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Filosofia

In senso lato, tutto ciò che è equilibrato, armonico, preciso, ordinato, coerente, esatto; in senso
giuridico-politico, la conformità dei comportamenti umani a una norma giuridica o a un complesso
di norme poste dall'autorità statale costituita (sicché è ingiusto ciò che a tali norme non si conforma:
l'assolutizzazione di questo punto di vista, tipica di alcune correnti del positivismo giuridico, è stata
anche detta “normativismo”); in senso sociale, la regolamentazione ordinata di una società in merito
ai bisogni, capacità e meriti dei suoi membri. Specificando ulteriormente la giustizia è oggettiva in
riferimento al carattere intrinseco di ordinamento giuridico; soggettiva, in quanto capacità di un
soggetto di adeguarsi alla legge o all'ordinamento (tanto in senso giuridico quanto in senso morale);
distributiva, se riguarda la ripartizione dei beni o dei mezzi di sostentamento fra i singoli
appartenenti a un gruppo sociale; commutativa, se riferita all'equivalenza di valore fra beni di
scambio. Nell'ambito filosofico, lo studio del concetto di giustizia (oggetto della filosofia del diritto
quanto della filosofia morale) ne indaga il valore e il significato relativamente a tutte le accezioni
già esaminate, alla luce delle più diverse risposte date nella storia del pensiero: un primo concetto di
giustizia emerge già nelle organizzazioni dei popoli più antichi come attività regolatrice dei rapporti
sociali; in campo speculativo la prima definizione della giustizia è dei pitagorici che l'identificano
come “armonia”, in connessione con la loro concezione matematica dell'universo. Il pensiero
sofistico affronta il problema della giustizia morale in chiave relativistica, cioè in rapporto all'utilità
e alla convenienza. Diversamente fa Platone che, nella Repubblica, definisce la giustizia come
“armonia” fra le tre parti dell'anima umana (razionale, irascibile, concupiscibile), corrispondenti
alle tre classi che compongono lo Stato ideale da lui delineato (popolo, esercito, governanti-
filosofi). Giustizia è dunque per Platone l'equilibrio dove ciascuna delle parti compie le sue
funzioni, senza interferire con le altre, ma in armonia con esse: è insieme virtù e strumento di
convivenza, ma sempre in riferimento all'idea” suprema della giustizia, cui bisogna conformarsi.
Nell'Etica Nicomachea, Aristotele teorizza la giustizia come l'atteggiamento razionale che sa
cogliere il giusto mezzo fra il troppo e il troppo poco, fra l'eccesso e il difetto. Aristotele distingue
inoltre la giustizia dalla legalità, che è il semplice ed esteriore conformarsi alle leggi. Il pensiero
stoico elabora una dottrina della giustizia tipicamente giusnaturalistica, riferendo il carattere di
giustizia dei comportamenti umani a una legge naturale comune a tutti gli uomini: concetto che
ritorna nel diritto romano. Il pensiero cristiano-medievale oscilla fra una concezione teistico-
provvidenzialistica della giustizia – per cui giustizia è la volontà di Dio – e una visione orientata a
mediare razionalismo e teismocui è la stessa legge razionale – come vuole San Tommaso – che
procede dalla volontà divina e ne è espressione. Il pensiero moderno si orienta invece a un concetto
strettamente razionalistico della giustizia, intesa come obbedienza ai dati della ragione: così, in
vario modo, Cartesio, Spinoza, Leibniz, Grozio. Questa concezione è posta in dubbio
dall'empirismo inglese (Hobbes, Locke, Hume), che riduce la giustizia a considerazioni di
sentimento o di utilità. Kant si propone di mediare i due punti di vista opposti, riferendo la giustizia
all'idea della “libertà”, che è innata in ogni soggetto umano: giustizia per Kant è – da parte di un
soggetto – la limitazione della propria libertà in funzione della libertà degli altri soggetti. Quindi la
libertà, che è data a priori, va congiunta alle leggi esterne, che regolano l'elemento empirico,
limitandosi e favorendone così il rispetto. Giustizia è per Kant limitazione della libertà del singolo
nell'interesse della libertà di tutti: e questo concetto è accettato, al culmine dell'idealismo tedesco,
anche da Hegel, che però finisce per risolvere il singolo nell'universalità dello Stato, espressione
terrena dello Spirito Assoluto. A tutte queste principali posizioni assunte nella storia del concetto di
giustizia possono essere poi riferite alcune fra le principali dottrine politiche contemporanee. Oggi
infatti alla riflessione puramente filosofica sull'essenza della giustizia come virtù si preferisce la
riflessione sulla pratica giuridica concreta e sulla realtà ideologica e sociale. Nella filosofia del
diritto le posizioni dominanti in ordine al problema della giustizia sono sostanzialmente quella del
positivismo giuridico, che riconduce il carattere di giustizia di un atto o di un comportamento alla
sua corrispondenza con la norma giuridica emanata dall'autorità costituita, e quindi riferisce lo
studio del concetto di giustizia allo studio del carattere e della natura delle norme (si vedano a
questo proposito soprattutto le opere di H. Kelsen), le nuove correnti giusnaturaliste, prevalenti
nella filosofia del diritto d'ispirazione cattolica e la concezione marxista che riconduce il concetto di
giustizia alla sua matrice sociale, negandogli un valore assoluto e facendone una variabile del
processo storico.

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