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~ SISTEMA CARDIOVASCOLARE ~

Il flusso nel circolo sistemico è in parallelo, ciò significa che il sangue non scorre da un organo al
successivo, ma ogni organo è irrorato da una diramazione distinta dell’aorta. Ciò garantisce
l’afflusso di sangue ossigenato ad ognuno di essi e permette la regolazione del flusso in maniera
indipendente, a seconda delle esigenze.

L’attività contrattile del muscolo cardiaco è determinata da segnali che originano all’interno del
muscolo stesso e perciò è detta miogena (quella del muscolo scheletrico è invece neurogena).
Le contrazioni sono innescate dai potenziali d’azione generati dalle cellule pacemaker,
localizzate nel nodo seno atriale (SA) e nel nodo atrioventricolare (AV).

Tutte le cellule muscolari cardiache sono collegate tra loro da giunzioni comunicanti, concentrate
in strutture dette dischi intercalari (contenenti anche numerosi desmosomi). Le giunzioni
consentono alla corrente elettrica di fluire liberamente da una cellula all’altra, permettendo la
trasmissione dei potenziali d’azione.

Le fibre di conduzione trasmettono la depolarizzazione innescata dalle cellule pacemaker a tutto


il cuore in maniera coordinata. Esse sono più spesse delle normali fibre muscolari cardiache e
perciò possono condurre i segnali elettrici più velocemente.

Origine e conduzione dell’impulso durante un battito cardiaco

1) Un potenziale d’azione insorge nel nodo SA.

2) Dal nodo SA, il potenziale d’azione si propaga attraverso le pareti dei due atri (vie interatriali) e
verso il nodo AV (vie internodali), presso il quale l’impulso viene leggermente ritardato, in
modo tale che la contrazione atriale sia completata prima che cominci quella ventricolare.

3) Dal nodo AV, l’impulso passa nel fascio atrioventricolare (fascio di His), che si divide in due
rami, destro e sinistro, ciascuno destinato al corrispondente ventricolo.

4) Dai due rami, l’impulso si sposta in una fitta rete di ramificazioni (fibre di Purkinje) che si
distribuiscono al miocardio ventricolare in senso ascendente a partire dall’apice del cuore.

Sebbene sia le cellule pacemaker del nodo SA, sia quelle del nodo AV possano generare
spontaneamente potenziali d’azione, le prime hanno una frequenza di scarica dei potenziali
d’azione superiore a quella delle seconde (70 bpm e 50 bpm rispettivamente) e perciò sono esse a
determinare ritmo e frequenza delle contrazioni. Tuttavia, se il nodo SA cessa di generare impulsi
o rallenta eccessivamente, il nodo AV agisce come un sistema di emergenza e l’origine del ritmo
cardiaco comincia a dipendere da esso. Anche alcune cellule appartenenti alle fibre di Purkinje
possono assumere il controllo, sebbene la loro frequenza di scarica sia molto bassa.

Il nodo AV non fa in tempo a raggiungere spontaneamente il valore soglia e a depolarizzarsi


autonomamente perché il segnale partito dal nodo SA lo raggiunge prima che ciò avvenga.

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Attività elettrica nelle cellule pacemaker

Le cellule pacemaker possono generare potenziali d’azione in assenza di uno stimolo esterno, in
modo regolare e con una data frequenza. Dopo un potenziale d’azione, una cellula pacemaker
inizia subito a depolarizzarsi e lentamente raggiunge il potenziale soglia, innescando un altro
potenziale d’azione (il potenziale di riposo è assente). Questa lenta depolarizzazione prende il
nome di potenziale pacemaker e la sua durata determina la frequenza di scarica della cellula.

FASI DEL POTENZIALE D’AZIONE IN UNA CELLULA PACEMAKER

1) La chiusura dei canali per il potassio e l’apertura dei canali funny determinano una lenta
depolarizzazione (potenziale pacemaker). I canali funny permettono il passaggio sia di sodio
che di potassio, ma l’ingresso di sodio è maggiore della fuoriuscita di potassio.

2) I canali funny, dopo essere rimasti aperti per un breve periodo, si chiudono appena
il potenziale di membrana è prossimo a −55 mV, poco al di sotto del valore soglia.

3) La depolarizzazione è sufficiente ad aprire i canali per il calcio di tipo T (transient) che,


determinando l’ingresso di ioni calcio, depolarizzano ulteriormente la membrana.

4) I canali per il calcio di tipo T si chiudono.

5) Si aprono i canali per il calcio di tipo L (long-lasting), che rimangono aperti più a lungo.
L’ulteriore ingresso di calcio è sufficiente a depolarizzare la membrana fino al valore soglia.

6) I canali voltaggio-dipendenti per il sodio si aprono e si verifica la depolarizzazione rapida.

7) La depolarizzazione rapida determina l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti per il potassio,


i quali riportano il potenziale di membrana a un valore negativo (ripolarizzazione rapida).
Ciò determina anche la progressiva chiusura dei canali per il calcio di tipo L.

