
64
Cfr., anche per altre fondate critiche a questa teoria, M. ZVELEBIL – K. M. ZVELEBIL,
Agricoltural Transition… cit. (nota 66), pp. 243 sgg.
65
Cfr., per es., M. COHEN – G. ARMELAGOS (eds.), Paleopathology at the Origins of
Agricolture, New York 1984, e R. DENNELL, European Economic Prehistory, London 1983; ID.,
The Hunter-Gatherer/Agricoltural Frontier in Prehistoric Temperate Europe in S. GREEN – S.
PERLMAN (eds.), The Archaeology ojFrontiers and Boundaries, Cambridge 1985, pp. 113-140.
66
Cfr. M. ZVELEBIL (ed.), Hunters in Transition, Cambridge 1986; M. ZVELEBIL – K. M.
ZVELEBIL, Agricoltural Transition, ‘Indo-European Origins’, and the spread of Farming, in T. L.
MARKEY – J. A. C. GREPPIN (eds.), op. cit., pp. 237-266; ID., Agricoltural Transition and
Indo-European Dispersals, «Antiquity» 62 n. 236 (1988), pp. 574-583; M. ZVELEBIL – P. M.
DOLUKHANOV, The Transition to Farming in Eastern and Northern Europe, «JWP» 5 (1991), pp.
223-278.
258
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
67
Vd. supra, pp. 253 sgg.
68
Così in parte anche H. HAARMANN, art. cit. (nota 58, p. 255), p. 283, ma in una visione e
in un impianto ‘kurganico’ non condivisibili; sulla migrazione africana, vd. supra, pp. 188 sgg.
69
Cit. da D. SILVESTRI, Preistoria e protostoria linguistica nel Mediterraneo, in A. LANDI
(ed.), L’Italia e il Mediterraneo antico… cit. (nota 74, p. 76), p. 153 (la seconda parte della
citazione è la nota 31 di p. 153); dello stesso A., vd. anche La posizione linguistica dell’indoeuro-
peo… cit. (nota 57, p. 255), pp. 167-169, e Problemi di preistoria e protostoria linguistica
dell’Eurasia, in B. BROGYANYI (ed.), Fest. Szemerényi, Amsterdam – Philadelphia 1992, pp. 51-60.
259
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
70
Cit. da D. SILVESTRI, Preistoria e protostoria… cit., pp. 140-141; l’ultimo corsivo è mio.
71
Ivi, pp. 141-142; l’ultimo corsivo è mio.
260
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
72
Ivi, p. 142; gli ultimi due corsivi sono miei. Su questi argomenti, di D. SILVESTRI vd.
anche Storia delle lingue e storia delle culture, in R. LAZZERONI (ed.), Linguistica storica… cit.
(nota 61, p. 71), pp. 55-85, e la mia recens. in «SILTA» 17 (1988), pp. 134-140, al volume curato
da Lazzeroni.
73
Vd. da ultimo A. R. DIEBOLD JR., art. cit. (nota 48, p. 251), pp. 317-367.
74
Cfr. W. H. GOODENOUGH, The Evolution of Pastoralism and Indo-European Origins, in
G. CARDONA – H. M. HOENIGSWALD – A. SENN (eds.), Indo-European and Indo-Europeans.
Papers presented at the Third Indo-European Conjerence at the Univ. of Pennsylvania, Philadel-
phia 1970, pp. 153-256; vd. poi S. SANDOR, The History of Domestic Animals in Central and
Eastern Europe, Budapest 1974; ID., Horses and sheep in East Europe in the Copper and Bronze
Ages, in S. N. SKOMAL – E. C. POLOMÉ (eds.), Studies M. Gimbutas, Washington 1987, pp.
136-144; ID., Das domestizierte Pferd in Mitteleuropa, in B. HANSEL – S. ZIMMER (eds.), Die
Indogermanen und das Pderd. Fest. B. Schlerath, Budapest 1994 (va visto tutto il volume), K.
PARKER, Equestrians: Parallel processes of Adaptation, «UOPA» 17 (1976), pp. 1-13, D. W.
ANTHONY, art. cit., (nota 44, p. 250), pp. 291-313.
261
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
75
Invasionismo e nomadismo sono i correlati necessari, ma non sufficienti, della cronolo-
gia i.e. ‘bassa’; sorprende perciò che sia proprio C. Renfrew a proporre una serie d’invasioni di
agricoltori pacifici, il che suona oltretutto come un ossimoro, per spiegare la diffusione delle
lingue i.e.
76
Per la bibl. vd. supra, nota 52, p. 252.
262
3– LE ORIGINI INDEUROPEE
77
Cit. da G. GARBINI, Convergenze indeuropeo-semitiche tra preistoria e protostoria,
«AION» 10 (1988), p. 80 (i corsivi sono miei); dello stesso A., vd. anche Innovazione e
conservazione nelle lingue semitiche, in V. ORIOLES (ed.), Innovazione e conservazione nelle
lingue. Atti del Convegno S.I.G. (Messina: 9-11/11/1989), Pisa 1991, pp. 113-125, e, in generale,
ID., Le lingue semitiche. Studi di storia linguistica, Napoli 1984, II ed.
263
CAPITOLO 4
265
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
1
Vd. supra, p. 248.
2
Vd. supra, p. 126.
3
Vd. supra, p. 196.
4
Vd. supra, p. 247.
266
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
5
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
6
È questa un’opinione oggi condivisa da un numero crescente di studiosi: vd., per es., J. P.
MALLORY, In Search of… cit. (nota 2, p. 240), p. 259.
7
Cfr. supra, p. 34, e infra, p. 268.
8
Cfr. supra, p. 198.
9
Cfr. supra, p. 194.
10
Cfr. supra, p. 260.
267
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
11
Penso qui soprattutto alla Folk Taxonomy of Wealth (cfr. C. WATKINS, 1979a) e alla
formalizzazione sul come uccidere un drago in i.e. (cfr. ID., 1987b, 1987c, 1991); altre tassono-
mie conservate dalla lingua poetica i.e., per es. quella dell’oro (cfr. G. COSTA, 1984), sembrano
invece essere state elaborate in periodi più recenti.
12
Cfr. supra, p. 260.
13
Per una definizione di questo concetto, seguo qui C. RENFREW, op. cit. (nota 42, p. 23),
p. 216 (il corsivo è mio): «Ethnos […] can be defined as a firm aggregate of people, historically
established on a given territory, possesing in commun relatively stable particularities of language
and culture, and also recognizing their unity and difference from other similar formations
(selfawarenessl and expressing this in a self-appointed name (ethnonym)».
14
Cfr. supra, p. 260.
268
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
15
quali quelle legate all’agricoltura neolitica, ma anche all’esportazio-
ne di alcune tecniche specificatamente i.e., come ad esempio l’apicol-
16
tura mobile, una delle basi della paleoeconomia i.e., fatto di cui i
prestiti i.e. in ugro-finnico sono la migliore testimonianza: *mekše
“Biene, Apis mellifica” (cfr. finn. mehiläinen, mehiäinen “Honigbie-
ne”; est. mehiläne mehine, mord. E mekš makš, ung. méh, ecc.
“Biene”) < pre-ario *mekš- (cfr. aind. mákşā mákşikā, av. mahšī-,
17
curd. mêš, ecc. “Fliege, Biene”); *mete “Honig, aus Honig gegore-
ner Trank” (cfr. finn. mesi, est. mesi, mord. E med’, ecc. “Honig”)
< *médhu- (cfr. aind. mádhu, av. madu, toc. B mit, mšqu, air. mid, aat.
18
metu, lit. medùs, ecc. “Honig, süsser Trank, Wein”).
La lingua poetica i.e., insomma, asssumendo progressivamente in
sé la gran parte dell’enciclopedia orale, a causa delle necessità connes-
se alla memorizzazione del patrimonio tradizionale in via di accresci-
mento e agli inizi dello sviluppo di un sistema di immagazzinamento
19
simbolico esterno (SISE), pur essendo ancora uno strumento me-
diatico e non già un messaggio ideologico, cioè non ancora una forma
compiuta di autocoscienza, va a costituire l’epistemologia delle genti
20
che la utilizzano, svolgendo anche la funzione di interfaccia cultura-
le e cognitiva in un universo ancora etnicamente policentrico:
15
Cfr. supra, p. 249, e A. R. DIEBOLD JR., art. cit. (nota 48, p. 251), pp. 347 sgg.
16
Cfr. A. R. DIEBOLD JR, art. cit., pp. 329 sgg.: «the triad of pig, goose, and honeybee […]
circumscribes the nature of ‘herding’ practiced in prehistoric Indoeuropia»; vd. anche E.
