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STUDI
SULLA
MASSONERIA
a cura di
LUCIANO PIRAS
R L AUR
N° 1331 Oriente di Milano
IL MANOSCRITTO DI COOKE
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Il Manoscritto di Cook
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Studi sulla Massoneria
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Il Manoscritto di Cook
loro mani.
Molte altre prove vi fornirò (riferirò) sul perché la Geometria è la Scienza di
cui vivono tutti gli uomini ragionevoli, ma questa volta lo lascerò al lungo
processo della Scrittura [dimostrarvelo].
Ed ora procederò oltre nel mio argomento; voi comprenderete che fra tutte le
Arti del Mondo, [la più importante] è l'Arte dell'uomo; l'Arte muratoria ha
maggiore importanza e maggiore parte [nella] Scienza [della] Geometria,
com'è scritto e detto nella Storia, nella Bibbia, nel Policronico, una cronaca
stampata e nelle storie di Beda De Immagine Mundi e Isodorus ethiniolo-
giaruni. Methodus episcopus e martire e molte altre; dissero che la Massone-
ria è [la] principale [Arte] della Geometria, come penso si possa ben dire,
perché fu la prima ad essere creata; com'è detto nella Bibbia nel 1° Libro del-
la Genesi nel capitolo 4°.
E anche tutti i Dottori suddetti lo dissero ed alcuni di loro [lo esposero] più
apertamente e semplicemente [rispetto] a come è detto nella Bibbia.
Il Figlio diretto della stirpe di Adamo, discendente delle 7 generazioni di
Adamo, prima del Diluvio, fu un uomo di nome Lameth il quale ebbe 2 mo-
gli, la prima Ada ebbe 2 figli: uno chiamato Jabal e l'altro Jubal.
Il più grande, Jabal, fu il primo fondatore della Geometria e [della] Masso-
neria (Muratoria) e costruì case ed è nominato nella Bibbia “Pater habitan-
cium in tenoriis atque pastorum”, cioè padre di uomini che vivono in tende,
cioè case.
Ed egli fu maestro di Caino e capo di tutti i suoi lavori quando egli fece la
Città di Enock (Enoche) che fu la città mai prima costruita e che Caino die-
de a suo figlio e la chiamò Enock. Ed ora è chiamata Ephraim.
E la scienza della Geometria e della Massoneria fu [così] per la prima volta
impiegata ed inventata come scienza ed Arte e perciò possiamo dire che fu
l‟origine e il fondamento di tutte le Arti e [le] Scienze e quest'uomo Jabal fu
chiamato “Pater pastorum”.
Beda in, De Immagine Mundi poliecronicon e molti altri dicono che egli fece
per primo la ripartizione della Terra in modo che ogni uomo potesse indivi-
duare (conoscere) il suo campo e il suo lavoro.
E divise anche greggi e pecore perciò possiamo dire che egli fu il primo fonda-
tore di quella Scienza.
E suo fratello Jubal o Tubal fu il fondatore della Musica e del canto, come
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andare da mio cugino Asur per aiutarlo a costruire una città, ma badate bene
che siate ben guidati e io vi darò un incarico proficuo per voi e per me.
Quando giungerete da quel Signore badate di essere leali verso di lui come lo
sareste con me; fate di voi come foste fratelli e restate uniti lealmente; e colui
che ha maggiore abilità [nell'Arte] la insegni al suo compagno e [si] guardi
dal guidarvi contro il vostro Signore, così che io possa ricevere merito e rin-
graziamento per avervi inviato [da lui] e [per] avervi insegnato l‟Arte”.
Ed essi ricevettero l'incarico dal loro padrone e Signore ed andarono da Asur
e costruirono la città di Ninive nel Paese di Plateas ed altre città fra Cale e
Ninive.
Ed in tal modo l'arte muratoria fu innalzata ed imposta come scienza.
Antenati [che furono] prima di noi massoni ebbero queste responsabilità,
come le abbiamo noi nei nostri Doveri; [tosi] come li abbiamo visti scritti sia
in francese che in latino [e] dalla storia di Euclide; ma come Euclide per-
venne alla conoscenza della Geometria vi diremo, com'è scritto nella Bibbia ed
in altre storie.
Nel 12° capitolo della Genesi si dice come Abramo giunse alla Terra di Caa-
nan e nostro Signore [Iddio] gli apparve e disse: "darò questa Terra a te ed
alla Tua discendenza", ma ci fu una grande carestia sulla Terra e Abramo
prese Sarach, sua moglie, con sé ed andò in Egitto in pellegrinaggio e mentre
durava la carestia egli attese là.
Ed Abramo, come dice la Cronaca, era un uomo saggio e un grande Dotto e
conosceva tutte le 7 Scienze ed insegnò agli Egiziani la scienza della Geome-
tria. E questo degno Sapiente Euclide fu suo allievo ed imparò da lui.
Ed egli diede per primo il nome di Geometria, tutto ciò prima non aveva il
nome di Geometria.
Ma si dice nell'Ethimologiarum di Isidoro, nel 5° libro capo I, che Euclide
fu uno dei fondatori della Geometria e le diede quel nome perché a quel tempo
c'era un fiume in Egitto, il Nilo, e dilagava a tal punto dentro la terra che gli
uomini non potevano abitarvi.
Quindi questo degno studioso Euclide insegnò loro a fare grandi dighe (mu-
ra) e fossati per trattenere l'acqua ed egli, con la geometria, misurò la terra e
la divise in diverse parti e fece chiudere ad ognuno la sua parte con mura e
fossati e quindi divenne una terra fertile di tutti i tipi di frutti e di giovani,
di uomini e di donne; [così avvenne che] c'erano tanti giovani che non pote-
vano vivere bene.
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E Salomone stesso insegnò loro in modo poco diverso dai modi ora usati. E
di là questa importante scienza fu portata in Francia e in altre Regioni.
Un tempo ci fu un degno Re di Francia chiamato Carolus Secundus, cioè
Carlo II, e questo Carlo fu eletto Re di Francia per Grazia di Dio e per stir-
pe.
E questo stesso Re Carlo era massone prima di essere Re e quando diventò Re
amò i massoni e li tenne in gran conto e diede loro incarichi e regolamenti
[conformi] al suo disegno, alcuni dei quali sono ancora in uso in Francia;
ed egli stesso stabilì che essi dovessero stabilirsi in Assemblea una volta
all'anno per parlare insieme, Maestri e Compagni, e per [deliberare] [da
chi] essere guidati e [per emendare] tutte le cose sbagliate.
E poco dopo S. Adhabell venne in Inghilterra e converti S. Albano al Cri-
stianesimo.
E S. Albano amava i massoni e diede per primo incarichi ed usi in Inghil-
terra. Ed egli stabilì un tempo conveniente per pagare il lavoro.
E in seguito ci fu un'importante Re in Inghilterra chiamato Athelstan e il
suo figlio più giovane amava la scienza della Geometria e sapeva bene che
l'arte manuale [delle Craft] praticava la scienza della Geometria come i mas-
soni, per cui lo [accolse] in Consiglio e (lui) apprese la pratica di quella
scienza [adattandola] alla sua speculazione, perché nella speculazione era
maestro ed amava la Massoneria ed i massoni.
Ed egli stesso divenne massone e diede loro incarichi e nomi che sono ancora
in uso in Inghilterra e in altri Paesi.
E stabilì che [i massoni] dovessero venire pagati ragionevolmente per il loro
lavoro ed ottenne (acquistò) un decreto del Re che [sancì] il diritto che si
riunissero in Assemblea quando lo ritenevano un periodo ragionevole e [che]
venissero [ascoltati] i loro Consiglieri, com'è scritto e insegnato nel Libro dei
nostri incarichi/doveri per cui lascio l'argomento.
Uomini dabbene per questo motivo ed in questo modo [fecero sì che] la Mas-
soneria avesse inizio.
Accadde talvolta che grandi Signori non avessero Grandi possedimenti così
che non potevano aiutare (favorire) i loro figli generati liberi, perché ne ave-
vano molti, perciò si consigliarono su come si potesse aiutarli a stabilire che
essi potessero vivere onestamente.
Ed essi la mandarono dai Saggi Maestri dell'importante scienza della Geo-
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metria così che loro, con la loro saggezza, potessero fornire [ai] loro [figli]
un onesto modo di vivere.
Quindi uno di loro, di nome Englet, che fu un molto acuto e saggio fondatore,
stabilì un'Arte e la chiamò Massoneria e così, con la sua Arte egli istruì i fi-
gli dei Grandi Signori a richiesta (con preghiera) dei padri e libera volontà
dei figli; quando essi furono istruiti con grande cura, dopo un certo periodo
essi non furono tutti ugualmente capaci, per cui il suddetto Maestro, Englet,
stabilì che coloro che terminavano [l'apprendistato] con abilità dovessero es-
sere ammessi [nella Craft] con onore e chiamò il maestro più abile per istrui-
re (informare) i maestri meno abili e furono chiamati maestri per nobiltà
d'ingegno ed abilità nell'Arte.
In tale modo la suddetta Arte, iniziata in Terra d'Egitto, si propagò di Terra
in Terra, di Regno in Regno.
Dopo molti anni, al tempo di Re Athelstan, che fu re d'Inghilterra, i suoi
Consiglieri ed altri Grandi Signori, di comune accordo, per [le] gravi colpe
riscontrate fra i massoni, stabilirono una certa regola fra loro; [si stabilì
che] una volta all'anno, o (ogni) 3 anni [se ciò corrispondeva] al bisogno
del Re e dei Grandi Signori del Paese (della terra) e del popolo, di provincia
in provincia, e di paese in paese, si tenessero Assemblee di tutti i massoni e
compagni della suddetta Arte e che in tali riunioni i Maestri fossero ascoltati
(esaminati) sugli articoli [della Costituzione] che in seguito [vennero]
scritti e [si stabilì] che fosse verificato se [i maestri] erano capaci ed abili a
vantaggio del loro Signore (Sovrano) e ad onore della suddetta Arte.
E inoltre [si stabilì che dovessero adempiere] bene il loro incarico di impie-
gare i beni, piccoli o grandi, dei loro committenti (Signori), perché percepi-
vano da loro il compenso per il loro servizio ed il loro lavoro.
PARTE NORMATIVA DEL MANOSCRITTO DI COOKE
• Il primo articolo è questo: che ogni maestro di quest'Arte deve essere
saggio e leale verso il committente (Signore) che serve (del quale è al servi-
zio); e non pagare alcun muratore più di quello che ritenga possa meritare,
distribuendo i suoi benefici [e compensi] davvero come vorrebbe che i propri
fossero dispensati, dopo aver [tenuto conto della] scarsità di grano e di viveri
del Paese nessun favoritismo (favore) elargendo (sopportando), perché o-
gnuno sia ricompensato secondo il suo lavoro.
• Il secondo articolo è questo: che ogni maestro di questa Arte dovrebbe
essere informato prima di entrare (venire) nella (alla) sua (Comunità)
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SULL'ASSEMBLEA DI GIUSTIZIA
Quando il maestro e i compagni siano preavvisati e vengano a tali Assemble-
e, se c'è bisogno saranno associati (invitati a partecipare) assieme ai compa-
gni ed al maestro dell'Assemblea, lo sceriffo della contea, od il Sindaco della
Città, od il Consigliere più anziano della Città in cui l'Assemblea si tiene,
per servire [loro] di aiuto contro i ribelli (contumaci) e per sostenere i diritti
del Regno.
All'inizio [entrando nella Craft] uomini nuovi che non furono mai accolti
[nella Confraternita], siano accolti [valutandoli] in modo tale che essi non
siano mai ladri, o (sostenitori) [complici] di ladri e che essi compiano il lo-
ro lavoro giornaliero per il compenso che prendono dal loro committente (Si-
gnore) e un vero resoconto diano ai loro Compagni delle cose che devono esse-
re spiegate ed ascoltate e li amino come se stessi.
Ed essi devono essere fedeli al Re d'Inghilterra ed al Regno e mantenere [fe-
de], con tutte le loro forze, agli articoli suddetti [della Costituzione].
