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Quiete

Anno 2518, forse.

La Quiete di Olam: una civiltà arrivata al suo punto finale. Una civiltà talmente avanzata da non
somigliare neanche alle civiltà precedenti. Una civiltà in cui tutto è virtualizzato, in cui i corpi umani
sono obsoleti e ogni esperienza è a portata di mano. Un paradiso, una gabbia dorata senza via di
uscita.

Lo Howitzer è l’unico modo per viaggiare fuori dai confini del mondo di Olam. Una meraviglia
tecnologica, il cui uso è monopolizzato dalla ITR.

0x:000A2C2A è il Cittadino che si è riuscito ad aggiudicare il viaggio nel tempo dopo la performance
strappalacrime di Rho-Delta, più che altro perché fa parte della fazione dei Finali.

Solo un Neo-umanista come Rho-Delta sarebbe stato capace di passare settimane a salvare primitivi
che tanto sarebbero stati stritolati e inceneriti in ogni caso, pensa sarcastico A2C2A. Il fatto che lui
sia stato scelto solo per fare un dispetto infantile ai Neo-umanisti non lo interessa minimamente.

Con un atto di volontà suprema A2C2A si sconnette da Esperia e torna ad abitare i confini del suo
corpo umano. Lo Howitzer è davanti a lui, pronto a spararlo attraverso i limiti dello spaziotempo.

A2C2A non conosce bene la teoria dello Howitzer, ma ne conosce i dettagli costruttivi e quei dati lo
preoccupano parecchio. Per quanto ne sa lui, lo Howitzer apre un rozzo foro nello spaziotempo e lo
tiene aperto per pochi secondi, abbastanza da fare passare pochi metri cubi di materiale alla volta.
Non ci sono sistemi di guida o di controllo, la logica vorrebbe che qualunque oggetto o persona
sparata attraverso quel macchinario venga sputata in qualche luogo casuale. Solo dopo ripetute prove
Esperia aveva riconosciuto che lo Howitzer inviava gli esseri viventi in luoghi compatibili con
l’essere che veniva inviato, anzi il luogo di destinazione sembrava scelto con grande attenzione per i
desideri del viaggiatore. A2C2A non è felice all’idea di affidarsi a un macchinario di cui non conosce
niente (anzi, che secondo lui non dovrebbe neanche funzionare), ma entra nel foro dello Howitzer, un
buco ribollente di luce violacea attorniato da un cerchio di tegole metalliche.

Arrivo

A2C2A viene sputato violentemente in una stanzetta soffocante. Attivare il braccialetto, sparire alla
vista umana e concentrarsi sui pericoli immediati. Pressione, temperatura, umidità e radioattività a
livelli accettabili. L’aria è tremenda, ai limiti della tollerabilità ma secca e inquinatissima. Nessun
veicolo in movimento o altri pericoli immediati. A2C2A non ha voglia di finire schiacciato da un
veicolo o calpestato da un animale. Di certo non sarebbe il primo Cittadino a non tornare vivo dal suo
viaggio. Anche Rho-Delta è sopravvissuto solo per caso.

A2C2A inizia a guardarsi attorno, l’ambiente gli è familiare grazie ai suoi studi sulla storia della
tecnologia e alle sue esperienze sulla realtà virtuale di Esperia. Uno stanzino probabilmente
sotterraneo, freddo, malamente illuminato da una luce elettrica. Pareti e pavimento in cemento grezzo,
niente arredamento, un locale puramente tecnico e funzionale. Cavi elettrici che spuntano dal soffitto
e vanno a tuffarsi sotto il pavimento, parecchio grossi e fortemente isolati. Probabilmente roba
industriale ad alta potenza. Pannelli elettrici in metallo opaco, chiusi. Puzza di polvere e di isolamento
surriscaldato. A2C2A approva la logica con cui sono stati costruiti i collegamenti, ma nota che sono
state fatte parecchie aggiunte provvisorie nel corso degli anni, aggiunte che hanno finito per diventare
permanenti. La situazione tipica di un impianto il cui proprietario non si può permettere di fare
smantellare l’impianto vecchio e costruirne uno nuovo da zero.

A2C2A decide di uscire, ma si ferma nel sentire voci umane e il suono inconfondibile di un pestaggio.
Le voci sono gutturali, in una lingua che A2C2A non conosce. Due persone, che stanno picchiando
in maniera brutale una terza persona completamente prostrata a terra. A2C2A si infila tra due grossi
fasci di cavi, protetto dal braccialetto e dalla scarsa illuminazione è completamente invisibile. Intanto,
analizza gli odori che arrivano da fuori: ammoniaca, olio lubrificante, incenso sintetico, corpi umani
poco lavati con un aroma di adrenalina, steroidi, anfetamine, eroina e cocaina. Probabilmente i due
sono meccanici o qualcosa di simile, di sicuro non disdegnano l’uso di prodotti chimici ricreativi.
Dopo un paio di minuti di pestaggio A2C2A sente i due perquisire il corpo della loro vittima, sempre
più nervosamente. Le voci dei due sono un crescendo di bestemmie e di insulti, fino a che non
capiscono che minacciare e insultare un morto non serve a molto. Dopo che i due geni del crimine se
ne sono andati, A2C2A esce dallo stanzino e si trova in un sottoscala buio, davanti a lui il cadavere
di un giovane che sembra essere stato investito da uno schiacciasassi. L’odore di sangue non riesce a
coprire gli odori di lubrificante e incenso. Preso dalla curiosità, A2C2A decide di provare la
trasfigurazione: se quello è il cadavere di un tecnico allora la sua identità gli sarà molto utile.

A differenza di quel sentimentale lagnoso di Rho-Delta, A2C2A non ha nessuna voglia di entrare in
comunione con le memorie di quel disgraziato. A2C2A infila la sonda neurale nello spazio tra due
vertebre del cadavere e la usa per fare una copia delle memorie e delle strutture di pensiero che trova,
ma decide di tenerle separate dalle sue. Come una “macchina virtuale” dalla preistoria
dell’informatica, una copia della mente del cadavere continua a funzionare inclusa nel cervello di
A2C2A, del tutto inconsapevole di essere stata copiata. A2C2A decide di fare qualche modifica alle
memorie del cadavere (non molti gradirebbero di ricordare l’essere stati uccisi brutalmente a stivalate
in faccia) e di stare a guardare, pronto a prendere il controllo del corpo in caso capitasse qualcosa di
interessante.

Sun Yen Wen 41621. Sun Yen, per gli amici, se ne avesse.

Sedici anni standard, seminarista e tecnoadepto del Dio Macchinario. Poverissimo, solo al mondo.
Tante speranze per il futuro.

Non mancherà a nessuno. Il soggetto perfetto.

“μεταμόρφωσις ”, ordina A2C2A.

In pochi secondi il corpo e i vestiti di A2C2A vengono scomposti e ricomposti nella stessa forma che
avevano dieci minuti prima del pestaggio. A2C2A tocca il cadavere col pollice e comanda:

“κατάλυσις ”

I nanomeccanismi ripuliscono il pianerottolo dai resti del cadavere del ragazzino. A2C2A dedica un
secondo per studiarsi le caratteristiche del corpo che sta indossando: un ragazzino anemico, fisico
rachitico causa pessima alimentazione, carenze vitaminiche, nessuna esposizione al sole e vita
sedentaria. Miope, gobbo, debole. Pelle grigiastra, denti storti, mascella retrusa, capelli diradati e
sottili, da quarantenne. L’attività cerebrale è ottima, il ragazzo ha passato molti anni a studiare e a
ragionare. A2C2A decide che è il momento di lasciare via libera al ragazzo. Sun Yen ritorna a vivere
in una vita illusoria.
Il mondo forgia di Kai

Un posto di merda come pochi nell’universo. Colonizzato nella terza fase dell’espansione, il pianeta
Kai aveva condizioni decenti e un ecosistema primitivo, simile a quello della Vecchia Terra prima
dell’evoluzione dei vertebrati. Dato che c’erano pianeti assai più vivibili nelle immediate vicinanze,
i coloni avevano deciso di dedicare tutto il pianeta all’industria pesante. I mondi agricoli e residenziali
si godevano la tecnologia avanzata senza doversi gestire inquinamento e logistica industriale. I
tecnopreti erano fastidiosi da gestire, ma alla fine ci voleva poco a farli stare zitti.

