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GRANDE ORIENTE D’ITALIA

STUDI
SULLA
MASSONERIA
a cura di
LUCIANO PIRAS
R L AUR
N° 1331 Oriente di Milano

DOCUMENTI PUBBLICATI DAL CENTRO STUDI


DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA
www.grandeoriente.it/studi
I LIBRI DEL DRAGO
Studi sulla Massoneria

IL MANOSCRITTO DI COOKE

Il Manoscritto di Cooke si ritiene sia stato redatto fra il 1430-40 ed alcuni


lo fanno risalire al 1410.
È un documento relativo alle Craft inglesi certamente rilevante perché -
come il Poema Regius del 1390 - non è uno Statuto completo, ma si po-
trebbe definire un codice di comportamento corredato da un lungo Pre-
ambolo descrivente le origini mitiche della Massoneria.
L'interesse che può avere il Manoscritto di Cooke è motivato dalla circo-
stanza che, si afferma, sia stato largamente in uso nelle Logge Inglesi del
XVII secolo, dove la ―lezione‖ proto-storica sarebbe stata letta agli a-
depti e che quindi abbia ispi-
rato gli ―accettati‖ massoni
delle Logge della seconda
metà del 1600, nella lunga fa-
se di studio e di sperimenta-
zione che ha preceduto il pas-
saggio storico dalla Massone-
ria ―operativa‖ alla Massone-
ria ―speculativa‖ culminata
con la creazione della Gran
Loggia di Londra nel 1717 e
con le Costituzioni di Ander-
son del 1723.
Il Manoscritto di Cooke, re-
datto in inglese antico, è sta-
to per la prima volta tradotto
da Eugenio Bonvicini con la
collaborazione della Professo-
ressa Rosanna Brancaccio.
Una larga parte del Mano- Livella e compasso nella vetrata artistica
scritto di Cooke riguarda un della Cattedrale di Chartres del XII secolo,
preambolo storico leggenda- chiamata la "finestra massonica
rio sulle origini mitiche della
Massoneria che certamente si è ispirato al precedente Poema Regius e
che può avere un interesse attuale in quanto si suppone che nei Rituali

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Il Manoscritto di Cook

della Massoneria antica vi fosse una parte riguardante la leggenda sulle


origini mitiche della Massoneria, come in parte è ancora nei Rituali dei
vari gradi dell'Ordine e dei Riti, che rivelano molteplici ispirazioni alla
―Lezione‖ del Manoscritto di Cooke.
Particolarmente interessante è la descrizione che viene fatta delle sette
Arti Liberali ed il lettore potrà compararla con il Rituale d'Iniziazione al
Grado di Compagno d'arte della Massoneria moderna, là dove si richiama
l'attenzione dell'iniziando sui cartelli indicanti le Arti liberali - così come
descritte nel Manoscritto di Cooke - e ciò può indurre a supporre che an-
che un Rituale d'iniziazione di tale Massoneria antica possa avere previ-
sto, come oggi, un momento iniziatico di meditazione innanzi ai cartelli
indicanti le suddette "Arti" ed un "dialogo" ad esse attinenti.
Sia ringraziato Dio nostro Padre Glorioso e creatore del Cielo e della Terra e
di tutte le cose che sono in essi e che Egli concesse [in ragione] della Sua
Gloriosa Divinità.
Egli fece tutte le cose per essere obbedito [dagli uomini] e fece tante cose di
diversa efficacia per [il bene della] Umanità. E gli ordinò [che fossero] sog-
gette all'uomo, perché tutte le cose che sono commestibili di buona qualità
[servissero] per il sostegno dell'uomo.
Ed ha anche dato all'uomo intelligenza ed abilità [in] diverse cose ed Arti
per mezzo delle quali noi possiamo viaggiare in questo Mondo per procurarci
da vivere, [e] per fare diverse cose per la Gloria di Dio ed anche per la nostra
serenità e profitto.
Le quali cose se io dovessi [ora qui] enumerare sarebbe troppo lungo da dire e
[da] scrivere.
Per cui le tralascerò, ma ve ne mostrerò alcune; cioè [vi dirò] come ed in
quali modi la scienza della Geometria cominciò e chi furono i creatori di essa
e di altre Arti, come è rilevato nella Bibbia e in altre Storie.
Io vi narrerò, come prima ho detto, come e in che modo questa degna scienza
della Geometria cominciò.
Voi comprenderete che ci sono 7 Scienze Liberali e perché le 7 sono chiamate
in questo modo, [perché da tali] 7 che furono dapprima scoperte [sono deri-
vate] tutte le Scienze ed Arti del Mondo, e specialmente [comprenderete] per-
ché essa, cioè la scienza della Geometria, è l'origine di tutte.
Quanto alla prima, che è chiamata il fondamento della scienza, è la Gram-

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Studi sulla Massoneria

matica che insegna all'uomo a parlare ed a scrivere in modo gusto.


La seconda è la Retorica che insegna all'uomo a parlare decorosamente in
modo giusto.
La terza è la Dialettica ed essa insegna all'uomo a discernere il vero dal falso
ed è comunemente chiamata Arte o (sofisticheria) [Filosofia].
La quarta è chiamata Aritmetica la quale insegna all'uomo l'Arte de numeri
per calcolare e fare conti di tutte le cose.
La quinta è la Geometria che insegna all'uomo i limiti e le misure e la ponde-
razione dei pesi di tutte le Arti umane.
La sesta è la Musica che insegna all'uomo l'Arte del canto in note di voce [e
del suono] di organo, tromba, arpa, e di tutti gli altri strumenti.
La settima è l'Astronomia che insegna all'uomo [quale sia] il corso del Sole e
della Luna e delle altre Stelle e Pianeti del Cielo.
Il nostro principale intento è [quello] di trattare del primo fondamento
dell'eccellente scienza della Geometria e [di individuare] chi furono i fonda-
tori di essa: come ho detto prima, ci sono 7 Scienze Liberali, cioè 7 scienze o
Arti che sono libere in se stesse, le quali 7 [però] vivono tutte soltanto per
mezzo della Geometria.
E la Geometria è, come dire, la misura della Terra “Et sic dicitur a geo ge
quin R ter a latin et metron quod est mensura. Una Geometria in mensura
terra vel terrarum”, cioè che la Geometria è, ho detto, [composta] di geo, cioè
in gru, terra e metron, cioè misura e così il nome di Geometria è composto ed
è detto misura della Terra.
Non vi meravigliate del fatto che io abbia detto che tutte le Scienze vivono tut-
te solo per la scienza della Geometria, perché non ce n'è nessuna (artificiale)
[auto sufficiente].
Nessun lavoro fatto dall'uomo non è fatto se non per mezzo della Geometria.
un'importante ragione [è che], (poiché) se un uomo lavora con le mani, la-
vora con qualche tipo di utensile e non c'è alcun strumento di cose materiali a
questo Mondo che non venga dalla Terra e alla Terra ritornerà e non c'è
strumento, cioè utensile per lavorare, che non abbia proporzioni, più o meno.
E proporzione è misura, l'utensile, o strumento, è Terra.
E si dice che la Geometria sia la misura della terra.
Perciò posso dire che gli uomini in questo Mondo vivono per il lavoro delle

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Il Manoscritto di Cook

loro mani.
Molte altre prove vi fornirò (riferirò) sul perché la Geometria è la Scienza di
cui vivono tutti gli uomini ragionevoli, ma questa volta lo lascerò al lungo
processo della Scrittura [dimostrarvelo].
Ed ora procederò oltre nel mio argomento; voi comprenderete che fra tutte le
Arti del Mondo, [la più importante] è l'Arte dell'uomo; l'Arte muratoria ha
maggiore importanza e maggiore parte [nella] Scienza [della] Geometria,
com'è scritto e detto nella Storia, nella Bibbia, nel Policronico, una cronaca
stampata e nelle storie di Beda De Immagine Mundi e Isodorus ethiniolo-
giaruni. Methodus episcopus e martire e molte altre; dissero che la Massone-
ria è [la] principale [Arte] della Geometria, come penso si possa ben dire,
perché fu la prima ad essere creata; com'è detto nella Bibbia nel 1° Libro del-
la Genesi nel capitolo 4°.
E anche tutti i Dottori suddetti lo dissero ed alcuni di loro [lo esposero] più
apertamente e semplicemente [rispetto] a come è detto nella Bibbia.
Il Figlio diretto della stirpe di Adamo, discendente delle 7 generazioni di
Adamo, prima del Diluvio, fu un uomo di nome Lameth il quale ebbe 2 mo-
gli, la prima Ada ebbe 2 figli: uno chiamato Jabal e l'altro Jubal.
Il più grande, Jabal, fu il primo fondatore della Geometria e [della] Masso-
neria (Muratoria) e costruì case ed è nominato nella Bibbia “Pater habitan-
cium in tenoriis atque pastorum”, cioè padre di uomini che vivono in tende,
cioè case.
Ed egli fu maestro di Caino e capo di tutti i suoi lavori quando egli fece la
Città di Enock (Enoche) che fu la città mai prima costruita e che Caino die-
de a suo figlio e la chiamò Enock. Ed ora è chiamata Ephraim.
E la scienza della Geometria e della Massoneria fu [così] per la prima volta
impiegata ed inventata come scienza ed Arte e perciò possiamo dire che fu
l‟origine e il fondamento di tutte le Arti e [le] Scienze e quest'uomo Jabal fu
chiamato “Pater pastorum”.
Beda in, De Immagine Mundi poliecronicon e molti altri dicono che egli fece
per primo la ripartizione della Terra in modo che ogni uomo potesse indivi-
duare (conoscere) il suo campo e il suo lavoro.
E divise anche greggi e pecore perciò possiamo dire che egli fu il primo fonda-
tore di quella Scienza.
E suo fratello Jubal o Tubal fu il fondatore della Musica e del canto, come

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Studi sulla Massoneria

afferma Pitagora nel Polyecronicon e lo stesso Isidoro nel suo Ethemologies;


nel suo 1° Libro egli dice che fu il primo fondatore della Musica e del canto,
dell'organo e della tromba ed egli trovò la scienza del suono dalla battitura
(ponderazione) dei metalli [fatta] da suo fratello Jubal Cain.
In vero, la Bibbia dice nel capitolo IV della Genesi che Lameth ebbe dall'al-
tra moglie chiamata Zillah un figlio e una figlia.
I loro nomi erano Tubal Cain, il figlio, e la figlia fu chiamata Naamah e.
come dice il Polyecronicon, che ella fu la moglie di Noè; che sia vero o no. noi
affermiamo di no.
Voi comprenderete che questo figlio Tubal Cain fu il fondatore dell'Arte del
fabbro e di tutte le Arti del metallo, cioè del ferro, oro e argento, come dicono
alcuni Dottori, e sua sorella Naamah fu la fondatrice dell'Arte della tessitu-
ra; ma filavano il "filobo" e lo lavoravano ai ferri e si facevano vestiti come
potevano, ma [poiché] la donna Naamah trovò l'arte della tessitura da allora
fu chiamata l'Arte delle donne; e questi tre fratelli sapevano che Dio si sareb-
be vendicato del peccato [degli uomini] o col fuoco o con l'acqua ed essi pose-
ro la massima cura a [pensare] come potevano salvare le Scienze che avevano
scoperto (trovato) e si consigliarono fra loro; e con i loro ingegni, dissero che
c'erano 2 tipi di pietra di tale qualità che la prima non sarebbe mai bruciata e
quella pietra è chiamata marmo e che l'altra pietra non sarebbe mai affonda-
ta e quella pietra è chiamata Laterus.
E perciò essi idearono di scrivere tutte le scienze che avevano trovato in queste
2 pietre, così che se Dio si fosse vendicato con il fuoco il marmo non sarebbe
bruciato e se Dio si fosse vendicato con l'acqua l'altra [pietra] non sarebbe
affondata.
E perciò pregarono il fratello più grande di Jabal di fare 2 colonne (pilastri)
con queste 2 pietre, cioè marmo e Laterus e di incidere nei 2 pilastri tutte le
Scienze e le Arti che essi avevano trovato.
E così si fece e perciò possiamo dire che egli fu molto abile nella scienza
[della scultura] che per primo iniziò e perseguì il fine [che avevano voluto]
prima del diluvio di Noè.
Ben sapendo della vendetta che Dio avrebbe attuato, sia col fuoco che con l'ac-
qua, i fratelli - come una specie di profezia - sapevano che Dio ne avrebbe
mandata una al riguardo e perciò scrissero nelle 2 pietre tutte le 7 Scienze,
perché essi sapevano che la vendetta [di Dio] sarebbe arrivata.
E così avvenne che Dio si vendicò e venne un tale Diluvio che tutto il Mondo

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Il Manoscritto di Cook

fu sommerso e morirono tutti tranne 8 persone.


E furono Noè e sua moglie e i suoi 3 figli e le loro mogli e da questi figli tutto
il Mondo derivò.
E [i 3 figli] furono chiamati in questo modo: Sem, Cam e Japhet.
E questo Diluvio fu chiamato il Diluvio di Noè, perché in esso si salvarono
lui e i suoi figli.
E dopo molti anni dal Diluvio, come narra la Cronaca, questi due pilastri
(colonne) furono ritrovati e, come dice il Polyecronicon, un grande dotto
chiamato Pitagora ne trovò uno e Hermes, il filosofo, trovò l'altro ed essi in-
segnarono le scienze che trovarono scritte in essi.
Ogni Cronaca, la Storia, e molti altri Dotti e principalmente la Bibbia testi-
moniano della costruzione della Torre di Babele ed è scritto nella Bibbia, Ge-
nesi capo X, come Cam, figlio di Noè, generò (ebbe) Nimrod ed egli divenne
un uomo forte come un gigante e fu grande Re.
E l'inizio del suo Regno fu quello del vero Regno di Babilonia, di Arach e
Archad e Calan e [della] Terra di Sennare.
E questo stesso Nimrod iniziò la Torre di Babilonia e insegnò ai suoi operai
l'Arte della misura ed ebbe molti muratori, più di 40 mila.
E li amava e li teneva in gran conto.
Ed è scritto nel Polyecronicon ed in altre Storie ed è [in] parte testimoniato
nella Bibbia nel X capo della Genesi, dove si dice che Asur, che era parente
vicino a Nimrod, uscì dalla terra di Sennare e costruì le Città di Ninive e
Plateas e molte altre, così [di] egli [si] disse: “De Terra illa i de Sennare
egressus est Asure e edificauit Nunyvev e Plates civitatis e Cale e Jes(e)n
quoque inter Nunyven e hec est civitas magna”.
La ragione vorrebbe che dicessimo apertamente come ed in qual modo la Craft
(confraternita) muratoria fu fondata e chi per primo le diede il nome di
Massoneria.
E voi dovreste sapere che è detto e scritto nel Polyecronicon e in Methodus, ve-
scovo e martire, che Asur, che fu degno signore di Sennare, chiese al Re Nim-
rod di mandargli massoni ed operai della Craft, che potessero aiutarlo a co-
struire la città che desiderava edificare.
E Nimrod gli inviò 300 massoni.
E quando dovevano partire egli li chiamò dinanzi a lui e disse loro: “Dovete

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Studi sulla Massoneria

andare da mio cugino Asur per aiutarlo a costruire una città, ma badate bene
che siate ben guidati e io vi darò un incarico proficuo per voi e per me.
Quando giungerete da quel Signore badate di essere leali verso di lui come lo
sareste con me; fate di voi come foste fratelli e restate uniti lealmente; e colui
che ha maggiore abilità [nell'Arte] la insegni al suo compagno e [si] guardi
dal guidarvi contro il vostro Signore, così che io possa ricevere merito e rin-
graziamento per avervi inviato [da lui] e [per] avervi insegnato l‟Arte”.
Ed essi ricevettero l'incarico dal loro padrone e Signore ed andarono da Asur
e costruirono la città di Ninive nel Paese di Plateas ed altre città fra Cale e
Ninive.
Ed in tal modo l'arte muratoria fu innalzata ed imposta come scienza.
Antenati [che furono] prima di noi massoni ebbero queste responsabilità,
come le abbiamo noi nei nostri Doveri; [tosi] come li abbiamo visti scritti sia
in francese che in latino [e] dalla storia di Euclide; ma come Euclide per-
venne alla conoscenza della Geometria vi diremo, com'è scritto nella Bibbia ed
in altre storie.
Nel 12° capitolo della Genesi si dice come Abramo giunse alla Terra di Caa-
nan e nostro Signore [Iddio] gli apparve e disse: "darò questa Terra a te ed
alla Tua discendenza", ma ci fu una grande carestia sulla Terra e Abramo
prese Sarach, sua moglie, con sé ed andò in Egitto in pellegrinaggio e mentre
durava la carestia egli attese là.
Ed Abramo, come dice la Cronaca, era un uomo saggio e un grande Dotto e
conosceva tutte le 7 Scienze ed insegnò agli Egiziani la scienza della Geome-
tria. E questo degno Sapiente Euclide fu suo allievo ed imparò da lui.
Ed egli diede per primo il nome di Geometria, tutto ciò prima non aveva il
nome di Geometria.
Ma si dice nell'Ethimologiarum di Isidoro, nel 5° libro capo I, che Euclide
fu uno dei fondatori della Geometria e le diede quel nome perché a quel tempo
c'era un fiume in Egitto, il Nilo, e dilagava a tal punto dentro la terra che gli
uomini non potevano abitarvi.
Quindi questo degno studioso Euclide insegnò loro a fare grandi dighe (mu-
ra) e fossati per trattenere l'acqua ed egli, con la geometria, misurò la terra e
la divise in diverse parti e fece chiudere ad ognuno la sua parte con mura e
fossati e quindi divenne una terra fertile di tutti i tipi di frutti e di giovani,
di uomini e di donne; [così avvenne che] c'erano tanti giovani che non pote-
vano vivere bene.

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Il Manoscritto di Cook

E i governanti, Signori del Paese, si riunirono in Consiglio per vedere come


[avrebbero potuto] aiutare i loro figli che non avevano [modo di] trovare so-
stentamento.
E fra loro in Consiglio c'era questo degno Euclide e quando vide che essi non
potevano essere in grado di decidere sulla questione disse loro. "Prendete i vo-
stri figli e poneteli [sotto il mio] governo ed io insegnerò loro una tale scienza
che vivranno con ciò da Signori, a condizione [però] che giuriate di farmi
esercitare il comando (la guida) ed io lo farò [per] voi e [per] loro".
E il Re [di quella Terra] e tutti i Signori garantirono ciò.
Ed essi portarono i loro figli ad Euclide perché li dirigesse a suo piacimento
ed egli insegnò loro quell'Arte, la Massoneria e le diede il nome di Geometria,
a causa della divisione del terreno che aveva insegnato alle persone al tempo
della costruzione delle mura e dei fossati, e Isidoro dice, nell'Ethemologies,
che Euclide la chiamò Geometria.
Ed egli diede loro (il compito) [la regola] di chiamarsi l'un l'altro Compa-
gno e non altrimenti, perché appartenevano ad un'Arte ed erano di sangue
nobile e figli di Signori.
E [stabilì] che [colui] che era il più abile dovesse essere di guida [nel] lavo-
ro e chiamato Maestro ed attribuendogli altri compiti che sono scritti nel Li-
bro dei Doveri.
Ed essi lavorarono con i Signori della Terra e fecero Città, Castelli, Templi e
Palazzi.
Nel tempo in cui i figli di Israele abitarono in Egitto impararono l'Arte della
Massoneria.
E in seguito, quando furono condotti fuori dall'Egitto, essi giunsero alla Ter-
ra di Behest, che ora è chiamata Gerusalemme.
E il Re David iniziò la costruzione del Tempio di Salomone.
Re David amava i massoni e diede loro diritti come ne hanno ora.
E nella costruzione del Tempio, al tempo di Salomone, com'è detto nella Bib-
bia, nel 3° libro Rerum in tercio Rerum, capitulo quinto, (che) Salomone eb-
be 80 mila muratori al suo servizio.
E il figlio di Tiro era il capo.
Ed in altre cronache ed in altri libri di Massoneria è detto che Salomone con-
fermò gli incarichi che David, suo padre, aveva dato ai massoni.

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Studi sulla Massoneria

E Salomone stesso insegnò loro in modo poco diverso dai modi ora usati. E
di là questa importante scienza fu portata in Francia e in altre Regioni.
Un tempo ci fu un degno Re di Francia chiamato Carolus Secundus, cioè
Carlo II, e questo Carlo fu eletto Re di Francia per Grazia di Dio e per stir-
pe.
E questo stesso Re Carlo era massone prima di essere Re e quando diventò Re
amò i massoni e li tenne in gran conto e diede loro incarichi e regolamenti
[conformi] al suo disegno, alcuni dei quali sono ancora in uso in Francia;
ed egli stesso stabilì che essi dovessero stabilirsi in Assemblea una volta
all'anno per parlare insieme, Maestri e Compagni, e per [deliberare] [da
chi] essere guidati e [per emendare] tutte le cose sbagliate.
E poco dopo S. Adhabell venne in Inghilterra e converti S. Albano al Cri-
stianesimo.
E S. Albano amava i massoni e diede per primo incarichi ed usi in Inghil-
terra. Ed egli stabilì un tempo conveniente per pagare il lavoro.
E in seguito ci fu un'importante Re in Inghilterra chiamato Athelstan e il
suo figlio più giovane amava la scienza della Geometria e sapeva bene che
l'arte manuale [delle Craft] praticava la scienza della Geometria come i mas-
soni, per cui lo [accolse] in Consiglio e (lui) apprese la pratica di quella
scienza [adattandola] alla sua speculazione, perché nella speculazione era
maestro ed amava la Massoneria ed i massoni.
Ed egli stesso divenne massone e diede loro incarichi e nomi che sono ancora
in uso in Inghilterra e in altri Paesi.
E stabilì che [i massoni] dovessero venire pagati ragionevolmente per il loro
lavoro ed ottenne (acquistò) un decreto del Re che [sancì] il diritto che si
riunissero in Assemblea quando lo ritenevano un periodo ragionevole e [che]
venissero [ascoltati] i loro Consiglieri, com'è scritto e insegnato nel Libro dei
nostri incarichi/doveri per cui lascio l'argomento.
Uomini dabbene per questo motivo ed in questo modo [fecero sì che] la Mas-
soneria avesse inizio.
Accadde talvolta che grandi Signori non avessero Grandi possedimenti così
che non potevano aiutare (favorire) i loro figli generati liberi, perché ne ave-
vano molti, perciò si consigliarono su come si potesse aiutarli a stabilire che
essi potessero vivere onestamente.
Ed essi la mandarono dai Saggi Maestri dell'importante scienza della Geo-

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Il Manoscritto di Cook

metria così che loro, con la loro saggezza, potessero fornire [ai] loro [figli]
un onesto modo di vivere.
Quindi uno di loro, di nome Englet, che fu un molto acuto e saggio fondatore,
stabilì un'Arte e la chiamò Massoneria e così, con la sua Arte egli istruì i fi-
gli dei Grandi Signori a richiesta (con preghiera) dei padri e libera volontà
dei figli; quando essi furono istruiti con grande cura, dopo un certo periodo
essi non furono tutti ugualmente capaci, per cui il suddetto Maestro, Englet,
stabilì che coloro che terminavano [l'apprendistato] con abilità dovessero es-
sere ammessi [nella Craft] con onore e chiamò il maestro più abile per istrui-
re (informare) i maestri meno abili e furono chiamati maestri per nobiltà
d'ingegno ed abilità nell'Arte.
In tale modo la suddetta Arte, iniziata in Terra d'Egitto, si propagò di Terra
in Terra, di Regno in Regno.
Dopo molti anni, al tempo di Re Athelstan, che fu re d'Inghilterra, i suoi
Consiglieri ed altri Grandi Signori, di comune accordo, per [le] gravi colpe
riscontrate fra i massoni, stabilirono una certa regola fra loro; [si stabilì
che] una volta all'anno, o (ogni) 3 anni [se ciò corrispondeva] al bisogno
del Re e dei Grandi Signori del Paese (della terra) e del popolo, di provincia
in provincia, e di paese in paese, si tenessero Assemblee di tutti i massoni e
compagni della suddetta Arte e che in tali riunioni i Maestri fossero ascoltati
(esaminati) sugli articoli [della Costituzione] che in seguito [vennero]
scritti e [si stabilì] che fosse verificato se [i maestri] erano capaci ed abili a
vantaggio del loro Signore (Sovrano) e ad onore della suddetta Arte.
E inoltre [si stabilì che dovessero adempiere] bene il loro incarico di impie-
gare i beni, piccoli o grandi, dei loro committenti (Signori), perché percepi-
vano da loro il compenso per il loro servizio ed il loro lavoro.
PARTE NORMATIVA DEL MANOSCRITTO DI COOKE
• Il primo articolo è questo: che ogni maestro di quest'Arte deve essere
saggio e leale verso il committente (Signore) che serve (del quale è al servi-
zio); e non pagare alcun muratore più di quello che ritenga possa meritare,
distribuendo i suoi benefici [e compensi] davvero come vorrebbe che i propri
fossero dispensati, dopo aver [tenuto conto della] scarsità di grano e di viveri
del Paese nessun favoritismo (favore) elargendo (sopportando), perché o-
gnuno sia ricompensato secondo il suo lavoro.
• Il secondo articolo è questo: che ogni maestro di questa Arte dovrebbe
essere informato prima di entrare (venire) nella (alla) sua (Comunità)

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Studi sulla Massoneria

[Confraternita] che essi vengono [ricevuti] come si conviene [secondo tali


norme]; che essi non possono essere scusati [delle assenze], ma (solo) per
qualche motivo [valido]. Ma tuttavia se essi sono giudicati (trovati) ribelli
[nei confronti] di tale Comunità, o colpevoli in qualche modo, di [avere ca-
gionato] danno verso i propri committenti (Signori) i colpevoli verso (in)
quest'Arte, essi non saranno scusati in alcun modo [e giudicati, se non si ve-
rificherà] il loro decesso e sebbene essi siano (in pericolo di morte) [amma-
lati], senza rischiare la morte, essi avviseranno il maestro che è a capo del
consesso [che dovrà giudicarli].
• Il terzo articolo è questo: che nessun maestro prenda un apprendista per
un periodo minore di 7 anni almeno, perché in un termine minore non può
giungere propriamente [a conoscere la] sua Arte, [e sarà] incapace di servi-
re lealmente il suo committente (Signore) e di comprendere [l'Arte] come un
massone dovrebbe.
• il quarto articolo è questo: che nessun maestro prenda, senza profitto,
alcun apprendista per istruirlo [che sia] nato (con vincoli di sangue) [con
obbligazioni conseguenti a vincoli di sangue] poiché, a causa del suo Signo-
re, al quale è legato [da tali vincoli od obblighi] lo stesso [Signore] (egli) lo
distoglierebbe dalla sua Arte e (potrà chiamarlo a sé) [lo condurrà con lui]
fuori dalla sua Loggia e dal luogo ove lavora; perché i suoi compagni forse lo
aiuterebbero [contro il suo Signore] e combatterebbero per lui [per liberarlo]
e da ciò potrebbe avvenire un omicidio - è proibito - ed anche per il motivo che
la sua Arte ebbe inizio da figli di Grandi Signori [però] nati liberi [da vin-
coli di vassallaggio], com'è stato detto prima
• il quinto articolo è questo: che nessun maestro dia al suo apprendista,
al tempo del suo apprendistato, perché nessun profitto [da ciò] può essere
tratto, più di quello che pensi egli possa meritare dal committente (Signore)
che serve, non tanto [però] che [ecceda in qualche modo] il profitto che possa
trarre il committente (Signore) del luogo in cui è addestrato [dal grado] del
suo insegnamento.
• il sesto articolo è questo: che nessun maestro per cupidigia o profitto
prenda apprendisti per insegnare [loro] cose imperfette, cioè che hanno man-
chevolezze (mutilazioni) per cui non possano lavorare realmente come do-
vrebbero.
• il settimo articolo è questo: che nessun maestro sia trovato ad aiutare, o
a procacciare, o essere sostenitore di qualunque ladro notturno per cui [a ca-
gione del furto] i suoi compagni possano non compiere il lavoro giornaliero e

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Il Manoscritto di Cook

non si possano organizzare.


• L'ottavo articolo è questo: che non accada che qualche massone, che è
perfetto ed abile, venga a cercare lavoro e trovi un modo di lavorare imperfetto
ed incapace; il maestro del luogo assumerà (riceverà) il massone perfetto e
manderà via l'imperfetto per il vantaggio del suo committente (Signore).
• il nono articolo è questo: che nessun maestro prenderà il posto di un al-
tro [maestro], perché è detto, nell'Arte muratoria, che nessuno debba termi-
nare un lavoro iniziato da un altro, per il vantaggio del suo committente (Si-
gnore), poiché egli lo ha iniziato [ha il diritto di] terminarlo a suo modo o
[di mostrare a chi gli subentri legittimamente] quali siano i suoi modi.
Questa rivoluzione [per i Compagni] è stata presa da vari Signori e maestri
di diverse provincie ed [in varie] Assemblee di Massoneria ed essa è così
[articolata]:
• il primo punto: che coloro che desiderano (essere ammessi) [pervenire]
(allo stato) [al grado] di Compagni della suddetta Arte è necessario che pre-
liminarmente (principalmente) giurino a Dio, alla Santa Chiesa ed a tutti i
Santi, al loro maestro [di Loggia] ed ai loro Compagnie fratelli.
• il secondo punto: egli deve compiere il suo lavoro giornaliero in ragione
di quanto viene pagato.
• il terzo punto: che egli [deve accettare] le risoluzioni dei suoi compagni
[deliberate] nella Loggia e in Camera e in ogni luogo.
• il quarto punto: che egli non sia ingannatore della suddetta Arte, né
abbia pregiudizio, o sostenga dichiarazioni [diffamatorie] contro l'arte o
contro nessuno dell'Arte, ma egli (la) sosterrà [l'Arte] con dignità, perché
egli può [farlo].
• il quinto punto: quando egli riceverà il salario (compenso), che lo
prenda umilmente, poiché il tempo [per riceverlo] è stabilito dal maestro do-
po che il lavoro ed il resto [da lui] ordinato trovi il [suo] apprezzamento
(consenso).
• il sesto punto: se una qualche discordia dovesse sorgere fra lui e i suoi
compagni egli dovrà obbedire umilmente ed essere ancora agli ordini del mae-
stro [di Loggia] o, in sua assenza, del Custode (Sorvegliante) [designato]
dal maestro [in sua vece] [che si adoprerà a comporre la discordia] alla fe-
sta religiosa seguente [al litigio] e si allineerà (si accordi) alla disposizione
dei Compagni [in merito alla controversia] [e ciò avvenga] non in giorno fe-

14
Studi sulla Massoneria

riale, lasciando il lavoro e [trascurando] l'interesse (il profitto) del suo


committente (Signore).
• il settimo punto: che egli non desideri [e non isidii] la moglie e la fi-
glia del suo maestro o dei suoi compagni; ma se è sposato non tenga concubi-
ne, perché potrebbero sorgere discordie fra loro.
• L'ottavo punto: se accade che egli sia Custode (sorvegliante) sotto il suo
maestro [di Loggia], che egli sia un sicuro tramite fra il suo maestro e i suoi
compagni; e se in assenza del suo maestro [di Loggia] [lo sostituisca] con
impegno per l'onore del maestro e (per) l'interesse (vantaggio) del commit-
tente (Signore) del quale è al servizio.
• il nono punto: se egli fosse più saggio ed acuto del compagno che lavora
con lui nella Loggia od in qualunque altro posto e se percepisse che l'altro do-
vrebbe lasciare la pietra sulla quale sta lavorando [per non rovinarla] per
mancanza di abilità e [se percepisse] che può insegnargli a correggere la pie-
tra egli dovrà informarlo [di ciò] ed aiutarlo in modo [tale] che l'amore
[fraterno] si accresca fra loro e il lavoro del committente (Signore) non vada
perduto.

SULL'ASSEMBLEA DI GIUSTIZIA
Quando il maestro e i compagni siano preavvisati e vengano a tali Assemble-
e, se c'è bisogno saranno associati (invitati a partecipare) assieme ai compa-
gni ed al maestro dell'Assemblea, lo sceriffo della contea, od il Sindaco della
Città, od il Consigliere più anziano della Città in cui l'Assemblea si tiene,
per servire [loro] di aiuto contro i ribelli (contumaci) e per sostenere i diritti
del Regno.
All'inizio [entrando nella Craft] uomini nuovi che non furono mai accolti
[nella Confraternita], siano accolti [valutandoli] in modo tale che essi non
siano mai ladri, o (sostenitori) [complici] di ladri e che essi compiano il lo-
ro lavoro giornaliero per il compenso che prendono dal loro committente (Si-
gnore) e un vero resoconto diano ai loro Compagni delle cose che devono esse-
re spiegate ed ascoltate e li amino come se stessi.
Ed essi devono essere fedeli al Re d'Inghilterra ed al Regno e mantenere [fe-
de], con tutte le loro forze, agli articoli suddetti [della Costituzione].
Dopo di ciò, [se sarà il caso] sarà indagato se qualche maestro o compagno,
che è stato informato [dei suoi doveri] abbia infranto qualche articolo [della

15
Il Manoscritto di Cook

regolamentazione]e sarà stabilito là [nell'Assemblea di Giustizia] se ha fatto


mai tale cosa [della quale è imputato].
Perciò, vale a dire, se qualsiasi maestro o compagno, che è [stato] informato
[sul capo di accusa] prima di venire [innanzi] a tale Assemblea [ammetta
la colpa], [ovvero] [se sia] contumace (ribelle) e non verrà, eppure abbia
trasgredito qualsiasi articolo, se ciò è provato, egli dovrà rinunziare (rinne-
gare) alla sua [appartenenza] alla Massoneria e non dovrà più usare la sua
Arte.
E se egli [nonostante tale condanna] osa praticarla, lo Sceriffo del paese in
cui è stato trovato a lavorare lo dovrà mettere in prigione e mettere tutti i suoi
averi nelle mani del Re fino a quando gli sia mostrata o concessa la grazia.
Per questo motivo [i partecipanti] di questa Assemblea stabilirono che sia il
più basso che il più alto [in rango] debba essere lealmente servitore della sua
Arte in tutto il Regno d'Inghilterra.
Amen, così sia.

16
Studi sulla Massoneria

1805-1860
LA NASCITA DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA E IL RUOLO DELLA MAS-
SONERIA NEL RISORGIMENTO
Nel 1805 fu costituito il Grande Oriente d’Italia. Tale data è stata ed è a
tutt’oggi considerata dai massoni del GOI come il momento in cui ha avuto
inizio la storia bicentenaria dell’Istituzione, poiché con essa faceva per la
prima volta la sua comparsa un’obbedienza che - indipendentemente dal
fatto di essere sottoposta alla tutela napoleonica o di non essere ancora in
grado di esercitare la propria giurisdizione su tutta la penisola - contem-
plava finalmente la parola «Italia» e associava pertanto ai principi masso-
nici di libertà, fraternità e solidarietà l’aspirazione a una nazione che smet-
tesse di rappresentare soltanto «un’espressione geografica», ma fosse an-
che libera e unita. La nascita del Grande Oriente d’Italia assume un signifi-
cato simbolico di notevole rilevanza che supera le diatribe storiografiche
relative alla discendenza massonica da un corpo rituale o alla continuità i-
niziatica successivamente interrotta: da quel momento, infatti, tutti i mas-
soni che si erano fino ad allora battuti per dare vita a una nazione libera e
indipendente e a una società moderna, democratica e laica - anche in quel-
le regioni della penisola in cui il GOI non era presente - presero a ricono-
scersi in un’entità capace di creare un sentimento di appartenenza e di or-
goglio, sentendosi allo stesso tempo italiani e massoni: lo dimostra il fatto
che le logge pugliesi e napoletane chiesero di unirsi al Grande Oriente
d’Italia e che, oltre mezzo secolo dopo, i fondatori della loggia «Ausonia»
di Torino si dichiararono eredi di quella breve ma significativa esperienza.
Tuttavia, al di là dell’importanza del significato simbolico legato alla fonda-
zione del GOI è certo che la massoneria costituì durante l’età napoleonica
un fenomeno sociale e politico di per sé rilevante. In quel periodo si conta-
vano nella penisola più di 250 logge (cifra che comprendeva quelle del GOI,
quelle controllate direttamente da Parigi e quelle dell’obbedienza del
Grande Oriente di Napoli), per un totale - seppur più che prudente - di
20.000 massoni attivi e quotizzanti. Un numero notevole se rapportato alla
popolazione complessiva e, ancor più, se posto a confronto con gli indivi-
dui maschi alfabetizzati. In quegli anni all’interno delle logge si ritrovarono,
in un clima di fratellanza e parità, esponenti appartenenti alla borghesia,
funzionari dello Stato, militari e parte di quella nobiltà che aveva accolto il
nuovo che avanzava non disdegnando di stabilire rapporti con altre classi
sociali. Le logge divennero pertanto luoghi di scambio e mediazione politi-

17
Storia della Massoneria Italiana

ca, grazie anche al fatto che vi era un comune sentire condiviso dal potere
politico e dalla massoneria, i cui rispettivi vertici, spesso, coincidevano. Pur
ammettendo eccessi di ‘adulazione’ nei confronti della persona
dell’imperatore e dei suoi familiari, che presero parte a tutte le logge, non
si può non riconoscere che le riforme napoleoniche, la cui modernità fu ri-
levata anche dai giuristi più esplicitamente ostili, furono ispirate e applica-
te principalmente da uomini - prefetti, sottoprefetti, alti funzionari
dell’amministrazione - che affollavano le officine, dal canto loro veri e pro-
pri luoghi che, lungi dall’essere soltanto ritrovi conviviali allietati da ban-
chetti e brindisi all’«Augusto imperatore», consentivano anche momenti di
confronto serrato e costruttivo, in cui gerarchie e differenze sociali finiva-
no per stemperarsi allo scopo di individuare soluzioni che potessero essere
messe in atto una volta riacquistato il ruolo pubblico. Fu anche grazie a
questo impegno per «il bene dell’umanità» se l’introduzione dei codici civi-
li, innovativi strumenti del diritto positivo, non si trasformò in un mero e-
sercizio teorico legislativo: il Code Napoléon (così definito nel 1807), che
enunciava i diritti fondamentali dei cittadini equiparando la proprietà, in-
tesa come diritto naturale assoluto e individuale, alla persona, venne subi-
to applicato. Con esso si riconoscevano i diritti civili e politici di tutti i sud-
diti, anche i non cattolici - fino a quel momento pressoché costantemente
discriminati -, mentre il godimento dei diritti veniva esteso anche agli stra-
nieri. Per quanto riguardava la famiglia, l’autorità giurisdizionale della
Chiesa veniva sostituita con quella dello Stato: il matrimonio, così come la
registrazione delle nascite e delle morti, si trasformava in un atto civile e
doveva pertanto essere celebrato davanti a un ufficiale di stato civile e sol-
tanto in un secondo tempo, eventualmente, presso le autorità religiose.
Veniva inoltre istituito il divorzio, naturale conseguenza del matrimonio in-
teso non come sacramento ma come libero contratto e, in quanto tale,
passibile di rescissione. Si classificarono i beni, definendone la proprietà,
l’uso e l’usufrutto. Dal punto di vista penale, si assistette alla graduale ap-
plicazione delle leggi francesi e, a partire dal 1811, fu introdotto il codice
che, essendo ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino,
tutelava i diritti dell’imputato cancellando l’arbitrarietà della condanna e la
retroattività delle leggi. Fu anche per discutere e attuare queste e altre ri-
forme che i massoni presero a riunirsi finendo per fondare - come si è det-
to -, dopo un primo atto iniziatico ufficiale nel marzo del 1805, il Grande
Oriente d’Italia, esattamente tre mesi dopo la proclamazione del Regno
d’Italia. Lo scopo era di rompere l’isolamento e la precarietà in cui viveva-

18
Studi sulla Massoneria

no le logge sparse nel Regno e di strutturarsi in un organismo caratterizza-


to da un’identità definita e visibile, retto da regole certe; un organismo
massonico coeso e centralizzato che tuttavia lasciava statutariamente libe-
re le logge di «professare il Rito che avranno adottato i di lei Membri»,
precorrendo in tal modo la formula «Libertà di riti, unità di governo» che
verrà adottata dal GOI in età liberale. Compresero l’importanza dell’evento
il generale Giuseppe Lechi, Gran Maestro delle logge operanti nell’Armata
d’Italia, le logge del Grande Oriente di Napoli guidato da Gioacchino Murat
- che chiesero di stringere fraterni rapporti d’amicizia con l’obbedienza del
viceré Eugenio di Beauharnais -, e alcune logge che operavano nei territori
italiani annessi all’impero francese, come quelle piemontesi, toscane e la-
ziali, che, pur inneggiando alla «Parfaite Union», non dimenticarono in
quell’occasione la propria “italianità” prendendo parte ai lavori delle logge
del GOI. Uomini come Ferdinando Marescalchi , Ugo Foscolo,Vincenzo
Monti, Franco Salpi, Antonio Jerocades, Domenico Romagnosi, Melchiorre
Gioia, Pietro Maroncelli, Andrea Appiani e Giuseppe Ceroni credettero in
questo tentativo di ‘fare’ l’Italia e di traghettarla così verso la modernità.
Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, alcuni decisero di rinnegare
quest’esperienza e di porsi al servizio dei vecchi regnanti. La maggior par-
te, invece, trasferì - secondo modalità diverse - gli aneliti di libertà, fratel-
lanza e uguaglianza appresi e coltivati nelle logge in nuove strutture orga-
nizzative, tentando così di coniugare i principi cosmopoliti tipici della mas-
soneria con gli ideali patriottici. Con il congresso di Vienna e l’inizio dell’età
della Restaurazione in buona parte del continente europeo si assistette al
ristabilimento del quadro istituzionale e politico antecedente alla Rivolu-
zione francese. In questo nuovo clima le pur legittime aspirazioni a un go-
verno costituzionale, al rispetto del principio delle nazionalità, alla libertà
d’opinione, di stampa e di riunione furono brutalmente represse dai rap-
presentanti dei regimi restaurati. Ciò nonostante, le profonde trasforma-
zioni indotte dalla rivoluzione e, almeno in parte, dalla successiva espe-
rienza napoleonica riuscirono a incidere significativamente nella cultura e
nelle coscienze dei popoli del continente, in particolare di quello italiano.
Venendo così a mancare gli spazi necessari per un libero esercizio dei diritti
sanciti dalla Dichiarazione universale, non restò altra possibilità che quella
di ricorrere alla cospirazione per ristabilire le perdute libertà. In questo
contesto nacquero, a livello europeo, numerose società segrete, alcune
delle quali con una struttura organizzativa e rituale di derivazione chiara-
mente massonica. Il rapporto tra massoneria e mondo settario si inserisce

19
Storia della Massoneria Italiana

nella storia dei conflitti interni della libera muratoria: basti pensare alla
Carboneria, erede di quella corrente massonica deista e repubblicana, o a
quella sorta di continuità esistente tra gli ideali degli Illuminati di Baviera e
i gruppi settari come l’Adelfia e i Sublimi Maestri Perfetti. Come ha felice-
mente osservato Giuseppe Giarrizzo, se si passa dallo studio della compo-
sizione delle sette risorgimentali a quello dei modi dell’agire politico risul-
tano evidenti, per il caso italiano, gli influssi della massoneria sia sul mode-
ratismo sia sulle correnti rivoluzionarie, poiché proprio a quest’ultima
l’azione politica dei patrioti risorgimentali deve la forma organizzativa e al-
cuni importanti schemi ideologici; inoltre, alla massoneria rinvia anche la
forma-partito che si costituisce a ridosso del 1848. Riveste, infine, un ruolo
importante il contributo laico o religioso (non ecclesiastico) dato dalle va-
rie osservanze al processo formativo della politicizzazione delle masse, in
vista della riforma intellettuale e morale dell’italiano e, soprattutto,
dell’avvento in Italia di un modello di umanità rigenerata. Senza alcun
dubbio tra gli aderenti all’Adelfia, alla Carboneria e alla Federazione Italia-
na numerosi furono coloro i quali transitarono nelle logge durante il perio-
do napoleonico, senza che però ciò si traducesse automaticamente in un
sostegno alla politica dell’imperatore, anzi: all’interno delle logge si ritro-
varono spesso uomini di differenti fedi religiose o nutriti di ideali e orien-
tamenti politici contrastanti, ma che, tuttavia, cercavano nelle logge un
luogo di confronto improntato alla comune tolleranza. Nel corso della do-
minazione francese agirono, infatti, anche nuclei massonici antigovernativi
operanti sia esternamente sia internamente alle logge regolarmente costi-
tuite, le quali, come si è detto, erano di fatto uno strumento della politica
napoleonica. Questa sorta di «massoneria antigovernativa» raggruppava
anch’essa personaggi tra loro politicamente distanti, uniti però da una co-
mune avversione a Bonaparte e alla dominazione francese: ad aristocratici
con alle spalle frequentazioni in officine libero muratorie nel corso
dell’ultimo Settecento, si affiancavano infatti elementi giacobini vagheg-
gianti l’istituzione di un regime repubblicano. E furono proprio queste
componenti a dare vita al ‘magma’ settario dei primi anni della Restaura-
zione. Nel caso della Carboneria, per esempio, se si analizza il rituale del
grado di Gran Maestro Carbonaro è possibile desumere con chiarezza co-
me in molti casi gli affiliati a essa fossero stati in precedenza iniziati alla li-
bera muratoria o, quanto meno, continuassero - pur non facendone più
parte - a riconoscersi nei suoi principi, dal momento che, come spesso ve-
niva ripetuto, i massoni si erano «associati con i troni» (una chiara allusio-

20
Studi sulla Massoneria

ne al ruolo della massoneria durante l’impero napoleonico). Malgrado la


brevità dell’esperienza è utile in questa sede, per meglio comprendere la
mentalità e il clima che si venne a creare tra le fila degli affiliati al movi-
mento carbonaro, soffermarsi per un momento sulla struttura e sulla ritua-
lità. Suddivisi in tre gradi - «apprendista», «maestro» e «gran maestro» -, i
carbonari si chiamavano reciprocamente «cugini». L’ingresso avveniva per
messo di un’iniziazione, e gli affiliati si riunivano in gruppi denominati «ba-
racche», suddivise a loro volta in «vendite». L’orientamento progressista e
liberale, la struttura organizzativa gerarchica divisa in gradi, la fraseologia e
la simbologia utilizzate, la complessità rituale nello svolgimento dei lavori e
dei passaggi di grado non lasciano dubbi sulla matrice massonica. Agli idea-
li degli Illuminati di Baviera si rifaceva invece l’Adelfia, la prima organizza-
zione settaria che si costituì, immediatamente dopo la sconfitta di Napole-
one ad Austerlitz, nell’Italia settentrionale; in seguito a un fallimentare
tentativo insurrezionale, trascorsero tuttavia tre anni prima che si sentisse
nuovamente parlare di quest’organizzazione, che venne ricostituita soltan-
to nel 1818 come parte di una più ampia struttura cospirativa creata a Gi-
nevra dal massone Filippo Buonarroti. In quell’occasione il rivoluzionario
toscano, che nel 1797 aveva partecipato alla «congiura degli Eguali» orga-
nizzata da Gracco Babeuf, coagulò attorno a sé il malcontento manifestato
dagli ex ufficiali napoleonici e dai giovani aristocratici liberali. Buonarroti,
facendo tesoro della propria esperienza massonica, diede vita a una socie-
tà segreta - strutturata in gradi gerarchici non comunicanti tra loro - de-
nominata dei Sublimi Maestri Perfetti, il cui obiettivo era quello di infiltrar-
si e dirigere le diverse società segrete europee. Il primo grado
dell’organizzazione si riconosceva nel liberalismo e aveva come fine la cre-
azione di monarchie costituzionali. Il secondo vagheggiava un sistema isti-
tuzionale di stampo repubblicano, mentre il terzo si rifaceva completa-
mente alle teorie egualitarie e comuniste di Babeuf e, nei piani di Buonar-
roti, doveva rappresentare la centrale operativa a livello internazionale. Si
sa poco dell’attività e dei rapporti intercorrenti tra i vari gradi di questa so-
cietà segreta, che spesso si presentava sotto nomi diversi. Anche
l’inesattezza delle carte di polizia e la contemporanea appartenenza a più
gruppi dei protagonisti di questa stagione cospirativa non permettono di
delineare un quadro più chiaro e preciso. Il duro clima repressivo imposto
dalle forze della reazione a partire dal 1815 aveva spinto i vari oppositori
ad accantonare le rispettive divergenze, così che nelle nuove società setta-
rie, come era accaduto precedentemente nelle logge massoniche, si trova-