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Attività elettrica nelle cellule cardiache contrattili

Le cellule appartenenti al miocardio di lavoro possono generare potenziali d’azione solo in


risposta a uno stimolo esterno, rappresentato dalle correnti elettriche trasmesse dalle cellule
pacemaker attraverso il sistema di conduzione. Il potenziale d’azione delle cellule cardiache dura di
meno rispetto a quello delle cellule pacemaker (0,4 s / 0,8 s) ed ha una morfologia caratteristica.

FASI DEL POTENZIALE D’AZIONE IN UNA CELLULA CARDIACA CONTRATTILE

0) La depolarizzazione della membrana induce l’apertura di un numero crescente di canali


voltaggio-dipendenti per il sodio, che rende positivo il potenziale di membrana, portandolo
fino a un picco di 30 - 40 mV (depolarizzazione rapida). La depolarizzazione innesca anche
l’apertura dei canali rettificanti tardivi (CRT) per il K + , che però si aprono lentamente.

1) I canali per il sodio voltaggio-dipendenti cominciano a inattivarsi e si aprono gradualmente


quelli per il potassio. Ciò porta il Vm verso valori più negativi, ma esso scende solo di poco
perché la depolarizzazione rapida ha innescato due eventi:

 La chiusura dei canali rettificanti in ingresso (CRI) per il K + , che riduce la fuoriuscita di K +
 L’apertura dei canali per il calcio di tipo L, che determinano l’ingresso di ioni calcio

2) La membrana permane in uno stato di depolarizzazione (fase di plateau).

3) Il numero dei CRT aperti comincia ad essere significativo e il flusso di K + in ingresso è


sufficiente a determinare una ripolarizzazione. Questa, a sua volta, induce la riapertura dei
CRI e la chiusura dei canali per il calcio di tipo L, riportando il Vm verso il valore di riposo.

4) Il potenziale d’azione è terminato e la cellula è a riposo (il Vm è circa −90 mV).

Tempo (msec)

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FASI DEL CICLO CARDIACO

Il ciclo può essere diviso in due fasi principali: diastole (0,5 s) e sistole (0,3 s).

1) Riempimento ventricolare: durante la seconda metà della diastole le valvole AV sono aperte
e il sangue passa dagli atri ai ventricoli. La contrazione atriale alla fine della diastole determina
un ulteriore passaggio di sangue nei ventricoli.

2) Contrazione isovolumetrica: all’inizio della sistole, i ventricoli cominciano a contrarsi e la


pressione al loro interno aumenta. Quando essa supera la pressione atriale, le valvole AV si
chiudono ma la pressione non è ancora sufficiente ad aprire le valvole semilunari. Il sangue
non può né entrare né uscire dai ventricoli e perciò il suo volume rimane costante (contrazione
isovolumetrica).

3) Eiezione ventricolare: quando la pressione all’interno dei ventricoli è sufficiente ad aprire le


valvole semilunari, il sangue viene pompato nell’aorta e nel tronco polmonare. Durante questa
fase, la pressione ventricolare raggiunge il suo picco massimo per poi diminuire. Quando
diventa inferiore a quella vigente nell’aorta, le valvole semilunari si chiudono.

4) Rilasciamento isovolumetrico: all’inizio della successiva diastole, i ventricoli cominciano a


rilasciarsi, ma la pressione ventricolare è ancora superiore a quella atriale e perciò le valvole AV
rimangono chiuse. Anche in questo caso, il sangue non può né entrare né uscire e perciò il suo
volume è costante. Quando i ventricoli sono completamente rilasciati, la pressione atriale
supera quella ventricolare e le valvole AV si aprono.

• Il volume telediastolico è il volume di sangue presente nel ventricolo alla fine della diastole
(130 𝑚𝑙 in condizioni normali).

• Il volume telesistolico è il volume di sangue rimasto nel ventricolo alla fine della sistole
(60 𝑚𝑙 in condizioni normali).

• La gittata sistolica, o volume di eiezione ventricolare (Stroke Volume), è data dalla differenza
tra volume telediastolico e volume telesistolico e rappresenta il volume di sangue pompato dal
cuore ad ogni battito, che in condizioni normali è pari a 70 𝑚𝑙 (130 𝑚𝑙 − 60 𝑚𝑙).

• La frazione di eiezione è data dal rapporto tra gittata sistolica e volume telediastolico
(54% in condizioni normali).

• La gittata cardiaca (Cardiac Output) è il volume di sangue che viene pompato in un minuto
da un ventricolo e si determina moltiplicando la frequenza cardiaca (Heart Rate) per la gittata
sistolica. In condizioni normali 𝐻𝑅 = 72 𝑏𝑝𝑚 e quindi 𝐶𝑂 = 72 𝑏𝑝𝑚 ∙ 70 𝑚𝑙 = 5 𝑙𝑖𝑡𝑟𝑖/𝑚𝑖𝑛 .

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FATTORI CHE INFLUENZANO LA GITTATA CARDIACA
I. Variazioni della frequenza cardiaca

La frequenza cardiaca dipende da molti fattori, inclusi età e sesso, e in determinate situazioni può
aumentare o diminuire rispetto ai valori di riposo. Nei bambini essa è normalmente più elevata.