CRANE, The Archaeology of Beekeeping, London 1983; ID., Honeybees, in I. L. MASON
(ed.), Evolution of Domesticated Animals, London 1984, pp. 403-415.
17
Cfr. K. RÉDEI, art. cit. (nota 59, p. 256), pp. 655-656;vd. anche Mayrhofer, II, pp.
540-542.
18
Cfr. MAYRHOFER, II, pp. 570-572, e POKORNY, p. 707.
19
Cfr. supra, p. 207, e infra, p. 287.
20
Cfr. supra, p. 159.
269
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
21
Cit. da M. LIVERANI, Antico Oriente. Storia Società Economia, Roma – Bari 1988, p. 29; sul
concetto di interfaccia come luogo dell’interazione sistemica, vd. anche supra, p. 142, e ivi nota
19.
22
Cfr. J. P. MALLORY, In Search of… cit., p. 258 e R. Ambrosini, Le lingue indo-europee…
cit., p. 127.
23
Per un inquadramento storico-archeologico più esauriente di quanto qui è possibile, vd.
M. LIVERANI, op. cit., passim.
24
Cfr. supra, p. 263.
25
Cfr. J.-D. FOREST, Mesopotamia. L’invenzione dello stato, ed. it., Milano 1996; si tratta di
un libro assai interessante che propone una tesi innovativa sulla nascita dello stato mesopotami-
co come risultato di un processo in cui le istanze ideologiche si intrecciano con quelle
economico-sociali, un tipo di accostamento molto vicino a quello che, per il versante i.e.,
propugno nella presente ricerca.
26
Il concetto di nicchia (ecologica e culturale) «sottolinea il valore di certe zone compatte e
coerenti, delimitate da interfacce anche ravvicinate, e protette rispetto all’ambiente circostante
in modo tale da riuscire a sviluppare al meglio le loro potenzialità produttive e organizzative»: cit.
da. M. LIVERANI, op. cit., p. 31; sul concetto di nicchia, vd. anche supra, p. 261.
270
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
27
Vd. supra, pp. 253 sgg.
28
«Si donc on veut tenir compte du fact que l’interprétation la plus probable des hymnes
védiques est d’abord mythique et mythologique, de l’absence de traces des destructions archéo-
logiquement attribuables au Äryas, et da la continuité constatée de la civilisation matérielle, il
devient difficile de considérer l’immigration aryenne en Inde comme un phénomène de masse,
une période de rupture et de destructions, une abolition du passé pré-aryen et le début d’une
civilisation de type entièrement nouveau. On imagine mieux des phénomènes d’acculturation,
l’arrivée de petits groupes Āryas, faiblement différenciés mais cohérents, composés de jeunes
guerriers accompagnés de spécialistes de la langue et de la religion, venus avec ou sans femmes
(ver sacrum) et prenant à l’occasion des épouses dans la population locale. Ces groupes Āryas
avaient toute la place nècessaire pour s’établir dans une Inde peu peuplée où les terres libres
abondaient. Il est probable qu’il y a eu des heurts avec les populations pré-aryennes, et aussi avec
les groupes aryens arrivés les premiers, mais il n’est pas nécessaire de postuler une invasion en
règle ni une conquête militaire. Ensuite tout se passe comme si les Āryas avaient imposé leur
langue et leur culture, leur supériorité politique probablement aussi, et qu’ils aient adopté les
manières de vivre et la civilisation du pays qui était devenu le leur»: cit. da G. FUSSMANN,
L’entreée des Āryas en Inde, «ACF» 89 (1988-89), p. 529-530.
271
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Plutarco (Lyc. 13, 1-4) racconta poi come ancora Licurgo non
avesse messo per iscritto le sue leggi, ma anzi avesse espressamente
30
proibito di farlo anche dopo di lui; allo stesso modo, sempre Plutar-
co (Num. 22,2-3), narra che Numa volle che fossero seppelliti con lui
i libri che aveva scritto: «li volle seppelliti con sé, come se non stesse
bene che i misteri fossero custoditi da lettere morte. Per la medesima
ragione dicono che i Pitagorici non affidano il loro precetti alla
scrittura e ne imprimono invece la conoscenza e il ricordo in coloro,
31
che sono degni, senza scriverli».
Anche nel mondo germanico sono numerose le testimonianze che
dimostrano come la scrittura fosse riservata agli iniziati e ritenuta uno
32
strumento perfido e pericoloso.
Nel mondo iranico, l’Avesta fu messa per iscritto, fissando un
canone codificato, solo in epoca sassanide, probabilmente durante il
29
Su tutto ciò, è ancora utile G. DUMÉZIL, La tradition druidique et l’écriture: le Vivant et
le Mort, «RHR» 122 (1940), pp. 125-133 (ora anche in Cahiers pour un temps. G. Dumézil, Paris
1981, pp. 325-338); vd. anche G. WIDENGREN, Religionsphänomenologie, Berlin 1969, pp. 570
sgg.; vd. E. CAMPANILE, 1990C, pp. 49 sgg., per un commento al passo di Cesare, le corrispon-
denze irlandesi e i confronti col mondo vedico e greco.
30
Vd. S. SVENBRO, art. cit. (nota 281, p. 226), p. 8, e, in generale, ID., La parola e il marmo.
Alle origini della poetica greca, Torino 1984; sulla continuità orale della poesia greca dopo
l’introduzione della scrittura, vd. C. O. PAVESE, Poesia ellenica e cultura orale, in I poemi epici…
cit. (nota 218, p. 305), pp. 231-260; la bibl. su MnhmosÚnh e la poesia greca è vastissima: ricordo
qui soltanto M. DETIENNE, Les maîtres de vérité dans la grèce archaïque, Paris 1967, trad. it.,
Roma – Bari 1977, cap. I, J-P. VERNANT, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie
historique, Paris 1971, II ed., trad. it. Torino 1978, cap. II; C. CALAME, Le récit en grèce ancienne,
Paris 1986, trad. it. Roma – Bari 1988, cap. II. Do per conosciuta la polemica di Platone
contro la scrittura e il dibattito moderno su di essa.
31
Cit. da C. CARENA (a cura di), Plutarco. Vite parallele. (Num., 22, 2), Milano 1974, p. 127.
32
Dati e bibl., tra i molti, in F. BADER, La racine de POIKILOS, PIKROS cit (nota 8, p. 33),
pp. 41-60, e in G. DUMÉZIL, art. cit., p. 328 sgg.
272
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
33
Cfr. A. BAUSANI, Persia religiosa, Milano 1959, pp. 20 sgg.; G. WIDENGREN, Holy Book
and Holy Tradition in Iran. The Problem of Sassanid Avesta, in F. F. BRUCE – E. G. RUPP (eds.),
Holy Book and Holy Tradition, Manchester 1968, pp. 36-53; G. GNOLI, L’Iran antico e lo
zoroastrismo, in J. RIES (ed.), op. cit. (nota 47, p. 251), pp. 106 sgg.
34
Vd. ora M. TARDIEU, La diffusion du Buddhisme dans l’Empire kouchan, l’Iran et la
Chine, d’après un kephalaion manichéen inédit, «StIr» 17 (1988), pp. 153-182, con bibl.
35
Cit. da G. GNOLI, art. cit., p. 109.
36
Ivi, p. 114.
37
Cit. da J. HAUDRY, Formules croisées dans l’Avesta, «BSL» 72 (1977), pp. 166 (129-168).
273
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
38
oggi, molti fatti «rendono lecito pensare che i brahmani facessero
39
della scrittura, fin dalla sua introduzione, un loro strumento di potere
e un uso che deve ben definirsi ‘di classe’. Fu il buddhismo che, da
Asoka in poi, ruppe la consegna brahmanica del silenzio, spezzò il
40
monopolio e diede all’uso della scrittura una più ampia circolazione.
Ma per quel che riguarda la tradizione vedica, la situazione è più
41
complessa e più discussa. Se da una notizia di fonte musulmana,
sappiamo che i Veda furono messi ufficialmente per iscritto probabil-
mente solo intorno al 1000 d.C. – in teoria dunque solo dopo 1500
anni dalla prima adozione della scrittura – forse da un brahmano di
42
nome Vasukra, e si può certo pensare, come già scriveva O. Boe-
htlingk nel 1860, che «gli antichi autori abbiano composto gli inni
vedici senza conoscere la scrittura e anche che quei canti siano stati
trasmessi alle generazioni seguenti senza l’ausilio della scrittura», è
tuttavia «molto difficile accettare che anche la redazione degli inni e i
testi che da questa redazione dipendono, siano stati composti senza il
sussidio della scrittura. Una cosa è mandare a memoria testi di grande
mole e un’altra cosa è comporre opere di grande mole su testi e per
testi che si posseggono solo nella memoria. Non riesco a concepire
come si possa prima faticosamente raccogliere il materiale nella pro-
pria testa; poi ordinarlo nel modo più accurato; infine elaborarlo
43
ancora e solo nella propria testa».