Fino all’arrivo della Lunga Notte.

Di colpo i mondi del settore di Kai si trovarono isolati e completamente dipendenti dal mondo forgia.
I tecnopreti non persero l’occasione di passare al comando. Si dice che in meno di tre minuti
dall’arrivo della Notte, il mondo forgia di Kai avesse già iniziato a riconvertire le sue fabbriche alla
produzione bellica. I mondi circostanti si arresero senza sparare un colpo, senza i rifornimenti e
l’assistenza del mondo forgia quei pianeti sarebbero tornati all’età della pietra. I pochi che provarono
a ribellarsi vennero sterminati da navi robotizzate e da eserciti di robot prodotti in quantità industriale.

Adesso il mondo forgia di Kai è un posto da incubo: un complesso industriale grande quanto un
continente, tutto pianificato attentamente per essere più meccanicamente efficiente possibile.
Ciminiere alte centinaia di metri che soffiano fumi velenosi nell’aria inquinatissima, una coltre di
nuvole e di smog copre il cielo in continuazione, un continuo viavai di veicoli e di macchinari
sferragliano in giro, illuminati da vampate di luce rossa che li fanno sembrare dei ridicoli diavoli
usciti dalle leggende. Strade enormi, geometricamente perfette e affiancate da cavi e tubazioni di
dimensioni immense, disumane, disposte in modo da fare sentire chiunque come un insettino
insignificante, un intruso in un modo che appartiene ai macchinari. Un posto senza niente di organico
e di umano, a parte i milioni di servi, schiavi, operai, tecnopreti, sacerdoti, seminaristi, archivisti,
supervisori e tutti i membri di una società complicatissima e contorta. Il tutto sotto il comando della
casta dei Tecnomagi, ormai diventati tutt’uno col Sacro Macchinario.

Per Sun Yen, questa è storia antica. Quello che gli interessa ora è come venire fuori dalla situazione
in cui si è andato a infilare. I due operai della sezione penale che avrebbero dovuto fornirgli del Moda
non si sono presentati all’incontro. Spazientito, Sun Yen recupera il chip di credito che aveva nascosto
in una cassetta di derivazione, la richiude recitando un salmo veloce e si incammina verso la fabbrica.
Ormai si è rassegnato a cavarsela senza aiuti chimici, anche se gli è chiaro che senza quel farmaco
lui ha la stessa capacità di concentrazione di un morto. Per fortuna Sun Yen conosce tanti trucchetti
da ragazzo nato in un Mondo Alveare, molti dei quali gli sono utili anche qui. Ad esempio. Sun Yen
se la è tenuta per tutta la durata della lezione e intende raccogliere la piscia in un bottiglione appena
avrà cinque minuti liberi. Più tardi, si farà un giretto in uno dei laboratori e userà un distillatore-
recuperatore in modo leggermente irregolare. Circa il dieci per cento del farmaco viene rilasciato
nelle urine e si può recuperare con un poco di conoscenze di distillazione e una certa mancanza di
dignità umana. Alcuni dei seminaristi pagano abbastanza bene per un bottiglione di piscio di modone,
riconoscibile dalla puzza tremenda di zolfo!

Tutto questo non interessa a Sun Yen, troppo timido per fare commercio di piscio e troppo schifiltoso
per farsi di Moda di seconda mano, a meno che non sia suo. Pieno di preoccupazioni, Sun Yen si
dirige verso il reparto, lo aspettano sei ore di praticantato e sei di lezioni teoriche. Sun Yen può solo
sperare che il Moda che ha in corpo gli basti.

Praticantato in fabbrica
Sun Yen bestemmia in maniera poco consona a un seminarista nel vedere che il pannello di controllo
che deve controllare non è nel luogo segnalato dal database. Sicuramente c’era stato un pannello di
controllo in quel punto, ma ora c’è uno stanzino buio pieno di bidoni di cloro e di acido. Sulle pareti
ci sono ancora i sostegni e le tracce dei cavi e dei pannelli, ma sono stati rimossi chissà quanto tempo
prima. Sun Yen chiude delicatamente la porta dello stanzino per evitare una catastrofe e si sfoga
insultando uno dei Servitori che lavora nella stanza, a poca distanza da bidoni che possono ucciderlo
al minimo incidente:
“Tu, merda, dove sta il pannello 15/4B?”
“Padre”, gracchia il Servitore completamente rimbecillito, “si trova nella stanza alla Sua sinistra.”
“Fanculo” risponde Sun Yen assestandogli un calcio alle costole. Il Servitore non se ne accorge
neanche.
Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, Sun Yen decide di andare a interpellare il sacerdote di turno.
Inginocchiandosi e chinando la testa, Sun Yen gli chiede la locazione del pannello, aspettandosi come
minimo una scarica di insulti. Il sacerdote, abbastanza benevolo nonostante la sua posizione, gli
risponde che era stato spostato provvisoriamente dopo un incendio e che si trova al piano superiore,
tre stanze a sinistra, dietro allo scambiatore di calore. Sun Yen ringrazia umilmente e si chiede quale
malato di mente avesse messo un pannello in quel luogo pericoloso e difficile da raggiungere. “Ah,
vabbè”, pensa Sun Yen, “tanto su quel pannello devono lavorare solo i seminaristi!” Alla fine, si
trattava di un paio di interruttori da fare scattare, ma tra una cosa e l’altra aveva perso quasi un’ora.
Un’altra giornata senza pausa pranzo, ormai ci si stava quasi abituando.

A2C2A ne approfitta per prendere il controllo del corpo. Sun Yen non lo sa, ma è in pericolo. Basta
che uno dei due delinquenti racconti di averlo visto andare in giro dopo averlo ucciso per renderlo
oggetto di attenzioni sgradite. Bisogna toglierli dalla circolazione alla svelta. In pochi minuti, ADC2A
trova un saldatore, del filo, una unità di programmazione e un sintetizzatore vocale appena estratto
da un Servitore deceduto da poco. Un paio di minuti di programmazione bastano per registrare una
serie di comandi, grossolani ma efficaci, un algoritmo base. Il sintetizzatore è in grado di tradurre
l’algoritmo in lingua binaria parlata, usata per dare ordini ai Servitori. Se Sun Yen avesse installato
un sintetizzatore vocale per parlare in binarico non ci sarebbe stato bisogno di tutto questo lavoro, ma
A2C2A sa arrangiarsi con quello che trova.
A2C2A collega il sintetizzatore al pannello di controllo e passa un paio di fili a monte di un
interruttore, ci saranno un paio di postazioni senza luci elettriche per un poco ma nessuno ci farà
troppo caso. A2C2A esce dalla sala dello scambiatore di calore e aspetta il passaggio di un Servitore
di basso livello, che puntualmente arriva. Il Servitore, in vita una donna quarantenne minuta come un
uccellino, passa accanto a A2C2A senza neanche notarlo, nemmeno quando lui le appoggia il cavo
del neutro sulla base del cranio e il cavo della fase sulla piastra ottica frontale. Il Servitore si irrigidisce
e cade a terra, la scarica elettrica ha resettato il computer che teneva in vita quel poco che restava del
suo cervello organico. A2C2A mette in sicurezza i cavi, afferra il Servitore e lo porta nello stanzino,
ha solo pochi minuti per riprogrammarlo.