Dopo di ciò, [se sarà il caso] sarà indagato se qualche maestro o compagno,
che è stato informato [dei suoi doveri] abbia infranto qualche articolo [della
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1805-1860
LA NASCITA DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA E IL RUOLO DELLA MAS-
SONERIA NEL RISORGIMENTO
Nel 1805 fu costituito il Grande Oriente d’Italia. Tale data è stata ed è a
tutt’oggi considerata dai massoni del GOI come il momento in cui ha avuto
inizio la storia bicentenaria dell’Istituzione, poiché con essa faceva per la
prima volta la sua comparsa un’obbedienza che - indipendentemente dal
fatto di essere sottoposta alla tutela napoleonica o di non essere ancora in
grado di esercitare la propria giurisdizione su tutta la penisola - contem-
plava finalmente la parola «Italia» e associava pertanto ai principi masso-
nici di libertà, fraternità e solidarietà l’aspirazione a una nazione che smet-
tesse di rappresentare soltanto «un’espressione geografica», ma fosse an-
che libera e unita. La nascita del Grande Oriente d’Italia assume un signifi-
cato simbolico di notevole rilevanza che supera le diatribe storiografiche
relative alla discendenza massonica da un corpo rituale o alla continuità i-
niziatica successivamente interrotta: da quel momento, infatti, tutti i mas-
soni che si erano fino ad allora battuti per dare vita a una nazione libera e
indipendente e a una società moderna, democratica e laica - anche in quel-
le regioni della penisola in cui il GOI non era presente - presero a ricono-
scersi in un’entità capace di creare un sentimento di appartenenza e di or-
goglio, sentendosi allo stesso tempo italiani e massoni: lo dimostra il fatto
che le logge pugliesi e napoletane chiesero di unirsi al Grande Oriente
d’Italia e che, oltre mezzo secolo dopo, i fondatori della loggia «Ausonia»
di Torino si dichiararono eredi di quella breve ma significativa esperienza.
Tuttavia, al di là dell’importanza del significato simbolico legato alla fonda-
zione del GOI è certo che la massoneria costituì durante l’età napoleonica
un fenomeno sociale e politico di per sé rilevante. In quel periodo si conta-
vano nella penisola più di 250 logge (cifra che comprendeva quelle del GOI,
quelle controllate direttamente da Parigi e quelle dell’obbedienza del
Grande Oriente di Napoli), per un totale - seppur più che prudente - di
20.000 massoni attivi e quotizzanti. Un numero notevole se rapportato alla
popolazione complessiva e, ancor più, se posto a confronto con gli indivi-
dui maschi alfabetizzati. In quegli anni all’interno delle logge si ritrovarono,
in un clima di fratellanza e parità, esponenti appartenenti alla borghesia,
funzionari dello Stato, militari e parte di quella nobiltà che aveva accolto il
nuovo che avanzava non disdegnando di stabilire rapporti con altre classi
sociali. Le logge divennero pertanto luoghi di scambio e mediazione politi-
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ca, grazie anche al fatto che vi era un comune sentire condiviso dal potere
politico e dalla massoneria, i cui rispettivi vertici, spesso, coincidevano. Pur
ammettendo eccessi di ‘adulazione’ nei confronti della persona
dell’imperatore e dei suoi familiari, che presero parte a tutte le logge, non
si può non riconoscere che le riforme napoleoniche, la cui modernità fu ri-
levata anche dai giuristi più esplicitamente ostili, furono ispirate e applica-
te principalmente da uomini - prefetti, sottoprefetti, alti funzionari
dell’amministrazione - che affollavano le officine, dal canto loro veri e pro-
pri luoghi che, lungi dall’essere soltanto ritrovi conviviali allietati da ban-
chetti e brindisi all’«Augusto imperatore», consentivano anche momenti di
confronto serrato e costruttivo, in cui gerarchie e differenze sociali finiva-
no per stemperarsi allo scopo di individuare soluzioni che potessero essere
messe in atto una volta riacquistato il ruolo pubblico. Fu anche grazie a
questo impegno per «il bene dell’umanità» se l’introduzione dei codici civi-
li, innovativi strumenti del diritto positivo, non si trasformò in un mero e-
sercizio teorico legislativo: il Code Napoléon (così definito nel 1807), che
enunciava i diritti fondamentali dei cittadini equiparando la proprietà, in-
tesa come diritto naturale assoluto e individuale, alla persona, venne subi-
to applicato. Con esso si riconoscevano i diritti civili e politici di tutti i sud-
diti, anche i non cattolici - fino a quel momento pressoché costantemente
discriminati -, mentre il godimento dei diritti veniva esteso anche agli stra-
nieri. Per quanto riguardava la famiglia, l’autorità giurisdizionale della
Chiesa veniva sostituita con quella dello Stato: il matrimonio, così come la
registrazione delle nascite e delle morti, si trasformava in un atto civile e
doveva pertanto essere celebrato davanti a un ufficiale di stato civile e sol-
tanto in un secondo tempo, eventualmente, presso le autorità religiose.
Veniva inoltre istituito il divorzio, naturale conseguenza del matrimonio in-
teso non come sacramento ma come libero contratto e, in quanto tale,
passibile di rescissione. Si classificarono i beni, definendone la proprietà,
l’uso e l’usufrutto. Dal punto di vista penale, si assistette alla graduale ap-
plicazione delle leggi francesi e, a partire dal 1811, fu introdotto il codice
che, essendo ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino,
tutelava i diritti dell’imputato cancellando l’arbitrarietà della condanna e la
retroattività delle leggi. Fu anche per discutere e attuare queste e altre ri-
forme che i massoni presero a riunirsi finendo per fondare - come si è det-
to -, dopo un primo atto iniziatico ufficiale nel marzo del 1805, il Grande
Oriente d’Italia, esattamente tre mesi dopo la proclamazione del Regno
d’Italia. Lo scopo era di rompere l’isolamento e la precarietà in cui viveva-
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nella storia dei conflitti interni della libera muratoria: basti pensare alla
Carboneria, erede di quella corrente massonica deista e repubblicana, o a
quella sorta di continuità esistente tra gli ideali degli Illuminati di Baviera e
i gruppi settari come l’Adelfia e i Sublimi Maestri Perfetti. Come ha felice-
mente osservato Giuseppe Giarrizzo, se si passa dallo studio della compo-
sizione delle sette risorgimentali a quello dei modi dell’agire politico risul-
tano evidenti, per il caso italiano, gli influssi della massoneria sia sul mode-
ratismo sia sulle correnti rivoluzionarie, poiché proprio a quest’ultima
l’azione politica dei patrioti risorgimentali deve la forma organizzativa e al-
cuni importanti schemi ideologici; inoltre, alla massoneria rinvia anche la
forma-partito che si costituisce a ridosso del 1848. Riveste, infine, un ruolo
importante il contributo laico o religioso (non ecclesiastico) dato dalle va-
rie osservanze al processo formativo della politicizzazione delle masse, in
vista della riforma intellettuale e morale dell’italiano e, soprattutto,
dell’avvento in Italia di un modello di umanità rigenerata. Senza alcun
dubbio tra gli aderenti all’Adelfia, alla Carboneria e alla Federazione Italia-
na numerosi furono coloro i quali transitarono nelle logge durante il perio-
do napoleonico, senza che però ciò si traducesse automaticamente in un
sostegno alla politica dell’imperatore, anzi: all’interno delle logge si ritro-
varono spesso uomini di differenti fedi religiose o nutriti di ideali e orien-
tamenti politici contrastanti, ma che, tuttavia, cercavano nelle logge un
luogo di confronto improntato alla comune tolleranza. Nel corso della do-
minazione francese agirono, infatti, anche nuclei massonici antigovernativi
operanti sia esternamente sia internamente alle logge regolarmente costi-
tuite, le quali, come si è detto, erano di fatto uno strumento della politica
napoleonica. Questa sorta di «massoneria antigovernativa» raggruppava
anch’essa personaggi tra loro politicamente distanti, uniti però da una co-
mune avversione a Bonaparte e alla dominazione francese: ad aristocratici
con alle spalle frequentazioni in officine libero muratorie nel corso
dell’ultimo Settecento, si affiancavano infatti elementi giacobini vagheg-
gianti l’istituzione di un regime repubblicano. E furono proprio queste
componenti a dare vita al ‘magma’ settario dei primi anni della Restaura-
zione. Nel caso della Carboneria, per esempio, se si analizza il rituale del
grado di Gran Maestro Carbonaro è possibile desumere con chiarezza co-
me in molti casi gli affiliati a essa fossero stati in precedenza iniziati alla li-
bera muratoria o, quanto meno, continuassero - pur non facendone più
parte - a riconoscersi nei suoi principi, dal momento che, come spesso ve-
niva ripetuto, i massoni si erano «associati con i troni» (una chiara allusio-
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rono a operare fianco a fianco uomini i cui ideali politici erano notevol-
mente differenti: accanto ai seguaci di Buonarroti, repubblicani fermamen-
te convinti che la Restaurazione fosse iniziata già con la proclamazione
dell’impero nel 1805, erano presenti ex ufficiali e funzionari napoleonici
che sognavano il ritorno di Bonaparte, o giovani aristocratici che, cresciuti
ed educati nelle scuole francesi, si accontentavano di dare vita a monar-
chie costituzionali. La maggior parte dei cospiratori partecipò - ritrovandosi
tra le fila dei carbonari e dei federati - all’ultimo ed eroico tentativo di far
continuare quel processo di modernizzazione e liberalizzazione portato a-
vanti anche dalle logge e bruscamente interrotto dalla Restaurazione im-
posta dal congresso di Vienna. Seppur sconfitti, questi ideali continuavano
a incutere paura ai regimi assolutisti e alla Chiesa, al punto che la Rivolu-
zione francese, coi suoi aneliti di libertà, di eguaglianza e di fratellanza, finì
per essere considerata una diretta conseguenza del pensiero massonico.
Questa tesi, ripresa e approfondita negli anni successivi da numerosi pen-
satori antirivoluzionari che ritenevano il protestantesimo e la libera mura-
toria le cause prime dei mali del mondo, fu per molto tempo alla base del
pensiero reazionario. Il più noto di questi pensatori fu senza dubbio l’abate
Augustin Barruel, un tempo affiliato alla massoneria e autore oltre che del
saggio Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, scritto a Londra
durante gli anni dell’esilio, anche di numerosi libelli dello stesso tenore.
Secondo Barruel, la Rivoluzione prese corpo alla scuola dei sofisti empi, in
cui «non tardarono a formarsi i sofisti della ribellione, e costoro alla cospi-
razione dell’empietà contro gli altari di Gesù Cristo, aggiungendo quella
contro tutti i troni dei re, si riunirono all’antica setta delle infami logge dei
Liberi Muratori, che in progresso di tempo si burlò dell’onestà stessa de’
suoi primi seguaci riservando agli eletti il secreto del suo odio profondo
contro la religione di Cristo e contro i monarchi». Subito dopo la conclu-
sione delle esperienze costituzionaliste tentate in Piemonte e nel Regno di
Napoli, papa Pio VII (1800-1823) diede alle stampe la costituzione Eccle-
siam a Jesu Cristo, rivolta contro la Damnatio societatis secretae nuncup-
tae Carbonariorum. Seppur espressamente diretta contro la Carboneria,
tale condanna è tuttavia generalmente considerata dagli studiosi un do-
cumento antimassonico, poiché riteneva la Carboneria stessa e la masso-
neria le vere ispiratrici di tutti i complotti e le congiure ordite contro
l’ordine costituito. Con la condanna si intendeva colpire il fenomeno delle
società segrete, che proprio in quel periodo cominciavano costituirsi e che,
secondo il papa, erano «imitazioni, se non addirittura emanazioni» della
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strategico per i membri iniziali del Grande Oriente d’Italia imprimere una
politica moderata al risveglio latomistico italiano, ancorandolo alla tradi-
zione libera muratoria e difendendolo da un utilizzo che potesse avere fi-
nalità rivoluzionarie. Nel biennio 1860-61 la stragrande maggioranza degli
aspiranti massoni apparteneva al milieu politicamente impegnato nella So-
cietà Nazionale. Se da un lato la comune provenienza culturale e
l’attaccamento a un progetto politico liberale moderato consentì - grazie
all’omogeneità del suo gruppo dirigente - un lavoro di rafforzamento ed
espansione che mise al riparo la nascente organizzazione libero muratoria
da involuzioni rivoluzionarie di matrice repubblicano-mazziniana, dall’altro
pose le basi per le contestazioni e la successiva opposizione di quanti, vici-
ni alle correnti democratiche, erano propensi a una organizzazione svinco-
lata da protezioni politiche troppo ingombranti. Il punto di riferimento dei
democratici era rappresentato dal Supremo Consiglio del Rito Scozzese An-
tico e Accettato (RSAA) che nello stesso periodo operava a Palermo, retto
da un sistema rituale antagonista a quello dei moderati cavouriani. Questa
difformità di interessi e di obiettivi generò tra i due gruppi un’autentica
lotta per ottenere l’egemonia sul movimento massonico nazionale, com-
battuta rivendicavano la ‘primogenitura’ e avanzando reciproche richieste
di sottomissione. La vera causa del dissidio fu tuttavia la diversità ideologi-
ca, nonostante la reiterata enunciazione di un totale agnosticismo nelle
questioni politiche, e la scelta del rituale fu operata non in base a conside-
razioni esoteriche ma in base al perseguimento di strategie profane.