38
Vd. per es. F. STAAL, Nambudiri Veda Recitation, The Hague 1961.
39
Come si sa, i documenti indiani scritti più antichi a noi pervenuti sono le iscrizioni di
Asoka del 250 a.c.; l’uso della scrittura in India, tuttavia, deve risalire almeno a un periodo tra la
fine del VI e gli inizi del V a.c., perché una delle due scritture in cui sono redatte tali iscrizioni, la
kharoşţhī, è di sicura derivazione aramaica e dunque la sua adozione si spiega con la conquista
persiana dell’India e l’uso dell’aramaico come lingua amministrativa dell’impero; mentre l’altra
scrittura in cui sono redatte la più parte delle iscrizioni di Aśoka, la brāhmī, deve essere di
qualche epoca posteriore all’altra, anche se allo stato non precisabile, poiché in esse compare già
matura. Pāņini, poi, il grande grammatico indiano vissuto forse tra la seconda metà del V e la
prima metà del IV sec. a.c., conosceva per certo la scrittura (si troverà tutta la bibl. su questi
argomenti nelle opere citate alla nota seguente).
40
Cit. da P. DAFFINÀ, Sull’uso della scrittura nell’India antica, «RSO» 65 (1991), p. 31
(13-39); vd. anche, tra gli ultimi, G. FUSSMANN, Les premiers systèmes d’écriture en Inde, «ACF»
89 (1988-1989), pp. 507-514, e H. FALK, Schrift in alten Indien, Tübingen 1993.
41
Anche un grande indianista come L. Renou, sui modi della trasmisione della tradizione
vedica ha avuto posizioni discordanti, vd. per es. ID., Les écoles védiques e la formation du Veda,
Paris 1947, pp. 33 e 222, e ID., Études védiques et pāņinéennes, Paris 1960, vol. VI, pp. 40-44.
42
I dati e la bibl. sono in P. DAFFINÀ, art. cit., p. 32.
43
Cit. da O. BOEHTLINGK, Ein Paar Worte zur Frage über das Alter der Schrift in Indien,
«Bulletin de l’Académie Impériale des Sciences de St.-Pétersbourg» 1 (1860), collo 351-352, la
trad. it. è di P. DAFFINÀ, art. cit., p. 33.
274
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
44
Come osservava di recente anche F. Crevatin, non si tratta
45
qui, insomma, solo di problemi, diciamo così, filologici, ma di
questioni cognitive più generali che riguardano le possibilità e i
46
limiti della cultura orale, un tipo di cultura, come si è visto, le cui
possibilità cognitive non sono né infinite né paragonabili a quelle
della cultura teoretica, una cultura quest’ultima il cui sviluppo è
legato indissolubilmente alla nascita e allo diffusione della scrittu-
47
ra.
A questo riguardo, proprio sulla base di considerazioni di ordine
48
cognitivo e antropologico, alcuni anni fa J. Goody ha pensato di
scorgere nella composizione e nella trasmissione dei Veda, cioè fin
dalla fase più antica, l’influsso determinante della scrittura e della
49
cultura di una società già allitterata.
44
Cfr. F. CREVATIN, Riflessioni su problemi vedici. Aja ekapād: oralità e scrittura, «InL» 11
(1986), pp. 59-69.
45
A questo proposito, nonostante quel che sostiene J. BRONKHORST, Some Observations on
the Padapāţha of the g Veda, «II]» 24 (1982), pp. 181-189, 273-282, mancano prove testuali e
filologiche certe per far risalire la recensione scritta del Padapāţha al 700 a.c.; vd. tuttavia, M.
BLOOMFIELD – F. EDGERTON, Vedic Variants, Philadelphia 1932, voI. II., pp. 400 sgg., con
l’indicazione di errori testuali sicuramente di origine scrittoria.
46
Vd. supra, pp. 207 sgg.
47
Oltre a quanto già detto sopra. (vd., pp. 220 sgg.), in questo ambito sono importanti gli
studi di M. McLuhan e del suo allievo D. de Kerckhove (troppo alla moda per doverli citare), i
lavori di J. Goody (vd. alla nota seguente) e quelli di W. J. ONG, soprattutto The Presence of the
Word, New Haven – London 1967, trad. it. Bologna 1970; ID., Interlaces of the Word, Ithaca –
London 1971; ID., Fighting for life: Context, Sexuality, and Consciousness, Ithaca – London 1981;
ID., Orality and Literacy. The Technologizing of the Word, London – New York 1982, trad. it.
Bologna 1986; ID., Writing and the Evolution of Consciousness, «Mosaic» 18 (1985), pp. 1-10;
ID., Writing is a Technology that Restructures Thought, in P. DOWNING – S. D. LIMA – M.
NOONAN (eds.), The Linguistics of Literacy, Amsterdam – Philadelphia 1992, pp. 293-319. Per un
commento critico-culturale a queste teorie, vd. P. GOETSCH, Der Übergang von Mundlichkeit zu
Schriftlichtkeit. Die kulturkritischen und ideologischen Implikationen der Theorien von McLuhan,
Goody and Ong, in W. RAIBLE (ed.), Symbolische Formen Medien Identität, Tübingen 1991, pp.
113-129.
48
Vd. J. GOODY – I. P. WATT, The Consequences of Literacy, «CSHS» 5 (1963), pp.
304-345 (poi in J. GOODY (ed.), Literacy in Traditional Societies, Cambridge 1968, pp. 27-84); J.
GOODY, The Domestication of the Savage Mind… cit. (nota 175, p. 105), e soprattutto ID., Oral
composition and Oral Transmission: A Note on the Vedas, in B. GENTILI – G. PAIONI (eds.),
Oralità. Cultura, letteratura, discorso, Roma 1985, pp. 7-17 (poi in J. GOODY, The Interlace
between the Written and the Oral… cit. (nota 127, p. 92), pp. 120-132); ID., The Logic of Writing
and the Organization of Society, Cambridge 1986, trad. it. Torino 1988.
49
Su ciò, vd. anche F. OLIVER, Some Aspects of Literacy in Ancient India, «QNL» 1 (1979),
pp. 57-62.
275
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
50
Vd. per es. H. FALK, Goodies for India. Literacy, Orality, and Vedic Culture, in W. RAIBLE
(ed.), Erscheinungslormen kultureller Prozesse, Tübingen 1990, pp. 103-120, ma anche F. STAAL,
The Fidelity of Oral Tradition and the Origin of Science, Amsterdam 1986.
51
Vd. per es. F. CREVATIN, art. cit., pp. 65 sgg.
52
Ivi, p. 68.
53
Cit. da P. DAFFINÀ, art. cit., p. 39.
54
Cit. da F. CREVATIN, art. cit., p. 68, con bibl.
55
Vd. L. RENOU, Les écoles… cit. (nota 41, p. 274), passim, e F. CREVATIN, art. cit., p. 64;
sulle scuole vediche in generale, vd. ora M. WITZEL, Materialien zu den vedischen Schulen. Über
die Caraka-Śākha, I = «Stlr» 7 (1980), pp. 108-132, II = «Stlr» 8 (1981), pp. 171-240; ID., On the
276
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Localisation of Vedic Texts and Schools, in G. POLLET (ed.), Fest. Eggermont, Leuven 1987, pp.
173-213.
56
Yāska, vissuto forse nel VI a.c., è l’autore del Nirukta, un’opera in cui commenta una
lista di parole vediche di difficile interpretazione, una lista tradizionale e già studiata da altri
prima di lui, definita Nighaņţu.
Vd., tra gli altri, R. DANDEKAR, The Two Births of Vasişţha. A Fresh Study of gVeda VII,
57
39, 9-14, in Gedenkschrift H. Güntert, Innsbrück 1974, pp. 223 sgg.; E. CAMPANILE – C.
ORLANDI – S. SANI, 1974.
58
Cit. da P. DAFFINÀ, art. cit., p. 31.
59
Ivi, p. 33.
277
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
60
esoterismo scrittorio che risaliva ai poeti famigliari e ai loro ante-
cedenti i.e.
Anche in India, insomma, così come nel resto del mondo i.e. che
conserva le tracce più cospicue della lingua poetica, – un mondo,
quello i.e., come ha osservato qualcuno, che non ha mai dato vita a un
61
sistema di scrittura originale –, nel periodo protostorico e per gran
parte di quello storico, la scrittura ebbe un uso assai limitato e fu
sempre ostacolata e osteggiata da coloro che detenevano il monopolio
della tradizione sapienziale orale.