21
Storia della Massoneria Italiana

rono a operare fianco a fianco uomini i cui ideali politici erano notevol-
mente differenti: accanto ai seguaci di Buonarroti, repubblicani fermamen-
te convinti che la Restaurazione fosse iniziata già con la proclamazione
dell’impero nel 1805, erano presenti ex ufficiali e funzionari napoleonici
che sognavano il ritorno di Bonaparte, o giovani aristocratici che, cresciuti
ed educati nelle scuole francesi, si accontentavano di dare vita a monar-
chie costituzionali. La maggior parte dei cospiratori partecipò - ritrovandosi
tra le fila dei carbonari e dei federati - all’ultimo ed eroico tentativo di far
continuare quel processo di modernizzazione e liberalizzazione portato a-
vanti anche dalle logge e bruscamente interrotto dalla Restaurazione im-
posta dal congresso di Vienna. Seppur sconfitti, questi ideali continuavano
a incutere paura ai regimi assolutisti e alla Chiesa, al punto che la Rivolu-
zione francese, coi suoi aneliti di libertà, di eguaglianza e di fratellanza, finì
per essere considerata una diretta conseguenza del pensiero massonico.
Questa tesi, ripresa e approfondita negli anni successivi da numerosi pen-
satori antirivoluzionari che ritenevano il protestantesimo e la libera mura-
toria le cause prime dei mali del mondo, fu per molto tempo alla base del
pensiero reazionario. Il più noto di questi pensatori fu senza dubbio l’abate
Augustin Barruel, un tempo affiliato alla massoneria e autore oltre che del
saggio Mémoires pour servir à l’histoire du jacobinisme, scritto a Londra
durante gli anni dell’esilio, anche di numerosi libelli dello stesso tenore.
Secondo Barruel, la Rivoluzione prese corpo alla scuola dei sofisti empi, in
cui «non tardarono a formarsi i sofisti della ribellione, e costoro alla cospi-
razione dell’empietà contro gli altari di Gesù Cristo, aggiungendo quella
contro tutti i troni dei re, si riunirono all’antica setta delle infami logge dei
Liberi Muratori, che in progresso di tempo si burlò dell’onestà stessa de’
suoi primi seguaci riservando agli eletti il secreto del suo odio profondo
contro la religione di Cristo e contro i monarchi». Subito dopo la conclu-
sione delle esperienze costituzionaliste tentate in Piemonte e nel Regno di
Napoli, papa Pio VII (1800-1823) diede alle stampe la costituzione Eccle-
siam a Jesu Cristo, rivolta contro la Damnatio societatis secretae nuncup-
tae Carbonariorum. Seppur espressamente diretta contro la Carboneria,
tale condanna è tuttavia generalmente considerata dagli studiosi un do-
cumento antimassonico, poiché riteneva la Carboneria stessa e la masso-
neria le vere ispiratrici di tutti i complotti e le congiure ordite contro
l’ordine costituito. Con la condanna si intendeva colpire il fenomeno delle
società segrete, che proprio in quel periodo cominciavano costituirsi e che,
secondo il papa, erano «imitazioni, se non addirittura emanazioni» della

22
Studi sulla Massoneria

massoneria. Una tale interpretazione avrebbe avuto implicazioni impor-


tanti nel corso dei decenni successivi. Benché la Carboneria fosse
un’organizzazione di natura politica e indipendente dalla massoneria, risul-
ta del tutto evidente il tentativo fatto in quell’occasione di fornire legitti-
mità a un pensiero che collegasse organicamente libera muratoria, Illumi-
nismo, liberalismo e movimenti risorgimentali in una sola categoria, il cui
unico obiettivo era, secondo tale interpretazione, cospirare contro la Chie-
sa, intesa non soltanto come guida spirituale dei cattolici, ma anche e so-
prattutto come espressione del potere temporale dei papi in tutti i territori
sottoposti alla loro autorità. Il successore di Pio VII, Leone XII (1823-1829),
ribadì - attraverso la pubblicazione della costituzione Quo Graviora - la
scomunica emessa contro ogni società segreta che fosse in grado di cospi-
rare ai danni della Chiesa e dello Stato, sollecitando la collaborazione del
popolo, attraverso la delazione e la denuncia, e dei governi, attraverso la
repressione. Per il nuovo pontefice la segretezza di queste società era la
prova inconfutabile della loro appartenenza a un’unica grande setta, il cui
scopo era rappresentato da un unico disegno sovversivo. Tutti i papi che si
succedettero sul trono pontificio nel periodo risorgimentale reiterarono
l’accusa rivolta alla massoneria di essere la madre di tutti i mali: così fece,
attraverso l’enciclica Tráditi humiliati, Pio VIII (1829-1830), che definì i
massoni «facinorosi, dichiarati nemici di Dio e dei principi, che promuovo-
no la desolazione della Chiesa, la perdizione degli Stati, la perturbazione
dell’universo, e che, spezzando il freno della vera fede, aprono la via a tutti
i delitti»; o Gregorio XVI (1831-1846), che nell’enciclica Mirari vos senten-
ziò «che tutto questo enorme cumulo di mali ha origine anzitutto dalle
macchinazioni di questa società in cui confluisce, quasi in una sorta di soz-
zura, tutto ciò che di sacrilego, di pericoloso e di blasfemo si ritrova nelle
eresie e nelle sette più scellerate». Con il consolidamento del movimento
risorgimentale si fece più pesante, da parte della Chiesa, la condanna con-
tro le sette in generale e contro la massoneria in particolare, attraverso un
crescendo spettacolare che ebbe inizio con il pontificato di Pio IX (1848-
1878) e culminò con quello di Leone XIII (1878-1903), considerato, a ragio-
ne, il più implacabile nemico della massoneria. Con la rivoluzione romana
del 1848 Pio IX comprese che l’unità d’Italia era ormai un processo irrever-
sibile e che bisognava pertanto moltiplicare gli sforzi per distruggere
«quella perversa associazione di uomini, detta comunemente Massoneri-
a». Nel suo pontificato, l’ultimo papa-re emise 114 documenti antimasso-
nici così suddivisi: 11 encicliche, 51 lettere, 33 allocuzioni e discorsi e 19

23
Storia della Massoneria Italiana

documenti maggiori di Curia; in tutti questi atti ricorreva l’ormai classico


topos della comune matrice delle società segrete che cospiravano, aper-
tamente o clandestinamente, contro la Chiesa e i legittimi poteri. A tale
matrice si faceva inoltre risalire l’origine dell’ondata rivoluzionaria europea
che, muovendo dal suo epicentro posto in Italia, finì per coinvolgere gli
stati pontifici. Un anno prima degli avvenimenti di Porta Pia il pontefice
romano riunì tutto il materiale antimassonico fino ad allora pubblicato nel-
la famosa costituzione Apostolicae Sedis, che prevedeva la scomunica la-
tae sententiae - riservata al papa - contro quanti «danno il nome alla setta
dei massoni» e contro coloro che «in qualunque modo favoris[cono] tali
sette *…+ e che non denunziano gli occulti corifei e capi di esse». Come nel
caso di Benedetto XIV, il forte spirito antimassonico di Pio IX era da ricon-
durre al desiderio di smentire categoricamente le illazioni diffuse, per op-
posti motivi, dagli ambienti reazionari della Curia e da quelli risorgimentali
circa una sua giovanile iscrizione alle logge (voci che si sono rivelate tutta-
via infondate, come hanno dimostrato recenti ricerche). In seguito alla dis-
soluzione del Grande Oriente d’Italia e di quello napoletano non è più pos-
sibile parlare, per il periodo della Restaurazione, di massoneria intesa co-
me un organismo strutturato, poiché con il ritorno degli antichi sovrani es-
sa fu vietata e perseguitata. Tra coloro che avevano aderito alla libera mu-
ratoria non per motivi politici ma perché attratti dal fascino delle ritualità
esoteriche o dalle prospettive di avanzamento sociale, molti subirono la
durezza della repressione poliziesca. La massiccia epurazione coinvolse an-
che quei funzionari degli apparati burocratici che, dopo la caduta di Napo-
leone, avevano conservato il loro potere e avevano individuato nella mas-
soneria un organismo adatto al proprio protagonismo sociale e utile al su-
peramento della struttura elitaria d’ancien régime, incentrata sul privilegio
dei natali. Anche se successivamente considerazioni di carattere economi-
co e amministrativo, come l’esperienza acquisita dalla burocrazia napoleo-
nica, permisero il reinserimento di numerosi massoni, è necessario ricor-
dare che in ogni caso tutti coloro che avevano aderito alle logge dovettero
pagare in modi diversi una tale scelta. Il clima da ‘caccia al massone’ non
portò tuttavia alla totale scomparsa della libera muratoria nella penisola. A
Napoli, per esempio, continuarono a operare logge clandestine (qui si ten-
tò nel 1820 di ricreare un Grande Oriente); così come anche a Palermo,
durante la rivoluzione del 1848. Ma soprattutto a Livorno dove, tra il 1815
e il 1859, operarono ben 19 logge. Recenti ricerche hanno permesso di in-
dividuare altre presenze massoniche in città costiere, come per esempio

24
Studi sulla Massoneria

Genova, dove nel 1856 una loggia, in mancanza di un organismo massoni-


co nazionale, si pose all’obbedienza del Grande Oriente di Francia, mentre
a Chiavari liberi muratori locali aderirono addirittura al Grande Oriente del
Perù.
1860-1885
LA RINASCITA DELLA MASSONERIA NELL’ITALIA UNITA

La rinascita della massoneria italiana avvenne a Torino alla fine del


1859, dapprima con la fondazione della loggia «Ausonia» e, successiva-
mente, con la creazione del Grande Oriente Italiano (GOI). Parlare di una
nuova obbedienza non è del tutto esatto poiché, come si è visto, era già
sorto, nel 1805, un Grande Oriente d’Italia il cui centro era Milano. Le due
organizzazioni presentavano tuttavia un’importante affinità concettuale, al
punto che l’idea secondo cui l’obbedienza nata in epoca napoleonica costi-
tuisse l’origine dell’attuale Grande Oriente d’Italia, inteso come obbedien-
za che esercita regolarmente la propria autorità massonica sul territorio
della penisola, è ormai generalmente accettata. Fu Napoleone, infatti, a
voler far sì che si costituisse - come era accaduto in Francia - un Grande O-
riente d’Italia, poiché aveva voluto far esistere un Regno d’Italia stimando
che a tale nome dovesse corrispondere una realtà politica e statuale. Nel
panorama delle officine che alla fine degli anni cinquanta dell’Ottocento
erano sorte nei diversi stati italiani la loggia subalpina si differenziava per il
suo proposito, enunciato nel ‘cappello’ introduttivo al primo verbale, di
costituire al più presto un organismo massonico in un’Italia unita sotto il
nome dei Savoia, così come le vicende belliche verificatesi tra l’aprile e il
luglio del 1859 avevano chiaramente indicato. La scelta del nome «Auso-
nia» - antico nome dell’Italia più volte utilizzato nei documenti carbonari -
e quella di appellarsi al Grande Oriente d’Italia del 1805 da parte dei sette
«fratelli» torinesi ci conferma non solo la comune frequentazione dei fon-
datori nelle organizzazioni settarie risorgimentali e l’iniziazione in logge
massoniche, ma anche la volontà di considerare l’evento, come ha effica-
cemente sottolineato Fulvio Conti, una «rifondazione nella continuità»: ri-
fondazione perché tale fu quella fase, non a caso scandita da numerose as-
semblee costituenti, che prese avvio soltanto allora e che fu contraddistin-
ta dall’imponente diffusione delle logge e dalla creazione di un centro di-
rettivo, vero e proprio strumento di raccordo ed espressione unitaria della
volontà dell’Ordine del quale si era soprattutto avvertita la mancanza nel

25
Storia della Massoneria Italiana

periodo precedente; ma anche continuità, poiché non si verificò una cesu-


ra troppo netta con il passato, col quale sopravvissero non pochi legami,
sia pur labili, di natura organizzativa e ideologica, come testimoniano le
tracce di un’attività oscura ma talora non priva di ambiziosi programmi la-
sciate da alcune logge o da singoli esponenti del mondo massonico. In base
a una serie di testimonianze nel loro complesso attendibili, l’iniziativa tori-
nese ottenne l’appoggio del conte Camillo Benso di Cavour - del quale non
è a tutt’oggi stata ancora provata l’iniziazione -, che consentì ai propri col-
laboratori di aderire alla nuova loggia e di fare della capitale sabauda il
centro di aggregazione della futura massoneria nazionale italiana. Tale in-
tento era in primo luogo destinato a soddisfare una diffusa esigenza di uni-
ficazione massonica, ma rispondeva tuttavia anche a un’altra finalità impli-
cita nell’iniziativa dell’ambiente cavouriano: quella di imitare la Francia
napoleonica sottraendo preventivamente ai repubblicani e ai democratici
lo strumento politico, assai efficace a quell’epoca, della strutturazione uni-
taria di un’organizzazione massonica, collocando alla sua testa un gruppo
fidato di moderati e facendone in tal modo un instrumentum regni. Fin dai
suoi primi atti, il GOI dichiarò di volersi strutturare nei tre soli gradi di ap-
prendista, compagno (o «lavorante», secondo la dizione utilizzata
nell’articolo 5 delle Costituzioni) e maestro, facendo propria la struttura
organizzativa del Grande Oriente di Francia, composta da logge che prati-
cavano i primi tre gradi simbolici ed erano riunite in un organismo naziona-
le denominato Grande Oriente, retto da un Gran Maestro e da una Giunta
direttiva o Supremo Consiglio, a sua volta nominato da un’Assemblea ge-
nerale (Gran Loggia). La scelta di adottare la struttura della più importante
obbedienza dei paesi latini assume una valenza di notevole importanza che
evidenzia la volontà specifica dei fondatori di costituire non soltanto un
organismo ispirato ad alcune loro reminiscenze settarie giovanili e, proprio
per la sua struttura ‘riservata’, utile alla lotta per l’indipendenza italiana,
ma idealmente e organizzativamente ispirato ai principi della tradizione li-
bera muratoria. Questi principi, ribaditi in seguito nel corso della Prima as-
semblea costituente del 1861, erano: la credenza in un Essere Supremo
denominato «Grande Architetto dell’Universo» (GADU); la struttura demo-
cratica dell’Obbedienza; il rispetto delle leggi dello Stato; la solidarietà; la
tolleranza e la non ingerenza dei Riti nella vita dell’Ordine. Sarà proprio
quest’ultimo punto, come si vedrà in seguito, a rappresentare una concau-
sa che determinerà la frattura tra le due anime politiche del GOI, rappre-
sentate dai «cavouriani» e dai «democratici». Ciò dimostra quanto fosse

26
Studi sulla Massoneria

strategico per i membri iniziali del Grande Oriente d’Italia imprimere una
politica moderata al risveglio latomistico italiano, ancorandolo alla tradi-
zione libera muratoria e difendendolo da un utilizzo che potesse avere fi-
nalità rivoluzionarie. Nel biennio 1860-61 la stragrande maggioranza degli
aspiranti massoni apparteneva al milieu politicamente impegnato nella So-
cietà Nazionale. Se da un lato la comune provenienza culturale e
l’attaccamento a un progetto politico liberale moderato consentì - grazie
all’omogeneità del suo gruppo dirigente - un lavoro di rafforzamento ed
espansione che mise al riparo la nascente organizzazione libero muratoria
da involuzioni rivoluzionarie di matrice repubblicano-mazziniana, dall’altro
pose le basi per le contestazioni e la successiva opposizione di quanti, vici-
ni alle correnti democratiche, erano propensi a una organizzazione svinco-
lata da protezioni politiche troppo ingombranti. Il punto di riferimento dei
democratici era rappresentato dal Supremo Consiglio del Rito Scozzese An-
tico e Accettato (RSAA) che nello stesso periodo operava a Palermo, retto
da un sistema rituale antagonista a quello dei moderati cavouriani. Questa
difformità di interessi e di obiettivi generò tra i due gruppi un’autentica
lotta per ottenere l’egemonia sul movimento massonico nazionale, com-
battuta rivendicavano la ‘primogenitura’ e avanzando reciproche richieste
di sottomissione. La vera causa del dissidio fu tuttavia la diversità ideologi-
ca, nonostante la reiterata enunciazione di un totale agnosticismo nelle
questioni politiche, e la scelta del rituale fu operata non in base a conside-
razioni esoteriche ma in base al perseguimento di strategie profane.
L’utilizzo del Rito Scozzese da parte dei democratici, noto per la rigidità
con cui si accedeva ai gradi superiori e per il diverso coinvolgimento opera-
tivo a seconda del grado acquisito, rispondeva inizialmente alla necessità
di poter contare su una struttura organizzativa simile a quella delle orga-
nizzazioni settarie e quindi di tipo ‘oppositivo’, essendo ancora indefinito il
futuro dell’Italia dal punto di vista istituzionale. Viceversa, la struttura a tre
gradi (apprendista, compagno, maestro) adottata dai moderati era funzio-
nale a un progetto totalmente incentrato sullo sviluppo degli elementi di
mediazione, una sorta di «camera di compensazione» in cui le diverse ten-
denze politiche potessero agire nella legalità e, pur conservando una loro
autonomia d’azione e di giudizio, potessero dimostrare piena adesione alla
corona e alle istituzioni. Il GOI, consapevole del pericolo rappresentato dal
Supremo Consiglio di Palermo - rafforzatosi con la prestigiosa adesione di
Giuseppe Garibaldi -, decise all’inizio del 1861 (anno denso di eventi storici
per il neonato regno unitario e per la fragile massoneria) di imprimere una

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Storia della Massoneria Italiana

forte accelerazione ai propri programmi, stringendo maggiormente i rap-


porti con la Società Nazionale e creando, nei nuovi territori annessi al Re-
gno d’Italia, logge che avessero come scopo «la beneficenza e la completa
adesione al governo costituzionale di Vittorio Emanuele II». Ciò che non si
poteva realizzare politicamente con la Società Nazionale si poteva tentare
grazie alla mediazione della massoneria, e cioè unificare sotto un unico
progetto formazioni e partiti programmaticamente distanti ma uniti da
una comune aspirazione all’indipendenza nazionale e all’emancipazione
del popolo italiano. Esisteva un forte parallelismo tra il processo di unifica-
zione del Paese e lo sviluppo della massoneria italiana nel periodo compre-
so tra la metà del 1859, quando l’Italia era considerata solo un’«entità ge-
ografica» composta da sette stati sovrani e la libera muratoria era prati-
camente inesistente, e la fine del 1861, quando Vittorio Emanuele II re-
gnava su uno stato ormai unificato e le officine torinesi organizzavano la
«prima costituente massonica», cui presero parte i rappresentanti di 21
logge italiane. Confortati dal pieno successo della politica di Cavour, con-
fermata dalla vittoria elettorale del dicembre 1861, i massoni del GOI pre-
sero ad accarezzare l’idea di poter legare completamente i propri destini
con quello dello statista piemontese, offrendo a questi la suprema carica di
Gran Maestro. Il momento era particolarmente propizio, poiché sul piano
organizzativo il Grande Oriente italiano si stava ramificando sul territorio
nazionale attraverso la creazione di nuove logge o in virtù dell’adesione di
logge già esistenti, ma poste all’obbedienza di corpi massonici stranieri.
Tuttavia la morte improvvisa di Cavour - avvenuta il 6 giugno del 1861 - fe-
ce naufragare il progetto, creando gravi problemi alla nuova Italia e, allo
stesso tempo, alla neonata massoneria. La scelta cui era chiamata la diri-
genza del GOI diventava a questo punto assai delicata. In primo luogo il
Gran Maestro doveva essere un massone regolarmente iniziato, essere un
«cavouriano di ferro» e godere di prestigio nazionale - per opporsi effica-
cemente ai ‘democratici’ riuniti nel centro massonico palermitano - e in-
ternazionale - per stringere rapporti con l’estero e ottenere in tal modo il
riconoscimento dalle altre obbedienze massoniche; in secondo luogo la
sua elezione doveva avvenire il prima possibile, dal momento che la cresci-
ta numerica delle logge affiliate al GOI, unita alla concorrenza del gruppo
palermitano, rendeva pressante la creazione di un organo direttivo nazio-
nale, i cui compiti erano stati fino a quel momento ricoperti
dall’«Ausonia». Il personaggio che in quel frangente mostrava di possedere
tutte queste caratteristiche era Costantino Nigra, ambasciatore a Parigi e

28
Studi sulla Massoneria

amico personale dell’imperatore. Nigra accettò di ricoprire la carica illu-


strando una sorta di programma che avrebbe dovuto caratterizzare il suo
mandato: impegno politico per realizzare l’unità d’Italia; fedeltà al governo
e alla monarchia; creazione di logge a Roma e nelle terre irredente; ricono-
scimento da parte delle altre obbedienze massoniche; vigorosa disciplina
interna e costituzione di un patrimonio economico attraverso il regolare
pagamento delle quote associative. Finalmente il Grande Oriente italiano
aveva il suo primo Gran Maestro, che tuttavia, dopo neppure un mese
dall’elezione - spaventato dalla campagna stampa fortemente contraria dei
circoli cattolici, che rischiava di compromettere la sua carriera diplomatica
-, rinunciò. A Nigra succedette Filippo Cordova, eminente figura del libera-
lismo siciliano che godeva della stima di tutta la dirigenza massonica mo-
derata: sotto la sua Gran Maestranza la giovane istituzione libero murato-
ria italiana pose le basi per il proprio riconoscimento internazionale e die-
de vita a una rivista (la prima pubblicazione massonica della penisola) che,
pur cambiando diverse volte il nome, avrebbe continuato a essere pubbli-
cata fino ai giorni nostri, vantando perciò più di 140 anni di anzianità (te-
nendo ovviamente conto della forzata pausa imposta dal fascismo e di un
breve periodo nel secondo dopoguerra durante il quale la rivista non uscì).
Fino al 1863 il GOI riuscì nell’intento di costituire un notevole numero di
logge sull’intero territorio nazionale - a soli tre anni dalla nascita
dell’«Ausonia» poteva contare su ottanta officine alla sua obbedienza -
ma, malgrado tali successi interni e internazionali (resi ancora più significa-
tivi grazie al patrocinio dato alla nascita di un Grande Oriente ungherese e
di uno polacco), tra la fine del 1862 e l’estate dell’anno successivo i mas-
soni democratici, politicamente ispirati da Francesco Crispi, dopo aver pre-
so le distanze dal Supremo Consiglio ‘scozzesista’ agente a Palermo, che si
era attestato su posizioni estremiste, cominciarono a guadagnare terreno.
In questa delicata fase di crescita emerse la figura di Lodovico Frapolli che,
dotato di notevoli qualità organizzative, pose le basi per l’affermazione dei
democratici. In breve tempo questi assunse, all’interno della loggia «Dante
Alighieri», loggia-madre degli anti-cavouriani, una posizione di assoluta
preminenza e, contemporaneamente, pose le premesse per il pieno svi-
luppo del Rito Scozzese, destinato a culminare successivamente con
l’istituzione di un Supremo Consiglio. Se la prima e la seconda Assemblea
costituente rappresentarono l’affermazione e l’egemonia della corrente
moderata, la terza e, soprattutto, la quarta sancirono la sua debacle: en-
trambe si tennero sulle rive dell’Arno e Firenze divenne la nuova capitale

29
Storia della Massoneria Italiana

massonica italiana, anticipando così di alcuni mesi lo spostamento di quel-


la politica. La Costituente massonica tenutasi nella capitale toscana dal 21
al 24 maggio 1864 sancì la totale vittoria dei democratici, che adottarono il
nuovo nome di Grande Oriente d’Italia e proclamarono Gran Maestro Giu-
seppe Garibaldi, assegnando la direzione effettiva dell’Istituzione - col tito-
lo di «presidente provvisorio» - a Francesco De Luca. A quella di Firenze
seguì, nel maggio del 1865, l’Assemblea di Genova, in occasione della qua-
le De Luca fu eletto Gran Maestro a pieno titolo. In quel periodo il princi-
pale problema che affliggeva i dirigenti del GOI era rappresentato dalla
mancata unificazione delle diverse correnti massoniche. Alla massoneria
siciliana, che continuava a negarsi alle sollecitazioni unitarie provenienti da
Firenze, Garibaldi indirizzò, in previsione dell’imminente nuova Assemblea
costituente che si sarebbe di lì a poco svolta a Napoli, un appello in cui, fra
le altre cose, veniva ripreso il concetto della funzionalità dell’unità masso-
nica all’unità nazionale italiana, già espresso all’inizio del decennio dai fon-
datori del centro torinese. Questo gesto non bastò tuttavia a convincere i
siciliani (del resto lo stesso Garibaldi non prese parte all’appuntamento,
adducendo ragioni di salute). Se fino ad allora le Assemblee avevano dibat-
tuto solo ed esclusivamente problemi statutari e organizzativi, a partire da
quella di Napoli, che si svolse nel mese di giugno del 1867, si cominciò a
prendere in esame questioni relative a problemi sociali e politici: i primi
segnali di cambiamento, come per esempio la richiesta di alcune logge di
promuovere una campagna per l’abolizione della pena di morte e la sop-
pressione delle corporazioni religiose, oppure la realizzazione di monu-
menti e lapidi per celebrare gli eroi del Risorgimento, provenivano dalla
base. Al termine dell’assise napoletana, Filippo Cordova fu nuovamente e-
letto Gran Maestro. Tuttavia l’anziano statista siciliano dichiarò subito di
non essere in grado di assumere operativamente la carica per ragioni di sa-
lute (morì infatti l’anno successivo), così che il peso effettivo della gran
maestranza fu assunto da Frapolli. Nel momento in cui quest’ultimo pren-
deva in mano le redini dell’Istituzione, la parvenza di unificazione raggiun-
ta nel corso della Costituente del 1864 era ormai totalmente contraddetta
dalla reale situazione in cui si trovava la massoneria italiana: a Milano si
accentravano le logge raggruppate nel Rito Simbolico Italiano, ispirato al
razionalismo del filosofo Ausonio Franchi, alias padre Cristoforo Bonavino;
a Napoli l’ex arciprete Domenico Angherà guidava un Grande Oriente na-
poletano; a Palermo, in seguito alle dimissioni di Garibaldi dalla gran mae-
stranza nell’agosto del 1868, al vertice dell’organizzazione siciliana si po-

30
Studi sulla Massoneria

neva il mazziniano Federico Campanella, che intrattenne con Mazzini stes-


so un intenso carteggio nel tentativo di convincere il patriota ad accettare
a sua volta la suprema carica del centro palermitano. L’operazione non riu-
scì, e per parecchi anni ancora il centro massonico dell’isola, che pur aveva
condizionato la propria confluenza nel Grande Oriente d’Italia all’acquisto
di Roma capitale, si mantenne indipendente. Nel biennio di attività che
svolse nelle vesti di Reggente, Frapolli operò in tutte le direzioni. Già
nell’ottobre del 1867 vedeva la luce un volume di statuti e regolamenti da
lui stesso redatto, che sarebbe stato approvato dall’Assemblea successiva,
tenutasi a Firenze nel giugno del 1869, durante la quale egli fu eletto uffi-
cialmente Gran Maestro. Nello stesso anno Pio IX convocò il primo Concilio
ecumenico vaticano, a cui uno spirito bizzarro, il napoletano Giuseppe Ric-
ciardi, contrappose la convocazione a Napoli, nella stessa data, di un Anti-
concilio, invitandovi le associazioni del libero pensiero e le ramificazioni
più estreme della massoneria: iniziativa accolta con freddezza da Frapolli,
che tentò di convincere da parte sua i fratelli a non prendervi parte, rice-
vendo le critiche dei più accesi anticlericali. Nel luglio 1870 la tensione ac-
cumulatasi in precedenza tra Francia e Prussia in ragione delle rispettive
esaltazioni nazionalistiche condusse alla dichiarazione di guerra da parte di
Napoleone III, cui fece ben presto seguito la clamorosa e inaspettata serie
di sconfitte ai danni della Francia, che ritenne allora opportuno ritirare, nel
mese di agosto, le truppe stanziate a difesa di Roma. A questo punto la Si-
nistra italiana riprese a invocare la liberazione della sede pontificia. Il GOI,
che si era da poco dotato di un nuovo periodico, la «Rivista della Massone-
ria Italiana», voluta e organizzata da Frapolli e il cui primo numero era u-
scito il 30 luglio del 1870, sostenne con vigore la commissione composta
da Agostino Bertani, Benedetto Cairoli, Francesco Crispi, Nicola Fabrizi e
Urbano Rattazzi che pianificò l’entrata in Roma attraverso la breccia di
Porta Pia. Frapolli non visse lo storico appuntamento del 20 settembre nel-
le vesti di Gran Maestro, dal momento che pochi giorni prima si era dimes-
so dalla carica e, precedendo Garibaldi, si era recato nella Francia ormai
repubblicana per prendere parte alla sua difesa. La repentina decisione
produsse ovviamente condizioni di grave imbarazzo per il GOI. Nel breve
arco di pochi mesi, tuttavia, la situazione tornò alla normalità grazie
all’assunzione provvisoria delle funzioni di Gran Maestro da parte
dell’Aggiunto Giuseppe Mazzoni. L’Assemblea di Firenze del maggio 1871,
oltreché dell’elezione di Mazzoni a Gran Maestro, si occupò del problema
del trasferimento a Roma della sede del Grande Oriente, formulando le di-

31
Storia della Massoneria Italiana

rettive per l’Assemblea costituente che l’anno successivo, in conformità


con quanto da anni si era andato proclamando, avrebbe dovuto provvede-
re alla generale unificazione dei gruppi in cui era suddivisa la massoneria
italiana. Il cammino era lento ma costante. Le logge del Rito Simbolico era-
no rientrate nel GOI e parte del Grande Oriente di Palermo aveva deciso di
partecipare alla Costituente; altre logge continuavano invece a voler con-
servare la propria autonomia. Negli stessi giorni in cui venivano diramate
le convocazioni di quella che, per i dirigenti del GOI, doveva diventare
l’assemblea della definitiva unità della famiglia massonica della penisola,
gli italiani ricevettero la triste notizia che il 10 marzo, a Pisa - dove soggior-
nava in incognito presso i Rosselli -, si era spento Giuseppe Mazzini. Seb-
bene avesse sempre mantenuto con la massoneria contatti indiretti, egli fu
di fatto l’ispiratore di tutta una parte del patrimonio ideologico della libera
muratoria. La venerazione con cui Mazzini era stato considerato dalle log-
ge trovò conferma sia nelle grandiose onoranze tributategli a Genova, sia
nella diffusione a Roma dei manifesti in suo onore, sia, infine, nelle ceri-
monie dedicategli nella stessa capitale del Regno: da allora il GOI celebra la
commemorazione dei propri defunti il 10 marzo di ogni anno. Il 1872 rap-
presentò un anno di svolta: a partire da quel momento le vicende della
massoneria cominciarono a intrecciarsi con quelle della Sinistra democrati-
ca italiana. Le riforme civili e politiche elencate nel cosiddetto «Patto di
Roma», voluto da Garibaldi per spingere le forze democratiche della peni-
sola a dotarsi di un programma politico comune (come per esempio il suf-
fragio universale, l’istruzione laica gratuita e obbligatoria, la libertà di co-
scienza, l’abolizione dell’articolo 1 dello Statuto, il potenziamento delle au-
tonomie locali, l’abolizione delle impopolari tasse sul macinato e sul sale,
la riforma del Codice Penale e la cancellazione della pena di morte), face-
vano interamente parte del bagaglio culturale del GOI, che stabiliva nel
primo articolo delle sue nuove Costituzioni, approvate nel corso di
quell’anno, che «la Massoneria ha per scopo il miglioramento e il perfezio-
namento morale, intellettuale e materiale della umana famiglia col mezzo
dell’educazione, dell’istruzione e della beneficenza moralizzatrice. Si appli-
ca alle scienze fisiche, studia le questioni sociali senza restrizione di specie
o di grado, e si occupa di risolverle con le sole forze intellettuali, tanto in-
dividuali che collettive». Tutto ciò nel nome dell’antica formula: Libertà,
Uguaglianza, Fratellanza. L’aggregazione di numerose logge professanti riti
differenti costrinse il Grande Oriente d’Italia a proclamare la libertà di que-
sti ultimi, benché nel contempo venisse ribadito che il Governo dell’Ordine

32
Studi sulla Massoneria

era indipendente dall’influenza di ogni entità rituale. La questione da risol-


vere non dovette tuttavia essere così semplice e indolore, se nel 1874 si
sentì la necessità di sottolineare nelle Costituzioni che «la Massoneria Ita-
liana, avendo sempre professata la piena e intera libertà dei Riti, pur non
discostandosi nei principi, nei mezzi, nel fine, da quanto l’Ordine mondiale
professa, adopera e si propone, riconosce e accoglie nel suo seno, con e-
qua parità di diritti e di doveri, le Officine di qualunque Rito vigente e rico-
nosciuto. Ogni Rito segue i propri Statuti». Un altro perentorio richiamo al-
le Antiche costituzioni di Anderson riguardò invece la credenza nel Grande
Architetto dell’Universo (GADU), messa in discussione nel 1872. È utile no-
tare a questo proposito il fatto che, in seguito all’abolizione di tale intesta-
zione da parte del Grande Oriente di Francia nel 1877, la «Rivista della
Massoneria Italiana» pubblicherà in successione una serie di accenni piut-
tosto critici nei confronti di una tale deliberazione. Un compito spinoso che
Mazzoni dovette assolvere intorno alla metà degli settanta fu l’istituzione
di una loggia destinata ad accogliere personaggi di rilievo, in particolar
modo uomini politici e funzionari dello Stato, così da poter rispondere
all’esigenza di disporre di una camera di decompressione della dialettica
politica: una peculiarità in precedenza attribuita alla loggia «Universo»,
che però in seguito smise di possedere tale specifica connotazione. Nel
Grande Oriente Italiano di Torino in un certo qual modo il ‘precedente’
della «Universo» era stato incarnato dalla loggia «Osiride», in cui si riuni-
vano i massimi dirigenti e che, in virtù di tale criterio, selezionava rigida-
mente le ammissioni (ruolo che verrà assolto nell’età liberale dalla loggia
«Propaganda»). Nel 1877, venne iniziato Adriano Lemmi, personaggio po-
tente e facoltoso e fedele amico di Mazzini, che in più occasioni era ricorso
a lui per il finanziamento delle sue imprese (per esempio la spedizione di
Pisacane del 1857), al punto da venire soprannominato «banchiere della
rivoluzione». L’affiliazione di Lemmi era un indizio che, insieme a tanti altri,
indicava la ventata di cambiamento apportata dalla Costituente convocata
a Roma dal 24 al 28 aprile 1879. Il governo dell’Ordine eletto in
quell’occasione risultò rappresentativo della nuova generazione che, tra-
endo alimento dalle radici risorgimentali dell’Italia unita, avrebbe retto le
sorti della Famiglia dall’epoca del trasformismo fino a Crispi e all’età giolit-
tiana, fino a giungere oltre la Grande guerra. In tale contesto anche Adria-
no Lemmi fu eletto nel Consiglio dell’Ordine, che gli affidò con voto una-
nime la carica di Gran Tesoriere. Il carattere di svolta e di cambio genera-
zionale della fine degli anni settanta del XIX secolo era stato preannunciato

33
Storia della Massoneria Italiana

dalla morte, avvenuta il 9 gennaio 1878, del re d’Italia Vittorio Emanuele II,
seguita, pochi mesi prima della conclusione del decennio, dal decesso nella
sua casa di Prato nel maggio 1880 del Gran Maestro Giuseppe Mazzoni,
stroncato da una breve e violenta malattia. A questi successe l’anziano pa-
triota Giuseppe Petroni, un tempo carbonaro e successivamente seguace
di Mazzini rinchiuso nelle prigioni papaline dal 1853 al 1870. Nel corso del-
la sua gran maestranza il GOI portò a compimento quel processo di riordi-
namento e radicamento sul territorio iniziato nel 1874 con l’«epurazione -
così fu chiamata - di quelle logge e di quei fratelli che non potevano essere
considerati membri attivi. La forte caducità delle strutture di base
dell’Istituzione aveva condizionato lo sviluppo di un coerente progetto cul-
turale e politico auspicato dai suoi vertici. Con la stabilità organizzativa ed
economica e con l’ascesa al potere della Sinistra, il GOI aveva definitiva-
mente abbandonato la concezione di una massoneria intesa come sempli-
ce instrumentum regni - cioè come canale di legittimazione del nuovo Sta-
to e di orientamento del consenso dei ceti borghesi emergenti -, per ap-
prodare a un’interpretazione molto più dinamica e flessibile che vedeva
nel tessuto connettivo delle associazioni libero muratorie un potente mez-
zo per condizionare l’operato governativo in senso liberale e progressista.
Parallelamente, la massoneria acquisiva una forma autonoma di penetra-
zione nella società civile, finalizzata alla diffusione della cultura laica e di
un solidarismo pervaso di spirito egualitario e non racchiuso negli angusti
limiti della filantropia paternalistica. Una presenza, in ultima analisi, che
agiva da elemento moltiplicatore delle istanze partecipative, evidenziando
in particolare la stretta correlazione esistente fra intensità della vita asso-
ciativa e sviluppo delle tendenze politiche democratiche. A partire da que-
gli anni la massoneria creò o prese parte in modo determinante alla crea-
zione di numerose associazioni di solidarietà allo scopo di risolvere in tut-
to, o in parte, i numerosi problemi sociali presenti nel Paese. Questo inter-
vento, che interessava vari settori della società, si differenziava notevol-
mente sia dal filantropismo di stile anglosassone sia dal lavoro svolto dalle
pie congregazioni di carità. Il paradigma massonico di solidarietà, infatti,
possedeva una forte componente pedagogica e lo scopo principale non era
solo quello di migliorare le condizioni di vita dei settori più deboli della so-
cietà attraverso un sostegno economico, ma anche di creare i presupposti
e le basi necessarie per un «autoriscatto» sociale. Il GOI diede vita a una
rete di contatti radicati territorialmente che si caratterizzerà, almeno fino
all’avvento del fascismo, per la moltiplicazione degli interventi nella socie-

34
Studi sulla Massoneria

tà civile effettuati attraverso una capillare presenza all’interno


dell’associazionismo laico. In questo periodo dinanzi alla massoneria si de-
linearono chiaramente due settori in cui essa poteva agire con efficacia:
nel fervore associazionistico della società civile da una parte e nelle istitu-
zioni statali dall’altra. Tali interventi si inserirono in un campo di forze
all’interno del quale esisteva una molteplicità di tensioni provenienti sia
dal basso sia dall’alto: dal basso, rispetto allo sviluppo dell’associazionismo
dentro il corpo della società civile; dall’alto, rispetto a un percorso istitu-
zionale che privilegiava la dimensione statuale dell’intervento politico. Par-
tendo da questo progetto la massoneria contribuì a «fare gli italiani» ed
ebbe un ruolo importante nel processo di costruzione di un’identità nazio-
nale. Basti pensare ai nomi stessi assunti da molte logge (spesso quelli dei
più significativi protagonisti del Risorgimento); alla partecipazione delle of-
ficine a riti e feste civili (come quella del 20 settembre, vissuta come coro-
namento del processo di liberazione nazionale e, nel contempo, come so-
lenne affermazione dello spirito anticlericale); al contributo dato
all’elaborazione di una liturgia patriottica fatta di manifestazioni in ricordo
di vicende risorgimentali, di inaugurazioni di lapidi e monumenti; o, infine,
all’opera di legittimazione del nuovo Stato, svolta nei primi decenni postu-
nitari sollecitando ripetutamente la partecipazione elettorale dei cittadini.
Tutto questo avveniva per supplire alla titubanza del potere statale
nell’incentivare il culto della nazione: le feste civili, le ricorrenze patriotti-
che, la monumentalistica dovevano diventare i punti di forza per
un’integrazione nazionale fondata su momenti simbolici di particolare in-
tensità emotiva. La massoneria, sostenendo le istituzioni (in particolare
dopo l’avvento al potere della Sinistra e negli anni di Crispi) e difendendo
la tradizione laica risorgimentale intesa come cemento ideologico dell’idea
di nazione, si confrontò con un progetto analogo a quello dello Stato libe-
rale: la costruzione dell’identità nazionale e la definizione di un ambito di
riferimento comune, che non fosse soltanto un’appartenenza puramente
burocratico-amministrativa. Se nei confronti dello Stato la massoneria si
impegnò a colmare un deficit di iniziativa sul piano dell’artificialismo politi-
co, nei confronti della società civile il sodalizio libero muratorio si rivelò
uno straordinario fattore di moltiplicazione dell’associazionismo di solida-
rietà laico. Esso ebbe un rapporto di osmosi con varie altre forme associa-
tive (corporative, mutualistiche, filantropiche, politiche), dalle quali trasse
stimoli e risorse umane nella fase della nascita delle logge. Successivamen-
te innumerevoli furono le aggregazioni sociali di carattere laico e solidari-

35
Storia della Massoneria Italiana

stico, anche di nuova concezione, che videro la luce per iniziativa delle of-
ficine massoniche: scuole primarie (serali o domenicali), biblioteche circo-
lanti, università popolari, cooperative di consumo, banche del popolo, so-
cietà per l’allattamento materno e la distribuzione quotidiana di pane, cu-
cine popolari, ospedali e organismi di assistenza sanitaria, società per la
cremazione e per le onoranze funebri laiche, società per la pace e per gli
arbitrati internazionali, associazioni per il recupero dei giovani sbandati e
di quelli usciti dal carcere; e, inoltre, comitati costituiti per sostenere cam-
pagne in favore di temi di rilevanza civile, come quelli per l’abolizione della
pena di morte, per l’introduzione del suffragio universale o del divorzio,
per la lotta contro la prostituzione e così via. Molte di queste iniziative fu-
rono di fatto finalizzate alla realizzazione di un embrionale sistema laico di
assistenza che fosse capace di contrastare l’opera svolta dalle associazioni
clericali e, nel contempo, diffondesse tra i profani una favorevole immagi-
ne dell’Istituzione. Ciò si inquadrava, a sua volta, in un più ampio e ambi-
zioso progetto di secolarizzazione e democratizzazione della società italia-
na, che inevitabilmente comportò il crescente coinvolgimento del sodalizio
nella lotta politica e sociale. Un tale progetto di costruzione di un’identità
nazionale nacque all’interno della società civile - attraverso percorsi orga-
nizzativi e istituzionali definiti - promuovendo al massimo grado lo sviluppo
e l’incremento di una morale e di una coscienza al suo interno. Gli assi por-
tanti di questo progetto erano lo sviluppo scientifico, la crescita culturale
della società e la lotta al pregiudizio religioso. Per i dirigenti del GOI, la
scienza e l’educazione stavano alla base del progresso dell’umanità e sol-
tanto la totale laicizzazione della dimensione sociale poteva assicurare il
funzionamento dell’intero paradigma. La massoneria apportò un notevole
contributo all’affermazione delle istanze di laicismo e di apertura al pen-
siero europeo (specialmente nei confronti della Francia e dell’Inghilterra),
che svolsero un ruolo fondamentale nel processo di ‘svecchiamento’ della
cultura italiana soprattutto in una fase in cui si chiedeva al nuovo ceto poli-
tico e intellettuale di lavorare per l’unificazione culturale del Paese a parti-
re dalle strutture scolastiche e formative. Non a caso, infatti, proprio i temi
pedagogici ed educativi in generale furono al centro degli interessi e delle
polemiche dei massoni che intendevano trasmettere alla società italiana
una mentalità laica e pragmatica, intesa a svincolare la cultura da ogni in-
tento moralistico o spiritualistico, attraverso un forte impulso allo studio
dell’uomo e del suo vivere sociale. Nel corso della seconda metà
dell’Ottocento, l’educazione apparve lo strumento indispensabile per co-

36
Studi sulla Massoneria

struire una società ispirata a ideali scientifico-positivisti e allo stesso tempo


il mezzo più idoneo per produrre una manodopera qualificata e adeguata
allo sviluppo del processo industriale. L’istruzione doveva diventare obbli-
gatoria (almeno quella elementare) e di massa e occorreva una profonda
riforma della didattica e dei contenuti dell’insegnamento (maggiore spazio
alle scienze e ai laboratori, valorizzazione dell’indagine scientifica, educa-
zione all’osservazione, alla sperimentazione, in breve alla mentalità scienti-
fica): questo processo fu tuttavia ostacolato dalla Chiesa cattolica e il con-
flitto si inasprì, e i massoni si collocarono all’avanguardia dello schieramen-
to anticlericale. Benché il suo obiettivo consistesse nel ridimensionamento,
attuabile per tappe successive, dell’influenza del cattolicesimo sulla società
e sullo Stato, la massoneria non si configurò però come un movimento an-
tireligioso; essa non combatté la religione cattolica in quanto tale, ma le
tradizioni e i pregiudizi espressi dalla Chiesa, considerati come ostacoli po-
sti sulla strada del progresso della scienza e della società civile, cercando di
dividere la conoscenza della realtà naturale da ogni riferimento metafisico-
religioso. La reazione della Chiesa a tale paradigma si manifestò con gran-
de evidenza nell’enciclica antimassonica Humanum genus, emanata da pa-
pa Leone XIII il 20 aprile 1884. Lamentando ancora una volta la fine del po-
tere temporale, il pontefice ne attribuiva la colpa principalmente alla setta
massonica, accusata di ogni nefandezza (specialmente di colore politico). I
massoni italiani inscenarono contro l’enciclica numerose manifestazioni di
protesa, sicché fu questa l’epoca in cui il tradizionale anticlericalismo delle
logge giunse all’acme. In un tale clima si concluse senza drammi la gran
maestranza di Giuseppe Petroni: l’Assemblea riunitasi a Roma nel gennaio
del 1885, alla quale prese parte, fra gli altri, anche Francesco Crispi, elesse
il suo successore nella persona di Adriano Lemmi.

