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Dagli atti del:

LXXV CONGRESSO INTERNAZIONALE


BERGAMO
Sabato, 29 settembre 2002

Prof. Umberto SANSONI


Centro Camuno di Studi Preistorici – Dipartimento Valcamonica e Lombardia

“Incisioni rupestri camune ”

1 Introduzione
Mi reputo sinceramente onorato dell’invito che mi è stato rivolto dalla “Dante Alighieri” a
presentare l’arte rupestre delle Alpi Centrali, in particolare della Valcamonica e ne ringrazio
l’ambasciatore Bottai, ne ringrazio la dirigenza e soprattutto il dott. Belotti che considero un amico,
un giovane entusiasta mecenate della cultura.
Quel che vado a presentarvi con poche immagini, con pochi minuti a disposizione, è un
patrimonio che l’Unesco ha inserito nel patrimonio dell’umanità ed è stato il primo monumento
italiano ad entrare in questa lista prestigiosa dell’Unesco, prima dei Fori romani, prima di Santa
Giulia, prima di tanti altri, dei Sassi di Matera, prima di tanti altri monumenti che poi sono entrati in
Italia nella lista stessa.
La Valcamonica, come gran parte delle aree montuose, ha generalmente avuto un ruolo
secondario, marginale nel contesto delle civiltà storiche come presumibilmente delle culture
preistoriche, dal Neolitico in poi. Lontana infatti dalle grandi vie e dai nodi commerciali, priva di
buoni terreni agricoli e di apprezzabili risorse alternative (ad esclusione dei pascoli, delle risorse
minerarie e, per i periodi preistorici, da quanto derivava dall’attività venatoria), di conseguenza
scarsamente popolata, la Valcamonica sembra aver segnato il passo rispetto alle più floride culture
della Padana, ma anche della più aperta valle dell’Adige. Eppure proprio in quest’area si è
sviluppata una tradizione artistico-religiosa di straordinario valore, che la pone oggi come uno dei
poli di riferimento per lo studio della preistoria europea.
Finora sono venute alla luce oltre 250.000 immagini scolpite sulla roccia ed un numero
indefinibile, forse maggiore, attende ancora di essere scoperto. Si tratta di una delle più grandi
concentrazioni di arte rupestre al mondo e la maggiore in Europa; ma quel che più stupisce e che
qui e solo qui nel continente vi è un continum culturale con le prime scarse espressioni
nell’Epipaleolitico-Mesolitico (VII-V mill.) quindi in progressione in tutti i grandi cicli successivi
dal Neolitico (V-VI mill.) alla piena età storica (culmine nel XIII-XVI sec.). Un’ espressione quindi
di più cicli culturali, agli estremi così diversi tra loro che sembrano avere in comune la sola
tradizione di istoriare le rocce e la forte motivazione culturale.
Come può spiegarsi il fiorire in quest’area periferica di una tale vitalità artistica e con quali
motivazioni?
In ogni continente vi sono decine di località con arte rupestre preistorica; in Europa sono
state individuate in ogni sua grande religione, dal Caucaso al Portogallo, dalla Scandinavia alla
Sicilia, quasi tutte in zone marginali, montuose od impervie. Le Alpi, al centro di questo complesso,
sono costellate di piccole località con rocce o massi istoriati, con l’eccezione della Valcamonica e
del Monte Bego, le cui concentrazioni artistiche sopravanzano largamente l’insieme della altre.
Essendo gran parte di questi siti in una posizione storico-geografica marginale possiamo
quindi individuare nel relativo isolamento una prima caratteristica ricorrente, ma con degli excepta.
Il fatto può spiegarsi sia con ragioni ambientali, essendo qui normale la presenza pregnante nel
paesaggio di superfici rocciose levigate, sia con fattori squisitamente storico-antropologici; ad
esempio la maggior conservatività culturale delle popolazioni relativamente isolate ha forse
permesso di mantenere e sviluppare una tradizione che culture più progredite ed inquiete non
avrebbero così fedelmente trasmesso. Queste sono sempre andate all’avanguardia, hanno mutato più
facilmente gusti e tendenze, ma non dimentichiamo i materiali deperibili non pervenutici (legno,
corteccia, tessuti, dipinti) che certamente sono stati supporto di espressioni molto intense e lunghe
un po’ ovunque.
Una seconda caratteristica è nella “arcaicità” dei complessi artistici rupestri, data la loro
scarsa persistenza in epoca storica, specie postmedievale (dove, ad esempio, un ruolo di decisa
opposizione fu esercitato dal Cristianesimo e dall’Isam) ed il loro riapparire in seguito solo presso
culture non “progredite”.
A causa di questa “arcaicità” definire le motivazioni che spinsero ad un’espressione come
l’arte rupestre è questione complessa; in linea di massima, da quando finora analizzato emerge un
prevalente carattere magico e religioso nel senso più ampio, comprensivo cioè dei più svariati
aspetti della vita e del pensiero delle culture arcaiche in accordo con una visione essenzialmente
analogica e simbolica, che nel religioso ha il suo perno.
Ad esempio è plausibile in alcuni casi pensare a figurazioni rituali o didattiche a scopo
iniziatico, in altri a scene di magia simpatica finalizzata al successo nella caccia, nel raccolto o nel
combattimento, in altri ancora ad atti devozionali, encomiastici, ad ex voto, alla memoria mitica, al
funerario.
Un ‘ipotesi che si avvalora sempre più considera molti dei segni, in particolare nelle
sequenze ordinate e ripetitive, come ideogrammi, una forma quindi di protoscrittura; oltre tutto
sembra senz’altro da escludersi l’intento di elencare semplicemente oggetti o personaggi e di fare
”arte per arte”; è anzi improbabile lo stesso intento descrittivo, se non a margine e nelle sole fasi
evolute.
Queste indicazioni, desunte dal contesto, sono confortate dai confronti con le più recenti
espressioni di culture primitive, e da quanto, seppur frammentariamente, ci è pervenuto riguardo le
tradizioni delle civiltà protostoriche e classiche. Indicazioni queste da prendere con circospezione,
non essendo plausibili trasferimenti di significato, se non a livello profondo nelle motivazioni direi
basilari, archetipali, per cui vi sono effettivi e forti riscontri fenomenologici.
E’ difficile, spesso impossibile, andare oltre questa valutazione di base; i contenuti reali, i
precisi significati restano per lo più un mistero che, qua e là, apre le maglie a indicazioni meno
vaghe e queste stesse fanno spesso più appello alla nostra intuizione che alla logica.
Quel che invece emerge con maggiore chiarezza sono le indicazioni indirette che filtrano,
per così dire, dall’impianto sacro: le figure di strumenti di lavoro, armi, oggetti, strutture, le scenette
agricole, di allevamento, di artigianato, di caccia, di attività marziali, ecc. che ci permettono di
ricostruire con buona approssimazione lo sviluppo economico e sociale; ricomponendo il mosaico si
giunge ad individuare parte degli ambiti, delle scale dei valori, delle attitudini mentali, delle
influenze culturali ed i riflessi delle tensioni e dei processi che hanno guidato le azioni delle
popolazioni alpine preistoriche.
Un secondo ordine di indicazioni ci viene dall’analisi sistematica dei contesti artistici:
un’indagine accurata sulla scelta dei siti e delle superfici rocciose, sulle disposizioni e le
associazioni delle figure sulla roccia, sulle ricorrenze e le peculiarità tipologico-tematiche delle
istoriazioni dei vari periodi ci hanno permesso di individuare l’esistenza delle normative, spesso
rigide, che presiedettero, epoca per epoca, all’espressione artistica, che indicarono ad esempio dove
e come comporre un determinato soggetto o quali fossero i luoghi sacri (devoluti spesso a culti e
cerimoniali specifici).
L’impianto di tale normativa sembra avere un carattere sacrale e ben poco sembra quindi
essere affidato al caso od alla pura inventiva personale. Dall’indagine emergono altresì quali fossero
certe particolari mode ed attitudini nelle varie fasi (così come più chiara appare la scansione
stilistico-cronologica delle stesse ).
E’ già un risultato formidabile se si pensa alla relativa scarsità di indicazioni che
provengono al riguardo dai coevi reperti di cultura materiale (costantemente analizzati in visione
relazionale ed interrogativa) e soprattutto se si pensa quali ulteriori orizzonti lo studio del materiale
camuno, in luce e non, potrà schiudere all’archeologia.
Il lavoro più che pioneriotico di Emmanuel Anati e di tutti noi del Centro Camuno di Studi
Preistorici negli ultimi quattro decenni ha aperto una strada pluridisciplinare e si è iniziato a
percorrerla ai quattro angoli del Mondo: buoni risultati sono stati ottenuti al pari di un dibattito
anche vivace e le due cose non possono che preludere ad uno sviluppo di grande respiro.
In considerazione del valore del complesso l’UNESCO ha inserito nel 1980 l’arte rupestre della
Valcamonica, come primo monumento italiano, nella lista del patrimonio di interesse culturale
universale.Il Ciclo Camuno

