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X-ray.

Vedere l’invisibile
(di Giuseppe Mussardo)

Per il Natale del 1895, oltre alla solita cartolina d’auguri, i fisici di mezza Europa ricevettero una
busta contenente la radiografia di una mano dalle lunghe dita, ornata da un grosso anello: era la
mano della signora Röntgen, ritratta nella prima imagine ai raggi X ottenuta dal marito, Wilhelm
Conrad Röntgen, professore di fisica presso
l’Universita’ di Würzburg, in Germania. Il plico
era accompagnato da una breve memoria di una
decina di pagine, in cui l’autore spiegava la
scoperta recente da lui fatta nel campo, noto
all’epoca, come quello dei “raggi catodici”. La
notizia fece in un attimo il giro del mondo e
consacro’ immediatamente alle cronache il nome
del suo scopritore. Se oggi qualcuno ci dicesse
che esiste una radiazione, quella dei neutrini,
cosi’ penetrante da attraversare l’intera sfera
terrestre senza essere assorbita, e’ probabile che
non ci stupiremmo piu’ di tanto. Ma in un’epoca
in cui si conosceva soltanto la luce e a malapena
le radiazioni infrarosse ed ultraviolette, la
scoperta di una radiazione capace di passare
attraverso l’intero corpo umano e di farlo vedere
cosi’ in trasparenza ebbene, questo si’ che era
qualcosa di straordinario, un fatto che colpiva
enormemente la fantasia. Vedere l’invisibile,
quale meraviglia! Come spesso accade quando
una scoperta importante diviene troppo
rapidamente di dominio pubblico, vi fu chi
equivoco’ sulle possibilita’ che essa offriva, cosi’
Radiografia della mano di Anna Bertha Röntgen
vi fu chi giunse a considerare i raggi X pericolosi
per il pudore femminile: una legge del New
Jersey, negli Stati Uniti, proibi’ l’uso dei raggi X nei binocoli dei teatri – nel timore che potessero
servire per vedere attraverso i vestiti – mentre una ditta di Londra lancio’ immediatamente sul
mercato una serie di biancheria intima “a prova di raggi X”. Usando le sue stesse parole, quello che
Röntgen aveva scatenato era “un putiferio” ma che apriva una strada nuova per la comprensione
delle misteriose legge del mondo subatomico.
Verso la fine dell’Ottocento, il tubo a raggi catodici costituiva il principale strumento di ricerca in
fisica. Nelle intenzioni originarie del suo ideatore, Heinrich Geissler, doveva servire per studiare gli
effetti delle scariche elettriche su gas rarefatti ma, in realta’, fini’ ben presto con l’anticipare il ruolo
del ciclotrone, sia come acceleratore di particelle subatomiche che come fucina di premi Nobel. Pur
nella sua semplicita’, quest’apparato sperimentale incorporava la piu’ avanzata tecnologia
dell’epoca: era costituito da un tubo di vetro lungo una trentina di centimetri alle cui estremita’
erano poste due piastrine metalliche; il tutto era messo in comunicazione con una pompa da vuoto,
elemento di cruciale importanza per gli esperimenti a cui dava luogo. Collegando le due piastrine
metalliche ad un generatore di alta tensione, si poteva assistere ad un fenomeno interessantissimo:
lungo il tubo comparivano delle striature colorate intervallate da zone oscure, e dal suo interno
iniziava a sprigionarsi una luce spettrale. Diminuendo la pressione del gas, la luce proveniente
dall’interno del tubo diminuiva d’intensita’ fino a scomparire del tutto, lasciando pero’ il posto ad
una luminescenza irraggiata solo dalle pareti del tubo. Grazie alle notevoli migliorie apportate negli
ultimi decenni dell’Ottocento alle pompe da vuoto, si poteva essere certi che all’interno del tubo
rimanessero solo pochissime molecole di gas. Escludendo quindi che fossero queste la causa della
luminescenza residua, ecco che nasceva il problema di capire quale fosse l’origine di questo nuovo
misterioso fenomeno. Si scopri’ che era il catodo (la piastrina metallica connessa al polo negativo
del generatore di elettricita’) ad emettere queste radiazioni ma, sulla natura di quelli che vennero
chiamati raggi catodici, i pareri erano discordanti. Erano onde o particelle? Le opinioni cambiavano
a secondo della nazionalita’: Heinrich Hertz, e tutti gli scienziati tedeschi in coro con lui,
propendevano per l’ipotesi che fossero una nuova specie di radiazione , mentre William Crookes, e
tutti gli scienziati inglesi all’unisono, sostenevano che fossero invece particelle con carica elettrica.