L’utilizzo del Rito Scozzese da parte dei democratici, noto per la rigidità
con cui si accedeva ai gradi superiori e per il diverso coinvolgimento opera-
tivo a seconda del grado acquisito, rispondeva inizialmente alla necessità
di poter contare su una struttura organizzativa simile a quella delle orga-
nizzazioni settarie e quindi di tipo ‘oppositivo’, essendo ancora indefinito il
futuro dell’Italia dal punto di vista istituzionale. Viceversa, la struttura a tre
gradi (apprendista, compagno, maestro) adottata dai moderati era funzio-
nale a un progetto totalmente incentrato sullo sviluppo degli elementi di
mediazione, una sorta di «camera di compensazione» in cui le diverse ten-
denze politiche potessero agire nella legalità e, pur conservando una loro
autonomia d’azione e di giudizio, potessero dimostrare piena adesione alla
corona e alle istituzioni. Il GOI, consapevole del pericolo rappresentato dal
Supremo Consiglio di Palermo - rafforzatosi con la prestigiosa adesione di
Giuseppe Garibaldi -, decise all’inizio del 1861 (anno denso di eventi storici
per il neonato regno unitario e per la fragile massoneria) di imprimere una
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dalla morte, avvenuta il 9 gennaio 1878, del re d’Italia Vittorio Emanuele II,
seguita, pochi mesi prima della conclusione del decennio, dal decesso nella
sua casa di Prato nel maggio 1880 del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni,
stroncato da una breve e violenta malattia. A questi successe l’anziano pa-
triota Giuseppe Petroni, un tempo carbonaro e successivamente seguace
di Mazzini rinchiuso nelle prigioni papaline dal 1853 al 1870. Nel corso del-
la sua gran maestranza il GOI portò a compimento quel processo di riordi-
namento e radicamento sul territorio iniziato nel 1874 con l’«epurazione -
così fu chiamata - di quelle logge e di quei fratelli che non potevano essere
considerati membri attivi. La forte caducità delle strutture di base
dell’Istituzione aveva condizionato lo sviluppo di un coerente progetto cul-
turale e politico auspicato dai suoi vertici. Con la stabilità organizzativa ed
economica e con l’ascesa al potere della Sinistra, il GOI aveva definitiva-
mente abbandonato la concezione di una massoneria intesa come sempli-
ce instrumentum regni - cioè come canale di legittimazione del nuovo Sta-
to e di orientamento del consenso dei ceti borghesi emergenti -, per ap-
prodare a un’interpretazione molto più dinamica e flessibile che vedeva
nel tessuto connettivo delle associazioni libero muratorie un potente mez-
zo per condizionare l’operato governativo in senso liberale e progressista.
Parallelamente, la massoneria acquisiva una forma autonoma di penetra-
zione nella società civile, finalizzata alla diffusione della cultura laica e di
un solidarismo pervaso di spirito egualitario e non racchiuso negli angusti
limiti della filantropia paternalistica. Una presenza, in ultima analisi, che
agiva da elemento moltiplicatore delle istanze partecipative, evidenziando
in particolare la stretta correlazione esistente fra intensità della vita asso-
ciativa e sviluppo delle tendenze politiche democratiche. A partire da que-
gli anni la massoneria creò o prese parte in modo determinante alla crea-
zione di numerose associazioni di solidarietà allo scopo di risolvere in tut-
to, o in parte, i numerosi problemi sociali presenti nel Paese. Questo inter-
vento, che interessava vari settori della società, si differenziava notevol-
mente sia dal filantropismo di stile anglosassone sia dal lavoro svolto dalle
pie congregazioni di carità. Il paradigma massonico di solidarietà, infatti,
possedeva una forte componente pedagogica e lo scopo principale non era
solo quello di migliorare le condizioni di vita dei settori più deboli della so-
cietà attraverso un sostegno economico, ma anche di creare i presupposti
e le basi necessarie per un «autoriscatto» sociale. Il GOI diede vita a una
rete di contatti radicati territorialmente che si caratterizzerà, almeno fino
all’avvento del fascismo, per la moltiplicazione degli interventi nella socie-
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stico, anche di nuova concezione, che videro la luce per iniziativa delle of-
ficine massoniche: scuole primarie (serali o domenicali), biblioteche circo-
lanti, università popolari, cooperative di consumo, banche del popolo, so-
cietà per l’allattamento materno e la distribuzione quotidiana di pane, cu-
cine popolari, ospedali e organismi di assistenza sanitaria, società per la
cremazione e per le onoranze funebri laiche, società per la pace e per gli
arbitrati internazionali, associazioni per il recupero dei giovani sbandati e
di quelli usciti dal carcere; e, inoltre, comitati costituiti per sostenere cam-
pagne in favore di temi di rilevanza civile, come quelli per l’abolizione della
pena di morte, per l’introduzione del suffragio universale o del divorzio,
per la lotta contro la prostituzione e così via. Molte di queste iniziative fu-
rono di fatto finalizzate alla realizzazione di un embrionale sistema laico di
assistenza che fosse capace di contrastare l’opera svolta dalle associazioni
clericali e, nel contempo, diffondesse tra i profani una favorevole immagi-
ne dell’Istituzione. Ciò si inquadrava, a sua volta, in un più ampio e ambi-
zioso progetto di secolarizzazione e democratizzazione della società italia-
na, che inevitabilmente comportò il crescente coinvolgimento del sodalizio
nella lotta politica e sociale. Un tale progetto di costruzione di un’identità
nazionale nacque all’interno della società civile - attraverso percorsi orga-
nizzativi e istituzionali definiti - promuovendo al massimo grado lo sviluppo
e l’incremento di una morale e di una coscienza al suo interno. Gli assi por-
tanti di questo progetto erano lo sviluppo scientifico, la crescita culturale
della società e la lotta al pregiudizio religioso. Per i dirigenti del GOI, la
scienza e l’educazione stavano alla base del progresso dell’umanità e sol-
tanto la totale laicizzazione della dimensione sociale poteva assicurare il
funzionamento dell’intero paradigma. La massoneria apportò un notevole
contributo all’affermazione delle istanze di laicismo e di apertura al pen-
siero europeo (specialmente nei confronti della Francia e dell’Inghilterra),
che svolsero un ruolo fondamentale nel processo di ‘svecchiamento’ della
cultura italiana soprattutto in una fase in cui si chiedeva al nuovo ceto poli-
tico e intellettuale di lavorare per l’unificazione culturale del Paese a parti-
re dalle strutture scolastiche e formative. Non a caso, infatti, proprio i temi
pedagogici ed educativi in generale furono al centro degli interessi e delle
polemiche dei massoni che intendevano trasmettere alla società italiana
una mentalità laica e pragmatica, intesa a svincolare la cultura da ogni in-
tento moralistico o spiritualistico, attraverso un forte impulso allo studio
dell’uomo e del suo vivere sociale. Nel corso della seconda metà
dell’Ottocento, l’educazione apparve lo strumento indispensabile per co-
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1885-1915
IL RUOLO DEL GRANDE ORIENTE NELL’ETÀ LIBERALE
La nomina a Gran Maestro dell’abile banchiere Adriano Lemmi impresse
una svolta decisiva alla strategia libero muratoria: sul piano esterno ciò si
tradusse per l’organizzazione nell’acquisizione di un ruolo in qualche modo
parallelo e complementare all’opera di Francesco Crispi nel governo del
paese; su quello interno, la nuova gran maestranza ebbe il merito di porta-
re a conclusione complesse e delicate operazioni di riunificazione dei resi-
dui gruppi ancora separati, assicurando così alla massoneria un significati-
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vralgico deputato ad accogliere numerosi antifascisti che ospitò, fra gli al-
tri, il socialista Alessandro Pertini - Randolfo Pacciardi, Arturo Labriola, Sil-
vio Trentin e Giuseppe Leti. Quest’ultimo, grazie alla stima di cui godeva in
tutti gli ambienti, svolgerà compiti essenziali di mediazione e di collega-
mento fra le iniziative politiche degli esuli: quando nell’aprile del 1927 si
costituirà la «Concentrazione antifascista», cui aderiranno il Partito sociali-
sta italiano (PSI), il Partito socialista unitario dei lavoratori italiani (PSULI),
la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e la Lega italiana dei
diritti dell’uomo (LIDU), Leti ne diventerà il segretario. Fondamentali, per
la Concentrazione, si rivelarono le risorse assicurate dalla LIDU, fondata nel
1923 per iniziativa di un gruppo di massoni già attivi nello schieramento in-
terventista democratico: il socialista riformista Luigi Campolonghi, il re-
pubblicano Natoli, il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris e Ubaldo
Triaca, Venerabile della loggia «Italia» di Parigi, all’obbedienza della Gran
Loggia di Francia. La LIDU era sostenuta dalla Ligue française des droits de
l’homme, organizzazione forte di 1800 sezioni e 140.000 iscritti e massima
espressione del solidarismo di matrice radical massonica, che aveva rico-
perto un ruolo di primo piano nella laicizzazione della società francese fin
dai tempi dell’«affaire Dreyfus». Grazie a Triaca e a Campolonghi, fra i cui
amici ed estimatori figuravano Herriot, Blum e Poincaré, la LIDU si giovava
di positivi contatti con esponenti e forze della sinistra radicale della III Re-
pubblica. Mentre in tal modo si costruivano le premesse per una ripresa
organizzata all’estero della massoneria italiana (si tenga presente che le
logge costituite fuori dal Paese non sottostavano all’obbligo dello sciogli-
mento decretato alla fine del ’25 da Torrigiani), nella penisola la difficile
sorte dell’Istituzione si rifletteva in quella dei suoi massimi dirigenti: il Gran
Maestro, rientrato in patria nell’aprile del 1927 dalla Provenza - dove era
stato in cura a causa della salute malferma - per testimoniare al processo
Capello, fu condannato al confino e deportato a Lipari; fu poi trasferito a
Ponza, dove nel 1931 fondò la loggia «Pisacane», di cui fecero parte il libe-
rale Placido Martini e il comunista Silvio Campanile, entrambi trucidati alle
Fosse Ardeatine. Infine, ritornato ormai pressoché cieco nella sua casa di
Lamporecchio, Torrigiani morì il 31 agosto 1932. Anche il Gran Maestro
Aggiunto Giuseppe Meoni, nominato da Torrigiani presidente del Comitato
coordinatore per la gestione dei beni dell’Istituzione, fu condannato nel
maggio del 1929 a cinque anni di confino e deportato a Ponza; nel corso
dello stesso mese Ettore Ferrari fu denunciato con l’accusa di aver tentato
di riorganizzare la massoneria. La firma, l’11 febbraio 1929, dei trattati del
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1945-2005
FRA TRADIZIONE E RINNOVAMENTO: LA LUNGA TRAVERSATA DEL DE-
SERTO DAL 1945 A OGGI
Dopo vent’anni di oblio, con la caduta del regime fascista la massoneria
riemergeva all’interno della scena nazionale. Già nel febbraio del 1945, un
rapporto confidenziale americano sosteneva che la libera muratoria in Ita-
lia sembrava orientata a dare vita a una sorta di partito democratico che
rappresentasse quanti si riconoscevano nella tradizione democratica post-
risorgimentale. Nel documento venivano inoltre sottolineate le differenze
che esistevano tra coloro che si richiamavano alla tradizione laicista e pro-
gressista del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, e coloro che si riface-
vano alle posizioni conservatrici della Gran Loggia di Piazza del Gesù. Se-
condo il rapporto, i primi erano di spiccate tendenze repubblicane - con
una componente favorevole al Movimento federalista europeo - e avevano
costituito, fin dal luglio del 1943, un provvisorio «Governo dell’Ordine
massonico italiano» che aveva a sua volta riattivato le logge ‘dormienti’ e
dichiarato la volontà di combattere tutti i dispotismi in base ai principi di
uguaglianza e fratellanza. Il 10 giugno 1944 veniva diffuso a Roma un mani-
festo, firmato da Umberto Cipollone, Giuseppe Guastalla ed Ermanno So-
limene, che annunciava la rinascita del Grande Oriente d’Italia, e immedia-
tamente dopo si costituiva un «Comitato di Gran maestranza» formato
dallo stesso Cipollone, da Guido Laj, prosindaco di Roma, e da Gaetano
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del GOI, influendo in modo assai negativo sulla sua immagine. Nella prima-
vera del 1969 Lino Salvini si candidò alla successione di Gamberini, dispo-
sto ad assicurare il proprio appoggio e quello di alcune logge a lui fedeli a
patto di poter continuare a dirigere la «Rivista massonica» e bloccare
l’ascesa del suo antagonista storico, il neuropsichiatra Fernando Accorne-
ro, che rappresentava all’epoca la tradizione risorgimentale e laica del GOI.