2 Il Ciclo Camuno
2.1 L’Epipaleolitico (Il protocamuno)

Attorno all’inizio dell’ottavo millennio a.C. si chiude l’era glaciale; i grandi ghiacciai della
fase Wurmiana che per un periodo lunghissimo avevano coperto le Alpi si sono ritirati
definitivamente dai fondo valle e da buona parte delle pendici montuose: la steppa creatasi in prima
fase cede progressivamenti il campo a boschi di pini e betulle ed in questo nuovo ambiente la fauna
si arricchisce di alci, cervi, capridi ed altri mammiferi.
Seguendo la selvaggina clan di cacciatori mesolitici, eredi della tradizione tardo-paleolitica,
iniziarono a risalire stagionalmente le valli fino ai passi: sono forse i primi uomini sapiens a mettere
piede nel cuore delle Alpi ed a loro si devono le prime istoriazioni della regione: in Valcamonica, e
forse nella catena del Totes Gebirge in Austria. Qui i cacciatori arcaici trovano superfici rocciose
ben levigate dai ghiacciai e, si presume fra il VII ed il VI mill., vi incidono i principali soggetti del
loro mondo concettuale: le figure dei grandi animali selvaggi.
In Valcamonica, dove sono emerse testimonianze mesolitiche a Nadro, Cividate e sullo
spartiacque con la Valtrompia, si sono finora rinvenute nove figurazioni attribuibili questa fase,
denominata Protocamuno, una a Mezzarro di Breno ed otto concentrate in un’unica località, la
collina di Luine, in posizione dominante un ampio tratto della bassa valle.
Lo stile delle figure è subnaturalistico, le proporzioni anatomiche sono cioè rispettate con una
certa approssimazione in un processo di stilizzazione e personalizzazione artistica che si distanzia
delle grandi espressione tardo paleolitiche del Maddaleniano.
Le immagini sono generalmente isolate, a volte colte in posizione plastica, con pochi e incerti
simboli accanto come se ogniuna avesse in sé un significato compiuto. Solo in due casi, i maggiori
in dimensioni, gli animali figurano colpiti da corte lance; uno di questi, una alce, presenta due
particolarità: una linea all’altezza dell’esofago, che fa pensare ad un caso di “rappresentazione a
raggi x” evidenziate parti interne dell’animale, e una specie di collare ad indicare forse un tentativo
di domesticazione.
I caratteri base del Protocamuno sono riscontrabili nello stesso ambito culturale in diverse
regioni europee (Scandinavia, Finlandia, Carelia, Caucaso), del Medio Oriente e soprattutto del
Nord Africa, le stesse dove l’economia di caccia e raccolta di tipo paleolitico prosegue, in scala
ridotta, con più fermento, ma con poche varianti;così come prosegue l’interesse quasi esclusivo per
la figura animale. L’essere umano in Valcamonica, (ma non altrove) è assente e soprattutto non
compare la figura femminile, che in veste di Grande Madre, aveva molto caratterizzato
l’espressione più antica.
La fauna selvaggia è l’elemento fondamentale ed insostituibile per l’uomo preagricolo, con cui
si confronta da sempre; dalla notte dei tempi i suo i stessi ritmi di vita sono regolati su quelli naturali
e soprattutto animali, fonte di sostentamento per il cibo, le pelli, le ossa, le corna ma, come attesta
l’arte paleolitica, anche fonte ricchissima di ispirazione mitica e religiosa.
Attorno all’undicesimo millennio si spense la grande tradizione di dipingere le grotte-
santuario; alcuni contenuti di questo stesso filone seppur modificati e ridotti, in una sorta di ultimo
adattamento riemersero però a distanza di millenni, impressi su rocce e ripari all’aperto.
Un’analisi comparata dei due periodi permette quindi di chiarire alcuni aspetti; l’arte
epipaleolitica risulta essere una fase solo relativamente autonoma dalla precedente, di cui piuttosto
sembra l’epilogo; il suo repertorio più limitato, l’allentarsi delle norme che ne regolano le
associazioni e le disposizioni, il suo stile più scarno ed incerto rende quest’arte la testimone della
lenta ma inesorabile fine del mondo dei clan cacciatori; essi, impoverit dalla nuova situazione
climatica, sono in cerca ormai di fonti alternative di sussistenza e nel contempo di nuovo
orientamento ideologico.

2.2 Il Neolitico (Periodi camuni I e II)

Dopo un episodio di rescrudescenza climatica nel VI millennio a.C., in cui la Valle non dovette
essere frequentata che sporadicamente nel corso del millennio successivo iniziarono a stabilirsi
in zona comunità portatrici di nuova cultura, la neolitica.
Una serie di innovaioni straordinarie, maturate nel Medio e Vicino Oriente, trasformarono
gradualmente alla radice la vita dei gruppi umani: l’introduzione dell prime forme di allevamento e
agricoltura (quindi sedentarietà), l’utilizzo della ceramica e della tessitura, l’uso diffuso dell’arco e
della freccia, una migliore tecnica di costruzione e di lavorazione della pietra. Ne consegue la
nascita dei primi villaggi stabili per una società più organizzata ed articolata, che attua un profondo
mutamento sociale, concettuale e religioso. E’ questa la risposta dell’intelligenza dell’uo mo alla
lunga crisi in cui il mutamento climatico del post glaciale l’aveva costretto. Nasce l’età del pane,
