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PIERO RATTALINO ! DA CLEMENTI A POLLINI DUECENTO ANNI CON | GRANDI PIANISTI RICORDI /GIUNTI MARTELLO PIERO RATTALINO DA CLEMENTI A POLLINI DUECENTO ANNI CON I GRANDI PIANISTI RICORDI/GIUNT! MARTELLO- PREMESSA E GIUSTIFICAZIONE I grandi pianisti: da Clementi a Pollini & stato scritto nel primo semestre del 1981 e ritoccato nel 1982 per incarico dell’editore, ma pit di meta del materiale che vi & contenuto risaliva ad anni precedenti ed era stato pubblicato in riviste, note a programmi di sala, presentazioni e recensioni di dischi. Ho scritto saggi sui pia- nisti e recensioni di dischi all’incirca dal 1960 e sulla storia dell’e- secuzione pianistica ho cominciato a riflettere da ragazzo, quando il mio maestro di composizione Luigi Perrachio mi parlava di Ro- senthal o di d’Albert o di Busoni. A cinquant’anni, avendo I’occa- sione di riunire in un volume organico le mie idee dopo aver speso gran parte della mia vita di musicista intorno al pianoforte, avrei desiderato di stendere una vera e propria storia dei pianisti. Mi sono presto accorto che cid non era possibile. Ho pensato allora di raccogliere i miei saggi, ma mi son reso conto che in questo modo avrei soprattutto raccontato la frastagliata storia dei miei studi e delle mie ricerche. Ho scelto allora una strada intermedia: ho ripreso la parte, che considero ancor valida, di cid che ho scritto in circa vent’anni ed intorno a questo nucleo ho costruito ed amalga- mato i collegamenti ed i completamenti necessari, lasciando che emergessero qua ¢ la le originarie impostazioni saggistiche. Non é una storia, come dicevo. Pud esserci storia quando molti documenti sono stati pubblicati, quando sono state scritte biografie critiche dei principali protagonisti, quando sono disponibili gli epistolari. Il materiale di cui potevo disporre, in questo senso, era troppo ridotto. E cosi ho composto un collage che & un po’ storia, un po’ ipotesi storica, un po’ racconto, un po’ reminiscenza. Il pericolo, e me ne rendevo ben conto, era di fare un miscuglio da cui 8 Premessa sarebbe uscita la mitologia dei pianisti. Ho cercato di evitare la trappola e pud darsi invece che ci sia caduto dentro. Ma credo che un libro come questo non sia in ogni caso inutile: &, per lo meno, il risultato di una lunga riflessione su un argomento che viene spesso trattato in modo agiografico e che solo molto di recente, specie con gli studi di Joachim Kaiser, sta decisamente uscendo dal tunnel della impostazione giornalistica ed aneddotica. Il numero di pianisti dei quali parlo sembra elevato. In realta & ridottissimo, e mi spiace di non aver potuto trattare o per lo meno accennare a taluni artisti dei quali avrei detto volentieri: cito qui, per limitarmi agli italiani, Ernesto Consolo, Gino Tagliapietra, Pietro Scarpini, Gino Gorini, Aldo Ciccolini, Maria Tipo, Bruno Canino. I limiti di spazio, del resto ovvii, mi hanno posto nella condizione o di dover trascurare alcuni artisti o di dover eliminare alcune analisi. La seconda strada avrebbe reso forse pit scorrevole e piacevole il libro, ma mi avrebbe riportato di pit: verso il racconto; Ja prima strada, che ho scelto, rende talvolta non agevole la lettura, ma mi permette di far capire anche al non esperto quale comples- sit& presentino certi problemi. Due saggi dedicati ad artisti italiani, che pubblico in appendice, dimostrano quale ampiezza avrebbe potuto assumere il volume se avessi inteso approfondire tutti gli aspetti della materia che tratto. Ringrazio con la cordialita pit viva gli amici che mi hanno segnalato o che hanno messo a mia disposizione libri, dischi, rulli di pianola, registrazioni rare: in particolare il maestro Paolo Bordoni di Milano, il dottor Renato Caccamo di Milano, il dottor Antonio Latanza di Roma, il maestro Alberto Mozzati di Milano, il signor Edward Neill di Genova, il maestro Riccardo Risaliti di Firenze. Ringrazio inoltre il dottor Angelo Coralli, che ha pazientemente letto il dattiloscritto, facendomi utili osservazioni. Dedico il libro senza avergliene chiesto il permesso — e percid metto la dedica qui invece che nel frontespizio — a Sergiu Celibi- dache, che non condividerebbe nemmeno una delle mie tesi ma che mi ha indirettamente aiutato, con il suo rigore intransigente e con le sue analisi paradossali ed acutissime, a formularle e a matu- rarle. Prima parte IL SUONO SILENTE COMPOSITORI AL PIANOFORTE «... in Augusta incontrava io il Signor Maestro di Cappella Volf- gango Amadeo Mozart salisburghese, da ambi Noi gia conosciuto e con grandissimo diletto ascoltato ne la nostra bella Citta di Rovereto il di dopo del Santo Natale, che sono ott’anni, ne la ospitalissima magtone dell’Illustrissimo Signor Barone Todeschi. Esser non potetti @ la grande Academia che il Signor Maestro Mozart tenne addi ventisette di ottobre e ne la quale si esibt in uno Concerto suo di Fortepiano et in uno strepitoso Concerto, parimente di sua Compo- Sitione, per tre Fortepiani. Intesi tuttavia suonar il Signor Maestro Mozart nella casa del fattore di Fortepiani Signor Andrea Stein, eseguendovi Egli una sua Suonata in fa di cui lasciommi maravi- gliato assai, benché molto assuefatto io sia, com’Ella ben sa, con la Musica di Cimbalo et Organo anco Todesca, uno Adagio di espres- sione per cost dir parlante e di quasi struggente affetto. Un picciol frammento vienvi sonato nel Soprano, ripetuto indi nel Contralto una quarta pitt basso, ripetuto indi nel Tenore una oitava piit basso del Soprano. Artifizi che ne la Musica di Cimbalo comunemente usansi e che stupor non dovarebbero arrecare a persona di Gusto esperto! Stupimmi invece la novita non gid di Inventione, si di Esecutione, imperciocché la Parte Principale sempre si trovava in grandissima Evidentia, come se ciascuna de le Voci in pria avanzasse € poscia retrocedesse. Cost fatto 2 il Fortepiano, spiegommi il Signor Maestro Mozart, che possibil diventa porre quasi in Proscenio, con variata pressione delle Mani e delle Dita, qualsivoglia Voce! «Mirabile Virti del novo Strumento, come mirabil si fu VEffetto Ritmico ottenuto dal Signor Maestro Mozart nel Presto finale del- Vistessa Suonata. Essendo cotesto Presto notato nella misura di tre 12 Compositori al pianoforte ottavi deve ordinariamente l'Esecutore aver U'accorteza di alquanto prolungare e come sostenere alcuni Suoni a cid ben si comprenda il Ritmo. Il Signor Maestro Mozart non prolungd invece alcun suono, anche ne li tratti di pit che inaudita rapidita, ma ne batté certuni con una tale Maggior Forza, cost