1885-1915
IL RUOLO DEL GRANDE ORIENTE NELL’ETÀ LIBERALE
La nomina a Gran Maestro dell’abile banchiere Adriano Lemmi impresse
una svolta decisiva alla strategia libero muratoria: sul piano esterno ciò si
tradusse per l’organizzazione nell’acquisizione di un ruolo in qualche modo
parallelo e complementare all’opera di Francesco Crispi nel governo del
paese; su quello interno, la nuova gran maestranza ebbe il merito di porta-
re a conclusione complesse e delicate operazioni di riunificazione dei resi-
dui gruppi ancora separati, assicurando così alla massoneria un significati-

37
Storia della Massoneria Italiana

vo grado di compattezza, che segnò l’inizio del periodo di maggior splen-


dore del GOI (durato almeno fino allo scoppio della Prima guerra mondia-
le). A partire dal 1885 la libera muratoria - ormai totalmente riunificata -
divenne l’elemento di raccordo delle forze democratiche più avanzate del
paese e l’ispiratrice del governo per quanto riguardava la stagione delle ri-
forme laiche e progressiste che si sarebbe sviluppata a fine secolo. Lemmi
dimostrò di possedere non solo notevoli capacità politiche, agevolato, in
ciò, dal suo passato patriottico e dall’amicizia che lo aveva legato a Mazzini
e a Garibaldi, ma anche organizzative: prima ancora di assumere la carica
di Gran Maestro, egli aveva intuito che soltanto un GOI potente, frequen-
tato dalla dirigenza politica ed economicamente solido poteva realizzare il
suo progetto. Come primo atto organizzativo, infatti, Lemmi impose a ogni
membro una tassa di iscrizione di 100 lire allo scopo di costituire un fondo
patrimoniale che mettesse al riparo l’Istituzione da crisi economiche ma,
soprattutto, che gli permettesse di finanziare quelle attività o iniziative utili
a trasformare la massoneria non tanto in un vero e proprio movimento po-
litico, quanto in un potente gruppo di pressione. Tuttavia l’ambizioso dise-
gno di modernizzazione laica non passava soltanto attraverso il condizio-
namento dell’opinione pubblica; era anche necessaria l’adesione di una
parte della borghesia illuminata, da parte sua attenta ai problemi sociali -
quindi sostenitrice di riforme profonde -, fedele alle istituzioni e ostile alla
Chiesa e, non ultimo in ordine di importanza, capace di coltivare e incenti-
vare il culto del Risorgimento. Non soltanto gli eroi risorgimentali ma an-
che alcuni eretici vennero indicati come «padri nobili», anche se era sotto
gli occhi di tutti il fatto che l’eresia, in Italia, aveva arrecato ben pochi dan-
ni alla Chiesa cattolica. Fu proprio nel corso dell’inaugurazione del monu-
mento eretto in favore del più famoso degli eretici italiani, Giordano Bru-
no, il 9 giugno del 1889 in Campo de’ Fiori a Roma, che il GOI diede dimo-
strazione della propria forza, facendo convergere nella piazza dove arse sul
rogo il martire nolano oltre tremila fratelli, che sfilarono per le vie della
capitale dietro un centinaio di labari massonici. Questa clamorosa sfida alla
curia romana, insieme alla creazione, l’anno successivo, di un comitato a
favore del divorzio, provocò un’energica reazione da parte del Vaticano
che prese a svilupparsi per mezzo di due canali distinti. Il primo, definibile
‘ecclesiastico’, passò attraverso le disposizioni papali, le prediche domeni-
cali e le pubblicazioni di vari ordini religiosi, tra le quali spiccava «Civiltà
cattolica», organo dei gesuiti, che fin dall’inizio intraprese una forte pole-
mica non solo contro la massoneria in sé, definita nell’arco di cento anni

38
Studi sulla Massoneria

con termini quali «degna figlia di Satana», «abominevole setta di perdizio-


ne», «palude pestilenziale», «torrente d’iniquità e devastatore», «orrido
dragone che suggerisce ogni male», ma anche contro i suoi membri, di vol-
ta in volta definiti come «nemici di Dio», «emissari di Satana», «mostri de-
gli orrori», «moderni Farisei», «nuovi Sadducei» e «aspidi velenosi».
D’altra parte la libera muratoria, con epiteti quali «bacherozzoli di sacre-
stia» o «pestilenza clericale» rivolti ai membri della Chiesa, non era meno
pesante né, verbalmente, meno violenta. Il secondo canale di sviluppo del-
la reazione da parte delle gerarchie vaticane passò invece attraverso la
stampa e l’opera di propaganda della varie e molteplici organizzazioni che
componevano l’universo del movimento cattolico, da parte sua impedito,
per espresso ordine papale, a prendere parte alla lotta politica, ma estre-
mamente attivo in campo sociale. La rivista «Civiltà cattolica» funse in
questo senso da collegamento tra l’apparato ecclesiastico e le organizza-
zioni del movimento cattolico: a queste Leone XIII indicò precise linee di
lotta e di comportamento perché, «trattandosi di una setta, che ha tutto
invaso, non basta tenersi contro di lei sulle difese, ma bisogna coraggiosa-
mente uscire in campo ad affrontarla. Il che voi, diletti figli, farete, oppo-
nendo stampa a stampa, scuola a scuola, associazione ad associazione,
congresso a congresso, azione ad azione». Se l’atteggiamento anticlericale
e il progetto di modernizzazione del Paese era condiviso da tutti i massoni,
non altrettanto può dirsi per il legame stretto con Crispi, poiché l’ostilità
assunta dall’esecutivo e i primi sentori che si ebbero di una gestione auto-
ritaria del potere cominciarono allora a destare preoccupazione in alcune
logge. Il malcontento nei confronti del Gran Maestro per l’adesione incon-
dizionata all’azione politica crispina sfociò, agli inizi degli anni novanta,
nell’allontanamento di alcune officine, che diedero da qual momento vita
a una nuova organizzazione massonica di stampo radicale. All’interno del
GOI le logge milanesi si fecero portavoce del malcontento, chiedendo di
frenare la repressione governativa e di ascoltare le richieste delle classi la-
voratrici. La durezza mostrata dal governo da una parte, e la questione so-
ciale dall’altra spinsero il GOI a un difficile e delicato esercizio di equilibrio
politico. In questo contesto, anche se la fiducia nell’esecutivo e nel fratello
Crispi non vennero meno, maggiore impegno venne profuso nella realizza-
zione di una riforma del sistema tributario - che fosse in grado di «prende-
re a chi troppo ha per dare a chi non ha nulla»; nella limitazione al diritto
di proprietà; nell’espropriazione delle terre non coltivate e nella soppres-
sione degli enti inutili. Questo equilibrio instabile fu dapprima incrinato dal

39
Storia della Massoneria Italiana

rilancio da parte di Crispi della politica conciliatorista, certamente funzio-


nale alla creazione di uno schieramento moderato ma allo stesso tempo in
grado di mortificare l’anticlericalismo dei massoni, e, in un secondo tempo,
definitivamente rotto dalla repressione dei Fasci siciliani e dallo sciogli-
mento delle organizzazioni socialiste. Se fino ad allora la dirigenza del GOI
si era dimostrata, seppur con qualche distinguo, solidale con Lemmi, non
rilevando decise posizioni contrarie alla politica del governo da parte del
Gran Maestro, da quel momento in avanti essa ne prese le distanze unen-
dosi alla protesta di Ernesto Nathan, che aveva cominciato a disertare i la-
vori della giunta. Non prestando ascolto alle profetiche parole di David Le-
vi, uno degli artefici della rinascita della massoneria nel corso degli anni
sessanta, che ammoniva i fratelli a non legarsi mai ai destini di un uomo
politico, Lemmi commise un grave errore, anche se occorre tuttavia am-
mettere che durante la gran maestranza di quest’ultimo si tentò consape-
volmente, come ha sottolineato Conti, «di tirare le somme di un trenten-
nio di presenza massonica nella società civile e di dotare finalmente il GOI -
in quanto gruppo di pressione - di un programma omogeneo e condiviso
da tutte le logge, in grado di costituire il quadro di riferimento ideale per
un progetto di intervento organico nella sfera pubblica: la massoneria do-
veva supplire a una storica carenza della società italiana, nella quale le for-
ze del liberalismo progressista e della democrazia laica erano prive di
un’efficace struttura organizzativa e pertanto incapaci di ricoprire un ruolo
di indirizzo positivo dell’opinione pubblica. Il problema - di cui Lemmi av-
vertiva la gravità - era in pratica rappresentato dall’assenza di un partito
della borghesia laica e liberale, mentre proprio allora un processo di ag-
gregazione in una moderna forma-partito stava realizzandosi in campo so-
cialista e la stessa Chiesa cattolica, attraverso la Rerum novarum, aveva
dimostrato di riuscire a offrire in questo senso risposte adeguate». La co-
munione massonica poteva in parte svolgere questa funzione, a patto però
di migliorare la propria diffusione geografica. Nel decennio 1885-1895 ciò
avvenne grazie alla visibilità del sodalizio, che passò da 107 a 136 logge,
ma soprattutto grazie alla formazione di officine in numerose zone che fi-
no ad allora ne erano rimaste prive. Nell’ultimo decennio del XIX secolo
«bussarono alle porte del Tempio» mediamente un migliaio di profani
l’anno, e la libera muratoria esercitò una forte attrazione sugli esponenti
della borghesia urbana, estendendo la propria presenza in numerose città:
malgrado questi successi, tuttavia, Lemmi non sopravvisse alla caduta in
disgrazia di Crispi e, nel dicembre del 1895, si dimise dalla carica. Nel giu-

40
Studi sulla Massoneria

gno dell’anno successivo, l’assemblea del GOI individuò in Ernesto Nathan


- figlio di Sarina, la fedele amica di Giuseppe Mazzini – il Gran Maestro cui
sarebbe spettato il difficile compito di traghettare la massoneria nel nuovo
secolo, separandola definitivamente da quella pesante e imbarazzante e-
redità che si era rivelata essere il connubio con Francesco Crispi.
L’obiettivo primario era quello di ricomporre le tensioni interne in un qua-
dro unitario. Oltre agli elementi aggreganti, come la lotta al clericalismo e
le iniziative in ricordo dell’epopea risorgimentale, Nathan indicò ai fratelli
la battaglia per la moralizzazione della vita e la trasparenza dell’Istituzione.
Lo scandalo della Banca Romana aveva avuto alcune ricadute anche tra le
file libero muratorie e per questa ragione la massoneria, che radunava
uomini di differente fede religiosa e politica, si sentiva in pieno diritto di
chiedere «a ogni fede, a ogni scuola, a ogni partito, una qualifica fonda-
mentale per l’esercizio di qualunque diritto o ufficio pubblico: specchiata
integrità e disinteresse». L’atteggiamento tenuto dal Gran Maestro nei
confronti del potere, assai diverso e più duttile rispetto a quello del suo
predecessore ma non meno attivo, sul piano politico, nella difesa delle isti-
tuzioni statali, non impedì al GOI di promuovere in modo più o meno indi-
retto iniziative tendenti a ricomporre le contraddizioni esplose a fine seco-
lo nella società e nella politica italiane. Nell’imminenza della crisi di fine
secolo, e nel corso di essa, numerosi interventi mediatori da parte di par-
lamentari e di politici massoni favoriranno la ricerca di nuove prospettive.
Non a caso fu proprio il mazziniano Nathan a criticare i liberi muratori - po-
liticamente repubblicani intransigenti - che continuavano a non partecipa-
re alle elezioni per la ben nota pregiudiziale istituzionale: pur nella diversi-
tà di credo politico e di fede religiosa, il GOI chiedeva ai propri membri pa-
triottismo e fedeltà alle istituzioni, auspicando che le officine potessero
svolgere la funzione di camere di compensazione delle diverse posizioni
politiche all’interno delle quali potessero attuarsi mediazioni e compro-
messi in nome del sentimento patriottico. I vertici del Grande Oriente non
misero mai in seria discussione l’assetto istituzionale del paese, neppure
nelle fasi più tragiche della crisi che scosse l’Italia a fine secolo, proprio
perché l’Istituzione si era sempre identificato e continuava a identificarsi
con lo Stato unitario nato dalle lotte del Risorgimento. Per esempio,
l’enfasi con la quale veniva celebrata la ricorrenza del 20 settembre anda-
va ben oltre l’opera pedagogica di educazione del popolo al culto della pa-
tria, proprio perché quella data era considerata una vera festa massonica
da aggiungere alle tradizionali ricorrenze dei solstizi. La politica governati-

41
Storia della Massoneria Italiana

va, viceversa, non ottenne sempre il pieno consenso da parte


dell’Istituzione, il cui stesso vertice era diviso tra una minoranza radical-
repubblicana, critica nei confronti dell’esecutivo, e una maggioranza mo-
derata, timorosa che una presa di distanza dal governo potesse minare
l’unità dell’Obbedienza. Entrambi gli schieramenti erano d’accordo nel ri-
tenere che occorresse, all’interno dell’istituzione massonica, aumentare la
presenza della burocrazia statale, così da potere interagire con i gangli vi-
tali dello Stato e della pubblica amministrazione indipendentemente dalle
forze politiche che si alternavano al governo del Paese. L’esempio più ecla-
tante di questo nuovo corso fu l’ingresso nell’Istituzione, massiccio in età
giolittiana e nel periodo pre-fascista, degli ufficiali del regio esercito: grazie
a questa apertura verso la piccola e la media borghesia, si verificò un note-
vole incremento degli iscritti. Ma queste nuove forze richiedevano in buo-
na parte un’apertura a sinistra, a favore di quelle rappresentanze demo-
cratiche e socialiste nei confronti delle quali Nathan aveva mantenuto una
certa cautela. I risultati non esaltanti ottenuti dalle formazioni liberal-
democratiche nelle elezioni amministrative del 1902 e il definitivo accan-
tonamento, da parte della Camera, del progetto di legge sul divorzio, vero
e proprio cavallo di battaglia della massoneria, indussero il Gran Maestro a
dimettersi per dare vita a una svolta in senso progressista. Come successo-
re fu scelto il repubblicano e scultore Ettore Ferrari, che fin dal proprio in-
gresso nell’Istituzione si era battuto affinché la massoneria svolgesse un
ruolo più attivo nelle vicende politiche nazionali e internazionali. Il suo
passato di esponente repubblicano impegnato in importanti lotte per la
democrazia non poteva lasciare spazio a dubbi circa l’indirizzo che avrebbe
tentato di dare al GOI. Nel discorso di insediamento alla carica di Gran Ma-
estro, pronunciato il 14 febbraio 1904, Ferrari chiariva il ruolo che
l’Obbedienza avrebbe dovuto ricoprire, affermando che: «la Massoneria
non deve tenersi costantemente isolata e nell’ombra, ma scendere a con-
tatto della vita, combattere alla luce del sole le sante battaglie dell’alta sua
missione per la tutela della giustizia e per la grande educazione. Nuovi bi-
sogni presentano nuovi problemi; nuovi problemi esigono nuove soluzioni;
da nuovi doveri scaturiscono nuovi diritti. La Massoneria non può, non de-
ve chiudere gli occhi alla nuova luce, ma fissarla, scrutarla e dirigerla. Non
deve cullarsi in teorie astratte, per quanto nobili ed elevate: ma affrontare
i problemi d’attualità in cui siamo concordi, rinvigorirsi nella soluzione de-
gli interessi che alimentano la vita dei popoli». Oltre ai tradizionali cavalli
di battaglia rappresentati dall’anticlericalismo e dalla laicità della scuola, la

42
Studi sulla Massoneria

nuova gran maestranza auspicava a livello nazionale una maggiore sensibi-


lità nei confronti dei problemi relativi alla legislazione sociale e al mondo
del lavoro e, a livello internazionale, l’istituzione di un arbitrato nelle con-
tese tra Stati e lo sviluppo di una fattiva solidarietà con i popoli che lotta-
vano per la propria indipendenza. Questo nuovo indirizzo programmatico
non poteva che agevolare il riavvicinamento con l’obbedienza di Malachia
de Cristoforis, nata da una scissione del 1895, e il trattato di riunificazione
stipulato a Parma l'11 novembre 1904 ebbe un duplice effetto. Da una par-
te si accentuò, attraverso l'opera e l'esempio delle attivissime logge mila-
nesi provenienti dal Grande Oriente Italiano, l'ispirazione democratica del-
la famiglia massonica della penisola; dall'altra ciò permise al GOI di ripren-
dere i rapporti ufficiali con il potente Grand Orient de France. Il passaggio
di consegne tra Nathan e Ferrari ai vertici dell’Istituzione coincise con un
riavvicinamento al movimento del libero-pensiero. L'appoggio dato dai
vertici del GOI al congresso internazionale da questo organizzato, che si
tenne a Roma nel 1904, segnò una svolta di 180 gradi nell'indirizzo
dell’Obbedienza di Palazzo Giustiniani, che solo un anno prima aveva im-
posto il divieto alle logge d'intervenire in forma ufficiale ai congressi del li-
bero pensiero. La massoneria non si identificò tuttavia mai totalmente con
esso, dato che vi era una profonda divergenza di carattere strategico: per i
dirigenti del GOI, l’anticlericalismo era solo un mezzo attraverso cui tenta-
re di laicizzare e modernizzare il paese, mentre per i circoli e successiva-
mente per la Federazione del Libero pensiero esso era il fine. Tale diversa
interpretazione rendeva la massoneria certamente pragmatica, al punto
che questa non esitò, in alcune occasioni, a prendere le distanze
dall’intransigentismo dei liberi pensatori, i quali alcune volte si trovarono
in compagnia di forze politiche ostili non solo alla Chiesa cattolica, ma an-
che alle istituzioni dello Stato. Il primo a mettere in guardia contro questo
pericolo fu addirittura il «poeta di Satana», quel Giosué Carducci che in-
dusse il Gran Maestro Nathan a prendere le distanze dall’anticlericalismo
rivoluzionario di anarchici e socialisti. Ma la vera svolta si verificò
nell’assemblea del febbraio 1906, in occasione della quale la corrente de-
mocratica ottenne una netta vittoria e, a larga maggioranza, venne votata
una modifica dell’articolo 1 della Costituzione, in cui si proclama esplicita-
mente che «la comunione italiana propugna il principio democratico
nell’ordine politico e sociale», eliminando in tal modo l’agnosticismo in
campo politico. In questo modo il GOI si propose come punto di riferimen-
to e agente di coesione per la sinistra laica e riformista dando vita alla sta-

43
Storia della Massoneria Italiana

gione dei blocchi popolari che, in occasione di elezioni politiche o nella


formazione di amministrazioni locali, cominciarono a utilizzare i rapporti
massonici per favorire collegamenti fra esponenti di diversi settori politici,
a partire dai socialisti riformisti per giungere fino a quegli esponenti della
classe di governo che si definivano genericamente liberali, passando per i
repubblicani e per i radicali. Questa alleanza tra massoneria e forze laico-
democratiche andava ben oltre a un accordo elettorale e fondava la sua
ragion d’essere sulla convergenza su temi come l’anticlericalismo e la lai-
cizzazione della scuola, visti come la chiave di volta della battaglia per il
consolidamento di uno stato laico. Per questo la mancata approvazione al-
la Camera, nel 1908, della legge che vietava l’insegnamento della religione
nelle scuole elementari, anche a causa del voto contrario di numerosi de-
putati massoni, provocò una forte indignazione nelle logge e costrinse il
Gran Maestro Ettore Ferrari ad adottare provvedimenti disciplinari nei
confronti di coloro che non avevano appoggiato la mozione presentata dal
deputato socialista Leonida Bissolati. Il pastore protestante Saverio Fera,
che in quel momento ricopriva l’incarico di facente funzioni di Sovrano
Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico e Accettato, non avallò que-
sta iniziativa e, proclamandosi come solo rappresentante della massoneria
‘scozzesista’ in Italia, si allontanò dal GOI, seguito di lì a poco da alcune
logge e corpi rituali del Rito Scozzese. Iniziò da quel momento un’aspra
contesa tra la nuova obbedienza, che prese in seguito il nome di Gran Log-
gia d’Italia, detta anche di «Piazza del Gesù», e quella di Palazzo Giustiniani
per il riconoscimento di unica e legittima «potenza massonica» operante in
Italia e nelle sue colonie da parte delle consorelle straniere. La decisione di
abbandonare il Grande Oriente d’Italia fu l’epilogo di un dissidio generatosi
negli anni precedenti tra la componente predominante di matrice progres-
sista, laica e anticlericale e la combattiva minoranza liberal conservatrice.
Pur provocando qualche fibrillazione a livello di relazioni massoniche in-
ternazionali, la scissione fu di fatto insignificante per il GOI, che continuò la
propria straordinaria crescita passando da 195 logge nel 1904 a 286 nel
1907, con una media di circa 200 iniziati al mese. All’inizio del 1909 e con
15.000 iscritti, il GOI risultava una delle comunioni europee massoniche
più forti, lontana da quella inglese e tedesca, ma di poco dietro al potente
Grande Oriente di Francia. Attraverso una capillare diffusione su tutto il
territorio nazionale le logge offrirono un quadro di riferimento ideale in
occasione delle elezioni amministrative del 1908 e di quelle politiche del
1909 e furono invitate dal Gran Maestro a «costituire il fascio di tutte le

44
Studi sulla Massoneria

forze democratiche dalle moderate alle socialiste per combattere le candi-


dature clericali o reazionarie». In questa fase il GOI raggiunse il massimo
grado della politicizzazione, passando dalle generiche indicazioni di voto
fornite nel passato, a un diretto intervento nelle dinamiche elettorali.
L’esempio più famoso della politica ‘bloccarda’ fu l’elezione di Nathan a
sindaco di Roma. Pochi si resero conto che un’eccessiva connotazione a-
vrebbe snaturato il GOI dal punto di vista delle tradizioni libero muratorie,
facendo aumentare gli attacchi anche da parte di forze non clericali. E, in-
fatti, così avvenne. All’estrema sinistra, i socialisti rivoluzionari - ma anche
qualche riformista - pensavano che la sua natura interclassista nuocesse al-
la causa del proletariato e dovesse pertanto essere contemplata l'incom-
patibilità tra socialisti e massoni. La proposta venne regolarmente fatta in
tutti i congressi del Partito socialista a partire dal 1904, ma fu in occasione
del XIII Congresso che si tenne a Reggio Emilia nel 1912 che la questione
venne posta al centro del dibattito congressuale. La polemica fu ripresa da
Benito Mussolini, già promotore nel 1910 di una mozione antimassonica,
che appoggiò un ordine del giorno in cui chiedeva che la massoneria do-
vesse essere contrastata perché portatrice di quella «politica bloccarda
nella quale si deformano i caratteri specifici dei partiti politici». La questio-
ne antimassonica raggiunse il suo apice in occasione del XIV Congresso,
che si tenne ad Ancona nel 1914. In quella assise vennero presentate due
mozioni di segno opposto: una da parte di Giovanni Zibordi, in cui si chie-
deva di sancire l’incompatibilità tra socialismo e massoneria, e l’altra da
parte di Alfredo Poggi, favorevole invece alla doppia appartenenza. La mo-
zione di Zibordi, che invitava genericamente i socialisti iscritti alla masso-
neria a uscirne e dichiarava incompatibile per i socialisti di aderirvi, venne
appoggiata da Mussolini, allora direttore dell«Avanti!» e di fatto leader del
partito, e integrata con un emendamento che esortava le sezioni del parti-
to ad attuare l’immediata espulsione dei socialisti-massoni. Questa propo-
sta così emandata ottenne la stragrande maggioranza e mise fine a una po-
lemica che si trascinava nei congressi socialisti da circa dieci anni. A destra,
fin dalle origini, il Partito nazionalista pose alla base della propria azione
politica la lotta alla massoneria, considerandola il simbolo del riformismo
borghese, dell’umanitarismo cosmopolita contrario all’affermazione della
supremazia nazionale ma soprattutto ispiratrice dell’esperienza bloccarda,
vista come il massimo della degenerazione politica. Nel primo congresso
del partito, la proposta d'incompatibilità con il nazionalismo venne appro-
vata per acclamazione. Attraverso la rivista «L'Idea nazionale», nel 1912

45
Storia della Massoneria Italiana

venne avviata una sistematica campagna denigratoria che raggiunse il suo


apice con la pubblicazione di un questionario a cui risposero più di 200 tra
uomini del mondo politico e culturale vicini alle idee nazionaliste e, nella
quasi totalità dei casi, contrari alla massoneria; esso non a caso venne ri-
stampato nel 1925 dopo la promulgazione della legge che metteva fuori-
legge le Obbedienze massoniche. Neanche l’adesione all’impresa libica, in
cui la massoneria si mostrò fin dall’inizio favorevole, fece cessare le accuse
di scarso patriottismo lanciate dai nazionalisti. Tali accuse, ritenute infa-
manti, riguardavano l’aiuto prestato al movimento dei «Giovani Turchi»
dalle logge italiane di Salonicco. Fu proprio rispondendo a un appello lan-
ciato dalla loggia «Macedonia risorta» al Gran Maestro, affinché si adope-
rasse per una soluzione che non umiliasse la Turchia, che la massoneria ita-
liana espresse una posizione ferma e chiara, dichiarando che «l’impresa di
Tripoli era una ineluttabile necessità» e che qualsiasi trattativa «costitui-
rebbe una offesa alla unanime coscienza degli italiani ed un attentato con-
tro gli interessi e la dignità della patria». I vertici del GOI, come buona par-
te dei radicali, repubblicani e socialisti riformisti, approvò l’impresa libica,
giustificandola sia per l’aspetto economico, essendo considerata la Libia
una terra con notevoli risorse naturali, sia come missione d’incivilimento,
condividendo in pieno il giudizio di «fatalità storica» espresso da Giolitti.
Le divergenze che dividevano quei massoni favorevoli, almeno fino al
1912, a un’alleanza delle forze laiche e democratiche fino a comprendere i
socialisti e coloro che rifiutavano ogni contatto con gli eredi di Marx si ri-
composero con lo scoppio della Grande guerra, che non solo sconvolse il
mondo, ma divise l’Italia tra neutralisti e interventisti, rimescolando gli as-
setti politici e sociali del paese.
1915-1925
DALLA GRANDE GUERRA AL FASCISMO
La massoneria, insieme a tutte le sue organizzazioni, si schierò compatta
a favore dell’intervento a fianco delle potenze dell’Intesa e si prodigò per
favorire l’unità delle forze democratiche interventiste. Questo progetto si
concretizzò con la nascita, nel novembre del 1914, del Comitato centrale
dei partiti interventisti, promosso dai deputati e senatori massoni appar-
tenenti ai gruppi democostituzionali, radicali e socialisti riformisti. Oltre a
ribadire l’antitriplicismo, le proposte avanzate dal Gran Maestro Aggiunto
Gustavo Canti prefiguravano un disegno espansionistico nei confronti della

46
Studi sulla Massoneria

Dalmazia e individuavano come nemici da combattere «i clericali, eterni


nemici della nostra indipendenza, della nostra unità, di ogni libertà, e i so-
cialisti ufficiali, o venduti alla barbarie germanica, o incapaci di formulare
un programma che si elevi al di sopra degli egoismi di classe, ostacolando
gli sforzi di coloro che in Italia vorrebbero scendere in campo contro i no-
velli Unni e predicano la neutralità a tutta oltranza». Alla vigilia delle «ra-
diose giornate di maggio» i nemici non erano più Mussolini e i nazionalisti,
ma, ancora una volta, i cattolici, che erano rientrati a pieno titolo in campo
politico, e i socialisti, che, grazie al loro seppur ambiguo neutralismo, rac-
coglievano sempre maggiori consensi. A livello periferico alcune logge as-
sunsero una posizione diversa da quella dei vertici del Grande Oriente
d’Italia, difendendo posizioni neutraliste e in alcuni casi simpatizzando per
la Triplice. I profondi dissidi politici che si erano creati nei tre anni di guerra
non potevano non avere ricadute sull’Istituzione. Come già accennato pre-
cedentemente, dalla fine del 1914 la massoneria aveva assunto nei con-
fronti dei socialisti massimalisti e del nascente Partito popolare una posi-
zione conflittuale, ma numerose erano state anche le critiche rivolte al
mondo liberale legato a Giolitti. Ancora una volta la libera muratoria vole-
va rendersi artefice di un «blocco democratico progressivo» che si oppo-
nesse «alla coalizione clerico-reazionaria e alle mene inconsulte del bol-
scevismo nostrano». Più esplicito fu il Gran maestro Ernesto Nathan che,
memore della positiva esperienza bloccarda, sosteneva che il «blocco de-
mocratico» doveva «raccogliere insieme in un comune programma, tutti i
partiti che hanno in animo di muovere innanzi, dal costituzionale democra-
tico al riformista e al repubblicano». Le preoccupazioni dell’ex sindaco di
Roma erano legittime considerato il gran fermento politico che caratteriz-
zò il primo dopoguerra. Il 6 giugno 1919 i Fasci italiani di combattimento
pubblicavano il loro programma, che conteneva numerosi punti graditi alla
massoneria, come il suffragio universale maschile e femminile, la convoca-
zione di un’assemblea costituente, l’imposta progressiva sul capitale, la
creazione di forme di cogestione, la giornata lavorativa di otto ore, la scuo-
la laica e, non ultimo, la rivendicazione di Fiume e della Dalmazia. Il GOI
sostenne politicamente ed economicamente la preparazione dell’impresa
fiumana e lo stesso Torrigiani svolse un’opera di mediazione con il presi-
dente del Consiglio cercando di evitare il peggio in quelle convulse giorna-
te dell’autunno del 1920. Nel primo dopoguerra la vita politica italiana vis-
se un momento di grande fibrillazione. Il Partito popolare tenne allora il
suo primo congresso, e lo stesso fece l’Associazione nazionale combatten-

47
Storia della Massoneria Italiana

ti. Tutto questo avveniva quando il paese era scosso da un movimento di


protesta contro il carovita e si preparava all’appuntamento elettorale
dell’autunno. I vertici del Grande Oriente d’Italia stentarono a capire che il
ruolo di integrazione sociale e di mediazione fra la borghesia e le classi la-
voratrici, svolto con efficacia nel periodo liberale dall’Istituzione, trovava
enormi difficoltà a essere applicato in presenza di un profondo conflitto
economico, sociale e politico. L’indirizzo rivoluzionario impresso al Partito
socialista dopo la rivoluzione bolscevica impediva, inoltre, ogni contatto e
riproposizione di alleanze tra partiti democratici di matrice risorgimentale
e partiti d’ispirazione marxista. Lo schieramento laico e democratico-
progressista, naturale sponda politica della massoneria, entrò in crisi per la
concorrenza esercitata sia dal Partito popolare, che aveva deciso di assu-
mere una connotazione aconfessionale, sia dai Fasci di combattimento,
appoggiati da quanti avevano visto la guerra come una prosecuzione del
Risorgimento e, spaventati dal rivoluzionarismo massimalista, volevano ri-
portare l’ordine. Un altro fattore che accentuò la crisi fu il passaggio al si-
stema elettorale proporzionale, tra l’altro sostenuto dalla massoneria, che
scardinò il sistema del notabilato urbano di matrice laica e democratica
che aveva dominato la scena politica nell’età giolittiana. Fu «il blocco dei
partiti intermedi, costituzionali democratici, radicali, repubblicani e sociali-
sti riformisti», per usare un’espressione del Gran Maestro Domizio Torri-
giani - succeduto a Nathan, che era morto nel 1919 -, a essere sconfitto
nelle prime elezioni del dopoguerra, che sancirono un consistente succes-
so dei socialisti e dei popolari. La presenza di massoni in liste contrapposte
impose una riflessione ai vertici del Grande Oriente d’Italia, che sentirono
il dovere di richiamare all’ordine i propri affiliati riaffermando che la mas-
soneria non era un partito politico e che, in assenza di un «partito masso-
nico», le simpatie dovevano andare alle liste liberali e democratiche
«d’ogni gradazione». La giunta deliberò che non si dovesse concedere a
nessun partito un aiuto finanziario. E, d’altra parte, era necessario impedi-
re che un partito si potesse servire della massoneria, dal momento che in
essa tutti i credi politici godevano di un uguale diritto di cittadinanza. Co-
me ha sottolineato Conti «i vertici dell’obbedienza massonica non riusci-
vano a percepire fino in fondo l’entità dei cambiamenti in corso nel paese
e attribuivano a cause contingenti e congiunturali le ragioni dell’insuccesso
dei partiti democratici e liberali di matrice risorgimentale. Torrigiani, nella
fattispecie, ne ricavò il convincimento che la massoneria dovesse tornare
ad avere una posizione più distaccata dalla lotta politica quotidiana e re-

48
Studi sulla Massoneria

cuperare quella fisionomia di istituzione super partes preposta a svolgere


un ruolo d’indirizzo e di coordinamento delle forze di progresso, che tanto
aveva contribuito a costruire le sue fortune. Questa figura di super partes
poteva acquisire un ruolo importante di mediazione tra ceti medi e classi
popolari nel momento in cui il paese veniva scosso da un’ondata di sciope-
ri che sfociò nell’occupazione delle fabbriche del 1920». I vertici del Gran-
de Oriente, pur richiedendo il ristabilimento dell’autorità statale e quindi
dell’ordine pubblico, riconoscevano che le agitazioni delle classi popolari
erano legittime perché nascevano come conseguenza della disoccupazione
e dell’aumento vertiginoso del costo della vita e chiedevano una maggiore
sensibilità, nel campo della giustizia sociale, alla classe imprenditoriale. La
difesa dei bisogni primari delle classi lavoratrici non significava accondi-
scendenza verso i socialisti e tanto meno verso gli occupanti delle fabbri-
che. Come spesso accadde nel periodo liberale, la massoneria si pose come
mediatrice nei conflitti sociali e chiese ai propri affiliati che ricoprivano ca-
riche dirigenti nelle associazioni industriali, come Gino Olivetti, di sostene-
re l’ipotesi di una soluzione arbitrale voluta dal ministro e «fratello» Arturo
Labriola. Tale equidistanza si concretizzò da una parte con il rifiuto di Tor-
rigiani di condannare pubblicamente le lotte operaie, perché non si pen-
sasse che l’Istituzione era «l’organo dell’alta borghesia» e rimproverando
quest’ultima di non aver fatto quelle concessioni che l’ora difficile richie-
deva, dall’altra con la denuncia del rivoluzionarismo bolscevico, accusato
di volere «instaurare senza indugio, con impressionante leggerezza, una
dittatura proletaria che nel fatto è dittatura di una minoranza demagogica,
avida, impreparata, è negazione di eguaglianza perché rompe la solidarietà
fra gli uomini e la restringe a una classe sola, e, abbandonata apertamente
ogni teorica di pacifismo, è minaccia e inizio di guerra civile». In questo
clima di accentuata tensione si svolsero le elezioni amministrative. I partiti
che la massoneria aveva sempre considerato come naturali referenti poli-
tici decisero che era necessario, per fermare l’ascesa dei popolari e dei so-
cialisti, aderire, insieme ai fascisti e ai nazionalisti, alle liste denominate
«blocchi nazionali». La crisi dei partiti laico-democratici, evidenziata dalle
amministrative, preoccupava non poco i vertici del Grande Oriente d’Italia.
Il Gran Maestro Torrigiani si spinse ad affermare che «i nostri partiti sono
morti» e valutò positivamente la scissione del 1921 che portò alla nascita
del Partito comunista d’Italia, sperando di poter recuperare il rapporto con
i socialisti riformisti ricreando quel «blocco laico-socialista» che ai primi del
Novecento aveva raccolto numerosi consensi. Con il venir meno dei propri

49
Storia della Massoneria Italiana

riferimenti politici, la massoneria cercò di rendere riconoscibile il suo ruolo


nella società del primo dopoguerra appoggiando nuovi soggetti come i ceti
medi, in primo luogo attraverso le loro organizzazioni economiche e pro-
fessionali. Questo spiega anche l’impennata delle adesioni che si verificò
tra il 1920 e il 1923. L’altro problema che i vertici del Grande Oriente
d’Italia dovettero affrontare fu il rapporto con il movimento fascista, nel
momento in cui si scatenava la violenza squadristica; Torrigiani e i suoi col-
laboratori cercarono di contenere e frenare il fascismo condannando la vi-
olenza, quando non era a scopo difensivo, e l’eccessiva sudditanza nei con-
fronti del mondo industriale. Non bisognava condividere, come organismo
massonico, alcuna responsabilità con il fascismo, che doveva «perdere o-
gni spirito e colore antidemocratico» e diventare «una tendenza spirituale
di patriottismo e di rinnovamento democratico nella vita italiana». Con
queste parole il Governo dell’Ordine manifestava la propria condanna per
la violenza, ma anche una decisa simpatia verso tutte le forze «patriotti-
che» che si opponevano al rivoluzionarismo di matrice bolscevica. Da que-
sto clima di «misticismo patriottico» che entusiasmò le logge scaturì un
composito schieramento formato da interventisti di sinistra (socialrifomi-
sti, repubblicani, radicali), nazionalisti, futuristi, sindacalisti rivoluzionari e
anarco-interventisti. Nei confronti di questo schieramento Mussolini si
presentava come il più deciso difensore delle ragioni ideali della guerra,
raccogliendo così consensi nei partiti con profonde radici laiche e demo-
cratiche, come per esempio quello repubblicano che, insieme a quello ra-
dicale, aveva solide basi nel Grande Oriente d’Italia. Lo stesso programma
‘sansepolcrista’ recepiva molte idealità massoniche, anche se la partecipa-
zione della massoneria di ‘palazzo Giustiniani’ alla nascita dei Fasci di com-
battimento fu del tutto marginale ed è storicamente errato ricondurre a
un progetto politico del GOI il comportamento di quegli affiliati che erano
mossi unicamente da motivi personali e del tutto estranei all’indirizzo delle
logge. Chi tenta a tutti i costi di accusare la massoneria di essere stata la
levatrice del fascismo non capisce, o non vuole capire, che le Obbedienze
furono un mosaico di tendenze e di singole individualità che non agivano in
modo uniforme e soprattutto che portavano all’interno dell’Istituzione le
proprie ascendenze e convinzioni ideologiche. Da una linea cauta e atten-
dista, tenuta tra il 1919 e il 1921, si passò pertanto a un atteggiamento più
critico nel momento in cui cominciarono a dilagare le violenze fasciste.
Nelle elezioni politiche del 1921 la posizione del Grande Oriente rimase
immutata: appoggio alle formazioni laico-democratiche e a quei candidati

50
Studi sulla Massoneria

che avessero dimostrato coerenti sentimenti patriottici; ma ancora una


volta le urne premiarono i socialisti e i popolari, e la presenza di deputati-
massoni si restrinse ulteriormente. Proprio in quei giorni si stava consu-
mando il divorzio tra fascismo e massoneria. Nel primo discorso pronun-
ciato dopo le elezioni, Mussolini diede ufficialmente inizio alla lunga mar-
cia d’avvicinamento alla Chiesa cattolica, avvicinamento la cui conditio sine
qua non era rappresentata dalla distruzione della massoneria e del movi-
mento anticlericale in genere. Il discorso del duce sconcertò i vertici del
GOI, ma in quell’occasione prevalse tuttavia la scelta ambigua del Gran
maestro di non prendere posizione nel timore che si costituisse
un’obbedienza filofascista nel caso si fossero tentate aperture, come alcu-
ne logge reclamavano, verso la Sinistra. «L’obbligo fondamentale di pro-
pugnare il principio democratico» contemplato nelle Costituzioni massoni-
che mal si coniugava con la mancata ed esplicita condanna nei confronti di
un movimento antidemocratico che aveva fatto della violenza uno dei suoi
strumenti di lotta politica. Inoltre, la maggior parte dei massoni era contra-
ria a qualsiasi apertura conciliatoristica ed era pertanto politicamente osti-
le ai popolari. Tra la fine del 1922 e l’inizio dell’anno successivo ci fu - pur
in presenza di numerosi distinguo nei confronti dell’uso indiscriminato del-
la violenza - un tentativo di riavvicinamento al fascismo da parte del Gran
Maestro, avvenuto per mezzo di una famosa lettera che il capo del fasci-
smo si affrettò a rendere nota attraverso la stampa. Questa apertura na-
sceva anche dall’esigenza di contenere l’ostilità dei nazionalisti e, soprat-
tutto, della Gran Loggia d’Italia che, come è stato sostenuto da Renzo De
Felice, era più vicina al fascismo e, non a torto, sembrava dare
l’impressione di essere disposta a sacrificare sull’altare della sua lotta con-
tro Palazzo Giustiniani buona parte dei propri scrupoli democratici e legali-
tari. Il progetto dei vertici giustinianei era di sfruttare i dissidi tra conserva-
tori, nazionalisti e fascisti allo scopo di costringere questi ultimi a orientarsi
verso sinistra distaccandoli dalle forze conservatrici e avvicinandoli alle
masse lavoratrici. La politica fascista andava invece in tutt’altra direzione,
mettendo in crisi anche quei massoni e liberali che sinceramente e inge-
nuamente avevano appoggiato Mussolini. L’inconciliabile posizione relati-
va ai rapporti con la Chiesa cattolica portò il Gran Consiglio fascista,
all’inizio del 1923, a decretare l’incompatibilità tra l’iscrizione al Partito
Nazionale Fascista e l’appartenenza alla massoneria. Per il fascismo, termi-
nata la fase rivoluzionaria e assunto un ruolo istituzionale, era indispensa-
bile instaurare buoni rapporti con la Chiesa e con i cattolici: ciò rendeva in-

51
Storia della Massoneria Italiana

tollerabile il fatto che tra i suoi sostenitori vi fossero organizzazioni schie-


rate a difesa della laicità dello Stato. Laicità che il GOI, proprio perché la
stessa tradizione libero muratoria imponeva «la laicità nella più rigida con-
cezione, la libertà in tutte le sue estrinsecazioni, la sovranità popolare,
fondamento incrollabile della nostra vita civile», ribadì nel suo programma
nel corso dell’annuale Assemblea del 1923. Anche se Torrigiani continuava
a difendere il landmark, che prevedeva ubbidienza all’ordine costituito, era
chiaro che si erano ormai esauriti tutti gli spazi di mediazione. Da quel
momento i fascisti ricorsero in grande stile alla tattica, già sperimentata,
d’intimorire preventivamente l’opposizione dando via libera al terrorismo
squadrista. A questa ondata di violenza a nulla valsero le denunce inoltrate
al ministro della Giustizia, benché la «Rivista massonica» avesse proprio al-
lora iniziato a pubblicare una rubrica che dava conto delle violenze indivi-
duali e delle devastazioni delle logge. Torrigiani, mostrandosi convinto che
vi fossero ancora dei fascisti fautori della via legalitaria, appoggiò, nelle po-
litiche del 1924, oltre alle tradizionali liste democratiche, anche quelle che
comprendevano fascisti dissidenti. La vittoria del cosiddetto «listone» con-
trollato dai fascisti spense però le ultime speranze, preparando il terreno
alla decisa presa di posizione antifascista da parte del GOI che divenne e-
splicita in seguito all’assassinio di Giacomo Matteotti. Mussolini reagì af-
fermando che tra i nemici del suo partito bisognava «aggiungere la masso-
neria giustinianea che ha dichiarato ufficialmente guerra al fascismo». La
specificazione ‘giustinianea’ era quanto mai appropriata, poiché la Gran
Loggia d’Italia e, in particolare, il suo Gran Maestro Raoul Palermi, anche
dopo il delitto Matteotti aveva confermato a Mussolini la sua personale
lealtà e quella della propria comunione, arrivando persino ad accusare il
GOI, in alcune balaustre, di essere il mandante dell’assassinio del leader
socialista, a suo dire commissionato con l’intento di danneggiare e scredi-
tare il fascismo. La spirale di violenza, che non risparmiò nessuna loggia,
arrivando ad assalire più volte, con la complicità delle forze di polizia, la
sede storica di Palazzo Giustiniani, raggiunse l’apice a Firenze fra il 25 set-
tembre e il 4 ottobre 1925, quando si scatenò un feroce pogrom squadri-
stico contro le persone e i beni degli avversari del fascismo e, in primo luo-
go, contro i massoni: fra gli uccisi vi fu il fratello Giovanni Becciolini, accor-
so in difesa del suo Venerabile; un mese dopo il massone Tito Zaniboni, ex
combattente pluridecorato, fu arrestato mentre si accingeva a sparare al
futuro duce, dopo che per settimane la polizia aveva seguito passo dopo
passo la preparazione dell’attentato; all’episodio seguirono l’arresto del

52
Studi sulla Massoneria

generale e massone Luigi Capello, considerato suo complice, l’occupazione


poliziesca delle sedi massoniche e una nuova ondata di violenze. Il 6 set-
tembre 1925 a Palazzo Giustiniani si svolse regolarmente un’Assemblea. La
rielezione plebiscitaria di Torrigiani a Gran Maestro e quella a forte mag-
gioranza di Meoni a Gran Maestro Aggiunto apparvero - oltre ai dati nume-
rici relativi alla consistenza del popolo massonico - come una dimostrazio-
ne di forza e di compattezza anche grazie alle riforme interne realizzate
negli anni precedenti, in particolare quella che sancì un’anomalia, tipica-
mente italiana, venutasi a creare di fatto già in occasione dell’Assemblea
costituente del 1864. L’Obbedienza massonica italiana, regolarmente rico-
nosciuta a livello internazionale, era fondata, dal punto di vista della strut-
tura, su due Riti: il Rito Simbolico Italiano e il Rito Scozzese Antico e Accet-
tato. Il Grande Oriente era un organo confederale avente funzioni ammini-
strative, di coordinamento e di rappresentanza esterna, ma senza una
propria base di logge. In base a ciò qualsiasi officina che «entrasse o na-
scesse» all’interno del GOI doveva scegliere se essere Simbolica o Scozzese
e, conseguentemente, dipendere dagli organi dirigenti del Rito
d’appartenenza. Se un profano entrava in una «loggia di Rito Scozzese» fin
dal grado di «apprendista» faceva parte del RSAA, seguiva determinati ri-
tuali ed era assoggettato alle regole dettate dal Rito. Chi entrava invece in
una loggia Simbolica aveva altri rituali, altre regole da rispettare e soprat-
tutto, ipso facto, rinunciava ad acquisire ulteriori gradi superiori al terzo.
Questa situazione - che non rientrava nella tradizione libera muratoria, so-
prattutto di quella anglosassone e americana, in cui esisteva un rapporto
ben distinto tra Ordine e Riti - fu certamente uno dei motivi della freddez-
za dei rapporti che intercorsero con la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, che
tuttavia, pur ritenendo non massonicamente corretto questo tipo di strut-
tura, non mise mai in dubbio la legittima origine massonica del GOI. Que-
sto ‘compromesso’ venne abolito nel 1922, quando fu stabilito statutaria-
mente che il GOI aveva poteri e giurisdizione sui primi tre gradi e che tutte
le logge erano alla sua obbedienza (mentre i Riti gestivano i gradi superiori
al terzo in organi separati). Malgrado l’entusiasmo che segnò l’assemblea
del 1925 il destino era ormai segnato. In quei mesi si stava perfezionando
l’iter della legge che, seppur non nominandola mai, poneva la massoneria
fuori della legalità. Il 20 novembre il provvedimento divenne a tutti gli ef-
fetti legge dello Stato e due giorni dopo Torrigiani decretò lo scioglimento
di tutte le logge del Regno e di tutti «gli aggregati massonici di qualunque
natura», a eccezione di quelli operanti all’estero, riservando al Grande O-

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Storia della Massoneria Italiana

riente il compito di continuare la vita dell’Ordine. La dittatura fascista ave-


va fatto convergere sistematicamente il terrorismo squadrista con l’azione
parlamentare allo scopo di mettere fuori gioco la massoneria, considerata
secondo le esplicite dichiarazioni del segretario aggiunto del PNF Giorgio
Masi - «l’unica organizzazione concreta di quella mentalità democratica
che è al nostro partito e alla idea della Nazione nefasta e irriducibilmente
ostile, che essa, ed essa soltanto permette ai vari partiti borghesi e sociali-
sti, dell’opposizione parlamentare e aventiniana la resistenza, la consisten-
za e l’unità di azione». Era a quel punto logico che ne derivasse secondo
l’espressione usata da Benedetto Croce quello stesso 20 novembre «la di-
struzione del sistema liberale». Ed essa venne infatti perfezionata nel cor-
so dell’anno successivo. Fu ancora un attentato, il colpo di pistola sparato
contro il duce il 26 ottobre 1926 a Bologna dal giovane Anteo Zamboni -
immediatamente ucciso dalle guardie del corpo di Mussolini -, a fornire il
destro ai fascisti per un’ennesima ondata di violenze fisiche, prontamente
seguita dalla violenza legale spinta al massimo grado: cioè dalla promulga-
zione, in novembre, delle «leggi eccezionali», che sciolsero tutti i partiti
tranne quello fascista, dichiararono decaduti i deputati liberamente eletti,
soppressero la libertà di stampa e istituirono il tribunale speciale contro gli
oppositori del fascismo. Torrigiani, accusato di contatti con oppositori
all’estero, venne condannato al confino dapprima a Lipari e, successiva-
mente, a Ponza. Stessa sorte subirono il Gran Maestro Aggiunto Meoni, di-
gnitari del GOI come i generali Roberto Bencivegna e Luigi Capello, lo scul-
tore Giuseppe Guastalla e l’avvocato Ugo Lenzi. All’anziano Ettore Ferrari,
pur avendogli devastato più volte lo studio di scultore, fu risparmiato il
confino solo in virtù del precario stato di salute. Giovanni Amendola, inve-
ce, pagò con la vita il suo antifascismo. Il GOI tuttavia non scomparve. In
Italia continuò la propria esistenza clandestinamente, cominciando nel
contempo la faticosa opera di ricostituzione delle proprie strutture fuori
dai confini nazionali.
1925-1945
L’IMPEGNO ANTIFASCISTA DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA IN ESILIO

Nel pieno delle violenze scatenate in seguito all’attentato di Anteo


Zamboni, numerosi esponenti politici antifascisti si trasferirono all’estero:
tra questi i massoni Eugenio Chiesa, Cipriano Facchinetti, Mario Angeloni,
Aurelio Natoli, Giuseppe Chiostergi - stabilitosi a Ginevra, vero centro ne-

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Studi sulla Massoneria

vralgico deputato ad accogliere numerosi antifascisti che ospitò, fra gli al-
tri, il socialista Alessandro Pertini - Randolfo Pacciardi, Arturo Labriola, Sil-
vio Trentin e Giuseppe Leti. Quest’ultimo, grazie alla stima di cui godeva in
tutti gli ambienti, svolgerà compiti essenziali di mediazione e di collega-
mento fra le iniziative politiche degli esuli: quando nell’aprile del 1927 si
costituirà la «Concentrazione antifascista», cui aderiranno il Partito sociali-
sta italiano (PSI), il Partito socialista unitario dei lavoratori italiani (PSULI),
la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e la Lega italiana dei
diritti dell’uomo (LIDU), Leti ne diventerà il segretario. Fondamentali, per
la Concentrazione, si rivelarono le risorse assicurate dalla LIDU, fondata nel
1923 per iniziativa di un gruppo di massoni già attivi nello schieramento in-
terventista democratico: il socialista riformista Luigi Campolonghi, il re-
pubblicano Natoli, il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris e Ubaldo
Triaca, Venerabile della loggia «Italia» di Parigi, all’obbedienza della Gran
Loggia di Francia. La LIDU era sostenuta dalla Ligue française des droits de
l’homme, organizzazione forte di 1800 sezioni e 140.000 iscritti e massima
espressione del solidarismo di matrice radical massonica, che aveva rico-
perto un ruolo di primo piano nella laicizzazione della società francese fin
dai tempi dell’«affaire Dreyfus». Grazie a Triaca e a Campolonghi, fra i cui
amici ed estimatori figuravano Herriot, Blum e Poincaré, la LIDU si giovava
di positivi contatti con esponenti e forze della sinistra radicale della III Re-
pubblica. Mentre in tal modo si costruivano le premesse per una ripresa
organizzata all’estero della massoneria italiana (si tenga presente che le
logge costituite fuori dal Paese non sottostavano all’obbligo dello sciogli-
mento decretato alla fine del ’25 da Torrigiani), nella penisola la difficile
sorte dell’Istituzione si rifletteva in quella dei suoi massimi dirigenti: il Gran
Maestro, rientrato in patria nell’aprile del 1927 dalla Provenza - dove era
stato in cura a causa della salute malferma - per testimoniare al processo
Capello, fu condannato al confino e deportato a Lipari; fu poi trasferito a
Ponza, dove nel 1931 fondò la loggia «Pisacane», di cui fecero parte il libe-
rale Placido Martini e il comunista Silvio Campanile, entrambi trucidati alle
Fosse Ardeatine. Infine, ritornato ormai pressoché cieco nella sua casa di
Lamporecchio, Torrigiani morì il 31 agosto 1932. Anche il Gran Maestro
Aggiunto Giuseppe Meoni, nominato da Torrigiani presidente del Comitato
coordinatore per la gestione dei beni dell’Istituzione, fu condannato nel
maggio del 1929 a cinque anni di confino e deportato a Ponza; nel corso
dello stesso mese Ettore Ferrari fu denunciato con l’accusa di aver tentato
di riorganizzare la massoneria. La firma, l’11 febbraio 1929, dei trattati del