della ceramica e del tessuto.
L’arte camuna ci offre una testimonianza diretta del nuovo stato di cose: non più un’arte
naturalistica ma schematica, scarna, essenziale, non più un’attenzione rivolta al mondo animale ma
alla figura umana ed ai simboli astratti, di valenza cosmica.
Dominano gli antropomorfi in posizione di orante ed in attitudini non decifrabili; ve ne sono
dei tipi più vari, maschili, femminili o asessuati, a busto od acefali, isolati o in gruppo, associati o
meno a simboli (generalmente schematici come cerchi, ovali, quadrati, coppelle, linee dritte o
serpentiformi); è persino difficile valutare se queste siano rappresentazioni puramente simboliche,
umane o di altre entità antropomorfizzate. Schemi simili sono attestati nel Valais, in Trentino, in
Borgogna, Sardegna e soprattutto nei Balcani.
Alcuni oranti hanno elementi singolari di differenziazione come mani o piedi evidenziati,
acconciature, sesso pronunciato, dimensioni maggiori rispetto le altre figurazioni umane; potrebbero
rappresentare sacerdoti, spiriti o divinità, esseri comunque dotati di poteri o attributi sacri inusuali.
Altri sono in forma di busti o presentano palesi distorsioni delle membra da far pensare talora a
figurazioni di spiriti o di esseri immaginari; alcune figure di questo genere sono più complesse,
come ad esempio un idoletto, che sembra avere ali di farfalla (con paralleli nell’area balcanica), o
figurine con corpo umano e testa animale o braccia a forma di ali. Si affiancano rari ed incerti
zoomorfi (canidi, bucrani) e composizioni di coppelle e canaletti.
Vi sono poi oranti allineati in gruppo, in tre casi disposti sopra un altro orante, a grandi mani
in posizione orizzontale: si suppone possa trattarsi di scene di culto funerario, ma almeno in un
caso, dove tutte le figurazioni sono femminili, il contesto indica una probabile composizione
attinente alla maternità. Ed è proprio alla maternità che rimanda al figura più emblematica “la
grande madre” di Campanine, una figura di nuovo con mani evidenziate che tiene come in braccio
due piccole figure, una maschile ed una femminile (in maggiore evidenza); una sorta di aureola
attorno alla testa, un nugolo di colp i sotto il sesso ed un corredo di altri oranti vicini (fra cui uno
femminile con ventre gonfio, forse gravido) completano questa scena eccezionale. In un secondo
caso vi è come una scena di famiglia, di nuovo imperniata su una figura femminile centrale, con a
sinistra una maschile ed a destra due in linea più piccoli, maschio e femmina, quest’ultima grandi
mani come gli adulti e in maggior evidenza.
Queste note esplicitano un ruolo del femminile simbolicamente prioritario, se non superiore,
rispetto al maschile, fattore ben testimoniato da molti indizi nell’intero quadro neolitico; in Valle
nella capanna rinvenuta da F. Fedele a Breno vi è inoltre una piccola statuetta forata con tracce di
ocra rossa: essa può rappresentare un’entità femminile pur in tratti molto stilizzati. Si ipotizza una
forma di matriarcato o di matrilinearità neolitica, sicuramente un ruolo sociale e religioso primario
in una società di tipo paritario, fattori che l’arte camuna sembra confermare in pieno.
Un profondo ed enigmatico senso del sacro sembra pervadere l’intero complesso artistico
neolitico: le immagini sono gli elementi “fossili” che lo esprimono con chiarezza, concisione e con
uno sviluppato senso della sintesi; quest’essenzialità aggiunta all’ermeticità simbolica rende
praticamente insondabile il suo significato reale, per cui parlare di semplici culti agrari o astrali
appare senz’altro riduttivo.
I confronti con il vasto orizzonte figurativo del Neolitico europeo e medio orientale
forniscono indicazioni interessanti: possono instaurarsi similitudini di base, stilistiche e di
repertorio; in alcuni casi è possibile individuare le culture fucina di innovazioni concettuali ed
artistiche, ma i problemi interpretativi restano aperti.
E’ certo che in una traccia di substrato, un riflesso del mondo concettuale religioso del
Neolitico si sia conservato filtrando nell’impianto mitico e leggendario dell’età dei metalli sino alla
fase storica; alla luce del materiale iconografico neolitico, ormai ingente nell’area mediterranea e
continentale, il difficile raffronto tra le fonti archeologiche e mitico anedottiche stà aprendo nuove
prospettive interpretative appare un mondo molto legato alla Terra, proiettata in divinità e simboli
femminili, ai suoi cicli, omologhi a quelli produttivi, un mo ndo che separa il selvaggio dal
domestico e che tutto rielabora in un simbolismo ed un ritualismo del tutto nuovi, nel contempo più
viscerali e più concettuali.
Verso la fine del periodo a ridosso del IV millennio vi è un sensibile cambiamento tematico;
aumentano in numero e complessità i simboli astratti, compaiono semplici mappe topografiche e
viene istoriato un grande idolo femminile. Con essi si avverte un cambiamento in atto che si
manifesterà a pieno ed in modo radicale alla fine del IV - inizio del III millennio con le
composizioni monumentali del Calcolitico.