che ne risultarono note accentate e note non accentate, et il Ritmo fu chiarissimo e come Sol sfolgorante! Us0 inoltre spesso il Signor Maestro Mozart il Mechanismo che con ginocchiera comandasi, che tutti gli Spegnitoj o sia Smorzatoj solleva e aa di si grato effetto, quasimente di suono Nuvola, molce UV Orec- chi...» Potrebbe essere Ia lettera di un roveretano che, dopo aver ascoltato Mozart al clavicembalo il 26 dicembre 1769, lo ritrovd e lo ascoltd eseguire al pianoforte la Sonata K 280 nell’ottobre del 1777, ad Augusta. Potrebbe; non &. E il rifacimento di un pasticcio che scrissi alcuni anni or sono quando, dovendo patlare di Mozart pianista in una nota di limitata estensione ¢ per un pubblico di non specialisti, non trovai altra soluzione ragionevole se non il falso. Sapevo il che, non il come. Sapevo che Mozart usava il pedale di tisonanza, ma non sapevo come lo usasse. Sapevo che i pianoforti del tempo di Mozart consehtivano di differenziare il tocco e di mettere in evidenza una parte o l’altra del tessuto musicale, ma non sapevo a qual grado di sviluppo fosse pervenuta la tecnica mozat- tiana. Sapevo che i pianoforti del Settecento permettevano di pas- sare dalla esecuzione basata sulla ritmica quantitativa, comune nel clavicembalo e nell’organo, alla esecuzione secondo la ritmica ac- centuativa, ma non sapevo con sicurezza se Mozart suonasse ancora da clavicembalista o se avesse sviluppato l’accentuazione. Cid che i contemporanei dicono sul modo di suonare di Mozart, cid che dice lui stesso qua ¢ a nelle lettere alla famiglia, cid che dicono i trattatisti del tempo permette a chi studia i documenti di formarsi delle opinioni e di fare delle supposizioni. Ma cosi come tutti i ticordi, tutte le lettere, tutti i ritratti pur amorevolmente studiati non consentono di ritrovare con’ certezza la voce di Mozart, la cadenza del suo parlare ¢ la sua mimica, tutto il materiale docu- mentaristico non pud ridare a noi il suono di Mozart pianista ed il suo stile di esecutore. Suono e stile che io immagino, beninteso, ma senza alcuna garanzia di corrispondenza tra la mia immaginazione Mozart 13 ed una realt& perduta. E allora, falso per falso, meglio il falso dichiarato, meglio la lettera inventata che svela il trucco pit di qualsiasi distinguo. Cosi conclusi alcuni anni or sono, e cosi ho concluso oggi. Ed ho riscritto la lettera dell ipotetico roveretano. Mlettore si tranquillizzi: non lo affliggerd con altri scherzetti, non inventerd, per spiegare le mie supposizioni, una lettera di Giulietta Guicciardi che riferisce su Beethoven alle prese con il Chiarodiluna odi Cristina di Belgiojoso che spiega il tocco magico di Chopin o di Liszt. Preferisco di non parlare di come suonassero Mozart, Beet- hoven, Chopin, perché dovrei parlare in realt&, per essere concreto senza accumulare montagne di materiale di incerta interpretazione, di come scrivessero per pianoforte: tema che ho trattato altrove e che questa volta non rientra nei miei fini. Qui dird invece cosa suonas- sero in pubblico Mozart, Beethoven, Chopin, e perché lo suonas- sero, cio’ cercherd di fare una storia del concertismo pianistico che nella parte iniziale restera astratta dallo stile di esecuzione e che comincera a trattare di stile dal momento in cui potrd basarmi su documenti sonori: rulli di cera, poi rulli di pianoforte meccanico e dischi, infine registrazioni e film. Che cosa suonava dunque Mozart, che cosa suond ad Augusta il 27 ottobre 1777? In privato, per i suoi allievi e familiari e presso i nobili amici-protettori che frequentava, Mozart suonava tutto quello che veniva pubblicato, leggendo al pianoforte pagine per pianoforte o per complessi da camera o per orchestra, all’incirca come il lettore che comunica agli utenti del telegiornale le notizie del mondo, In pubblico, quando organizzava concerti — si chia- mavano allora accademie — per spettatori paganti, Mozart suonava esclusivamente musiche sue. Cosi, ad Augusta, esegui il Concerto K 238 e, con l’organista J.M. Demmler al primo pianoforte e con il fabbricante J.A. Stein al terzo, il Concerto K 242 per tre pianofor- ti. A Monaco, il 4 ottobre, aveva eseguito i Concerti K 238, K 246 eK 271, eda Mannheim, nel febbraio del 1778, avrebbe eseguito il Concerto K 175. Monaco, Augusta, Mannheim erano tappe di avvicinamento a Parigi, citta-miraggio verso cui Mozart si stava dirigendo. Non si trattava semplicemente del viaggio di un concertista di pianoforte: era il viaggio di un musicista che a ventun anni, dopo aver percorso da fanciullo mezza Europa in compagnia e sotto la ferula del padre, 14 Compositori al pianoforte si avviava da uomo (in compagnia della mamma) a cacciare una fortuna che sentiva dovuta e che non si sarebbe lasciata afferrare mai. Un viaggio di liberazione e di speranza, in cui maturava uno dei pit: grandi spiriti che 'umaniti abbia conosciuto. Il pianoforte, in questa avventura, era un accessorio, uno strumento di lavoro di cui Mozart si serviva, ma in cui non identificava le sue aspirazioni. E, del resto, il concertista itinerante di pianoforte come lo cono- sciamo noi e come lo conobbe I’Ottocento, nel 1777 non esisteva ancora. Dieci anni prima Charles Dibdin aveva scelto il pianoforte — «a new instrument called the Piano Forte» — per accompagnare al Covent Garden di Londra un’aria della Judith di Arne cantata da una miss Brikler. Il 2 giugno 1768 Johann Christian Bach aveva eseguito in pubblico a Londra, sul pianoforte, un solo (probabil- mente una sonata). Anche a Parigi, poco piu tardi, era stato scelto il pianoforte per esecuzioni in pubblico, il Bach londinese si era ancora spesso servito del pianoforte, a Londra era comparso nel 1772 un pianista molto amato dal pubblico, Johann Samuel Schroeter, e dal 1774 aveva lavorato a Londra il primo musici- sta, Muzio Clementi, che assommando in sé le qualifiche di esecu- tore - compositore - didatta - trattatista - editore - costruttore - commerciante si sarebbe veramente identificato con il pianoforte. Neppure Clementi, unanimemente considerato pianista grandissi- mo, fu perd concertista nel senso che intendiamo oggi: in pubblico suond molto poco — solo a Londra, e con regolarita soltanto dal 1786 al 1790 — ed esegui un repertorio limitato a poche delle sue Sonate e, nel 1790, ad alcuni Concerti! Nemmeno il famoso incontro-scontro di Vienna, che il 24 dicembre 1781 vide di fronte Mozart e Clementi, fu un confronto in cui il pubblico fosse chia- Alsuo esordio a Londra, il 3 aprile 1775, Clementi esegui al clavicembalo tun Concerto (non si sa se di