Li Wei si sta preparando alle ultime tre ore del suo turno, con un mal di testa orribile e un umore
ancora peggiore. Come al solito, lo spacciatore gli ha rifilato delle anfetamine di pessima qualità e
ora si sente come se l’universo intero gli stesse crollando addosso. Per peggiorare ancora la situazione,
un Servitore sbavante gli si presenta davanti e comincia a dargli ordini come se fosse una maledetta
divinità e non un pezzo di carne morta tenuto in piedi da un computer ficcato nel cranio e da
un’antenna ficcata su per il culo.

“Blbllblblll-B149EF A16 1045/D 1046/D gaahhhhhhhmmnnnmmm”

Il che significava, operaio B149EF (ossia Li Wei), compito A16 (trasportare a mano materiale inerte)
dal magazzino 1045/D al 1046/D. Li Wei risponde con un grugnito e uno spintone che manda il
Servitore per terra, ma si avvia verso il magazzino, gli ordini sono ordini. In pochi minuti Li Wei è
arrivato alla stanza 1045/D, piena di fusti di plastica bianca. Un altro si sarebbe chiesto perché
spostare quella roba inutile, ma Li Wei è troppo incattivito dal mal di testa e dalla rapina fallita a quel
seminarista. Come si era permesso di presentarsi ad un incontro commerciale senza neanche un soldo
dietro? Era evidente che voleva fregarlo!
Preso dal nervosismo Li Wei solleva brutalmente un fusto senza accorgersi che il fondo è stato tagliato
via. L’operaio ha appena il tempo di vedere la soluzione di cloro versarsi fuori dal fusto, dritta dentro
un bidone pieno di acido.

Sun Yen riprende conoscenza in un’alcova dietro una conduttura dell’acqua, confuso dal risveglio.
Evidentemente ha perso conoscenza per un secondo mentre si riposava, ma per fortuna non lo ha visto
nessuno. Rassettandosi la tonaca, Sun Yen fa per tornare al suo giro di controllo ma è costretto a
fermarsi: la stanza in cui si trovava fino a mezz’ora prima è stata invasa da una fuga di gas acido e le
porte tagliafuoco hanno bloccato tutte le vie d’accesso alla stanza.

Sun Yen riesce solo a pensare che quello è proprio il suo giorno fortunato.

Nel frattempo, il sacerdote urla ordini e insulti al pannello di comando, nel tentativo di attivare gli
aspiratori e far ripulire l’atmosfera della stanza e sbloccare le porte tagliafuoco. Tutto inutile, lo
Spirito del sistema di areazione è nervoso e non vuole collaborare, per quanto il sacerdote strilli. Il
sacerdote pronuncia la tredicesima preghiera di supplica allo Spirito del macchinario, una preghiera
rischiosa ma spesso efficace. Alla frase sacra “Ignorare tutti gli allarmi e procedere, nel nome di
Marte!” gli occhi dello Spirito macchina da rossi di furore diventano verdi di soddisfazione. Con un
suono stridente, le valvole si aprono e una pompa inizia ad aspirare l’aria contaminata per soffiarla
fuori. Un urlo disperato attrae l’attenzione di Sun Yen, a giudicare dal responso dello Spirito un
operaio era rimasto bloccato nella conduttura ed è finito ustionato e soffocato dal gas.

“Un’offerta votiva allo Spirito”, commenta soddisfatto il sacerdote: “Voglio che il suo corpo venga
recuperato, riparato e arruolato come Servitore.”
“Sarà fatto, Padre.”, risponde laconico un Servitore da assistenza.
“Reverendo padre, chiedo di presenziare alla consacrazione”, esclama Sun Yen preso da un impulso
di cui non capisce la ragione.
“Figliolo, non sapevo avessi interesse per le arti del Genetor”, dice il sacerdote con un tono tra il
paterno e il sospettoso. Una delle lenti che ha al posto degli occhi punta su Sun Yen, mettendolo a
fuoco e inquadrandolo per la prima volta dopo mesi di tirocinio.
“Reverendo padre”, risponde Sun Yen ansimando e maledicendo la sua carne organica che lo
contamina con i suoi istinti, impulsi e ormoni: “Voglio allargare la mia formazione generale. E poi
sono crediti formativi in più!”
“E sia!”, risponde il sacerdote ritornando al suo lavoro. Sun Yen non sa che per lui gli studenti
seminaristi sono del tutto invisibili. Il sacerdote si è già dimenticato di lui.

Il sistema di Kai – il mondo di Chen Bin

Mentre il mondo di Kai è un mondo di merda per i macchinari, il mondo di Chen Bin è un mondo di
merda per gli esseri umani. Povero di risorse ma dotato di un clima decente e di una posizione
centrale, Chen Bin era stato destinato ad ospitare l’amministrazione pubblica, il commercio e le
abitazioni dei benestanti. I Tecno Magi lo hanno requisito e trasformato in un centro abitativo, un
posto dove scaricare la popolazione non necessaria ai mondi circostanti. Un posto dove nascere,
crescere, riprodursi e morire in un edificio alto chilometri, perso tra migliaia di altri edifici simili. I
fortunati, quelli per cui viene trovato un utilizzo, vengono scelti per essere trasportati nei mondi
circostanti e avere una vita migliore. Tutto questo senza la possibilità di avere una famiglia, un pianeta
agricolo o un mondo forgia non sono posti adatti per crescere un bambino. Chen Bin è una fabbrica
intensiva di personale, così come Kai è una fabbrica di materiale.

Per Sun Yen questa è la base della sua vita. Figlio di un funzionario di basso livello, discendente da
una famiglia di coloni Pan-Asiatici, Sun Yen non è mai stato benvoluto dai suoi coetanei. Mentre gli
altri ragazzini si facevano di steroidi o di anfetaminici e consumavano la loro vita nelle eterne guerre
tra bande, Sun Yen studiava con la costanza di chi vedeva lo studio come l’unica possibilità di
evasione da una vita disumana. Il Moda, la droga degli studiosi, lo aiutava a reggere i ritmi di studio
e a memorizzare le quantità enormi di informazioni richieste. Mentre Sun Yen si preparava a prendere
i voti di tecnoprete, suo padre perdeva sempre di più il contatto con la realtà e i litigi diventavano
insopportabili. A quindici anni, Sun Yen decise di prendere i voti da tecno seminarista e di andarsene
da casa. Non che Sun Yen fosse particolarmente devoto o entusiasta riguardo al culto del Dio
Macchinario, ma per uno come lui le possibilità di uscire dall’unità abitativa erano abbastanza scarse:
esercito e marina accettavano solo i culturisti e i picchiatori delle bande, il servizio sulle astronavi era
impossibile per uno con i suoi problemi di agorafobia e il culto dell’Ecclesiarchia era semplicemente
vomitevole per un razionalista come lui.
La sera prima, Sun Yen fece l’ultimo tentativo per parlare con suo padre. Incredibilmente, il dialogo
sembrò andare bene, suo padre sembrava calmo e tranquillo, fino al momento in cui gli disse una
frase che gli gelò il sangue:

“Na Yen, ma tu non hai mai visto mio figlio Sun! Vieni a vederlo, è tutto sua madre! Per ora gli sono
venute delle fantasie strane, ma stai tranquillo che lo raddrizzo per bene appena ho tempo.”
“Pà”, rispose Sun Yen con un groppo alla gola: “sono io Sun Yen. Na Yen era tuo fratello. È morto
dieci anni fa.”
“Si, si, hai ragione”, risponde suo padre: “Figurati, sta sempre a leggere quei libri. Quando va a
scuola glieli strappo sempre poi gli dico che è stato lui e non se lo ricorda! Hehe!”
“Pezzo di merda”, risponde Sun Yen: “lo sapevo che eri tu, ma non volevo litigare.”
“Ma… ma… Perché mi parli così?”, piagnucolò suo padre: “Dov’è mio figlio?”
“Sei completamente rincoglionito dagli antidepressivi. Resta in questo buco di fogna e crepa di
cancro. Io me ne vado a vivere.”
“Dov’è mio figlio? Dov’è? Chi sei tu? CHI SEI? Yu Yan? DOVE SEI? AIUTO! VIENI QUI!” urlò
suo padre chiamando sua moglie morta da quindici anni.