Uno dei primi atti di Salvini fu la nomina di Licio Gelli alla carica di «segre-
tario organizzativo» della loggia Propaganda n. 2. Pochi sapevano, anche
nelle alte gerarchie del GOI, che questa loggia - fondata nel 1876 per acco-
gliere in modo ‘riservato’ esponenti politici e alti funzionari dello Stato, in
modo da non riproporre nelle logge le divisioni partitiche e porli al riparo
da richieste di vario genere da parte di postulanti interni all’Istituzione - si
stava trasformando in un centro d’affari che si sarebbe ben presto posto
fuori da ogni controllo. A quanti mostrarono di nutrire dubbi e preoccupa-
zione, Salvini rispose che Gelli - il cui nome gli era stato indicato da un fra-
tello di grande prestigio come Roberto Ascarelli - era un uomo di enormi
capacità organizzative, e che la loggia di cui era segretario si atteneva alle
antiche tradizioni massoniche. Affermazione, questa, che sarebbe stata
tuttavia seccamente smentita dalle finte iniziazioni condotte alla presenza
dell’ex Gran Maestro e dall’autonoma gestione delle tessere condotta da
Gelli con l’assenso di Salvini. La Propaganda finì così per perdere le caratte-
ristiche di una loggia (certamente particolare, tenuto conto del rango degli
iscritti, ma pur sempre sottoposta ai doveri e ai diritti di tutte le altre offi-
cine del GOI) per assumere via via quelle di un aggregato - che non si riuni-
va mai - composto di ufficiali, generali, politici, alti funzionari, banchieri, af-
faristi, giornalisti e vip fuori da ogni controllo costituzionale e senza rap-
porti con gli altri fratelli della Comunione giustinianea. Tuttavia, essendo
protetta dal Gran Maestro e da alcuni suoi collaboratori, essa continuò a
rimanere un organismo del GOI, finendo così per coinvolgere l’intera Isti-
tuzione nella sua pericolosa evoluzione e fissare nell’immaginario colletti-
vo un giudizio negativo. A un certo punto Salvini si rese però conto che la
situazione stava sfuggendogli di mano e, pensando di poter contare su un
forte prestigio interno e internazionale, tentò di ridimensionare la figura di
Gelli. Durante i primi tre anni del suo mandato egli aveva effettivamente
portato a buon fine alcune operazioni che avevano contribuito a rafforzare
l’immagine del GOI. Il 13 settembre 1972 venne ufficializzato il riconosci-
mento inglese. Il merito dell’evento, che venne esaltato con toni trionfali
dal Gran Maestro in una «balaustra» inviata a domicilio a ogni singolo fra-
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sceva bene gran parte della classe politica italiana, ed essendo dotato di
un’indubbia intelligenza e di una buona dose di astuzia non si fece impres-
sionare né scoraggiare dal crucifige cui venne sottoposto il GOI da parte
del mondo politico giornalistico, il quale, da parte sua, nascondeva ben al-
tri scheletri nei propri armadi. A quel punto era comunque necessario
fronteggiare la valanga di accuse e insinuazioni che con grande compiaci-
mento i media riversavano sulla massoneria italiana. Corona provvide in-
nanzitutto a rintuzzare con una serie di querele le calunnie più smaccata-
mente false. Quindi il nuovo Gran Maestro, assai sensibile alla pubblica o-
pinione ma assai meno data anche la sua limitata anzianità massonica alla
continuità della tradizione, si dispose a introdurre rapidamente quelle mo-
difiche normative che potevano assicurare all’Ordine una maggiore fun-
zionalità e una più solida protezione dagli addebiti impropri che le veniva-
no rivolti. Inoltre, allo scopo di ridare al GOI un’immagine dignitosa si co-
minciò anche a prendere in considerazione l’uso di un altro strumento di
riqualificazione dell’Istituzione, di cui il Gran Maestro, pur non essendo
uno studioso di discipline storiche o filosofiche, intuiva la grande impor-
tanza: lo strumento culturale. Nel 1984 fu varata la nuova Costituzione col
relativo regolamento. Fra le innovazioni più rilevanti figuravano:
l’abolizione del giuramento e dei “cappucci e delle spade”; il cambiamento
del meccanismo elettorale, congegnato in modo da ostacolare i condizio-
namenti che si erano verificati all’epoca di Salvini, introducendo l’elezione
diretta e, nell’ipotesi non si fosse raggiunto il quorum della maggioranza
assoluta, il ballottaggio riservato ai Maestri Venerabili da svolgersi durante
la Gran Loggia; la nomina diretta del Gran Segretario (la cui carica cessava
così di essere elettiva) da parte del Gran Maestro. Superata la crisi della P2
e avviata la risoluzione dei problemi che si erano presentati negli anni pre-
cedenti, i fratelli del GOI si mostrarono nuovamente animati da un senso di
sicurezza nel condurre i lavori delle logge ripopolate e desiderosi di ripro-
porsi all’esterno, come avvenne in occasione del convegno storico dedica-
to a temi risorgimentali - intitolato La liberazione d'Italia nell'opera della
Massoneria - che si svolse a Torino nel settembre 1988, a cui presero parte
14 relatori italiani e 8 stranieri. Ma si era ormai vicini alla scadenza del
quinquennio, che seguiva un precedente mandato triennale, della gran
maestranza di Armando Corona. Così come aveva fatto Gamberini con Sal-
vini, allo stesso modo Corona cercò un successore che fosse disposto a
preservargli di fatto l’incarico. La scelta cadde su Giuliano Di Bernardo,
professore di filosofia della scienza a Trento e autore di un volume dedica-
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sero di abbandonare il GOI alla propria sorte, avvallando di fatto una sorta
di ‘8 settembre massonico’ organizzato sotto forma di una fuga repentina
e irresponsabile del Gran Maestro e di un’immediata mise en place di
un’entità sostitutiva. Questa nuova organizzazione massonica, cui venne
dato il nome di Gran Loggia Regolare d’Italia, nacque il 17 aprile l993, pre-
via registrazione effettuata di fronte a un notaio il giorno precedente. La
Giunta del GOI, dopo aver appreso con stupore le decisioni di Di Bernardo,
comprese subito che la partita si sarebbe giocata anche sul piano delle re-
lazioni internazionali massoniche. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, dopo
una serie di inutili abboccamenti affidati ad Armando Corona, il 10 giugno
comunicò la sospensione delle relazioni col GOI: a questa decisione segui-
rono la revoca del riconoscimento (8 settembre) e il trasferimento dello
stesso (8 dicembre successivo) all’organizzazione dibernardiana. Tuttavia,
il risultato che si sperava di ottenere con una tale operazione, e cioè lo
smottamento del GOI verso quest’ultima, non si verificò. La stragrande
maggioranza degli affiliati e tutti i membri della Giunta, anche coloro che
erano stati i più stretti collaboratori di Di Bernardo, fecero quadrato a dife-
sa dell’Istituzione. Nessun alto dignitario seguì il transfuga e la reggenza
venne affidata ai Gran Maestri Aggiunti Eraldo Ghinoi ed Ettore Loizzo. Con
i membri superstiti della Giunta riorganizzarono le fila, incaricando il Gran
Oratore, l’attuale Gran Maestro Gustavo Raffi, di difendere pubblicamente
e legalmente l’immagine del GOI. Sul fronte delle relazioni internazionali il
Gran Maestro reggente Ghinoi si recò con successo negli Stati Uniti, fruen-
do dei canali del Rito di York che si dimostrarono fondamentali, per far co-
noscere ai fratelli d’oltreoceano la reale situazione che si era creata. Que-
sto intenso lavoro - nei confronti dell’opinione pubblica da parte della
Giunta e del Gran Oratore e in campo massonico con intense trattative di-
plomatiche svolte dai Gran Maestri Reggenti che permisero al GOI di man-
tenere la stragrande maggioranza dei riconoscimenti delle altre obbedien-
ze sorelle – impegnò l’Istituzione a tutti i livelli e furono otto mesi cruciali
per la vita della massoneria giustinianea. Ma restava ancora da affrontare
la più difficile e decisiva prova a livello internazionale. Dal 19 al 22 febbraio
1994 si tenne a Washington il congresso annuale dei Gran Maestri della
massoneria americana, che aveva inserito nell’ordine del giorno dei lavori
di deliberare sulla richiesta di revoca del riconoscimento del GOI presenta-
ta da Di Bernardo e appoggiata dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra: la de-
cisione della Commissione americana per i riconoscimenti fu però favore-
vole ai massoni di palazzo Giustiniani, e avallò l’azione difensiva messa in
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monio iniziatico, la sfida posta dagli interrogativi del nuovo millennio in di-
fesa di quegli ideali di libertà, tolleranza, fratellanza e solidarietà che de-
vono essere non solo un patrimonio dei liberi muratori, ma dell’umanità
intera. Questo ambizioso programma necessitava di una nuova strategia
della comunicazione verso la società e la pubblica opinione con una venta-
ta di trasparenza che chiarisse il ruolo e le finalità etiche, culturali, sociali
ed educative della libera muratoria utilizzando i mezzi di comunicazione di
massa e telematici. Accanto alla rivista «Hiram», che è diventata una ap-
prezzata fonte - per il mondo profano - di conoscenza del dibattito che
percorre il mondo latomista in merito alle riflessioni sull’uomo, sulla socie-
tà e sulle tematiche esoteriche, etiche, filosofiche, storiche e spirituali, il
GOI, al passo con i tempi, si è dotato di un sito internet
(www.grandeoriente.it) e recentemente, al suo interno, di una radio on-
line, efficace mezzo per diffondere le iniziative promosse, attraverso inter-
viste, corsi e lezioni di carattere esoterico, storico e culturale, programmi
di musica massonica e riprese anche in diretta di convegni e manifestazio-
ni. Le Gran Logge, pur conservando la loro funzione di massime assise in-
terne dell’Ordine, si sono trasformate in un annuale appuntamento che
costituisce, anche per il mondo profano, un importante avvenimento cul-
turale di incontro e confronto con i liberi muratori del GOI in cui vengono
affrontati temi nodali come la centralità e la città dell’uomo, le vie del dia-
logo, il diritto alla felicità. La partecipazioni di insigni studiosi, intellettuali,
scienziati e artisti ai dibattiti e agli spettacoli, organizzati contemporanea-
mente ai lavori delle Gran Logge, sono la dimostrazione dell’attenzione che
il mondo culturale e scientifico dimostra al nuovo corso impresso al GOI.