Sul cuore viene esercitato sia un controllo estrinseco (nervoso e ormonale), sia un controllo intrinseco
(determinato dallo stesso tessuto cardiaco). L’innervazione del cuore è prevalentemente di tipo simpatico.

Controllo nervoso della frequenza cardiaca

(a) L’aumentata attività dei neuroni simpatici diretti al nodo SA incrementa la frequenza dei
potenziali d’azione nelle cellule pacemaker, che si traduce in una frequenza cardiaca più elevata
e quindi una gittata cardiaca maggiore.

I neuroni simpatici rilasciano noradrenalina, che si lega ai recettori β-adrenergici e attiva il


sistema del cAMP come secondo messaggero, il quale stimola l’apertura dei canali funny e dei
canali per il calcio di tipo T. In tal modo la velocità della depolarizzazione spontanea aumenta.

(b) L’aumentata attività dei neuroni parasimpatici sulle cellule del nodo SA provoca invece la
diminuzione della frequenza dei potenziali d’azione nelle cellule pacemaker e quindi la
frequenza cardiaca e la gittata cardiaca diminuiscono.

I neuroni parasimpatici rilasciano acetilcolina, che si lega ai recettori muscarinici e, attraverso


delle proteine G che interagiscono direttamente con i canali, provocano l’apertura dei canali
per il potassio e la chiusura dei canali funny e dei canali per il calcio di tipo T.

I neuroni simpatici e parasimpatici, agendo sul nodo AV, influenzano anche la velocità di
conduzione dei potenziali d’azione.

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Controllo ormonale della frequenza cardiaca

Gli ormoni che influenzano l’attività cardiaca sono diversi. Tra di essi il più importante è
l’adrenalina, secreta dalla midollare del surrene. Gli effetti dell’adrenalina sono simili a quelli
della noradrenalina rilasciata dalle fibre simpatiche e quindi essa aumenta frequenza e gittata
cardiache. Altri ormoni attivi a livello del cuore sono gli ormoni tiroidei, l’insulina e il glucagone.

Controllo integrato della frequenza cardiaca

Sistema nervoso simpatico e parasimpatico sono entrambi attivi in ogni istante. A determinare
l’aumento o la diminuzione della frequenza cardiaca è il prevalere di una delle due attività
sull’altra. Quando l’attività simpatica aumenta, quella parasimpatica diminuisce e viceversa.
Il nodo SA ha una frequenza di scarica spontanea di 100 bpm in assenza di influenze esterne.
Il fatto che in un soggetto sano la frequenza cardiaca a riposo sia normalmente di 70 bpm significa
che in tali condizioni è l’attività parasimpatica a prevalere.
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FATTORI CHE INFLUENZANO LA GITTATA CARDIACA


II. Variazioni della gittata sistolica

I principali fattori che influenzano la gittata sistolica sono la contrattilità ventricolare,


il volume telediastolico e il postcarico. Un cambiamento nella gittata sistolica può dipendere
dalla variazione di una sola di queste variabili oppure dalla combinazione di più di esse.

Influenza della contrattilità ventricolare

Maggiore è la forza contrattile del ventricolo, maggiore è la gittata sistolica e quindi la gittata
cardiaca. A regolare la contrattilità ventricolare è quasi interamente il sistema nervoso simpatico.

I neuroni simpatici liberano noradrenalina, che si lega ai recettori β-adrenergici poste sulle cellule
del miocardio di lavoro. Come per le cellule pacemaker, attraverso una proteina G stimolatoria e
l’adenilato ciclasi, si attiva il sistema del cAMP come secondo messaggero che, attivando delle
protein chinasi, determina l’apertura di canali per il calcio sulla membrana plasmatica e sul
reticolo sarcoplasmatico, oltre a velocizzare l’attività della pompa responsabile della ricaptazione
del calcio nel RS (ciò garantisce un rilasciamento più rapido delle cellule muscolari).

Tra gli ormoni, anche in questo caso l’adrenalina svolge il ruolo più importante, con effetti
analoghi a quelli della noradrenalina: aumenta la forza contrattile e quindi la gittata cardiaca.

La contrattilità ventricolare è influenzata anche da fattori intrinseci, come il volume telediastolico.

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Influenza del volume telediastolico e legge di Starling

La legge del cuore di Starling afferma che quando il ritorno venoso varia, il cuore adatta
automaticamente il flusso in uscita a quello in entrata. In altre parole, se il volume telediastolico
aumenta, la forza contrattile diviene maggiore e quindi si ha un incremento della gittata sistolica e
della gittata cardiaca. Se il volume telediastolico diminuisce, invece, si ha l’effetto opposto.
Il volume telediastolico dipende principalmente dalla pressione del ritorno venoso (precarico).

La lunghezza ottimale delle fibre cardiache è superiore a quella di riposo. Con l’aumentare del
volume telediastolico, le fibre si distendono sempre più, avvicinandosi a questa lunghezza
ottimale. Ad un volume di 180 ml si ha la tensione massima: la disposizione di actina e miosina è
tale da produrre la formazione del maggior numero possibile di ponti trasversali. Un ulteriore
aumento di volume, tuttavia, comporta una riduzione della forza contrattile. Il cuore, quindi,
riesce ad adattare la gittata sistolica al ritorno venoso solo entro un certo limite.
Evitando l’accumulo di sangue nel ventricolo, l’effetto Starling previene la dilatazione delle pareti
del cuore. La dilatazione, se eccessiva, rende i ventricoli incapaci di generare una pressione
sufficiente a mantenere una gittata cardiaca adeguata (insufficienza cardiaca).