2.3 Il Calcolitico (Periodo camuno III A)

Nel corso del Calcolitico o età del Rame, fra il V ed il III millennio, gran parte del continente
europeo, sulla spinta ponto-balcanica e del vicino e medio Oriente, conosce un nuovo mutamento
economico, sociale ed ideologico; nell’arco di pochi secoli, fra il tardo VI e gli inizi del IV
millennio, crolla l’impianto neolitico, all’appartenenza egalitario, pacifico e laborioso, che
sembrava sorretto da un culto armonico delle forze della natura.
Nasce una società patriarcale, gerarchica, più guerriera ed organizzata; ad essa corrisponde una
più rigida impostazione ideologica ed una nuova concezione religiosa.
Causa di questo mutamento è un complesso insieme di fenomeni di grande impatto: si afferma in
progressione la prima metallurgia, l’aratura, il trasporto su ruota; si potenziano l’allevamento,
l’agricoltura, il commercio, vengono conq uistate le grandi foreste e la montagna (alpeggio), si
introducono la lana, il latte e le bevande alcoliche. Sul piano dell’architettura sacra fiorisce il
megalitismo e gli abitati tendono ad essere fortificati.
E’ l’età dei fabbri, dei minatori, dei commercianti, dei pastori e contadini evoluti, dei
guerrieri e con loro delle prime emergenze di status. Si può affermare che in questo periodo si
gettano tutti i semi che matureranno nei millenni successivi sino alla fase storica; qui stà nascendo
la cultura occidentale, con componenti di varia origine, riconducibili a due aree matrici principali,
quella atlantica megalitica e quella orientale, pontico-balcanica. Quest’ultima è imputata dell’onda
di maggior rilievo culturale, con l’influsso ed in certa misura l’invasione dei popoli delle steppe, in
sospetto di essere i protoindoeuropei.
Il principale testimone delle vicende ideologiche del periodo è nuovamente l’arte rupestre:
oltre un migliaio di statue steli e altri tipi di composizione sono state rinvenute in Europa lungo la
fascia che dall’area mediterranea e dal Caucaso si spinge fino al Portogallo, e alle regioni centrali
del continente con riflessi sino alla Bretagna ed alle Isole britanniche.
Le alpi presentano un centinaio di monumenti, con caratteri compatibili, distribuiti fra
Valcamonica, Valtellina,Trentino Alto Adige, Valais, Val d’Aosta, ed ai bordi, la Lunigiana. Al
centro di quest’area la Valcamonica offre ad oggi un’indicativa sequenza di 39 composizioni su
statue stele e pareti rocciose. Nei grandi contesti europei si tratta generalmente di steli
antropomorfe, maschili o femminili (minoritarie) con corredi simbolici centrati rispettivamente
sulle armi (asce, pugnali, alabarde, archi) e sui seni e “collari”; ciò concerne anche le Alpi, ma con
l’eccezione significativa del gruppo camuno-tellino (con emanazioni in area trentina), dove è forse
ravvisabile una vaga struttura antropomorfa,ma dove l’enfasi è posta su una complessa sintassi
simbolica, che non ha eguali nel continente e che si pone come l’espressione più articolata
concettualmente dell’epoca.
Il quadro cronologico corre lungo il III millennio, sino agli inizi dell’ultimo quarto e si
individuano due grandi fasi. Nella più antica si distinguono due schemi base: nel primo in alto
domina il disco solare, spesso raggiato ed affiancato da coppie di asce o alabarde; al centro file di
pugnali e zoomorfi (cervi, stambecchi, canidi, cinghiali) e rari antropomorfi; in basso scene di
aratura o linee parallele, probabilmente a rappresentare i solchi dell’aratro. Un secondo tipo vede
volte - di linee parallele ad U, i cosiddetti “collari”, (simbolo neolitico di probabile riferimento
vulvare, ctonio e forse lunare), affiancati da “pendagli” ad occhiale (coppie di spirali o cerchi
concentrici) ed in alcuni casi da pettiniformi o da un disco più alto (e due laterali) con diramazioni
verso l’intero della volta.
Il primo tipo, più frequente, ha connotazioni uraniche e maschili, il secondo, più ctonie e
femminili. Ma su questi schemi, mai identici per disposizione, numero e tipo di figurazione si
innestano anche “tappeti frangiati”, mappe topografiche, un carro a quattro ruote, altri segni. In
pochi interessanti casi si uniscono gli elementi maschili e femminili, in forma armonica e di alta
concettualità simbolica: si esprime un sistema cosmologico, ordinato e sintetico nei suoi elementi
chiave, un sistema che non ha eguali nel mondo della “Grande Madre” neolitica, pur presente ma
come subordinata, e nel quale è rintracciabile in nuce la nascita di quella mentalità sviluppata poi