Le istanze ultime di tale atteggiamento, che si può senza troppi
imbarazzi far risalire al periodo comune, a una vera e propria ideolo-
62
gia i.e. della memoria, risalgono però, come ha indicato anche F.
Bader – «la civilisation i.e. est une civilisation à oralité, où l’écriture
63
est réservée à des initiés comme Odinn ou Bellérophon» – e come
vedremo meglio ora, alla tradizione ermetica dei poeti i.e. e alla loro
conoscenza iniziati ca della scrittura.
***
A partire dal 1987, F. Bader, in una serie di lavori che qui, a
64
completamento di quanto già detto sopra, conviene riprendere, ha
reso dapprima sostenibile e poi, a mio parere, convincente, l’ipotesi
che le popolazioni i.e. conoscessero la scrittura fin dalle fasi più
arcaiche.
Secondo la studiosa, la prova di ciò risiederebbe innanzitutto nel
fatto che in i.e. esisteva una radice di diffusione quasi pan-dialettale,
60
Come ricorda P. DAFFINÀ, art. cit. ,p. 34 (e note 66 e 67), di uso esoterico della scrittura
da parte dei sacerdoti indiani, parlavano già nel 1873-74 W. D. Whitney e A. C. Burnell.
61
Cfr. H. HAARMANN, «IF» 96 (1991), pp. 5 (all’esistenza della cosiddetta proto-scrittura
europea di Vincâ comunque non credo); è di questa opinione anche R. AMBROSINI, Le lingue
indo-europee… cit. (nota 3, p. 126), p. 42: «gli i.e., quindi, non avevano escogitato nessuna grafia
nuova, ma hanno imparato a scrivere da alcune genti in cui si sono imbattuti»; in generale, vd.
anche H.J. MARTIN, Histoire et pouvoirs de l’écrit, Paris 1988, trad. it. Roma – Bari 1990, pp. 10
sgg.
62
Cfr. M. DURANTE, 1976, pp. 179 sgg.; E. CAMPANILE, 1990c, cap. III; F. BADER, 1988b,
passim.
63
Cit. da F. BADER, 1989, nota 1, p. 99; sulle iniziazioni di Odino e Bellerofonte alla
scrittura, vd. ivi, pp. 36 sgg.; che gli Indeuropei evitassero consapevolmente l’uso della scrittura
e che quella i.e. fosse una civiltà fondata sull’oralità, era d’altronde un’idea già di A. MEILLET,
Aperçu d’une histoire de la langue grecque, Paris 1913, I ed., pp. 151-152.
64
Vd. F. BADER, La racine de POIKILOS… cit. (nota 8, p. 33), poi EAD., 1988b, 1989; vd.
supra, pp. 32 sgg., e le singole voci della Bibliografia critica.
278
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
65
Cfr. POKORNY, p. 794; FRISK, S.v. poik…loj; CHANTRAINE, s.v. poik…loj; ERNOUT-MEILLET,
s.v. pingō; MAYRHOFER, II, p. 268, ecc.
66
Cit. da F. BADER, La racine de… cit., pp. 41-42.
67
Vd. A. LEROI-GOURHAN, Le geste et la parole. Technique et language, Paris 1964, trad. it.
Torino 1977, voI. I, cap. VI.
68
Cit. da F. BADER, art. cit., pp. 45-46.
69
Cit. da F. BADER, 1988b, p. 226.
279
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
de possibile che gli i.e., pur non avendola inventata, abbiano cono-
sciuto la scrittura fin dalle sue origini.
Alla testimonianza dell’etimologia, F. Bader aggiunge, come si è
70
già detto sopra, un’analisi della ‘lingua degli dei’ dell’Iliade tanto
efficace quanto sorprendente, dimostrando che in essa, per il tramite
di una serie di figure fonetiche, è nascosto un’alfabeto; si tratta di
«une recherche alphabétique, qui est en meme temps phonologique:
elle et l’oeuvre d’un poète qui réfléchi à l’adequation entre sons et
lettres de l’alphabet, à une époque qui doit et re de peu postériore à
71
l’adoption de l’alphabet phénicien par le grec […].
Questa ricerca, sebbene non possa risalire oltre al tempo dell’ado-
zione dell’alfabeto da parte dei Greci, tuttavia, suppone
70
Vd. supra, pp. 32 sgg.
71
Cit. da F. BADER, 1988b, p. 217.
72
Ivi, p. 226, i corsivi sono dell’A.
73
Vd. C. WATKINS, 1970, 1978b, 1988b; E. CAMPANILE, 1986b, 1988; F. BADER, 1988b,
1989, 1990a, 1990b, 1990c, 1991b, 1991c.
74
Vd. C. A. LOBECK, Aglophamus sive de Theologiae Mysticae Gracorum Causis Libri tres,
II. Regimontii Prussorum 1829; J. STAROBINSKI, Les mots sous les mots, Paris 1971; T. ELIZA-
RENKOVA – V. N. TOPOROV, 1979.
280
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
75
Cit. da F. BADER, 1988b, p. 219.
76
Su ciò, vd. anche C. WATKINS, 1987b.
77
Cfr. M. SCHWARTZ, Coded Sound Patterns, Acrostics, and Anagrams in Zoroaster’s Oral
Poetry, in R. SCHMITT – P. O. SKJAERVO (eds.), Fest. H. Humbach, München 1986, pp.
327-392; è questo uno studio importante perché, pur essendo limitato al solo ambito gathico,
giunge sostanzialmente alle stesse conclusioni della Bader e degli altri studiosi citati sopra:
«prominent stylistic idiosyncrasies of Gathic style include manipulations of complete and
partial (id est subphonemic) homophon and a variety of acrological and anagrammatic devices,
often in coordination with semantically illustrative or geometrically symmetrical arrangements.
(As concerns the latter data, I believe that the printed stanza, arranged in lines of verse,
‘translates’ a pre-literate mental representations, structured through regular metrical groupin-
gs. Foregrounding was achieved here via syllable stress, phonic play, patterned repetition of
elements, positional and semantic-syntactic factors, and emphases during performance). […]
From a specifically linguistic viewpoint, the rearrangement (and therefore abstraction) of
phonemes into oral acrostics is a unique indication of intuitive linguistic analysis. The deran-
gement or breakdown of the usual relations of sound and meaning in the Gathas cannot be
separated from characteristics of poetry, folk riddles, hierophantic and other kinds of charged
utterance, which also feature wordplay and a variety of phonic effects, ranging from allittera-
tive to anagrammatic. […] Obviously, the Gathic data call for comparison, positive and
negative, with stylistic features of the extra-Gathic Avesta, the Vedas, and other ancient
Indo-European literatures. Here the controversial speculations of F. de Saussure, published
posthumously by J. Starobinski, come to mind. […] The decoding [of the acrothemes,
acrostics, endothemes, and anagrams, and their complex overlaps] also provides a view of
Zarathushtra’s theology, particularly his canonized abstractions, from within the encoded
esoterism of his poetry» (ivi, pp. 379-380).
78
Una gran mole di dati sul mondo celtico, gli alfabeti criptati, l’esoterismo scrittorio, ecc.,
la si troverà, affastellata con molto altro come era abitudine di questo A. enciclopedico e
autodidatta, in R. GRAVES, The White Goddess… cit. (nota 51, p. 252), passim.
79
A questo riguardo, non è forse inutile ricordare qui che anche nella tradizione del libro
per eccellenza, quella ebraica, non mancano per il periodo più antico tracce di proibizione
all’uso della scrittura, a dimostrazione ulteriore del fatto, come si vedrà tra breve, che ogni
cultura orale, per sopravvivere, deve difendere se stessa o farsi libro: cfr. C. HAGÈGE, L’homme
de paroles, Paris 1985, trad. it. Torino 1989, pp. 64 sgg., con l’indicazione dei passi delle
Scritture e la bibl. specifica; su ebraismo e scrittura, è oramai un classico J. DERRIDA, L’écriture et
la difference, Paris 1967, trad. it. Torino 1990; nuove prospettive in W. KELBER, Mark and Oral
Tradition, «Semeia» 16 (1980), pp. 7-55; ID., The Oral and the Written Gospel: the Hermeneutics
of Speaking and Writing in the Synoptic Tradition, Mark, Paul and Q., Philadelphia 1983; vd.
anche M. O’CONNOR, Hebrew Verse Structure, Winona Lake (Ind.) 1980. Attendono ancora di
essere sfruttate le idee geniali di S. Freud (vd. ID., Der Mann Moses und die monotheistische
Religion, Amsterdam 1939, poi in Opere… cit., [nota 27, p. 162], vol. XI, pp. 331 sgg.) sul
legame tra latenza psicologica, scrittura e oralità nella tradizione ebraica.