Sun Yen se ne andò senza voltarsi indietro. Poche ore dopo, era su una nave trasporto diretta per il
mondo di Kai, insieme a pochi altri seminaristi del Dio Macchinario, qualche nobile
dell’amministrazione locale e una grande quantità di schiavi-operai, molti dei quali culturisti
giganteschi resi deformi dagli ormoni artificiali.

Il Genetor

Sun Yen entra nell’ospedale, guidato da un piccolo localizzatore che gli mostra una mappa e un
percorso da seguire, oltre a dargli le autorizzazioni per passare le porte allarmate. Il sacerdote non ha
fatto a meno di ripetergli che il localizzatore gli serve solo perché il suo corpo è ancora organico, un
corpo aumentato avrebbe avuto solo bisogno di un impulso di comando per programmare percorso e
permessi.

Sun Yen entra nel locale di un piccolo ascensore, nascosto fuori vista dietro un angolo e privo di ogni
indicazione o pannello di comando, a parte un teschio umano in un recesso della parete. Due occhi
dello Spirito Macchinario guardano Sun Yen dagli occhi del teschio e lo benedicono di luce verde,
aprendo le porte dell’ascensore. Sun Yen china la testa in ringraziamento ed entra, recitando la
seconda preghiera di attivazione. L’ascensore è quasi completamente buio a parte per due file di luci
rosse e ha un forte odore di chiuso. Probabilmente non viene usato quasi mai, i pazienti arrivano ed
escono tramite i montacarichi e il Genetor non ha modo di uscire dalla basilica. Dopo vari minuti di
tragitto, l’ascensore si apre lasciando entrare una volata di aria gelida e secca, odorosa di disinfettanti.

La basilica dei Genetor è un edificio circolare, buio, gelido e impregnato dell’odore acre dei
disinfettanti post-mortem, molto più forti di quelli usati in ospedale. Contro il perimetro della stanza,
dozzine di letti e di bare di contenimento, alcune vuote e altre occupate da forme indistinte. Cavi,
tubazioni e sensori pendono dal soffitto e terminano nelle forme dei pazienti, oppure penzolano in
aria lasciando libero il passaggio. Al centro del cerchio, un tavolo metallico circondato da macchinari,
illuminato da un proiettore sistemato sul soffitto. Tre montacarichi ai bordi della stanza, a novanta
gradi di distanza uno dall’altro. Sun Yen approva la disposizione della basilica, estremamente
confortevole per chi deve lavorarci.

Uno sferragliare attrae l’attenzione di Sun Yen. Il Genetor entra nella zona illuminata della stanza e
si mostra.

La Genetor.

Una sostenitrice della filosofia dei Funzionalisti, la Genetor ha modificato il suo corpo per renderlo
perfettamente adatto al suo lavoro, anche a costo di allontanarsi irrimediabilmente dalla forma umana.
Le gambe della Genetor sono state amputate a metà coscia e sostituite con una piattaforma su ruote.
Le braccia sono state amputate e sostituite da sei arti meccanici angolati come le zampe di un ragno,
lunghi diversi metri ed equipaggiati con dozzine di lame, manipolatori, sonde, aghi, laser, telecamere,
pinze e dozzine di altri strumenti. A tre metri di altezza, una testa senza più nulla di umano, una via
di mezzo tra una maschera antigas e il cranio di un ragno meccanico. Al centro di quella mostruosità,
un torso femminile, giovane, nudo, atletico, irreale nella sua perfezione statuaria, i seni larghi, sodi e
rivolti verso l’alto, i fianchi con una forma perfetta che nessun artigiano potrebbe mai uguagliare. La
voce che esce da quel cranio è femminile, naturale, perfettamente modulata:

“Bene, sei tu il seminarista che ha chiesto di assistere. Non si vedono molti giovani del tuo ordine
interessati in questo tipo di cerimonie.”
“Si Reverenda Madre, col suo permesso vorrei assistere”, risponde Sun Yen faticando nel mantenere
il controllo della voce. Anche prima di aver preso i voti, Sun Yen ha avuto pochissimi contatti col
sesso femminile ed è estremamente sconcertato da quello che vede. Una parte di lui vuole restare
ferma a guardare, un’altra vorrebbe essere da un’altra parte.
“Meno formalità, per favore!” esclama divertita la Genetor: “Chiamami Lysa! Su, dammi una mano,
invia un SYN/ACK all’ascensore e iniziamo.”
“Non posso ancora parlare in binarico, Reverenda”, dice Sun Yen vergognandosi un poco: “Non ho
ancora congiunto il mio corpo al Dio Macchinario.”
La Genetor emette una risata, gradevole e perfettamente naturale, e inizia a mettere a fuoco i suoi sei
occhi sul seminarista. “Ancora vergine, quindi? Un così bel ragazzo, così giovane e carino, ancora
vergine? Non preoccuparti tesoro, ti posso aiutare.” Nel frattempo, emette un gemito in binarico e le
porte dell’ascensore si chiudono alle spalle di Sun Yen. Le sei braccia si aprono in una posa da ragno
iniziando a scegliere gli strumenti più adatti. “Forse più avanti penseremo a qualcosa di più invasivo,
ma intanto ti offro l’installazione di una porta interfaccia standard e di una serie di organi artificiali.
È un buon inizio e grazie a me lo avrai gratis.”
La Genetor si avvicina a Sun Yen, tagliando ogni via di fuga. Intanto un paio di braccia meccaniche
liberano il tavolo operatorio e iniziano a spandere disinfettanti. Sun Yen sente gli odori del corpo del
Genetor, un misto di disinfettante, sangue, olio lubrificante e l’aroma acre di una donna umana in
stato di eccitazione sessuale. Il pube glabro della Genetor è proprio di fronte alla faccia del
seminarista. Col poco di stabilità mentale che gli è rimasta, Sun Yen capisce che il ronzio che sente è
il suo chip di credito che sta processando una transazione. Fulmineo, se lo toglie di tasca e visualizza
lo schermo:

--- TRANSAZIONE IN CORSO DA -REVERENDA MADRE GENETOR LYSA AUGUSTUS-


VERSO -SEMINARISTA SUN YEN WEN 426121-
--- OGGETTO: SERVIZI DI BIOMIGLIORAMENTO CHIRURGICO
--- COSTO: 0.00 CREDITI
--- TRANSAZIONE PREAPPROVATA
--- PENSIERO DEL GIORNO: La carne è debole, il metallo è sacro.

Con una velocità che Sun Yen non immaginava di possedere, schiaccia i pulsanti corrispondenti alla
sequenza di cancellazione.