LEGGE DI LAPLACE

In un vaso contenente liquido a pressione costante, la pressione del liquido esercita una forza
diretta verso l’esterno che genera una tensione nella parete del vaso. Questa tensione, a sua volta,
genera una forza diretta verso l’interno che determina una situazione di equilibrio, per cui il vaso
né si espande né si contrae. Per un vaso cilindrico, la tensione (T) è direttamente proporzionale
alla pressione interna (P) e al raggio del vaso (𝑟): 𝑇 = 𝑃 𝑟
𝑃𝑟
Per un contenitore sferico, invece, 𝑇 = 2
(si può approssimare il cuore a una sfera).

Influenza del postcarico

Il muscolo ventricolare, contraendosi, lavora contro la pressione arteriosa del sangue al suo
interno (detta postcarico in quanto rappresenta un carico per il miocardio che si presenta dopo
l’inizio della contrazione). Di conseguenza, a parità di forza contrattile, all’aumentare della
pressione arteriosa media la gittata sistolica diminuisce.

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FLUSSO E PRESSIONE DEL SANGUE

Le leggi valide per un liquido all’interno di un sistema di tubi sono applicabili, entro certi limiti,
anche al sangue all’interno del sistema cardiovascolare.
Il flusso di un liquido è direttamente proporzionale al gradiente di pressione (∆P) lungo il
condotto e inversamente proporzionale alla resistenza (R).

𝐹 = ∆𝑃/𝑅

Il flusso è il volume di liquido che passa nel condotto nell’unità di tempo; il gradiente di pressione è
la differenza tra le pressioni vigenti agli estremi del condotto; la resistenza è l’insieme dei fattori
che ostacolano il flusso del liquido all’interno del tubo. In presenza di un gradiente di pressione tra
due punti, il liquido si sposta sempre dal punto a pressione maggiore a quello a pressione minore.
Le pressioni cardiovascolari sono espresse in mm Hg e sono relative a quella atmosferica (760 mm Hg).

Gradiente pressorio nel sistema cardiovascolare

All’inizio del circolo sistemico, la pressione arteriosa media (MAP) che vige nell’aorta è di circa
85 mm Hg. Alla fine del circolo, la pressione venosa centrale (CVP) all’interno delle vene toraciche è
di circa 2-8 mm Hg, mentre nelle vene cave è prossima a 0 mm Hg.
Il gradiente di pressione che consente al sangue di fluire nel circolo sistemico è dato dalla
differenza tra MAP e CVP. Poiché quest’ultima è molto bassa, si può considerare ∆P uguale a MAP.
Nel circolo polmonare il gradiente di pressione è molto più basso (15 mm Hg), ma il flusso di
sangue al suo interno è uguale a quello del circolo sistemico. Ciò è possibile in quanto i vasi del
circolo polmonare esercitano una minore resistenza.

La resistenza di un singolo vaso sanguigno

La resistenza (R) che un condotto oppone al flusso di un liquido che lo attraversa è in parte dovuta
agli attriti presenti tra liquido e pareti del vaso e a quelli all’interno del liquido stesso (flusso
laminare), ma dipende soprattutto dalle proprietà del liquido e del condotto. Essa è direttamente
proporzionale alla lunghezza del condotto (L) e alla viscosità del liquido (η) ed è inversamente
proporzionale al raggio interno del condotto (r), come espresso dalla legge di Poiseuille:

8𝐿𝜂 ( 𝜂 = 𝑒𝑡𝑎 )
𝑅=
𝜋𝑟 4

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Resistenza periferica totale

La resistenza di un sistema vascolare (come una rete di capillari) dipende dalla resistenza di tutti i
singoli vasi che lo compongono e si ottiene sommando le resistenze dei vasi posti in serie e le
conduttanze dei vasi posti in parallelo. Nel circolo sistemico, le resistenze combinate di tutti i vasi
vengono indicate come resistenza periferica totale (TPR).

Corrispondenza tra flusso e gittata cardiaca

Dal momento che tutto il sangue pompato dal cuore percorre l’intero circolo sistemico, la gittata
cardiaca (CO) corrisponde al flusso sanguigno all’interno dei vasi (a riposo circa 5 litri al minuto).
Nel circolo sistemico, essendo la resistenza uguale a TPR e il gradiente pressorio dato dalla
differenza tra MAP e CVP (approssimabile a MAP), l’equazione del flusso (𝐹 = ∆𝑃/𝑅) diventa:

𝐶𝑂 = 𝑀𝐴𝑃/𝑇𝑃𝑅

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VASI SANGUIGNI

Arterie

Le arterie trasportano sangue dal cuore verso la periferia. La loro parete robusta ed elastica gli
consente di sopportare pressioni elevate e di agire come serbatoio di pressione.