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Storia della Massoneria Italiana

Laterano tra Mussolini e la Santa Sede era apparsa come la vittoria


dell’antirisorgimento e come la sconfitta definitiva dell’istanza laica rap-
presentata in Italia per almeno un settantennio dalla massoneria. Tuttavia,
se il 1929 era stato un anno di sconfitte per gli oppositori del fascismo, es-
so aveva anche registrato per costoro una vittoria, rappresentata dalla fu-
ga da Lipari, nel mese di luglio, di Rosselli, Lussu e del massone Francesco
Fausto Nitti: l’evento stava a dimostrare come il coordinamento tra inizia-
tiva degli esuli e azione interna potesse condurre al successo. A questo ini-
zio di riscossa fece seguito, il 12 gennaio 1930, la ricostituzione in esilio del
Grande Oriente d’Italia. Nei quattro anni che precedettero la ricostruzione
dell’Obbedienza di Palazzo Giustiniani in esilio il testimone passò alle logge
operanti in Argentina - non toccate dal decreto di scioglimento di Torrigia-
ni - che, sotto la guida di Alessandro Tedeschi, si costituirono in un comita-
to che decise di continuare i lavori come se il GOI esistesse e di coordinare
le logge nazionali fuori dalla penisola finché l’obbedienza italiana non si
fosse ricostituita. Indubbiamente, some sottolineò Tedeschi in un prome-
moria inviato a tutte le Potenze massoniche, questa iniziativa rese un
grande servizio alla «sopravvivenza senza interruzione» del GOI. Contem-
poraneamente, in Francia il ruolo di collegamento tra gli esuli massoni fu
ricoperto dalla loggia «Italia» e in particolare dal suo Venerabile, Ubaldo
Triaca. Da questa officina, costituita nel 1913, nacque, con lo specifico sco-
po di raggruppare i massoni italiani in esilio, la «Nuova Italia», il cui Mae-
stro Venerabile era il presidente della sezione parigina della LIDU, Antonio
Coen. Pur avendo stabilito il proprio domicilio ufficiale all’Oriente di Lon-
dra (in Sheriff Road 2, West Hampstead, London 6, presso l’attività profes-
sionale del noto massone italiano Francesco Galasso, da tempo emigrato
in Inghilterra), nei fatti il GOI agiva a Parigi, dove nel 1932 ne sarebbe stata
trasferita formalmente la sede. A causa del confino cui il Gran Maestro
Torrigiani e il suo Aggiunto Meoni erano stati condannati, la direzione fu
assunta dal deputato repubblicano Eugenio Chiesa, nominato secondo
Gran Maestro Aggiunto. Questi era ben noto, oltre che per il suo impegno
come dirigente repubblicano e della LIDU, anche per il coraggioso inter-
vento tenuto alla Camera il 12 giugno 1924, a pochi giorni dalla scomparsa
di Giacomo Matteotti: alla presenza di Mussolini, rimasto in silenzio di
fronte a un’interrogazione del deputato socialista Enrico Gonzales, egli era
esploso gridando: «Risponda il capo del governo! Risponda! Tace! È com-
plice!». Fu grazie al suo prestigio e all’energica azione di propaganda svolta
attraverso una serie di conferenze tenute in Svizzera e in Francia tra il 1928

56
Studi sulla Massoneria

e il 1930 che la partecipazione massonica allo schieramento antifascista di-


venne decisiva. Dopo la sua morte, avvenuta il 22 giugno 1930 a Giverny,
località della Normandia in cui si era ritirato per curarsi, prese il suo posto
il socialista riformista Arturo Labriola, già ministro del Lavoro nel governo
Giolitti. Le priorità di Labriola erano di ottenere sia i finanziamenti per il
sostegno del GOI in Italia e in esilio, sia il riconoscimento da parte delle al-
tre Obbedienze straniere. Grazie alle conoscenze di Leti venne fondata ne-
gli Stati Uniti la società nazionale FIDES, rivolta principalmente a elementi
liberali, protestanti e massoni. La FIDES curava la pubblicazione del bollet-
tino antifascista «Italia», firmato da Filippo Turati, che aveva la funzione di
informare l’opinione pubblica americana e di raccogliere gli aiuti destinati
agli esuli. Nell’ottobre del 1931 Leti, nel ruolo di presidente, Pietro Nenni,
Ferdinando Bosso e Felice Quaglino diedero vita alla commissione che ot-
tenne l’ingresso del movimento «Giustizia e Libertà» nella Concentrazione
antifascista. Nel novembre dello stesso anno, al dimissionario Labriola suc-
cedette nella carica di Gran Maestro Alessandro Tedeschi, stimato medico
della comunità italiana di Buenos Aires e fervente mazziniano, il quale, do-
po una lunga permanenza in Argentina, agli inizi degli anni trenta aveva
deciso di stabilirsi in Francia per collaborare alla rinascita della massoneria
in esilio. Fin dalla prima balaustra, Tedeschi volle ribadire che la sua gran
maestranza si inseriva in quell’«afflato mazziniano» che aveva accompa-
gnato e ispirato i suoi predecessori, precisando, con toni profetici, che la
massoneria avrebbe fatto la sua parte per la realizzazione di un «fine pieno
di luce e forse anche pieno di sangue», ossia la liberazione dell’Italia dalla
dittatura e il ripristino della libertà «in quella terra, che fu la patria di tutte
le libertà, e le cui tradizioni laiche e repubblicane risuonano in tutti i secoli
della sua storia». Tuttavia il primo dei problemi cui il nuovo Gran Maestro
dovette subito far fronte era del tutto inscritto all’interno del mondo della
libera muratoria: la ricollocazione dell’Obbedienza italiana in esilio nel tes-
suto delle relazioni massoniche internazionali. La questione, a suo tempo
già sollevata da Labriola, non aveva tuttavia compiuto passi in avanti e
procedeva con difficoltà a causa sia della situazione atipica in cui si trovava
il GOI, sia dell’ottusità mostrata da quei dirigenti massoni stranieri che tar-
davano a comprendere cosa davvero fosse una dittatura di stampo fascista
e in quali difficoltà si trovassero a operare i massoni italiani. In una lettera
indirizzata alla dirigenza dell’Associazione Massonica Internazionale e fir-
mata il 13 giugno 1930, pochi giorni prima della propria morte, Eugenio
Chiesa elencava le ragioni - fra cui l’adesione delle logge del GOI all’estero

57
Storia della Massoneria Italiana

- che avrebbero dovuto far ammettere la sua massoneria esule


nell’associazione. Nella stessa missiva egli rigettava inoltre le richieste as-
surde, avanzate da più parti, di fusione con Piazza del Gesù e di un rientro
in Italia, commentando amaramente: «Quando si scriverà la storia della
nostra grande famiglia in Italia, sarà difficile alla Massoneria straniera, in
particolare agli alti gradi del Rito Scozzese, di scolparsi delle sue gravi re-
sponsabilità». «Cinismo indegno», ribadì esattamente quattro anni dopo
Tedeschi in seguito a un ennesimo e ridicolo rifiuto da parte dell’AMI di ri-
conoscere l’Obbedienza italiana in esilio, almeno fino a quando questa non
avesse avuto logge operanti in patria. Rifiuto motivato dalla necessità di
non creare precedenti che potessero porre in discussione il ‘dogma della
territorialità’, che vietava sostanzialmente alle Obbedienze massoniche re-
golari di installare logge in quei paesi in cui esistesse già una Comunione li-
bero muratoria regolarmente costituita. In un suo libro, Leti annotò che
«né la solidarietà mondiale, né quella più ristretta europea non hanno mai
sufficientemente funzionato»: parole amare per chi, nel corso del Con-
gresso massonico internazionale svoltosi a Roma nel 1911, lesse una rela-
zione incentrata sul tema La solidarietà mondiale della massoneria, appro-
vata all’unanimità dai Gran Maestri in quell’occasione ospitati nella «città
eterna» dal GOI. Il 31 agosto 1932 moriva Torrigiani. Tedeschi ne dava no-
tizia ai fratelli stranieri, con accenti commossi, in una circolare listata a lut-
to: da quel momento in avanti, le commemorazioni di Torrigiani valsero a
destare in più d’una occasione le simpatie dei fratelli non italiani. L’ascesa
al potere di Adolf Hitler in Germania, avvenuta alla fine di gennaio del
1933, sbloccò la situazione d’immobilismo in cui da tempo si trovava la po-
litica europea. Negli anni successivi il progressivo dilagare del contagio fa-
scista avrebbe fatto vivere alle massonerie di altri paesi le esperienze dolo-
rose vissute da quella italiana. Il 29 giugno 1934 la prematura scomparsa di
Meoni apponeva un ulteriore suggello alle sofferenze della libera murato-
ria in Italia. Il 2 settembre si tenne, nella casa di Tedeschi a Reignac (dipar-
timento della Gironda), un’Assemblea nel corso della quale questi accennò
all’avvenuto rilancio dell’iniziativa massonica nella penisola. L’anno succes-
sivo sempre Tedeschi propose, perdurando le tergiversazioni dell’AMI, il
progetto di dare vita a una lega delle massonerie perseguitate, che si con-
cretizzò nel 1937. Con l’inizio della guerra d’Etiopia si accentuò la disloca-
zione della situazione internazionale: in una sua balaustra, Tedeschi additò
con lungimiranza le future, nefaste conseguenze del conflitto, contraria-
mente ad altri che furono invece indotti, alla luce dell’apparente trionfo

58
Studi sulla Massoneria

del regime fascista, a indecorose resipiscenze. Tale fu il caso dell’ex Gran


Maestro Aggiunto Arturo Labriola, preceduto in ciò dal clamoroso volta-
faccia dell’ex Gran Segretario Alberto Giannini che, tornato in Italia, aderì
al fascismo e scrisse successivamente un libro pieno di acredine nei con-
fronti del fuoriuscitismo in generale, e della massoneria in particolare. La
vittoria militare in Etiopia e la proclamazione dell’impero fascista causaro-
no, in molti italiani in patria, un’ubriacatura nazionalistica, mentre sem-
brava sempre più realizzarsi ciò che Carlo Rosselli aveva previsto fin dal
1933. La rivolta militare scoppiata nel luglio del 1936 nel Marocco spagno-
lo contro il governo repubblicano di Madrid fu come il sinistro crepitio di
una di quelle fiammate tra i cespugli che, in breve, divampano in un incen-
dio spaventoso. I massoni furono tra le vittime designate dalla coalizione
reazionaria facente capo al generale Francisco Franco, che il 18 luglio di
quell’anno diede inizio a «una crociata contro la politica, il marxismo, la
massoneria» scatenando una guerra civile che durò quasi tre anni e che
rappresentò sotto molti aspetti - ideologico, politico, militare - il preludio
del secondo conflitto mondiale. Oltre ai consueti orrori prodotti dalla guer-
ra, in quei mesi in Spagna si instaurò un clima di autentica persecuzione
nei confronti della massoneria che aumentava di pari passo con la conqui-
sta di nuovi territori da parte dei nazionalisti. Nella repressione venivano
coinvolti non soltanto i massoni autentici, ma anche quelli che erano indi-
cati come tali. Una vera e propria forma di isterismo che non si limitò a
colpire i vivi, ma si accanì anche sui morti: le tombe di alcuni massoni ven-
nero profanate, tanto che nel 1938 un decreto impose la distruzione dei
simboli libero muratori presenti nei cimiteri. Di fronte a tanta violenza e
consapevoli che in Spagna erano in gioco i principi di libertà, di eguaglianza
e di fratellanza, numerosi membri della massoneria scelsero di correre vo-
lontariamente in difesa della repubblica democratica minacciata dalle ar-
mate di Franco. Tra i casi più noti e tragici vanno ricordati quelli del peru-
gino Mario Angeloni, caduto nella battaglia di Monte Pelato dell’agosto del
1936 mentre era a capo del reparto costituito da Carlo Rosselli, e
dell’istriano Giordano Bruno Viezzoli, che morì mentre col suo aereo pren-
deva parte alla difesa di Madrid. Notevole fu anche l’attivismo dimostrato
da coloro che, pur non combattendo in terra iberica, si batterono per la li-
bertà del popolo spagnolo. Il Secondo Gran Sorvegliante Francesco Galasso
ospitò nella propria abitazione londinese la redazione della rivista «Spain
and the world», organo d’ispirazione libertaria al quale collaborò anche
George Orwell, e si adoperò per offrire ospitalità agli italiani che avevano

59
Storia della Massoneria Italiana

combattuto nelle Brigate internazionali e che, per questo, non potevano


fare rientro alla fine del conflitto nell’Italia fascista. In Svizzera Chiostergi
sarà uno dei promotori dell’associazione «Amici della Spagna repubblica-
na» e pubblicherà, insieme ai giornalisti repubblicani e massoni Silvio
Stringari - ex redattore del «Gazzettino» costretto all’esilio per sfuggire alla
violenza fascista - e Aurelio Natoli, tre numeri speciali de «La voce repub-
blicana», interamente dedicati alla lotta degli antifascisti italiani in Spagna
e destinati alla diffusione clandestina nella penisola. Nel corso
dell’Assemblea del GOI in esilio, tenutasi a Parigi nel tempio della Gran
Loggia di Francia di rue Puteaux il 20 giugno 1937, fu esaltata la partecipa-
zione dei massoni alla guerra civile di Spagna, e il ricordo dei caduti venne
in qualche modo legato a quello dei fratelli Rosselli. Il giorno successivo
ebbe luogo l’assemblea di fondazione dell’Alleanza delle Massonerie per-
seguitate - ideata e presieduta da Tedeschi -, cui presero parte gli espo-
nenti della massoneria spagnola, portoghese e germanica. Nella manife-
stazione esterna conclusiva Tedeschi inneggiò all’azione del comandante
della brigata internazionale Garibaldi Randolfo Pacciardi, che nel 1938
venne autorizzato dalla Gran Loggia di New York a far visita alle officine di
quello stato allo scopo di risolvere la posizione del riconoscimento di quel-
le obbedienze che, a causa della persecuzione da parte di regimi dittatoria-
li, fossero costrette all’esilio; segno che l’approssimarsi del conflitto mon-
diale non consentiva più ai fratelli stranieri quelle tergiversazioni a causa
delle quali i massoni del GOI avevano sofferto. Com’è noto, la Seconda
guerra mondiale scoppiò - il 1 settembre 1939 - in seguito all’attacco a
sorpresa mosso dalle armate tedesche ai danni della Polonia. Della comu-
nità dei massoni italiani esuli in Francia non faceva più parte Giuseppe Leti,
morto nel giugno dello stesso 1939. Nel 1940 il crollo della Francia, avve-
nuto dopo poco più di un mese dall’inizio dell’offensiva tedesca, travolse
anche i componenti del GOI in esilio, posti bruscamente di fronte
all’alternativa tra una non facile fuga e l’imminente pericolo della condan-
na alla prigionia e la morte. In tale congiuntura Alessandro Tedeschi decre-
tò che, in caso di suo decesso, le logge all’obbedienza del GOI in esilio pro-
cedessero alla nomina di un suo successore, e in questo senso raccomandò
l’elezione del fratello Davide Augusto Albarin, un valdese stabilito ad Ales-
sandria d’Egitto che si era fatto notare per il proprio impegno aprendo una
sezione della LIDU in quella città. Questi fu eletto all’unanimità da tutte le
logge del GOI operanti all’estero dopo la morte di Tedeschi, avvenuta a
Saint-Loubès il 19 agosto 1940. In seguito alla caduta di Mussolini, il 25 lu-

60
Studi sulla Massoneria

glio 1943, un gruppo di dirigenti massonici costituitosi in governo


dell’Ordine proclamò la ripresa dei lavori del GOI, non tenendo però conto
dell’esistenza dell’omonimo in esilio. Si originò quindi uno iato organizzati-
vo e, anche a causa delle drammatiche vicende che spezzarono l’Italia negli
anni seguenti, si innescò uno stato di progressiva emarginazione di Albarin.
Solo dopo la ricomposizione dell’unità del Paese e dell’organizzazione
massonica nazionale sotto la reggenza di Guido Laj si provvide, nella pri-
mavera del 1947, a sanare la situazione. Fu così che si verificò uno scambio
di documenti: Albarin, con una balaustra diretta alle logge italiane
all’estero, invitò tutti i fratelli alla sua obbedienza a stringersi attorno alla
nuova guida dell’Ordine, mentre egli riprendeva il suo posto fra le colonne
della loggia «Cincinnato» - nome che, a questo punto, appariva profetico;
nel contempo Laj, con un decreto datato 21 marzo 1947, riconobbe i meriti
di Albarin e lo nominò Gran Maestro Onorario ad vitam.

1945-2005
FRA TRADIZIONE E RINNOVAMENTO: LA LUNGA TRAVERSATA DEL DE-
SERTO DAL 1945 A OGGI
Dopo vent’anni di oblio, con la caduta del regime fascista la massoneria
riemergeva all’interno della scena nazionale. Già nel febbraio del 1945, un
rapporto confidenziale americano sosteneva che la libera muratoria in Ita-
lia sembrava orientata a dare vita a una sorta di partito democratico che
rappresentasse quanti si riconoscevano nella tradizione democratica post-
risorgimentale. Nel documento venivano inoltre sottolineate le differenze
che esistevano tra coloro che si richiamavano alla tradizione laicista e pro-
gressista del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, e coloro che si riface-
vano alle posizioni conservatrici della Gran Loggia di Piazza del Gesù. Se-
condo il rapporto, i primi erano di spiccate tendenze repubblicane - con
una componente favorevole al Movimento federalista europeo - e avevano
costituito, fin dal luglio del 1943, un provvisorio «Governo dell’Ordine
massonico italiano» che aveva a sua volta riattivato le logge ‘dormienti’ e
dichiarato la volontà di combattere tutti i dispotismi in base ai principi di
uguaglianza e fratellanza. Il 10 giugno 1944 veniva diffuso a Roma un mani-
festo, firmato da Umberto Cipollone, Giuseppe Guastalla ed Ermanno So-
limene, che annunciava la rinascita del Grande Oriente d’Italia, e immedia-
tamente dopo si costituiva un «Comitato di Gran maestranza» formato
dallo stesso Cipollone, da Guido Laj, prosindaco di Roma, e da Gaetano

61
Storia della Massoneria Italiana

Varcasia, consigliere di Cassazione. Il ‘triumvirato’ così composto affidò la


carica di Gran Maestro a Giuseppe Guastalla, primo Gran Sorvegliante a
Palazzo Giustiniani nel 1925, e quella di Gran Maestro onorario a Enrico
Presutti, rimarcando in tal modo il legame con la massoneria dell’età libe-
rale. In quei mesi il Grande Oriente d’Italia aveva progressivamente inten-
sificato la propria attività nei settori del paese liberati dagli alleati, arrivan-
do a contare circa 30 logge, di cui 6 a Roma. Ciò induce a pensare che,
malgrado la repressione attuata durante il Ventennio, alcuni esponenti del
Grande Oriente avessero in qualche modo continuato a mantenere i con-
tatti tra di loro. Uno degli elementi caratterizzanti l’indirizzo ‘giustinianeo’
impresso alle logge che si stavano allora ricostituendo fu il dibattito
sull’atteggiamento da assumere nei confronti degli aderenti di religione
cattolica. Si giunse alla conclusione che questo aspetto non avrebbe impe-
dito l’entrata nell’organizzazione ma, tenuto conto dello specifico caso ita-
liano, si chiedeva agli iniziati di essere cattolici non professanti. Per quanto
riguardava invece l’eventuale rapporto con esponenti del decaduto regime
fascista, venivano al contrario considerati inammissibili coloro che avevano
ricoperto cariche all’interno del partito o svolto attività di primo piano nel-
la vita pubblica. Per quel che concerneva la riorganizzazione di quanti si ri-
facevano all’esperienza della massoneria di Piazza del Gesù, la situazione
appariva più confusa e piena di discordie, in primo luogo a causa della di-
scussa figura di Raoul Palermi, il quale, tenutosi in disparte fino alla libera-
zione di Roma, aveva ricominciato a distribuire tessere e diplomi massoni-
ci, attestandosi su posizioni monarchiche. Molti massoni lo accusavano
non soltanto del compromettente comportamento tenuto durante il regi-
me fascista ma anche del fatto di aver fondato, nel 1926, un’associazione
paramassonica intitolata a San Giovanni di Scozia, la cui presidenza era sta-
ta offerta a Mussolini. Non mancarono insinuazioni sui vantaggi personali
da lui ottenuti durante il Ventennio, quando, stando agli accusatori, gli
venne affidato un impiego di ispettore marittimo presso il Ministero delle
Comunicazioni - mentre accadeva che altri, per il solo fatto di essere mas-
soni, venivano in quegli anni condannati al confino. Malgrado tali trascorsi,
nel gennaio del 1945 Palermi diede alle stampe un manifesto nel quale di-
chiarava lealtà e fiducia alle forze alleate e auspicava un plebiscito per de-
cidere della futura forma istituzionale ma, allo stesso tempo, si augurava il
pieno rispetto dei Patti lateranensi (mostrando di ritenere l’autorità della
Chiesa un elemento essenziale per il futuro della nazione e dell’umanità).
Un altro esponente di spicco di questa corrente della massoneria fu

62
Studi sulla Massoneria

l’avvocato Domenico Maiocco, che, secondo alcune testimonianze, svolse


un ruolo di primo piano nelle concitate fasi che precedettero la riunione
del Gran Consiglio del Fascismo tenutasi la sera del 24 luglio, facendo per-
venire a corte l’ordine del giorno in discussione. Ex socialista, Maiocco era
stato condannato al confino per attività antifasciste e durante la guerra
aveva stretto buoni rapporti con il principe ereditario Umberto. Anche se
le polemiche contro Palermi causarono il sorgere di almeno cinque gruppi
massonici, non mancarono in quel periodo chiare spinte verso
l’unificazione. In tale contesto occorreva tuttavia conciliare le posizioni dei
giustinianei, favorevoli alla Repubblica e contrari a un accordo con il Vati-
cano, con quelle degli affiliati a Piazza del Gesù, la cui maggioranza era al
contrario favorevole alla Monarchia e a un’apertura verso la Chiesa cattoli-
ca. In base a un rapporto del ministero degli Interni, sembra che ancor
prima che la guerra finisse operassero, in feroce polemica tra loro, una de-
cina di obbedienze. Il rapporto, in ogni caso, indicava come organizzazione
di riferimento per l’universo massonico il GOI, di cui facevano parte diversi
ministri del governo Bonomi: Marcello Soleri al Tesoro, Meuccio Ruini ai
Lavori pubblici e Francesco Cerabona ai Trasporti. Il 21 giugno 1945, con la
nomina di Ferruccio Parri a presidente del Consiglio, Soleri mantenne il suo
ministero e Ruini passò alla Ricostruzione, mentre entrarono a fare parte
del governo Pietro Nenni, ministro per la Costituente, e Mauro Scoccimar-
ro, ministro delle Finanze, entrambi indicati nel 1948 dall’ambasciatore
americano a Roma, James Clement Dunn, come appartenenti alla masso-
neria. Benché l’attività libero muratoria stesse espandendosi su tutto il ter-
ritorio nazionale, l’inserimento delle logge italiane nel circuito massonico
internazionale continuava a rappresentare un fattore di primaria impor-
tanza: da qui la pressante necessità di intensificare i rapporti con le Gran
Logge americane. Il riconoscimento internazionale finì tuttavia per diven-
tare un ulteriore terreno di contrasto tra le varie obbedienze di Piazza del
Gesù da una parte, e il Grande Oriente d’Italia dall’altra. Vennero pertanto
battute due strade: le prime tentarono di avviare contatti ufficiali con le
organizzazioni americane del Rito Scozzese, mentre i giustinianei del GOI
cominciarono a stringere rapporti personali con i confratelli americani e
inglesi fin dall’epoca dello sbarco degli alleati in Sicilia, rafforzando così
tanto le relazioni - via via che questi avanzavano verso il nord della peniso-
la - al punto che i massoni inglesi e americani presero non soltanto a fre-
quentare le logge italiane, ma giunsero a organizzarsi nella «Tibet River
Masonic Club», che aveva come primo iscritto il comandante della V arma-

63
Storia della Massoneria Italiana

ta, Mark W. Clark. Tali legami facilitarono il riconoscimento del Grande O-


riente d’Italia, che avvenne in seguito alla visita di una delegazione autoriz-
zata dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman. In una relazione inviata
alla Masonic Service Association - organo di collegamento delle 50 Gran
Logge nazionali statunitensi -, la commissione stabilì che, tenuto conto che
il gruppo di Palermi si era rivelato fin troppo compromesso con il passato
regime, l’unica organizzazione che poteva considerarsi affidabile era il GOI
(benché gli americani continuassero ad auspicare l’unificazione delle forze
massoniche in Italia). Il riconoscimento americano e la frequentazione nel-
le officine italiane di soldati e funzionari inglesi e statunitensi contribuiro-
no senza dubbio ad accelerare il processo di trasformazione della masso-
neria della penisola. Com’è noto, il presidente Truman (già Gran Maestro
della Loggia del Missouri) abbandonò nel corso del suo mandato la politica
internazionale perseguita dal suo predecessore, passando dal dialogo al
confronto diretto tra le due superpotenze: secondo la nuova amministra-
zione americana, nell’ottica di una politica di scontro e di contrasto
dell’influenza sovietica in Europa la massoneria poteva svolgere un ruolo
importante all’interno della società italiana, non permettendo
«l’infiltrazione ai vertici *del paese+ di comunisti al servizio del materiali-
smo». Il GOI riuscì a ottenere il riconoscimento americano anche grazie al-
la fusione con uno dei tanti gruppi ‘scozzesisti’, guidato da Tito Signorelli,
esponente di primo piano della Chiesa metodista in Italia. Non riuscirono
invece ad assicurarsi una legittimità internazionale i diversi gruppi che si ri-
facevano alla tradizione di Piazza del Gesù. Le ragioni di tale impedimento
risiedevano ancora una volta nell’atteggiamento fortemente critico tenuto
nei confronti di Palermi: oltre al fatto di essere stato un confidente
dell’OVRA fino al settembre 1943, costui era stato estromesso dal ruolo di
membro onorario del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Ac-
cettato (Giurisdizione Sud - Washington) per aver pubblicato «[...] a letter
[...] in which he stated that he had quit Freemasonry in 1926, and was a
firm supporter of Premier Mussolini and that he must sacrifice his associa-
tion with Freemasonry». Ciò nonostante, nel 1949 le obbedienze di Piazza
del Gesù si unirono in un unico organismo e inoltrarono nuovamente una
richiesta di riconoscimento a John H. Cowless, capo della potentissima Giu-
risdizione Sud, che anche in questo caso, mantenendo inalterata la propria
diffidenza, rifiutò. Sul piano degli orientamenti politici assunti dalle diverse
organizzazioni libero muratorie, vi era una sostanziale divergenza di posi-
zione tra il GOI e la maggioranza dei gruppi di Piazza del Gesù: benché si

64
Studi sulla Massoneria

dichiarassero apartitici e apolitici, i diversi schieramenti mostravano di nu-


trire opinioni differenti sia sull’ordinamento istituzionale da dare allo Sta-
to, sia sui rapporti da tenere con la Chiesa cattolica. Relativamente al di-
battito sui rapporti tra Stato e Chiesa, i vertici del GOI indirizzarono una
circolare alle logge aderenti in cui veniva chiesto loro di battersi per la lai-
cità dello Stato e per l’aconfessionalità della scuola. In questo senso, il
Gran Maestro Guido Laj tentò di elaborare una strategia di convergenza
con la Sinistra fondata sulla lotta anticlericale, sull’istituzione del divorzio e
sulla difesa della scuola laica, ma ottenne un netto rifiuto da parte dei diri-
genti comunisti, i quali ribadirono la propria posizione antimassonica le cui
origini risalivano al massimalismo socialista e all’Internazionale comunista.
Questa rigida pregiudiziale, unita all’approvazione dell’articolo 7 della Co-
stituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa - votato anche dal Partito comuni-
sta italiano in nome della pace religiosa -, sancì definitivamente le scelte fi-
loccidentali e anticomuniste dei libero muratori italiani, aprendo così la
strada a una massoneria molto diversa, almeno fino alla metà degli anni
sessanta, da quella attiva nel periodo liberale, caratterizzata dall’assenza di
velleità politiche e fortemente in crisi sul piano di nuove adesioni. Nei de-
cenni successivi il GOI, in quanto portatore di valori laici e liberal democra-
tici, subì l’ostilità della cultura cattolica e di quella comunista: in questo
contesto venne inserito nell’articolo 18 della Costituzione il divieto di dare
vita ad associazioni segrete con il fine recondito di colpire la massoneria,
ignorando che quest’ultima, come gli stessi partiti politici che sedevano
nell’assemblea costituente, aveva dismesso la sua struttura, necessaria-
mente segreta per resistere alla tirannia fascista. Fortunatamente questo
articolo non provocò su di essa alcuna ricaduta repressiva. Le simpatie per
la Sinistra di buona parte dei giustinianei servirono, almeno fino al 1948,
da pretesto per altri gruppi massonici, come per esempio quello fondato a
Bari da Liborio Granone, per lanciare l’accusa di comunismo contro il GOI
al fine di indurre le Gran Logge americane a negare il proprio riconosci-
mento. Un grande sforzo fu messo in atto dalla dirigenza giustinianea per
correre ai ripari, e in questo senso si rivelò fondamentale la missione com-
piuta nel 1948 dal gran tesoriere Publio Cortini presso i Grandi maestri
americani: la difesa di quest’ultimo dell’operato del GOI ebbe buon esito e
i riconoscimenti vennero confermati. Malgrado il clima sfavorevole che si
era venuto a determinare, il GOI portò a compimento la propria riorganiz-
zazione interna. Nel 1949 fu approvata la nuova Costituzione anche grazie
all’impegno profuso dal Gran Maestro Guido Laj, che non riuscì tuttavia a

65
Storia della Massoneria Italiana

portare a termine la propria opera a causa della morte, avvenuta il 5 no-


vembre 1948. L’eredità lasciata dalla prematura scomparsa del Gran Mae-
stro poneva problemi di non facile soluzione. Se sul piano internazionale si
era ottenuto il pieno rientro dei giustinianei nel consesso massonico mon-
diale, a livello interno occorreva colmare il divario, non solo anagrafico ma
anche culturale, che separava i giovani, nati e cresciuti nel periodo fascista,
dai vecchi massoni che, avendo vissuto la straordinaria stagione della mas-
soneria dei primi anni del Novecento, non riuscivano a comprendere che la
situazione politica e sociale era radicalmente mutata e che il Grande O-
riente d’Italia stava in buona parte cambiando il proprio corredo genetico.
Dopo l’assunzione interinale della gran maestranza da parte di Umberto
Cipollone, la scelta cadde sull’avvocato Ugo Lenzi, l’uomo ideale per gesti-
re la complessa situazione. Esponente di primo piano del socialismo bolo-
gnese e dotato di notevole statura politica e morale, Lenzi rappresentava
per la Comunione italiana un esempio di coerenza massonica. Infatti, pur
essendo stato candidato al parlamento nelle file del Partito socialista, nel
1914 si dimise in seguito alla deliberazione del congresso di Ancona che, su
proposta di Mussolini, aveva stabilito l’incompatibilità dell’appartenenza
alla massoneria per i socialisti; e lo fece, a differenza di molti altri che na-
scosero la propria appartenenza massonica, con una pubblica dichiarazio-
ne di rinuncia a tutte le cariche di partito. Antifascista convinto, fu uno
stretto collaboratore di Domizio Torrigiani, conosciuto a Ponza. Militante
nel movimento Giustizia e Libertà, dopo la fuga dal confino si rifugiò in
Francia, dove strinse un solido legame con i fratelli Rosselli. Ritornato in I-
talia subì più volte l’arresto e al termine della guerra si dedicò completa-
mente all’attività massonica. Il grande dilemma che Lenzi dovette subito
affrontare era rappresentato dall’atteggiamento che la massoneria doveva
tenere nei confronti della politica. La questione era delicata e le stesse Co-
stituzioni, volute dal suo predecessore, contribuivano a complicare ulte-
riormente il problema. Se infatti l’articolo 2 ribadiva il concetto stabilito
nel 1906, e cioè che la Comunione italiana propugnava il principio demo-
cratico nell’ordine politico e sociale, il contenuto dell’articolo 3 nei fatti lo
smentiva, poiché dichiarava che la massoneria «non è settaria né politica».
La formula «politica ma non politicantismo», coniata da Lenzi nel proprio
discorso di insediamento, non sciolse tuttavia i nodi del problema. Il vero
merito del Gran Maestro fu quello d’indirizzare il GOI verso un’inflessibile
difesa dei valori laici della società italiana, messi più volte in discussione
dal nuovo corso politico scaturito dalle elezioni del 1948. Egli capì inoltre

66
Studi sulla Massoneria

che la trasparenza e la visibilità erano vitali per la sopravvivenza della mas-


soneria in Italia: la deposizione delle Costituzioni presso il tribunale, e la
partecipazione, con i labari delle logge italiane, all’inaugurazione del mo-
numento di Mazzini sull’Aventino, sono soltanto due esempi di questo
modo di intendere la questione. La svolta così impressa non venne però
purtroppo portata avanti dai suoi successori e, benché recentemente essa
sia stata riaffermata, sembra difficile poter porre rimedio al danno com-
piuto. La morte improvvisa di Lenzi, avvenuta nell’aprile del 1953, aprì la
successione all’industriale romano Publio Cortini, che tuttavia non seppe -
o non volle - portare avanti il programma laicista impostato dal suo prede-
cessore. Ebbe quindi inizio un lento declino, durante il quale il GOI si mo-
strò sempre meno capace sia di interagire con la società civile sia di unire
le proprie forze con coloro che, seppur faticosamente, si opponevano
all’influenza clericale che la Chiesa e le sue organizzazioni esercitavano an-
che grazie al sostegno assicurato dai governi centristi. Privato del prestigio
politico di Lenzi e costretto, per motivi professionali, a partecipare ad al-
cuni concorsi pubblici, e per questa ragione ad avere contatti e rapporti
con esponenti appartenenti alla Democrazia Cristiana, il nuovo Gran Mae-
stro finì per rompere con la tradizione storica del GOI, fatta di ritualità e
simbolismo ma anche di impegno civile. Questo nuovo corso, unito alla
sfavorevole congiuntura politica, provocò una forte diminuzione degli i-
scritti. Per bilanciare questo immobilismo interno e per rispondere alle la-
mentele che provenivano da numerose logge, la dirigenza del GOI intensi-
ficò i propri rapporti con l’estero, aderendo a una Convenzione stipulata
dalle massonerie olandese, svizzera, austriaca, tedesca e lussemburghese
con il chiaro intento di sostenere il ‘sogno’ europeista che stava afferman-
dosi proprio in quegli anni. Un altro strappo con la tradizione laicista si ve-
rificò in seguito alla decisione di interrompere i contatti con il Grande O-
riente di Francia: dopo quasi un secolo di relazioni fraterne e di rapporti
assidui ci si accorse che quest’ultimo era irregolare, dal punto di vista
dell’«ortodossia libero muratoria», per il fatto di aver rinunciato a imporre
ai propri membri la credenza nel Grande Architetto dell’Universo.
Quest’incapacità di opporsi al clima culturale e politico degli anni cinquan-
ta venne contestata da molti fratelli che non si rassegnavano all’idea di
una massoneria che avesse rotto con il passato e si fosse chiusa nelle pro-
prie logge. Il disagio si manifestò nel corso della Gran Loggia che si tenne a
Genova nel giugno del 1957; alla fine dello stesso anno Cortini si dimise.
Con l’elezione dell’anziano avvocato Umberto Cipollone molti pensarono

67
Storia della Massoneria Italiana

che potesse realizzarsi un ritorno alle origini, ma l’Istituzione aveva ormai


iniziato un percorso irreversibile. Dell’esperienza politico e sociale del pe-
riodo prefascista, il GOI conservava ben poco e anche in campo rituale le
carenze erano numerose. In termini di ricaduta positiva, l’apertura verso le
altre obbedienze straniere consentì tuttavia ai giovani di approfondire, an-
che con strumenti filologicamente aggiornati, le fonti autentiche della
massoneria, rappresentate dagli insegnamenti tradizionali dell’esoterismo
libero muratorio che in Italia furono per molto tempo trascurati. Nel frat-
tempo, il Supremo Consiglio del RSAA - legato al GOI - si fuse con quello
proveniente da Piazza del Gesù, che da parte sua deteneva il riconosci-
mento del Supremo Consiglio di Washington. Il risultato fu una riunifica-
zione con una delle tante Obbedienze che si riconoscevano come eredi
della scismatica Gran Loggia costituita nel 1908, mentre altre frazioni della
discendenza di Piazza del Gesù si aggregarono negli anni successivi. La ce-
sura simbolica con il glorioso passato del GOI avvenne sotto la gran mae-
stranza dello scienziato Giorgio Tron, eletto nel 1960. In quell’anno il GOI
perse definitivamente - al termine di una lunga vicenda giudiziaria per ot-
tenerne la restituzione - la propria sede storica di Palazzo Giustiniani, ce-
duto con la forza alla stato fascista nel 1927. Agli inizi degli anni sessanta il
Grande Oriente d’Italia aveva completato la propria trasformazione. Colo-
ro i quali avevano vissuto la massoneria dell’età liberale erano scomparsi,
e i giovani che erano entrati nell’Istituzione nel secondo dopoguerra mo-
stravano di avere le idee confuse: la massoneria era una scuola iniziatica o
una scuola di pensiero laico? Non capirono o, meglio, non erano forniti de-
gli strumenti culturali adatti per capire che entrambe le scuole potevano
coesistere e integrarsi. Quanti facevano capo alla corrente esoterica pun-
tarono sulla figura del ravennate Giordano Gamberini, che fu eletto nel
1961. L’aspettativa di avere un Gran Maestro con spiccate propensioni
verso il simbolismo esoterico venne tuttavia ben presto delusa. Più che un
cultore dell’esoterismo, Gamberini dimostrò di essere un abile diplomatico
con in mente un obiettivo ambizioso: ottenere il riconoscimento della Gran
Loggia Unita d’Inghilterra e portare così il GOI nell’ambito di una piena re-
golarità massonica. I tempi erano ormai maturi, ma per raggiungere que-
sto scopo era necessario compiere strappi dolorosi, come la rottura dei
rapporti con la Gran Loggia di Francia, contestandone in primo luogo
l’irregolarità dei legami col Grande Oriente. In tal modo si potevano instau-
rare dei rapporti con la Gran Loggia Nazionale Francese, condizione indi-
spensabile per ottenere il riconoscimento inglese. Pur rappresentando un

68
Studi sulla Massoneria

passaggio complesso e delicato, lo strappo si rivelava tuttavia inevitabile al


fine di chiudere i conti con un’epoca, e con essa con un modo di pensare e
di agire. Anche se generalmente condiviso, quest’atto si rivelò per molti
doloroso, in particolare per coloro i quali ricordavano il sostegno assicura-
to dalla Gran Loggia di Francia agli esuli massoni antifascisti in un momen-
to in cui altre obbedienze, delle quali ora si cercava l’amicizia, lo avevano
pavidamente rifiutato. La gran maestranza di Gamberini fu contraddistinta
da un andamento non lineare, caratterizzato da un lato da momenti di
grande apertura culturale e, dall’altro, da una gestione della struttura che
lasciava ampi spazi a derive di segretezza decisamente pericolose e scono-
sciute alla stragrande maggioranza degli iscritti. Conscio del ruolo fonda-
mentale che l’informazione poteva svolgere, il GOI ricominciò a pubblicare,
a partire dal 1965, un proprio organo di informazione che si rifaceva, utiliz-
zando il titolo di «Rivista massonica», alla testata curata per oltre cin-
quant’anni da Ulisse Bacci. L’iniziativa fu preceduta da un lodevole inter-
vento in campo culturale rappresentato dal finanziamento della rivista «La
Cultura», fondata nel 1881 da Ruggero Bonghi e diretta a partire dal 1963,
dopo varie vicende, da Guido Calogero. Non tutti, all’interno
dell’Istituzione, mostrarono tuttavia di saper cogliere né l’importanza della
«filosofia del dialogo» sostenuta da quest’ultimo in una fase cruciale per la
società italiana, né il ruolo di primo piano che questa rivista poteva svolge-
re nella diffusione dei principi di fratellanza, tolleranza e solidarietà - capi-
saldi del pensiero massonico. Un altro momento di apertura fu rappresen-
tato dalla serie di incontri, iniziati ad Ariccia nell’aprile del 1969, con espo-
nenti della Chiesa cattolica. Dopo secoli di anticlericalismo da una parte e
antimassonismo dall’altra tali incontri rappresentarono una svolta, anche
se pochi sottolinearono il fatto che il GOI partecipò a essi con delegazioni
di massimo livello, Gran Maestro in testa, mentre il Vaticano inviò i propri
esperti in questioni massoniche che non occupavano alcuna carica nella
gerarchia cattolica. I1 dialogo non mutò la situazione esistente, ma ebbe se
non altro il merito di soddisfare entrambe le parti coinvolte: grazie a esso il
GOI poté dimostrare alla massoneria britannica di aver sconfessato defini-
tivamente l’anticlericalismo; la Chiesa ebbe invece l’occasione di acquisire
nuove conoscenze sul Grande Oriente d’Italia. Vista dall’esterno, la condu-
zione di Gamberini aveva di fatto consentito un rilancio dell’Istituzione a li-
vello sia nazionale sia internazionale, anche se contestualmente prende-
vano corpo al suo interno - e all’insaputa della stragrande maggioranza dei
suoi aderenti - fenomeni di aggregazione che avrebbero cambiato la storia

69
Storia della Massoneria Italiana

del GOI, influendo in modo assai negativo sulla sua immagine. Nella prima-
vera del 1969 Lino Salvini si candidò alla successione di Gamberini, dispo-
sto ad assicurare il proprio appoggio e quello di alcune logge a lui fedeli a
patto di poter continuare a dirigere la «Rivista massonica» e bloccare
l’ascesa del suo antagonista storico, il neuropsichiatra Fernando Accorne-
ro, che rappresentava all’epoca la tradizione risorgimentale e laica del GOI.
Uno dei primi atti di Salvini fu la nomina di Licio Gelli alla carica di «segre-
tario organizzativo» della loggia Propaganda n. 2. Pochi sapevano, anche
nelle alte gerarchie del GOI, che questa loggia - fondata nel 1876 per acco-
gliere in modo ‘riservato’ esponenti politici e alti funzionari dello Stato, in
modo da non riproporre nelle logge le divisioni partitiche e porli al riparo
da richieste di vario genere da parte di postulanti interni all’Istituzione - si
stava trasformando in un centro d’affari che si sarebbe ben presto posto
fuori da ogni controllo. A quanti mostrarono di nutrire dubbi e preoccupa-
zione, Salvini rispose che Gelli - il cui nome gli era stato indicato da un fra-
tello di grande prestigio come Roberto Ascarelli - era un uomo di enormi
capacità organizzative, e che la loggia di cui era segretario si atteneva alle
antiche tradizioni massoniche. Affermazione, questa, che sarebbe stata
tuttavia seccamente smentita dalle finte iniziazioni condotte alla presenza
dell’ex Gran Maestro e dall’autonoma gestione delle tessere condotta da
Gelli con l’assenso di Salvini. La Propaganda finì così per perdere le caratte-
ristiche di una loggia (certamente particolare, tenuto conto del rango degli
iscritti, ma pur sempre sottoposta ai doveri e ai diritti di tutte le altre offi-
cine del GOI) per assumere via via quelle di un aggregato - che non si riuni-
va mai - composto di ufficiali, generali, politici, alti funzionari, banchieri, af-
faristi, giornalisti e vip fuori da ogni controllo costituzionale e senza rap-
porti con gli altri fratelli della Comunione giustinianea. Tuttavia, essendo
protetta dal Gran Maestro e da alcuni suoi collaboratori, essa continuò a
rimanere un organismo del GOI, finendo così per coinvolgere l’intera Isti-
tuzione nella sua pericolosa evoluzione e fissare nell’immaginario colletti-
vo un giudizio negativo. A un certo punto Salvini si rese però conto che la
situazione stava sfuggendogli di mano e, pensando di poter contare su un
forte prestigio interno e internazionale, tentò di ridimensionare la figura di
Gelli. Durante i primi tre anni del suo mandato egli aveva effettivamente
portato a buon fine alcune operazioni che avevano contribuito a rafforzare
l’immagine del GOI. Il 13 settembre 1972 venne ufficializzato il riconosci-
mento inglese. Il merito dell’evento, che venne esaltato con toni trionfali
dal Gran Maestro in una «balaustra» inviata a domicilio a ogni singolo fra-

70
Studi sulla Massoneria

tello, spettava in realtà a Gamberini anche se sul documento compariva in


calce solo la firma di Salvini. Cinque giorni dopo veniva compiuto un ulte-
riore passo sulla strada della definitiva riunificazione della massoneria ita-
liana, attraverso la fusione di un’Obbedienza di Piazza del Gesù guidata da
Tito Ceccherini (sostituito, alla sua morte, da Francesco Bellantonio).
Sull’onda del Concilio Vaticano II, dalla Chiesa cattolica giunsero i primi se-
gnali di una cauta apertura e si fece sempre più concreta la speranza che la
scomunica comminata ai fedeli ascritti alla libera muratoria fosse in procin-
to di essere abrogata. Il cammino era ancora lungo, ma la lettera inviata
nel 1974 dal cardinale Seper, prefetto della Congregazione per la dottrina
della Fede, al cardinale Krol, presidente della Conferenza episcopale nor-
damericana, nella quale si precisava che il canone 2335 del Codice di dirit-
to canonico coinvolgeva «soltanto quei cattolici iscritti ad associazioni che
veramente cospirano contro la Chiesa» parve ai dirigenti del GOI un ottimo
inizio. In questo clima il numero degli iscritti alle logge crebbe da circa
6000 a circa 18.000, ma, è bene precisare, tale incremento straordinario
poté verificarsi anche perché furono ridotti al minimo i controlli messi in
atto nella valutazione dei profani, che chiedevano di entrare con i metodi e
le tecniche partitiche di tesseramento tipiche della prima repubblica, la cui
pratica assicurò una solida maggioranza al Gran Maestro. In questo conte-
sto Salvini pensò di riprendere in mano la P2, ma Gelli riuscì, in virtù delle
amicizie influenti strette nel corso di quegli anni, a stipulare un accordo
che di fatto sdoppiava la Propaganda, dando vita a una loggia ufficiale
composta da circa 40 membri, in maggior parte pensionati, e al contempo
a un organismo che, non possedendo più i connotati di una loggia, sarebbe
stato da quel momento da lui stesso gestito con pieni poteri e sottratto ad
ogni controllo. Tra quanti erano a conoscenza della grave degenerazione
che si stava producendo, pochi espressero pubblicamente la propria posi-
zione: tra questi, alcuni vennero espulsi, come capitò a Francesco Siniscal-
chi; altri, dopo aver subito un processo massonico, si appartarono, come
fece Augusto Comba. Ma il progetto, più affaristico che politico, di quello
che veniva comunemente chiamato «il Venerabile» procedeva e le prime
indiscrezioni cominciarono a essere riportate dalla stampa, alimentando
così il pregiudizio nei confronti della massoneria. Tali indiscrezioni allarma-
rono le Gran Logge americane che, da parte loro, minacciarono di sospen-
dere i riconoscimenti. A quel punto Salvini, già abbandonato dai suoi più
importanti collaboratori, decise di lasciare la carica prima della scadenza. A
questi successe il generale dell’aviazione a riposo Ennio Battelli, sostenuto