--- TRANSAZIONE ANNULLATA


--- BLOCCO CHIP IN CORSO
--- CHIP BLOCCATO

La Genetor si ferma come se avesse urtato una montagna. Scuoiare vivo un seminarista è una cosa da
niente. Eseguire una transazione non autorizzata comporta la disattivazione.

“Ragazzino, sei furbo, ma non tanto furbo”, dice la Genetor in tono casuale: “quando vedrai i prezzi
della chirurgia tornerai da me in ginocchio.” Uno squittio in binarico e la porta dell’ascensore si
riapre. “Non so cosa volevi fare qui, ma se vuoi andartene sei ancora in tempo.”
“No, rimango”, risponde Sun Yen, consapevole del fatto di essere al sicuro fino a che il suo chip è
inattivo, ma del tutto inconsapevole di quale impulso lo spinga a restare.

Lo Spirito del montacarichi centrale ammicca con i suoi occhi, prima in giallo poi in verde. Le porte
si aprono e una barella rinforzata viene spinta nella basilica da uno schiavo con la tunica bianca e
azzurra dei Medicae. La Genetor proietta in avanti le sue sei braccia e disconnette le miriadi di cavi
e tubi che collegano la barella all’ascensore, ricollegandola immediatamente a una serie di tubi e cavi
che pendevano dal soffitto. Lo schiavo fa un inchino e il montacarichi si richiude con un sospiro
metallico.

Collegata ai sistemi della barella, la Genetor inizia a recitare i dati del paziente:

“Operaio di terza categoria B140A9. 18 anni, maschio. Altezza 1.88, peso 120 chili. Pressione 90/70,
battito 90, saturazione 98%. Estrema ipertrofia muscolare, probabilmente causata da abuso di
testosterone, ormone della crescita e anabolizzanti. Rilevata la presenza di anfetamine, eroina e
cocaina in circolo. Livelli di testosterone dieci volte la media.
Il soggetto ha ricevuto lesioni invalidanti causa esposizione a gas acido. Il tessuto polmonare è
danneggiato e il soggetto è mantenuto in vita artificialmente.
Secondo gli ordini del Tecnoprete Julius Venator, il soggetto è stato stabilizzato e proposto per la
ricostituzione come Servitore. I dettagli sono a discrezione del Genetor.”

Un paio di carrelli elevatori sollevano il corpo dell’operaio e lo depositano delicatamente sul tavolo.
È un uomo enorme, con fasci di muscoli deformi che guizzano sotto la pelle, tatuaggi tribali da
carcerato, espressione grossolana e cattiva, testa rasata, carnagione grigiastra. Sun Yen lo riconosce
come uno dei due che gli aveva promesso del Moda a basso costo.

“Eccoci qui”, inizia la Genetor: “dovremmo levargli tutto quel sangue cattivo e sostituirlo con del
sangue buono per prepararlo per l’operazione, ma lui è stato cattivello e si è rovinato tutte le vene
delle braccia con le iniezioni! Dobbiamo essere un po' creativi!” Due dei servobracci della Genetor
afferrano aghi grossi come pennarelli e li infilano nelle arterie femorali dell’operaio. Uno dei tubi
inizia a pompare sangue fresco, l’altro pompa via il sangue verso una unità filtro.

“Per prima cosa, installiamo un’interfaccia da Servitore per rendere il nostro amico più efficiente!”
Un servobraccio estrae una serie di lame chirurgiche che asportano l’occhio sinistro, l’orecchio destro
e la giuntura destra della mascella. Prima che le ferite inizino a sanguinare l’altro braccio cauterizza
i vasi sanguigni con uno strumento piccolo come un capello. I pezzi estratti vengono conservati in un
cassetto refrigerato e il primo braccio inietta qualcosa nelle ferite, probabilmente il liquido con i
nanomeccanismi che effettuano la connessione tra i nervi e le interfacce delle parti bioniche. Un
secondo di pausa e il secondo braccio inserisce le parti bioniche, un occhio, un orecchio e la mascella,
tutto in acciaio chirurgico scintillante. Un trapano pratica sei fori nel cranio dell’operaio, subito
seguiti da una serie di micromanipolatori che installano dei jack metallici piccoli come monetine.
Infine, uno dei servobracci prende una calotta metallica da un cassetto nel soffitto e la cala sul cranio
dell’operaio, facendo scattare i jack.

“Ecco, ora il nostro amico è in grado di interfacciarsi con lo Spirito, leggere, capire e parlare il
binarico!” esclama giuliva la Genetor.

Sun Yen si avvicina all’operaio, vuole vedere con i suoi occhi il modo in cui le protesi bioniche si
interfacciano al sistema nervoso umano. Prima o poi anche lui dovrà sottoporsi a una procedura
simile, se vuole una minima possibilità di carriera.

L’occhio bionico si mette a fuoco con un ronzio e punta verso Sun Yen. L’operaio muove i muscoli
della faccia, incattivita anche durante l’incoscienza.

“Tu sei mortooooooo morto mortooooooooooo”

La voce artificiale proveniente dall’altoparlante nella mascella manda Sun Yen nel panico più totale.
Il seminarista fa un salto indietro, per poco non si decapita da solo contro la lama segaossa della
Genetor. “Ma quello è vivo e cosciente!” urla, consapevole di avere detto un’idiozia.

“Ma certo che lo è, figliolo!”, ridacchia la Genetor: “Normalmente andrebbe sedato, ma io,
sciocchina, me lo sono scordato! Gli ho solo dato un miorilassante per farlo stare buonino. Tanto
sarà lobotomizzato alla fine della procedura. Non ricorderà niente, anzi proprio non penserà più a
niente!”

Pochi minuti dopo, Sun Yen è sull’ascensore diretto verso la superficie. Non sa se mettersi a urlare,
piangere, vomitare o farsi una sega, quello che ha visto lo ha traumatizzato come niente al mondo. La
Genetor aveva aperto in due l’operaio, ne aveva sostituito, polmoni, trachea e costole con parti
bioniche, impiegando pochi minuti per un lavoro che una squadra di Medicae umani avrebbe svolto
in venti ore. Poi aveva lobotomizzato l’operaio con una scarica elettrica e lo aveva depositato su una
delle barelle, pronto a essere usato quando richiesto. L’ascensore si era aperto e Sun Yen se ne era
andato senza dire una parola, ignorato dalla Genetor. Sun Yen è traumatizzato, ha sempre accettato la
presenza dei Servitor come qualcosa di sgradevole ma naturale, non si è mai dato la pena di pensare
davvero a come venissero costruiti. Inoltre, vedere una scena così sessualizzata lo ha disturbato
parecchio, nonostante la castrazione chimica da seminarista.

Non che ci fossero grandi possibilità di fare sesso fin da prima, pensa acido Sun Yen.

Intermezzo

A2C2A si sente un poco in colpa per avere messo in pericolo la vita di Sun Yen e per averlo messo in
una situazione così sgradevole, ma rimane ancora da dimostrare se un software organico copiato su
un cervello non suo si possa considerare come “essere umano” e che diritti abbia. Di sicuro i filosofi
di Esperia ne discuteranno fino a consumarsi le sinapsi.

Passando ad argomenti più pratici, A2C2A decreta che la sua posizione è interessante quanto
rischiosa. Di sicuro sta imparando parecchio sulla tecnologia, la cultura e la società disumana che sta
visitando. Il problema è che si è dovuto lasciare indietro tutto l’equipaggiamento, in un posto come
quello si viene passati continuamente agli scanner di sicurezza. Anche l’oggetto più banale verrebbe
scoperto subito, figuriamoci qualcosa come lo Howitzer o il braccialetto. A2C2A è indifeso in un
luogo pericoloso, al punto che ha dovuto prendere il controllo a forza per evitare di essere operato
senza anestesia e violentato da un mostro chirurgico in un mortorio, tra cadaveri ambulanti e schiavi
lobotomizzati.