sua composizione); nel 1790, dicono i giornali del tempo, presentd alcuni Concerti negli intervalli tra una parte ¢ Faltra degli Oratori di Hiindel che venivano eseguiti al Covent Garden. Nessuno dei Concerti di Clementi 2 pervenuto a noi. Parrebbe, ma non 2 certo, che alcune delle sue Sonate siano riduzioni da Concerti; il Concerto in do maggiore, che ci 2 pervenuto in un manoscritto di Johann Baptist Schenk, & a parer mio una trasctizione per pianoforte e orchestra, dello stesso Schenk, dalla Sonata op. 32 n. 3 di Clementi. Mozart - Clementi 15 mato a decidere. Il «pubblico» erano semplicemente l’imperatore Giuseppe II ed alcuni dei suoi cortigiani, che ammirarono i due campioni e ne discussero competentemente, come competente- mente avrebbero discusso di due filosofi o di due medici alla moda. Clementi, che era gia stato a Parigi, a Strasburgo e a Monaco, non aveva suonato in pubblico in nessuna citt, né avrebbe suonato in pubblico a Vienna e nelle successive tappe del suo primo viaggio artistico in Europa (se non, forse, a Lione il 29 agosto 1782): il suo lungo peregrinaggio doveva servire a conoscere ambienti culturali diversi ea farvi conoscere le musiche ¢ i pianoforti inglesi attraverso la frequentazione di potenti salotti aristocratici ed intellettuali, non attraverso l’incontro con un pubblico eterogeneo ed anonimo. Dopo esser tornato a Londra, e dopo aver partecipato frequente- mente a serate di vario genere tra il 1784 e il 1790 senza tuttavia azzardare mai un programma tutto accentrato su di lui, Clementi concluse la sua carriera di esecutore pubblico il 31 maggio 1790 o al pit tardi nel 1796, Il secondo viaggio di Clementi nel continente, dal 1802 al 1810, fu ancor pit del primo il viaggio di un uomo di affari. E cosi Clementi, il «padre del pianoforte», contribui diret- tamente al sorgere del concertismo pianistico in misura molto minore di Mozart, che considerd il pianoforte come un aggeggio utile per sopravvivere nell’attesa che il teatro, sede ideale del suo paradiso, gli aprisse le porte. Il viaggio iniziato nel 1777 servi a Mozart per scoprire i piano- forti di Johann Andreas Stein, che lo riempirono di entusiasmo, e per capire che il clavicembalo era giunto alla fine del suo ciclo storico. A Parigi non tenne concerti, non tenne concerti nel viaggio di ritorno, né a Salisburgo dal 1779 al 1780, né a Monaco quando vi sirecd per la creazione dell’ Idomeneo. Come tutti sanno, a Vienna, raggiunta per ordine del padrone dopo il successo dell’ Idomeneo a Monaco, il giovane scapestrato, che si licenzid dall’impiego e Ja cui liquidazione consistette in un non metaforico calcio nel sedere, vide nel pianoforte la tavola salvavita: «In questo momento non ho che una sola allieva, la contessa Rumbeck, cugina di Cobenzl. A ? Solo un memorialista parla di un concerto di Clementi nel 1791, di uno nel 1793 e di uno nel 1796, non documentati né confermati da altre fonti (mani- festi, giornali, ecc.). 16 Compositori al pianoforte dire il vero potrei averne di pit, se acconsentissi a ribassare i prezzi...; ma non appena si fa cosi si perde il credito. Il mio prezzo & di sei ducati per dodici lezioni, ¢ faccio loro credere che lo fo per compiacerli... Preferisco aver a che fare con tre allievi che mi pagano bene piuttosto che con sei che mi pagano male... Con quest’ unica allieva posso sostenermi, e mi basta, nell’attesa». Cosi sctisse baldanzosamente Mozart, il 16 giugno 1781, ad un padre completamente annientato in cospetto di una tanto colossale idio- zia. ‘Aveva ragione papa Leopoldo. La storia della didattica dimostra che, salvo casi rari, le lezioni private possono essere e sono lucro- sissime soprattutto quando tengono sotto pressione allievi sostan- zialmente negati ai fini che vogliono raggiungere. E Mozart non aveva questo speciale genio. Individud nel concerto pubblico il mezzo di propaganda efficace per acquisire una clientela, e ac- quistd con facilita. Con la stessa facilita la perdette. Se la storia della didattica rende esplicito quell’edificante teorema di cui or ora dicevo, la storia del concertismo dimostra che l’esecutore o il di- rettore d’orchestra, non meno dell’attore, pud riproporsi intensi- vamente allo stesso pubblico solo se vive al riparo di una istituzione che gli assicuri prestigio sociale. I] libero professionista deve invece misurare col contagocce le sue apparizioni concertistiche presso lo stesso pubblico o deve abbandonare la clientela delle lezioni pri- vate ¢ diventare concertista itinerante, concertista di giro. In meno di sei anni, dall’aprile del 1781 al dicembre del 1786, Mozart scaraventd sul pubblico di Vienna ben diciotto dei suoi ventisette Concerti per pianoforte ¢ orchestra: anche se gli spensierati sudditi di Giuseppe II fossero stati meno frivoli di quanto il buon Dio aveva loro concesso non avrebbero potuto assorbire una tal massa di composizioni ed una evoluzione creativa che passava dall’accat- tivante Concerto K 175 al K 503, denso da morire di prodigiosi succhi musicali. Le successive, spotadiche apparizioni concertisti- che di Mozart a Dresda, a Betlino, a Lipsia, a Francoforte sul Meno ea Vienna non modificarono i termini di un insuccesso gia consu- mato, e consumato perché — buon per noi — Mozart aveva considerato il pianoforte come un mezzo di sussistenza per chi, nell’ultimo anno di vita, doveva scrivere il Flauto magico, la Cle- menza di Tito, il Requiem. Concertisti Biedermeter 17 Mentre Mozart liquidava il pianoforte come salvavita, e mentre Clementi lo organizzava industrialmente nel ciclo produzione- consumo, comparivano i primi veri concertisti itineranti: il boemo Jan Ladislav Dussek, il tedesco-inglese Johann Baptist Cramer (allievo di Clementi), l'ungaro-austriaco Johann Nepomuk Hum- mel (allievo e di Mozart e di Clementi), i tedeschi Daniel Steibelt, August Eberhardt Miiller e Johann Wilhelm Hassler, l’irlandese John Field (allievo prediletto di Clementi). Tutti questi musicisti erano pianisti-compositori, tutti eseguivano preferibilmente musi- che di loro composizione, e tutti — tranne Field — usavano improvvisare in pubblico su temi proposti dagli ascoltatori. L’im- provvisazione era una dimostrazione di prontezza e di bravura a cui non si erano sottratti Clementi e Mozart nella sfida in presenza di Giuseppe II (avevano improvvisato a due pianoforti su un tema tratto da una Sonata di Paisiello) e che Mozart aveva spesso prati- cato anche in pubblico: si potrebbe dire anzi che in un certo senso, per i pianisti-compositori, limprovvisazione era una specie di. singolare