Ma non solo le Gran Logge sono diventate un momento di apertura al
mondo profano. Altre innumerevoli iniziative organizzate dalla Giunta a-
dempiono a questa funzione di divulgazione del pensiero della libera mu-
ratoria in modo da evidenziarne la trasparenza, a partire dal tradizionale
appuntamento del XX settembre, che da riunione autocelebrativa di un
passato glorioso ma consegnato alla storia, si è trasformato in un momen-
to di riflessione e dibattito sui temi cari al pensiero massonico, coinvolgen-
do personalità come i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Rigoberta Men-
chú e illustri studiosi profani come Margherita Hack, Piero Craveri, Massi-
mo Teodori. Numerosi sono stati i convegni e le giornate di studio organiz-
zate a livello nazionale e locale dove non solo si sono affrontati i tradizio-
nali temi storici ed esoterici, come era avvenuto in passato, ma si sono di-
scussi problemi come quello della laicità dello stato, dell’istruzione pubbli-
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Studi sulla Massoneria
ca, della bioetica, della globalizzazione, dei diritti umani, del fenomeno dei
fondamentalismi, che mettono in pericolo la pace e fomentano l’odio e la
guerra. E questi momenti di riflessione si sono svolti ponendo a confronto,
intorno a uno stesso tavolo, uomini di fedi religiosi e idee politiche diverse
con lo stesso spirito di dialogo e rispetto con cui si riunivano, agli albori
della libera muratoria speculativa, i massoni inglesi nelle taverne londinesi.
In questi anni il Grande Oriente d’Italia si è impegnato nelle grandi batta-
glie a favore della scuola pubblica, per la libertà di ricerca scientifica, per la
riaffermazione del pensiero laico, per i diritti delle minoranze e perché la
globalizzazione possa essere tale anche per i diritti umani. Grazie a questa
incisiva presenza nella società, la massoneria è oggi tornata ad assumere
un importante ruolo attivo e ha riconquistato una propria riconosciuta
presenza costruttiva e propositiva. Anche l’energica e determinata azione
legale in difesa della onorabilità e dei diritti costituzionali di cui i massoni,
come cittadini di uno stato di diritto e democratico, devono godere, ha ot-
tenuto notevoli risultati. Nel 2001 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha
accolto il ricorso presentato dal GOI contro la legge regionale delle Mar-
che, che obbligava chi concorre per cariche pubbliche a dichiarare la pro-
pria «non appartenenza alla massoneria», condannando lo stato italiano
per aver violato, in pregiudizio dei massoni, la libertà di associazione. Solo
nel 2005 la Regione Marche ha abrogato le norme che discriminavano i li-
beri muratori. Pertanto con il nuovo millennio si è aperta una stagione di
rispetto, di dialogo, di confronto con il mondo profano che chiede sempre
di più di conoscere, di capire la libera muratoria. Ed è allo scopo di rispon-
dere a questa voglia d’informazione e conoscenza che la biblioteca centra-
le, dopo anni di totale abbandono, è stata completamente rinnovata e si è
arricchita di migliaia di volumi diventando una prestigiosa struttura cultu-
rale, nell’ambito del quale si tengono con frequenza presentazioni di libri,
incontri e discussioni con autori, editori e intellettuali, profani e non. Lo
stesso dicasi per l’archivio storico che è stato aperto agli studiosi che han-
no potuto accedere alle fonti originali per completare i loro studi e dare al-
le stampe fondamentali opere storiche come la storia della massoneria dal
Risorgimento all’avvento del fascismo di Fulvio Conti e del Grande Oriente
in esilio di Santi Fedele, solo per citare le opere più recenti e di respiro na-
zionale. Con questa apertura voluta dal Gran Maestro Raffi il GOI non è
stato più oggetto da parte dei mass-media di campagne di demonizzazio-
ne, che lo avevano identificato con il lato oscuro della società, perché
l’opinione pubblica ha capito che i massoni sono uomini che non hanno
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massoni furono perseguitati non come tali, bensì per offesa alla religione
cattolica e che il delitto di massoneria si basava sulla lesione dell'ordina-
mento religioso cattolico. Poiché questo era considerato come base della
costituzione degli Stati cattolici, il delitto ecclesiastico automaticamente
passava ad essere concepito e castigato come delitto politico.
Il primo ad accogliere le direttive del Papa fu il re di Napoli, Carlo
VII, che ricevette in anteprima il testo della bolla papale scritta soprat-
tutto per contrastare il rifiorire di logge nel suo re-
gno.
La bolla venne consegnata dal gesuita Francesco
Maria Pepe, famoso predicatore dei lazzeri e acceso
antisemita, e Carlo di Borbone rispose immediata-
mente inviando la minuta del suo Editto che venne
pubblicato il 2 luglio 1752. In questa pronta ed en-
tusiastica risposta Benedetto XIV ravvisò con sod-
disfazione che la sua tesi della stretta alleanza tra
trono e altare per combattere la massoneria era con-
divisa proprio da quel Re che solo sei anni prima a-
Editto di Carlo veva tolto ai vescovi ogni autorità in materia civile
creando un grave contrasto tra il regno borbonico e
III di condanna
la Santa Sede.
della massoneria Contemporaneamente alla pubblicazione dell’edit-
(1751)
to, Napoli venne messa a soqquadro dalla massa dei lazzeri, che istigati
da padre Pepe, si scagliarono contro la massoneria
accusata tra l’altro di essere la causa del mancato
miracolo di San Gennaro nel 1751. Il capro espia-
torio di questa rivolta popolare fu il Gran Maestro
della massoneria napoletana, il principe Raimondo
Di Sangro, indicato per le sue ricerche chimiche e
le invenzioni bizzarre come un mago e un eretico.
Il principe di Sangro, con un’abile politica fatta di
ritrattazioni e difesa dell’ordine libero-muratorio
partenopeo, riuscì a convincere le autorità che la
«conventicola dei franç-masons» non era pericolosa Lettera di Carlo
e di conseguenza rese mite la repressione. Infatti IIII a Benedetto
Carlo VII si limitò a sequestrare le carte delle logge XIV dopo la con-
e infliggere agli appartenenti una solenne ammoni- danna pontificia
zione dopo che questi avessero sconfessato i principi
(1751)
della setta davanti a un giudice competente per ogni ceto.
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In eminenti
Papa Clemente Vescovo servo dei servi di Dio
A tutti i fedeli, salute e Apostolica Benedizione.
Posti per volere della Clemenza Divina, benché indegni, nell’eminente Se-
de dell’Apostolato, onde adempiere al debito della Pastorale provvidenza
affidato a Noi, con assidua diligenza e con premura, per quanto Ci è con-
cesso dal Cielo, abbiamo rivolto il pensiero a quelle cose per mezzo delle
quali — chiuso l’adito agli errori ed ai vizi — si conservi principalmente
l’integrità della Religione Ortodossa, e in questi tempi difficilissimi ven-
gano allontanati da tutto il mondo Cattolico i pericoli dei disordini.
Già per la stessa pubblica fama Ci è noto che si estendono in ogni
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morate di Dio, che sarebbe assai utile eliminare tutti i sotterfugi dei
calunniatori e dichiarare l’uniformità dell’animo Nostro con
l’intenzione e la volontà dello stesso Predecessore, aggiungendo alla
sua Costituzione il nuovo voto della Nostra conferma;
IV. Noi certamente, fino ad ora, quando abbiamo benignamente conces-
so l’assoluzione dalla incorsa scomunica, sovente prima e principal-
mente nel passato anno del Giubileo, a molti fedeli veramente pentiti
e dolenti di avere trasgredito le leggi della stessa Costituzione e che
assicuravano di cuore di allontanarsi completamente da simili Socie-
tà e Conventicole, e che per l’avvenire non vi sarebbero mai tornati;
o quando accordammo ai Penitenzieri da Noi delegati la facoltà di
impartire l’assoluzione a Nostro nome e con la Nostra autorità a co-
loro che ricorressero ai Penitenzieri stessi; e quando con sollecita vigi-
lanza non tralasciammo di provvedere a che dai competenti Giudici e
Tribunali si procedesse in proporzione del delitto compiuto contro i
violatori della Costituzione stessa, il che fu effettivamente più volte
eseguito; abbiamo certamente fornito argomenti non solo probabili
ma del tutto evidenti ed indubitabili, attraverso i quali si sarebbero
dovute comprendere le disposizioni dell’animo Nostro e la ferma e de-
liberata volontà consenzienti con la censura imposta dal predetto
Clemente Predecessore. Se un’opinione contraria si divulgasse intor-
no a Noi, Noi potremmo sicuramente disprezzarla e rimettere la No-
stra causa al giusto giudizio di Dio Onnipotente, pronunciando quelle
parole che un tempo si recitavano nel corso delle sacre funzioni:
"Concedi o Signore, te ne preghiamo, che Noi non curiamo le calunnie
degli animi perversi, ma conculcata la perversità medesima supplichia-
mo che Tu non permetta che siamo afflitti dalle ingiuste maldicenze o
avviluppati dalle astute adulazioni, ma che amiamo piuttosto ciò che Tu
comandi". Così riporta un antico Messale attribuito a San Gelasio,
Nostro Predecessore, e che dal Venerabile Servo di Dio il Cardinale
Giuseppe Maria Tommasi fu inserito nella Messa che s’intitola Contro
i maldicenti.
V. Tuttavia, affinché non si potesse dire che Noi avevamo imprudente-
mente omesso qualche cosa, al fine di eliminare agevolmente i prete-
sti alle menzognere calunnie e chiudere loro la bocca; udito prima il
consiglio di alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa
Romana Chiesa, abbiamo decretato di confermare la stessa Costitu-
zione del Nostro Predecessore, parola per parola, come sopra riporta-
to in forma specifica, la quale sia considerata come la più ampia ed
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bonariorum.
Anche se diretta espressamente contro la Carboneria questa condanna
è generalmente considerata dagli studiosi un documento antimassonico
in quanto riteneva la Carboneria e la Massoneria le ispiratrici di tutti i
complotti e le congiure contro l’ordine costituito.
Con questa condanna si intendeva colpire il fenomeno delle società se-
grete che incominciavamo a formarsi in quel periodo, di cui, secondo il
Papa, erano della massoneria «imitazioni, se non addirittura emanazio-
ni».
Anche se la Carboneria era una or-
ganizzazione di carattere politico, indi-
pendente dalla massoneria, è evidente il
tentativo di legittimare un pensiero che
collegasse organicamente libera-
muratoria, illuminismo, liberalismo e
movimenti risorgimentali uniti nel co-
spirare contro la Chiesa, non solo intesa
come guida spirituale dei cattolici, ma
come potere temporale negli stati pon-
tifici.
Il successore di Pio VII, Leone XII
(1823-1829), ribadì con la costituzione
Leone XII Quo Graviora (dove riprodusse inte-
gralmente tutti i documenti di condanna delle società segrete promulgati
dai suoi predecessori Clemente XII, Benedetto XIV e Pio VII). la sco-
munica contro ogni società segreta che dovesse «cospirare a detrimento
della Chiesa e dei poteri dello Stato» chiedendo la collaborazione del po-
polo, con la denuncia, e dei governi, con la repressione.
Per Leone XII il fatto che queste società fossero segrete rappresentava
la prova che erano unite da un unico disegno sovversivo.
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dell’uomo muore col corpo. I Codici e gli Statuti in cui rivelano i lo-
ro propositi e le loro regole, dimostrano chiaramente che da essi
provengono tutti i mali che abbiamo ricordato e che mirano a far
cadere i Principati legittimi e a distruggere dalle fondamenta la
Chiesa. Questa affermazione deve essere considerata come certa e
meditata: le sette, sebbene diverse nel nome, sono però congiunte
tra loro dallo scellerato legame dei più turpi propositi.
VIII. Stando così le cose, Noi crediamo essere Nostro dovere condannare
nuovamente queste sette clandestine in modo che nessuna di esse
possa vantarsi di non essere compresa nella Nostra sentenza aposto-
lica, e con questo pretesto possa indurre in errore uomini incauti o
sprovveduti. Pertanto, per consiglio dei Venerabili Nostri Fratelli
Cardinali di Santa Romana Chiesa e anche motu proprio, con sicura
dottrina e con matura deliberazione Nostra, Noi sotto le stesse pene
comminate nelle lettere dei Nostri Predecessori che abbiamo ripor-
tato in questa Nostra Costituzione, e che espressamente confer-
miamo, in perpetuo proibiamo tutte le società occulte (qualunque
sia il loro nome), tanto quelle ora esistenti, quanto quelle che forse
si costituiranno in seguito e che si propongono le azioni sopra ricor-
date contro la Chiesa e le supreme potestà civili.