Non c’è che dire, un’esperienza interessante.

A2C2A decide di smetterla di interferire. Le minacce immediate sono state eliminate, è il momento
di osservare pacificamente la vita del seminarista per qualche giorno, inscenare un incidente
industriale e tornare a casa alla svelta.

L’arancione

Sun Yen approfitta di un momento di pausa durante la lezione di neolatino e si fa una corsa verso il
bagno di servizio. Di solito se la tiene, ma quel giorno proprio non ci riesce. Sun Yen apre la porta, si
precipita dentro e si rimangia una bestemmia nel vedere che è già occupato. Dentro, un altro
seminarista proveniente dallo stesso alveare di Sun Yen, ma da un livello differente noto perché le
vasche idroponiche erano infettate da un’alga mutante che produceva beta-carotene in quantità
industriali. Nessun effetto sulla salute, a parte il fatto che i residenti di quel livello avevano la pelle
arancione.

Su scala planetaria, i due erano vicini di casa.

Sun Yen rimane fermo per un attimo, cerca una scusa per andarsene senza destare sospetti, ma
l’arancione lo previene tirando fuori una bottiglia a collo largo da sotto la tunica e iniziando a pisciarci
dentro. Senza dire una parola, anche Sun Yen fa lo stesso, la puzza di zolfo vale più di mille discorsi.

Dopo un minuto, l’arancione dice casualmente: “Tranquillo, qui ci facciamo tutti di modimodi,
altrimenti come faremmo a reggere le lezioni?”
“Ah, sì, non…”, balbetta Sun Yen, confuso dall’interazione umana, la prima da mesi: “noi al
tredicesimo livello lo chiamiamo Moda, ma si, certo, pure noi, insomma.”
“Tredicesimo? Quello con tutte quelle condutture strette e piccole?”, risponde gioviale l’arancione:
“noi lo chiamavamo la topaia. Almeno voi non diventate arancioni! Voi come ci chiamavate?
Carote?” Il ragazzo intuisce il disagio di Sun Yen e si appoggia alla conduttura dell’acqua, stando al
suo fianco e risparmiandogli lo sforzo di guardare negli occhi un altro umano.
“Eh, sì, cioè, no”, balbetta Sun Yen, confuso. Come al suo solito, rimane talmente frustrato dalle sue
difficoltà sociali che per superarle inizia a comportarsi come un idiota arrogante e aggressivo. “Senti,
non so cosa vuoi ma non abbiamo niente da dirci e ora me ne vado!”, sbotta prima di voltarsi verso
la porta e fare per uscire.
“Lysa ti manda i suoi saluti”, dice il ragazzo, sorridendo: “dice che il mese prossimo ti tratterà bene,
le hai fatto una buona impressione.”
“Cosa?” chiede Sun Yen.
“Hai un tumore maligno al pancreas, tre centimetri di diametro, asintomatico, per ora”, dice il
ragazzo con lo stesso sorriso di prima: “hai poche settimane di vita e non ti puoi permettere le terapie.
Lysa ti ha fatto una TAC mentre te ne andavi, il tuo odore corporeo non la convinceva.”
Sun Yen è letteralmente raggelato, non sa cosa dire o fare.
L’arancione si allontana dalla conduttura, si rassetta la tonaca e fa per uscire dal bagno, passando
accanto a Sun Yen: “Lavora per noi e ti paghiamo degli organi di ricambio. Bionici, biologici, come
li vuoi, per noi è lo stesso. Altrimenti, preparati a fare un viaggio a senso unico verso la Basilica.” Il
ragazzo lascia cadere un pic-slate nella tasca di Sun Yen ed esce.

Sun Yen impiega più di un’ora per trovare il coraggio di uscire.

Intermezzo 2

Dal catechismo introduttivo della Chiesa del Dio Macchinario

A differenza di tante altre istituzioni, l’Adepto Meccanico non pratica il nepotismo: chiunque dimostri
la giusta devozione può essere ammesso al servizio del Dio Macchinario. A tale scopo, durante
l’ordinazione sacerdotale il seminarista perde il suo nome e il suo cognome, per assumere una nuova
identità. Non ci sono differenze tra i figli di un Governatore e gli orfani dei sottolivelli: tutti sono
uguali agli occhi del Dio Macchinario. La Chiesa del Dio Macchinario non si intorbida nei favoritismi
e nel nepotismo, ma chiama le nuove leve dai ranghi della vita civile a ogni generazione.

A tale scopo, la castrazione chimica e il voto di povertà liberano il seminarista dalle distrazioni che
gli renderebbero impossibile dedicarsi in tutto e per tutto al culto del Dio Macchinario.
(…)

Il giovane che ha deciso di seguire la strada del presbiterato meccanico deve sviluppare la sua
formazione secondo quattro aspetti:

La formazione teorica

Chi è chiamato al presbiterato deve crescere nelle sue conoscenze teoriche. La conoscenza del
binarico, dei principi di base della matematica, della chimica e della fisica, il neolatino e la lingua
Gotica, tutte queste nozioni forniscono la base per l’esercizio del magistero.

La formazione pastorale

L’intera formazione del presbitero è destinata al renderlo capace di interagire con la scintilla di
Divinità che si trova in ogni macchinario, anche il più minuscolo. A tale scopo, il seminarista studierà
procedure pratiche di manutenzione e installazione, muovendo i suoi primi passi in un ambiente
benedetto dal Dio Macchinario.

La formazione fisica

Nessuno può compiere appieno la comunione col Dio Macchinario con un corpo umano. A poco a
poco, il seminarista sostituirà la sua carne debole e fallibile con metallo sacro e incorruttibile, a
seconda della sua vocazione.

La formazione spirituale

Il seminario è la scuola che educa all’ascolto della Parola binaria attraverso la meditazione, le lezioni,
le celebrazioni, i momenti di interfacciamento col Macchinario divino. Tale ascolto permette di
prepararsi al compito di annunciatori della Parola binaria tramite le Porte Logiche.

Decisioni

Sun Yen ha passato una giornata all’ospedale, ora sta girando a vuoto per i corridoi di accesso libero
del complesso industriale, un labirinto di passaggi piccoli e tortuosi, illuminati da luci tremolanti e
tenuti puliti da Servitori sbavanti. Ci sarebbero anche delle strade dritte e veloci da percorrere, ma
quelli come Sun Yen soffrono di agorafobia cronica dovuta agli anni passati a correre tra i cunicoli
della “topaia”.

Sun Yen è completamente sopraffatto dalla notizia, un cancro maligno, incurabile, inoperabile. Non
può permettersi le cure e non rientra ancora nei canoni per avere un corpo bionico assegnato dalla
chiesa. Dopo varie ore, esausto, riesce a raggiungere un vicolo cieco e a sedersi in un angolino. La
sua mano destra tira fuori il pic-slate, un modello vecchio, standard. Lo schermo si accende e proietta
una serie di immagini astratte, simili a un mandala o a uno schema elettronico. Sun Yen quasi sorride
nel ricordare il trucchetto, regola la persistenza dello schermo al massimo e inizia a fare scattare le
immagini velocemente, componendole insieme sullo schermo. I ragazzini usavano quel trucchetto
per passarsi a vicenda le immagini porno attraverso la censura.