Qualunque cosa fossero, era pero’ assodato che viaggiassero in linea retta, come dimostro’ Crookes
in una versione spettacolare dell’esperimento: dopo aver cambiato la forma del tubo, egli monto’ al
suo interno una croce di Malta di mica posta lungo la traiettoria dei raggi e vide che il vetro non
mostrava fluorescenza dove la croce impediva il loro passaggio. Non era chiaro pero’ se questi raggi
potessero essere deviati da campi magnetici: sia per l’imperizia dei primi ricercatori che per una
particolare ragione sperimentale che si capi’ solo in seguito, i primi esperimenti fatti con questo
intento diedero infatti risultati alquanto contradditori, lasciando cosi’ nel mistero la natura dei raggi
catodici ancora per qualche anno.
Tutti gli esperimenti sui raggi catodici venivano eseguiti in un ambiente scuro, allo scopo di
analizzare meglio la debole luce prodotta dai tubi: erano ricerche che appassionavano molti
scienziati, i quali scrutavano con ogni attenzione possibile quei raggi nella speranza di cogliere
qualche particolare che consentisse di carpire i segreti subatomici che essi celavano. L’ambiente
buio dei laboratori e quella strana luce spettrale creavano piu’ una scena da stregoni intenti alle loro
magie che non da scienziati: del resto, lo stesso Crookes credeva nello spiritismo e si dice che
compisse esperimenti proprio per approfondire le conoscenze di quegli studi soprannaturali: egli
affermo’ che con i raggi catodici si era arrivati a toccare il confine che separa la materia dalle forze
che la plasmano, “una zona d’ombra tra il noto e l’ignoto che ha sempre esercitato su di me una
particolare seduzione, poiche’ essa e’ la sede della realta’ finale, una realta’ sottile, feconda,
magnifica”.
I passi decisivi per la risoluzione dell’enigma furono fatti prima dal francese Jean Perrin e poi
dall’inglese Joseph John Thompson, dove il primo riusci’ a dimostrare che i raggi catodici potevano
essere effettivamente deviati da un campo magnetico e catturati cosi’ in una gabbia di Faraday,
mentre il secondo arrivo’ infine alla loro tanta attesa identificazione: i raggi catodici altro non erano
che elettroni. In un celebre esperimento eseguito al Cavendish Laboratory di Cambridge, Thompson
riusci‘ infatti a misurare il rapporto carica/massa di un elettrone, notando che questo dato si
accordava perfettamente con delle altre misure fatte sugli elettroni degli atomi alcalini da Pier
Zeeman, in Olanda. Da questi esperimenti emergeva un fatto importantissimo: elettroni di
qualunque provenienza si comportavano in maniera uguale, il che significava che ci si trovava di
fronte ad un costituente universale della materia. Tutto questo avveniva nei primi mesi del 1897 ma,
almeno per i primi tempi, la novita’ di queste notevoli scoperte fu oscurata dalla notizia che da
alcuni mesi teneva banco nei giornali internazionali: la scoperta dei raggi X da parte di William
Conrad Röntgen.
La carriera dello scienziato che diede all’umanita’ una delle scoperte piu’ benefiche rappresenta un
capitolo interessante della storia della scienza. William Conrad Röntgen era un uomo dall’aspetto
imponente dalla voce pacata e profonda, portava una barba patriarcale che gli conferiva fierezza e
austerita’. Nacque il 27 Marzo 1845 a Lennep, in Renania; suo padre era un commerciante e
fabbricante di stoffe che aveva sposato una sua cugina, Charlotte Frowein, originaria di Amsterdam.