interpretazione della musica altrui: ad esempio, le Varia- zioni K 398 e K 455 di Mozart, che prima di esser scritte furono improvvisate a Vienna il 23 marzo 1783, possono essere guardate come sviluppo interpretativo di caratteri impliciti nei temi, rispet- tivamente, di Paisiello e di Gluck. Questo tipo di rapporto tra compositore ed esecutore non rientra nel concetto di interpreta- zione, quale si & formato ed affermato negli ultimi centocinquan- Vanni circa, e percid non vi insisterd. L’improvvisazione fu co- munque uno dei «numeri» pitt graditi dal pubblico, e rimase in uso fin verso la meta dell’Ottocento, sopravvivendo poi solo sporadi- camente *. . Liimprowvisazione era l’aspetto estemporaneo, ¢ non necessa- rlamente meccanico 0 truccato, di una ricerca sullo strumento che impegnava i pianisti-compositori e che si estrinsecava soprattutto nel concerto per pianoforte e orchestra. Il secondo errore di valu- tazione di Mozart fu di badare solo secondariamente alla scoperta > Qualche pianista, come Ferruccio Busoni, ma anche, pit tardi, come Wilhelm Kempff ¢ Rudolf Firkusny, improvviso in pubblico alPinizio della catriera. Qualche compositore, come Saint-Saéns, Albeniz, Granados, tenne improwvisazioni non vincolate a temi scelti dal pubblico. 18 Compositori al pianoforte di potenzialita sonore del pianoforte ¢ del rapporto mano-tastiera, e le sue celebri invettive contro Clementi rivelano del resto, al di la dei personali malumori e risentimenti, opposizione e il fastidio di chi si sente prima di tutto creatore di fronte a chi si rivela come, se il lettore mi perdona V’espressione, collaudatore di una nuova macchina. Dussek, Cramer, Hummel, Steibelt sono tutti collaudatori della macchina prima che scopritori di valori musicali, e sono anche inventori di forme di rapporto con un pubblico considerato gia come collettivo indistinto, non pit come somma di individualita. La strada verso la sublimazione di Paganini, che nella seduzione di un pubblico non tradizionalmente e socialmente votato alla cono- scenza della musica strumentale trovera il suo imperativo categori- co, inizia con i concertisti itineranti di pianoforte della fine del Settecento. E gid fin da qui si rivelano le componenti tra spettaco- lari e ciarlatanesche che si possono agevolmente ritrovare nella psicologia di Paganini: dalla geniale trovata di Dussek il bello, che a quanto pare espose per primo al pubblico la parte destra del viso invece della nuca, come facevano prima di lui i pianisti o come oggi fanno solo i direttori d’orchestra, alla cinica saggezza di Steibelt, che aggiunse alle virtt: sonore del pianoforte le virtt: ottiche della sua splendida moglie inglese, bravissima e ammiratissima quando, in fantasioso costume di Baccante, agitava il tamburello basco mentre il consorte eseguiva con fuoco certi pezzi intitolati appunto Baccanali. Il cerimoniale, il rito dell’ accademia venne fissato molto presto: il concertista entrava in scena con guanti e tricorno, faceva tre inchini (verso il centro e verso i due lati della sala), posava il cappello, cavava i guanti, dava il segnale all’orchestra. Alla fine godeva appieno l’applauso degli uomini (le donne agitavano il ventaglio o il fazzolettino) ¢ si ritirava definitivamente, perché il ritorno per una seconda dose di mirallegri non era comune. La musica, aggiungo, veniva letta, non suonata a memoria come in genere avviene oggi. Ilconcertismo itinerante non ebbe uno sviluppo rapido perché le guerre rivoluzionarie e poi le campagne napoleoniche non favori- rono, tra P'ultimo decennio del Settecento e il primo dell’Ottocen- to, i movimenti ¢ i viaggi degli artisti in Europa. I giri di concerti furono quindi organizzati in modo non costante, ed una intensa Concertisti Biedermeier 19 vita concertistica pubblica si sviluppd solo a Londra, dove si pro- dussero ripetutamente tutti i maggiori virtuosi. I pianisti erano inoltre interessati anche alla didattica e all’editoria (Cramer), alla direzione d’orchestra (Hummel), al teatro (Steibelt), e tendevano a non rimanere chiusi in una specializzazione che sarebbe stata vista come limite, sia artistico che sociale. In tutto questo periodo la storia del concertismo si fonde quindi con la storia della composizione e della didattica. Ma nella ricca e tumultuosa vita del cosmo pianistico a cavallo tra Sette e Ottocento si pud individuare benissimo la primitiva distinzione tra composi- tore e interprete, che avrebbe poi dato origine al concertismo quale dura ancora ai nostri giorni. La prima distinzione tra compositore ed esecutore avvenne in una classe di pianisti che per evidenti ragioni anagrafiche non erano in genere creatori: i fanciulli. La precocita non s’addice ai creatori, ma s’addice a chi, avendo mu- scoli elastici e sciolte giunture, possa acquisire i riflessi condizionati che servono a dominare un sistema di leve leggero e ben articolato come la meccanica del pianoforte settecentesco. Un biografo di Clementi, Leon Plantinga, nota che «la processione di nuovi pia- nisti che apparvero nella vita concertistica di Londra durante que- sta decade [1780-90] comprendeva William Crotch, Miss Guest, Miss Parke, Miss Barthelemon, J.B. Cramer, Miss Reynolds, ma- demoiselle Vinet e mademoiselle Paradis, nessuno dei quali, al suo esordio, denunciava pit di quattordici anni», E prosegue: «A Pa- tigi Pesecuzione pubblica al pianoforte sembrd essere ancor pit esclusivamente riservata a precoci fanciulle; ad esempio, sette pia- nisti solisti suonarono al Concert Spirituel nel 1783-84 e tutti erano giovani donne». Questi concertisti in erba suonavano musiche del loro maestro o pezzi che si erano procurati da musicisti amici: Maria Theresia von Paradis, ad esempio, chiese un Concerto a Mozart (forse @ il K 456) e a Parigi suond i Concerti del suo maestro Koéeluh e di Haydn. Ma poile ragazze, dopo essersi esibite come pic- coli prodigi, raramente sceglievano la professione di musicista, ed i ragazzi, scelta la professione, diventavano pianisti-compositori ‘. * Anche Chopin ¢ Liszt esordirono da ragazzi con concerti di autori in voga: Chopin, nel 1818, con un Concerto di Gyrowetz, Liszt, nel 1820, con un Concerto di Ries. 20 Compesitori al pianoforte Tuttavia, anche i pianisti-compositori, i veri dinosauri del perio- do classico, divennero sporadicamente pianisti-interpreti; e si deve dire, ad onor loro, che i primi lavori da essi ritenuti degni di attenzione furono i Concerti di Mozart. Hummel, uscito dalla tutela del maestro-padre Mozart, al quale lustrava le scarpe e con cui giocava a