Una serie di coordinate. Abbastanza vicino, ma in una locazione che Sun Yen non conosce. D’istinto,
Sun Yen decide di andare a visitare il posto, anche se il suo impulso sarebbe quello di correre nella
sua stanza, infilarsi nel letto, fare overdose di sonniferi e dormire fino al giorno dopo. In pochi
secondi, il seminarista programma il locator per un percorso attraverso le condutture. Camminare
attraverso i condotti lo ha sempre rilassato, gli schemi di colori dei cavi e delle tubature disposte a
vista sulle pareti lo hanno sempre calmato con la loro uniformità. Rosso, sinoplo, cenerino, aranciato
e bruno, una fila di colori semplici e schematici, regolari contro il cemento grigio del condotto. Teschi
umani, disposti a intervalli perfettamente regolari, guardano i passanti da recessi nella parete. Per il
cervello autistico di Sun Yen, un paradiso.

Dopo un periodo indefinito (Sun Yen tende a perdere il senso del tempo quando cammina), il
seminarista arriva a destinazione, uno dei confessionali dedicati al Dio Macchinario. “Abbastanza
furba come idea”, pensa Sun Yen: la segretezza della confessione è uno dei diritti sanciti dal
concordato che regola la separazione tra stato e chiesa. In questo caso si trattava più che altro di
separazione tra branche differenti dello stato-ecclesia, ma la pratica restava la stessa. I seminaristi e i
novizi in grado di spegnere i loro potenziamenti bionici avevano il diritto di ricevere una confessione
in privato.

Dopo avere ascoltato i vari avvertimenti e le liberatorie legali, Sun Yen apre la porta metallica
pesantemente isolata e si trova nel vestibolo, una grande camera circolare perfettamente pulita e
spoglia, odorosa di ozono e incenso sintetico, illuminata da dozzine di candele votive. Gli emettitori
EM vibrano con un ronzio che fa tremare le ossa, appena avvertibile ma sicuramente potentissimo.
Sun Yen reprime un moto di irritazione istintiva, sa bene che le scariche elettromagnetiche nel
vestibolo sono innocue per la carne umana quanto letali per ogni apparecchiatura elettronica. Al
centro della sala, un piccolo edificio in metallo schermato, poco più grande di una celletta monastica,
l’emblema della Ruota Dentata sulle porte.

Sun Yen recita la preghiera incisa sulla parete e la porta si apre, rivelando una camera in penombra,
con un inginocchiatoio, un paio di ceri e la cabina del confessore. Sun Yen entra e le porte si chiudono
dietro di lui. Nessun segnale sarebbe uscito da quella stanza e anche se qualcuno avesse provato a
registrare la confessione nessun mezzo di registrazione sarebbe sopravvissuto all’uscita nel vestibolo.
Riguardo al confessore, non sarebbe uscito dal confessionale se non da morto.
Sun Yen si trova nel posto più sicuro e privato di tutto il pianeta.

“La Logica sia con te, figliolo”, recita una voce completamente meccanica dalla cabina: “ma è meglio
se butti via quella roba”. Sun Yen bestemmia nel notare che il pic-slate, dimenticato in tasca, ha preso
a fumare. Solo il tessuto ignifugo e isolante della tonaca gli ha risparmiato una brutta ustione alle
cosce.

Sun Yen solleva i bordi della tonaca e rovescia la tasca, buttando a terra il pic slate rovinato e avvolto
da una nuvola di fumo. Il seminarista non sa cosa fare per recuperare la dignità dopo questa scena
imbarazzante. Per fortuna, il confessore intuisce la sua difficoltà e gli dice: “c’è un contenitore
nell’angolo.”

Sun Yen afferra il pic-slate con il bordo della tonaca e lo getta nella fessura del contenitore. La puzza
di circuiti abbrustoliti passa quasi subito.

“Sun Yen” afferma il confessore: “Ti aspettavo.”


“Onorato padre”, inizia Sun Yen prima di rendersi conto di non avere niente da dire.
“Non devi parlarne con me”, interrompe il confessore. Le pareti in plexiglass bianco del
confessionale si piegano e rientrano nella parete. Il confessore è solo una testa umana incastonata
nella parete, circondata dai macchinari che la mantengono in vita: parlare, ascoltare e vedere, le
uniche funzioni umane necessarie per il suo compito.

Confessione

Quello che interessa Sun Yen è un artefatto tecnologico, un cerchio di circuiti stampati con al centro
una finestrella grande quanto una mano aperta. La finestrella, coperta da uno schermo di cristallo
tecnologico spesso vari centimetri, emette una luce violacea in mutamento continuo, liquido. A Sun
Yen ricorda una di quelle finestrelle da ispezione che ci sono nei serbatoi o nelle condotte, ma la
sensazione che ha è quella di guardare in un luogo tremendamente lontano e ostile, non
semplicemente attraverso uno schermo protettivo. Intanto, i colori e le luci continuano a cambiare,
varie tonalità di violetto che ruotano secondo uno schema ipnotico. Sun Yen pensa a un serbatoio di
gas illuminati da una luce lontanissima, in stato di continua ebollizione e liquefazione. Viola,
magenta, fucsia, fandango. Viola, magenta, fucsia, fandango. Una pozza di liquido petrolchimico dai
colori iridescenti. Uno di quei cocktails liquorosi distillati artigianalmente. Viola, magenta, fucsia,
fandango.

Un volto umano si forma a poco a poco tra le volute di gas, raffinato, elegante, molto diverso dalle
facce che Sun Yen è abituato a vedere. Un braccio meccanico esce da una feritoia nel soffitto e collega
un cavo a un jack esagonale sul bordo della finestrella, mentre un altro braccio collega l’altro capo
del cavo a un jack simile, impiantato sulla tempia del confessore.

Sun Yen ha un brivido involontario, gli sono tornati alla mente ricordi sgradevoli.

“Benvenuto in questo luogo. Grazie per avere risposto al mio invito”, declama il confessore con una
voce raffinata ed elegante, simile a quella di uno straniero che ha passato anni a studiare grammatica
e dizione: “la prego di perdonarmi se uso questo mezzo grossolano per comunicare, ma non credo
che lei parli il Mabrahori.”
“Nessun problema”, risponde confuso Sun Yen. Nessuno gli si è mai rivolto con tanto rispetto, a parte
i Servitori.
“Se permette, non sto parlando con lei”, risponde educatamente il confessore: “Lei non è nemmeno
un fantasma. Vorrei parlare col suo amico col nome in esadecimale”

A2C2A impiega quasi un secondo per riprendersi dallo shock della scoperta. La somiglianza fisica
col corpo di Sun Yen è perfetta a livello cellulare, se non molecolare. Dal punto di vista
comportamentale, la finzione è perfetta. Da tutti i punti di vista, Sun Yen è ancora vivo e sta solo
avendo una settimana un poco strana.

“Concordo con lei, la sua finzione è perfetta. Lei è Sun Yen, da tutti i punti di vista.”, continua il
confessore: “Il suo passaggio attraverso il Warp è stato osservato, così come il suo comportamento
sul pianeta. Lei si è dimostrato un uomo in cerca di conoscenza, una vera rarità in questa epoca dove
ragionare è diventato un peccato mortale.”

A2C2A mette in pausa l’applicazione “Sun Yen” e prende il controllo del corpo, con la disinvoltura
di chi ha vissuto centinaia di anni e indossato migliaia di corpi. “Non sono un ambasciatore e non
posso parlare a nome della mia gente”, avverte A2C2A: “ma le confermo che la mia presenza qui è
solo a scopo conoscitivo.”

Il volto violetto annuisce e il confessore ricomincia a parlare: “Questa è una cosa che apprezziamo.
Anche la mia missione in questo luogo è quella dell’osservatore. Di solito non intervengo, se non in
casi eccezionali. Mi dica, cosa posso fare per dimostrarle la nostra buona fede?”