71
Storia della Massoneria Italiana

da Gamberini e da quanti avevano fatto parte dell’entourage salviniano. La


P2 era ormai diventata un organismo totalmente indipendente, anche se
di fatto continuava a contare su una copertura massonica dovuta al fatto
che il Gran Maestro Battelli non l’aveva mai sconfessata né denunciata
pubblicamente come fenomeno controiniziatico ed estraneo al mondo
massonico. La classica goccia che fece traboccare il vaso si ebbe con la
pubblicazione, sul «Corriere della sera» del 5 ottobre 1980, di un’intervista
rilasciata da Gelli a Maurizio Costanzo, nel corso della quale il Venerabile
esponeva un «piano di rinascita democratica» di chiaro stampo conserva-
tore. La magistratura diede avvio alle indagini e il 17 marzo 1981 la Guar-
dia di finanza effettuò nell’abitazione di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi una
perquisizione, che permise il ritrovamento di una lista contenente 953
nominativi di affiliati alla P2. L’elenco riportava i nomi di generali, alti fun-
zionari dello Stato, dirigenti dei servizi segreti, grandi imprenditori, editori
e giornalisti, e lo scandalo che produsse travolse il governo presieduto da
Arnaldo Forlani. Ovviamente tutti questi personaggi non potevano definirsi
massoni, non avendo ricevuto, nella stragrande maggioranza dei casi, una
regolare iniziazione o non avendo mai messo piede in una loggia massoni-
ca; ma il fatto stesso che la presenza di questo organismo anomalo non
fosse stata denunciata dai vertici dell’Istituzione gettò pesanti ombre e so-
spetti sull’intera istituzione massonica. I tentativi di difesa messi in atto da
Battelli si dimostrarono sostanzialmente inutili e si cercò di correre ai ripari
di fronte a una campagna di stampa che minacciava di distruggere il GOI.
Sostituendosi di fatto a un Gran Maestro incapace di prendere opportune
decisioni e travolto dagli eventi, la Corte centrale della giustizia massonica
giunse alla condanna e all’espulsione di Gelli nell’ottobre del 1981. Gio-
vanni Spadolini, subentrato a Forlani alla guida del governo, istituì una
commissione parlamentare d’inchiesta e rese operativo l’articolo 18 della
Costituzione riguardante le società segrete, disponendo, con la legge n. 17
del 25 gennaio 1982, lo scioglimento della P2. Il GOI non venne colpito da
alcun atto restrittivo poiché sia la commissione d’inchiesta sia la magistra-
tura in tempi successivi ritennero che la P2 fosse una deviazione con co-
perture individuali e un fenomeno estraneo alla tradizione massonica giu-
stinianea. A questa convinzione si arrivò anche grazie al ruolo svolto nella
vicenda dell’espulsione di Gelli dal nuovo Gran Maestro Armando Corona,
medico sardo e dirigente del Partito repubblicano eletto il 28 marzo del
1982. Amico personale di Ugo La Malfa, Corona aveva rivestito la carica di
presidente della regione Sardegna ed era un politico molto esperto. Cono-

72
Studi sulla Massoneria

sceva bene gran parte della classe politica italiana, ed essendo dotato di
un’indubbia intelligenza e di una buona dose di astuzia non si fece impres-
sionare né scoraggiare dal crucifige cui venne sottoposto il GOI da parte
del mondo politico giornalistico, il quale, da parte sua, nascondeva ben al-
tri scheletri nei propri armadi. A quel punto era comunque necessario
fronteggiare la valanga di accuse e insinuazioni che con grande compiaci-
mento i media riversavano sulla massoneria italiana. Corona provvide in-
nanzitutto a rintuzzare con una serie di querele le calunnie più smaccata-
mente false. Quindi il nuovo Gran Maestro, assai sensibile alla pubblica o-
pinione ma assai meno data anche la sua limitata anzianità massonica alla
continuità della tradizione, si dispose a introdurre rapidamente quelle mo-
difiche normative che potevano assicurare all’Ordine una maggiore fun-
zionalità e una più solida protezione dagli addebiti impropri che le veniva-
no rivolti. Inoltre, allo scopo di ridare al GOI un’immagine dignitosa si co-
minciò anche a prendere in considerazione l’uso di un altro strumento di
riqualificazione dell’Istituzione, di cui il Gran Maestro, pur non essendo
uno studioso di discipline storiche o filosofiche, intuiva la grande impor-
tanza: lo strumento culturale. Nel 1984 fu varata la nuova Costituzione col
relativo regolamento. Fra le innovazioni più rilevanti figuravano:
l’abolizione del giuramento e dei “cappucci e delle spade”; il cambiamento
del meccanismo elettorale, congegnato in modo da ostacolare i condizio-
namenti che si erano verificati all’epoca di Salvini, introducendo l’elezione
diretta e, nell’ipotesi non si fosse raggiunto il quorum della maggioranza
assoluta, il ballottaggio riservato ai Maestri Venerabili da svolgersi durante
la Gran Loggia; la nomina diretta del Gran Segretario (la cui carica cessava
così di essere elettiva) da parte del Gran Maestro. Superata la crisi della P2
e avviata la risoluzione dei problemi che si erano presentati negli anni pre-
cedenti, i fratelli del GOI si mostrarono nuovamente animati da un senso di
sicurezza nel condurre i lavori delle logge ripopolate e desiderosi di ripro-
porsi all’esterno, come avvenne in occasione del convegno storico dedica-
to a temi risorgimentali - intitolato La liberazione d'Italia nell'opera della
Massoneria - che si svolse a Torino nel settembre 1988, a cui presero parte
14 relatori italiani e 8 stranieri. Ma si era ormai vicini alla scadenza del
quinquennio, che seguiva un precedente mandato triennale, della gran
maestranza di Armando Corona. Così come aveva fatto Gamberini con Sal-
vini, allo stesso modo Corona cercò un successore che fosse disposto a
preservargli di fatto l’incarico. La scelta cadde su Giuliano Di Bernardo,
professore di filosofia della scienza a Trento e autore di un volume dedica-

73
Storia della Massoneria Italiana

to alla filosofia della massoneria, che si proponeva come “guida spirituale”


dell’Istituzione. Se da una parte l’accesso di quest’ultimo alla cattedra uni-
versitaria nell’ateneo trentino durante gli anni della contestazione metteva
in luce la sua abilità politica, dall’altra accentuava in lui una già spiccata
tendenza al narcisismo. La sua stessa carriera massonica aveva d’altro can-
to seguito un percorso atipico - svoltasi in buona parte ‘al coperto’, come
egli stesso aveva chiesto nel 1972, giustificando tale decisione col fatto di
essere impegnato professionalmente «in un ambiente particolarmente dif-
ficile come quello dell’università di Trento» - privo di quel tirocinio auspi-
cabile all’interno degli organi direttivi dell’Istituzione. Non è improbabile
che tali circostanze, generando in lui una serie di veri e propri complessi,
abbiano influito sul suo successivo comportamento, rendendolo da un lato
insofferente verso la maggioranza dei massoni, da lui ritenuti culturalmen-
te impreparati, e facendogli tenere, dall’altro, un atteggiamento incerto e
confuso nei confronti di quegli avversari esterni alla massoneria che Coro-
na trattava invece con la più serena disinvoltura. Di Bernardo assunse a un
certo momento inspiegabili atteggiamenti di sfida nei confronti della Chie-
sa cattolica; dichiarò irritualmente, in quanto Gran Maestro del GOI, il suo
appoggio al partito socialista e provocò, infine, non pochi disastri in occa-
sione del confronto avvenuto col pubblico ministero Agostino Cordova,
che aveva dato vita a una spettacolare operazione giudiziaria nei confronti
della massoneria - da lui considerata alla stregua di un gruppo colluso con
la grande criminalità organizzata- i cui presupposti furono tuttavia smentiti
clamorosamente dagli esiti dei procedimenti intentati. Colui che in
quell’occasione avrebbe più di ogni altro dovuto impegnarsi nella difesa
della libera muratoria, ossia il Gran Maestro, si mostrò purtroppo a tal
punto atterrito da non saper fare altro che avallare il teorema formulato
dal magistrato, dimostratosi in seguito del tutto infondato, tanto che il
processo verrà archiviato in assenza di elementi di reato, escludendo che
nella condotta del Grande Oriente d’Italia o di qualsiasi esponente o anche
iscritto vi fossero estremi dei reati contestati (l’associazione segreta e la
violazione dell’art. 416 c.p.), o anche azioni e/o attività scorrette ed etica-
mente censurabili. Nel frattempo, quando l’inchiesta era ancora in corso,
due organizzazioni massoniche straniere, che a quell’epoca vantavano al-
meno un ventennio di rapporti di stretta amicizia col GOI e che, perciò
stesso, avrebbero dovuto essere in grado di valutare chiaramente
l’assurdità delle accuse che venivano mosse ai loro fratelli italiani - cioè la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra e la Gran Loggia Nazionale Francese -, deci-

74
Studi sulla Massoneria

sero di abbandonare il GOI alla propria sorte, avvallando di fatto una sorta
di ‘8 settembre massonico’ organizzato sotto forma di una fuga repentina
e irresponsabile del Gran Maestro e di un’immediata mise en place di
un’entità sostitutiva. Questa nuova organizzazione massonica, cui venne
dato il nome di Gran Loggia Regolare d’Italia, nacque il 17 aprile l993, pre-
via registrazione effettuata di fronte a un notaio il giorno precedente. La
Giunta del GOI, dopo aver appreso con stupore le decisioni di Di Bernardo,
comprese subito che la partita si sarebbe giocata anche sul piano delle re-
lazioni internazionali massoniche. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, dopo
una serie di inutili abboccamenti affidati ad Armando Corona, il 10 giugno
comunicò la sospensione delle relazioni col GOI: a questa decisione segui-
rono la revoca del riconoscimento (8 settembre) e il trasferimento dello
stesso (8 dicembre successivo) all’organizzazione dibernardiana. Tuttavia,
il risultato che si sperava di ottenere con una tale operazione, e cioè lo
smottamento del GOI verso quest’ultima, non si verificò. La stragrande
maggioranza degli affiliati e tutti i membri della Giunta, anche coloro che
erano stati i più stretti collaboratori di Di Bernardo, fecero quadrato a dife-
sa dell’Istituzione. Nessun alto dignitario seguì il transfuga e la reggenza
venne affidata ai Gran Maestri Aggiunti Eraldo Ghinoi ed Ettore Loizzo. Con
i membri superstiti della Giunta riorganizzarono le fila, incaricando il Gran
Oratore, l’attuale Gran Maestro Gustavo Raffi, di difendere pubblicamente
e legalmente l’immagine del GOI. Sul fronte delle relazioni internazionali il
Gran Maestro reggente Ghinoi si recò con successo negli Stati Uniti, fruen-
do dei canali del Rito di York che si dimostrarono fondamentali, per far co-
noscere ai fratelli d’oltreoceano la reale situazione che si era creata. Que-
sto intenso lavoro - nei confronti dell’opinione pubblica da parte della
Giunta e del Gran Oratore e in campo massonico con intense trattative di-
plomatiche svolte dai Gran Maestri Reggenti che permisero al GOI di man-
tenere la stragrande maggioranza dei riconoscimenti delle altre obbedien-
ze sorelle – impegnò l’Istituzione a tutti i livelli e furono otto mesi cruciali
per la vita della massoneria giustinianea. Ma restava ancora da affrontare
la più difficile e decisiva prova a livello internazionale. Dal 19 al 22 febbraio
1994 si tenne a Washington il congresso annuale dei Gran Maestri della
massoneria americana, che aveva inserito nell’ordine del giorno dei lavori
di deliberare sulla richiesta di revoca del riconoscimento del GOI presenta-
ta da Di Bernardo e appoggiata dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra: la de-
cisione della Commissione americana per i riconoscimenti fu però favore-
vole ai massoni di palazzo Giustiniani, e avallò l’azione difensiva messa in

75
Storia della Massoneria Italiana

campo durante il periodo della reggenza. Nel frattempo, nell’assemblea


straordinaria tenutasi nel dicembre del 1993 fu eletto l’avvocato civilista
Virgilio Gaito, che in più occasioni si era espresso per il definitivo supera-
mento della lunga sequela di problemi legali creati al GOI dall’ostilità pro-
veniente dall’ambiente esterno. Gaito fu fin dall’inizio molto attivo nella
difesa dell’Istituzione, rivolgendo numerosi messaggi alle autorità del pae-
se in un momento in cui cominciava a prendere corpo un’offensiva genera-
le contro la libera muratoria italiana, condotta mediante provvedimenti
che avevano lo scopo di inibire ai massoni la possibilità di ricoprire cariche
pubbliche (come avvenne nella regione Marche), di svolgere attività
all’interno dei partiti e accedere alla magistratura, su proposta del Consi-
glio superiore della medesima. . La gran maestranza di Gaito prendeva le
mosse, come si è detto, in un momento assai delicato in cui l’opinione
pubblica era rimasta fortemente impressionata dalle dichiarazioni fatte dal
pubblico ministero Cordova, non di rado pesantemente e calunniosamente
stravolte e commentate dai media; un contesto in cui la diffusa ostilità
mostrata verso l’Istituzione ebbe pesanti riflessi - che durarono alcuni anni
- sulla consistenza numerica e sulle adesioni al GOI. Era pertanto logico che
un obiettivo prioritario del Gran Maestro fosse quello di lottare contro un
tale stato di cose, utilizzando una corretta informazione e dando concrete
dimostrazioni della limpidezza morale del sodalizio. Con estremo rigore
vennero pertanto perseguiti e sospesi gli iscritti, anche solo per il fatto di
aver ricevuto avvisi giudiziari ipotizzanti reati infamanti, e che non davano
assoluta garanzia di ineccepibile moralità e di totale estraneità ad accuse
di collusione mafiosa; accuse che, peraltro, erano nella quasi totalità dei
casi motivate dall’esistenza delle pseudo logge che nulla avevano da spar-
tire con il GOI. Questo rigore, necessario e giustificabile per garantire
l’immagine e l’integrità morale dell’Istituzione, venne anche applicato, con
eccessi repressivi, nei confronti di coloro, in particolare apprendisti e com-
pagni d’arte, che in buona fede avevano seguito Di Bernardo e che, accor-
tisi dell’errore, volevano rientrare nel GOI. A questa strategia difensiva, di
argine agli attacchi esterni e interni, non seguì però un progetto culturale
d’intervento e di dialogo nei confronti della società: ciò comportò il ripie-
gamento dell’Istituzione su una concezione statica del concetto di tradi-
zione e una rinuncia alla storicizzazione dei principi alla base della libera
muratoria. In questo modo il GOI rinunciava alla sua peculiarità storica di
coscienza critica formatasi in due secoli di lotte per la difesa dei principi di
laicità, di progresso, di democrazia e di dialogo tra tutte le componenti del-

76
Studi sulla Massoneria

la società. La massoneria doveva tornare a essere un interlocutore nella


società, a fornire le proprie idee per concorrere alla soluzione dei problemi
che si ponevano all’umanità, riallacciando un rapporto con la società civile
e contribuendo alla difesa della propria immagine che alle soglie del nuovo
millennio appariva alquanto sbiadita. Tuttavia, nel corso di questi anni e-
merse progressivamente uno zoccolo duro di fratelli che, dopo aver fatto
fronte a tutte le avversità, mostravano di essere animati da nuovo fervore
e sentivano pertanto l’esigenza di imprimere una svolta alla libera murato-
ria italiana: era giunto il momento di uscire da quell’atmosfera di inattività
e vittimismo che aveva contrassegnato troppe stagioni dal 1945 fino a quel
momento. Questi fratelli mostrarono di nutrire fiducia nel programma
messo a punto dall’avvocato ravennate Gustavo Raffi, che, dopo aver rico-
perto la carica di Grande Oratore all’epoca di Di Bernardo, nel marzo del
1999 assunse quella di Gran Maestro. Raffi era mosso dalla convinzione
che dopo un’epoca dominata dall’imperativo della difesa era giunto il mo-
mento di cambiare e di ripartire all’attacco: time for a change. L’obiettivo
che fin dall’inizio del suo mandato si pose il nuovo Gran Maestro fu quello
di coniugare l’enorme potenzialità conseguita mediante l’iniziazione mas-
sonica con un concreto impegno civile nella società. Tale opera di rinno-
vamento segnò una cesura con i vecchi schemi del passato che avevano
contraddistinto la storia degli ultimi decenni, portatori di una cultura spiri-
tualmente e intellettualmente inadeguata rispetto ai principî e ai valori pe-
renni sui quali venne fondata la stessa istituzione massonica. Inizialmente
questo progetto fu contrastato da alcuni settori dell’Istituzione che paven-
tavano una profanizzazione dell’identità massonica, non cogliendo che il
nuovo corso aveva come linea guida un forte richiamo alla tradizione nel
segno della contemporaneità. La parola d’ordine della nuova gran mae-
stranza si racchiudeva nel binomio Tradizione e Innovazione. Il GOI, pur
guardando con orgoglio al suo glorioso passato, fatto di uomini che aveva-
no dedicato la loro vita per il bene dell’Uomo e dell’Umanità, doveva esse-
re nuovamente un corpo vivo e propositivo, pur nel rispetto della sua pro-
fonda e irrinunciabile tradizione esoterica, ed era chiamato a contribuire in
modo originale e costruttivo alla soluzione di problemi centrali della socie-
tà moderna. Per realizzare tutto questo occorreva che i massoni del GOI ri-
trovassero, attraverso una continua critica e verifica delle proprie idee, un
punto di equilibrio tra la ricerca esoterica e l’impegno sociale, coniugando
in sé, in un nuovo umanesimo, spiritualità e scientificità. La massoneria di
Palazzo Giustiniani doveva essere pronta a raccogliere, grazie al suo patri-

77
Storia della Massoneria Italiana

monio iniziatico, la sfida posta dagli interrogativi del nuovo millennio in di-
fesa di quegli ideali di libertà, tolleranza, fratellanza e solidarietà che de-
vono essere non solo un patrimonio dei liberi muratori, ma dell’umanità
intera. Questo ambizioso programma necessitava di una nuova strategia
della comunicazione verso la società e la pubblica opinione con una venta-
ta di trasparenza che chiarisse il ruolo e le finalità etiche, culturali, sociali
ed educative della libera muratoria utilizzando i mezzi di comunicazione di
massa e telematici. Accanto alla rivista «Hiram», che è diventata una ap-
prezzata fonte - per il mondo profano - di conoscenza del dibattito che
percorre il mondo latomista in merito alle riflessioni sull’uomo, sulla socie-
tà e sulle tematiche esoteriche, etiche, filosofiche, storiche e spirituali, il
GOI, al passo con i tempi, si è dotato di un sito internet
(www.grandeoriente.it) e recentemente, al suo interno, di una radio on-
line, efficace mezzo per diffondere le iniziative promosse, attraverso inter-
viste, corsi e lezioni di carattere esoterico, storico e culturale, programmi
di musica massonica e riprese anche in diretta di convegni e manifestazio-
ni. Le Gran Logge, pur conservando la loro funzione di massime assise in-
terne dell’Ordine, si sono trasformate in un annuale appuntamento che
costituisce, anche per il mondo profano, un importante avvenimento cul-
turale di incontro e confronto con i liberi muratori del GOI in cui vengono
affrontati temi nodali come la centralità e la città dell’uomo, le vie del dia-
logo, il diritto alla felicità. La partecipazioni di insigni studiosi, intellettuali,
scienziati e artisti ai dibattiti e agli spettacoli, organizzati contemporanea-
mente ai lavori delle Gran Logge, sono la dimostrazione dell’attenzione che
il mondo culturale e scientifico dimostra al nuovo corso impresso al GOI.
Ma non solo le Gran Logge sono diventate un momento di apertura al
mondo profano. Altre innumerevoli iniziative organizzate dalla Giunta a-
dempiono a questa funzione di divulgazione del pensiero della libera mu-
ratoria in modo da evidenziarne la trasparenza, a partire dal tradizionale
appuntamento del XX settembre, che da riunione autocelebrativa di un
passato glorioso ma consegnato alla storia, si è trasformato in un momen-
to di riflessione e dibattito sui temi cari al pensiero massonico, coinvolgen-
do personalità come i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Rigoberta Men-
chú e illustri studiosi profani come Margherita Hack, Piero Craveri, Massi-
mo Teodori. Numerosi sono stati i convegni e le giornate di studio organiz-
zate a livello nazionale e locale dove non solo si sono affrontati i tradizio-
nali temi storici ed esoterici, come era avvenuto in passato, ma si sono di-
scussi problemi come quello della laicità dello stato, dell’istruzione pubbli-

78
Studi sulla Massoneria

ca, della bioetica, della globalizzazione, dei diritti umani, del fenomeno dei
fondamentalismi, che mettono in pericolo la pace e fomentano l’odio e la
guerra. E questi momenti di riflessione si sono svolti ponendo a confronto,
intorno a uno stesso tavolo, uomini di fedi religiosi e idee politiche diverse
con lo stesso spirito di dialogo e rispetto con cui si riunivano, agli albori
della libera muratoria speculativa, i massoni inglesi nelle taverne londinesi.
In questi anni il Grande Oriente d’Italia si è impegnato nelle grandi batta-
glie a favore della scuola pubblica, per la libertà di ricerca scientifica, per la
riaffermazione del pensiero laico, per i diritti delle minoranze e perché la
globalizzazione possa essere tale anche per i diritti umani. Grazie a questa
incisiva presenza nella società, la massoneria è oggi tornata ad assumere
un importante ruolo attivo e ha riconquistato una propria riconosciuta
presenza costruttiva e propositiva. Anche l’energica e determinata azione
legale in difesa della onorabilità e dei diritti costituzionali di cui i massoni,
come cittadini di uno stato di diritto e democratico, devono godere, ha ot-
tenuto notevoli risultati. Nel 2001 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha
accolto il ricorso presentato dal GOI contro la legge regionale delle Mar-
che, che obbligava chi concorre per cariche pubbliche a dichiarare la pro-
pria «non appartenenza alla massoneria», condannando lo stato italiano
per aver violato, in pregiudizio dei massoni, la libertà di associazione. Solo
nel 2005 la Regione Marche ha abrogato le norme che discriminavano i li-
beri muratori. Pertanto con il nuovo millennio si è aperta una stagione di
rispetto, di dialogo, di confronto con il mondo profano che chiede sempre
di più di conoscere, di capire la libera muratoria. Ed è allo scopo di rispon-
dere a questa voglia d’informazione e conoscenza che la biblioteca centra-
le, dopo anni di totale abbandono, è stata completamente rinnovata e si è
arricchita di migliaia di volumi diventando una prestigiosa struttura cultu-
rale, nell’ambito del quale si tengono con frequenza presentazioni di libri,
incontri e discussioni con autori, editori e intellettuali, profani e non. Lo
stesso dicasi per l’archivio storico che è stato aperto agli studiosi che han-
no potuto accedere alle fonti originali per completare i loro studi e dare al-
le stampe fondamentali opere storiche come la storia della massoneria dal
Risorgimento all’avvento del fascismo di Fulvio Conti e del Grande Oriente
in esilio di Santi Fedele, solo per citare le opere più recenti e di respiro na-
zionale. Con questa apertura voluta dal Gran Maestro Raffi il GOI non è
stato più oggetto da parte dei mass-media di campagne di demonizzazio-
ne, che lo avevano identificato con il lato oscuro della società, perché
l’opinione pubblica ha capito che i massoni sono uomini che non hanno

79
Storia della Massoneria Italiana

certezze dogmatiche, non si ritengono depositari di nessuna verità. Sono al


contrario uomini del dubbio, che sanno di non sapere, e che nelle logge
non tramano o complottano ma studiano e si impegnano a essere laici, a-
perti e tolleranti, proprio perché diversi e molteplici sono i modi di essere
degli uomini nella società. Quindi non assertori di un relativismo post-
moderno, ma uomini alla continua ricerca della verità attraverso il sapere,
il dialogo, la solidarietà e la tolleranza. Con il fine di condividere, attraverso
una incisiva opera di trasparenza e di comunicazione, con la società italia-
na i valori universali che derivano dalla tradizione bicentenaria del GOI e
plurisecolare della libera muratoria. Il rispetto di cui la massoneria di Pa-
lazzo Giustiniani gode ora da parte del mondo profano è anche il frutto di
un franco esercizio di responsabile autocritica sul proprio passato e un
continuo interrogarsi sui modi di rapportarsi e di comunicare con la società
civile, con la capacità di presentarsi con le proprie idee, principî e propo-
ste, rivendicando con orgoglio la propria tradizione e il proprio modo di es-
sere, al fine di contribuire al dibattito culturale e sociale e al benessere
dell’umanità in modo critico e originale. Ma la trasparenza, il dialogo con la
società, il dibattere temi d’attualità non ha voluto dire rinunciare al senso
della riservatezza, che deve riguardare i lavori rituali e la vita privata dei
fratelli. La ricerca esoterica e la ritualità costituiscono una parte fonda-
mentale della tradizione massonica del GOI. Il lavoro nelle logge è rimasto
il principale mezzo per il miglioramento dei massoni e il rito e la simbologia
sono un momento indispensabile per la maturazione e la crescita
dell’iniziato e quindi, di conseguenza, dell’officina e dell’Istituzione. Non è
altresì diminuito il secolare impegno di sostegno umano e finanziario verso
diverse istituzioni, massoniche e profane, che svolgono un’azione di solida-
rietà nei confronti dei più deboli e di tutela dei diritti umani. Questa nuova
immagine seria e positiva che il GOI ha acquisito in questi anni ha avuto ri-
cadute positive anche nelle relazioni con le Obbedienze massoniche rego-
lari e si sono ottenuti concreti risultati sul piano della credibilità. In questo
quinquennio si è registrato un costante aumento di reciproci riconosci-
menti e la ripresa di alcuni rapporti (Svizzera, Spagna, Belgio e Portogallo)
in passato sospesi o interrotti a causa delle note vicende del decennio
scorso. L’apertura verso l’esterno è stata anche accompagnata, durante la
gran maestranza di Raffi, da una vigorosa azione di rinnovamento della
struttura e da significative riforme per eliminare disfunzioni organizzative e
procedure elettorali che potevano favorire fenomeni riprovevoli come i
voti di scambio o la creazione di logge solo a fini elettorali. Ci riferiamo alla

80
Studi sulla Massoneria

riforma elettorale fondata sul principio Un Maestro, Un Voto approvata


nel 2000, che impedisce condizionamenti interni ed esterni, rende inutile
la costituzione di logge per meri fini elettorali e assicura la libertà e la se-
gretezza del voto. Un altro punto qualificante della riforma è stata
l’introduzione del sistema della lista bloccata (il voto per il Gran Maestro
vale anche per i membri della Giunta da lui proposti), che ha evitato nelle
elezioni del 2004 e per quelle che si terranno in futuro il rischio di giunte
difficilmente governabili perché composte con membri di altre liste. Lo
stesso principio è stato applicato per l’elezione dei presidenti e dei dignita-
ri dei Collegi circoscrizionali dei Maestri Venerabili. Accanto a queste ri-
forme un altro grande sforzo è stato fatto nella direzione della razionaliz-
zazione e miglioramento delle strutture amministrative e nell’acquisizione
di nuove case massoniche per consentire i lavori delle logge in templi pre-
stigiosi e funzionali, e grazie alla pubblicazione del bollettino «Erasmo No-
tizie» tutti i fratelli della Comunione sono sempre stati aggiornati sul lavo-
ro della Giunta, sulle attività coordinate a livello nazionale e periferico e
sugli articoli che i mass-media dedicavano al GOI. Come conseguenza tan-
gibile della politica di trasparenza e del clima d’ottimismo che si è creato
nel quinquennio 1999-2004, il GOI, dopo anni di flessione degli iscritti, ha
riguadagnato consensi e incrementato il numero degli affiliati fino a supe-
rare la quota 15.000, abbassando, nel contempo, l’età media dei suoi
membri a 53 anni e quella dei nuovi dei nuovi affiliati a 43 anni. Nelle ele-
zioni del 2004 il Gran Maestro Gustavo Raffi è stato riconfermato per il
prossimo quinquennio insieme alla sua lista composta da Massimo Bianchi
e Giuseppe Anania, Gran Maestri Aggiunti; Sergio Longanizzi, Primo Sorve-
gliante; Ugo Bellantoni, Secondo Gran Sorvegliante; Brunello Palma, Gran-
de Oratore; Antonio Catanese, Gran Tesoriere e Giuseppe Abramo, Gran
Segretario. Trasparenza e dialogo sono state le parole d’ordine della lista
Raffi per il prossimo mandato che scadrà nel 2009 e la maggioranza dei
Maestri Massoni del GOI, riconfermando la fiducia al Gran Maestro, desi-
derano che si continui quel processo di rinnovamento che ha contribuito a
togliere l’Istituzione dall’isolamento e creato le premesse per una maggio-
re conoscenza e considerazione dei principi e delle finalità della massone-
ria. Le manifestazioni svoltesi nel 2005 in occasione del bicentenario della
fondazione del GOI, primo grande impegno della nuova Giunta, sono state
l’occasione per ribadire questi principi perché, come ha detto il Gran Mae-
stro, «da duecento anni il Grande Oriente d’Italia si pone come una Istitu-
zione di Uomini liberi i cui destini si sono intrecciati con la storia del pro-

81
Storia della Massoneria Italiana

gresso e delle conquiste democratiche del nostro Paese. Queste le ragioni


che ci hanno indotto a proporre alla società e agli stessi Liberi Muratori un
lungo viaggio attraverso la massoneria, per visitarne e studiarne gli aspetti
storici, ideali, sociali, pedagogici ed esoterici: le tappe di un cammino che
si è sviluppato per duecento anni possono sicuramente offrire una chiave
di lettura in più dei grandi avvenimenti e delle grande trasformazioni che
hanno contrassegnato le dinamiche della storia patria e, nel contempo,
contribuire a eliminare interessati pregiudizi che ancora, anche se in misu-
ra minore, sopravvivono nei nostri confronti. La massoneria - ha aggiunto il
Gran Maestro Raffi - è un’Istituzione che, nelle sue finalità, nella sua pro-
gettualità non ha nulla da nascondere. È parte viva della società civile cui
intende portare il proprio contributo di uomini e di idee. Non siamo una
società segreta e non tolleriamo Logge coperte: la nostra è una Istituzione
esclusivamente dedita alla diffusione e promozione dei valori di tolleranza,
libertà, uguaglianza, dialogo civile e fratellanza, il Grande Oriente d’Italia si
è, infatti, da sempre battuto per la difesa di valori universali, contribuendo,
per esempio, alla redazione della Carta dei diritti dell’uomo, dando vita a
organismi internazionali finalizzati alla difesa o al ripristino della pace; si
adopera nel campo dell’intervento umanitario, nel volontariato e in altre
attività di carattere solidale e ovunque sia in gioco la libertà e la dignità
dell’essere umano; è impegnato nella difesa della libertà della scienza nei
confronti di ogni fondamentalismo; crede fermamente nella scuola pubbli-
ca per promuovere il principio della libertà religiosa, educare al rispetto di
tutte le fedi ed escludere qualsiasi processo di ghettizzazione. Attraverso le
celebrazione per i nostri duecento anni di storia intendiamo rilanciare il
senso del nostro rinnovato impegno e della nostra capacità di offrire nelle
Logge un momento di ricerca, di educazione civile, etica e morale: una ric-
chezza che mettiamo a disposizione del Paese per rafforzarne e accrescer-
ne i valori su cui esso si fonda».

82
Studi sulla Massoneria

Lettera Apostolica In eminenti di Clemente XII del 24 aprile 1738

Bolla Providas Romanorum Pontificum di Benedetto XIV del 18


maggio 1751

La prima condanna ad opera delle autorità pontificie che venne emes-


sa il 28 aprile 1738 dal pontefice fiorentino Clemente XII, nato Lorenzo
Corsini, con la lettera apostolica In eminenti.
In verità i papi non furono i primi a condannare la massoneria perché già
tre anni prima l’Olanda aveva preso misure contro l’attività delle logge e
in Francia, il 14 settembre 1737, venne proibita
dal primo ministro, il Card. Fleury, ogni adunanza
dell’associazione dei frey-maçons. Analoghi prov-
vedimenti vennero in seguito adottati da altri pae-
si.
Questi precedenti repressivi furono approvati
nella condanna di Clemente XII che ricordava co-
me già molti stati avessero proibito le riunioni dei
framassoni e rinnovava l’esortazione «che nessuno,
per nessun pretesto o titolo colorato, osi o presuma
Clemente XII di iscriversi alle dette società dei Liberi Muratori o
Francs-Maçons o altrimenti nominate».
La bolla In Eminenti condannava la massoneria per una serie di moti-
vi sia di carattere politico che religioso di cui i principali erano: la masso-
neria raccoglieva uomini di ogni fede religiosa che «si legano reciproca-
mente con un patto tanto stretto quanto impenetrabile, secondo leggi e
statuti da essi stabiliti, e si obbligano con giuramento prestato sulla Bib-
bia e sanzionato da gravi pene, a occultare con un silenzio inviolabile
tutto ciò che fanno nell’oscurità del segreto»; attentava la pace e la stabi-
lità degli stati perché « da queste associazioni derivano grandi mali alla
tranquillità degli stati temporali e non possono conciliarsi con le leggi ci-
vili» e infine perché ostacolava la salvezza delle anime. Per questi motivi
e «per altri giusti e ragionevoli motivi a Noi noti» chi avesse aderito o in
qualche modo « presuma propagarle, aiutarle, accoglierle nella propria
casa o altrove, occultarle, esservi iscritto o aggregato, parteciparvi, dare
il permesso o facilitare la loro convocazione in qualche luogo, prestar loro
qualunque appoggio, oppure consigliarle, aiutarle o favorirle in qualun-
que modo, in occulto o apertamente, direttamente o indirettamente, di
persona o per mezzo di altri; esortare, indurre, spingere o persuadere altri

83
Massoneria e Chiesa Cattolica

ad iscriversi.» incorreva nella scomunica ipso facto.


Sicuramente il comune denominatore che legava le misure repressive
dei governi europei e la scomunica clementina era la clandestinità delle
riunioni e il giuramento di segretezza sui lavori svolti. Questi due ele-
menti furono all’origine delle misure adottate contro la libera muratoria
negli stati europei e nell’Impero ottomano prima e dopo la scomunica di
Clemente XII.
Vararono provvedimenti antimassonici nel 1737 il Governo di Luigi
XV di Francia e il principe elettore di Mannheim nel Palatinato; nel 1738
i magistrati della Città di Amburgo ed il re Federico I di Svezia; nel 1743
l'Imperatrice Maria Teresa d'Austria; nel 1744 le autorità di Avignone,
Parigi e Ginevra; nel 1745 il Consiglio del Cantone di Berna, il Concistoro
della Città di Hannover e il Capo della Polizia di Parigi; nel 1748 il gran
sultano di Costantinopoli; nel 1751 il re Carlo VII di Napoli (futuro Carlo
III di Spagna) e suo fratello Fernando VI di Spagna; nel 1755 gli Stati
Generali d'Olanda; nel 1756 il Cantone di Ginevra; nel 1763 i Magistrati
di Danzica; nel 1770 il governatore dell'Isola di Madeira e il Governo di
Berna e Ginevra; nel 1784 il principe di Monaco e l'Elettore di Baviera
Carlo Teodoro; nel 1785 il Gran Duca del Baden e l'Imperatore d'Austria
Giuseppe II; nel 1794 l'Imperatore di Germania Francesco II, il Re di
Sardegna Vittorio Amedeo e l'Imperatore russo Paolo I.
Il concetto venne ribadito nell’editto promulgato nel 1739 dal Segreta-
rio di Stato vaticano, Card. Firrao, che di fatto
applicava operativamente la condanna. L’editto
bollava la massoneria come sospetta d’eresia e ne-
mica della religione cattolica affermando che « poi-
ché tali aggregazioni, adunanze e conventicole non
solo sono sospette di occulta eresia, ma inoltre sono
pericolose alla pubblica quiete e alla sicurezza dello
Stato della Chiesa, giacché se non contenessero
materie contrarie alla fede ortodossa e alla stabilità
e quiete della cosa pubblica, non userebbero tanti
Cardinale Firrao, se- vincoli di segretezza» e chi avesse partecipato alle
gretario di Stato sue riunioni sarebbe stato condannato alla pena di
morte e alla confisca dei beni da «incorrersi irrime-
diabilmente e senza speranza di grazia». Chi avesse trasgredito avrebbe
attirato su di se oltre le pene temporali «L’ira di Dio e dei santi apostoli
Pietro e Paolo».

84
Studi sulla Massoneria

La prima ricaduta repressiva della condanna pon-


tificia avvenne non a caso nella terra natale di Lo-
renzo Corsini, in quella Firenze dove fin dal 1731 era
stata fondata una loggia ad opera di alcuni inglesi.
Tra i personaggi più in vista la loggia fiorentina an-
noverava gli italiani Antonio Cocchi, Antonio Nicco-
lini e Tommaso Crudeli. E proprio sul poeta Tomma-
so Crudeli che l’inquisizione diresse le sue accuse per
condannare la massoneria nel Granducato. Dopo un
processo farsa Crudeli venne condannato al carcere e
in seguito esiliato a Poppi e a Pontedera. Poté far ri-
Editto del Cardi-
torno a Firenze nel 1745 dove poco dopo morì a se-
nale Firrao
guito dei maltrattamenti patiti.
(1739)
Il 18 maggio 1751 venne emessa la seconda condanna per opera del
famoso Card. Prospero Lambertini, elevato al trono di S. Pietro con il
nome di Benedetto XIV (1740-1758).

Il successore di Clemente XII, conosciuto universalmente come uomo


di rara cultura e umanità, ribadì nella Bolla Provi-
das Romanorum Pontificum quanto espresso nella
precedente condanna. Due furono i motivi che spin-
sero Benedetto XIV a reiterare la scomunica 13 anni
dopo la prima condanna: la diffusione, soprattutto
nell’Italia meridionale, di logge massoniche e la
smentita categorica delle voci ricorrenti di una sua
simpatia verso l’istituzione libero-muratoria. Oltre
alla denuncia del segreto rituale suggellato da un
giuramento dei lavori compiuti in loggia, Prospero
Lambertini si appellava ai governi europei perché
Benedetto XIV applicassero le costituzioni ecclesiastiche per difen-
dere sia l’integrità della fede che l’autorità delle istituzioni civili. La
grande novità della bolla benedettina consistette nel ribadire le disposi-
zioni del diritto romano contro i collegia illicita, disposizioni che proibi-
vano le associazioni formate senza il consenso della pubblica autorità.
Qui è importante far notare che la illiceità, dal punto di vista giuridico,
di tale associazione, influì a farla considerare e a ritenerla illecita anche
sotto quello morale.
Si ebbe così una chiara trasposizione e petizione di principio, in tale
motivazione. Accadde allora che nelle nazioni a sistema confessionale i

85
Massoneria e Chiesa Cattolica

massoni furono perseguitati non come tali, bensì per offesa alla religione
cattolica e che il delitto di massoneria si basava sulla lesione dell'ordina-
mento religioso cattolico. Poiché questo era considerato come base della
costituzione degli Stati cattolici, il delitto ecclesiastico automaticamente
passava ad essere concepito e castigato come delitto politico.
Il primo ad accogliere le direttive del Papa fu il re di Napoli, Carlo
VII, che ricevette in anteprima il testo della bolla papale scritta soprat-
tutto per contrastare il rifiorire di logge nel suo re-
gno.
La bolla venne consegnata dal gesuita Francesco
Maria Pepe, famoso predicatore dei lazzeri e acceso
antisemita, e Carlo di Borbone rispose immediata-
mente inviando la minuta del suo Editto che venne
pubblicato il 2 luglio 1752. In questa pronta ed en-
tusiastica risposta Benedetto XIV ravvisò con sod-
disfazione che la sua tesi della stretta alleanza tra
trono e altare per combattere la massoneria era con-
divisa proprio da quel Re che solo sei anni prima a-
Editto di Carlo veva tolto ai vescovi ogni autorità in materia civile
creando un grave contrasto tra il regno borbonico e
III di condanna
la Santa Sede.
della massoneria Contemporaneamente alla pubblicazione dell’edit-
(1751)
to, Napoli venne messa a soqquadro dalla massa dei lazzeri, che istigati
da padre Pepe, si scagliarono contro la massoneria
accusata tra l’altro di essere la causa del mancato
miracolo di San Gennaro nel 1751. Il capro espia-
torio di questa rivolta popolare fu il Gran Maestro
della massoneria napoletana, il principe Raimondo
Di Sangro, indicato per le sue ricerche chimiche e
le invenzioni bizzarre come un mago e un eretico.
Il principe di Sangro, con un’abile politica fatta di
ritrattazioni e difesa dell’ordine libero-muratorio
partenopeo, riuscì a convincere le autorità che la
«conventicola dei franç-masons» non era pericolosa Lettera di Carlo
e di conseguenza rese mite la repressione. Infatti IIII a Benedetto
Carlo VII si limitò a sequestrare le carte delle logge XIV dopo la con-
e infliggere agli appartenenti una solenne ammoni- danna pontificia
zione dopo che questi avessero sconfessato i principi
(1751)
della setta davanti a un giudice competente per ogni ceto.

86
Studi sulla Massoneria

Peggior sorte toccò invece negli Stati Pontifici al famoso ed enigmati-


co Giuseppe Balsamo detto Conte di Cagliostro. Dopo aver attraversato
in lungo e in largo l’Europa dei Lumi, lasciandosi dietro una fama di ma-
go e guaritore, Cagliostro venne arrestato nel 1789 e processato dal Santo
Uffizio con l’accusa di essere un mago, eretico e libero muratore. Agli oc-
chi della chiesa la colpa più grave era che Cagliostro avesse fondato una
obbedienza denominata Massoneria Egiziana di Alta Scienza, di cui si
proclamava Gran Maestro o «Grande Cofto». Ma non solo. Cagliostro
tentò, tramite la mediazione del Cardinale di Rohan e del vescovo di
Trento, Conte di Thum, di ottenere il riconoscimento del suo rito da par-
te di Pio VI.
Questo tentativo scatenò la reazione della componente più antimasso-
nica e conservatrice della Curia romana che ordinò l’arresto di Cagliostro
e chiese la condanna a morte per essere stato il «ristoratore e propugna-
tore in una gran parte del mondo della massoneria egiziana, e che questa
stessa aveva esercitato in Roma». Il processo venne accompagnato da un
rogo purificatore dei libri e degli arredi della loggia di Cagliostro in piazza
Santa Maria sopra Minerva non distante da Campo de’ Fiori, famosa per
un altro rogo dove perse la vita Giordano Bruno.
Dopo che la condanna a morte venne tramutata in carcere a vita Giu-
seppe Balsamo venne rinchiuso nella fortezza di San Leo il 22 aprile 1791
e quattro anni dopo morì per le torture e le vessazioni subite.
Il processo contro Cagliostro servì alla Chiesa cattolica per avvalorare
la tesi della pericolosità politica e sociale, sostenuta da Benedetto XIV,
della «nefanda setta massonica» alla vista dei fatti rivoluzionari che sta-
vano sconvolgendo la Francia e di cui si sospettava l’esistenza di un
complotto internazionale.

In eminenti
Papa Clemente Vescovo servo dei servi di Dio
A tutti i fedeli, salute e Apostolica Benedizione.
Posti per volere della Clemenza Divina, benché indegni, nell’eminente Se-
de dell’Apostolato, onde adempiere al debito della Pastorale provvidenza
affidato a Noi, con assidua diligenza e con premura, per quanto Ci è con-
cesso dal Cielo, abbiamo rivolto il pensiero a quelle cose per mezzo delle
quali — chiuso l’adito agli errori ed ai vizi — si conservi principalmente
l’integrità della Religione Ortodossa, e in questi tempi difficilissimi ven-
gano allontanati da tutto il mondo Cattolico i pericoli dei disordini.
Già per la stessa pubblica fama Ci è noto che si estendono in ogni

87
Massoneria e Chiesa Cattolica

direzione, e di giorno in giorno si avvalorano, alcune


Società, Unioni, Riunioni, Adunanze, Conventicole o
Aggregazioni comunemente chiamate dei Liberi mu-
ratori o des Francs Maçons, o con altre denominazioni
chiamate a seconda della varietà delle lingue, nelle
quali con stretta e segreta alleanza, secondo loro Leg-
gi e Statuti, si uniscono tra di loro uomini di qualun-
que religione e setta, contenti di una certa affettata
apparenza di naturale onestà. Tali Società, con stret-
to giuramento preso sulle Sacre Scritture, e con esa-
gerazione di gravi pene, sono obbligate a mantenere
Lettera apostoli- un inviolabile silenzio intorno alle cose che esse
ca In eminenti compiono segretamente.
di Clemente XII Ma essendo natura del delitto manifestarsi da se
(1738) stesso e generare il rumore che lo denuncia, ne deriva
che le predette Società o Conventicole hanno prodotto tale sospetto nelle
menti dei fedeli, secondo il quale per gli uomini onesti e prudenti
l’iscriversi a quelle Aggregazioni è lo stesso che macchiarsi dell’infamia di
malvagità e di perversione: se non operassero iniquamente, non odiereb-
bero tanto decisamente la luce. Tale fama è cresciuta in modo così consi-
derevole, che dette Società sono già state proscritte dai Prìncipi secolari
in molti Paesi come nemiche dei Regni, e sono state provvidamente eli-
minate.
Noi pertanto, meditando sui gravissimi danni che per lo più tali Società o
Conventicole recano non solo alla tranquillità della temporale Repubbli-
ca, ma anche alla salute spirituale delle anime, in quanto non si accorda-
no in alcun modo né con le Leggi Civili né con quelle Canoniche; ammae-
strati dalle Divine parole di vigilare giorno e notte, come servo fedele e
prudente preposto alla famiglia del Signore, affinché questa razza di uo-
mini non saccheggi la casa come ladri, né come le volpi rovini la Vigna;
affinché, cioè, non corrompa i cuori dei semplici né ferisca occultamente
gl’innocenti; allo scopo di chiudere la strada che, se aperta, potrebbe im-
punemente consentire dei delitti; per altri giusti e razionali motivi a Noi
noti, con il consiglio di alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della
Santa Romana Chiesa, a ancora motu proprio, con sicura scienza, matura
deliberazione e con la pienezza della Nostra Apostolica potestà, decretia-
mo doversi condannare e proibire, come con la presente Nostra Costitu-
zione, da valere in perpetuo, condanniamo e proibiamo le predette Socie-
tà, Unioni, Riunioni, Adunanze, Aggregazioni o Conventicole dei Liberi

88
Studi sulla Massoneria

Muratori o des Francs Maçons, o con qualunque altro nome chiamate.


Pertanto, severamente, ed in virtù di santa obbedienza, comandiamo a
tutti ed ai singoli fedeli di qualunque stato, grado, condizione, ordine, di-
gnità o preminenza, sia Laici, sia Chierici, tanto Secolari quanto Regolari,
ancorché degni di speciale ed individuale menzione e citazione, che nessu-
no ardisca o presuma sotto qualunque pretesto o apparenza di istituire,
propagare o favorire le predette Società dei Liberi Muratori o Francs Ma-
çons o altrimenti denominate; di ospitarle o nasconderle nelle proprie case
o altrove; di iscriversi ed aggregarsi ad esse; di procurare loro mezzi, fa-
coltà o possibilità di convocarsi in qualche luogo; di somministrare loro
qualche cosa od anche di prestare in qualunque modo consiglio, aiuto o
favore, palesemente o in segreto, direttamente o indirettamente, in pro-
prio o per altri, nonché di esortare, indurre, provocare o persuadere altri
ad iscriversi o ad intervenire a simili Società, Unioni, Riunioni, Adunan-
ze, Aggregazioni o Conventicole, sotto pena di scomunica per tutti i con-
travventori, come sopra, da incorrersi ipso facto, e senza alcuna dichiara-
zione, dalla quale nessuno possa essere assolto, se non in punto di morte,
da altri all’infuori del Romano Pontefice pro tempore.
Vogliamo inoltre e comandiamo che tanto i Vescovi, i Prelati Superiori e
gli altri Ordinari dei luoghi, quanto gl’Inquisitori dell’eretica malvagità
deputati in qualsiasi luogo, procedano e facciano inquisizione contro i
trasgressori di qualunque stato, grado, condizione, ordine dignità o pre-
minenza, e che reprimano e puniscano i medesimi con le stesse pene con le
quali colpiscono i sospetti di eresia. Pertanto concediamo e attribuiamo
libera facoltà ad essi, e a ciascuno di essi, di procedere e di inquisire con-
tro i suddetti trasgressori, e di imprigionarli e punirli con le debite pene,
invocando anche, se sarà necessario, l’aiuto del braccio secolare.
Vogliamo poi che alle copie della presente, ancorché stampate, sottoscrit-
te di mano di qualche pubblico Notaio e munite di sigillo di persona costi-
tuita in dignità Ecclesiastica, sia prestata la stessa fede che si presterebbe
alla Lettera se fosse esibita o mostrata nell’originale.
A nessuno dunque, assolutamente, sia permesso violare, o con temerario
ardimento contraddire questa pagina della Nostra dichiarazione, condan-
na, comandamento, proibizione ed interdizione. Se qualcuno osasse tanto,
sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli
Pietro e Paolo.