bigliardo, esordi il 10 marzo 1789 a Dresda con un Concerto mozartiano, molto probabilmente il K 503, e con un Concerto di Mozart esordi nella difficilissima piazza di Londra il 5 maggio 1792: nel 1789 Hummel aveva undici anni, e quattordici ne contava nel 1792, ma non lascid cadere Mozart dal suo reper- torio neppur quando riveld una sbalorditiva fecondita di composi- tore. Cramer fu celebrato per la sua espressione cantabile nei tempi lenti dei Concerti di Mozart, Miiller esegui i Concerti di Mozart a mano a mano che venivano pubblicati, Hassler (nel 1790, a qua- rantatre anni) suond Mozart a Londra e persino il pil. grande compositore dell’epoca, Beethoven, scelse il concerto K 466 di Mozart nell’unica occasione in cui esegui in pubblico una compo- sizione non sua®, Resterebbe da vedere come venissero eseguiti allora i Concerti di Mozart. Le edizioni di alcuni Concerti curate da Cramer ¢ da Hummel, una pubblicazione di Miiller (1796) ed una di Karl Philipp Hoffmann (1803) ci dicono che il testo di Mozart veniva «attualizzato» per renderlo conforme all’evoluzione del gusto. Operazione che fu del resto considerata Jegittima e necessa- ria fin quasi alla fine dell’Ottocento® e che venne criticata alla tadice soltanto nel Zur Wiederbelebung der Mozartischen Klavier- konzerte di Carl Reinecke (1891), trattatello che ha per noi il significato e il valore di una denuncia e di una svolta di storica importanza. Qualche pianista, pit: giovane di quelli che abbiamo fin qui 5 L’attivita concertistica pubblica di Beethoven & limitata alle esecuzioni a Vienna dei Concerti n. 1, 2, 3, 4, della Fantasia e di alcune composizioni da camera con pianoforte, a due viaggi a Praga. A Berlino, dove si recd nel 1796, Beethoven suond per il re di Prussia, ma molto probabilmente non apparve in concerti pubblici. © Quando esegui a Parigi, nel 1833, il Concerto K 491 di Mozart, Ferdinand Hiller si vide rimproverare dal critico del periodico Le Pianiste per non aver exiscaldato Pultima parte con qualche ornamento di buon gusto». Moscheles 21 visto, studid anche i Concerti di Beethoven: la prima esecuzione del Concerto n. 5 (Lipsia, 28 novembre 1811) fu dovuta a Friedrich Schneider, Carl Czerny esegui Concerti di Beethoven verso il 1810, Philip Hambly Cyprian Potter presentd al pubblico di Londra, negli anni 20, i Concerti n. 1, 3 e 4, e Charles Neate il Concerto n. 5. Fin verso il 1830 la scena concertistica fu comunque dominata dai pianisti-compositori gia citati e da alcuni altri pitt giovani, come Ferdinand Ries, Friedrich Kalkbrenner, Peter Pixis, Henry Herz, e soprattutto Ignaz Moscheles. Su Moscheles, figura-chiave nella storia del concertismo, bisogna soffermarsi un momento. Nato a Praga nel 1794, Moscheles studid il pianoforte con Dionys Weber, progredendo rapidamente’. Avendo ammirato fin da ragazzo Beethoven, e in particolare la Sonata Patetica, Moscheles cercd ogni occasione per frequentare il Maestro da quando, nel 1808, si stabil a Vienna. La sua carriera ebbe tuttavia inizio nel solco della tradizione del pianista-compo- sitore: si pud anzi dire che con Moscheles il pianista-compositore diventava la figura dominante del mondo concertistico, specie dopo che l’esecuzione delle spettacolose Variazioni sulla marcia di Alessandro per pianoforte e orchestra ebbe reso il suo nome celebre di colpo in tutta Europa. Alessandro era lo zar, la marcia era quella del reggimento che dell’autocrate russo portava il nome. La prima esecuzione ebbe luogo al Teatro di Porta Carinzia di Vienna I’8 febbraio 1815, mercoledi delle ceneri, in un concerto di benefi- cenza patrocinato dalla contessa Hardegg. L’occasione non poteva essere migliore, perché col mercoledi delle ceneri iniziava la so- spensione dell’attivita teatrale che sarebbe durata per tutta la qua- resima: Moscheles, complici il mercoledi delle ceneri, la contessa Hardegg e il Congresso di Vienna allora in pieno svolgimento, ebbe in sala l’aristocrazia di tutta Europa, e il suo trionfo fu noto ovun- que. Nello stesso anno Hummel inaugurava a Vienna i cicli di con- certi pubblici a pagamento di musica da camera, avendo come compagni fissi il violinista Joseph Mayseder e il chitarrista Mauro Giuliani, ed invitando di volta in volta altri collaboratori; nel 1816 7 Fonte preziosa di notizie sulla carriera di Moscheles, ed a cui mi atterrd, sono i taccuini, ordinati e parzialmente pubblicati dalla moglie. 22 Compositori al pianoforte il Settimino op. 74 di Hummel per pianoforte, flauto, oboe, corno, viola, violoncello e contrabbasso lanciava il virtuosismo nella mu- sica da camera ed otteneva un successo delirante. Moscheles sosti- tul Hummel quando questi assunse l’incarico di maestro di cap- pella a Stoccarda, poi, essendo finito il Congresso ed essendosi Vienna svuotata di tutto il bel mondo internazionale, prese il volo per visitare nei quattro angoli dell’Europa il pubblico che lo aveva Jaureato nel Teatro di Porta Carinzia. Iconcerti pubblici non comprendevano, di norma, composizioni pet pianoforte solo, né erano sostenuti da un solo esecutore: l’ese- cutore su cui si concentrava il massimo dell’attesa eseguiva un Concerto (e percid venne denominato concertista) 0 un grande pezzo per pianoforte e orchestra, eseguiva talvolta un brano di musica da camera, ed improvvisava; altri esecutoti e orchestra gli facevano corona, accrescendo la varieta del meni: ed attirando i loro personali ammiratori. L’8 ottobre 1816 Moscheles iniziava al Gewandhaus di Lipsia la sua prima tournée: il mattino alle nove aveva luogo Punica prova con lorchestra, nel primo pomeriggio Moscheles controllava che il pianoforte fosse stato ben accordato, alle 18,30, sorbita una tazza di t& con un goccio di rhum, entrava in sala ed iniziava il concerto dirigendo la sua ouverture Die Portraits. Applausi. Il secondo numero era un coro di un certo Schicht. IL terzo numero, che chiudeva la prima parte del programma, era il finale del Concerto n. 2 op. 56 di Moscheles, Applausi e prime congratulazioni in camerino. La seconda parte iniziava con un Capriccio per violino ¢ orchestra di Andreas Romberg, eseguito dal primo violino Mathai. Poi le Variazéoni sulla marcia di Alessandro, accolte con entusiasmo, un pezzo per canto di Mozart, limprovvi- sazione. Un secondo concerto, in cui Moscheles improvvisb su Das klin- get so herrlich del Flauto magico, ebbe luogo il 14 ottobre. Mo- scheles passd poi a Dresda, si ammald, dovette combattere gli oscuri intrallazzi di qualche invidioso: il 20 dicembre riusci a suo- nare a corte (mentre la corte divorava il