nell’età del Bronzo, del Ferro e che è fondante dell’assetto storico occidentale.
Che si tratti di protoindoeuropei o meno (vexata quaestio) di certo da qui partono radici che
poi ritroveremo nelle culture indoeuropee.
In una fase tarda il contesto scenico muta, ma non sostanzialmente: in alto è ancora il disco solare
raggiato ma esso è ora un tutt’uno con la testa di una figura umana, stranamente configurata, come
un “primus inter pares” fra gli altri antropomorfi ordinariamente disposti in linee orizzontali;
proseguono le figure animali, in insiemi anche densi, le armi, con accento sulle alabarde, le scene di
aratura, più rare le volte, i pendagli ed alcuni segni di corredo.
Alcune di queste composizioni sono sovrapposte alle più antiche ed i siti sono per lo più gli
stessi; ciò denota una chiara continuità, ma emerge anche un cambiamento in atto nella tendenza ad
accordare meno segni sulla faccia istoriata e talora si giunge alla bitematica ed alla monotematica
(con antropomorfi o alabarde).
Vedremo che questo carattere sarà portato all’estremo nell’Antica età del Bronzo ad indicare
un processo in cui l’attenzione si sposta gradualmente sui singoli temi simbolici (e cerimoniali)
prendendo quel senso classico, cioè unitario, della visione cosmologica iniziale. Ma l’unitarietà di
fondo e la legatura dell’insieme sono ribaltate ancora da coppie di simboli che paiono in
corrispondenza analogica come il sole (o i dischi) e le volte di linee parallele, le stesse volte ed i
pendagli ad occhiale, l’uomo ed i pugnali, gli animali maschili e femminili, coppie che potrebbero
esprimere l’interazione organica fra un elemento attivo ed uno ricettivo.
Altra chiave è nella simbologia numerica, marcata anche dagli allineamenti e dalle
geometrie dispositive: frequenti sono ad esempio le coppie (asce, alabarde, ascia+alabarda, pugnali,
pendagli, dischi, zoomorfi, aratri, pettiniformi), ma anche le disposizioni a tre diramazioni dal
disco, pugnali anche in file di 3+3, 3+2, 5) o le più complesse nel numero dei pendagli, delle linee
delle volte e dei dischi concentrici, nei gruppi, in file o meno, degli zoomorfi.
Preziose indicazioni vengono dagli scavi, in un caso su un sito intatto (F. Fedele 2001) che
mostra una lunga durata, un esclusivo utilizzo culturale, la manipolazione il reimpiego o la
distruzione rituale delle stele, la sovrapposizione dei soggetti istoriati, l’utilizzo di piattaforme e del
fuoco e resti dispersi, anche umani. Spunti indicativi si desumono anche dalle poche scene istoriate
sulle rocce affioranti (pugnali, arature, mappe,oranti), che non smentiscono l’impianto tematico, se
non forse per i luoghi e la presenza di oranti in una vaga linea di prosecuzione con la tradizione
neolitica. In realtà quel che emerge è una frattura forte con il mondo precedente ed essa fu
determinata dal nuovo input concettuale e religioso che in Valcamonica-Valtellina trova una delle
sue massime espressioni: nuovi sono i siti scelti, nuovi i supporti (le stele mobili), quasi del tutto
rinnovata la gamma simbolica.
Nasce quella scelta di valori patriarcali, uranici, guerrieri, sacerdotali e quel tipo di struttura
artigiana, mercantilista, agricola e pastorale che con un processo bimillenario, affioreranno alla
storia. In sintesi gli insiemi, al di là ed all’interno delle varianti regionali e di fase paiono esprimere
una concezione religiosa unitaria, di grande impatto e diffusione, una concezione rigorosa,
ordinatrice, organizzata in modo scrupoloso e chiaro che investe un’ampia sintesi di rimandi
cosmologici e analogici fra natura, uomo e divino. Ogni elemento simbolico ha il suo posto, le sue
relazioni primarie, il suo ruolo codificati, difficile da intendere se non nei valori essenziali: in
Valcamonica-Valtellina meglio che in altri contesti riconosciamo la “sfera del cielo” (dominante) in
buona misura assimilata ad un entità maschile (uomo, cervo o stambecco), con corredo di asce ed
alabarde, la sfera delle forze terrestri con le linee d’aratura, le volte, le mappe in cui traspare il lato
femminile, generativo, ma ora ordinato e subordinato, infine la sfera di mezzo, al di sopra della
linea di cintura o d’aratura o delle acque, con i pugnali, i pendagli, gli animali, gli umani, le volte, i
dischi il cervo e l’aratro, che come figli partecipano dell’uno e altro mondo genitore, ma con loro
peculiarità; tendenzialmente ma non necessariamente i simboli si ordinano in tre registri, dall’alto al
basso, con casi di incasellamenti o accoppiate nella fascia centrale.