89
Massoneria e Chiesa Cattolica

Clemente P.P. XII

Providas Romanorum Pontificum

Bolla Providas Romanorum Pontificum di Benedetto XIV (1751)


Giudichiamo doveroso, con un nuovo intervento della Nostra autorità,
sostenere e confermare – in quanto lo richiedono giusti e gravi motivi – le
provvide leggi e le sanzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori:
non soltanto quelle leggi e quelle sanzioni il cui vigore o per il processo
del tempo o per la noncuranza degli uomini temiamo si possano rallenta-
re od estinguere, ma anche quelle che recentemente hanno ottenuto forza
e pieno vigore.
I. Di fatto Clemente XII, Nostro Predecessore di fe-
lice memoria, con propria Lettera apostolica del
28 aprile dell’anno dell’Incarnazione del Signore
1738, anno ottavo del suo Pontificato – Lettera
diretta a tutti i fedeli e che comincia In eminenti
– condannò per sempre e proibì alcune Società,
Unioni, Riunioni, Adunanze, Conventicole o Ag-
gregazioni volgarmente chiamate dei Liberi Mu-
ratori o des Francs Maçons, o diversamente de-
nominate, già allora largamente diffuse in certi
Paesi e che ora sempre più aumentano. Egli vietò
Bolla Providas
a tutti e ai singoli Cristiani (sotto pena di sco-
munica da incorrersi ipso facto senza alcuna di- Romanorum
chiarazione, dalla quale nessuno potesse essere Pontificum di
assolto da altri, se non in punto di morte, Benedetto XIV
all’infuori del Romano Pontefice pro tempore) di (1751)
tentare o ardire di entrare in siffatte Società,
propagarle o prestare loro favore o ricetto, occultarle, iscriversi ad es-
se, aggregarsi o intervenirvi, ed altro, come nella stessa Lettera più
largamente e più ampiamente è contenuto.
II. Ma poiché, per quanto Ci è stato riferito, alcuni non hanno avuto dif-
ficoltà di affermare e diffondere pubblicamente che la detta pena di
scomunica imposta dal Nostro Predecessore non è più operante per-
ché la relativa Costituzione non è poi stata da Noi confermata, quasi
che sia necessaria, perché le Apostoliche Costituzioni mantengano
validità, la conferma esplicita del successore;
III. ed essendo stato suggerito a Noi, da parte di alcune persone pie e ti-

90
Studi sulla Massoneria

morate di Dio, che sarebbe assai utile eliminare tutti i sotterfugi dei
calunniatori e dichiarare l’uniformità dell’animo Nostro con
l’intenzione e la volontà dello stesso Predecessore, aggiungendo alla
sua Costituzione il nuovo voto della Nostra conferma;
IV. Noi certamente, fino ad ora, quando abbiamo benignamente conces-
so l’assoluzione dalla incorsa scomunica, sovente prima e principal-
mente nel passato anno del Giubileo, a molti fedeli veramente pentiti
e dolenti di avere trasgredito le leggi della stessa Costituzione e che
assicuravano di cuore di allontanarsi completamente da simili Socie-
tà e Conventicole, e che per l’avvenire non vi sarebbero mai tornati;
o quando accordammo ai Penitenzieri da Noi delegati la facoltà di
impartire l’assoluzione a Nostro nome e con la Nostra autorità a co-
loro che ricorressero ai Penitenzieri stessi; e quando con sollecita vigi-
lanza non tralasciammo di provvedere a che dai competenti Giudici e
Tribunali si procedesse in proporzione del delitto compiuto contro i
violatori della Costituzione stessa, il che fu effettivamente più volte
eseguito; abbiamo certamente fornito argomenti non solo probabili
ma del tutto evidenti ed indubitabili, attraverso i quali si sarebbero
dovute comprendere le disposizioni dell’animo Nostro e la ferma e de-
liberata volontà consenzienti con la censura imposta dal predetto
Clemente Predecessore. Se un’opinione contraria si divulgasse intor-
no a Noi, Noi potremmo sicuramente disprezzarla e rimettere la No-
stra causa al giusto giudizio di Dio Onnipotente, pronunciando quelle
parole che un tempo si recitavano nel corso delle sacre funzioni:
"Concedi o Signore, te ne preghiamo, che Noi non curiamo le calunnie
degli animi perversi, ma conculcata la perversità medesima supplichia-
mo che Tu non permetta che siamo afflitti dalle ingiuste maldicenze o
avviluppati dalle astute adulazioni, ma che amiamo piuttosto ciò che Tu
comandi". Così riporta un antico Messale attribuito a San Gelasio,
Nostro Predecessore, e che dal Venerabile Servo di Dio il Cardinale
Giuseppe Maria Tommasi fu inserito nella Messa che s’intitola Contro
i maldicenti.
V. Tuttavia, affinché non si potesse dire che Noi avevamo imprudente-
mente omesso qualche cosa, al fine di eliminare agevolmente i prete-
sti alle menzognere calunnie e chiudere loro la bocca; udito prima il
consiglio di alcuni Venerabili Nostri Fratelli Cardinali della Santa
Romana Chiesa, abbiamo decretato di confermare la stessa Costitu-
zione del Nostro Predecessore, parola per parola, come sopra riporta-
to in forma specifica, la quale sia considerata come la più ampia ed

91
Massoneria e Chiesa Cattolica

efficace di tutte: la confermiamo, convalidiamo, rinnoviamo e vo-


gliamo e decretiamo che abbia perpetua forza ed efficacia per Nostra
sicura scienza, nella pienezza della Nostra Apostolica autorità, se-
condo il tenore della medesima Costituzione, in tutto e per tutto, co-
me se fosse stata promulgata con Nostro motu proprio e con la Nostra
autorità, e fosse stata pubblicata per la prima volta da Noi.
VI. Per la verità, fra i gravissimi motivi delle predette proibizioni e con-
danna esposti nella sopra riportata Costituzione ve n’è uno, in forza
del quale in tali Società e Conventicole possano unirsi vicendevol-
mente uomini di qualsiasi religione e setta; è chiaro quale danno si
possa recare alla purezza della Religione Cattolica. Il secondo moti-
vo è la stretta e impenetrabile promessa di segreto, in forza del qua-
le si nasconde ciò che si fa in queste adunanze, cui meritamente si
può applicare quella sentenza che Cecilio Natale, presso Minucio
Felice, addusse in una causa ben diversa: "Le cose oneste amano sem-
pre la pubblica luce; le scelleratezze sono segrete". Il terzo motivo è il
giuramento con il quale s’impegnano ad osservare inviolabilmente
detto segreto, quasi che sia lecito a qualcuno, interrogato da legit-
timo potere, con la scusa di qualche promessa o giuramento di sot-
trarsi all’obbligo di confessare tutto ciò che si ricerca, per conoscere
se in tali Conventicole si faccia qualche cosa contraria alla stabilità
e alle leggi della Religione e della Repubblica. Il quarto motivo è
che queste Società si oppongono alle Sanzioni Civili non meno che
alle Canoniche, tenuto conto, appunto, che ai sensi del Diritto Civile
si vietano tutti i Collegi e le adunanze formati senza la pubblica au-
torità, come si legge nelle Pandette (libro 47, tit. 22, De Collegiis et
corporibus illicitis), e nella celebre lettera (n. 97 del libro 10) di C.
Plinio Cecilio, il quale, riferisce che fu proibito per suo Editto, giu-
sta il comandamento dell’Imperatore, che si tenessero le Eterie, cioè
che potessero esistere e riunirsi Società e adunanze senza
l’autorizzazione del Principe. Il quinto motivo è che in molti Paesi
le citate Società e Aggregazioni sono già state proscritte e bandite
con leggi dei Principi Secolari. Infine, l’ultimo motivo è che presso
gli uomini prudenti ed onesti si biasimavano le predette Società e
Aggregazioni: a loro giudizio chiunque si iscriveva ad esse incorreva
nella taccia di pravità e perversione.
VII. Infine lo stesso Predecessore nella sopra riportata Costituzione esor-
ta i Vescovi, i Superiori Prelati e gli altri Ordinari dei luoghi a non
trascurare d’invocare l’aiuto del braccio secolare qualora occorra

92
Studi sulla Massoneria

per l’esecuzione di tale disposizione.


VII. Tutte queste cose, anche singolarmente, non solo si approvano e si
confermano da Noi, ma anche si raccomandano e si ingiungono ai
Superiori Ecclesiastici; ma Noi stessi, per debito della Apostolica
sollecitudine, con la presente Nostra Lettera invochiamo e con vivo
affetto ricerchiamo il soccorso e l’aiuto dei Principi Cattolici e dei
secolari Poteri – essendo gli stessi Principi Supremi e Podestà eletti
da Dio quali difensori della fede e protettori della Chiesa – affinché
sia loro cura adoperarsi nel modo più efficace perché alle Apostoli-
che Costituzioni si abbiano il dovuto ossequio e la più assoluta ob-
bedienza. Ciò riportarono alla loro memoria i Padri del Concilio
Tridentino (sess. 25, cap. 20), e molto prima l’aveva egregiamente
dichiarato l’Imperatore Carlo Magno nei suoi Capitolati (tit. I, cap.
2), nei quali, dopo aver comandato a tutti e i suoi sudditi
l’osservanza delle Sanzioni Ecclesiastiche, aggiunse queste parole:
"In nessun modo possiamo conoscere come possano essere fedeli a noi
coloro che si mostrano infedeli a Dio e disubbidienti ai suoi sacerdoti".
Conseguentemente impose a tutti i Presidenti e ai Ministri delle sue
province che obbligassero tutti e i singoli a prestare la dovuta obbe-
dienza alle leggi della Chiesa. Inoltre comminò gravissime pene con-
tro coloro che trascurassero di fare ciò, aggiungendo fra l’altro: "Co-
loro poi che in queste cose (il che non avvenga) saranno trovati negli-
genti e trasgressori, sappiano che non conserveranno gli onori nel nostro
Impero, ancorché siano nostri figlioli; né avranno posto nel Palazzo, né
con noi né coi nostri fedeli avranno società o comunanza, ma piuttosto
pagheranno la pena nelle angustie e nelle ristrettezze".
IX. Vogliamo poi che alle copie della presente, ancorché stampate, sotto-
scritte di mano di qualche pubblico Notaio e munite del sigillo di per-
sona costituita in dignità Ecclesiastica, sia prestata la stessa fede che
si presterebbe alla Lettera se fosse esibita o mostrata nell’originale.
X. A nessuno dunque, assolutamente, sia permesso violare, o con teme-
rario ardimento contraddire questa pagina della Nostra conferma,
innovazione, approvazione, comandamento, invocazione, richiesta,
decreto e volontà. Se qualcuno osasse tanto, sappia che incorrerà nel-
lo sdegno di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Dato in Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 18 marzo dell‟anno


dell‟Incarnazione del Signore 1751, undicesimo anno del Nostro Pontificato.

93
Massoneria e Chiesa Cattolica

Bolla Ecclesiam a Jesu Christo di Pio VII del 13 settembre 1821

Costituzione Quo Graviora di Leone XII del 13 marzo 1825

La Rivoluzione francese, con i suoi aneliti di libertà, eguaglianza e fra-


tellanza, venne ritenuta come figlia della mas-
soneria. Queste tesi, riprese in seguito da nu-
merosi pensatori anti-rivoluzionari che consi-
deravano il protestantesimo e la libero-
muratoria le cause dei mali del mondo, furono
alla base del pensiero reazionario fino in tempi
molto recenti.
Il più famoso di questi pensatori fu l’abate
Barruel, già massone, che scrisse nel suo esilio
londinese il saggio « Mémoires pour servir à
l’histoire du jacobinisme», seguito da una serie
di libelli, come «Les cospirateur desmasques»
di Ferand o «Le voile levé pour les curieux ou
les secrets de la Révolution révélés à l’aide de la Franc-Maçonnerie»
dell’abate Lefranc.
Secondo Barruel la rivoluzione si formò nella scuola dei sofisti empi
dove «non tardarono a formarsi i sofisti del-
la ribellione, e costoro alla cospirazione
dell’empietà contro gli altari di Gesù Cristo,
aggiungendo quella contro tutti i troni dei
re, si riunirono all’antica setta delle infami
logge dei Liberi Muratori, che in progresso
di tempo si burlò dell’onestà stessa de’ suoi
primi seguaci riservando agli eletti il secreto
del suo odio profondo contro la religione di
Cristo e contro i monarchi».
La restaurazione spazzò via gli ideali ri-
voluzionari dal Piemonte alla Sicilia.
Pio VII La massoneria, protetta e strumentaliz-
zata da Napoleone, venne nuovamente
bandita e successivamente accusata di essere la mente occulta della Car-
boneria.
Il 13 settembre 1821 Pio VII (1800-1823) pubblicava la bolla Eccle-
siam a Jesu Christo contro la Damnatio societatis secretae nuncuptae Car-

94
Studi sulla Massoneria

bonariorum.
Anche se diretta espressamente contro la Carboneria questa condanna
è generalmente considerata dagli studiosi un documento antimassonico
in quanto riteneva la Carboneria e la Massoneria le ispiratrici di tutti i
complotti e le congiure contro l’ordine costituito.
Con questa condanna si intendeva colpire il fenomeno delle società se-
grete che incominciavamo a formarsi in quel periodo, di cui, secondo il
Papa, erano della massoneria «imitazioni, se non addirittura emanazio-
ni».
Anche se la Carboneria era una or-
ganizzazione di carattere politico, indi-
pendente dalla massoneria, è evidente il
tentativo di legittimare un pensiero che
collegasse organicamente libera-
muratoria, illuminismo, liberalismo e
movimenti risorgimentali uniti nel co-
spirare contro la Chiesa, non solo intesa
come guida spirituale dei cattolici, ma
come potere temporale negli stati pon-
tifici.
Il successore di Pio VII, Leone XII
(1823-1829), ribadì con la costituzione
Leone XII Quo Graviora (dove riprodusse inte-
gralmente tutti i documenti di condanna delle società segrete promulgati
dai suoi predecessori Clemente XII, Benedetto XIV e Pio VII). la sco-
munica contro ogni società segreta che dovesse «cospirare a detrimento
della Chiesa e dei poteri dello Stato» chiedendo la collaborazione del po-
polo, con la denuncia, e dei governi, con la repressione.
Per Leone XII il fatto che queste società fossero segrete rappresentava
la prova che erano unite da un unico disegno sovversivo.

Ecclesiam a Jesu Christo


Roma, 13 settembre 1821

Il Vescovo Pio, servo dei servi di Dio. A perpetua memoria.


I. La Chiesa fondata da Gesù Cristo Salvatore Nostro sopra solida pietra
(e contro di essa Cristo promise che non sarebbero mai prevalse le
porte dell’inferno) è stata assalita così spesso e da tanti temibili ne-
mici, che se non si frapponesse quella promessa divina che non può

95
Massoneria e Chiesa Cattolica

venir meno, vi sarebbe da temere che essa potesse soccombere, circui-


ta dalla forza o dai vizi o dall’astuzia. Invero, ciò che accadde in altri
tempi si ripete anche e soprattutto in questa nostra luttuosa età che
sembra quell’ultimo tempo preannunciato in passato dall’Apostolo:
"Verranno gli ingannatori che, secondo i loro desideri, cammineranno
nella via dell‟empietà" (Gd 18). Infatti nessuno ignora quanti scellera-
ti, in questi tempi difficilissimi, si siano coalizzati contro il Signore e
contro Cristo Figlio Suo; costoro si adoperano soprattutto (sebbene
con vani sforzi) a travolgere e a sovvertire la stessa Chiesa, ingan-
nando i fedeli (Col 2,8) con una vana e fallace filosofia e sottraendoli
alla dottrina della Chiesa. Per raggiungere più facilmente questo sco-
po, molti di costoro organizzarono occulti convegni e sette clandesti-
ne con cui speravano in futuro di trascinare più facilmente numerosi
individui ad essere complici della loro congiura e della loro iniquità.
II. Già da tempo questa Santa Sede, scoperte tali sette, lanciò l’allarme
contro di esse con alta e libera voce e rivelò le loro trame contro la
Religione e contro la stessa società civile. Già da tempo sollecitò la
vigilanza di tutti perché si guardassero in modo che queste sette non
osassero attuare i loro scellerati propositi. È tuttavia motivo di
rammarico che all’impegno di questa Sede Apostolica non abbia cor-
risposto l’esito cui essa mirava e che quegli uomini scellerati non ab-
biano desistito dalla congiura intrapresa, per cui ne sono derivati in-
fine quei mali che Noi stessi avevamo previsto. Anzi, quegli uomini,
la cui iattanza sempre si accresce, hanno perfino osato creare nuove
società segrete.
III. A questo punto occorre ricordare una società nata di recente e diffu-
sa in lungo e in largo per l’Italia e in altre regioni: per quanto sia di-
visa in numerose sette e per quanto assuma talvolta denominazioni
diverse e distinte tra loro, in ragione della loro varietà, tuttavia essa
è una sola di fatto nella comunanza delle dottrine e dei delitti e nel
patto che fu stabilito; essa viene chiamata solitamente dei Carbonari.
Costoro simulano un singolare rispetto e un certo straordinario zelo
verso la Religione Cattolica e verso la persona e l’insegnamento di
Gesù Cristo Nostro Salvatore, che talvolta osano sacrilegamente
chiamare Rettore e grande Maestro della loro società. Ma questi di-
scorsi, che sembrano ammorbiditi con l’olio, non sono altro che dardi
scoccati con più sicurezza da uomini astuti, per ferire i meno cauti;
quegli uomini si presentano in vesti di agnello ma nell’intimo sono
lupi rapaci.

96
Studi sulla Massoneria

IV. Anche se mancassero altri argomenti, i seguenti persuadono a suffi-


cienza che non si deve prestare alcun credito alle loro parole, cioè : il
severissimo giuramento con cui, imitando in gran parte gli antichi
Priscillanisti, promettono di non rivelare mai e in nessun caso, a co-
loro che non sono iscritti alla società, cosa alcuna che riguardi la stes-
sa società, né di comunicare a coloro che si trovano nei gradi inferiori
cosa alcuna che riguardi i gradi superiori; inoltre, le segrete e illegali
riunioni che essi convocano seguendo l’usanza di molti eretici e la co-
optazione di uomini d’ogni religione e di ogni setta nella loro società.
V. Non occorrono dunque congetture e argomenti per giudicare le loro af-
fermazioni, come più sopra si è detto. I libri da loro pubblicati (nei
quali si descrive il metodo che si suole seguire nelle riunioni dei gradi
superiori), i loro catechismi, gli statuti e gli altri gravissimi, autentici
documenti rivolti a ispirare fiducia, e le testimonianze di coloro che,
avendo abbandonato la società cui prima appartenevano, ne rivela-
rono ai legittimi giudici gli errori e le frodi, dimostrano apertamente
che i Carbonari mirano soprattutto a dare piena licenza a chiunque di
inventare col proprio ingegno e con le proprie opinioni una religione
da professare, introducendo quindi verso la Religione quella indiffe-
renza di cui a malapena si può immaginare qualcosa di più pernicio-
so. Nel profanare e nel contaminare la passione di Gesù Cristo con
certe loro nefande cerimonie; nel disprezzare i Sacramenti della Chie-
sa (ai quali sembrano sostituirne altri nuovi da loro inventati con su-
prema empietà) e gli stessi Misteri della Religione Cattolica; nel sov-
vertire questa Sede Apostolica (nella quale risiede da sempre il pri-
mato della Cattedra Apostolica) (Sant’Agostino, Ep. 43) sono anima-
ti da un odio particolare e meditano propositi funesti e perniciosi.
VI. Non meno scellerate (come risulta dagli stessi documenti) sono le
norme di comportamento che la società dei Carbonari insegna, sebbe-
ne impudentemente si vanti di esigere dai suoi seguaci che coltivino e
pratichino la carità e ogni altra virtù, e che si astengano scrupolosa-
mente da ogni vizio. Pertanto essa favorisce senza alcun pudore le
voluttà più sfrenate; insegna che è lecito uccidere coloro che non ri-
spettarono il giuramento di mantenere il segreto, cui si è fatto cenno
più sopra; e sebbene Pietro principe degli Apostoli (1Pt 2,13) prescri-
va che i Cristiani "siano soggetti, in nome di Dio, ad ogni umana crea-
tura o al Re come preminente o ai Capi come da Lui mandati, ecc.",
sebbene l’Apostolo Paolo (Rm 3,14) ordini che "ogni anima sia sogget-
ta alle potestà più elevate", tuttavia quella società insegna che non co-

97
Massoneria e Chiesa Cattolica

stituisce reato fomentare ribellioni e spogliare del loro potere i Re e


gli altri Capi, che per somma ingiuria osa indifferentemente chiamare
tiranni.
VII. Questi ed altri sono i dogmi e i precetti di questa società, da cui eb-
bero origine quei delitti recentemente commessi dai Carbonari, che
tanto lutto hanno recato a oneste e pie persone. Noi, dunque, che
siamo stati designati come veggenti di quella casa d’Israele che è la
Santa Chiesa e che per il Nostro ufficio pastorale dobbiamo evitare
che il gregge del Signore a Noi divinamente affidato patisca alcun
danno, pensiamo che in una contingenza così grave non possiamo e-
simerci dall’impedire i delittuosi tentativi di questi uomini. Siamo
mossi anche dall’esempio di Clemente XII e di Benedetto XIV di fe-
lice memoria, Nostri Predecessori: il primo, il 28 aprile 1738, con la
Costituzione "In eminenti", e il secondo, il 18 maggio 1751, con la Co-
stituzione "Providas", condannarono e proibirono le società dei Liberi
Muratori, ossia dei Francs Maçons, o chiamate con qualunque altro
nome, secondo la varietà delle regioni e degli idiomi; si deve ritenere
che di tali società sia forse una propaggine, o certo un’imitazione,
questa società dei Carbonari. E sebbene con due editti promulgati
dalla Nostra Segreteria di Stato abbiamo già severamente proscritta
questa società, seguendo tuttavia i ricordati Nostri Predecessori pen-
siamo di decretare, in modo anche più solenne, gravi pene contro
questa società, soprattutto perché i Carbonari pretendono, erronea-
mente, di non essere compresi nelle due Costituzioni di Clemente XII
e di Benedetto XIV né di essere soggetti alle sentenze e alle sanzioni
in esse previste.
VIII. Consultata dunque una scelta Con-
gregazione di Venerabili Fratelli Nostri
Cardinali di Santa Romana Chiesa, con
il loro consiglio ed anche per motu pro-
prio, per certa dottrina e per meditata
Nostra deliberazione, nella pienezza
dell’autorità apostolica abbiamo stabi-
lito e decretato di condannare e di proi-
bire la predetta società dei Carbonari, o
con qualunque altro nome chiamata, le
sue riunioni, assemblee, conferenze, ag-
gregazioni, conventicole, così come con stemma Pio VII
il presente Nostro atto la condanniamo e proibiamo.

98
Studi sulla Massoneria

IX. Pertanto a tutti e a ciascuno dei fedeli di Cristo di qualunque stato,


grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, sia laici sia chierici,
tanto secolari che regolari, degni anche di specifica, individuale ed
esplicita menzione, ordiniamo rigorosamente e in virtù della santa
obbedienza che nessuno, sotto qualsivoglia pretesto o ricercato moti-
vo, osi o pretenda di fondare , diffondere o favorire, e nella sua casa o
dimora o altrove accogliere e nascondere la predetta società dei Car-
bonari, o altrimenti detta, come pure di iscriversi od aggregarsi ad es-
sa o di intervenire a qualunque grado di essa o di offrire la facoltà e
l’opportunità che essa si convochi in qualche luogo o di elargire qual-
cosa ad essa o in altro modo prestare consiglio, aiuto o favore palese
od occulto, diretto o indiretto, per essa stessa o per altri; e ancora di
esortare, indurre, provocare o persuadere altri ad iscriversi, ad aggre-
garsi o a intervenire in tale società o in qualunque grado di essa o di
giovarle o favorirla comunque. I fedeli debbono assolutamente aste-
nersi dalla società stessa, dalle sue adunanze, riunioni, aggregazioni o
conventicole sotto pena di scomunica in cui incorrono sull’istante
tutti i contravventori sopra indicati, senza alcun’altra dichiarazione;
dalla scomunica nessuno potrà venire assolto se non da Noi o dal
Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto di morte.
X. Inoltre prescriviamo a tutti, sotto la stessa pena di scomunica, riser-
vata a Noi e ai Romani Pontefici Nostri Successori, l’obbligo di de-
nunciare ai Vescovi, o ad altri competenti, tutti coloro che sappiano
aver aderito a questa società o che si sono macchiati di alcuno dei de-
litti più sopra ricordati.
XI. Infine, per allontanare con più efficacia ogni pericolo di errore, con-
danniamo e proscriviamo tutti i cosiddetti catechismi e libri dei Car-
bonari, ove costoro descrivono ciò che si è soliti fare nelle loro riunio-
ni; così pure i loro statuti, i codici e tutti i libri scritti in loro difesa,
sia stampati, sia manoscritti. A tutti i fedeli, sotto la stessa pena di
scomunica maggiore parimenti riservata, proibiamo i libri suddetti, o
la lettura o la conservazione di alcuno di essi; e ordiniamo che quei
libri siano consegnati senza eccezione agli Ordinari del luogo o ad al-
tri cui spetti il diritto di riceverli.
XII. Vogliamo inoltre che ai transunti, anche stampati, della presente
Nostra lettera, sottoscritti per mano di qualche pubblico notaio e
muniti del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica, si presti
quella stessa fede che si concederebbe alla lettera originale se fosse
presentata o mostrata.

99
Massoneria e Chiesa Cattolica

XII. Perciò a nessuno sia lecito strappare o contraddire con temeraria


arroganza questo testo della Nostra dichiarazione, condanna, ordine,
proibizione e interdetto. Se qualcuno osasse tentare ciò, sappia che incor-
rerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei beati suoi Apostoli Pietro e
Paolo.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, nell‟anno dell‟Incarnazione
del Signore 1821, il giorno 13 settembre, nell‟anno ventiduesimo del Nostro
Pontificato.
Quo Graviora
Roma, 13 marzo 1825
I Quanto più gravi sono le sciagure che sovrastano il gregge di Cristo
Dio e Salvatore nostro, tanta maggiore sollecitudine devono usare,
per rimuoverle, i Romani Pontefici, ai quali sono stati affidati il po-
tere e l’impegno di pascere e di governare quel gregge in nome del
Beato Pietro, principe degli Apostoli. Compete infatti ad essi, come
a coloro che sono posti nel più alto osservatorio della Chiesa, lo
scorgere più da lontano le insidie che i nemici del nome cristiano or-
discono per distruggere la Chiesa di Cristo, senza che mai possano
conseguire tale scopo; ad essi compete non solo indicare e rivelare le
stesse insidie ai fedeli, perché se ne guardino, ma anche, con la pro-
pria autorità, stornarle e rimuoverle. I Romani Pontefici Nostri
Predecessori compresero quale gravoso incarico fosse loro affidato;
perciò si imposero di vigilare sempre come buoni pastori. Con le e-
sortazioni, gl’insegnamenti, i decreti e dedicando la stessa vita al lo-
ro gregge, ebbero cura di proibire e di distruggere totalmente le set-
te che minacciavano l’estrema rovina della Chiesa. Né la memoria
di questo impegno pontificio può essere desunta soltanto dagli anti-
chi annali ecclesiastici: lo si evince chiaramente dalle azioni compiu-
te dai Romani Pontefici dell’età nostra e dei nostri Padri per oppor-
si alle sette clandestine di uomini nemici di Cristo. Infatti, non ap-
pena Clemente XII, Nostro Predecessore, si avvide che di giorno in
giorno si rafforzava e acquistava nuova consistenza la setta dei Li-
beri Muratori, ossia dei Francs Maçons (o chiamata anche in altro
modo), che per molti validi motivi egli aveva considerata non solo
sospetta ma altresì implacabile nemica della Chiesa Cattolica, la
condannò con una limpida Costituzione che comincia con le parole
In eminenti, pubblicata il 28 aprile 1738 (vedi testo in questa sezio-
ne)

100
Studi sulla Massoneria

II Questi provvedimenti, tuttavia, non apparvero sufficienti a Bene-


detto XIV, altro Nostro Predecessore di veneranda memoria. Nei
discorsi di molti era diffusa la convinzione che la pena della scomu-
nica irrogata nella lettera del defunto Clemente XII fosse inoperan-
te perché Benedetto non aveva confermato quella lettera. In verità,
era assurdo affermare che le leggi dei Pontefici precedenti diventano
obsolete qualora non siano espressamente approvate dai Successori;
inoltre era evidente che da Benedetto, più di una volta, era stata ra-
tificata la Costituzione di Clemente. Tuttavia Benedetto decise di
sottrarre anche questo cavillo dalle mani dei settari, pubblicando il
18 marzo 1751 una nuova Costituzione che comincia con la parola
Providas. In essa riportò, parola per parola, la Costituzione di Cle-
mente e la confermò, come suol dirsi, in forma specifica, che è con-
siderata la forma più ampia e più efficace fra tutte. (vedi testo in
questa sezione)
III. Oh, se i potenti di allora avessero preso in considerazione questi de-
creti, come lo richiedeva la salvezza della Chiesa e dello Stato! Oh,
se si fossero persuasi di dover vedere nei Romani Pontefici Succes-
sori del Beato Pietro non solo i pastori e i maestri della Chiesa uni-
versale, ma anche i valenti difensori della loro dignità e gli attenti
indicatori degli imminenti pericoli! Oh, se si fossero serviti del loro
potere per sradicare le sette i cui pestiferi disegni erano stati rivelati
ad essi dalla Sede Apostolica! Già da quel tempo avrebbero posto
termine alla vicenda. Ma siccome, sia per l’inganno dei settari che
occultavano astutamente le loro tresche, sia per inconsulti suggeri-
menti di taluni, avevano divisato di trascurare questa questione, o
almeno di trattarla con noncuranza, da quelle antiche sette masso-
niche, sempre attive, molte altre sono germinate, assai peggiori e
più audaci di quelle. Sembrò che quelle sette fossero tutte comprese
in quella dei Carbonari, che era considerata in Italia e in alcuni altri
Paesi la più importante fra tutte e che, variamente ramificata con
nomi appena diversi, si diede a combattere aspramente la Religione
Cattolica e qualunque suprema, legittima e civile potestà. Per libe-
rare da questa sciagura l’Italia, gli altri Paesi e anzi lo stesso Stato
Pontificio (in cui, soppresso per qualche tempo il governo Pontifi-
cio, quella setta si era introdotta insieme con gl’invasori stranieri)
Pio VII di felice memoria, a cui Noi siamo succeduti, con una Costi-
tuzione che comincia con le parole Ecclesiam a Jesu Christo pubbli-
cata il 13 settembre 1821 condannò con gravissime pene la setta dei

101
Massoneria e Chiesa Cattolica

Carbonari, comunque fosse denominata a seconda della diversità dei


luoghi, degli uomini e degli idiomi. Abbiamo pensato di includere in
questa Nostra lettera anche il testo di essa (vedi sopra)
IV. Poco tempo dopo la promulgazione di questa Costituzione di Pio
VII, Noi, senza alcun Nostro merito, fummo elevati alla suprema
cattedra di San Pietro, e subito rivolgemmo tutta la Nostra attività
a scoprire quale fosse lo stato delle sette clandestine, quale il loro
numero, quale la potenza. A seguito di tale inchiesta, agevolmente
abbiamo compreso che la loro baldanza era cresciuta soprattutto
per l’aumentato numero di nuove sette. Fra esse in primo luogo oc-
corre fare menzione di quella che si chiama Universitaria perché ha
sede e domicilio in parecchie Università degli Studi in cui i giovani,
da alcuni maestri (intesi non già ad insegnare ma a pervertire), ven-
gono iniziati ai misteri della setta, che correttamente devono essere
definiti misteri d’iniquità; pertanto i giovani vengono educati ad
ogni scelleratezza.
V. Da ciò hanno tratto origine le fiamme della ribellione accese da tempo
in Europa dalle sette clandestine; nonostante le più segnalate vitto-
rie riportate dai potentissimi Principi d’Europa, che speravano di
reprimerle, tuttavia i nefasti tentativi delle sette non hanno ancora
avuto termine. Infatti negli stessi paesi nei quali i passati tumulti
sembrano cessati, qual è il timore di nuovi disordini e sedizioni che
quelle sette macchinano incessantemente? Quale lo spavento per gli
empi pugnali che di nascosto immergono nei corpi di coloro che
hanno destinato alla morte? Quante severe misure non di rado sono
stati costretti ad adottare, loro malgrado, coloro che comandano
per difendere la pubblica tranquillità?
VI. Da qui hanno origine le atroci calamità che affliggono quasi ovunque
la Chiesa e che non possiamo ricordare senza dolore, anzi: senza an-
goscia. Si contestano senza pudore i suoi santissimi dogmi e inse-
gnamenti; si umilia la sua dignità. Quella pace e quella felicità di
cui, per suo proprio diritto, essa dovrebbe godere, non sono soltanto
turbate, ma del tutto sconvolte.
VII. E non è da credere che sia una abbietta calunnia l’attribuire a que-
ste sette tutti questi mali e gli altri che Noi abbiamo tralasciato. I
libri che non si sono peritati di scrivere sulla Religione e lo Stato co-
loro che sono iscritti a queste sette, disprezzano il potere, bestem-
miano la regalità, vanno dicendo che Cristo è scandalo e stoltezza;
anzi, non di rado insegnano che Dio non esiste e che l’anima

102
Studi sulla Massoneria

dell’uomo muore col corpo. I Codici e gli Statuti in cui rivelano i lo-
ro propositi e le loro regole, dimostrano chiaramente che da essi
provengono tutti i mali che abbiamo ricordato e che mirano a far
cadere i Principati legittimi e a distruggere dalle fondamenta la
Chiesa. Questa affermazione deve essere considerata come certa e
meditata: le sette, sebbene diverse nel nome, sono però congiunte
tra loro dallo scellerato legame dei più turpi propositi.
VIII. Stando così le cose, Noi crediamo essere Nostro dovere condannare
nuovamente queste sette clandestine in modo che nessuna di esse
possa vantarsi di non essere compresa nella Nostra sentenza aposto-
lica, e con questo pretesto possa indurre in errore uomini incauti o
sprovveduti. Pertanto, per consiglio dei Venerabili Nostri Fratelli
Cardinali di Santa Romana Chiesa e anche motu proprio, con sicura
dottrina e con matura deliberazione Nostra, Noi sotto le stesse pene
comminate nelle lettere dei Nostri Predecessori che abbiamo ripor-
tato in questa Nostra Costituzione, e che espressamente confer-
miamo, in perpetuo proibiamo tutte le società occulte (qualunque
sia il loro nome), tanto quelle ora esistenti, quanto quelle che forse
si costituiranno in seguito e che si propongono le azioni sopra ricor-
date contro la Chiesa e le supreme potestà civili.
IX. Pertanto a tutti e a ciascuno dei fedeli di Cristo di qualunque stato,
grado, condizione, ordine, dignità e preminenza, sia laici sia chierici,
tanto secolari che regolari, degni anche di specifica, individuale ed
esplicita menzione, ordiniamo rigorosamente, e in virtù della santa
obbedienza, che nessuno sotto qualsivoglia pretesto o ricercato mo-
tivo osi o pretenda di fondare, diffondere o favorire, e nella sua casa
o dimora o altrove accogliere e nascondere le predette società co-
munque si chiamino, come pure di iscriversi o aggregarsi ad esse o
di intervenire a qualunque grado di esse o di offrire la facoltà e
l’opportunità di convocarle in qualche luogo o di elargire loro qual-
cosa, o in altro modo prestare consiglio, aiuto o favore palese od oc-
culto, diretto o indiretto, per sé o per altri; e ancora di esortare, in-
durre, provocare o persuadere altri ad iscriversi, ad aggregarsi o a
intervenire in siffatte congreghe o in qualunque grado di esse, o di
giovare loro o favorirle comunque. I fedeli debbono assolutamente
astenersi dalle società stesse, dalle loro riunioni, conferenze, aggre-
gazioni o conventicole sotto pena di scomunica in cui incorrono
sull’istante tutti i contravventori sopra descritti senza alcuna di-
chiarazione; dalla scomunica nessuno potrà venire assolto se non da

103
Massoneria e Chiesa Cattolica

Noi o dal Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto
di morte.
X. Inoltre a tutti prescriviamo, sotto la stessa pena di scomunica, riser-
vata a Noi e ai Romani Pontefici Nostri Successori, l’obbligo di de-
nunciare ai Vescovi o ad altri competenti tutti coloro che notoria-
mente hanno dato il loro nome a queste società o si sono macchiati
di qualcuno dei delitti ricordati più
sopra.
XI. Soprattutto poi condanniamo riso-
lutamente e dichiariamo assoluta-
mente vano l’empio e scellerato
giuramento che vincola gli adepti
di quelle sette a non rivelare mai
ad alcuno tutto ciò che riguarda le
sette medesime e a punire con la
morte tutti i compagni che si fanno
delatori presso i superiori, sia Ec-
clesiastici, sia Laici. E che dun-
stemma Leone XII
que? Poiché il giuramento va
pronunciato al servizio della giustizia, non è forse delittuoso consi-
derarlo come un legame con il quale ci si obbliga a un iniquo omici-
dio e a disprezzare l’autorità di coloro che, in quanto governano la
Chiesa o la legittima società civile, hanno il diritto di conoscere tut-
to ciò da cui dipende la sicurezza di quelle istituzioni? Non è forse
somma iniquità e turpitudine il chiamare Iddio stesso a testimone e
mallevadore di delitti? Giustamente i Padri del terzo Concilio Late-
ranense affermano: "Non si possono definire giuramenti ma piuttosto
spergiuri quelli che sono diretti contro il bene della Chiesa e
gl‟insegnamenti dei Santi Padri". Ed è intollerabile l’impudenza, o la
follia, di chi tra questi uomini, non nel proprio cuore soltanto ma
anche pubblicamente e in pubblici scritti, afferma che "Dio non esi-
ste", e tuttavia osa pretendere un giuramento da coloro che sono ac-
colti nelle sette.
XII. Tali sono le Nostre disposizioni rivolte a reprimere e condannare
tutte queste furiose e scellerate sette. Pertanto ora, Venerabili Fra-
telli Patriarchi Cattolici, Primati, Arcivescovi e Vescovi, non solo
chiediamo ma piuttosto sollecitiamo il vostro impegno. Abbiate cu-
ra di voi e di tutto il gregge in cui lo Spirito Santo vi pose come Ve-
scovi per governare la Chiesa di Dio. I lupi rapaci vi assaliranno se

104
Studi sulla Massoneria

non avrete cura del gregge. Ma non vogliate temere, e non conside-
rate la vostra vita più preziosa di voi stessi.
Considerate per certo che da voi in gran parte dipende la perseve-
ranza degli uomini a voi affidati nella Religione e nelle buone azio-
ni. Infatti, pur vivendo in giorni "che sono infausti" e in un tempo in
cui molti "non difendono la sana dottrina", perdura tuttavia il rispet-
to di molti fedeli verso i loro Pastori che a buon diritto sono consi-
derati ministri di Cristo e dispensatori dei suoi misteri. Fate dunque
uso, a vantaggio delle vostre pecore, di quella autorità che per im-
mortale grazia di Dio conservate nell’animo loro. Fate loro conosce-
re le frodi dei settari e con quanta attenzione debbano evitare di
frequentarli. Grazie all’autorità e al magistero vostro, abbiano orro-
re della malvagia dottrina di coloro che deridono i santissimi misteri
della Nostra Religione e i purissimi insegnamenti di Cristo, e conte-
stano ogni legittimo potere. E parlerò con voi ripetendo le parole
usate dal Nostro Predecessore Clemente XIII nell’Enciclica [A quo
die] del 14 settembre 1758, diretta a tutti i Patriarchi, Primati, Ar-
civescovi, Vescovi della Chiesa Cattolica: "Vi prego: con lo Spirito
del Signore siamo pieni di forza, di giustizia e di coraggio. Non la-
sciamo, a somiglianza di cani muti incapaci di latrare, che i Nostri
greggi diventino una preda e le Nostre pecore il pasto d‟ogni bestia sel-
vatica; niente Ci trattenga dall‟esporci ad ogni genere di combattimento
per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Pensiamo attentamente a
Colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccato-
ri. Se ci arrestiamo davanti all‟audacia dei malvagi, sono già crollate
la forza morale dell‟Episcopato e la divina e sublime potestà di governa-
re la Chiesa; e non possiamo più continuare a considerarci, anzi non
possiamo neanche più essere Cristiani, se temiamo le minacce e le insi-
die degli uomini perversi".
XIII. Ancora con insistenza invochiamo il vostro aiuto, carissimi in Cri-
sto Figli Nostri Cattolici Principi che apprezziamo con tanto singo-
lare e paterno amore. Perciò vi richiamiamo alla memoriale parole
che Leone il Grande (di cui siamo successori nella dignità e, sebbene
indegni, eredi del nome) rivolse per iscritto a Leone Imperatore:
"Devi senza esitazione comprendere che il potere regale ti è stato affidato
non solo per governare il mondo ma soprattutto per proteggere la Chiesa
in modo che, reprimendo gli atti di empia audacia, tu possa difendere le
sane istituzioni e restituire la pace a quelle sconvolte". Quanto al pre-
sente, la situazione è tale che per difendere non solo la Religione

105
Massoneria e Chiesa Cattolica

Cattolica ma altresì l’incolumità vostra e dei popoli soggetti alla vo-


stra autorità, dovete reprimere quelle sette. Infatti la causa della
Religione, soprattutto in quest’epoca, è talmente congiunta alla
salvezza della società, che in nessun modo può essere separata l’una
dall’altra. Infatti coloro che aderiscono a quelle sette sono non me-
no nemici della Religione che del vostro potere. Aggrediscono l’una
e l’altro, meditano di abbattere l’una e l’altro. E certo non consenti-
rebbero, potendo, che la Religione o il potere regale sopravvivesse-
ro.
XIV. Tanta è la scaltrezza di questi uomini astuti che quando danno la
rassicurante impressione di essere intenti ad ampliare il vostro pote-
re, proprio allora mirano a sovvertirlo. Infatti essi impartiscono
molti insegnamenti per convincere che il potere Nostro e dei Vesco-
vi deve essere ridotto e indebolito, e che ad essi devono essere tra-
sferiti molti diritti, sia tra quelli che sono propri di questa Cattedra
Apostolica e Chiesa principale, sia tra quelli che appartengono ai
Vescovi che sono stati chiamati a far parte della Nostra sollecitudi-
ne. Quei settari insegnano tali dottrine non solo per l’odio truce di
cui ardono contro la Religione, ma anche perché hanno la speranza
che le genti soggette al vostro magistero, se per caso si avvedono
che sono violati i confini posti alle cose sacre da Cristo e dalla Chie-
sa da Lui fondata, facilmente si inducano, con questo esempio, a
sovvertire e distruggere anche la forma del regime politico.
XV. Anche a voi tutti, o figli diletti che professate la Religione Cattolica,
Ci rivolgiamo con la Nostra esortativa preghiera. Evitate con cura-
gli uomini che chiamano luce le tenebre e le tenebre luce. Infatti,
quale vera utilità potrebbe a voi derivare dal consorzio con uomini
che ritengono di non tenere in alcun conto Iddio né tutte le più alte
potestà? Essi, tramando in segrete adunanze, tentano di fare la
guerra, e sebbene in pubblico e dovunque proclamino di essere a-
mantissimi del bene pubblico, della Chiesa e della società, tuttavia
in ogni loro impresa hanno dimostrato di voler sconvolgere e sov-
vertire ogni cosa. Essi sono simili a quegli uomini ai quali San Gio-
vanni (2Gv 10) comanda di non offrire ospitalità né di rivolgere il
saluto; a quegli uomini che i Nostri antenati non esitarono a chia-
mare primogeniti del diavolo. Guardatevi dunque dalle loro lusin-
ghe e dai discorsi di miele con cui cercheranno di convincervi a dare
il vostro nome a quelle sette di cui essi stessi fanno parte. Abbiate
per certo che nessuno può aggregarsi a quelle sette, senza essere col-

106
Studi sulla Massoneria

pevole di gravissima ignominia; allontanate dalle vostre orecchie i


discorsi di coloro i quali, pur di ottenere il vostro assenso ad iscri-
vervi ai gradi inferiori delle loro sette, affermano risolutamente che
in quei gradi nulla si sostiene che sia contrario alla Religione; anzi,
che nulla vi si comanda o si compie che non sia santo, che non sia
onesto, che non sia puro. Inoltre quel nefando giuramento che è già
stato ricordato e che deve essere prestato anche per essere ammessi
ai gradi inferiori, basta di per sé solo a farvi comprendere che è un
delitto anche iscriversi a quei gradi meno impegnativi e partecipare
ad essi. Inoltre, sebbene ad essi non siano affidate, di solito, le im-
prese più torbide e scellerate, in quanto non sono ancora saliti ai
gradi superiori, appare però evidente che la forza e l’ardire di queste
perniciose società crescono con il consenso e il numero di coloro che
vi si sono aggregati. Pertanto anche coloro che non hanno oltrepas-
sato i gradi inferiori, devono essere considerati complici di quei de-
litti. E anche su di essi ricade quella sentenza dell’Apostolo: "Coloro
che commettono tali delitti sono degni di morte, e non solo coloro che li
commettono ma anche coloro che approvano chi li compie" (Rm 1,28-
29).
XVI. Infine, con amore profondo chiamiamo a Noi coloro che, dopo aver
ricevuto la luce e aver assaporato il dono celeste ed essere fatti par-
tecipi dello Spirito Santo, sono poi miseramente caduti e seguono
quelle sette sia che si trovino nei gradi inferiori di esse, sia nei supe-
riori. Infatti, facendo le veci di Colui che dichiarò di non essere ve-
nuto per chiamare i giusti ma i peccatori (e si paragonò al pastore
che, lasciato il resto del gregge, cerca ansiosamente la pecora che ha
smarrito) li esortiamo e li scongiuriamo di ritornare a Cristo. Sebbe-
ne si siano macchiati del più grave delitto, non devono tuttavia di-
sperare della clemenza e della misericordia di Dio e di Gesù Cristo
Suo Figlio. Ritrovino dunque se stessi, alfine, e di nuovo si rifugino
in Gesù Cristo che ha patito anche per loro e che non solo non di-
sprezzerà il loro ravvedimento ma anzi, come un padre amoroso che
già da tempo aspetta i figli prodighi, li accoglierà con sommo gau-
dio. Invero Noi, per incoraggiarli quanto più possiamo e per aprire
ad essi una più agevole via alla penitenza, sospendiamo per lo spa-
zio di un intero anno (dopo la pubblicazione di questa lettera apo-
stolica nella regione in cui dimorano) sia l’obbligo di denunciare i
loro compagni di setta, sia la riserva delle censure nelle quali sono
incorsi dando il loro nome alle sette; e dichiariamo che essi, anche

107
Massoneria e Chiesa Cattolica

senza aver denunciato i complici, possono essere assolti da quelle


censure ad opera di qualunque confessore, purché sia nel numero di
coloro che sono approvati dagli Ordinari del luogo ove dimorano.
Decidiamo inoltre di usare la stessa condiscendenza verso coloro che
per caso si trovano nell’Urbe. Se poi qualcuno di essi a cui è rivolto
il Nostro discorso sarà così ostinato (e non lo permetta Iddio, padre
delle misericordie!) da lasciar passare quello spazio di tempo che
abbiamo fissato senza abbandonare le sette per ravvedersi davvero,
trascorso quel tempo, tosto avrà effetto contro di lui l’obbligo di
denunciare i complici e la riserva delle censure, né potrà ottenere
l’assoluzione se non da Noi o dai Nostri Successori o da coloro che
avranno ottenuto dalla Sede Apostolica la facoltà di assolvere dalle
censure stesse.
XVII. Vogliamo inoltre che ai transunti, anche stampati, della presente
Nostra lettera, sottoscritti di pugno da qualche pubblico Notaio e
muniti del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica, si pre-
sti quella fede stessa che si concederebbe alla lettera originale se fos-
se presentata o mostrata.
XVIII. Perciò a nessuno sia lecito violare o contestare con temeraria ar-
roganza questo testo della Nostra dichiarazione, condanna, confer-
ma, innovazione, mandato, proibizione, invocazione, ricerca, decre-
to e volontà. Se qualcuno osasse compiere un simile attentato, sap-
pia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Beati Apo-
stoli Pietro e Paolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 marzo dell‟anno dell‟Incarnazione


del Signore 1825, nell‟anno secondo del Nostro Pontificato.