281
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
80
Cit. da R. AMBROSINI, Le lingue indo-europee… cit., p. 43.
81
Cit. da W. J. ONG., Writing and the… cit., p. 7.
282
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
82
Vd. anche supra, pp. 222 sgg.
83
J. Bruner fa qui riferimento a J. MANOLER, Stories, Scripts, and Scenes: Aspects of Schema
Theory, Hillsadale (NJ) 1984; vd. anche supra, pp. 195 sgg.
84
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), pp. 65-66 (l’ultimo corsivo è
mio); vd. anche supra, pp. 215 sgg.
85
Cfr. J. SHOTTER, The Social Construction of Forgetting and Remembering, in D. MIDDLE-
TON – D. EDWARDS (eds.), Collective Memory, London 1990.
86
Vd. F. C. BARTLETT, Psychology and Primitive Culture, Cambridge 1923; ID., Remembe-
ring: a Study in Experimental and Social Psychology, Cambridge 1932, trad. it. Milano 1975; su
tutto ciò, vd. anche MARY DOUGLAS, How Institutions Think, London 1987, trad. it. Bologna
1990.
283
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
per quel che riguarda i suoi rapporti con le circostanze esterne. La direttrice
impianta le caratteristiche persistenti tipiche della cultura del gruppo […] [e
questo] determina immediatamente ciò che l’individuo osserverà nel suo
ambiente e quali aspetti della vita passata egli collegherà a tale risposta
diretta. Questa operazione è eseguita soprattutto in due modi. In primo
luogo, fornendo quell’insieme di interesse, eccitazione ed emozione che
favorisce lo sviluppo di immagini specifiche; in secondo luogo, fornendo una
struttura stabile di istituzioni e di abitudini che agisce come base schematica
per il ricordo costruttivo. […] Consideriamo ora quei mezzi imposti dalla
cultura per dirigere e regolare l’emotività nell’interesse della coesione cultu-
rale, a cui Bartlett si riferisce. […] Ciò che vi è di più caratteristico negli
‘schemi di memoria’ […] è il fatto che essi cadono sotto il controllo di un
‘atteggiamento’ emotivo. Egli osserva infatti che qualunque ‘tendenza conflit-
tuale’ che possa disgregare l’equilibrio individuale o minacciare la vita sociale è
87
probabile che destabilizzi anche l’organizzazione della memoria. È come se
l’unità dell’affetto (in contrapposizione al ‘conflitto’) fosse una condizione
per la schematizzazione economica della memoria. […] Nello sforzo di
ricordare qualcosa, […] ciò che di solito si affaccia subito alla mente è uno
stato emotivo o un ‘atteggiamento’ carico di valenze: ricordiamo che ‘quella
cosa’ era spiacevole, produceva una sensazione di imbarazzo, o di eccitazio-
ne. L’affetto è come un’impronta generale dello schema da ricostruire. […]
L’atto della rievocazione risulta dunque un atto ‘pregnante’, dal momento
che espleta una funzione ‘retorica’ nel processo di ricostruzione del passato.
[…] La rievocazione del passato ha anche una funzione dialogica. L’interlo-
cutore della persona che ricorda (che sia presente fisicamente o nella forma
astratta di un gruppo di riferimento) esercita una pressione sottile ma conti-
nua. […] In una parola, i processi che hanno effettivamente a che fare con
l’atto di ‘avere e mantenere’ un’esperienza sono informati a schemi che
appartengono alle concezioni del nostro mondo proprie della psicologia
88
popolare […].
Credo sia evidente come tutto ciò che sostiene Bruner si inserisca,
arricchendolo, nel quadro fin qui delineato: la difesa della propria
identità etno-linguistica, della propria diversità, della differenza, e la
difesa della memoria e della sua organizzazione strutturale – le formu-
89
le, i temi, le tassonomie –, e istituzionale – la lingua poetica stessa –,
87
Avevano dunque in qualche modo ragione Cesare, e prima di lui Platone, a sostenere che
la scrittura, in quanto causa di conflitti, rovina la memoria!
88
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit., pp. 66-67 (i corsivi sono miei).
89
Sulla lingua poetica i.e. come contesto istituzionale, vd. G. COSTA, 1990, pp. 25-26 e p.
63.
284
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
90
Vd. anche G. COSTA, Su alcune espressioni indeuropee della sovranità… cit. (nota 100, p.
51), pp. 77 sgg.
91
Vd. supra, pp. 141 sgg.
92
Vd. supra, p. 150.
93
Vd. supra, pp. 160 sgg.
285
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
94
È bene qui ricordare ancora una volta che anche quando crediamo di percepire la realtà
così come è attraverso i sensi, cioè di tracciare inconsapevolmente la mappa della nostra
coscienza, esiste comunque nella nostra mente un’epistemologia culturalmente e geneticamente
determinata, cioè un sistema di presupposizioni inconsce che regola il modo in cui percepiamo:
cfr. supra, pp. 144 sgg.
95
Vd. supra, pp. 215 sgg.
96
Vd. supra, pp. 217 sgg.
97
Vd. supra, pp. 194 sgg.
98
Vd. supra, pp. 195 sgg.
99
Vd. supra, pp. 202 sgg.
286
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
il corpus,
100
cioè, rappresenta la coscienza della società che lo espri-
me.
101 102
Seguendo Burkert e Bruner, abbiamo visto, tra l’altro, che i
due aspetti principali del modo con cui le narrazioni tradizionali – il
corpus dei miti – organizzano l’esperienza, cioè tracciano la mappa
delle informazioni che dà luogo alla coscienza, sono la strutturazione
o riduzione in schemi del flusso di eventi esperienziali, e la regolazio-
ne dell’affetto: il primo aspetto, fornisce una struttura stabile di
istituzioni e di abitudini che agisce come base schematica per il
ricordo costruttivo, mentre il secondo, creando una tendenza psicolo-
gica comune, impedisce che potenziali o concreti conflitti individuali
103
o collettivi intacchino l’organizzazione della memoria.
Quando con l’invenzione visuo-simbolica, nacque la memoria
esterna, che, come si è detto, può essere visiva (ad esempio, le pitture
parietali paleolitiche), scritta o elettronica, ma anche, e agli inizi
soprattutto, orale, – la memoria esterna, infatti, «può risiedere in
parecchi e differenti magazzini esterni, compresi […] i ricordi di altri
104
individui che vengono trasmessi culturalmente» –, si creò un siste-
ma di immagazzinamento simbolico esterno (SISE), basato sulle nar-
105
razioni tradizionali e sulla loro organizzazione, il cui uso efficace
dipese anche dalla creazione di una mappa del SISE stesso, cioè di un
reticolo di meta-informazioni, di informazioni su come ottenere infor-
mazioni, di indicatori, «di marcatori delle priorità che addestrano la
memoria biologica a cogliere l’importanza relativa di diversi item e
106
differenti vie di accesso», ai contenuti del SISE. Tale mappa fu
implementata nella memoria biologica, perché, giova qui ripeterlo, «la
memoria biologica deve contenere informazioni sulla struttura e sulle
vie di accesso del SISE, come anche sui suoi codici di richiamo.
Queste capacità sono necessarie […] per trovare le informazioni quan-
107
do occorre».
100
Vd. supra, pp. 214 sgg.
101
Vd. supra, pp. 197 sgg.
102
Vd. supra, pp. 283 sgg.
103
Vd. supra, p. 284.
104
Vd. supra, pp. 205 sgg.; M. Donald, pur accennando all’esistenza di questa possibilità,
non la sviluppa adeguatamente.
105
Vd. supra, pp. 223 sgg.
106
Cit. da M. DONALD, op. cit. (nota 10, p. 158), p. 375.
107
Vd. supra, pp. 222 sgg.
287
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
108
Cit. da M. DONALD, op. cit., p. 373; vd. anche supra, pp. 222 sgg.
109
Vd. supra, pp. 267 sgg.
110
Vd. supra, pp. 125 sgg.
111
Vd. supra, pp. 88 sgg.
112
Vd. supra, pp. 126 sgg.
113
V d. supra, pp. 207 sgg.
114
Vd. supra, p. 95 e p. 284.
115
Vd. supra, pp. 298 sgg.
288
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
116
Essa, e in questo aveva ragione in parte E. Campanile, è giunta
a noi frammentaria perché le singole differenze sono di per sé fram-
menti di informazione, mentre il quadro cognitivo completo è dato
dalla rete integrale costituita dalla lingua poetica – nella sua doppia
accezione di lingua dei testi poetici e di insieme di tecniche poetico-
culturali che la distinguono in quanto lingua dalla prosa quotidiana –,
dal corpus dei racconti tradizionali e dalla mente e dalla memoria dei
poeti e del loro pubblico: un sistema biocibernetico creaturale in cui
117
«vaste porzioni della rete pensante sono poste fuori dal corpo».