Durante la sistole, le pareti arteriose si espandono per l’ingresso di sangue, che esercita una
pressione sulle pareti. Essendo elastiche, esse accumulano energia e la liberano successivamente
durante la diastole. La pressione esercitata dalle pareti verso l’interno fa avanzare il sangue
presente nel vaso, assicurando la continuità del flusso sanguigno quando il cuore non si sta
contraendo.
Il polso arterioso è dovuto all’onda di pressione (onda sfigmica) che si propaga lungo le arterie in
seguito al passaggio di sangue pompato dal cuore durante la sistole.

La complianza (o capacitanza) è una misura della capacità di un vaso di espandersi sotto l’effetto
di una pressione sanguigna crescente e di restituire il volume di sangue accumulato restringendosi
sotto l’effetto di una pressione sanguigna descrescente. È definita dal rapporto tra la variazione di
volume (∆𝑉) e la variazione della pressione transmurale (∆𝑃𝑡 ), ovvero la differenza di pressione tra
l’interno e l’esterno del vaso. Le arterie sono vasi a bassa capacitanza, le vene vasi ad alta capacitanza.

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Arteriole

Le arteriole presentano una ricca componente muscolare liscia nelle loro pareti. La maggior parte
della resistenza opposta al flusso sanguigno dipende dalle arteriole e può essere regolata per
deviare il sangue a specifici organi e per modificare la pressione arteriosa media.
La vasocostrizione determina una riduzione del raggio dell’arteriola e quindi un aumento della
resistenza. Al contrario, la vasodilatazione determina un aumento del raggio dell’arteriola e quindi
una diminuzione della resistenza.
Il sangue non si distribuisce in maniera uniforme a tutti gli organi, ma lo fa secondo le loro
necessità. Ciascun organo oppone una propria resistenza al flusso ed essa. Se il flusso di sangue a
un organo diminuisce per l’aumentata resistenza dello stesso, il flusso verso gli altri organi
aumenterà, essendo il volume di sangue in circolo costante.

CONTROLLO INTRINSECO DEL FLUSSO NELLE ARTERIOLE

Iperemia attiva

La muscolatura liscia delle arteriole si rilascia o si contrae in base all’attività metabolica.


Se la quantità di ossigeno consumata è maggiore di quella fornita dal sangue, si ha una riduzione
della sua concentrazione tissutale (ipossia) accompagnata all’aumento della concentrazione di
anidride carbonica. Queste variazioni inducono vasodilatazione. La minore resistenza nelle
arteriole dilatate permette un flusso di sangue maggiore e quindi garantisce più ossigeno al
tessuto. Tale fenomeno è detto iperemia attiva.

Iperemia reattiva
Se il flusso di sangue diminuisce eccessivamente o si interrompe per un certo periodo, la
concentrazione di ossigeno nel tessuto diminuisce e quella di anidride carbonica aumenta. Queste
variazioni inducono vasodilatazione e quindi aumentano il flusso di sangue. In questo caso
l’aumento del flusso sanguigno è dovuto ad una sua precedente riduzione e non ad un incremento
dell’attività metabolica. Tale fenomeno è detto iperemia reattiva.

Risposta miogena

In alcuni tessuti, la muscolatura liscia delle arteriole è sensibile allo stiramento e quindi alle
variazioni della pressione del sangue al loro interno. Le fibre rispondono allo stiramento
contraendosi (risposta miogena).

Messaggeri locali

Un importante messaggero in grado di determinare vasodilatazione è l’ossido nitrico, la cui sintesi è


stimolata, a sua volta, da mediatori dell’infiammazione quali istamina e bradichinina. L’adenosina
esercita un importante effetto vasodilatatore a livello delle arterie coronarie.

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CONTROLLO ESTRINSECO DEL FLUSSO NELLE ARTERIOLE

Sistema nervoso simpatico e ormoni

La noradrenalina rilasciata dalle fibre simpatiche si lega con maggiore affinità ai recettori
α-adrenergici della muscolatura liscia arteriolare. L’effetto è quello di attivare la cascata
enzimatica della fosfolipasi C, con aumento della concentrazione citoplasmatica di calcio e
conseguente vasocostrizione che innalza la TPR e la pressione arteriosa media.

L’adrenalina ha un’affinità maggiore per i recettori β-adrenergici, tuttavia nella maggior parte dei
tessuti il numero di recettori α è superiore a quello dei recettori β e quindi l’effetto dell’adrenalina
è solitamente di vasocostrizione. Nei vasi del cuore e del muscolo scheletrico è invece il numero
dei recettori β a essere maggiore.
Questa differenza nella concentrazione dei due tipi di recettori fa sì che durante l’attivazione del
sistema simpatico si abbia vasocostrizione nei tessuti il cui funzionamento non è essenziale e
vasodilatazione in quelli più attivi, così da fornire un flusso di sangue maggiore a questi ultimi.

La vasopressina (ADH) determina vasocostrizione nella maggior parte dei tessuti.

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Metarteriole

Le metarteriole hanno una struttura intermedia tra quella delle arteriole e dei capillari e
funzionano come canali di bypass (o shunt), connettendo direttamente le arteriole alle venule.
Il grado di vasocostrizione delle metarteriole influenza il flusso all’interno dei capillari.