108
Studi sulla Massoneria

Carta di Bologna (1248)


Il documento normativo più antico del mondo sulla massoneria operati-
va tardo medioevale
Lo «Statuta et ordinamenta societatis magistrorum muri et lignamiis» -
che noi, per semplicità e per immagine rappresentativa, abbiamo chia-
mato Carta di Bologna 1248 e che così
ormai viene anche da altri definita e
perciò così qui continueremo a chia-
marla - è stato redatto in latino in
Bologna in data 8 agosto 1248 a cura
di un notaio per disposizione del Po-
destà Bonifacii De Cario ed è conser-
vato presso l'Archivio di Stato di Bo-
logna. Lo «Statura» del 1248 è redat-
to in un tornione pergamenaceo in
carte non numerate — ora contrasse-
gnate 1-3 di mm. 416 x 275 in vari
tratti danneggiate dal tempo.
Tale documento bolognese è rimasto
ignorato dagli studiosi di storia della
Massoneria, anche se era stato edito
da A. Gaudenzi nel ―Bollettino dell'Istituto storico Italiano‖ (n. 21 del
1899) contenente il saggio, Le Società delle Arti in Bologna. I loro statuti e
le loro matricole, di rilevante interesse storiografico, sfuggito però ai cul-
tori della storia della Massoneria.
La Carta di Bologna, integrata da documenti del 1254 e 1256, è stata ri-
prodotta, con pregevoli saggi di commento e con fotografie, in un volume
fuori commercio intitolato, Muratori in Bologna. Arte e società dalle origi-
ni al secolo XVIII, edito dal Collegio dei costruttori edili di Bologna nel
1981. Questo volume contiene pregevoli saggi di Diego Cuzzani, Franco
Bernasconi, Claudio Comani, Edoardo Rosa, Giorgio Tomba. che però
non rimarcano gli aspetti collegabili con la Massoneria «operativa».
Molta letteratura riporta le origini mitiche della Massoneria e noi da essa
ci dissociamo, specialmente dalla letteratura c.d. «misteriosofica» che ri-
collega anche la Massoneria a miti, leggende, saghe per collegarla ad una
c.d. Tradizione primordiale, trasmessa da una pretesa ininterrotta catena
iniziatica ad opera di grandi iniziati o superiori occulti e che tende a dare

109
Carta di Bologna

anche alla Massoneria una spiegazione antroposofica ed elabora, con il


tono delle certezze, leggende e miti di una Massoneria già esistente negli
scomparsi continenti e nelle antichissime civiltà perdute. Noi non se-
guiamo tale indirizzo.
Non di meno prendiamo atto, sul piano storico, che anche negli antichi
documenti massonici — come nel Poema Regius del 1390, nel Manoscritto
di Cooke del 1430-40, ed altresì nelle Costituzioni di Anderson del 1723 e
nei Rituali massonici vigenti vi è un richiamo ad origini mitiche della
Massoneria - con Euclide in Egitto, con Re Salomone, con il maestro Hi-
ram, con Vitruvio ecc. - ma, a nostro avviso, ciò ha più un valore simbo-
lico di collegamento e come affermazione che nasce con l'uomo il deside-
rio di elevazione spirituale e che da quando l'uomo cominciò ad elevare
Templi all'idea di un Essere Supremo Creatore iniziò il cammino dell'U-
manità verso la Luce e quindi nacque una Massoneria, intesa come ricer-
ca esoterica di perfezionamento interiore e di progresso dell'Umanità.
Al di là delle origini mitiche prospettate per la Massoneria e volendo re-
stare nel campo della ricerca storiografica, ai limitati fini della nostra in-
dagine - senza negare che siano esistite confraternite muratorie in Egitto,
in Grecia, in Palestina, a Roma, presso gli Etruschi ed i Celti - il docu-
mento organico più antico sulla struttura di un'associazione libero mura-
toria «operativa» medioevale, fino ad ora, era ritenuto il c.d. Poema Re-
gius datato 1390, riguardante le Costituzioni in vigore nelle Craft libero
muratorie anglosassoni, nelle quali si fa riferimento ad una antecedente
regolamentazione, non reperita, redatta sotto l'egida di Re Atelstano (o
Altestano) da alcuni indicato attorno al 970-1000 dc., ma forse, più at-
tendibilmente, attorno al 910-930.
La Carta di Bologna del 1248 rappresenta quindi il più antico documento
normativo reperito, fino ad ora, nel mondo sulla libera muratoria opera-
tiva. Infatti precede di ben 142 anni il Poema Regius inglese (1390), di
182 (192) anni il Manoscritto di Cooke (1430-40), di 219 anni lo Statuto di
Strasburgo riconosciuto al Convegno di Ratisbona del 1459 e che poi ven-
ne suffragato dall'Imperatore Massimiliano nel 1488, di 59 anni il Pream-
bolo Veneziano dei Taiapiera (1307).
Lo studioso spagnolo José Antonio Ferrer Benimeli nel suo commento
sulla Carta di Bologna del 1248 afferma:
«Tanto per l'aspetto giuridico, quanto per quello simbolico e rappresen-
tativo, lo statuto di Bologna del 1248, ed il suo contorno, ci pone in con-

110
Studi sulla Massoneria

tatto con una esperienza costruttiva che non era stata conosciuta e che
interessa la moderna storiografia internazionale, soprattutto della Mas-
soneria, perché lo situa, perla sua cronologia ed importanza, prima d'ora
non conosciuta, all'altezza del manoscritto britannico Poema Regius, del
quale è di molto anteriore, che prima d'ora era considerata l'opera più an-
tica ed importante».
La Carta di Bologna ci appare
inoltre importante perché ad
essa si trae conferma su quan-
to asserito nel «Libro delle co-
stituzioni» del 1723 di Ander-
son, in cui nella relazione al te-
sto si precisa che esso fu redat-
to dopo «avere esami nato di-
verse copie avute dall'Italia,
dalla Scozia e da diverse pati
dell'Inghilterra» di antichi sta-
tuti e regolamenti della mas-
soneria operativa e l'esame
dello stesso «contenuto» della
Carta di Bologna fa supporre
che il suo testo abbia potuto
essere fra quelli consultati da
Anderson.
(tratto da Eugenio Bonvicini,
Massoneria antica. Dalla «Car-
ta di Bologna» del 1248 agli
«Antichi Doveri» del 1723, Roma, Atanor, 1989, pp.15-18)
Nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo. Amen. Nell'anno
del Signore 1248, sesto dell'indizione.
Questi sono gli Statuti e i Regolamenti della Società dei maestri del muro
e del legno, istituita in onore di nostro Signore Gesù Cristo e della Beata
Maria Vergine e di tutti i Santi e per l'onore e la prosperità della Città di
Bologna e della Società dei maestri predetti, fatto salvo l'onore del Pode-
stà e del Capitano che la governano ora e che ci saranno in futuro e fatti
salvi tutti gli Statuti e i Regolamenti del Comune di Bologna, istituiti e
da istituirsi. E che tutti gli Statuti sotto riportati abbiano vigore da oggi

111
Carta di Bologna

in avanti anno del Signore 1248, sesto dell'indizione, l'8 di Agosto.


I. Giuramento dei sopraddetti maestri
Io, maestro del muro e del legno, che sono o sarò sottoposto a quest'Arte
dei maestri predetti per l'onore di nostro Signore Gesù Cristo e della Beata
Maria Vergine e di tutti i Santi e per l'onore del Podestà e del Capitano
che governano ora e che ci saranno in futuro e per l'onore e la prosperità
della città di Bologna, giuro di sottomettermi e rispettare gli ordini del
Podestà e del Capitano di Bologna, di rispettare e seguire tutti e i singoli
ordini che mi verranno dal Massaro e dai Ministeriali della Società del le-
gno e del muro o l'uno di loro per l'onore e la prosperità della Società stes-
sa e di rispettare e conservare nella prosperità la detta società e i membri
di essa e di osservare e rispettarne gli Statuti e i Regolamenti di detta So-
cietà sia come sono ora che come saranno in futuro, fatti salvi gli Statuti
del Comune di Bologna, nell'obbligo cui sono tenuto al momento del mio
accesso e sciolto al momento del mio distacco.
E se sarò chiamato al governo della Società io non rifiuterò, ma accetterò
l'incarico e governerò e guiderò e proteggerò con lealtà la Società e i
membri della Società.
E distribuirò equamente gli oneri tra i membri della Società secondo ciò
che a me e al Consiglio dei maestri sembrerà essere conveniente.
E mi obbligherò e renderò obbligatorie le sanzioni comprese nello Statuto
della Società e, quando non ci siamo, infliggerò un'ammenda secondo la
volontà del Consiglio.
E tutte le ammende che infliggerò per qualsiasi azione, farò che siano
scritte in un registro e le autenticherò e le consegnerò al Massaro della So-
cietà.
E detto Massaro sia tenuto nel termine previsto dallo Statuto e sotto pe-
na di un'ammenda di venti soldi Bolognesi a mostrare e a consegnare al
Massaro suo successore nell'Assemblea della Società, tutte le ammende, i
beni o le garanzie della Società, gli Statuti e ciò che statuti non sono in
corpo della Società e ogni cosa in mio possesso relativa ai beni della So-
cietà e tutti i documenti e gli atti relativi alla Società.
E gli Controllori dei Conti sono tenuti ad investigare su ciò e ad infliggere
un'eventuale ammenda tramite l'Assemblea della Società, a meno che
quello sia stato trattenuto per una decisione di tutto il Consiglio della So-
cietà, o della sua maggioranza, o per causa giusta.

112
Studi sulla Massoneria

E se io Ministeriale, e vorrò imporre una colletta per le spese della Socie-


tà, ne esporrò in primo luogo la causa in Consiglio e in seguito essa sarà
imposta secondo la decisione di tutto il Consiglio o della maggioranza.
II. Delle offese contro i Ministeriali e il Massaro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se un membro della Società pronuncia
delle offese contro i Ministeriali o il Massaro o contro il Notaio, oppure se
li accusa di falso, questi sia punito con l'ammenda di dieci scudi Bologne-
si.
III. Delle sanzioni a coloro che non si sono presentati alla convocazione
nel luogo stabilito
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se un membro è convocato dai Ministe-
riali o dal Massaro o dal Nunzio a presentarsi nel luogo dove la Società si
riunisce, questi sia tenuto a presentarsi ogni volta e per quante volte gli
sarà comandato od ordinato sotto pena di un'ammenda di sei denari.
Noi stabiliamo ed ordiniamo che ciascuno sia tenuto a presentarsi nel
luogo ove la Società si riunisce ogni volta e per quante volte ciò gli sarà
comandato dai Ministeriali o dal Massaro o dal Nunzio sotto pena di
un'ammenda di sei denari Bolognesi.
E anche se non informato, ciascuno sia tenuto a presentarsi la penultima
domenica del mese, senza convocazione, in buona fede e senza inganno e
frode.
E vi sia obbligato non soltanto per giuramento ma per sanzione e anche
se non gli è stato ordinato.
E nel caso in cui si sia presentato nel luogo dell'adunanza e se ne sia an-
dato senza autorizzazione del Massaro o dei Ministeriali egli paghi a tito-
lo di ammenda dodici denari Bolognesi.
A meno che in entrambi i casi non abbia un impedimento o sia malato o
fuori città o al servizio del Comune di Bologna, nei quali casi e anche in
altri, può invocare a scusante il giuramento dell'obbligo di servizio. E se
si sarà giustificato falsamente, abbia la pena di dodici denari.
IV. Dell'elezione dei Ministeriali e del Massaro e delle riunioni della So-
cietà
Noi stabiliamo ed ordiniamo che la Società dei maestri del legno e del
muro sia tenuta ad avere otto Ministeriali e soltanto due Massari, ovvero
uno per ogni Arte della Società; ed essi devono essere ripartiti equamente

113
Carta di Bologna

nei quartieri, ed eletti secondo le liste «ad brevia» nell'Assemblea della


Società, in modo che in ogni quartiere ci siano due Ministeriali, cioè uno
per ogni arte.
E che i predetti Ministeriali e il Massaro restino in carica sei mesi e non di
più.
E che siano obbligati a fare sì che la Società si riunisca in riunione e con-
gregazione la seconda domenica del mese sotto pena di tre scudi Bologne-
si di ammenda ogni volta che contravverranno, a meno che non ne siano
impediti da un reale caso di forza maggiore.
Aggiungiamo che il figlio di un maestro della Società non debba né possa
essere partecipe delle elezioni «ad brevia» se non ha almeno quattordici
anni. E suo padre non sia obbligato ad immetterlo nella Società prima di
questa età e il figlio stesso non sia accettato nella società prima del tem-
po stabilito.
E che nessuno prenda un Apprendista che abbia meno di dodici anni,
sotto pena di un'ammenda di venti soldi e della nullità del contratto.
V. Del fatto che nessuno possa eleggere un figlio o un fratello
Noi stabiliamo e ordiniamo che nessun votante possa eleggere come Mi-
nisteriale o Massaro chi gli sia fratello o figlio e che l'elezione a questi re-
lativa sia senza valore.
VI. Del fatto che i maestri obbediscano ai Ministeriali e al Massaro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se un maestro della Società deve ad un
altro maestro una certa somma di denaro per causa di lavoro, oppure se
un maestro ha una contestazione con un altro per causa di o dei maestri
sopraddetti, i maestri che avranno tra loro la contestazione siano obbli-
gati ad obbedire alle disposizioni che i Ministeriali dei maestri del muro e
del legno avranno stabilito tra le parti in causa, sotto pena di un'ammen-
da di dieci soldi Bolognesi.
VII. Come e con quali modalità i maestri entrano a fare parte della So-
cietà e quanto debbano pagare per la loro entrata
Noi stabiliamo ed ordiniamo che tutti i maestri che vorranno entrare a
fare parte della Società dei maestri del muro e del legno paghino alla So-
cietà dieci soldi Bolognesi se essi sono della città o del contado di Bolo-
gna; e se non sono della città o del contado di Bologna paghino alla So-
cietà venti soldi Bolognesi.

114
Studi sulla Massoneria

E che i Ministeriali facciano con coscienza (buona fede) in modo che tutti
i maestri che non fanno parte della Socìetà debbano entrarvi.
E che questa statuizione sia osservata e che per nessun modo e motivo
sia esentato
a meno che non sia deciso almeno da un decimo della Società, od a meno
che quello non sia figlio di un maestro il quale può entrare a fare parte
della Società senza alcuna cerimonia.
E che se il Massaro od un Ministeriale sosterrà nel Consiglio o nell'As-
semblea della Società qualcuno che volesse risparmiare i dieci o venti
soldi Bolognesi da pagare alla Società, sia punito per dieci soldi Bologne-
si.
E che se qualcuno della Società nell'Assemblea o nel Consiglio, si alzerà
per dire di qualcuno che dovrebbe essergli risparmiati i dieci o venti soldi
Bolognesi da pagare alla Società, sia punito con cinque soldi Bolognesi.
E se un maestro ha un figlio o più figli che conoscono il mestiere, o che
sia stato per due anni ad apprendere il mestiere, allora sia suo padre ad
immetterlo nella Società di diritto e senza alcuna cerimonia dì entrata,
col pagare egli stesso alla Società nella forma sopraddetta, sotto pena di
un'ammenda di venti soldi. E una volta pagata l'ammenda nondimeno
sia tenuto a fare entrare il figlio nella Società.
E che i Ministeriali ed il Massaro siano obbligati a raccogliere tutte le
somme per coloro che sono entrati a fare parte della Società e i quattro
denari dovuti per le messe e le sanzioni pronunciate durante il tempo del-
la loro carica.
E che facciano giuramento nell'Assemblea.
E che il Massaro è obbligato a prendere dal maestro che è entrato a fare
parte della Società una buona garanzia e che, nello spazio di un mese,
dopo il suo ingresso, egli pagherà dieci soldi se è della Città o del Contado
di Bologna come detto sopra, venti soldi Bolognesi se è di un altro di-
stretto.
E che se il Massaro e i Ministeriali non raccoglieranno queste somme, essi
siano tenuti a pagare in proprio alla Società ed a compensare in denaro
ed in pegni in modo che la Società sia ben garantita, entro otto giorni
della fine del mese.
E i Controllori dei Conti siano tenuti a controllare tutto ciò come detto

115
Carta di Bologna

sopra e nel caso che non sia stato rispettato, a pronunciare le sanzioni
previste dallo Statuto della Società.
Aggiungiamo che chiunque entrerà a fare parte della Società pagherà
come diritti di entrata venti soldi Bolognesi.
Noi l'ordiniamo per coloro che da oggi in poi si metteranno ad imparare
l'Arte, e sia valido a partire da oggi 8 di marzo 1254, dodicesìmo dell'in-
dizione.
Diciamo inoltre che coloro che non avranno avuto maestri [per appren-
dere l'Arte paghino tre libre Bolognesi come diritto di entrata.
VIII. Del fatto che nessun maestro debba nuocere ad un altro maestro
nel lavoro
Noi stabiliamo e ordiniamo che nessun maestro del muro e del legno deb-
ba nuocere ad un altro maestro della Società dei maestri, accettando un
lavoro a prezzo prefissato, dopo che esso sia stato assicurato a un altro e
siglato col palmo della mano o dopo che l'altro l'abbia ottenuto in qualsi-
voglia mezzo o modo. Eccetto il caso che un maestro sia sopravvenuto
prima che il lavoro sia stato assicurato all'altro e siglato col palmo di
mano e se quello ne chiederà una parte, egli sia obbligato a darla se quel-
lo la vorrà.
Se invece già c'è stato accordo su quel lavoro, l'uno non sia obbligato a
darne una parte se non vorrà.
E chi contravverrà paghi un'ammenda di tre libre Bolognesi ogni volta
che contravverrà. E i Ministeriali siano tenuti ad imporre le ammende
previste dallo Statuto, entro un mese dalla certezza ed evidenza dell'in-
frazione, fatti salvi gli Statuti e gli Ordinamenti del Comune di Bologna.
E che le ammende e le sanzioni giungano all'amministrazione (della So-
cietà e siano conservate.
IX. Del conto che il Massaro deve rendere e dell'incarico che deve svolge-
re
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Massaro della Società dia conto del
suo operato entro un mese dall'avere lasciato il suo incarico ai Controllori
dei Conti a meno che sia esentato dai Ministeriali nuovi e dal Consiglio
della Società o che egli ne sia impedito per volontà di Dio.
E il detto Massaro sia tenuto a dare rendiconto di tutte le entrate e delle
spese sostenute e stabilite in quel periodo.

116
Studi sulla Massoneria

E che tutti i maestri che in quel periodo saranno entrati a fare parte della
Società, siano da lui riportati su un quaderno allo scopo di sapere se han-
no pagato o non.
E ordiniamo che tutte le scritture debbano rimanere nelle mani del Mas-
saro.
E che il Massaro sia tenuto a consegnare e trasmettere per iscritto al
Massaro suo successore, durante l'Assemblea della società, tutte le scrit-
ture riguardanti la Società e tutto ciò che egli possieda relativo ai beni
della Società, affinché il patrimonio della Società non possa in alcun mo-
do essere alienato.
E se il Massaro con frode avrà omesso e non osservato quanto detto, sia
punito conventi soldi Bolognesi.
E se avrà trattenuto con frode degli utili della Società che egli li restitui-
sca al doppio alla Società.
Che inoltre il Massaro uscente, alla fine del suo mandato, sia tenuto a
consegnare al nuovo Massaro tutti i beni della Società, sia le scritture re-
lativa alla Società che il denaro della stessa entro la prima o la seconda
domenica del mese. E che il nuovo Massaro non debba prorogare il ter-
mine al Massaro uscente, oltre il quindicesimo giorno. E che quest'ordine
sia irrevocabile. E se qualcuno dei Massari avrà derogato, sia punito con
venti soldi Bolognesi da pagarsi alla Società.
X. Dell'elezione degli Controllori dei Conti
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Controllori dei Conti siano eletti in-
sieme ai Ministeriali e che siano due, cioè uno per ogni Arte.
E che questi Controllori siano tenuti a controllare il Massaro e i Ministe-
riali che governano insieme al Massaro. E che se scopriranno che il Mas-
saro e i Ministeriali hanno mancato al loro compito o hanno commesso
frode o dolo, li condannino alla restituzione del doppio del valore trovato
in loro possesso e inoltre li condannino a restituire in semplice la rendita
ricevuta. E che siano tenuti ad agire in questo modo e a controllare e a
condannare o ad assolvere entro un mese dal decadere dell'incarico del
Massaro e dei Ministeriali. E sia che abbiano condannato o assolto, che
sia fatto, per iscritto relazione nell'Assemblea della Società. E se i Con-
trollori avranno derogato e non avranno osservato questi ordini, che cia-
scuno di essi sia punito con dieci soldi ed espulso, salvo che egli ne sia
impedito dalla volontà di Dio o che ne abbia avuto licenza dai Ministe-

117
Carta di Bologna

riali e dal Consiglio della Società.


XI. Della trascrizione dei rinnovi dei Consiglio
Affinché mai nessuna contestazione sia sollevata tra i soci, noi ordiniamo
che tutti i rinnovi della Società dei maestri del muro e del legno o del
Consiglio della Società, siano trascritti su un quaderno speciale e che il
Massaro e i Ministeriali ne siano obbligati sotto pena di un'ammenda di
cinque scudi Bolognesi.
XII. Della trascrizione dei rinnovi dei Consiglio
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Massaro e i Ministeriali della Società
siano tenuti a rendere conto una sola volta di tutte le entrate e le spese. E
che dopo che essi saranno stati controllati una volta riguardo ai conti che
dovevano presentare, essi non siano più tenuti a rendere conto, a meno
che essi non siano stati denunciati o accusati di avere commesso dolo o
frode o d'avere conservato illegalmente presso di sé denaro comune o del-
la Società, nel qual caso chiunque voglia accusarli deve essere ascoltato.
E che coloro che sono stati controllati una volta, non debbano esserlo
più. E che questa disposizione si applichi tanto per il passato che per il
futuro.
XIII. Degli ordini che devono essere dati dai Ministeriali e dal Massaro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che tutti gli ordini che i Ministeriali o il
Massaro, o l'un o l'altro di essi daranno riguardo al danaro ed altre cose
relative al mestiere che un maestro deve dare o fare per un altro maestro
siano stabilite e ordinate entro dieci giorni. E che se il maestro al quale è
stato dato un ordine non lo avrà eseguito entro dieci giorni, i Ministeriali
e il Massaro siano tenuti entro cinque giorni dopo quei dieci, a procurare
al creditore un pegno sui beni del suo debitore affinché egli sia comple-
tamente risarcito di ciò che gli spetta e delle spese. E che quello sia puni-
to con cinque soldi Bolognesi se i Ministeriali lo riterranno opportuno. E
che questo sia irrevocabile. E se colui che deve del denaro a un altro mae-
stro o a qualunque altra persona, se dopo essere stato convocato o citato
dai Ministeriali o da uno o più Nunzi della Società non si sia presentato
innanzi ai
Ministeriali al Massaro, se non sarà reperito e se sarà citato una seconda
volta, che egli sia punito di nuovo con la stessa somma.
XIV. Del fatto che un maestro assuma un altro maestro per lavorare

118
Studi sulla Massoneria

Noi stabiliamo ed ordiniamo che se un maestro abbia avuto un lavoro a


un prezzo prefissato, o a giornata o in qualche altro modo o accorgimento
e se vorrà con sé un altro maestro per fare questo lavoro e se questi lavo-
rerà con lui, quel maestro che avrà assunto un altro maestro sia obbliga-
to a pagare il suo servizio a meno che non sia un Ministeriale o il Massaro
della Società che metta questo maestro al lavoro per il Comune di Bolo-
gna. E chi contravverrà sarà punito a giudizio dei Ministeriali.
XV. Quanto i maestri Ministeriali e il Massaro debbano avere per le loro
prestazioni
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali e il Massaro che avranno
l'incarico in avvenire debbano avere ciascuno per la loro prestazione cin-
que soldi Bolognesi nei sei mesi. E che i Ministeriali e il Massaro siano
obbligati a recuperare tutte le ammende, le sanzioni e i contributi prima
di lasciare l'incarico, s'intende ciascuno per il proprio quartiere. E se non
li avranno recuperati entro il tempo stabilito, che
essi siano obbligati a pagare in proprio alla Società la somma corrispon-
dente al totale che non hanno recuperato.
E che i Ministeriali ed il Massaro siano esclusi dagli incarichi per un anno
dalla fine del loro mandato.
E prescriviamo che i Ministeriali non ricevano pegni né denari, ma che
sia il Massaro a ricevere i pegni e tutti i denari e che, prima del decadere
del loro incarico egli paghi ai Ministeriali le loro prestazioni sui fondi dei
membri della Società.
XVI. Dei ceri per i defunti che devono essere fatti per conto della Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che siano comprati due ceri a spese dei
membri della Società e che questi debbano restare presso il Massaro della
Società. E che essi siano in tutto di sedici libre di cera e che debbano es-
sere portati presso la salma quando un maestro sarà morto.
XVII. Del fatto che tutti i maestri debbono andare dal socio defunto
quando saranno convocati
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se uno dei nostri soci sia stato chiamato
o convocato dal Nunzio o da qualcuno per lui, venga presso il socio de-
funto e se non verrà che egli paghi a titolo di ammenda dodici soldi Bolo-
gnesi a meno che egli non abbia un'autorizzazione o un giusto impedi-
mento. E che la salma debba essere portata dai membri della Società.

119
Carta di Bologna

E il Nunzio della Società debba avere dalla Società diciotto denari per
ciascun morto, dagli averi della Società. E se il Nunzio non sarà andato
né venuto per radunare i Soci, che egli paghi a titolo di ammenda diciot-
to denari alla Società. E che i Ministeriali e il Massaro siano obbligati a
recuperare quei denari.
XVIII. Del fatto che i Ministeriali debbano fare visita ai soci ammalati e
dare loro assistenza
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se uno dei nostri soci sarà ammalato, i
Ministeriali debbano fargli visita se l'avranno saputo e che gli debbano
dare assistenza e aiuto.
E se uno morisse e non potesse essere sepolto con i suoi mezzi, che la So-
cietà lo faccia seppellire onorevolmente a sue spese.
E che il Massaro possa spendere fino alla somma di dieci soldi Bolognesi,
e non di più.
XIX. Del fatto che i Nunzi siano solleciti alle riscossioni di quelli che so-
no stati condannati e che trascurano di offrire pegni
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali e i Massari che saranno in
carica in futuro, se avranno fatto un pignoramento a un maestro per dei
contributi o sanzioni o per altra causa, si rivolgano su di lui per tutte le
spese che avranno sostenuto per recuperare il dovuto attraverso i Nunzi
del Comune di Bologna o in qualunque modo.
E i Ministeriali e il Massaro che sosterranno delle spese per questa causa,
le facciano in proprio, a meno che non le abbiano sostenute per volontà
della Società o del Consiglio.
E se colui che deve versare denaro per questa causa non avrà consentito
al Nunzio della Società di pignorarlo, sia punito con tre scudi Bolognesi
ogni volta che avrà contravvenuto.
XX. Di coloro che si impegnano per contratto
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se qualcuno si impegna con un altro per
contratto senza essere rimasto col suo maestro o padrone (o Signore) e
senza avere condotto a termine l'impegno con quello, egli non sia assunto
prima di quel termine da nessun altro maestro della Società, e che nessun
aiuto o assistenza gli sia data da nessun maestro che lo abbia saputo o al
quale sia stato denunciato. E chiunque contravverrà, sia punito con ven-
ti scudi Bolognesi.

120
Studi sulla Massoneria

XXI. Del fatto che nessuno vada a chiedere la l’iniziazione più d'una vol-
ta
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessun della Società vada a richiedere l’
iniziazione più di una volta. E chi contravverrà sarà punito con sei soldi
Bolognesi per volta.
XXII. Del fatto che nessuno riceva l’iniziazione per sua decisione
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se qualcuno riceverà l’iniziazione per
sua decisione, sia punito con sei soldi Bolognesi ogni volta che contrav-
venga.
XXIII. Del fatto che nessuno debba rimanere sul lato dell'altare
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno debba rimanere a lato dell'alta-
re, rivolto verso la Chiesa, sotto pena di un'ammenda di tre denari ogni
volta che contravvenga.
XXIV. Della giusta ripartizione degli oneri tra i maestri
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se uno dei Ministeriali ordini ad un ma-
estro del suo quartiere di presentarsi a un lavoro per la comunità trat-
tandolo alla pari con gli altri maestrí e questi non si presenti; egli sia pu-
nito con dieci soldi Bolognesi.
E che nessun maestro può designare un altro maestro del muro e del le-
gno in qualche lavoro per il Comune di Bologna o altrove e chi contrav-
venisse sia punito con venti soldi Bolognesi.
E i Ministeriali che saranno in carica debbono fare questa designazione
mettendo sullo stesso piano i maestri per quartiere, vale a dire quei Mini-
steriali che saranno presenti in città al momento della designazione.
E se un Ministeriale non tratterà un maestro alla pari, commettendo fro-
de o dolo, o se egli agirà spinto da odio contro quello e se ciò sarà chiaro e
manifesto, sia punito con venti soldi Bolognesi, a meno che egli sia stato
convocato dal Podestà o da qualcuno dell'ambiente per provvedere a un
lavoro per il Comune di Bologna, potrà conformarsi a quel volere senza
pena né ammenda.
XXV. Del fatto che nessuno debba alzarsi in una riunione dei maestri
per esprimere il proprio parere se non su ciò che sarà stato proposto dai
Ministeriali o dal Massaro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società debba alzarsi per

121
Carta di Bologna

parlare e per esprimere il suo parere in una riunione se non su ciò che sarà
stato proposto dai Ministeriali o dal Massaro. E chi contravverrà sia pu-
nito con dodici soldi Bolognesi e che egli paghi subito questa somma o
che dia un pegno.
XXVI. Del fatto che nessuno disturbi o gridi quando qualcuno parla o fa
una proposta nell'Assemblea
dei maestri suddetti
Noi stabiliamo ed ordiniamo
che se qualcuno disturba una
riunione dopo che un Ministe-
riale o più Ministeriali o il
Massaro o qualcun altro ab-
bia fatto una proposta o ab-
bia preso la parola tra i soci,
sia punito con tre denari da
pagarsi subito. E che i Mini-
steriali e il Massaro siano te-
nuti per giuramento a riscuo-
tere ciò. E che se non lo ri-
scuotono paghino essi stessi
l'equivalente alla Società.
XXVII. Della retribuzione del Nunzio
Noi stabiliamo ed ordiniamo che la Società abbia un Nunzio, ovvero uno
per due quartieri e un altro per gli altri due e che essi debbano avere cia-
scuno annualmente trenta soldi Bolognesi e che debbano reggere i ceri se
qualcuno morrà e che debbano andare al domicilio del Massaro (e riceve-
re) un denaro per ogni commissione da parte di coloro che li hanno inca-
ricati.
XXVIII. In che modo e in quali forme gli associati debbono riunirsi per
un socio defunto e in quali luoghi
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se il defunto è del quartiere della Porta
Stera, i soci si radunino a San Gervasio. Se il defunto è del quartiere di S.
Procolo, che i soci si radunino a S. Ambrogio. Se poi il defunto è del
quartiere della Porta Ravegnana, che i soci si radunino a S. Stefano. E se
il defunto è della Porta di S. Pietro, che i soci si radunino nella Chiesa di
S. Pietro. E che i Nunzi siano tenuti, quando convocano i soci, a dire in
quale quartiere è il defunto. E che se non lo dicono siano puniti con due

122
Studi sulla Massoneria

scudi Bolognesi ad ogni contravvenzione.


XXIX. Del fatto che ciascun membro della Società sia tenuto a pagare
ogni anno tre denari per le messe
Noi stabiliamo ed ordiniamo che ciascun della Società sia tenuto a pagare
ogni anno per le messe e che i Ministeriali siano tenuti a raccogliere quel-
le somme.
XXX. Del fatto che nessuno possa assumere un'apprendista per meno di
4 anni
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società debba in alcun
modo o mezzo assumere un'apprendista per meno di quattro anni e dargli
un paio di focacce per ogni settimana e un paio di capponi per Natale e
venti soldi Bolognesi entro cinque anni. E chi controvverrà ai venti soldi
Bolognesi e alle focacce e ai capponi sia punito con venti soldi Bolognesi
ogni volta che contravverrà un ciascuno di questi punti.
E prescriviamo che tutti gli atti da oggi in avanti debbano essere com-
piuti presso un Notaio della Società in presenza di almeno due Ministe-
riali e che debbono essere scritti su un registro che resterà sempre presso
il Massaro. E chi contravverrà paghi come ammende tre libre Bolognesi.
E ciò sia irrevocabile.
XXXI. Del fatto che ciascuno della Società sia tenuto a mostrare ai Mi-
nisteriali il contratto del suo apprendista entro il termine di un anno dal
momento in cui l'ha assunto
Noi stabiliamo ed ordiniamo che ciascun membro della Società sia tenuto
entro un anno dall'assunzione di un'apprendista, a mostrare il contratto
ai Ministeriali della Società. E che chi contravverrà sia punito con cinque
soldi Bolognesi per ogni contravvenzione.
XXXII Del fatto che nessuno possa assumere chi non sia della città o del
contado di Bologna o chi sia servo di qualcuno
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società possa tenere né
debba avere come apprendista qualcuno che sia un servo o sia di un altro
territorio. E chi contravverrà sia punito con cento soldi Bolognesi per
ogni infrazione.
E prescriviamo che se qualche socio sposerà una serva (non libera), paghi
a titolo di ammenda dieci libre e che sia escluso dalla Società. E ciò sia ir-
revocabile.

123
Carta di Bologna

XXXIII. Del fatto che i maestri siano tenuti a fare accogliere gli ap-
prendisti nella Società entro due anni
Noi stabiliamo ed ordiniamo che ciascun maestro sia tenuto a fare acco-
gliere come suo apprendista nella Società dopo che questi sia rimasto con
lui per due anni e a garantire per questo apprendista una e buona e suffi-
ciente sicurezza sua entrata nella Società. E che coloro che contraverran-
no siano puniti con venti soldi Bolognesi per ogni contravvenzione e in
ogni caso se non recepiscono questa.
XXXIV. Del fatto che nessuno della Società debba lavorare per qualcu-
no che debba qualcosa ad un maestro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società debba lavorare a
giornata o a prezzo prefissato per qualcuno che debba dare qualcosa o
pagare del denaro a un maestro per motivi di lavoro una volta venutone
a conoscenza o esserne stato informato dallo stesso maestro o dai Mini-
steriali della Società. E chi contravverrà sia punito con venti soldi Bolo-
gnesi per ogni maestro e che li paghi ai maestri come indennità per il loro
lavoro. E che i Ministeriali siano tenuti a comminare le ammende entro
otto giorni dal momento in cui il fatto è diventato noto ed evidente e che
facciano pagare ai maestri le indennità.
XXXV. Del fatto che la Società duri per dieci anni
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che questa Società debba du-
rare dieci anni in tutto o più secondo quanto deciderà la Società o la sua
maggioranza a scrutinio.
XXXVI. Del fatto che nessuno si lamenti dei Ministeriali davanti al Po-
destà o a un suo giudice
Inoltre stabiliamo ed ordiniamo che un maestro della Società non possa
in alcun modo o forma, né debba andare avanti al Podestà o al suo Tri-
bunale per lamentarsi dei Ministeriali o di uno di loro. E chi contravverrà
paghi a titolo di ammenda tre libre Bolognesi per ogni contravvenzione.
E che ciò sia irrevocabile.
XXXVII Pubblicazione degli Statuti
Questi Statuti sono stati letti e resi pubblici nell'Assemblea della Società
riunita per mezzo dei Nunzii, secondo le modalità usuali nel cimitero del-
la Chiesa di S. Procolo nell'anno del Signore 1248, sesto dell'indizione nel

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Studi sulla Massoneria

giorno 8 di agosto, sotto il Potestato di Bonifacio De Cario, Podestà di


Bologna.
XXXVIII. Del fatto che il Massaro e i Ministeriali siano tenuti a racco-
gliere i contributi
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Massaro dei maestri del legno sia te-
nuto a raccogliere tutti i contributi imposti e le sanzioni da lui pronun-
ciate e le ammende comminate durante il suo mandato. E che se egli non
le raccoglie le paghi in proprio al doppio. E che il Notaio sia tenuto col
Massaro a raccogliere i contributi, le sanzioni, le ammende, le penalità.
E che i Ministeriali siano tenuti ad andare ciascuno nel suo quartiere a
recuperare contributi, sanzioni, ammende.
E che il Nunzio della Società debba andare col Massaro e che se essi non
andranno siano puniti con cinque soldi Bolognesi ad ogni mancanza.
XXXIX. Del fatto che il Nunzio della Società debba restare in carica un
anno
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Nunzio della Società debba restare in
carica un anno e che abbia per compenso quaranta soldi Bolognesi.
XL. Del Notaio della Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali ed il Massaro debbano as-
sumere un buon Notaio per la Società e che egli debba restare in carica
un anno, che debba trascrivere le entrate del Massaro e le spese e che
debba fare tutti gli atti e le modificazioni e gli Statuti della Società e che
egli debba avere come compenso quaranta soldi Bolognesi.
XLI. Del fatto che si debbano fare due libri dei nomi dei maestri del le-
gno
Noi stabiliamo ed ordiniamo che si debbano fare due libri dei nomi dei
maestri del legno e che ciascuno sia nell'uno e nell'altro. E che il Massaro
debba conservare uno e un altro maestro debba conservare l'altro. E che
se un maestro morrà, sia cancellato da questi libri.
XLII. Del rendiconto dei Ministeriali e del Massaro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali e il Massaro debbano dare
il rendiconto la penultima domenica del mese, sotto l'altare di S. Pietro.
XLIII. Sulla compilazione di una tavola
Noi stabiliamo ed ordinamento che i Ministeriali in carica in futuro siano

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Carta di Bologna

tenuti a fare una tavola dei nomi dei maestri del legno conforme all'iscri-
zione. E se i Ministeriali mandano qualcuno al servizio del Comune di
Bologna, questo debba andare secondo il suo turno, in modo che nessuno
sia danneggiato; sotto pena di cinque soldi Bolognesi per ciascuno dei
Ministeriali ogni volta che avrà contravvenuto.
XLIV. Del fatto che nessuno debba calunniare la Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se qualcuno avrà pronunciato offese o
calunnie alla Società sia punito con venti soldi Bolognesi per ogni volta.
E che ciò sia irrevocabile. E che i Ministeriali siano tenuti a richiedere
queste somme. E che se non le avranno richieste paghino il doppio in
proprio.
XLV. Del fatto che i Ministeriali debbano decadere
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali in carica debbano decade-
re, al termine del loro mandato, per un anno.
XLVI. Del fatto che le Società debbano riunirsi separatamente
Noi stabiliamo ed ordiniamo che la Società dei maestri del legno debba
riunirsi a parte là dove le piacerà ai Ministeriali della Società e che la So-
cietà dei maestri del muro debba allo stesso modo radunarsi a parte là
dove piacerà ai Ministeriali della Società in modo che esse possano riunir-
si insieme e solo se i Ministeriali di queste Società decidano di riunirle in-
sieme, esse potranno riunirsi.
E i Ministeriali devono restare uniti per rendere conto ai maestri del mu-
ro e del legno che vorranno interrogarli, due volte al mese, cioè ogni due
domeniche.
XLVII. Della retribuzione dei compilatori degli Statuti
Inoltre stabiliamo ed ordiniamo che i quattro preposti agli Statuti che
saranno in carica in futuro, abbiano ciascuno due soldi Bolognesi come
retribuzione.
XLVIII Della confezione di un cero
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che, a spese della Società, sia
fatto un cero di una libra che dovrà bruciare alle messe della Società.
IL. Dei ceri da dare annualmente alla Chiesa di S. Pietro
Parimenti stabiliamo ed ordiniamo che siano dati ogni anno, a spese del-
la società, alla Chiesa di S. Pietro, Cattedrale di Bologna, nella festa di S.

126
Studi sulla Massoneria

Pietro, al mese di giugno quattro ceri di una libra. E che i Ministeriali


che saranno in carica sian tenuti ad acquistarli sotto pena di cinque soldi
Bolognesi ciascuno.
L. Del fatto che un maestro che abbia licenziato un'apprendista prima
del termine, possa averne un altro
Noi stabiliamo ed ordiniamo che se un maestro della Società dei muratori
licenzi un suo apprendista prima del termine di 5 anni, egli non possa a-
vere un altro apprendista prima che sia passato il periodo di 5 anni, sotto
pena di ammenda di quaranta soldi Bolognesi.
LI. Dell'acquisto di un drappo funebre per la Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Massaro e i Ministeriali che saranno in
carica nel nuovo anno, siano tenuti all'acquisto di un buon drappo fune-
bre per la Società a spese della Società. E che il drappo sia portato al ca-
pezzale dei membri della Società che moriranno, così come dei familiari
di coloro che sono della Società per i quali sarà comprato e non al capez-
zale di chi non è della Società.
LII. Della retribuzione del Consigliere degli Anziani
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Consigliere che sarà dato agli Anziani
della Società dei muratori sia designato dai Ministeriali di questa Società.
E che egli abbia per compenso cinque soldi Bolognesi dal fondo della So-
cietà di cui dispongono i Ministeriali, nel caso che egli resti in funzione
per sei mesi. Se egli resta in carica tre mesi, che egli abbia soltanto due
soldi e sei denari Bolognesi.
LIII. Dei fatto che il Massaro e i Ministeriali siano tenuti a dare il rendi-
conto
Noi stabiliamo ed ordiniamo che i Ministeriali ed il Massaro in carica in
futuro siano tenuti a fare presentare il rendiconto ad ogni membro della
Società dei muratori a chiunque, non membro, lo domanderà.
LIV. Sul non disturbare nelle adunanze
Inoltre stabiliamo ed ordiniamo che non si debba disturbare né litigare
nelle adunanze della Società. E che chi contravviene sia punito con venti
soldi Bolognesi.
LV. Del fatto che la Società debba riunirsi nella Chiesa di S. Pietro
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che la Società debba riunirsi

127
Carta di Bologna

per ogni attività nella Chiesa di S. Pietro o sopra il Palazzo del Signor
Arcivescovo.
E i Ministeriali offrano alla Chiesa di S. Pietro quattro ceri di una libra.
E che lemesse della Società siano celebrate in questa Chiesa.
LVI. Della necessità di avere più Nunzi nel caso che un membro della
Società muoia
Noi stabiliamo ed ordiniamo che, allorché qualcuno della Società muoia,
i Ministeriali possano avere uno o più Nunzi per fare riunire i soci presso
il corpo del defunto, e che compensino come sembrerà loro giusto, a spese
della Società.
LVII. Di coloro che non versano il denaro per le messe
Noi stabiliamo inoltre ed ordiniamo che se qualcuno non verserà quattro
denari Bolognesi per le messe nel termine fissato dai Ministeriali, questi
debba versare il doppio al Nunzio che andrà al suo domicilio per riscuote-
re la somma.
LVIII. Della necessità di fare copia degli Statuti della Società
Allo stesso modo stabiliamo ed ordiniamo che tutti gli Statuti della So-
cietà siano copiati di nuovo e che là dove si dice i Ministeriali del muro e
del legno, si dica soltanto del muro, in modo che gli Statuti della Società
del muro siano distinti da quelli del legno. E ciò sia irrevocabile.
LIX. Della necessità di fornire un pegno al Nunzio della Società
Poi stabiliamo ed ordiniamo che se un membro della Società non dia al
Nunzio della Società un pegno quando sia richiesto da parte dei Ministe-
riali, nessuno debba lavorare con lui sotto pena di un'ammenda di venti
soldi Bolognesi che qualcuno lavorerà con lui, a meno che egli non accetti
di conformarsi agli ordini dei Ministeriali.
LX. Del compenso dei Notaio della Società
Noi stabiliamo ed ordiniamo che il Notaio della Società abbia come com-
penso, ogni 6 mesi, venti soldi Bolognesi e non di più.
LXI. Del compenso degli Controllori dei Conti
Infine stabiliamo ed ordiniamo che gli Controllori dei Conti (Controllori
dei Conti) debbano avere come compenso cinque soldi Bolognesi e non di
più.

128
Studi sulla Massoneria

POEMA REGIUS
Il manoscritto Regius è costituito da 794 versi a rima baciata in inglese
medioevale, che gli esperti paleografi del British Museum di Londra fan-
no risalire al 1390. È custodito nella British Library della capitale ingle-
se.
Costituisce, probabilmente, una trascrizione di copie anteriori. Fu pub-
blicato nel 1840 da James O. Halliwell-
Phillipps, e successivamente nel 1844, con il ti-
tolo di The Early History of Freemasonry in En-
gland.
Il carattere massonico dell'opera fu scoperto
dallo stesso Halliwell, che non era un libero
muratore. Il manoscritto in precedenza era ca-
talogato come un poema di regole morali.
Le comuni denominazioni di Regius Manuscript
o di Poema regius sono state date al volume
perché esso faceva parte della biblioteca reale,
iniziata tra la fine del XV secolo e il principio
del XVI da Enrico VII, fondatore della dinastia dei Tudor, e donata al
British Museum, nel XVIII secolo, da Giorgio II
Gli americani designano più solitamente il testo con l’indicazione Halli-
well Manuscript.
La copertina del testo reca su entrambe le facce le insegne reali di Giorgio
II e la data del 1757, anno nel quale il re, con un atto convalidato dal Si-
gillo della Corona d'Inghilterra, donò - come si accennò prima - la biblio-
teca del suo palazzo, contenente il manoscritto, al British Museum.
Precedentemente il volume era di proprietà di John Theyer, un erudito
collezionista di libri del XVII secolo, originario del Gloucestershire.
Il testo è menzionato per la prima volta nel 1670, in un inventario della
biblioteca di costui. Fu venduto, pochi anni dopo, ad un libraio di Lon-
dra, Robert Scott; ed infatti se ne trova indicazione in un inventario del-
le disponibilità librarie di quest'ultimo, compilato nel 1678.
Si reputa che il Regius sia pervenuto alla casa regnante inglese per la
vendita fatta dallo Scott a Carlo II, vissuto dal 1630 al 1685 e salito al
trono nel 1651. Si sa di certo che entrò a far parte della biblioteca reale e
che vi rimase sino al 1757, anno in cui - come già abbiamo visto - Giorgio
II ne fece dono al British Museum.

129
Poema Regius

Nel Catalogous Manuscriptorum Angliae del Bernard, pubblicato ad O-


xford del 1697, il volume è menzionato a pagina 200 del repertorio, tra i
libri della biblioteca reale. Nel suo Catalogne of the Manuscripts of the Old
Royal Library, stampato nel 1734, David Casley lo annovera similmente,
classificandolo come Poem of Moral Duties.
Non si può sapere con certezza come il manoscritto sia pervenuto a John
Theyer, suo primo proprietario di cui si abbia notizia documentata.
Knoop, Jones e Hamer hanno formulato l'ipotesi che, prima dello scio-
glimento dei monasteri decretato da Enrico VIII, appartenesse al priora-
to di Lanthony, che aveva giurisdizione religiosa nel Gloucestershire.
L'ultimo priore di Lanthony, andato ad abitare con una sorella, avrebbe
portato con sé i preziosi manoscritti del priorato. Questa sorella del prio-
re era bisnonna di John Theyer, che avrebbe avuto il Regius in eredità
con altri manoscritti.
Abbiamo visto che il contenuto massonico del documento fu scoperto
soltanto nel XIX secolo. È opportuno ricordare adesso più dettagliata-
mente che questo avvenne quando il già citato James O. Halliwell-
Phillipps ne parlò nella sua memoria Sull'introduzione della Massoneria
in Inghilterra, presentata alla Società degli Antiquari nella sessione 1838-
1839.
Il manoscritto è steso con il caratteristico stile del periodo al quale ap-
partiene, in una lingua notevolmente diversa dall'inglese moderno che
Roderick H. Baxter, che fu Maestro Venerabile della Loggia di ricerca
Quatuor Coronati di Londra e presidente dell'Associazione per la ricerca
massonica di Manchester, ritenne opportuno divulgarlo dopo un'accorta
e paziente modernizzazione del testo, per renderne agevole la lettura e la
comprensione.
Numerosi sono gli studi condotti sul Poema regio. Fra questi rimane an-
cor oggi fondamentale quello pubblicato nel 1889 nel primo volume della
raccolta ―Antigrapha‖ della Loggia Quatuor Coronati di Londra.
Nel novembre del 1914, Baxter lesse in una Loggia di ricerca di Leicester
una tavola da lui scolpita sull'argomento e i brani essenziali di essa sono
riportati alla voce Halliwell Manuscript nel primo volume dell'Encyclope-
dia del Mackey: voce che include anche la già menzionata trascrizione di
Baxter del Poema regio in inglese moderno.
In seguito Edmond Mazet ha fatto una traduzione del Poema regio pub-
blicata sulla rivista ―Travaux de la Loge nationale de recherches Villard
de Honnecourt‖.

130
Studi sulla Massoneria

Il Poema regio è costituito da due parti, variamente articolate.


La prima parte si estende per 496 versi ed è suddivisa in due ampie trat-
tazioni:
1) l'una storica, che espone la fondazione della Massoneria operativa in
Egitto a opera di Euclide (vv. 1-57) e la diffusione successiva dell'Arte si-
no alla sua introduzione in Inghilterra nel X secolo, ai tempi del re Atel-
stano, che ne sanziona solennemente le costituzioni (vv. 58-86);
2) l'altra normativa - estesa tra i vv. 87 e 496, divisa a sua volta in quin-
dici articoli (vv. 87-260), in quindici punti (vv. 261-470) - é in un decreto
a sé stante, relativo all'assemblea generale dei massoni , con la presenza
dei più eminenti signori del luogo (vv. 471-496).
La seconda parte, che comprende i vv. 497-794, è costituita da una lunga
appendice contraddistinta dal titolo unico ―Ars quatuor coronatorum‖,
articolata in elementi derivati da narrazioni di fede, da cognizioni di co-
mune diffusione in quell'epoca, da prescrizioni religiose e da regole di
comportamento civile:
1) la leggenda dei Quattro Coronati (vv. 497-534);
2) la leggenda della torre di Babele (vv. 535-550);
3) l'istituzione delle arti liberali da parte di Euclide (vv. 551-576),.
4) i doveri verso la Chiesa (vv. 577-692),
5) le buone maniere nella vita
in comunione e nelle varie
evenienze della convivenza
sociale (vv. 693-794).
Per pervenire ad un chiaro
quadro d'insieme, è opportu-
no esaminare analiticamente
quella parte del Poema regio
il cui contenuto si palesa e-
minentemente normativo.
Una sintetica traccia dei
quindici articoli e dei quindi-
ci punti può mettere in evi-
denza lo sviluppo e i nessi del
lavoro.