Il compito di trasmettere, conservare e adeguare progressivamen-
te il SISE orale ai bisogni tribali, salvaguardando così la coscienza di
sé, l’identità etno-linguistica, la consapevolezza del loro popolo di
esistere come entità autonoma nel mondo, fu assunto dagli eredi degli
118
sciamani paleo-mesolitici, i poeti, che, divenuti anche i depositari
della mappa di accesso al sistema di immagazzinamento simbolico
esterno (SISE), – oltreché delle tecniche di trasmissione e organizza-
zione culturale costituite dalla stssa lingua poetica –, accrebbero
119
enormemente il loro potere nella gerarchia cognitiva del gruppo,
potendo così in seguito guidare l’accettazione o il rifiuto di nuove
120
tecnologie cognitive, quali ad esempio la scrittura, da parte del
gruppo stesso.
***
Se le famiglie di poeti, le scuole poetiche, la tradizione di ermeti-
smo, l’esoterismo (scrittorio), sorsero poi per difendere e conservare il
possesso delle chiavi di acceso al SISE, l’autocoscienza i.e., il sistema
di finalità e priorità collettivo-individuali con cui scegliere consape-
volmente le informazioni che dovevano raggiungere la coscienza, –
vale a dire: le modalità con cui tracciare consapevolmente la mappa
della coscienza -, fu comunque in realtà per lungo tempo determinata
ancora dall’entità etnolinguistica collettiva, perché, come si è visto
121
sopra, in una cultura di tipo orale, l’unica forma di speculazione e
di comunicazione cognitivamente e socialmente significativa è il mito
116
Cfr. E. CAMPANILE, 1977, cap. I.
117
Vd. supra, pp. 149 sgg.
118
Vd. supra, pp. 247 sgg.
119
Vd. supra, pp. 219 sgg.
120
Vd. supra, pp. 277 sgg.
121
Vd. supra, pp. 201 sgg.
289
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
122
Vd. supra, pp. 278 sgg.
123
Vd. supra, pp. 219 sgg.
124
Vd. supra, pp. 164 sgg.
125
Vd. supra, pp. 148 sgg.
126
Cit. da G. BATESON, Steps… cit., (nota 14, p. 140), pp. 328-329 (l’ultimo corsivo è mio);
vd. anche supra, p. 144, punti 2 e D.
127
Vd. supra, pp. 283 sgg.
290
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
dubbio viene escluso dalla natura logica o quasi logica dei legami.
Quello che ci protegge dal dubbio è un’inconsapevolezza delle lacu-
128
ne».
Se dunque nel mondo di lingua i.e. l’insegnamento dell’abilità
metacognitiva e autoconoscitiva, cioè la possibilità della partecipazio-
ne individuale alle scelte e alle finalità del gruppo, e la scelta stessa
delle priorità del gruppo, rimasero perciò in gran parte determinate
dalle esigenze collettive, e ciò almeno fino all’insorgere delle élites
129
dell’età dei metalli, una parte altrettanto significativa del sistema
globale di finalità e priorità collettivo-individuali fu determinata inve-
ce dalla matrice stessa in cui fu iscritta la mappa della coscienza,
perché «ogni matrice ricevente, anche una lingua o una rete di propo-
sizioni, ha caratteristiche formali proprie che, in linea di principio,
130
distorcono i fenomeni che devono esservi proiettati».
Nel nostro caso, la matrice in cui fu inscritta la mappa della
coscienza è l’insieme delle caratteristiche della lingua poetica i.e.:
poiché un modo di segmentare la realtà non è in sé né vero né falso,
poiché le proposizioni che governano la segmentazione hanno la
proprietà di auto convalidarsi e poiché sono i legami tra di esse ad
asserire una verità indubitabile e autoevidente, sarà innanzitutto dun-
que nelle distorsioni prodotte dalla matrice che dovremo cercare gli
131
errori, e nei legami tra le proposizioni che dovremo cercare i valori
(di verità) dell’autocoscienza i.e.
***
In generale, poiché la lingua poetica i.e è la lingua di una poesia
132 133
orale, alcune fonti potenziali di errori attribuibili alla matrice,
saranno pertanto riscontrabili tra le caratteristiche della psicodinami-
134
ca dell’oralità stessa.
128
Cit. da G. BATESON – M. C. BATESON, Angels Fear… cit. (nota 14, p. 140), pp. 147-148
(il corsivo è degli Autori).
129
Vd. infra, pp. 303 sgg.
130
Vd. supra, pp. 150 sgg.
131
Per la definizione di errore, vd. supra, nota 38, p. 147; per quella di valore, vd. infra, pp.
299 sgg.
132
Vd. supra, pp. 125 sgg.
133
Vd. supra, nota 38, p. 147.
134
Cfr. W. J. ONG, Orality and Literacy… cit. (nota 47, p. 275), cap. III.
291
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
135
In aggiunta a quanto già detto, occorre infatti qui ricordare che
in una cultura ad oralità primaria, il pensiero e l’espressione tendono,
136
tra l’altro, ad essere:
1) di tipo aggregativo: «le espressioni tradizionali nelle culture
orali non possono essere disgregate: è costata fatica metterle insieme
nel corso di generazioni […]. Una volta che un’espressione formulare
si è cristallizzata, è bene mantenerla intatta. Senza un sistema di
scrittura, la scomposizione del pensiero, cioè l’analisi, è un procedi-
137 138
mento molto rischioso». Come scrive Lévi-Strauss, il pensiero
orale è totalizzante.
2) di tipo ridondante: «poiché l’espressione orale svanisce appena
pronunciata, […] il pensiero deve procedere più lentamente, mante-
nendo al centro dell’attenzione gran parte dei contenuti già trattati; di
139
qui la sua ridondanza, la ripetizione del già detto».
3) di tipo conservatore: «poiché in una cultura ad oralità primaria
una conoscenza concettualizzata che non venga ripetuta ad alta voce
svanisce presto, le società che su di essa si basano devono investire
molta energia nel ripetere più volte ciò che è stato faticosamente
imparato nel corso dei secoli. Questa esigenza crea una mentalità
altamente tradizionalista e conservatrice che a ragion veduta inibisce
140
la sperimentazione intellettuale»: «the oral world is basically con-
141
servative».
4) di tipo agonistico-competitivo: «le culture orali si rivelano
programmate agonisticamente non solo nell’uso della conoscenza, ma
anche nella celebrazione del comportamento fisico; quando ogni co-
municazione verbale deve essere effettuata direttamente con la voce,
nella dinamica ‘parla e rispondi’ del suono, i rapporti interpersonali
comportano un alto grado di coinvolgimento, che può essere attrazio-
142
ne o antagonismo». Nelle culture orali, ad esempio, «una richiesta
135
Vd. supra, pp. 195 sgg.
136
Tutto il I cap. di J. GOODY, The Logic of Writing… cit. (nota 48, p. 275), è dedicato, per
es., all’esame delle differenze cognitive tra religioni del Libro e religioni orali.
137
Cit. da W.J. ONG, Orality and Literacy… cit., p. 68.
138
Cfr. C. LÉVY-STRAUSS, La pensée sauvage, Paris 1962, trad. it. Milano 1965, II ed., p.
267.
139
Cit. da W. J. ONG, op. cit., pp. 68-69.
140
Ivi, p. 70.
141
Cit. da ID., Writing and the Evolution… cit. (nota 47, p. 275), p. 2.
142
Cit. da ID., Orality and Literacy… cit., pp. 74-75.
292
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
143
Ivi, p. 102.
144
lvi, pp. 75-76.
145
Per la distinzione tra lessico e enciclopedia, vd. tra gli altri, U. ECO, Trattato… cit. (nota
9, p. 139), pp. 143 sgg.; vd. anche D. SILVESTRI, Scrittura e testi arcaici di Uruk IV: dal repertorio
all’enciclopedia, in C. VALLINI (ed.), Scrittura e Scritture, Napoli 1983, pp. 155-179.
146
Cit. da W. J. ONG, Orality and Literacy… cit., pp. 76-79.
293
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
147
Ivi, p. 103.
148
«L’atteggiamento è […] la denotazione esterna di una costellazione di oggetti mentali
variamente attivi o presenti, ma tra loro solidali e intergenerabili. Ne fanno parte le credenze
sull’oggetto, le valutazioni, gli scopi specifici verso l’oggetto, e le disposizioni, cioè l’insieme
dinamico di apprezzamenti, tendenze e valenze che ne costituiscono il nucleo più essenziale e
caratteristico»: cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore. Una teoria
cognitiva dei meccanismi e processi valutativi, Milano 1992, p. 242 (il corsivo è degli Autori).