Capillari

I capillari sono i vasi sanguigni più piccoli e numerosi. La loro parete sottile permette lo scambio di
sostanze tra il sangue e il liquido interstiziale mediante diffusione. Quando il sangue entra nei
letti capillari, la velocità del flusso diminuisce notevolmente poiché, in sezione trasversale, la
superficie totale dei capillari è molto più grande rispetto a quella delle arteriole da cui originano.
I capillari possono essere continui o fenestrati. I capillari continui permettono il passaggio per via
transcellulare di sostanze liposolubili e per via paracellulare di piccole sostanze idrosolubili.
I capillari fenestrati, invece, presentano delle fenestrature che permettono il passaggio di sostanze
di dimensioni maggiori, comprese proteine e piccole cellule.

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FORZE DI STARLING

Poiché le pareti dei capillari sono permeabili all’acqua e ai piccoli soluti, il liquido può spostarsi dal
sangue all’interstizio (filtrazione) e dall’interstizio al sangue (assorbimento). Il verso di questo
movimento dipende dalla risultante di quattro diverse pressioni, dette forze di Starling.

1) Pressioni idrostatiche
L’acqua tende a muoversi dalla sede in cui la pressione idrostatica è maggiore a quella in cui è minore.
La pressione idrostatica del liquido interstiziale è molto bassa (circa 1 mm Hg), mentre quella
vigente nel capillare (che coincide con la pressione del sangue al suo interno) è più elevata, anche
se diminuisce passando dall’estremità arteriolare a quella venulare.

2) Pressioni osmotiche
L’acqua tende a muoversi dalla sede in cui la pressione osmotica è minore a quella in cui è maggiore.
Dal momento che le concentrazioni dei piccoli soluti sono simili tra plasma e liquido interstiziale,
a determinare una differente pressione osmotica nei due compartimenti è la concentrazione di
proteine al loro interno. La pressione osmotica esercitata dalle proteine è detta pressione oncotica.
Poiché le proteine sono più concentrate nel plasma, la pressione oncotica dei capillari è maggiore
di quella del liquido interstiziale e quindi favorisce l’assorbimento.

Pressione netta di filtrazione

Il verso di spostamento dell’acqua attraverso la parete del capillare è determinato dalla pressione
netta di filtrazione (PNF) in ogni suo punto, ovvero dalla risultante delle forze di Starling.
Tra le quattro forze, l’unica effettivamente variabile è la pressione idrostatica del capillare.

𝑃𝑁𝐹 = 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑓𝑖𝑙𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 – 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑟𝑏𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜

All’estremità arteriolare, la PNF è positiva e perciò si verifica filtrazione. All’estremità venulare, la


PNF è negativa e perciò si verifica assorbimento. In altre parole, all’inizio di un letto capillare vi è
fuoriuscita di liquido e in prossimità della sua fine il liquido viene in gran parte riassorbito (quello
in eccesso è raccolto dal sistema linfatico).

Venule

Le venule originano dai capillari, sono leggermente più piccole delle arteriole e contengono poca
muscolatura liscia. Quelle di dimensioni minori hanno una parete molto sottile e quindi sono
permeabili a liquidi e soluti come i capillari.

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Vene

Le vene trasportano il sangue dalla periferia al cuore, si formano dalla convergenza delle venule e
hanno un diametro simile a quello delle arterie, sebbene lo spessore della loro parete sia circa la
metà, in quanto deve sopportare pressioni inferiori. Le vene periferiche sono dotate di valvole
unidirezionali (a nido di rondine) che impediscono il reflusso del sangue.
Le vene sono vasi ad alta complianza e si comportano come serbatoio di volume, cioè possono
accumulare grandi quantità di sangue in risposta a piccoli incrementi della pressione sanguigna.

FATTORI CHE INFLUENZANO IL RITORNO VENOSO

Pressione venosa periferica

La forza che spinge il sangue verso il cuore è il gradiente di pressione presente tra le vene
periferiche e l’atrio destro del cuore. Se la pressione venosa periferica aumenta, il gradiente di
pressione risulta maggiore e quindi si ha un aumento del ritorno venoso.

Pompa muscolare scheletrica

I muscoli scheletrici si comportano come pompe ausiliarie: quando si contraggono, comprimono le


vene e innalzano la pressione del sangue al loro interno. Questo incremento della pressione forza
le valvole distali a chiudersi e quelle prossimali ad aprirsi, permettendo così al sangue di
progredire verso il cuore e di non refluire. Quando i muscoli si rilasciano, le valvole distali si
aprono e quelle prossimali si chiudono, permettendo l’ingresso di altro sangue e impedendo il
reflusso di quello pompato precedentemente.

Pompa respiratoria

Quando si inspira, il diaframma si appiattisce, riducendo la pressione nella cavità toracica e


aumentandola nella cavità addominale. Questa situazione favorisce lo spostamento del sangue
dalle vene addominali a quelle centrali. Durante l’espirazione, la pressione aumenta nella cavità
toracica e diminuisce in quella addominale. Ci si aspetterebbe quindi un reflusso, che però è
impedito dalle valvole presenti nelle vene addominali.