IX. Pertanto a tutti e a ciascuno dei fedeli di Cristo di qualunque stato,
grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, sia laici sia chierici,
tanto secolari che regolari, degni anche di specifica, individuale ed
esplicita menzione, ordiniamo rigorosamente, e in virtù della santa
obbedienza, che nessuno sotto qualsivoglia pretesto o ricercato mo-
tivo osi o pretenda di fondare, diffondere o favorire, e nella sua casa
o dimora o altrove accogliere e nascondere le predette società co-
munque si chiamino, come pure di iscriversi o aggregarsi ad esse o
di intervenire a qualunque grado di esse o di offrire la facoltà e
l’opportunità di convocarle in qualche luogo o di elargire loro qual-
cosa, o in altro modo prestare consiglio, aiuto o favore palese od oc-
culto, diretto o indiretto, per sé o per altri; e ancora di esortare, in-
durre, provocare o persuadere altri ad iscriversi, ad aggregarsi o a
intervenire in siffatte congreghe o in qualunque grado di esse, o di
giovare loro o favorirle comunque. I fedeli debbono assolutamente
astenersi dalle società stesse, dalle loro riunioni, conferenze, aggre-
gazioni o conventicole sotto pena di scomunica in cui incorrono
sull’istante tutti i contravventori sopra descritti senza alcuna di-
chiarazione; dalla scomunica nessuno potrà venire assolto se non da
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Massoneria e Chiesa Cattolica
Noi o dal Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto
di morte.
X. Inoltre a tutti prescriviamo, sotto la stessa pena di scomunica, riser-
vata a Noi e ai Romani Pontefici Nostri Successori, l’obbligo di de-
nunciare ai Vescovi o ad altri competenti tutti coloro che notoria-
mente hanno dato il loro nome a queste società o si sono macchiati
di qualcuno dei delitti ricordati più
sopra.
XI. Soprattutto poi condanniamo riso-
lutamente e dichiariamo assoluta-
mente vano l’empio e scellerato
giuramento che vincola gli adepti
di quelle sette a non rivelare mai
ad alcuno tutto ciò che riguarda le
sette medesime e a punire con la
morte tutti i compagni che si fanno
delatori presso i superiori, sia Ec-
clesiastici, sia Laici. E che dun-
stemma Leone XII
que? Poiché il giuramento va
pronunciato al servizio della giustizia, non è forse delittuoso consi-
derarlo come un legame con il quale ci si obbliga a un iniquo omici-
dio e a disprezzare l’autorità di coloro che, in quanto governano la
Chiesa o la legittima società civile, hanno il diritto di conoscere tut-
to ciò da cui dipende la sicurezza di quelle istituzioni? Non è forse
somma iniquità e turpitudine il chiamare Iddio stesso a testimone e
mallevadore di delitti? Giustamente i Padri del terzo Concilio Late-
ranense affermano: "Non si possono definire giuramenti ma piuttosto
spergiuri quelli che sono diretti contro il bene della Chiesa e
gl‟insegnamenti dei Santi Padri". Ed è intollerabile l’impudenza, o la
follia, di chi tra questi uomini, non nel proprio cuore soltanto ma
anche pubblicamente e in pubblici scritti, afferma che "Dio non esi-
ste", e tuttavia osa pretendere un giuramento da coloro che sono ac-
colti nelle sette.
XII. Tali sono le Nostre disposizioni rivolte a reprimere e condannare
tutte queste furiose e scellerate sette. Pertanto ora, Venerabili Fra-
telli Patriarchi Cattolici, Primati, Arcivescovi e Vescovi, non solo
chiediamo ma piuttosto sollecitiamo il vostro impegno. Abbiate cu-
ra di voi e di tutto il gregge in cui lo Spirito Santo vi pose come Ve-
scovi per governare la Chiesa di Dio. I lupi rapaci vi assaliranno se
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Studi sulla Massoneria
non avrete cura del gregge. Ma non vogliate temere, e non conside-
rate la vostra vita più preziosa di voi stessi.
Considerate per certo che da voi in gran parte dipende la perseve-
ranza degli uomini a voi affidati nella Religione e nelle buone azio-
ni. Infatti, pur vivendo in giorni "che sono infausti" e in un tempo in
cui molti "non difendono la sana dottrina", perdura tuttavia il rispet-
to di molti fedeli verso i loro Pastori che a buon diritto sono consi-
derati ministri di Cristo e dispensatori dei suoi misteri. Fate dunque
uso, a vantaggio delle vostre pecore, di quella autorità che per im-
mortale grazia di Dio conservate nell’animo loro. Fate loro conosce-
re le frodi dei settari e con quanta attenzione debbano evitare di
frequentarli. Grazie all’autorità e al magistero vostro, abbiano orro-
re della malvagia dottrina di coloro che deridono i santissimi misteri
della Nostra Religione e i purissimi insegnamenti di Cristo, e conte-
stano ogni legittimo potere. E parlerò con voi ripetendo le parole
usate dal Nostro Predecessore Clemente XIII nell’Enciclica [A quo
die] del 14 settembre 1758, diretta a tutti i Patriarchi, Primati, Ar-
civescovi, Vescovi della Chiesa Cattolica: "Vi prego: con lo Spirito
del Signore siamo pieni di forza, di giustizia e di coraggio. Non la-
sciamo, a somiglianza di cani muti incapaci di latrare, che i Nostri
greggi diventino una preda e le Nostre pecore il pasto d‟ogni bestia sel-
vatica; niente Ci trattenga dall‟esporci ad ogni genere di combattimento
per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Pensiamo attentamente a
Colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccato-
ri. Se ci arrestiamo davanti all‟audacia dei malvagi, sono già crollate
la forza morale dell‟Episcopato e la divina e sublime potestà di governa-
re la Chiesa; e non possiamo più continuare a considerarci, anzi non
possiamo neanche più essere Cristiani, se temiamo le minacce e le insi-
die degli uomini perversi".
XIII. Ancora con insistenza invochiamo il vostro aiuto, carissimi in Cri-
sto Figli Nostri Cattolici Principi che apprezziamo con tanto singo-
lare e paterno amore. Perciò vi richiamiamo alla memoriale parole
che Leone il Grande (di cui siamo successori nella dignità e, sebbene
indegni, eredi del nome) rivolse per iscritto a Leone Imperatore:
"Devi senza esitazione comprendere che il potere regale ti è stato affidato
non solo per governare il mondo ma soprattutto per proteggere la Chiesa
in modo che, reprimendo gli atti di empia audacia, tu possa difendere le
sane istituzioni e restituire la pace a quelle sconvolte". Quanto al pre-
sente, la situazione è tale che per difendere non solo la Religione
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tatto con una esperienza costruttiva che non era stata conosciuta e che
interessa la moderna storiografia internazionale, soprattutto della Mas-
soneria, perché lo situa, perla sua cronologia ed importanza, prima d'ora
non conosciuta, all'altezza del manoscritto britannico Poema Regius, del
quale è di molto anteriore, che prima d'ora era considerata l'opera più an-
tica ed importante».
La Carta di Bologna ci appare
inoltre importante perché ad
essa si trae conferma su quan-
to asserito nel «Libro delle co-
stituzioni» del 1723 di Ander-
son, in cui nella relazione al te-
sto si precisa che esso fu redat-
to dopo «avere esami nato di-
verse copie avute dall'Italia,
dalla Scozia e da diverse pati
dell'Inghilterra» di antichi sta-
tuti e regolamenti della mas-
soneria operativa e l'esame
dello stesso «contenuto» della
Carta di Bologna fa supporre
che il suo testo abbia potuto
essere fra quelli consultati da
Anderson.
(tratto da Eugenio Bonvicini,
Massoneria antica. Dalla «Car-
ta di Bologna» del 1248 agli
«Antichi Doveri» del 1723, Roma, Atanor, 1989, pp.15-18)
Nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo. Amen. Nell'anno
del Signore 1248, sesto dell'indizione.
Questi sono gli Statuti e i Regolamenti della Società dei maestri del muro
e del legno, istituita in onore di nostro Signore Gesù Cristo e della Beata
Maria Vergine e di tutti i Santi e per l'onore e la prosperità della Città di
Bologna e della Società dei maestri predetti, fatto salvo l'onore del Pode-
stà e del Capitano che la governano ora e che ci saranno in futuro e fatti
salvi tutti gli Statuti e i Regolamenti del Comune di Bologna, istituiti e
da istituirsi. E che tutti gli Statuti sotto riportati abbiano vigore da oggi
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Carta di Bologna
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Carta di Bologna
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Studi sulla Massoneria
E che i Ministeriali facciano con coscienza (buona fede) in modo che tutti
i maestri che non fanno parte della Socìetà debbano entrarvi.
E che questa statuizione sia osservata e che per nessun modo e motivo
sia esentato
a meno che non sia deciso almeno da un decimo della Società, od a meno
che quello non sia figlio di un maestro il quale può entrare a fare parte
della Società senza alcuna cerimonia.
E che se il Massaro od un Ministeriale sosterrà nel Consiglio o nell'As-
semblea della Società qualcuno che volesse risparmiare i dieci o venti
soldi Bolognesi da pagare alla Società, sia punito per dieci soldi Bologne-
si.
E che se qualcuno della Società nell'Assemblea o nel Consiglio, si alzerà
per dire di qualcuno che dovrebbe essergli risparmiati i dieci o venti soldi
Bolognesi da pagare alla Società, sia punito con cinque soldi Bolognesi.
E se un maestro ha un figlio o più figli che conoscono il mestiere, o che
sia stato per due anni ad apprendere il mestiere, allora sia suo padre ad
immetterlo nella Società di diritto e senza alcuna cerimonia dì entrata,
col pagare egli stesso alla Società nella forma sopraddetta, sotto pena di
un'ammenda di venti soldi. E una volta pagata l'ammenda nondimeno
sia tenuto a fare entrare il figlio nella Società.
E che i Ministeriali ed il Massaro siano obbligati a raccogliere tutte le
somme per coloro che sono entrati a fare parte della Società e i quattro
denari dovuti per le messe e le sanzioni pronunciate durante il tempo del-
la loro carica.
E che facciano giuramento nell'Assemblea.
E che il Massaro è obbligato a prendere dal maestro che è entrato a fare
parte della Società una buona garanzia e che, nello spazio di un mese,
dopo il suo ingresso, egli pagherà dieci soldi se è della Città o del Contado
di Bologna come detto sopra, venti soldi Bolognesi se è di un altro di-
stretto.
E che se il Massaro e i Ministeriali non raccoglieranno queste somme, essi
siano tenuti a pagare in proprio alla Società ed a compensare in denaro
ed in pegni in modo che la Società sia ben garantita, entro otto giorni
della fine del mese.
E i Controllori dei Conti siano tenuti a controllare tutto ciò come detto
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Carta di Bologna
sopra e nel caso che non sia stato rispettato, a pronunciare le sanzioni
previste dallo Statuto della Società.
Aggiungiamo che chiunque entrerà a fare parte della Società pagherà
come diritti di entrata venti soldi Bolognesi.
Noi l'ordiniamo per coloro che da oggi in poi si metteranno ad imparare
l'Arte, e sia valido a partire da oggi 8 di marzo 1254, dodicesìmo dell'in-
dizione.
Diciamo inoltre che coloro che non avranno avuto maestri [per appren-
dere l'Arte paghino tre libre Bolognesi come diritto di entrata.
VIII. Del fatto che nessun maestro debba nuocere ad un altro maestro
nel lavoro
Noi stabiliamo e ordiniamo che nessun maestro del muro e del legno deb-
ba nuocere ad un altro maestro della Società dei maestri, accettando un
lavoro a prezzo prefissato, dopo che esso sia stato assicurato a un altro e
siglato col palmo della mano o dopo che l'altro l'abbia ottenuto in qualsi-
voglia mezzo o modo. Eccetto il caso che un maestro sia sopravvenuto
prima che il lavoro sia stato assicurato all'altro e siglato col palmo di
mano e se quello ne chiederà una parte, egli sia obbligato a darla se quel-
lo la vorrà.
Se invece già c'è stato accordo su quel lavoro, l'uno non sia obbligato a
darne una parte se non vorrà.