149
È bene forse precisare che quanto ora sostenuto non conferma le tesi di chi, come M.
Gimbutas, descrive la cultura i.e. come maschilista e guerrafondaia, perché conservazione,
antagonismo, ecc., devono essere considerate come caratteristiche proprie a ogni cultura orale
primaria.
150
Su ciò, vd. G. COSTA, Anemonimi benacensi… cit. (nota 15, p. 34), cap. III.
151
Vd. supra, pp. 126 sgg.
294
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
152
Vd. supra, pp. 200 sgg.
153
Anche su ciò, vd. G. COSTA, Anemonimi benacensi… cit., pp. 140 sgg.
154
Vd. supra, pp. 266 sgg.
155
Cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., p. 285; vd. anche
infra, pp. 304 sgg.
156
Vd. supra, pp. 37 sgg. e 105.
157
Così come J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 115, sono convinto
anch’io che la linguistica, l’antropologia e la psicologia culturale siano discipline interpretative e
295
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Insomma,
che «il costruttivismo della psicologia culturale sia un’espressione profonda [e necessaria] della
cultura democratica» (ivi, p. 44).
158
Cit. da E. CAMPANILE, 1977, p. 78.
159
E. CAMPANILE (cfr. ivi, pp. 79-82) si riferisce qui soprattutto all’onomastica bimembre e
alle metafore poetiche che di essa sono alla base.
160
Ivi, p. 82.
296
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
i valori sono connessi alla scelta di modelli di vita, e i modelli di vita, con il
loro complesso sistema di interazioni, costituiscono una cultura. I valori non
hanno una relazione immediata con ogni situazione di scelta, né sono il
prodotto di individui isolati con forti pulsioni e nevrosi costrittive. Piuttosto,
questi valori sono sociali e sono conseguenti alle nostre relazioni con una
comunità culturale. Essi svolgono per noi delle funzioni all’interno della
comunità. […] Essi vengono situati nell’identità individuale e, al tempo stesso,
danno origine a un’identità particolare nell’ambito di una cultura.
161
Cfr. J. BRUNER, Acts of Meaning… cit., cap. I.
162
Ivi, p. 58.
163
Vd. supra, pp. 262 sgg.
164
Vd. supra, pp. 196 sgg.
165
Vd. supra, pp. 201 sgg.
297
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
166
Nella misura in cui una cultura, nel senso di Sapir, non è ‘spuria’, la scelta di
valori da parte dei suoi membri può fornire la base per la condotta coerente a
167
un modello di vita […];
166
J. Bruner fa qui riferimento a E. SAPIR, Culture, Genuine and Spurius, in ID., Culture,
Language and Personality: Selected Essays, Berkeley 1956, trad. it. Torino 1972, pp. 65-96.
167
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit., p. 43.
168
Vd. supra, pp. 290 sgg.
169
Definisco una tassonomia l’unico grafo ad albero che risulta possibile come descrizione
di un insieme discreto (= dominio) di nuclei concettuali (= taxa), con dimensioni di significato e
definizioni componenziali date, in cui tutti i nodi corrispondono a dei taxa; per tutto ciò, vd, G.
COSTA, Anemonimi benacensi… cit., cap. III.
170
Vd. supra, pp. 152 sgg.
171
In questo ambito è ancora fondamentale S. A. TYLER (ed.), Cognitive Anthropology,
New York 1969; assai utili sono poi i volumi introduttivi di G. R. Cardona: vd. III, 4, 2.
172
Per una introduzione a questo tipo di logica, vd. G. GOE, Lezioni di Logica, Milano
1983, pp. 483 sgg.; per alcune implicazioni matematiche, vd. G. HERDAN, Type – Token
Mathematics. A Textbook of Mathematical Linguistics, The Hague 1960; applicazioni allo studio
della coscienza sono R. JACKENDOFF, Semantics and Cognition, Cambridge (Mass.) 1986, III ed.,
trad. it. Bologna 1989, e ID., Consciousness and the Computational Mind, Cambridge (Mass.)
1987, trad. it. Bologna 1990; un’applicazione alla dialettologia italiana, è il mio Anemonimi
benacensi… cit., cap. III, a cui mi permetto ancora una volta di rinviare per una presentazione
più discorsiva della questione, per l’esemplificazione delle regole preferenziali e per la bibl.
298
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
173
Vd. supra, pp. 195 sgg.
174
Cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, A Cognitive Approach to Values, «JTSB» 19
(1989), pp. 169-193.
175
Vd. G. COSTA, 1990.
176
Cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit. (nota 148, p. 294),
passim.
177
Ivi, p. 209 (il corsivo è degli A.); per la distinzione tra valori, norme e standard, vd. ivi,
pp. 212 sgg.
178
Per la distinzione tra classe e elemento di una classe, vd. supra, pp. 151 sgg.
(punto 4).
179
Cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., pp. 211-
212.
180
Ivi, pp. 210 (il corsivo è degli A.).
181
Ivi, p. 227.
299
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
182
Ivi, p. 219 (i corsivi sono degli A.).
183
Ivi, p. 224.
184
Ivi, p. 226.
300
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
185
Ivi, p. 227.
186
Cfr. ivi, pp. 227-228.
187
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
188
Cfr. supra, pp. 198 sgg.
189
Vd. supra, pp. 199 sgg.; per l’identificazione tra livello prescrittivo e valori, e tra livello
normativo e valutazioni, cfr. M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., pp.
279 sgg.; vd. anche infra, pp. 325 sgg.
301
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
190
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 28.
191
Cfr. supra, pp. 266 sgg.
192
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
193
Cfr. supra, pp. 176 sgg.
194
Cfr. supra, pp. 260 sgg.
195
Cfr. supra, pp. 283 sgg.
196
Cfr. supra, pp. 174 sgg.
197
Cfr. supra, p. 175.
198
Cfr. supra, pp. 222 sgg.
199
Cfr. supra, pp. 288 sgg.
200
Cfr. supra, pp. 223 sgg.
302
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
201
schemi del flusso dell’esperienza; poiché è nei legami che sono
202
celati i valori, i valori sono dunque costituiti cognitivamente da
203
meta-informazioni. L’insieme delle tassonomie della lingua poetica
è dunque la mappa delle meta-informazioni che guidano all’interno
del SISE, cioè la mappa delle tassonomie dei valori contenuti nel
corpus dei racconti tradizionali della cultura i.e.: pertanto, poiché il
204
corpus costituisce la coscienza di una società orale, la lingua poetica
è l’autocoscienza, cioè l’organizzazione della coscienza, degli i.e.
Fu insomma la cultura poetica che diede forma alla mente degli
i.e. diventando il mondo a cui adattarsi, ma anche l’insieme degli
strumenti per farlo.
201
Cfr. supra, pp. 283 sgg.
202
Cfr. supra, pp. 290 sgg.
203
Cfr. supra, pp. 299 sgg.
204
Cfr. supra, pp. 204 sgg.
205
Cfr. supra, pp. 270 sgg.
206
Cfr. supra, pp. 272 sgg.
207
Cfr. supra, pp. 127 sgg.
208
Cfr. supra, pp. 278 sgg.; sull’ideologia come permutazione conscia di codice, vd. U.
ECO, Trattato… cit. (nota 9, p. 139), pp. 358 sgg.: concordo insomma con Eco nel dire che
«l’ideologia è una visione del mondo organizzata che può essere soggetta all’analisi semiotica»
(ivi, p. 359).
303
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
209
messaggio, completando cioè la trasformazione della lingua poetica
da vettore del corpus e matrice in cui era inscritta la coscienza, in
210
autocoscienza: la chiusura idiosincratica del processo di autoiden-
tificazione tribale trovò dunque nella lingua poetica lo strumento con
cui esprimere la propria diversità e la propria potenziale egemonia
211
etnolinguistica.
A conferma di ciò, e concludendo il discorso iniziato sopra citan-
212
do E. Campanile, occorre qui ricordare, con E. Gellner, che una
delle premesse su cui si basa il ruolo delle ideologie nella costruzione
sociale della realtà, è il fatto che «the carriers of such systems of ideas
are not individuals but ‘languages’ or cultures, which are internalised
by individuals in the process of their education, of their ‘formation’ as
human beings with a cultural identity and a capacity to use a cultural
213
medium».
Dal punto di vista cognitivo, infatti, perché i valori e le norme
siano rispettate «è necessario […] che siano introiettate dall’individuo.
[…] Ora, l’introiezione impedisce di ‘barare’: chi ha introiettato una
norma non solo ritiene necessario che gli altri pensino che lui la
rispetta, ma non può fare a meno di rispettarla di fatto; se la viola,
incorre in sanzioni interne (quali il senso di colpa) a cui non ha
214
facilmente modo di sottrarsi».