pranzo) e il 28 suond in pubblico. Tra il 1818 e il 1820 suond a Monaco e ad Augusta, tenne quattro concerti ad Amsterdam ed uno all’ Aja, suond a Bruxelles. I 29 dicembre 1820 era a Parigi. L’esordio parigino, preparato da assidua frequentazione di mu- Moscheles 23 sicisti, strumentisti, editori, costruttori di pianoforti, giornalisti, nonché delle immancabili contesse e baronesse faccendone, ebbe luogo il 25 febbraio; seguirono cinque concerti insieme con il violinista Lafont. Il 23 maggio Moscheles lascid Parigi, arrivd il 28.a Londra, conobbe un mucchio di pianisti importanti (tra cui Cle- menti, Cramer, Kalkbrenner), esordi I'11 giugno con il Concerto n. 2 ele immancabili Variazioni, ribadi il successo il 4 luglio con il Concerto n. 2, le nuove Variazioni sull’aria «Au clair de la lune» e un’improvvisazione sulla canzone My lodging is on the cold ground. Trascorse le vacanze estive a Chateau Pralin .vicino a Boulogne, ospite di Kalkbrenner, Moscheles tornd a Parigi in autunno. Nei primi mesi del 1822 uscivano le Sonate op. 109 e 110 di Beethoven: Moscheles le studid e le fece conoscere nei salotti, ma non s’azzardd ad eseguirle in pubblico. Nel primo concerto-monstre con Lafont, con il soprano Cinti Damoureau, con il tenore Nourrit e con il clarinettista Ivan Miiller tentd di far passare la Fantasia op. 80 di Beethoven: trionfo per tutto il resto, assoluto disastro per Beetho- ven. In maggio Moscheles era a Londra per presentare il suo Concerto n. 3. Nel 1823 suonava a Londra e a Vienna (dove Beethoven gli imprestava il suo pianoforte Broadwood), a Spa, a Francoforte sul Meno e in altri centri minori, nel 1824 rinunciava per malattia ai concerti di Londra, passava a Praga, a Lipsia, in molte piccole citta, concludeva I’anno a Berlino. E cosi via, un anno dopo Valtro. Ilentissimi spostamenti di Moscheles ci danno l’idea di che cosa significasse allora muoversi da un centro all’altro e preparare € sfruttare il successo. Il concerto pubblico non era che il momento culminante di una serie di contatti e di rapporti con la societa della citta in cui il pianista-compositore si fermava, c le esecuzioni presso privati, le lezioni, la composizione e la pubblicazione di musiche consumavano pit: dei concerti il tempo del concertista. Mentre era a Lipsia nel 1824, ad esempio, Moscheles concluse con Probst la cessione delle sue opere 62 e 63 per 35 ducati, e con Mechetti di Vienna la vendita del Concerto n. 3 per 40 ducati; a Berlino diede alcune lezioni al quindicenne Mendelssohn. Ma i tempi cominciavano a cambiare. Nel marzo del 1826 Mo- scheles ascoltava a Londra un concerto diretto da Carl Maria von Weber in cui il giovane pianista tedesco Ludwig Schunke eseguiva 24 Compositori al pianoforte un mostruoso pasticcio formato dal primo tempo del Concerto in do minore di Ferdinand Ries, dal secondo tempo del Concerto n. 5 di Beethoven e dal Rondd ungherese di Pixis. Mostruoso pasticcio, dico io, considerando la cultura con le lenti di oggi. Forse Pautorita di Weber dovrebbe suggeritmi maggior cautela. E vero che Schunke, avendo solo sedici anni, si comportava un po’ come i soliti fanciulli che esordivano con musiche di altri per poi passare, a tempo debito, alle musiche proprie. Non potrei perd escludere che il pubblico cominciasse ad esser stanco dei pezzi per pianoforte e orchestra dei pianisti-compositori-collaudatori, e che quindi il co- stume appena affermatosi fosse gid entrato in crisi: le esecuzioni dei Concerti di Beethoven a Londra, con Cyprian Potter e Neate, stava probabilmente creando le premesse per una svolta, e i giovani non potevano semplicemente subentrare, con lo stesso tipo di reperto- tio, ai pianisti affermati come Hummel e Moscheles. Lo verificd a sue spese Chopin, che vivendo in provincia e non potendo quindi fiutare per tempo le mode si era coscienziosamente costtuito il tipico repertorio del concertista di tradizione: due Concerti € tre pezzi brillanti per pianoforte e orchestra (le Varia- zioni op. 2, la Fantasia op. 13, il Krakowiak op. 14), con un pianoforte tuttofare ed un’orchestra pochissimo impegnata. Quando pieno di entusiasmo usc dalla Polonia, Chopin dovette presto accorgersi che il corredo preparato con tanta cura non era pit smerciabile. Liszt, che aveva scrutato il mondo da un osserva- torio privilegiato come Parigi e che nel 1828 aveva tenuto la prima esecuzione a Parigi del Concerto n. 5 di Beethoven, nel 1829 aveva sospeso una carriera concertistica felicemente iniziata, e 'avrebbe ripresa solo dopo aver trovato nuove motivazioni culturali all’ese- cuzione publica. Mendelssohn, educato nella civilissima Berlino che stava riscoprendo Bach, nel 1829 non parti di casa con il repertorio del pianista-compositore alla Hummel, ma del pianista- interprete, proponendo quindi precocemente quella svolta nella storia dell’esecuzione che sarebbe stata attuata negli anni trenta, come vedremo, da Moscheles e da Liszt. Pur eseguendo il suo Capriccio brillante op. 22 e poi il Concerto op. 25, Mendelssohn presentd infatti in pubblico il Concerto K 466 e, con Moscheles, il Concerto per due pianoforti di Mozart, i Concerti n. 4 e 5 di Beethoven, il Concertstiick di Weber. Mendelssobn - Concertisti 1830 25 La scelta di repertorio del ventenne Mendelssohn indica la sen- sibilita ad una evoluzione del gusto che era del resto inevitabile, dopo il sorgere di regolari stagioni di concerti sinfonici e dopo l'ampliamento della cultura iniziatosi negli ultimi decenni del Set- tecento con I’interesse per la musica barocca. In una prospettiva pid artistica che spettacolare, com’é ovvio, all’esecutore-composi- tore puto si sarebbe dovuto necessariamente affiancare l’esecutore in possesso non solo di dita d’acciaio ma di competenza e di magistero musicali tali da permettere l’esposizione pubblica di testi di valore altissimo. II processo di trasformazione durd una ventina danni. I problema pit: spinoso era quello di acquisire alla vita culturale le pagine per pianoforte solo, molto pit: numerose delle grandi pagine per pianoforte e orchestra, e legate fino a circa il 1830 all’esecuzione privata o semiprivata. Moscheles poteva si far cono- scere al coltissimo banchiere parigino Augusto Léo le Sonate op. 109 e 110 appena pubblicate, ma undici anni dopo, facendo ascoltare a Londra le Sonate op. 109 e op. 111 in uno dei meetings che Thomas Alsager programmava per piccoli gruppi di appassio- nati radunati nella Queen Square Select Society °, trovd «profonda devozione» ed anche perplessita, tanto che, per riequilibrare gli spiriti, tird fuori