2.4 Età del Bronzo

Nel tardo III millennio a.C. all’inizio dell’Età del Bronzo, si è in linea con quanto espresso
nella 2a fase calcolitica, quindi quegli stessi sintomi di rinnovamento già in atto si chiariscono: la
monolitica unità compositiva delle statue stele si sfalda definitivamente, si torna ad istoriare
esclusivamente sulle superfici affioranti e le armi divengono l’interesse primario:asce, alabarde,
scudiformi, quasi l’intera panoplia del guerriero dell’epoca, sono istoriate ripetutamente in poche
località ed in spazi ristretti ma senza un ordine apparente. Solo raramente le armi sembrano
comporre un’immagine vagamente figurativa o generica.
Sono questi indizi di una smisurata crescita di importanza dell’oggetto e del simbolo arma che
da elemento compositivo di un insieme organico sembra assumere un significato in sé completo e lo
stesso fenomeno si osserva a livello alpino, per altri simboli già calcolatici: le scene di aratura, le
rappresentazioni topografiche, i simboli circolari, gli antropomorfi, le volte, le coppelle. Questi
segni, come per le armi, assumono in prevalenza una vita autonoma; sono istoriati su superfici o
luoghi devoluti, spesso con ripetitività ed enfasi: così insiemi tendenzialmente monotematici li
rinveniamo in Valcamonica, Valtellina, Valtournance, nei Grigioni, sul Monte Baldo e sul Monte
Bego. Non mancano le associazioni sintattiche fra due o più simboli, ma queste, pur rivelatrici,
assumono valenze apparentemente marginali: abbiamo ad esempio asce + dischi (concentrici,
puntati o crociati), asce + pugnali, arature + pugnali, arature + topografici, antropomorfi (anche
armati e di nuovo femminili) + dischi, antropomorfi + soggetti schematici od armi. Novità assolute
sono carri a due ruote di irradiazione micenea, i telai, a le figure emigratiche di palette ed i dischi
immanicati, mentre le composizioni complesse di coppelle e canaletti paiono intensificarsi in
un’aerale molto vasto.
Eredi dei Calcolatici, gli uomini del Bronzo instaurano un più maturo regime sociale su basi
concettuali in linea con le precedenti, ma più diversificato, con l’elemento virile- guerriero in
consolidamento; nonostante ciò la sfera del femminile ha, nell’arte rupestre, un nuovo, pur
controllato risvolto: diverse sono le scene con oranti ed il riemerger di queste scene e di questa
tipologia potrebbe testimoniare un filo di continuità, mai spento, con concezioni di traduzione
neolitica.
La culture archeologiche ci testimoniano una crescita demografica una progressiva
regionalizzazione culturale, uno sviluppo straordinario della metallurgia, dell’artigianato, del
commercio e una diversificazione del rituale di sepoltura (si diffonde l’incinerazione dove la
simbologia del fuoco è centrale); ne conseguono più forti specializzazioni ed interessi economici e
quindi maggiori tensioni: sorgono le Terramare, molti castellieri, emblema di una società inquieta
con caratteri feudali. Per la prima volta in modo palese l’arte camuna attesta il sorgere di un certo
individualismo compositivo: l’arma, rappresentata spesso con meticolosità, non è più lo stereotipo
dell’oggetto ma un ben determinato oggetto, anche se connesso ad un valore religioso di fondo,
forse votivo come attestano anche le deposizioni nelle acque, sui passi e sulle cime montane.
Nell’età del Bronzo si assiste in definitiva ad una decantazione ideologica sul mondo
calcolitico; l’arte rupestre alpina manifesta una scissione di contesti simbolici, l’aggiunta di nuovi
soggetti e una sorta di secolarizzazione, anche se relativa e forse fraintesa; si nota comunque una
maggior attenzione per l’umano, dove l’artista tradisce l’orgoglio per le conquiste tecniche e per
l’intraprendenza della sua epoca e si inizia a dare un volto umano, quello di un generatore e
guerriero potente, alla divinità suprema.