E questo anche perché
209
Un accenno a ciò è in G. NAGY, 1974, p. 261; contrario era invece E. CAMPANILE, 1990c,
p.112.
210
Cfr. supra, pp. 218 sgg. e 291 sgg.
211
Cfr. supra, pp. 261 sgg.
212
Cfr. supra, pp. 295 sgg.
213
Cit. da E. GELLNER, Notes towards a Theory ofIdeology, «L’Homme» 18,3-4 (1978), p.
77 (il corsivo è mio).
214
Cit. da M. MICELI – C. CASTELFRANCHI, La cognizione del valore… cit., p. 196.
304
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
215
Cit. da G. BATESON, Steps… cit. (nota 14, p. 140), pp. 176-177.
216
Cfr. U. ECO, op. cit., p. 368; per la definizione di ipercodifica, vd. supra, pp. sgg.
217
Cit. da U. ECO, op. cit., p. 369; quest’ultima affermazione di U. Eco va intesa priva delle
sue residuali implicazioni marxiane – cfr. E. DOYLE MCCARTY, Knowledge as Culture. The New
Sociology of Knowledge, London – New York 1996, e, in generale, B. M. MAZZARA, Appartenenza
e pregiudizio, Roma 1996 –, e limitata all’ambito semiotico-cognitivo che qui ci riguarda.
218
Il caso della grecità storica è così sintetizzato da C. O. Pavese: «a partire dalla fine del V
sec. e poi durante il IV e il III sec. la tradizione orale ellenica andò declinando, sia pure
lentamente, e – varcata la soglia della scrittura – si trasformò in letteratura ellenistica. Le forme
letterarie ellenistiche furono adottate dai Romani, e per il loro tramite esse diventarono le forme
su cui grado a grado si è esemplata la letteratura di ogni tempo e di ogni paese. I chierici
dell’Occidente procedettero, penna alla mano, a debellare le tradizioni pagane dei popoli
d’Europa, e con esse la loro poesia nativa, sostituendo ad essa una letteratura scritta di
derivazione romana, e ultimamente greca»: cit. da C. O. PAVESE, Poesia ellenica e cultura orale,
in C. BRILLANTE – M. CANTILENA – C. O. PAVESE (eds.), I poemi epici rapsodici non omerici e la
tradizione orale, Padova 1981, p. 259.
219
Cfr. supra, p. 276.
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PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
Nel nostro caso, si può pensare che con la scomparsa dei poeti e
221
della società orale primaria di cui erano figli e maestri, l’ideologia di
cui erano portatori e che era valsa la conservazione delle tradizioni i.e.
fino ad allora, sia entrata in crisi perdendo la sua egemonia a vantag-
222
gio, almeno in taluni casi come quelli dell’India e dell’Iran, delle
223
religioni rivelate o istituzionali, e che le stesse risorse narrative della
lingua poetica mutassero radicalmente insieme al mutare della società,
impoverendosi a vantaggio della nascente letteratura scritta: «ampu-
tée du répertoire renouvelé d’images que lui fournit le système du
récit mythique, toute idéologie serait condamnée à l’exposé dogmati-
que et à la tautologie. Car, toujours coextensive au monde, mais au
monde tel qu’elle le décrit, elle ne peut rien reconnaìtre en dehors
224
d’elle-meme».
Infatti, «le mythe meurt de la littérature meme s’il survit dans la
médiocre, quels que soient par ailleurs les charmes de cette dernière.
Etant tous deux des produits du langage et des modes narratifs, la
littérature et le mythe se cotoient sans répit: mais seule la littérature
peut assimiler l’autre saps cesser d’etre elle-meme. Le mythe au
225
contraire est constamment menacé par elle».
220
Cit. da J. BRUNER, Acts of Meaning… cit. (nota 170, p. 104), p. 97).
221
Cfr. supra, pp. 276 sgg.; sulle cause «per cui nelle singole culture l’antica e complessa
figura del poeta progressivamente si illanguidisce e tende a scomparire», vd. anche E. CAMPANI-
LE, 1990c, pp. 82 sgg.
222
Cfr. supra, pp. 272 sgg.
223
Per le differenze tra ideologia e religione, cfr. supra, pp. 102 sgg.
224
Cit. da D. DUBUISSON, Métaphisique du récit et genèse du mythe, «HRel» 9 (1983), p. 70.
225
Ivi, p. 73.
306
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239
Cfr. MAYRHOFER, II, pp. 304-5; i sintagmi omerici ™äj p£ j e u‹oj ˜o‹o significano
“nobile figlio”, funzionano cioè come un composto determinativo mentre i composti qui
confrontati sono exocentrici; Euripide (Herc. F. 689; Iph. T. 1234) più tardi darà a eÜpaij valore
determinativo: cfr. A. PAGLIARA, 1969, p. 710.
240
Cfr. MAYRHOFER, I, p. 351; POKORNY, p. 482 sgg.; vanno qui ricordati anche i due
composti vedo su-gáva- “id.” e su-gávya- n. “ricchezza di buoi”.
241
Cfr. MAYRHOFER, I, p. 62 e POKORNY, p. 31; in Omero e nell’Avesta il composto è anche
n.pr., per il ved. vanno ricordati anche i derivati sváśvayú- “bramoso di bei cavalli” e sváśya- n.
“ricchezza, abbondanza di bei cavalli”.
242
L’avestico ha anche tre derivati: vd. in G. COSTA, 1990, i nn. 5300, 5310, 5320
dell’elenco; il significato del vedo su-rabhí-, e dei suoi derivati, è assai dubbio: “buona fragranza,
buon odore?”, cfr. MAYRHOFER, III, p. 486.
243
Ho ritenuto di fare del confronto vedico-avestico – che è solo semantico – qui istituito
un nodo, perchè la presenza in a.irl. dell’antonimo do-airm “male armato” e in greco di composti
come ™u-mmel…hj “dalla buona lancia”, fanno pensare che anche queste due lingue conoscessero
un composto uguale ai due indo-iranici.
244
Cfr. MAYRHOFER, III, p. 413; secondo A. Pagliaro (1969, p.711), il greco om. avrebbe
nel nesso ºÝj qer£pwn (qer£pwn è innovazione greca di etimologia incerta e vale in genere
“scudiero”) un confronto con su-şakhí-, almeno nei casi in cui è detto di Patroclo; i due composti
sono discussi da K. Hoffmann (1986, pp. 199-200), che preferisce tradurli “membro di un
seguito”.
245
Mi sento qui legittimato a istituire il nodo, dall’identità etimologica e di formazione dei
termini greco e a.irl., dal confronto con l’av. afnah-vant- “ricco di beni” (Yt. 7,5; F.2), e
soprattutto con Od. 18,127: ™än t’ œmen ¢fneiÒn; il nesso ™Új ¢fneiÒj è infatti – seguo in ciò
l’opinione di A. Pagliaro (1969, pp. 711-712 con bibl.) – formalmente e semanticamente
identico a svápnas- e a somme.
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PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
246
Cfr. R. SCHMITT, 1967a; M. DURANTE, 1976, pp. 91-98; G. COSTA, 1984.
247
Sul carattere terreno, laico, non escatologico, della cultura trasmessa dalla lingua
poetica i.e., vd., tra gli altri, E. CAMPANILE, 1990c, cap. III: Il concetto di gloria nella società
i.e.
248
Vd. G. COSTA, 1990, pp. 31 sgg.
249
Per queste derivazioni, che qui non ci interessano direttamente, rinvio a ID., ibid.
250
Cfr. supra, p. 307.
251
Cfr. ivi, pp. 23-24; la sopravvivenza in isl. di tor-, che si oppone a aua e non a su-,
scomparso, è un caso a sé.
310
4 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA
252
Si è detto sopra, inoltre, che ad un certo punto la lingua poetica
i.e. divenne mediante un atto consapevole una lingua letteraria.
Nel caso del tipo di composti di cui qui si parla, la conferma di ciò
253
la troviamo nello stilema che K. Hoffmann ha identificato in una
delle epigrafi della tomba di Dario e confrontato con un brano della
versione Paippalāda dell’Atharva-Veda (Ps. III 27,4):
252
Cfr. supra, pp. 127 sgg.
253
Cfr. K. HOFFMANN, 1986, pp. 196-203, per i dati e la bibl.
254
Ivi, p. 203; ciò che qui sostengo, precisa e modifica parzialmente quanto affermato in G.
COSTA, 1990, pp. 61-64.
311
PARTE 2 – LE ORIGINI DELLA LINGUA POETICA INDEUROPEA