Tono venomotorio

Il grado di contrazione della muscolatura liscia venosa è detto tono venomotorio ed è regolato dal
sistema nervoso simpatico. Un aumento del tono venomotorio determina un incremento della
pressione venosa e quindi del ritorno venoso.

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PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA

[Pagg. 8-9] – Dalla legge del flusso (𝐹 = ∆𝑃/𝑅) si è ricavato che la gittata cardiaca (CO) è uguale al
rapporto tra pressione arteriosa media (MAP) e resistenza periferica totale (TPR) → 𝐶𝑂 = 𝑀𝐴𝑃/𝑇𝑃𝑅.

Dalla precedente equazione si ricava che 𝑀𝐴𝑃 = 𝐶𝑂 ∙ 𝑇𝑃𝑅 (1 )

[Pagg. 5-7] – La gittata cardiaca dipende dalla frequenza cardiaca (HR) e dalla gittata sistolica (SV).

Dalla precedente affermazione si ricava che 𝐶𝑂 = 𝐻𝑅 ∙ 𝑆𝑉 (2)

Dalle equazioni (1 ) e (2) si ricava che 𝑀𝐴𝑃 = 𝐻𝑅 ∙ 𝑆𝑉 ∙ 𝑇𝑃𝑅


La pressione arteriosa media, quindi, dipende in maniera direttamente proporzionale
dalla frequenza cardiaca, dalla gittata sistolica e dalla resistenza periferica totale.

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Il controllo della pressione arteriosa media avviene mediante meccanismi


di regolazione estrinseci a breve termine e a lungo termine (che coinvolgono il rene).

REGOLAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA A BREVE TERMINE

Controllo nervoso
Il controllo nervoso della pressione arteriosa media è svolto principalmente da alcuni nuclei siti
nel bulbo che nell’insieme costituiscono il centro di regolazione cardiovascolare (CRCV).
Questo centro riceve informazioni dai barocettori arteriosi, dai recettori di volume presenti nelle
vene sistemiche e dai chemocettori presenti nell’encefalo e nei seni carotidei.
Il centro di regolazione cardiovascolare esercita il suo controllo modificando l’attività delle fibre
simpatiche e parasimpatiche che innervano il cuore e i vasi sanguigni. Di queste fibre, quelle
simpatiche sono dirette al nodo SA (controllo della frequenza cardiaca), al miocardio di lavoro
(controllo della contrattilità ventricolare), alle arteriole (controllo della resistenza periferica totale) e
alle vene (controllo del tono venomotorio), mentre quelle parasimpatiche innervano solo il nodo SA.
I barocettori arteriosi sono localizzati nell’arco aortico e nei seni carotidei. Quando la pressione
arteriosa aumenta, le pareti delle arterie vengono stirate. Lo stiramento sollecita le terminazioni
sensoriali dei barocettori che si depolarizzano e determinano l’insorgenza di potenziali d’azione lungo le
fibre afferenti dirette al bulbo. La frequenza dei potenziali d’azione dipende dall’entità dello stiramento.

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Riflesso barocettivo

Quando si passa bruscamente alla posizione eretta, l’accumulo di sangue nelle vene della parte
inferiore del corpo provoca una diminuzione del ritorno venoso, che diminuisce la gittata sistolica
e quindi la pressione arteriosa. I barocettori arteriosi rilevano questo calo pressorio e per via
riflessa (con il coinvolgimento del CRCV) determinano l’inibizione del sistema parasimpatico e
l’attivazione del sistema simpatico, che provvede a correggere la variazione. Questa risposta
automatica è detta riflesso barocettivo.
Il brusco passaggio alla posizione eretta spesso si accompagna a una sensazione di capogiro di breve
durata, dovuta alla riduzione del flusso sanguigno all’encefalo.
In seguito all’intervento del riflesso barocettivo, la frequenza cardiaca e la resistenza periferica
totale aumentano oltre i valori di riposo, mentre la pressione arteriosa aumenta, ma resta al di
sotto del valore normale: se raggiungesse questo valore, i barocettori cesserebbero di segnalare la
condizione, la risposta compensatoria si interromperebbe e la pressione calerebbe di nuovo.

Quando il riflesso barocettivo genera un aumento compensatorio della pressione arteriosa, lo fa allo scopo
di conservare il flusso di sangue al cuore e all’encefalo. Per questo motivo, la resistenza dei vasi sanguigni
viene aumenta solo nei vasi di alcuni organi, cioè quelli non essenziali alla sopravvivenza a breve termine.
Nel caso in cui il riflesso barocettivo sia innescato da una perdita di volume ematico, il mancato apporto
di sangue ai tessuti, se non compensato, porta in breve tempo al rilasciamento della muscolatura dei vasi
che sono stati costretti, con la conseguenza che l’effetto del riflesso viene annullato.

Il riflesso barocettivo interviene anche in caso di aumenti della pressione arteriosa. In tal caso è il
sistema parasimpatico ad essere stimolato. Nei soggetti con ipertensione, l’aumento cronico della
pressione avviene lentamente e gradualmente. I barocettori si adattano progressivamente ai nuovi
livelli di pressione e perciò in condizioni di riposo non si ha alcun riflesso barocettivo.