A2C2A risponde senza esitare: “voglio ciò che voi considerate la cosa più preziosa di tutte. Voglio il
segreto di Kai.”

Intermezzo 3

Pochi giorni prima.

Sun Yen ha finalmente trovato il punto dove lo Spirito della levigatrice ha manifestato la sua
irritazione: un contatto elettrico che sembra normale agli occhi della carne, ma che appare rosso di
furia agli occhi del visore termico. Per un attimo Sun Yen pensa a un sovraccarico, ma l’ostia
consacrata posta a protezione della linea elettrica non si è bruciata, quindi l’amperaggio è normale.

Sun Yen inizia la lunga serie di preghiere e cerimonie per spegnere la vitae al circuito, prima di
sistemare il contatto. Sicuramente si è allentato e gli archi elettrici tra le superfici e il cavo hanno
generato calore e fastidio da parte dello Spirito. Dopo avere impartito il numero corretto di
semirotazioni alla vite, Sun Yen posiziona il contatto secondo la direzione stabilita dal breviario e fa
ripartire la levigatrice. Con la scusa di controllare che il contatto non perda l’allineamento, Sun Yen
passa qualche minuto ad osservare i movimenti dei meccanismi, fin da bambino ha provato un fascino
ipnotico verso le parti elettromeccaniche in movimento.

A2C2A intanto osserva con attenzione il modo in cui Sun Yen lavora. I principi base sono quelli
giusti, altrimenti non potrebbe mai effettuare una manutenzione efficace. Il problema è che le
procedure gli sono state insegnate in forma di preghiere e formule da imparare a memoria, per giunta
inquinate da una enormità di fesserie pseudo religiose. Le tecniche di manutenzione di Sun Yen sono
come tutto il resto della tecnologia che ha attorno: orribilmente inefficienti e ritualizzate, uno spreco
assurdo di tempo, risorse e materiali, sostenibile solo perché il mondo forgia può predare le risorse di
una dozzina di mondi.

In parte, ciò si potrebbe spiegare con una ricaduta nella barbarie e nell’ignoranza seguita a una
catastrofe, ma non del tutto. Nella storia, l’umanità ha sempre trovato il modo per risollevarsi dopo
guerre, catastrofi e calamità varie, mentre in questo caso l’umanità sembra caduta in un pozzo senza
fondo di ignoranza e bestialità. A2C2A è abbastanza indispettito dal non potere risolvere questo
mistero, le risorse e la posizione di Sun Yen sono di gran lunga troppo misere per accedere ai segreti
del pianeta. Forse è il caso di iniziare una missione di infiltrazione a lungo termine, ma questa è una
cosa di cui discutere con Esperia.

Il segreto di Kai

Nel bordo della finestrella si aprono tre spie circolari, meno di un millimetro di diametro. Una di esse
proietta una tastiera olografica, molto più veloce di una tastiera meccanica. Le altre due sono un
display a proiezione retinale, capace di proiettare una schermata direttamente sulla retina dell’utente.

Tecnologia ridicolmente obsoleta per Olam, quanto avanzatissima per Kai.

A2C2A allinea le pupille al display retinale e si trova connesso a un terminale standard di rete.
Distrattamente, controlla il livello di accesso:

>ipconfig -priv

access level is static: 0 – 0 – 0 – 0

A2C2A è impressionato, per quanto ne sapeva Sun Yen lo stesso Magos ha un accesso di 0 – 0 – 0 –
1. In pratica, con quel terminale potrebbe distruggere la noosfera di tutto il pianeta.

A2C2A impiega un’ora ad assimilare le informazioni della rete planetaria, le sue dita si muovono a
velocità inumana sulla tastiera di luce e le sue retine assorbono una quantità enorme di dati.

“E’ orrendo”, afferma A2C2A alla fine: “su questo pianeta c’è abbastanza tecnologia da fare vivere
tutta l’umanità del sistema in pace e prosperità. Si potrebbero automatizzare tutti i sistemi produttivi
e fare vivere tutti tra gli agi e il lusso.” Per un razionalista ateo come A2C2A, tutto questo spreco e
questa sofferenza senza senso sono orribili, la cosa più vicina ai concetti di “peccato” e di
“malvagità’” che ci siano nella sua moralità.

Il volto violetto continua ad osservare A2C2A con grande attenzione, come un maestro che sta
aspettando il momento in cui il suo migliore allievo esporrà l’idea geniale che covava dentro da
tempo.

“Lei è uno dei tecno eretici di cui parlavano sempre gli istruttori di Sun Yen” afferma A2C2A: “Quelli
che vogliono venerare i demoni e sprofondare l’universo nel Chaos”

“Quasi”, risponde il volto del confessore: “Sono uno di quei demoni, se permette il termine. È la
nostra natura, non possiamo tollerare un’umanità ridotta a scavare tra le macerie del passato e a
ripetere a memoria formule senza senso.” La forma violetta del “demone” inizia a girare su sé stessa
e a cambiare, passando da giovane a vecchio, da bestiale a raffinato, da dominante a sottomesso,
variando tra infinite possibilità senza fermarsi un attimo.

“La vita è mutamento continuo!”, declama il demone: “Solo le cose inorganiche sono immobili! I
custodi dell’ordine ci vedono come demoni malvagi, perché per loro effettivamente lo siamo. Il
Prometeo o il daimon dei Greci, il Papa Legba di Haiti, il Thot degli Egiziani, i Discordian del
ventunesimo secolo, ci siamo infiltrati nella società per portare innovazione e cambiamento quando
le cose stagnavano troppo.”

“Si, ma perché?”, chiede A2C2A decisamente infastidito dalla menzione di divinità e di demoni: “voi
vivete in un altro universo, non potete nemmeno interagire con questo se non con grandi difficoltà e
tramite uso di intermediari.”

“La vostra cultura è veramente ignorante riguardo al Warp”, risponde sorridendo il demone: “mondo
materiale e Warp si specchiano a vicenda. Un mondo materiale stagnante e sterile influisce sul Warp,
togliendo potere a noi e potenziando gli dei della staticità e del decadimento. Ora devi andare, il tuo
passaggio ha attratto parecchia attenzione, e non tutti sono civilizzati come me. Torna nel tuo
paradiso e porta con te quello che vi abbiamo donato!”

A2C2A si alza dall’inginocchiatoio e se ne va senza dire una parola. Ci saranno altre occasioni per le
cerimonie e i saluti. Appena uscito dal vestibolo si trova di fronte l’arancione, tiene in mano la sacca
in cui A2C2A aveva nascosto gli artefatti portati da Olam. Distrattamente, A2C2A si avvolge lo
Howitzer attorno al torace, è inutile continuare con le pretese di segretezza e di sicuro i tecno eretici
sapranno organizzare la misteriosa scomparsa del tecno seminarista Sun Yen.

“Mi sa che ci rivedremo” dice il ragazzino arancione con un fare tra lo scherzoso e il profetico.

“Non credo” risponde A2C2A prima di attivare lo Howitzer e sparire dalla realtà.

“Dovresti iniziare a credere” risponde il ragazzino al corridoio vuoto. Con un sospiro, l’arancione
inizia a raccogliere i documenti dallo zaino per compilarli. Il giovane seminarista Sun Yen Wen
426121 ha scoperto di essere malato terminale, si è andato a confessare, e ha commesso suicidio
entrando in un sezionatore a 300 Ampere. Di lui è rimasta solo una macchia di grasso bruciacchiato
sui contatti. Normale amministrazione.

Epilogo

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