131
Poema Regius

Ecco gli articoli:


1) Principali diritti e doveri del massone nello svolgimento delle mansioni
dell'Arte;
2) Obbligo di partecipazione all'assemblea generale;
3) Durata del periodo di apprendistato;
4) Trattamento degli apprendisti e selezione degli aspiranti all'Arte;
5) Requisiti fisici del massone;
6) Equa retribuzione degli apprendisti e miglioramenti anticipati per me-
rito;
7) Inammissibilità del furto e divieto di rifugio a chi l'abbia commesso;
8) Sostituzione degli incapaci e dei negligenti;
9) Onestà nell'assunzione degli impegni di lavoro;
10) Divieto di concorrenza sleale;
11) Divieto di lavoro notturno e deroghe ammesse;
12) Divieto di corruzione e obbligo di solidarietà nell'Arte;
13) Insegnamento dovuto all'apprendista;
14) Requisiti di versatilità dell'aspirante apprendista;
15) Divieto di falso giuramento e di complicità.
Ed ecco i punti:
a) Obblighi d'amore verso Dio, verso la Chiesa e verso i compagni;
b) Obbligo di lavoro coscienzioso e diritto al riposo festivo;
c) Obbligo di seguire i saggi consigli e di mantenere il segreto sui lavori
della Loggia;
d) Divieto di perseverare nell'errore e di arrecare pregiudizio ai compagni
e al maestro;
e) Obbligo di accettare il salario e le comunicazioni di licenziamento;
f) Composizione delle controversie;
g) Divieto d'insidiare le mogli e le concubine altrui;
h) Obbligo di mediare nelle eventuali dispute tra il maestro e i compagni;

132
Studi sulla Massoneria

i) Norme per il reciproco servizio nell'alloggio comune, per l'amministra-


zione delle vettovaglie e per la presentazione dei rendiconti;
l) Divieto di diffamazione e sanzioni relative allo specifico reato;
m) Obbligo d'istruzione reciproca nell'Arte;
n) Sovranità dell'assemblea;
o) Giuramento di onestà;
p) Giuramento di fedeltà al potere costituito e alle norme della Massone-
ria;
q) Espulsione degli indegni, ammenda dei pentiti, condanna dei colpevo-
li.
La divisione della parte normativa del Poema regio in articoli e punti (e
peraltro in un ugual numero degli uni e degli altri) potrebbe far sì che il
lettore sia indotto a credere di trovarsi di fronte a testi correlati come nel
caso di una legge e di un regolamento esplicativo o di un atto costitutivo
e di uno statuto. Qui invece articoli e punti non trattano la stessa mate-
ria, nel senso che i secondi
non integrano i primi per
chiarirne le modalità di appli-
cazione e per disciplinare in
particolare gli argomenti che
in precedenza erano stati san-
citi in generale. Articoli e
punti si susseguono in conti-
nuazione logica e il perché
della diversità di nome tra gli
uni e gli altri non appare fa-
cilmente comprensibile.
Si può forse ritenere che si
tratti di regole approvate in
due tempi successivi, cosicché
i punti non sarebbero che ar-
ticoli aggiunti a un nucleo
precedente. O si può pensare
anche che il Regius sia il risul-
tato di due testi preesistenti,
entrambi già applicati con-

133
Poema Regius

temporaneamente, condotti ad unità dal compilatore che diede loro for-


ma poetica.
Tra gli articoli e i punti non sussiste nemmeno una differenza d'impor-
tanza. Non ci si trova dinanzi ad una prima serie di norme principali,
completate poi opportunamente da norme classificabili come accessorie.
Tutte le regole sancite sono ugualmente rilevanti per il tranquillo e profi-
cuo svolgimento dei lavori e la vita serena della comunità degli addetti
all'Arte reale.
QUI COMINCIANO LE COSTITUZIONI DELL’ARTE DELLA GEOMETRIA
SECONDO EUCLIDE.
Chiunque saprà bene leggere e vedere
Potrà trovarle scritte nell‟antico libro
Di grandi signori ed anche di signore
Che ebbero molti figli insieme, con certezza.
E non avevano rendite per mantenerli.
Né in città, né in campagna, né in boschi recinti;
Essi presero insieme una decisione
Di stabilire per la salvezza di questi fanciulli
Come essi potessero meglio sopportare la vita
Senza grandi malattie, affanni e lotte
E, principalmente, per la moltitudine dei figli
Che sarebbe venuta dopo la fine loro.
Essi li mandarono presso grandi maestri
Che insegnassero loro a bene operare.
E preghiamo loro, per amor di nostro Signore
Che sia dato ai nostri figli qualche lavoro
Che permetta loro di vivere
Bene e onestamente, in piena sicurezza.
In quel tempo, mediante buona geometria
Questa onesta arte di buona muratoria
Fu stabilita e fatta in questo modo:
Coll‟imitare questi maestri, insieme
Alle preghiere di questi signori essi dimostrarono la geometria.
E dettero il nome di massoneria
All‟arte più onesta di tutte.
Questi figli di signori si misero d‟impegno
Per imparare da lui l‟arte della geometria
Che egli praticava con zelo.

134
Studi sulla Massoneria

Per le preghiere dei padri e delle madri


Egli li ammise a questa onesta arte.
Egli era il più grande erudito ed era onesto
E superava lo zelo dei suoi compagni
Poiché in quell‟arte egli oltrepassava gli altri
E avrebbe conseguito più prestigio.
Il nome di questo grande saggio fu Euclide,
Il suo nome spande piena e ampia meraviglia.
Inoltre, questo grande maestro ordinava
A chi era più in alto in questa scala
Che insegnasse a chi era meno dotato
A essere perfetto in quella onesta arte.
E così ciascuno insegnava all‟altro
E si amavano l‟un l‟altro come fratello e sorella.
Inoltre egli ordinò che
Lo si chiamasse Maestro,
In modo che chi fosse il più degno
Fosse chiamato così.
Ma i muratori non si dovevano chiamare l‟un l‟altro,
Nell‟arte e fra di loro,
Né soggetto, né servo, ma caro fratello.
Anche se uno non era perfetto come l‟altro
Doveva ciascuno chiamare l‟altro compagno
Perché essi erano di buona nascita.
In questo modo, mediante la buona conoscenza della geometria
Ebbe origine l‟arte della massoneria.
Il maestro Euclide in questo modo fondò
Quest‟arte di geometria in terra d‟Egitto.
In Egitto egli ampiamente insegnò,
E in diverse terre da ogni parte,
Molti anni dopo ho saputo,
Prima che l‟arte venisse in questo paese.
Quest‟arte venne in Inghilterra, come vi dico,
Al tempo del buon re Atelstano.
Egli fece sia sale che loggiati
E alti templi di grande prestigio
Per compiacersi sia di giorno che di notte
E onorare il suo Dio con tutte le sue forze.
Questo buon signore amò grandemente quest‟arte

135
Poema Regius

E si propose di consolidarla da ogni lato


Perché aveva trovato vari difetti in essa.
Egli mandò a dire in tutto il paese,
A tutti i Massoni dell‟arte,
Di andare da lui immediatamente
Per correggere tutti questi errori
Col buon consiglio, se poteva essere dato.
Fece fare allora una assemblea
Di vari signori, secondo il loro stato:
Duchi, conti e anche baroni,
Cavalieri, gentiluomini e molti altri
E i maggiori cittadini di quella città;
Essi erano tutti là secondo il loro grado.
Quelli erano là secondo i propri mezzi
Per stabilire la condizione di questi Massoni.
Là essi cercavano col loro intelletto
Come poterli governare.
Quindici articoli essi cercarono
E quindici punti essi elaborarono.
QUI COMINCIA IL PRIMO ARTICOLO
Il primo articolo di tale geometria:
Il maestro massone deve essere pienamente sicuro
Risoluto, fidato e sincero.
Di questo egli non si pentirà mai.
E paghi i suoi compagni secondo il costo
Del mantenimento, voi lo sapete bene,
E paghi loro il giusto secondo coscienza,
Ciò che possono meritare.
E non assuma più uomini
Di quanti possa adoperare
E non si lasci corrompere, né per amore né per paura
Da qualsiasi altra parte,
Da signore o da compagno, chiunque sia:
Da costoro non accettare alcun compenso.
E, come un giudice, sta‟ agli impegni
E allora farai il giusto per entrambi.
Fa questo sinceramente dovunque tu vada
E il tuo merito, il tuo profitto sarà migliore.

136
Studi sulla Massoneria

SECONDO ARTICOLO
Il secondo articolo di buona massoneria
Deve udirsi specialmente qui:
Che ogni maestro, che sia un massone,
Deve essere alla corporazione generale,
Naturalmente, se è stato informato
Dove sarà tenuta questa assemblea.
A tale assemblea deve andare
Salvo che non abbia una ragionevole giustificazione.
Altrimenti egli vuole offendere la corporazione
0 vuole comportarsi con falsità,
Oppure è gravemente ammalato
Da non poter andare in mezzo a loro.
Questa è una giustificazione valida
Per quella assemblea, senza frottole.
TERZO ARTICOLO
Il terzo articolo dice in verità
Che il maestro non assume apprendista
Senza aver l‟assicurazione che si fermi
Sette anni con lui, così vi dico,
Per insegnargli la sua arte, quello che serve.
In minor tempo quegli non potrà imparare
A beneficio del suo signore né suo proprio,
Come potete sapere a buona ragione.
QUARTO ARTICOLO
Il quarto articolo deve essere quello
Che il maestro deve tenere per sé.
Che egli non deve tener schiavo l‟apprendista
Né trattarlo con avarizia
Poiché il signore al quale è legato
Può cercare l‟apprendista dovunque egli vada.
Se è stato preso nella loggia,
Egli può farvi molto danno
E in tal caso può accadere
Che faccia danno a qualcuno o a tutti.
Perciò tutti i Massoni che sono là
Stiano insieme in piena fratellanza.

137
Poema Regius

Se una tale persona fosse nell‟arte


Possono capitare vari inconvenienti;
Per miglior agio quindi, onestamente,
Assumi un apprendista di condizione elevata.
Dai tempi antichi si trova scritto
Che l‟apprendista deve essere di nobile stato;
E così talvolta il sangue di grandi signori
Apprese tale geometria, il che è molto bene.
QUINTO ARTICOLO
Il quinto articolo è molto giusto.
Posto che l‟apprendista sia di nascita legittima,
Il maestro non accoglierà a nessun prezzo
Un apprendista che sia deforme:
Ciò significa, come puoi udire,
Che avrà le sue membra tutte intere;
Per l‟arte sarebbe grande scorno
Prendere uno zoppo e uno storpio.
Perciò un uomo imperfetto, di tale razza,
Porterebbe poco di buono all‟arte.
Così ciascuno di voi deve sapere
Che l‟arte vuole avere un uomo forte;
Un uomo mutilato non ha forza,
Dovete saperlo fin d‟ora.
SESTO ARTICOLO
Il sesto articolo non va tralasciato:
Che il maestro non rechi pregiudizio al signore,
Nel prendere da questi, per il suo apprendista,
Anche quanto è in ogni caso dovuto ai compagni.
A quelli che sono nell‟arte già perfetti
Questo non deve essere, anche se parrebbe di sì.
Anche se vi fossero buone ragioni
Che percepisse il salario come i suoi compagni,
Questo stesso articolo, in tal caso,
Giudica che l‟apprendista
Prenda meno dei compagni che sono perfetti.
In vari casi può occorrere
Che il maestro possa istruire l‟apprendista
Onde il suo salario possa aumentare presto

138
Studi sulla Massoneria

E, prima che il termine giunga a compiersi,


Il suo salario possa venire migliorato.
SETTIMO ARTICOLO
Il settimo articolo che è qui ora
Dirà chiaramente a voi tutti
Che nessun maestro, per favore o per timore,
Può rubare ad alcuno abito o cibo.
Né dare rifugio ad alcun ladro
Né a chi abbia ucciso un uomo,
Né a chi abbia cattiva fama,
Per timore di esporre l‟arte al biasimo.
OTTAVO ARTICOLO
Vi mostra così l‟ottavo articolo
Che il maestro può far bene così:
Se ha qualche operaio
Che non sia perfetto come bisogna,
Egli può cambiarlo sollecitamente
E prendere al suo posto un uomo migliore.
Un tale uomo, per negligenza,
Potrebbe nuocere alla riputazione dell‟arte.
NONO ARTICOLO
Il nono articolo mostra appieno
Che il maestro dev‟essere saggio e forte.
Che non può intraprendere alcun lavoro
Se non è in grado di farlo e condurlo a termine.
E che esso sia anche utile ai signori
E alla sua arte, dovunque vada,
E che le fondamenta siano ben preparate
Perché non si fenda e non crolli.
DECIMO ARTICOLO
Bisogna conoscere il decimo articolo,
Nell‟arte, in alto e in basso.
Che non ci sia maestro che soppianti l‟altro
Ma stiano insieme come fratello e sorella.
In questa zelante arte, tutti e ciascuno,
Chi vuole essere un maestro massone

139
Poema Regius

Non soppianti nessun altro.


Che avendogli sottratto un lavoro,
Il suo dolore è così forte
Che non pesa meno di dieci libbre,
Se non è trovato colpevole
Di aver con mano per primo toccato il lavoro.
Per nessuno in massoneria
Si soppianterà, di certo, un altro.
Ma se il lavoro è fatto in modo
Che possa a sua volta rovinare,
Allora un massone può chiedere tale lavoro
Ai signori, per tutelare il loro interesse.
A meno che non capiti un tale caso,
Nessun Massone vi si deve immischiare.
Veramente colui che comincia le fondamenta,
Se è un massone buono e integro,
Ha di certo nella sua mente
Come portare a buon fine il lavoro.
UNDICESIMO ARTICOLO
L‟articolo undicesimo, io ti dico
Che è insieme leale e franco
Poiché insegna, con la sua forza,
Che nessun massone deve lavorare di notte
Se non sia a conoscenza
Che ciò sia a vantaggio del lavoro.
DODICESIMO ARTICOLO
Il dodicesimo articolo è di alta probità:
Ogni massone, dovunque sia,
Non deve corrompere i suoi compagni di lavoro.
Se vuol salvare la propria onestà
Li comanderà con parole oneste,
Con l‟ingegno che Dio gli ha dato.
Invece devi migliorarlo come puoi
Fra voi insieme senza contesa.
TREDICESIMO ARTICOLO
Il tredicesimo articolo, così Dio mi salvi,
È che se il maestro ha un apprendista

140
Studi sulla Massoneria

Cui egli ha insegnato tutto


E gli ha spiegato gradualmente i vari punti
Così che questo sia capace di conoscere l‟arte,
Dovunque possa andare sotto il sole.
QUATTORDICESIMO ARTICOLO
Il quattordicesimo articolo, a buona ragione
Mostra al maestro quel che deve fare:
Egli non deve accogliere un apprendista
Se non prendendo varie cautele
Che quegli possa, nel suo termine,
Apprendere da lui le diverse parti.
QUINDICESIMO ARTICOLO
Il quindicesimo articolo pone un termine
Ed è un amico per il maestro
Per insegnargli che con nessuno
Egli si può condurre scorrettamente,
Né mantenere i suoi compagni nel loro peccato,
Per alcun interesse che gli potesse venire.
Non accetterà di fare falso giuramento
Per tema della salvezza della sua anima.
Se no, esporrebbe l‟arte alla vergogna
E se stesso al biasimo.

ALTRE COSTITUZIONI
A questa assemblea furono stabiliti dei punti,
Dai grandi signori ed anche dai maestri,
Che chiunque volesse apprendere quest‟arte e
appartenervi
Doveva amare Dio e la santa chiesa
Ed anche il maestro col quale sta,
Dovunque egli vada, in campagna o nel bosco.
E devi amare anche i tuoi compagni
Poiché questo la tua arte desidera da te.
PUNTO SECONDO
Il secondo punto è, come vi dico,
Che il massone lavori durante la sua giornata

141
Poema Regius

Veramente, per quanto sa e può


In modo da meritare il suo riposo per la festa
Ed operi seriamente nel suo lavoro
Onde meriti la sua mercede.
PUNTO TERZO
Il terzo punto deve essere ben conosciuto
Fra gli apprendisti rispettivamente:
Che il consiglio del maestro deve accettare e tenere,
E quello dei compagni, con buon proposito.
Non dirà a nessuno i segreti della camera,
Né qualsiasi cosa essi facciano nella loggia.
Qualunque cosa tu ascolti o veda fare
Non devi dirla a nessuno, dovunque andrai.
Il consiglio del vestibolo e quello del loggiato
Vi renderà, per questo, grande onore.
Il contrario vi porterebbe al biasimo
Ed arrecherebbe grande vergogna all‟arte.
PUNTO QUARTO
Il quarto punto ci insegna anche
Che nessuno deve essere falso verso la sua arte.
Non deve perseverare nell‟errore
Contro l‟arte, ma evitarlo.
Non farà egli pregiudizio
Al suo maestro né ai suoi compagni.
E sebbene l‟apprendista sia posto al di sotto
Anch‟egli deve avere la stessa legge.
PUNTO QUINTO
Il quinto punto, innegabilmente è
Che quando il massone prende la paga
Stabilita dal suo maestro,
Egli deve prenderla docilmente.
Tuttavia il maestro può, per fondata ragione,
Avvertirlo formalmente prima di mezzogiorno
Se non intende occuparlo più oltre
Come ha fatto fin qui.
Contro tale ordine non può contendere
Se (il maestro) pensa di avere migliore successo.

142
Studi sulla Massoneria

PUNTO SESTO
Il sesto punto deve essere fatto conoscere
Sia in alto che in basso.
Nel caso dovessero accadere
Fra i massoni, alcuni o tutti,
Per invidia od odio implacabile,
Che nascano spesso grandi contese,
Allora il massone è obbligato, se possibile,
A, destinare un certo giorno per la composizione.
Ma essi non procederanno a tale rito
Finché la giornata lavorativa non sarà trascorsa.
Durante un giorno festivo potrete facilmente
Trovare il tempo per la composizione.
Se fosse fatto durante la giornata di lavoro
Il lavoro sarebbe dilazionato per tale questione.
Assegna loro, quindi, un tale termine
Cosicché vivano bene nella legge di Dio,
PUNTO SETTIMO
Il settimo punto può bene significare
Che Dio ci ricompenserà per una vita buona.
A questo scopo descrive chiaramente
Che non dovrai giacere con la moglie del tuo maestro
Né con quella del tuo compagno, in nessun modo,
Altrimenti l‟arte ti disprezzerà;
Né con la concubina del tuo compagno,
Come tu non vorresti che egli facesse con la tua.
La pena per questo sia severa:
Che rimanga apprendista per sette anni interi,
Se incorre in un caso di questi.
Quegli allora deve essere punito;
Molti guai potrebbero avere principio
Da un tal peccato mortale.
PUNTO OTTAVO
Il punto ottavo, si può essere certi,
Se hai preso ogni cura
Di essere sincero verso il tuo maestro
Per questo punto non sarai dispiaciuto.

143
Poema Regius

Devi essere un sincero mediatore


Fra il tuo maestro e i tuoi compagni liberi;
Fa lealmente tutto ciò che puoi
Ad ambo le parti e ciò è molto bene.
PUNTO NONO
Il nono punto ci chiama
Ad essere attendenti del nostro alloggio.
Se vi trovate in camera insieme,
Ciascuno deve servire l‟altro con cortesia.
Rende i compagni cortesi, come voi dovete sapere
Fare tutti l‟attendente [„steward‟] a turno,
Settimana dopo settimana. Senza dubbio,
L‟attendente conviene farlo a turno;
Amabilmente servirsi l‟un l‟altro
Come si pensa per fratello e sorella.
Nessuno dovrà lasciare l‟onere a un altro
Per rendersi libero senza corrispettivo
Ma ognuno sarà ugualmente libero.
Di tale corrispettivo, così deve essere,
Fai attenzione di pagare sempre bene ogni uomo
Dal quale tu abbia comprato dei viveri:
Che nessuna accusa sia possibile fare a te
Né ai tuoi compagni di ogni grado
Ogni uomo o donna, chiunque sia,
Pagalo bene e giusto, per quello che offre.
Di questo ricevi per il tuo compagno valida ricevuta
Per il pagamento che gli hai fatto,
Per timore che ciò provochi rimprovero dei compagni,
E a te stesso parti di grande biasimo.
Quanto a lui, deve fare buoni rendiconti,
Delle merci che egli ha preso.
Di quello dei tuoi compagni che hai consumato
Dove, come e a qual fine.
Tali conti devi venirli a fare
Ogni volta che i tuoi compagni lo richiedano.
PUNTO DECIMO
Il decimo punto presenta la buona vita
Il vivere senza affanno e contesa.

144
Studi sulla Massoneria

Perciò se il massone vive in modo ingiusto


Ed è falso nel lavoro, certamente
Per tali false abitudini
Può diffamare ingiustamente i propri compagni.
Mediante frequenti false accuse
Può far sì che l‟arte ne abbia biasimo.
Se egli farà tale villania all‟arte
Certamente non gioverà poi a se stesso
Né lo si manterrà nella sua vita malvagia
Temendo che si metta a diffamare e contrastare.
Pertanto, non dovete ritardare,
Ma dovete costringerlo
A presentarsi dove crederete.
Dove tu desideri, forte o piano.
Lo richiamerai alla prossima assemblea
A presentarsi davanti ai suoi compagni
E se non vorrà comparire davanti a loro
Deve giurare di rinunziare all‟arte,
Poi sarà punito secondo la legge
Che fu fondata in giorni lontani.
PUNTO UNDICESIMO
L‟undicesimo punto è della buona discrezione
Come potete sapere con buona ragione.
Un massone che conosce bene quest‟arte
E veda il suo compagno alzare una pietra
E posarla in pericolo di rovinare
Dovrà correggerlo, se può,
E poi insegnargli a fissarla
In modo che l‟opera commissionata non rovini.
Devi però insegnargli gentilmente a perfezionarsi,
Con parole buone, che Dio ci ha dato;
Per il suo amore che sta in alto
Il tuo amore lo nutra con dolci parole.
PUNTO DODICESIMO
Il dodicesimo punto è di grande sovranità:
Laddove sarà tenuta l‟assemblea,
Là si troveranno i maestri ed anche i compagni
E molti altri grandi signori.

145
Poema Regius

Vi sarà lo sceriffo di quel paese


Ed anche il sindaco del posto;
Ci saranno cavalieri e gentiluomini
Ed altri notabili, come potrai vedere.
I decreti che essi faranno
Li manterranno tutti insieme
Verso ciascun uomo, chiunque egli sia,
Che appartenga all‟arte buona e libera.
Se egli entrerà in contrasto con essa
Sarà preso in loro custodia.
PUNTO TREDICESIMO
Il tredicesimo punto ci è molto caro.
Egli farà giuramento di non essere ladro
Né di aiutare alcuno nelle sue male arti.
Per qualsiasi cosa che egli abbia rubata
E tu ne abbia notizia o colpa,
Né per la sua roba né per la sua famiglia.
PUNTO QUATTORDICESIMO
Il quattordicesimo punto contiene una buona legge
Per chi sia in soggezione.
Egli deve prestare un sincero giuramento
Al suo maestro e ai suoi compagni che sono lì.
Egli deve essere risoluto ed anche sincero
A tutte queste ordinanze, dovunque egli vada;
E al suo sovrano signore il re,
Di essere sincero verso di lui soprattutto.
E a tutti questi punti detti prima
È obbligato a prestare giuramento.
E tutti devono pronunciare lo stesso obbligo
Dei massoni, piaccia loro o meno,
A tutti questi punti detti prima
Che sono stati ordinati da un buon maestro.
Ed essi indagheranno, ciascuno
Dalla propria parte, meglio che potranno.
Se qualcuno può essere trovato colpevole
In qualche punto particolare.
E, se lo è, sia cercato
E sia portato davanti all‟assemblea.

146
Studi sulla Massoneria

PUNTO QUINDICESIMO
Il quindicesimo punto è di ottima istruzione
Per coloro che là hanno giurato.
Tale decreto fu posto all‟assemblea
Dai citati grandi signori e maestri,
Per quelli che sono disobbedienti, con certezza,
Contro il decreto esistente
Di questi articoli che furono fatti là
Dai grandi signori e massoni insieme.
E se sarà pubblicamente provato
Davanti all‟assemblea, all‟istante,
E non faranno ammenda della loro colpa,
Allora dovranno abbandonare l‟arte
E così la corporazione dei massoni li rifiuterà
E promette solennemente di non assumerli più.
A meno che essi non facciano ammenda,
Non potranno più essere ammessi all‟arte.
E se non faranno così
Lo sceriffo verrà da loro
E porterà i loro corpi in buie prigioni,
Per le violazioni che essi hanno compiuto.
E porrà i loro beni e la loro vita
Nelle mani del re, dovunque,
E li lasceranno stare là
Fin che piaccia al sovrano nostro re di liberarli.
ALTRO DECRETO DELL‟ARTE DELLA GEOMETRIA
Essi ordinarono che si tenesse un‟assemblea
Ogni anno, laddove essi volevano,
Per correggere i difetti che capitasse di scoprire
Nella corporazione del paese.
Veniva tenuta ogni uno o tre anni
Sempre nel punto che preferivano;
Tempo e luogo doveva essere indicato
Perché avesse luogo il raduno.
Tutti gli uomini dell‟arte dovevano trovarsi là
Con altri grandi signori, come dovete vedere,
Per correggere gli errori di cui si doveva parlare,
Se qualcuno di loro era stato scorretto.

147
Poema Regius

Là, tutti dovevano prestare giuramento,


Tutti gli appartenenti a quest‟arte,
Di accettare ciascuno questi statuti
Che furono ordinati dal re Atelstano.
Questi statuti che ho qui fondato
Voglio che siano mantenuti in tutto il mio paese
In nome della mia regalità
Che ho per mia dignità.
Comando anche che ad ogni assemblea che terrete
Veniate al vostro coraggioso, sovrano re,
Supplicandolo della sua alta grazia
Di stare con voi in ogni luogo
Per confermare gli statuti di re Atelstano
Che ha ordinato quest‟arte per buona ragione.
ARTE DEI QUATTRO CORONATI
Preghiamo ora l‟altissimo Iddio
E sua madre, la lucente Maria
Affinché possiamo apprendere bene questi articoli
E questi punti, tutti insieme
Come fecero questi quattro santi martiri
Che dettero grande onore a quest‟arte,
Che furono così buoni massoni come non ce ne saranno sulla terra.
Essi furono anche incisori e scultori di immagini
Perché erano artigiani dei migliori.
L‟imperatore aveva grande predilezione per loro;
Egli desiderò che gli facessero una effigie
Che fosse venerata per amor suo.
Tali idoli dovevano in quel tempo
Distogliere il popolo dalla legge di Cristo.
Ma essi furono fermi nella legge di Cristo
E a quest‟arte, senza dubbio.
Amavano Dio e tutti i suoi precetti
E volevano sempre più servirlo.
Uomini veri erano in quel tempo
E vivevano felici nella legge di Dio,
Essi non potevano concepire di fare degli idoli,
Per qualsiasi ricompensa potessero ricevere,
0 credere negli idoli invece che in Dio.

148
Studi sulla Massoneria

Non avrebbero fatto questo, anche se egli si infuriava


Perché non avrebbero abbandonato la vera fede
E creduto alla sua falsa legge.
Allora l‟imperatore li fece prendere
E mettere in una profonda prigione.
La cosa più triste fu l‟essere puniti in quel posto
La cosa più gioiosa fu l‟essere in grazia di Cristo.
Allorché non vide altra via
Li condannò a morte.
Dal libro si può conoscere
Nella leggenda dei santi
Il nome dei quattro coronati.
La loro festa, senza dubbio, sarà
L‟ottavo giorno dopo Ognissanti.
Potete udire così come io ho letto
Che molti anni dopo, per un grande dubbio
Quando il diluvio di Noè fu completamente cessato
Ebbe inizio la torre di Babilonia,
Secondo un piano di lavoro di calce e pietra,
Come ognuno poteva vederla allora
Cosi lunga e larga era stata cominciata:
Per sette miglia di altezza oscurava il sole.
L‟aveva fatta il re Nabucodonosor,
Di grande solidità per amore degli uomini.
In modo che se ancora fosse venuto un altro diluvio
Non avrebbe sommerso l‟opera;
Per un così forte orgoglio, per tale vanteria,
Tutta quell‟opera fu cosi perduta.
Un angelo colpì con la diversità delle favelle,
Cosi l‟uno non comprendeva ciò che diceva l‟altro.
Molti anni dopo, il grande dotto Euclide
Insegnò l‟arte della geometria, molto profondo e chiaro.
Fece altrettanto con altri (soggetti) nello stesso tempo
Di molte altre diverse arti.
Per la suprema grazia di Cristo in cielo
Cominciò con le sette scienze:
La Grammatica è indubbiamente la prima scienza.
La Dialettica la seconda, mi piace dirlo.
La Retorica la terza, non si può negarlo.

149
Poema Regius

La Musica è la quarta, come vi dico.


L‟Astronomia è la quinta, a mio fiuto,
L‟Aritmetica la sesta, senza alcun dubbio.
La Geometria, la settima, chiude l‟elenco.
Per la sua umiltà e cortesia
La Grammatica in verità è la radice
Per cui chiunque potrà apprendere dai libri.
Ma l‟arte la supera di grado
Come sempre il frutto proviene dalla radice dell‟albero.
La Retorica misura con espressione ornata il ritmo
E la Musica è un dolce canto,
L‟Astronomia enumera, mio caro fratello,
L‟Aritmetica fa vedere che una cosa è un‟altra.
La Geometria è la settima scienza
Che può separare con certezza il falso dal vero.
Queste sono le sette scienze.
Chiunque le adoperi bene può avere il cielo.
Ora, cari figli, con la vostra conoscenza
Lasciate da parte la superbia e la cupidigia
E curate la buona discrezione
E la buona educazione, dovunque andiate.
Ora, vi prego di badare bene
A quanto sembrate abbisognare di più
Ma dovreste conoscere molto di più
Di quello che trovate scritto qui.
Se la vostra conoscenza è insufficiente,
Pregate Dio di farvela avere
Poiché Cristo stesso ci insegna
Che la Santa Chiesa è la casa di Dio
Che non è fatta per nessun altro scopo
Se non per pregarvi, come dice il Libro.
Là dentro la gente si riunirà
Per pregare e piangere i propri peccati.
Bada di non venire tardi in chiesa
A causa di scherzi lungo la via.
Quando poi vai in chiesa
Abbi in mente sempre di più
Di onorare di e notte il signore Dio tuo,
Con tutto il tuo intelletto e anche col tuo cuore.

150
Studi sulla Massoneria

Quando vieni alla porta della Chiesa


Prendi dell‟acqua santa.
Per ogni goccia che tu prenderai
Estinguerai un peccato veniale, siine certo.
Ma prima devi tirar giù il tuo cappuccio
Per l‟amore di Lui che è morto in croce.
Quando entri in chiesa
Offri il tuo cuore, subito, a Cristo.
Quindi guarda la croce lassù.
Poi piegati del tutto sulle ginocchia
Quindi pregalo di poter operare
Secondo la legge della santa chiesa,
Per seguire i dieci comandamenti
Che Dio ha dato a tutti gli uomini.
E pregalo sottovoce
Di tenerti lontano dai sette peccati
Per cui tu possa, durante la vita,
Preservarti dalle angosce e dalle lotte.
Inoltre, Egli ti assicuri la grazia
Di avere un posto nella beatitudine celeste.
Nella santa chiesa non usare parole sciocche
Proprie degli ignoranti, e parole sconce,
E respingi ogni vanità
Ma recita il pater noster e l‟ave Maria.
Guarda anche di non fare alcun rumore
Ma rimani sempre in preghiera;
Se non vuoi pregare,
In nessun modo non impedirlo agli altri.
Non sederti né stai in piedi in quel posto
Ma inginocchiati per terra
E, quando si leggerà il Vangelo,
Alzati completamente lontano dalla parete
E benedici tu stesso se lo sai fare,
Quando comincerà il gloria tibi.
E quando il Vangelo è compiuto
Tu potrai inginocchiarti ancora,
Giù su entrambi i ginocchi,
Per il suo amore che ci fa tutti inchinare.
E quando senti suonare le campane

151
Poema Regius

A quel santo sacramento


Tu devi inginocchiarti, giovane o vecchio che tu sia
E alza completamente entrambe le mani
E quindi parla in questo modo
Piamente e sommessamente, senza rumore:
"Signore Gesù, sii tu benvenuto
Come io ti vedo, in forma di pane.
Ora, Gesù, nel tuo santo nome
Difendimi dal peccato e dalla vergogna
Concedimi l‟assoluzione e la santa eucaristia
Prima che esca di qui,
E tanto pentimento dei miei peccati
Che mai più, signore, io vi ricada.
E, come tu sei nato dalla Vergine,
Non permettere che io mi perda più
Ma, quando andrò via di qui,
Concedimi la infinita beatitudine.
Amen! Amen! Così sia!
Ora, dolce signora, prega per me".
Simili parole potrai dire, od altre cose,
Quando ti inginocchi al sacramento
Desiderando il bene. Non risparmiare niente
Per onorare colui che tutto ha operato.
Un uomo può essere felice per il giorno
Che almeno una volta può vedere Lui.
È di così grande valore, senza dubbio,
Che nessuno potrà dire la virtù di ciò.
Ma quella vista dà tali frutti,
Come dice giustamente S. Agostino,
Che il giorno che vedrai il corpo di Dio
Due o tre volte, senza dubbio
Dovrai prestare obbedienza a quel signore.
Fallo col tuo ginocchio destro
In tal modo porterai rispetto a te stesso
Così, togliti berretto o cappuccio
Finché ti si dica di rimetterlo.
Tutte le volte che parli con lui
Amabilmente e con rispetto tieni alto il mento.
Cosi, secondo il senso del libro,

152
Studi sulla Massoneria

Potrai guardarlo bene in viso.


Tieni tranquilli i piedi e le mani:
Trattienti dal grattarti e dallo strascicare.
Guardati pure dallo sputare e dal pulirti il naso.
Per queste occorrenze personali
Sii saggio e discreto.
Devi aver gran cura di dominare le emozioni.
Quando entri nel vestibolo
In mezzo alla distinzione, la benevolenza e le cortesie,
Non presumerti troppo in alto per alcun motivo,
Né per la tua nascita, né per la tua abilità.
Non sederti né appoggiarti.
Questo è il modo saggio e pulito di condurti.
E se non si allenterà il tuo sostegno
Veramente la buona educazione preserverà la tua dignità,
Se il padre e la madre si condurranno bene
Il figlio non potrà che crescere bene.
Nel vestibolo, in camera, dovunque si vada
Le buone maniere fanno l‟uomo.
Guarda attentamente il prossimo grado
Per trattare con riguardo ciascuno singolarmente.
Non salutarli quando sono in gruppo,
A meno che tu non li conosca.
Quando ti siedi a mangiare,
Fallo in modo piacevole e simpatico:
Prima guarda che le tue mani siano pulite
E che il tuo coltello sia affilato e aguzzo
E taglia il tuo pane e il tuo cibo
Nel modo conveniente in quel posto.
Se siedi vicino a un uomo
Più importante di te,
Lascialo prendere la carne
Prima di prenderla tu.
Non prendere il boccone migliore
Anche se lo vorresti;
Tieni le mani composte ed evita
Di pulirle insudiciando la tovaglia.
Non pulirti il naso con quella
Né stuzzicare i denti a tavola.

153
Poema Regius

Non chinar troppo il viso nella coppa


Quando desideri di bere.
Se gli occhi fossero troppo vicini all‟acqua
Questo non sarebbe cortese.
Bada di non avere cibi in bocca,
Quando stai per bere o per parlare.
Quando vedi che qualcuno sta bevendo,
Fai attenzione al discorso:
Smetti subito di parlare
Se egli beve vino o birra.
Guarda pure di non disprezzare nessuno
In qualsiasi grado lo veda salire.
Non devi disprezzare nessuno
Se vuoi rispettata la tua dignità:
Per tali parole può risultare
Di essere triste nel sentirti colpevole:
Stringi la tua mano a pugno
E fa di non dover dire "l‟avessi saputo!".
In sala, fra signore brillanti,
Frena la lingua e impiega lo sguardo.
Non ridere a crepapelle,
Non scherzare con licenziosità,
Non giocare se non con i tuoi pari,
Non dire tutto ciò che ascolti,
Non parlare dei fatti tuoi,
Né per gusto né per interesse.
Parlando bene puoi ottenere quello che vuoi,
Come puoi distruggerti.
Quando incontri un uomo rispettabile
Togliti il cappello o il cappuccio,
In chiesa, al mercato o in strada.
Onoralo secondo il suo stato.
Se cammini con uno più importante
Di quanto lo sii tu,
Tienti un po‟ dietro di lui,
Per non mancargli di riguardo.
Quando egli parla, taci,
Quando avrà finito parlerai tu.
Sii efficace nei tuoi discorsi

154
Studi sulla Massoneria

E considera bene ciò che dici.


Ma non togliergli la parola
Né al vino né alla birra.
Allora Cristo nella sua grazia
Ti darà spirito e spazio
Per conoscere e leggere questo buon libro
Onde guadagnarvi il cielo.
Amen! Amen! Così sia!
Diciamo così tutti con carità.

155
Archivi dello Stato Civile di Edimburgo

ARCHIVI DELLO STATO CIVILE DI EDIMBURGO

MANOSCRITTO 1696

Il ms. Edinburgh, scoperto negli Archivi di Edimburgo nel 1930 da C.T.


Mclnnes, porta il titolo seguente:
Some Questiones Anent the mason
word – 1696 [Qualche domanda sulla
Parola del Massone – 1696]. Pubbli-
cato sotto forma fotografica in ―Ars
Quatuor Coronatorum‖, vol. 43
(1930) da J.M. Allan, è stato più
volte ristampato, l'ultima edizione
in: D. Knoop, G.P. Jones, D. Ha-
mer, The Early Masonic Catechisms,
H. Carr, Q.C.L. n. 2076, II ed.,
London, 1975 [trad. it.: W. De Do-
natis, I primi Catechismi Muratori,
Bastogi, Foggia, 1975 ]. Gli eviden-
ti errori del manoscritto sono stati
mantenuti nella presente trascri-
zione così come nell'edizione di rife-
rimento citata.

Il ms. Edinburgh si compone di due parti, che si ritrovano, anche se in un


ordine inverso, nei ms. Chetwode Crawley e Kevan. Si può affermare che i
tre testi menzionati sono molto vicini l'uno all'altro e, pur presentando
notevoli varianti, derivano sicuramente da una fonte comune. La prima
parte è un seguito di domande e risposte convenute che permettevano ai
massoni di riconoscersi; questi Catechismi sono all'origine delle nostre i-
struzioni attuali. La seconda parte si presenta come un rituale di ingres-
so. Il sistema è in due gradi. Il primo grado è quello di Apprendista (en-
tered apprentice: tuttora usato nella Massoneria anglosassone). Ciò è con-
forme agli Statuti Schaw che, un secolo prima, distinguevano già netta-
mente due stadi nell'apprendistato: dapprima l'Apprendista era ricevuto
da un Maestro che lo prendeva al suo servizio, lo faceva registrare nel li-
bro della sua Loggia, e cominciava ad insegnargli il mestiere. Quando
l'Apprendista era sufficientemente istruito, diventava entrato (entered),
ed acquisiva una certa iniziativa nel mestiere, senza smettere d'essere un

156
Studi sulla Massoneria

apprendista. Il secondo ed ultimo grado è chiamato compagno d'arte (fel-


low craft) o maestro. Ciò è ancora conforme agli Statuti Schaw, in cui l'e-
spressione ―master or fellow of craft‖ ritorna più volte. A ognuno di que-
sti gradi corrisponde un determinato rito. Questi riti comportano il giu-
ramento e la comunicazione dei segreti, ossia ciò che costituirà sempre il
nocciolo dei riti massonici più elaborati, che si svilupperanno in seguito.
Nella loro apparente semplicità, essi contengono alcune forme, divenute
in seguito desuete, che non mancano certo d'interesse, come le Parole di
ammissione, e l'uso di fare circolare la Parola dal più giovane massone fi-
no al maestro di Loggia prima di essere comunicata. Tra i segreti, la Pa-
rola del massone era apparentemente considerata come la più importan-
te, poiché la parte rituale del testo è intitolata: Il modo di dare la Parola
del massone (The forme of giveing the mason word). L'esistenza della Pa-
rola del massone è attestata a partire dal 1637 per mezzo di numerose al-
lusioni che vi sono fatte nelle fonti profane. Emerge dal testo che ogni
grado aveva la propria parola, e che queste parole erano quelle che sono
tuttora in uso nei primi due gradi.

(tratto da: Catechismi massonici I. Il manoscritto degli Archivi di Edin-


burgh 1696, Loggia René Guénon n. 1175, Grande Oriente d’Italia, 2004)

157
Poema Regius

ALCUNE DOMANDE CHE I MURATORI USANO PORRE A CO-


LORO CHE POSSEGGONO LA PAROLA PRIMA DI RICONO-
SCERLI

1. D: Sei tu muratore?
R: sì
2. D: Come faccio a saper-
lo?
R: lo saprai a tempo opportu-
no e in luogo opportuno (bada
che questa risposta dev'essere
data solo nel caso siano pre-
senti non muratori Altrimen-
ti, dovresti rispondere con se-
gni toccamenti e altri punti
della ammissione)
3. D: Qual è il primo pun-
to?
R: Dimmi il primo che ti darò
il secondo, Il primo è celare e
occultare; il secondo, sotto
pena non minore a quella di
avere la gola tagliata, devi pe-
rò accompagnare il tuo dire
con il gesto
4. D: Dove sei stato am-
messo?
R: in una loggia onora-
ta
5. D: Che cosa fa una loggia giusta e perfetta?
R: sette maestri, cinque apprendisti, a una giornata di cammino
da un borgo, lontano dal latrato di un cane o canto di gallo
6. D: Che cosa la fa nondimeno giusta e perfetta?
R: cinque muratori e tre apprendisti ammessi ecc.
7. D. Non meno?

158
Studi sulla Massoneria

R: Di più maggiore allegria di meno vitto più grasso


8. D: Qual è il nome della tua loggia?
R: Kilwinning.
9. D: Come è situata la tua loggia?
R. oriente e occidente come il tempio di Gerusalemme
10. D. Dov'era la prima loggia?
R: nel portico del Tempio di Salomone
11. D: Ci sono luci nella tua loggia?
R: sì tre: a nord est, sud ovest e a oriente. Una indica il maestro
muratore, l'altra il sorvegliante, la terza la corporazione.
12. D: Ci sono dei gioielli nella tua loggia?
R: Sì tre: una Pietra Levigata, un pavimento a scacchi e una pie-
tra da taglio.
13. D: Dove troverò la chiave della tua loggia?
R: A tre piedi e mezzo dall'ingresso della loggia sotto una pietra
levigata, e una verde zolla. Non meno che sotto la piega del mio
fegato dove giacciono tutti i segreti del mio cuore.
14. D: Qual è la chiave della tua loggia?
R: una lingua ben appesa.
15. D: Dove si trova la chiave.
R: Nell'astuccio di osso.
Dopo che i muratori ti hanno esaminato con tutte o parte di queste Do-
mande e dopo che tu hai risposto con esattezza e fatto i segni, ti ricono-
sceranno, ma non come maestro muratore e compagno d'arte solo come
apprendista, sicché diranno:
16. D: Vedo che sei stato nella Cucina ma non so se sei stato nella sala,
R: Sono stato nella sala come pure nella cucina.
17. D: Sei tu un compagno d'arte
R: sì
18. D: Quanti punti di compagno ci sono

159
Poema Regius

R: cinque: ossia piede contro piede; ginocchio contro ginocchio;


petto contro petto; mano contro mano; orecchio contro orecchio.
Poi fai il segno di compagno e stringi la mano e sarai riconosciuto
come autentico muratore. Le parole si trovano nel I libro dei Re
Cap 7, v, 21, e nel II Libro delle Cronache, Cap 3, ultimo verso.
IL MODO DI DARE LA PAROLA DEL MURATORE
In primis fai inginocchiare chi deve ricevere la parola e dopo un gran
numero di gesti al fine di
spaventarlo fagli prendere la
Bibbia, porre su di essa la
mano destra e fagli giurare
segretezza, Minacciandolo
che se verrà meno al suo giu-
ramento ciò sarà cagione, te-
stimoni il sole nel firmamento
e tutti i presenti all'atto so-
lenne, di sua condanna e sicu-
ra sua uccisione. Poi dopo
aver promesso il segreto lo
fanno giurare come segue
In presenza di Dio medesimo
e a Dio risponderai quando sarai nudo al suo cospetto, nel gran giorno,
giura che non rivelerai niente di ciò che ora qui udrai o vedrai con la pa-
rola o lo scritto, che non lo metterai mai per iscritto o lo traccerai con la
punta di una spada, o qualsiasi altro strumento sulla neve o sulla sabbia,
e che non ne parlerai se non con un muratore ammesso, che Dio ti aiuti.
Dopo aver prestato giuramento è fatto allontanare, accompagnato dal
muratore più giovane, e dopo essere stato sufficientemente spaventato
con 1000 atteggiamenti e smorfie di scherno, viene istruito dal detto mu-
ratore sul debito modo di prender guardia vale a dire il segno e le posi-
zioni e le parole come segue:
dapprima quando rientra deve fare un inchino buffo, poi il segno e dire
―Dio benedica la onorata compagnia‖. Quindi togliendosi il cappello in
modo piuttosto goffo a solo scopo dimostrativo (come per il resto dei se-
gni) egli dice le parole della sua ammissione che sono le seguenti:
―Eccomi qui il più giovane e l'ultimo degli apprendisti, in quanto ho giu-
rato davanti a Dio e a San Giovanni davanti alla Squadra e al compasso,

160
Studi sulla Massoneria

e al regolo di essere nella onorata loggia al servizio di miei maestri, dal


mattino del lunedì fino alla sera del sabato e di conservarne le chiavi,
sotto pena non minore a quella di avere la lingua strappata alla radice e
di essere seppellito in mare, al momento dell'alta marea in un punto che
nessuno dovrà conoscere‖.
Poi fa di nuovo il segno lasciando scorrere la mano sotto il mento lungo
la gola la qualcosa sta a significare che sarà tagliata nel caso egli verrà
meno alla parola data.
Poi tutti i muratori presenti si passano sottovoce la parola a partire dal
più giovane per finire al maestro che la dà all'apprendista ammesso.
È necessario ora far notare che tutti i segni e tutte le parole dei quali si è
parlato appartengono all'apprendista, Ma per essere maestro o compagno
d'arte c'è altro da compiere che qui segue.
In primo luogo debbono essere allontanati tutti gli apprendisti e a nes-
suno dev'essere consentito di rimanere se non è maestro.
Poi quello che deve entrare a far parte dei compagni è ancora una volta
posto in ginocchio, e gli viene fatto prestare di nuovo giuramento dopo di
che deve allontanarsi accompagnato dal muratore più giovane per ap-
prendere le posizioni e i segni del compagno, fatto quindi rientrare, dà il
segno del maestro, e dice le stesse parole della sua ammissione tralascian-
do solo il riferimento all'attrezzo che sagoma la pietra.
Poi i muratori si passano tra di loro la parola sottovoce cominciando co-
me prima dal più giovane, dopo ciò deve farsi avanti e mettersi nella giu-
sta posizione per ricevere la parola e dirla a voce bassa al muratore più
anziano.
―I venerabili maestri e la onorata compagnia ti danno il benvenuto, ti
danno il benvenuto, ti danno il benvenuto‖.
Il maestro allora gli dà la parola e gli afferra la mano alla maniera mu-
ratoria, e questo è tutto quello che è da compiersi per farlo muratore per-
fetto.

161
162
INDICE

Capitolo pagina

Il Manoscritto di Cook 3

Storia della Massoneria Italiana 17

Massoneria e Chiesa Cattolica 83

 Lettera Apostolica In eminenti di Clemente XII 87

 Bolla Providas Romanorum Pontificum di Benedetto XIV 90

 Bolla Ecclesiam a Jesu Christo di Pio VII 94

 Costituzione Quo Graviora di Leone XII 100

Carta di Bologna (1248) 109

Poema Regius 129

Archivi dello Stato Civile di Edimburgo 156

163

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