2.5 L’età del Ferro (Periodi camuni IV A-F)

A cavallo fra il XII e l’XI secolo, un generale movimento e riassestamento di popoli e culture
modifica il quadro del centro e Sud Europa. Il fenomeno, in più aree traumatico, segna il
configurarsi di quei grandi gruppi culturali che ritroveremo nel millennio successivo sino
all’emergere storico.
Dopo una prima fase di consolidamento, corrispondente al Bronzo Finale, dal IX secolo (in
area centro-europea), con l’inizio dell’Età del Ferro, la ruota evolutiva accelera e ci si avvia verso
gli organismi, complessi e socialmente stratificati, il cui esito saranno le prime civiltà urbane del
continente.
L’arte rupestre, fondamentalmente nella sola Valcamonica, registra e descrive il processo in
atto. Dopo la fase piuttosto stanca del Bronzo Recente e Finale, con l’inizio del Ferro si assiste ad
un vero exploit figurativo: oltre l’80% delle immagini camune possono datarsi fra l’VIII ed il I
secolo a.C.. Incrementa il ve ntaglio dei soggetti e vengono intensamente istoriati vecchi e nuovi siti
rupestri, ma, spesso, con indubbie evidenze di rivalutazione dei soggetti antichi, le opere degli
antenati.
Domina la figura del guerriero, isolato, in schiera, in duello, appiedato o a cavallo, uomo, eroe
o divinità, con un vasto corredo di simboli; accompagnano innumeri figure di capanne, di impronte
di piede, di armi, di mappe, di carri, di animali e di simboli, fra cui meandri, labirinti, cerchi,
palette, “rose”; un grande insieme che appare impregnato di forte senso simbolico.
Le immagini si compongono spesso in scene vivaci di lotta, di caccia, di lavoro agricolo o
artigianato, o soprattutto cerimoniali. E si aggiungono scene mitiche, come la lotta col serpente o
col mostro a nove zampe, e figure “fantastiche” come gli antropozoomorfi, i busti, le costruzioni,
gli animali straordinari. Vi filtrano le tracce di un mondo mitico-religioso- leggendario che doveva
coinvolgere intensamente la vita e l’immaginario del tempo, ma vi filtra anche il mondo vissuto con
i suoi oggetti chiave e prestigiosi suoi gesti emblematici, gli scorci del lavoro e del sociale.
E tale coinvolgimento è ora più comunicativo visto lo stile che giunge all’elegante, attento alla
proposizione, al senso dinamico e relazionale dei soggetti è un mondo a noi già più familiare, non
del tutto insondabile sotto una superficie di scarse evidenze intelligibili ; la spiegazione del
fenomeno è nel contatto ideologico e commerciale che il mondo centro-alpino (retico-euganeo)
stabilisce con le fiorenti culture della Padana, in primis l’etrusca, sin dalla fase formativa
villanoviana. L’influsso di questa raffinata cultura, che introduce rielaborazioni di elementi greci ed
orientali , dovette essere tanto forte da determinare una severa compromissione dell’originale,
tenace creatività camuna. Il momento dell’apice artistico del plurimillenario ciclo camuno, fra il
tardo VI ed il V secolo; coincide così con l’originale, caparbia, maturazione di vecchi schemi, ma
anche con l’inizio del declinio di questa cultura che, ormai, in epoca etruschizzante sembra
dipendere molto da modelli esterni (come conferma la stessa introduzione dell’alfabeto).
A far palesare la decadenza giunge, nel IV secolo, la conquista celtica della Padana che isola le
popolazioni alpine dagli Etruschi, dopo una fase di transizione relativamente breve in cui elementi
celtici, come le immagini del dio Cernunos, di Taransi e di Esus, arricchiscono il repertorio
figurativo, si assiste ad un brusco impoverimento artistico. Lo stile diviene schematico e per lo più
grossolano, mentre lo quasi totalità delle figurazioni è di guerrieri. Ma vi è vitalità, le immagini
sono ancora tante, ovunque, e talora danno scorci di gran pregio come per un’officina di fabbro o
fogge di armi, scene rituali o mitiche. La forte si stà comunque inaridendo e con l’arrivo dei
Romani, nel 16 a.C., non permane che una fiammella di tradizione artistica, scarno resto di un fuoco
che aveva retto tenacemente per tanti millenni. Non meraviglia quindi che nessun accenno da parte
di scrittori romani ci sia pervenuto sull’arte camuna mentre non mancano giudizi severi sulle
popolazioni alpine; Tito Livio, ad esempio, considera i Reti come Etruschi inselvatichiti dai luoghi
dove abitano, dimentichi delle tradizioni e persino del loro linguaggio originale.
Tuttavia la tradizione di istoriare le rocce non si spegne che molto lentamente; nell’epoca
romana si continua ad incidere su alcuni superfici, nelle stesse località frequente in precedenza:
prevalgono ora una serie di simboli e di figure geometriche nella tecnica del graffio filiforme; le
poche figure umane, animali e di strumenti sono di fattura scadente; sussistono comunque delle
norme di istoriazione ed alcuni simboli, armi, un labirinto, una tabula ansata, nodi di Salomone le
stesse iscrizioni in caratteri latini, ci rimandano a quella cultura imperiale che altrove, in Valle, ha le
sue espressioni conformi (Cividate, Borno, Tempio della Minerva).