la pit: passionale Sonata op. 31 n. 2. Il problema culturale, che veniva sentito da Moscheles e da altri, venne a maturazione pit tardi perché un altro problema fu prima affrontato, il problema economico-organizzativo. I concertisti gita- vano, la curiosita cominciava a circondarli e la fama a precederli, ma il pubblico dei teatri non era in grado di affrontare la musica da camera: la presenza dell’orchestra era ancora considerata necessa- ria, almeno nei grandi centri, e cosi la presenza di pit esecutori. I ruolo del concertista venne perd esaltato e all’improvvisazione si affiancd il grande pezzo per pianoforte solo, la fantasia pluritema- tica su temi di popolarissimi melodrammi. La accresciuta richiesta del pubblico fece alzare i compensi dei concertisti e la necessitd di ® Thomas Massa Alsager (1779-1846) fondd a Londra, verso il 1830, la Queen Square Select Society ¢ pit: tardi la Beethoven Society che promosse la ptima esecuzione integtale (Londra, aprile-giugno 1845) dei Quartetti di Beethoven. 26 Compositori al pianoforte aumentare e spettatori ¢ incassi rese sempre piti frequente la scelta di grandi teatri. Fu di conseguenza necessario moltiplicare le po- tenzialita sonore del pianoforte — tra il ’20 e il ’30 vennero adottate staffe metalliche per aumentare la tensione delle corde, si ingrossarono i martelletti e si comincid a rivestirli con uno spesso strato di feltro invece che con un sottile strato di pelle — e per intanto... si suond pit forte. Un conto & avere strumenti pil potenti, un conto & suonar pit forte, Molte voci lamentose scorrono fino a noi per dirci che verso il 1830 la apollinea tecnica classica comincid a mutare e che la com- postezza antica andd spesso a farsi benedire. Per non cascare nella esposizione delle mie impressioni ricorrerd di nuovo al falso di- chiarato: non mio, questa volta. Credo che il lettore scorreth con piacere un Dialogo dei morti pubblicato nel 1833 nella rivista Le Pianiste, che si stampava a Parigi; in quell’anno i partecipanti al concorso finale del Conservatorio avevano eseguito, senza orche- stra, il Concertstiick di Weber, e l’anonimo estensore del divertente pezzo giornalistico (probabilmente il pianista-compositore Char- les-Martin Chaulieu) non si lascid scappare l’occasione di mettere umoristicamente in rilievo il superamento della tradizione: Clementi. Oh, Caronte! avanti con la barca. Caronte Eccomi, signor morto; ma permetta che aspetti un momentino quella giovane ombra che corre laggiti. Weber, Caronte, Caronte! Caronte. Non si scalmani. L’aspetto. Weber. Uffa! Non ne posso proprio pit. Clementi. ‘Mio caro Carlo, ma che cosa pud attirarLa colaggitt, debole com Weber. Ah! Mio caro, vado a sentirmi; mi si suona, oggi... Clementi. In guardia, potrebbe essere... suonato! Ma ci vado anch’io; si dicon cose meravigliose di tutti questi giovani pianisti, si dice che son forti, forti... voglio accertarmi del progresso. Concertisti 1830 27 Weber. Mi fu raccontato, lo scorso inverno, che un ispirato giovine aveva suonato il mio Concertstiick con tal fuoco ed energia da eletttizzare l’assemblea ’. Peccato ch’io non ci fossi! ma non mancherd questa volta, e noi faremo la strada insieme. Addio Caronte, tieni. Caronte. : Signor Clementi, Ella oblia ’obolo... Clementi. 7 Ah, é verol... eccoti ’obolo, Caronte maledetto; quando ci farai dunque passar gratis? Caronte. Quando sard generoso... Clementi. : 7 : Ee Ab! cavolo! ma moderiamoci, perché non possiamo passare senza di lui. Sa, Carlo carissimo, che i pianisti devono aver fatto un bel po di progressi dopo la mia partenza. Tra Lei e Beethoven li avete comandati a baccl jetta; il mio timore & che, se l’arte musicale ci ha guadagnato, il pianoforte ci ha perduto! ai miei tempi... Weber. aoe ; Perché mai, venerabile decano, perché si dovrebbe restringere questo bel strumento a semplice fattore di note? non pud rendete tutti gli effetti che gli si vogliono imporre, ma tuttavia... Clementi. a . La, la, 1a, piano! sono ben Jungi dal condividere il Suo parere; perché la delicatezza del tocco, la finezza del tatto si perdono nei grandi effetti; ¢ se mi sopprimete queste due qualita lo strumento sparisce, soffocato sotto il peso delle vostre trombe ¢ dei vostri timpani, ed io non conosco dita che Ppossano sostenere una simile lotta... Ne convenga, ai miei tempi... Weber, = : Certo, certo, ma se devo credere a quel che si dice Lei dovra cambiare opinione. Clementi. ; oo 7 Jo! mai! Ia mia esperienza, mi permettera di dirlo, pud contare qualcosa, e ai miei tempi... Weber. : ot Andiamo, non si scaldi: ascoltiamo, e poi giudicheremo. Clementi. eee Esia; mettiamoci dietro questa tenda per non essere distratti: ascolteremo meglio. ° Probabile allusione a Mendelssohn. 28 Compositori al pianoforte Weber. Come! senza orchestra, il Concertstiick senza orchestra: che profanazione! In che trappola sono caduto! Clementi. Carlo, si calmi; ecco un giovane che fa bene le ottave. Weber. Si, ottave, sempre ottave, forse che il mio pezzo & uno studio d’ottave? Ma ascolti, t cambiato, & tagliato: profanazione! profanazione! Clementi. (@ parte) Questi autori sono proprio sempre gli stessi. Weber. Ma sembra che il pianoforte non abbia smorzatori! Clementi. Lo credo bene, non mola mai il pedale: che rumote! ai miei tempi... Weber. Ma dica, che caos! ah!... Che c’t? non sento quasi pit, che sono questi suonuzzi.., Clementi, Eh! mi han parlato di cid, & il pedale una corda, adesso capisco gli effetti di moda: si alzano gli smorzatori per suonare pitt forte possibile, e poi. Weber. Si, intendo; ciarlatani, ciarlatani! Credo proprio che ai Suoi tempi... Clementi. Ha perfettamente ragione, caro il mio Carlo, ai miei tempi si sarebbe arrossiti, a cacciar degli effetti cost dozzinali. Weber. : E senza orchestra! ma perché non hanno scelto una delle mie belle Sonate? Clementi. (a parte) Crede che le sue Sonate siano adatte al pianoforte! (ad alta voce) Ma perché non ne hanno scelta una delle mie? Weber. (a parte) Crede che le sue Sonate siano difficili! (ad alta voce) Ma suonare senza orchestra una composizione in cui ho voluto rivaleggiare con Beet- hoven! Andiamocene. Clementi. 3, andiamocene, io non riconosco pit il mio diletto pianoforte; ai miei tempi... Weber. E la mia orchestra che rimpiango, io; viaggio funesto! perd una cosa mi stupisce, ed 2 la forza della loro esecuzione. Clementi. Dica la forza dei loro polsi, perché quanto alle dita... Concertisti 1830 29 Weber. 