E chi contravverrà paghi un'ammenda di tre libre Bolognesi ogni volta
che contravverrà. E i Ministeriali siano tenuti ad imporre le ammende
previste dallo Statuto, entro un mese dalla certezza ed evidenza dell'in-
frazione, fatti salvi gli Statuti e gli Ordinamenti del Comune di Bologna.
E che le ammende e le sanzioni giungano all'amministrazione (della So-
cietà e siano conservate.
IX. Del conto che il Massaro deve rendere e dell'incarico che deve svolge-
re
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Massaro della Società dia conto del
suo operato entro un mese dall'avere lasciato il suo incarico ai Controllori
dei Conti a meno che sia esentato dai Ministeriali nuovi e dal Consiglio
della Società o che egli ne sia impedito per volontà di Dio.
E il detto Massaro sia tenuto a dare rendiconto di tutte le entrate e delle
spese sostenute e stabilite in quel periodo.
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Studi sulla Massoneria
E che tutti i maestri che in quel periodo saranno entrati a fare parte della
Società, siano da lui riportati su un quaderno allo scopo di sapere se han-
no pagato o non.
E ordiniamo che tutte le scritture debbano rimanere nelle mani del Mas-
saro.
E che il Massaro sia tenuto a consegnare e trasmettere per iscritto al
Massaro suo successore, durante l'Assemblea della società, tutte le scrit-
ture riguardanti la Società e tutto ciò che egli possieda relativo ai beni
della Società, affinché il patrimonio della Società non possa in alcun mo-
do essere alienato.
E se il Massaro con frode avrà omesso e non osservato quanto detto, sia
punito conventi soldi Bolognesi.
E se avrà trattenuto con frode degli utili della Società che egli li restitui-
sca al doppio alla Società.
Che inoltre il Massaro uscente, alla fine del suo mandato, sia tenuto a
consegnare al nuovo Massaro tutti i beni della Società, sia le scritture re-
lativa alla Società che il denaro della stessa entro la prima o la seconda
domenica del mese. E che il nuovo Massaro non debba prorogare il ter-
mine al Massaro uscente, oltre il quindicesimo giorno. E che quest'ordine
sia irrevocabile. E se qualcuno dei Massari avrà derogato, sia punito con
venti soldi Bolognesi da pagarsi alla Società.
X. Dell'elezione degli Controllori dei Conti
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Controllori dei Conti siano eletti in-
sieme ai Ministeriali e che siano due, cioè uno per ogni Arte.
E che questi Controllori siano tenuti a controllare il Massaro e i Ministe-
riali che governano insieme al Massaro. E che se scopriranno che il Mas-
saro e i Ministeriali hanno mancato al loro compito o hanno commesso
frode o dolo, li condannino alla restituzione del doppio del valore trovato
in loro possesso e inoltre li condannino a restituire in semplice la rendita
ricevuta. E che siano tenuti ad agire in questo modo e a controllare e a
condannare o ad assolvere entro un mese dal decadere dell'incarico del
Massaro e dei Ministeriali. E sia che abbiano condannato o assolto, che
sia fatto, per iscritto relazione nell'Assemblea della Società. E se i Con-
trollori avranno derogato e non avranno osservato questi ordini, che cia-
scuno di essi sia punito con dieci soldi ed espulso, salvo che egli ne sia
impedito dalla volontà di Dio o che ne abbia avuto licenza dai Ministe-
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Carta di Bologna
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Studi sulla Massoneria
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Carta di Bologna
E il Nunzio della Società debba avere dalla Società diciotto denari per
ciascun morto, dagli averi della Società. E se il Nunzio non sarà andato
né venuto per radunare i Soci, che egli paghi a titolo di ammenda diciot-
to denari alla Società. E che i Ministeriali e il Massaro siano obbligati a
recuperare quei denari.
XVIII. Del fatto che i Ministeriali debbano fare visita ai soci ammalati e
dare loro assistenza
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se uno dei nostri soci sarà ammalato, i
Ministeriali debbano fargli visita se l'avranno saputo e che gli debbano
dare assistenza e aiuto.
E se uno morisse e non potesse essere sepolto con i suoi mezzi, che la So-
cietà lo faccia seppellire onorevolmente a sue spese.
E che il Massaro possa spendere fino alla somma di dieci soldi Bolognesi,
e non di più.
XIX. Del fatto che i Nunzi siano solleciti alle riscossioni di quelli che so-
no stati condannati e che trascurano di offrire pegni
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali e i Massari che saranno in
carica in futuro, se avranno fatto un pignoramento a un maestro per dei
contributi o sanzioni o per altra causa, si rivolgano su di lui per tutte le
spese che avranno sostenuto per recuperare il dovuto attraverso i Nunzi
del Comune di Bologna o in qualunque modo.
E i Ministeriali e il Massaro che sosterranno delle spese per questa causa,
le facciano in proprio, a meno che non le abbiano sostenute per volontà
della Società o del Consiglio.
E se colui che deve versare denaro per questa causa non avrà consentito
al Nunzio della Società di pignorarlo, sia punito con tre scudi Bolognesi
ogni volta che avrà contravvenuto.
XX. Di coloro che si impegnano per contratto
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se qualcuno si impegna con un altro per
contratto senza essere rimasto col suo maestro o padrone (o Signore) e
senza avere condotto a termine l'impegno con quello, egli non sia assunto
prima di quel termine da nessun altro maestro della Società, e che nessun
aiuto o assistenza gli sia data da nessun maestro che lo abbia saputo o al
quale sia stato denunciato. E chiunque contravverrà, sia punito con ven-
ti scudi Bolognesi.
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Studi sulla Massoneria
XXI. Del fatto che nessuno vada a chiedere la l’iniziazione più d'una vol-
ta
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessun della Società vada a richiedere l’
iniziazione più di una volta. E chi contravverrà sarà punito con sei soldi
Bolognesi per volta.
XXII. Del fatto che nessuno riceva l’iniziazione per sua decisione
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se qualcuno riceverà l’iniziazione per
sua decisione, sia punito con sei soldi Bolognesi ogni volta che contrav-
venga.
XXIII. Del fatto che nessuno debba rimanere sul lato dell'altare
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno debba rimanere a lato dell'alta-
re, rivolto verso la Chiesa, sotto pena di un'ammenda di tre denari ogni
volta che contravvenga.
XXIV. Della giusta ripartizione degli oneri tra i maestri
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se uno dei Ministeriali ordini ad un ma-
estro del suo quartiere di presentarsi a un lavoro per la comunità trat-
tandolo alla pari con gli altri maestrí e questi non si presenti; egli sia pu-
nito con dieci soldi Bolognesi.
E che nessun maestro può designare un altro maestro del muro e del le-
gno in qualche lavoro per il Comune di Bologna o altrove e chi contrav-
venisse sia punito con venti soldi Bolognesi.
E i Ministeriali che saranno in carica debbono fare questa designazione
mettendo sullo stesso piano i maestri per quartiere, vale a dire quei Mini-
steriali che saranno presenti in città al momento della designazione.
E se un Ministeriale non tratterà un maestro alla pari, commettendo fro-
de o dolo, o se egli agirà spinto da odio contro quello e se ciò sarà chiaro e
manifesto, sia punito con venti soldi Bolognesi, a meno che egli sia stato
convocato dal Podestà o da qualcuno dell'ambiente per provvedere a un
lavoro per il Comune di Bologna, potrà conformarsi a quel volere senza
pena né ammenda.
XXV. Del fatto che nessuno debba alzarsi in una riunione dei maestri
per esprimere il proprio parere se non su ciò che sarà stato proposto dai
Ministeriali o dal Massaro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società debba alzarsi per
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Carta di Bologna
parlare e per esprimere il suo parere in una riunione se non su ciò che sarà
stato proposto dai Ministeriali o dal Massaro. E chi contravverrà sia pu-
nito con dodici soldi Bolognesi e che egli paghi subito questa somma o
che dia un pegno.
XXVI. Del fatto che nessuno disturbi o gridi quando qualcuno parla o fa
una proposta nell'Assemblea
dei maestri suddetti
Noi stabiliamo ed ordiniamo
che se qualcuno disturba una
riunione dopo che un Ministe-
riale o più Ministeriali o il
Massaro o qualcun altro ab-
bia fatto una proposta o ab-
bia preso la parola tra i soci,
sia punito con tre denari da
pagarsi subito. E che i Mini-
steriali e il Massaro siano te-
nuti per giuramento a riscuo-
tere ciò. E che se non lo ri-
scuotono paghino essi stessi
l'equivalente alla Società.
XXVII. Della retribuzione del Nunzio
Noi stabiliamo ed ordiniamo che la Società abbia un Nunzio, ovvero uno
per due quartieri e un altro per gli altri due e che essi debbano avere cia-
scuno annualmente trenta soldi Bolognesi e che debbano reggere i ceri se
qualcuno morrà e che debbano andare al domicilio del Massaro (e riceve-
re) un denaro per ogni commissione da parte di coloro che li hanno inca-
ricati.
XXVIII. In che modo e in quali forme gli associati debbono riunirsi per
un socio defunto e in quali luoghi
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se il defunto è del quartiere della Porta
Stera, i soci si radunino a San Gervasio. Se il defunto è del quartiere di S.
Procolo, che i soci si radunino a S. Ambrogio. Se poi il defunto è del
quartiere della Porta Ravegnana, che i soci si radunino a S. Stefano. E se
il defunto è della Porta di S. Pietro, che i soci si radunino nella Chiesa di
S. Pietro. E che i Nunzi siano tenuti, quando convocano i soci, a dire in
quale quartiere è il defunto. E che se non lo dicono siano puniti con due
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Carta di Bologna
XXXIII. Del fatto che i maestri siano tenuti a fare accogliere gli ap-
prendisti nella Società entro due anni
Noi stabiliamo ed ordiniamo che ciascun maestro sia tenuto a fare acco-
gliere come suo apprendista nella Società dopo che questi sia rimasto con
lui per due anni e a garantire per questo apprendista una e buona e suffi-
ciente sicurezza sua entrata nella Società. E che coloro che contraverran-
no siano puniti con venti soldi Bolognesi per ogni contravvenzione e in
ogni caso se non recepiscono questa.
XXXIV. Del fatto che nessuno della Società debba lavorare per qualcu-
no che debba qualcosa ad un maestro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società debba lavorare a
giornata o a prezzo prefissato per qualcuno che debba dare qualcosa o
pagare del denaro a un maestro per motivi di lavoro una volta venutone
a conoscenza o esserne stato informato dallo stesso maestro o dai Mini-
steriali della Società. E chi contravverrà sia punito con venti soldi Bolo-
gnesi per ogni maestro e che li paghi ai maestri come indennità per il loro
lavoro. E che i Ministeriali siano tenuti a comminare le ammende entro
otto giorni dal momento in cui il fatto è diventato noto ed evidente e che
facciano pagare ai maestri le indennità.
XXXV. Del fatto che la Società duri per dieci anni
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che questa Società debba du-
rare dieci anni in tutto o più secondo quanto deciderà la Società o la sua
maggioranza a scrutinio.
XXXVI. Del fatto che nessuno si lamenti dei Ministeriali davanti al Po-
destà o a un suo giudice
Inoltre stabiliamo ed ordiniamo che un maestro della Società non possa
in alcun modo o forma, né debba andare avanti al Podestà o al suo Tri-
bunale per lamentarsi dei Ministeriali o di uno di loro. E chi contravverrà
paghi a titolo di ammenda tre libre Bolognesi per ogni contravvenzione.
E che ciò sia irrevocabile.
XXXVII Pubblicazione degli Statuti
Questi Statuti sono stati letti e resi pubblici nell'Assemblea della Società
riunita per mezzo dei Nunzii, secondo le modalità usuali nel cimitero del-
la Chiesa di S. Procolo nell'anno del Signore 1248, sesto dell'indizione nel
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Studi sulla Massoneria
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Carta di Bologna
tenuti a fare una tavola dei nomi dei maestri del legno conforme all'iscri-
zione. E se i Ministeriali mandano qualcuno al servizio del Comune di
Bologna, questo debba andare secondo il suo turno, in modo che nessuno
sia danneggiato; sotto pena di cinque soldi Bolognesi per ciascuno dei
Ministeriali ogni volta che avrà contravvenuto.