2.6 L’epoca cristiana

Ai primi secoli della romanizzazione segue la crisi del Tardo Antico, l’età buia delle invasioni
barbariche, l’Alto Medioevo, un periodo difficile e di ripiegamento complessivo. Nell’area alpina il
cristianesimo si afferma tardi (fra VI e VIII secolo), parzialmente ed in compromesso con le
tradizioni precedenti. In questa fase travagliata l’arte rupestre tocca il suo minimo anzi con certezza
non possiamo attribuirvi nulla, ma è presumibile che serie non distinguibili di segni, in primis
coppelle, canaletti e qualche croce proseguissero a margine la tradizione incisoria. Perché questa
riprenda in grande stile bisogna attendere la piena fase di ripresa storica: il momento focale è
attorno al XIV secolo quando soprattutto in un’area, Campanine, centinaia di segni tornarono ad
affiancarsi ai più antichi testimoni. Quattro date ci collocano fra il 1319 ed il 1350 ma con un inizio
precedente ed un finale successivo (almeno sino al XVI secolo). Compaiono moltissime croci
(semplici ed elaborate), grandi chiavi (con la croce sull’ingegno), figure di devoti santi e/o
pellegrini e quindi nodi di Salomone, pentagrammi, balestre, picche, daghe, mostri, fanti, cavalieri,
torrioni e castelli; in fase tarda si aggiungono anche i simboli della passione, il crocifisso, il diavolo,
la “morte” con la falce, scene con impiccati e scritte. Un repertorio medievale ricco ma selezionato
che ci conduce in un mondo religioso spesso oltre i limiti dell’ortodossia ed al cui fianco si integra
quello dei cavalieri e delle armi. Un mondo fermentante e contraddittorio dove rinveniamo la scritta
“ Ambula in via Domini” e poco discosto un diavolo cornuto con la mandragola ed un boia che
scalcia un impiccato a testa in giù.
Le tante chiavi, emblema di S. Pietro, ma anche di S. Rocco, il protettore dalla peste,
sembravano portarci in atmosfera di timore delle epidemie, terribili a metà del ‘300; le croci, i segni
della passione, i nodi di Salomone, indicano una religiosità nell’alveo dell’ortodossia, ma altri
“demoni”, croci a X, i pentagrammi e la mandragola sono fuori da tale alveo; molti segni infine,
come i castelli, le armi ed i guerrieri hanno aspetto del mondo secolare, di prevalente impronta
aristocratica e dei milites. Tutto ciò nell’arco di pochi decenni, in grande concentrazione ed in un
solo vecchio sito rupestre.
Qui dev’essere accaduto qualcosa di rilevante sul piano religioso, qualcosa che ha
impressionato l’immaginario collettivo perché si risvegliasse tanta attenzione, dotta e ufficiale oltre
che popolare. Poi con la Controriforma e soprattutto con la visita pastorale di S. Carlo Borromeo,
cala il sipario ed ogni “anomalia”, ogni fatto sospettabile è combattuto con energia. Dopo S. Carlo è
il rigore sino alla persecuzione di streghe o presunte tali, alla distribuzione di elementi vivi non
ortodossi (come la pietra di Vione) ed il tentativo di soffocare ogni aspetto dubbio della tradizione
locale.
Segue l’abbandono dei luoghi ed un lungo apparente silenzio rotto da qualche data, da qualche
coppella o da croci o figurine incise con intenti non chiari. Solo in alcune fasi ed in pochi luoghi
così come in molte altre località alpine, gli stessi segni tornano ad essere istoriati con lo spirito di
una tradizione orale non spenta e con sincretismo religioso, come per le coppelle e le croci vicino
alle edicole sacre. La toponomastica, alcuni cenni di fonte scritta e soprattutto la memoria popolare
ci danno conto di questo mondo in cui l’incisione ebbe ancora un ruolo.
L’ultimo emergere di certa consistenza è nella collina del Monticolo a cavallo fra ‘800 e ‘900:
centinaia di immagini devozionali come ostensori, angeli, alberelli, sacri cuori, scenette per grazia
ricevuta e date, sigle, scritte a comporre un insieme di ex voto con un contorno di segni secolari, in
un luogo di nuovo già frequentato in antico. Figure di madonne, chiesette, scene di lavoro, scritte
devote sono in altre località già preistoriche a dare il senso di un piccolo ma autentico ultimo ciclo
cattolico sulle rocce di Vallecamonica, forse a dieci millenni dalla composizione del primo segno
del culto, quella di una grande alce.

3 Conclusioni
E’ solo all’inizio del secolo che inizia la riscoperta, suggestiva ed inquietante ad un tempo,
dell’arte rupestre camuna. Mentre affascina la mole dei documenti rinvenuti e l’intuizione della loro
ricchezza di significato, è immediata la coscienza della loro relativa trasparenza. Non potendo
sperare in una “stele di Rosetta”, una buona parte dei contenuti resterà ignota, ma anche quel poco
che è stato e che potrà essere compreso avrà un valore inestimabile.
Le scoperte e lo studio dell’arte rupestre, in Valcamonica come nel resto del mondo, hanno già
dato all’archeologia, alla storia delle religioni ed all’antropologia un senso più diretto e più
profondo della vicenda umana: hanno permesso l’inizio della riscoperta del periodo formativo
dell’umanità attraverso l’ottica degli artisti che vissero le credenze, i fatti culturali ed i problemi del
loro tempo, una riscoperta quindi nella dimensione intellettuale e veramente umana.
Nella crisi di valori che investe il nostro mondo tale riproposizione potrà certo favorire una
crescita di coscienza storica e quindi una più matura riflessione sulle dinamiche culturali e sociali
che hanno costruito l’età contemporanea.

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