7 Parrebbero giganti! Clementi. Ee E questo pianoforte dev'essere mostruoso: che solidita! Weber. : Penso che forse erano in due a suonare. Clementi. Ha proprio tagione, mi han detto che a volte ci si mettono a venti insieme ". Oh, Caronte! Caronte. . Come, signore, git qui? Clementi. Si, rientriamo, e per non ripartir pid; ah! ai miei tempi... La dinamica fragorosa, che Clementi censura nel dialoghetto, mise fuori gioco i pianisti di eta avanzata e tutti coloro che non seppero o non vollero adeguarsi al nuovo corso: Cramer diede il suo concerto d’addio a Londra nel 1835 (eseguendo il Concerto in re minore di Mozart), Field, riapparso a Parigi negli anni 30 dopo decenni trascorsi in Russia, col suo tocco delicato e carezzoso sembrd uomo di un altro mondo, Kalkbrenner suond quasi piti soltanto a Parigi, Chopin, di gran lunga il maggior pianista-com- positore degli anni 30, fece la figura di un... neofieldiano. E Mo- scheles, dopo aver tentato una rivoluzionaria iniziativa, di cui diremo piti avanti, nell’estate del 1839 decise di non suonare pit in pubblico, e sebbene rompesse poi qualche volta il giuramento scomparve in pratica dalla vita concertistica nei trent’anni che ancora gli restavano da vivere. Le motivazioni di Moscheles sono interessant: si sentiva musi- calmente maturo, ma superato dal gusto nuovo e troppo in anticipo sul gusto a venire. Sentiva che forse era tramontata la figura stessa del pianista-compositore: «Finora ho fatto conoscere le mie opere al pubblico per mezzo delle mie esecuzioni al pianoforte: conti- ‘© Probabile allusione al sistema didattico di John Baptist Logier, che aveva scritto esercizi da eseguire a pits pianoforti. 30 Compositori al pianoforte nuera il mondo musicale ad avere per esse interesse quando mi titirerd? Vedremo». Gia nel 1860, dieci anni prima di morire, avrebbe dovuto constatare con dignitosa amarezza che la sua mu- sica era sparita dalle sale di concerto. La destrezza unita alla forza fu verso il 1830 la bibbia del pianista. Ma la forza, se basta a far sentire uno strumento in un grande ambiente, non basta a far percepire eventi musicali com- plessi. Mentre Berlioz selezionava timbri e combinazioni di timbri per rendere audibili le sue polifonie babilonesi anche in arene sterminate, i pianisti cercavano di toccare il pianoforte in modi diversificati, che ne variassero timbricamente la risposta |, Frangois Fétis, che scriveva nel 1837, gia faceva una interessante tiflessione sulla storia del suono pianistico: «Il suono legato, eguale ¢ lindo della scuola di Clementi, e di quella di Kalkbrenner, & da lodare per la somma esattezza del suo meccanismo, e per Pelegante sua facilita. Tutto & bello, nitido, regolare nei modelli di tali scuole. E in esse assolutamente escluso cid che io appellerei TRATTAMENTO DELLA PRODUZIONE DE’ SUONI: trattamento che io veggo nella scuola di Hummel, e ben pit: in quella di Moscheles. Quest’ultimo ha molte diverse maniere d’attaccar la nota, secondo l’effetto ch’ei vuol produrre; ed ognuno concede ed afferma che con assai buon esito ei fa uso di tali risorse d’un’arte particolare; ¢ che il suo suono é altresi distinto si per la varieta che pel brillante. Stavvi un parti- colar trattamento puranco nel suono di Liszt, perd di tutt’altra natura; compiacendosi quasi farlo consistere nella deviazione la pit compiuta che immaginarsi mai possa dalla scuola di Hummel. La delicatezza del tocco non @ in verun conto Poggetto precipuo della sua fantasia: le sue mire ad altro non tendono che ad accrescer la forza del Piano-forte, procurando a tutto potere di approssimarsi ** Stiamo parlando di timbro come concetto statistico. In senso assoluto il timbro 8 il suono concreto, ¢ una vatiazione della dinamica comporta percid tuna variazione del timbro, In senso statistico, invece, si pud tilevare la presenza di caratteri fisici (armoniche) simili in suoni di dinamica (ampiezza) diversa. In altte parole, tra un suono piano e un suono forte del flauto c’ anche una piccola differenza di timbro, nettamente inferiore, perd, alla differenza di timbro tra un suono di flauto e un suono di violoncello. Cosi, nel pianoforte, si usa patlare di variet& di timbto in relazione con la varieti di modi di attacco del tasto. Concertisti 1830 31 cotal forza, per quanto & possibile, a quella d’un’ orchestra. Conse- guenze di cid sono alcune combinazioni, tutte sue proprie, nell’ uso frequente dei pedali, con singolari maniere d’investir i tasti: com- binazioni d’un grand’effetto, si, ma che perd esigono uno studio lungo e profondo dell’istromento, non meno che una non comune forza di nervi». La testimonianza di Fétis ed osservazioni sparse di altri ci dicono che verso il 1830, oltre all’aumento del volume di suono, ancora verificabile sui pianoforti d’epoca, si cercd di differenziare i timbri molto pit di quanto non si fosse usato in precedenza. Moscheles notd nel 1836 che gli «effetti d’arpa» ottenuti da Thalberg sul pianoforte «erano molto originali», e Liszt, entusiastico e fantasio- so come sempre, scrisse nel 1837: «Noi possiamo suonare gli ac- cordi come un’arpa, cantare come strumenti a fiato, staccare, lega- te, eseguire sullo stesso pianoforte migliaia e migliaia di passi diversissimi che prima non erano possibili che su molti differenti strumenti»; Carl Czerny, pedagogo riflessivo ed acuto osservatore, associé la novita di timbri, essenzialmente, all’uso del pedale di risonanza ”, attribuendo a Thalberg ’iniziativa di «effetti nuovis- simi, in prima giammai ambiti». Sul fatto non possono dunque sussistere dubbi, ¢ per spiegare la concezione dei rappotti di pit piani di sonoritA basta analizzare le musiche di Thalberg o di Liszt composte tra il’30 ¢ il’40. Ma sul suono concreto, sul timbro quale lo ascoltarono gli spettatori che affollavano i teatri in cui Thalberg e Liszt si producevano, non possiamo dir niente di sicuro: cio&, possiamo dire come quelle composizioni vengono oggi suo- nate da pianisti la cui tecnica non ignora perd Debussy, Ravel, . Scriabin. «La raffinatezza dei cibi raggiunse valore d’arte», fa dire Diderot ad un suo petsonaggio che rievoca il regno di Kanoglu, cioé di Luigi XIV (Les bijoux indiscrets); gli possiamo credere, ma a noi restano solo le ricette, cosi come del Thalberg che faceva impazzire la gente restano solo le note stampate, che in quanto tali non ci fanno ® «Crediamo di aver dimostrato che l’odierna esecuzione del pianoforte consiste in una bravura pressoché gid salita al pit alto grado, in una molto raffinata espressione, ma in ispecie negli effetti che vengono prodotti mediante Tuso del pedale».

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