XLIV. Del fatto che nessuno debba calunniare la Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se qualcuno avrà pronunciato offese o
calunnie alla Società sia punito con venti soldi Bolognesi per ogni volta.
E che ciò sia irrevocabile. E che i Ministeriali siano tenuti a richiedere
queste somme. E che se non le avranno richieste paghino il doppio in
proprio.
XLV. Del fatto che i Ministeriali debbano decadere
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali in carica debbano decade-
re, al termine del loro mandato, per un anno.
XLVI. Del fatto che le Società debbano riunirsi separatamente
Noi stabiliamo ed ordiniamo che la Società dei maestri del legno debba
riunirsi a parte là dove le piacerà ai Ministeriali della Società e che la So-
cietà dei maestri del muro debba allo stesso modo radunarsi a parte là
dove piacerà ai Ministeriali della Società in modo che esse possano riunir-
si insieme e solo se i Ministeriali di queste Società decidano di riunirle in-
sieme, esse potranno riunirsi.
E i Ministeriali devono restare uniti per rendere conto ai maestri del mu-
ro e del legno che vorranno interrogarli, due volte al mese, cioè ogni due
domeniche.
XLVII. Della retribuzione dei compilatori degli Statuti
Inoltre stabiliamo ed ordiniamo che i quattro preposti agli Statuti che
saranno in carica in futuro, abbiano ciascuno due soldi Bolognesi come
retribuzione.
XLVIII Della confezione di un cero
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che, a spese della Società, sia
fatto un cero di una libra che dovrà bruciare alle messe della Società.
IL. Dei ceri da dare annualmente alla Chiesa di S. Pietro
Parimenti stabiliamo ed ordiniamo che siano dati ogni anno, a spese del-
la società, alla Chiesa di S. Pietro, Cattedrale di Bologna, nella festa di S.
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Carta di Bologna
per ogni attività nella Chiesa di S. Pietro o sopra il Palazzo del Signor
Arcivescovo.
E i Ministeriali offrano alla Chiesa di S. Pietro quattro ceri di una libra.
E che lemesse della Società siano celebrate in questa Chiesa.
LVI. Della necessità di avere più Nunzi nel caso che un membro della
Società muoia
Noi stabiliamo ed ordiniamo che, allorché qualcuno della Società muoia,
i Ministeriali possano avere uno o più Nunzi per fare riunire i soci presso
il corpo del defunto, e che compensino come sembrerà loro giusto, a spese
della Società.
LVII. Di coloro che non versano il denaro per le messe
Noi stabiliamo inoltre ed ordiniamo che se qualcuno non verserà quattro
denari Bolognesi per le messe nel termine fissato dai Ministeriali, questi
debba versare il doppio al Nunzio che andrà al suo domicilio per riscuote-
re la somma.
LVIII. Della necessità di fare copia degli Statuti della Società
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che tutti gli Statuti della So-
cietà siano copiati di nuovo e che là dove si dice i Ministeriali del muro e
del legno, si dica soltanto del muro, in modo che gli Statuti della Società
del muro siano distinti da quelli del legno. E ciò sia irrevocabile.
LIX. Della necessità di fornire un pegno al Nunzio della Società
Poi stabiliamo ed ordiniamo che se un membro della Società non dia al
Nunzio della Società un pegno quando sia richiesto da parte dei Ministe-
riali, nessuno debba lavorare con lui sotto pena di un'ammenda di venti
soldi Bolognesi che qualcuno lavorerà con lui, a meno che egli non accetti
di conformarsi agli ordini dei Ministeriali.
LX. Del compenso dei Notaio della Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Notaio della Società abbia come com-
penso, ogni 6 mesi, venti soldi Bolognesi e non di più.
LXI. Del compenso degli Controllori dei Conti
Infine stabiliamo ed ordiniamo che gli Controllori dei Conti (Controllori
dei Conti) debbano avere come compenso cinque soldi Bolognesi e non di
più.
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POEMA REGIUS
Il manoscritto Regius è costituito da 794 versi a rima baciata in inglese
medioevale, che gli esperti paleografi del British Museum di Londra fan-
no risalire al 1390. È custodito nella British Library della capitale ingle-
se.
Costituisce, probabilmente, una trascrizione di copie anteriori. Fu pub-
blicato nel 1840 da James O. Halliwell-
Phillipps, e successivamente nel 1844, con il ti-
tolo di The Early History of Freemasonry in En-
gland.
Il carattere massonico dell'opera fu scoperto
dallo stesso Halliwell, che non era un libero
muratore. Il manoscritto in precedenza era ca-
talogato come un poema di regole morali.
Le comuni denominazioni di Regius Manuscript
o di Poema regius sono state date al volume
perché esso faceva parte della biblioteca reale,
iniziata tra la fine del XV secolo e il principio
del XVI da Enrico VII, fondatore della dinastia dei Tudor, e donata al
British Museum, nel XVIII secolo, da Giorgio II
Gli americani designano più solitamente il testo con l’indicazione Halli-
well Manuscript.
La copertina del testo reca su entrambe le facce le insegne reali di Giorgio
II e la data del 1757, anno nel quale il re, con un atto convalidato dal Si-
gillo della Corona d'Inghilterra, donò - come si accennò prima - la biblio-
teca del suo palazzo, contenente il manoscritto, al British Museum.
Precedentemente il volume era di proprietà di John Theyer, un erudito
collezionista di libri del XVII secolo, originario del Gloucestershire.
Il testo è menzionato per la prima volta nel 1670, in un inventario della
biblioteca di costui. Fu venduto, pochi anni dopo, ad un libraio di Lon-
dra, Robert Scott; ed infatti se ne trova indicazione in un inventario del-
le disponibilità librarie di quest'ultimo, compilato nel 1678.
Si reputa che il Regius sia pervenuto alla casa regnante inglese per la
vendita fatta dallo Scott a Carlo II, vissuto dal 1630 al 1685 e salito al
trono nel 1651. Si sa di certo che entrò a far parte della biblioteca reale e
che vi rimase sino al 1757, anno in cui - come già abbiamo visto - Giorgio
II ne fece dono al British Museum.
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SECONDO ARTICOLO
Il secondo articolo di buona massoneria
Deve udirsi specialmente qui:
Che ogni maestro, che sia un massone,
Deve essere alla corporazione generale,
Naturalmente, se è stato informato
Dove sarà tenuta questa assemblea.
A tale assemblea deve andare
Salvo che non abbia una ragionevole giustificazione.
Altrimenti egli vuole offendere la corporazione
0 vuole comportarsi con falsità,
Oppure è gravemente ammalato
Da non poter andare in mezzo a loro.
Questa è una giustificazione valida
Per quella assemblea, senza frottole.
TERZO ARTICOLO
Il terzo articolo dice in verità
Che il maestro non assume apprendista
Senza aver l‟assicurazione che si fermi
Sette anni con lui, così vi dico,
Per insegnargli la sua arte, quello che serve.
In minor tempo quegli non potrà imparare
A beneficio del suo signore né suo proprio,
Come potete sapere a buona ragione.
QUARTO ARTICOLO
Il quarto articolo deve essere quello
Che il maestro deve tenere per sé.
Che egli non deve tener schiavo l‟apprendista
Né trattarlo con avarizia
Poiché il signore al quale è legato
Può cercare l‟apprendista dovunque egli vada.
Se è stato preso nella loggia,
Egli può farvi molto danno
E in tal caso può accadere
Che faccia danno a qualcuno o a tutti.
Perciò tutti i Massoni che sono là
Stiano insieme in piena fratellanza.
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ALTRE COSTITUZIONI
A questa assemblea furono stabiliti dei punti,
Dai grandi signori ed anche dai maestri,
Che chiunque volesse apprendere quest‟arte e
appartenervi
Doveva amare Dio e la santa chiesa
Ed anche il maestro col quale sta,
Dovunque egli vada, in campagna o nel bosco.
E devi amare anche i tuoi compagni
Poiché questo la tua arte desidera da te.
PUNTO SECONDO
Il secondo punto è, come vi dico,
Che il massone lavori durante la sua giornata
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PUNTO SESTO
Il sesto punto deve essere fatto conoscere
Sia in alto che in basso.
Nel caso dovessero accadere
Fra i massoni, alcuni o tutti,
Per invidia od odio implacabile,
Che nascano spesso grandi contese,
Allora il massone è obbligato, se possibile,
A, destinare un certo giorno per la composizione.
Ma essi non procederanno a tale rito
Finché la giornata lavorativa non sarà trascorsa.
Durante un giorno festivo potrete facilmente
Trovare il tempo per la composizione.
Se fosse fatto durante la giornata di lavoro
Il lavoro sarebbe dilazionato per tale questione.
Assegna loro, quindi, un tale termine
Cosicché vivano bene nella legge di Dio,
PUNTO SETTIMO
Il settimo punto può bene significare
Che Dio ci ricompenserà per una vita buona.
A questo scopo descrive chiaramente
Che non dovrai giacere con la moglie del tuo maestro
Né con quella del tuo compagno, in nessun modo,
Altrimenti l‟arte ti disprezzerà;
Né con la concubina del tuo compagno,
Come tu non vorresti che egli facesse con la tua.
La pena per questo sia severa:
Che rimanga apprendista per sette anni interi,
Se incorre in un caso di questi.
Quegli allora deve essere punito;
Molti guai potrebbero avere principio
Da un tal peccato mortale.
PUNTO OTTAVO
Il punto ottavo, si può essere certi,
Se hai preso ogni cura
Di essere sincero verso il tuo maestro
Per questo punto non sarai dispiaciuto.
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PUNTO QUINDICESIMO
Il quindicesimo punto è di ottima istruzione
Per coloro che là hanno giurato.
Tale decreto fu posto all‟assemblea
Dai citati grandi signori e maestri,
Per quelli che sono disobbedienti, con certezza,
Contro il decreto esistente
Di questi articoli che furono fatti là
Dai grandi signori e massoni insieme.
E se sarà pubblicamente provato
Davanti all‟assemblea, all‟istante,
E non faranno ammenda della loro colpa,
Allora dovranno abbandonare l‟arte
E così la corporazione dei massoni li rifiuterà
E promette solennemente di non assumerli più.
A meno che essi non facciano ammenda,
Non potranno più essere ammessi all‟arte.
E se non faranno così
Lo sceriffo verrà da loro
E porterà i loro corpi in buie prigioni,
Per le violazioni che essi hanno compiuto.
E porrà i loro beni e la loro vita
Nelle mani del re, dovunque,
E li lasceranno stare là
Fin che piaccia al sovrano nostro re di liberarli.
ALTRO DECRETO DELL‟ARTE DELLA GEOMETRIA
Essi ordinarono che si tenesse un‟assemblea
Ogni anno, laddove essi volevano,
Per correggere i difetti che capitasse di scoprire
Nella corporazione del paese.
Veniva tenuta ogni uno o tre anni
Sempre nel punto che preferivano;
Tempo e luogo doveva essere indicato
Perché avesse luogo il raduno.
Tutti gli uomini dell‟arte dovevano trovarsi là
Con altri grandi signori, come dovete vedere,
Per correggere gli errori di cui si doveva parlare,
Se qualcuno di loro era stato scorretto.
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Archivi dello Stato Civile di Edimburgo
MANOSCRITTO 1696
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1. D: Sei tu muratore?
R: sì
2. D: Come faccio a saper-
lo?
R: lo saprai a tempo opportu-
no e in luogo opportuno (bada
che questa risposta dev'essere
data solo nel caso siano pre-
senti non muratori Altrimen-
ti, dovresti rispondere con se-
gni toccamenti e altri punti
della ammissione)
3. D: Qual è il primo pun-
to?
R: Dimmi il primo che ti darò
il secondo, Il primo è celare e
occultare; il secondo, sotto
pena non minore a quella di
avere la gola tagliata, devi pe-
rò accompagnare il tuo dire
con il gesto
4. D: Dove sei stato am-
messo?
R: in una loggia onora-
ta
5. D: Che cosa fa una loggia giusta e perfetta?
R: sette maestri, cinque apprendisti, a una giornata di cammino
da un borgo, lontano dal latrato di un cane o canto di gallo
6. D: Che cosa la fa nondimeno giusta e perfetta?
R: cinque muratori e tre apprendisti ammessi ecc.
7. D. Non meno?
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Il Manoscritto di Cook 3
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