Controllo ormonale

Il centro di regolazione cardiovascolare regola anche la secrezione degli ormoni in grado di


aumentare la pressione, ovvero adrenalina, vasopressina e renina. L’effetto dell’adrenalina è
vasocostrittore in tutti i tessuti, tranne nel cuore e nel muscolo scheletrico, in cui invece induce
vasodilatazione.

Aritmia sinusale respiratoria

In alcuni soggetti, l’inspirazione è accompagnata da un aumento dell’attività simpatica (aumento


della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa) e l’espirazione da un aumento dell’attività
parasimpatica (diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa).

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Riflesso chemocettivo

Quando i livelli di ossigeno calano o quelli di anidride carbonica si innalzano, i chemocettori


stimolano la respirazione e modificano l’attività del sistema cardiovascolare. Alcuni effetti sono
primari (dovuti direttamente alla risposta dei chemocettori), altri sono secondari (dovuti alle
modifiche della respirazione). Effetti primari sono la diminuzione della frequenza cardiaca e
l’aumento della resistenza periferica. La diminuzione della frequenza cardiaca riduce il consumo di
ossigeno ma tende anche a far diminuire la pressione arteriosa: a questo rimedia l’aumento della
resistenza periferica che, inoltre, previene il rilasciamento spontaneo della muscolatura liscia dei
vasi che si verifica in caso di ipossia.

REGOLAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA A LUNGO TERMINE

Sistema reni-liquidi corporei

L’aumento della pressione arteriosa porta ad eliminare il liquido in eccesso attraverso le urine
(diuresi pressoria) e determina una maggiore eliminazione di sodio (natriuresi pressoria).

L’eliminazione di urina da parte del rene in funzione della pressione arteriosa è rappresentata da
una curva (curva di eliminazione renale). Al di sotto di 50 mm Hg, l’eliminazione è praticamente
nulla, a 100 mm Hg è normale e da questo valore in poi aumenta notevolmente.

Se nello stesso grafico si inseriscono la curva di eliminazione renale e la linea che rappresenta
l’introduzione netta di acqua e sodio (quantità assunta – quantità persa per vie diverse da quella
renale), nel punto in cui la curva e la linea si intersecano si ha un punto di equilibrio (100 mm Hg)
al quale le quantità di acqua e sodio assunte sono uguali a quelle eliminate.
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 Se la pressione supera il punto di equilibrio, l’eliminazione di acqua e sodio aumenta, il volume
ematico diminuisce e la pressione arteriosa si abbassa fino a tornare al valore normale.

 Se la pressione scende al di sotto del punto di equilibrio, l’eliminazione di acqua e sodio


diminuisce, in modo tale da essere minore della loro introduzione netta. In questo caso il
volume ematico aumenta e la pressione sale fino a tornare al valore normale.

Per ogni variazione, la pressione arteriosa media si riporta sempre al valore del punto di equilibrio.
Questo valore può cambiare se si ha uno spostamento della curva di eliminazione renale o una
variazione del livello di assunzione netta di acqua e sodio. [Guyton – figura 19.4]

Ruolo della resistenza periferica totale – L’aumento della resistenza periferica totale non
influenza il controllo della pressione arteriosa a lungo termine poiché tale aumento, che interessa
tutto l’organismo, non si verifica nei reni.

Ruolo del sodio – Il motivo per cui, oltre all’eccesso di acqua, anche quello di sodio determina un
aumento della pressione arteriosa è che il rene elimina con più difficoltà il sodio rispetto all’acqua.
L’accumulo di sodio nell’organismo determina l’aumento della pressione arteriosa indirettamente,
attraverso l’aumento dell’osmolarità dei liquidi e quindi del loro volume. Tutto ciò determina
la stimolazione del centro della sete e la secrezione di ADH da parte della neuroipofisi.

Sistema renina-angiotensina

La renina è un piccolo enzima sintetizzato dalle cellule iuxtaglomerulari del rene, cellule muscolari
lisce modificate che si trovano nelle pareti delle arteriole afferenti, in prossimità dei glomeruli.
Quando la pressione arteriosa diminuisce, la maggior parte della renina viene liberata in circolo,
mentre una piccola parte rimane a livello renale. Una volta nel sangue, la renina converte
l’angiotensinogeno presente nel plasma in angiotensina I, che a sua volta viene convertita in
angiotensina II da un enzima presente nell’endotelio dei vasi polmonari.

L’angiotensina II ha un potente effetto vasocostrittore, ma resta in circolo soltanto per 1-2 minuti
prima di essere degradata da appositi enzimi. A livello renale, essa determina un maggiore
riassorbimento di acqua e sodio che aumenta il volume dei liquidi e innalza la pressione arteriosa.
Questo risultato si ha sia attraverso un effetto diretto di vasocostrizione delle arteriole efferenti
(il flusso ematico si riduce e il calo della pressione idrostatica favorisce il riassorbimento), sia attraverso
un effetto indiretto di stimolazione della ghiandola surrenale, che in risposta rilascia aldosterone
(il quale a sua volta favorisce il riassorbimento di acqua e sodio a livello dei tubuli renali).

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