Wilhem passo’ la sua gioventu’ in Olanda, frequentando il liceo di Utrecht. Poco prima dell’esame
finale di maturita’, successe pero‘ un fatto che porto‘ all’improvvisa interruzione della sua carriera
scolastica: non avendo voluto fare il nome di un suo compagno, autore della caricatura di un
professore, fu cacciato dalla scuola prima di finire l’anno
scolastico. Senza diploma, non poteva pero‘ accedere ad
una facolta’ universitaria, almeno in Germania. Si
iscrisse allora al Politecnico di Zurigo, in ingegneria,
dove si laureo‘ nel 1866. Le lezioni del celebre fisico
tedesco Clausius, uno dei padri fondatori della
termodinamica, avevano destato in lui l’interesse per la
fisica, in particolare lo studio dei gas. Come assistente
del fisico August Kundt, nuovo professore al Politecnico
di Zurigo, fece il suo ingresso nel mondo della scienza
nel 1870, con un lavoro sul calore specifico dell’aria che
gli valse prima la cattedra alla scuola superiore di
Hohenheim e, successivamente, all’Universita‘ di
Strasburgo e Giessen. Nel 1888 aveva accettato di
andare a Würzburg, una buona universita’ ma certo non
una sede di prestigio. Nel 1895 aveva ormai 50 anni e
alle spalle una buona anche se non straordinaria carriera
scientifica, una solida reputazione accademica,
testimoniata dalla nomina a rettore dell’universita’ e
Wilhelm Conrad Röntgen aveva scritto 48 lavori. Ma il 49-esimo fu quello che
fece il botto.
Ai primi di novembre del 1895 Röntgen aveva deciso di ripetere alcuni esperimenti sui raggi
catodici. Aveva cosi’ montato una serie di tubi di Geissler nel laboratorio, li aveva tarati e aveva
iniziato a fare le prime osservazioni. L‘8 novembre e’ la data di nascita dei raggi X: la sera, mentre
tutti gli altri avevano gia’ lasciato il laboratorio, osservo’ che una luce speciale veniva emessa da
uno dei tubi che aveva in precedenza avviluppato con della carta nera, come egli faceva con varie
qualita’ di carte per riscontrarne il grado di trasparenza. Per una di quelle imponderabili ragioni del
caso, poco lontano dal tubo di Geissler si trovava una scatola aperta contenente della polvere
fotosensibile. Ed ecco che, senza alcuna ragione apparente, quella polvere comincio’ ad emettere
luce! Vivamente sorpreso, afferro’ il primo oggetto che gli capito’ tra le mani, un’assicella di legno,
e constato’ che interponendola alla presunta radiazione del tubo, la luminescenza della polvere
diminuiva ma non scompariva del tutto. Lo scienziato penso’ allora di vedere cosa succedeva
ponendo di fronte al tubo di Geissler uno schermo di platinocianuro di bario, sostanza fluorescente
che a quel tempo non mancava in nessun laboratorio di fisica: questo si illumino’ immediatamente.
Se la corrente del tubo veniva interrotta, la fluorescenza dello schermo scompariva. I raggi che la
producevano provenivano dunque senza alcun dubbio da quel tubo ma erano assolutamente
invisibili. Tuttavia la cosa piu’ sorprendente per il professore fu che la fluorescenza dello schermo
non cessava neanche se si interponeva tra il tubo e lo schermo luminoso un libro di mille pagine. La
conclusione era quindi che la radiazione possedeva un’enorme capacita’ di penetrazione. Röntgen
non si rammentava di nessun’altra radiazione altrettanto potente: si trovava quindi davanti ad un
mistero. Per questo motivo decise di chiamarli “raggi X”.
I giorni successivi la signora Röntgen noto’ nel marito un’eccitazione straordinaria: sembrava alle
prese con qualcosa di veramente importante di cui non voleva parlare, e la faccenda lo appassionava
a tal punto da farsi portare i pasti e un letto in laboratorio: in quei giorni per William Röntgen non
c’era nient’altro che quella dannata radiazione che proveniva da quel dannato tubo. Aveva fatto
inoltre un’altra incredibile scoperta:
maneggiando il tubo di Geissler
mentre in funzione, una delle sue
mani venne a trovarsi tra il tubo e lo
schermo e, in quella frazione di
secondo, Röntgen pote‘ scorgere
l’ombra delle ossa della mano,
proiettata sullo schermo. Dopo aver
ripetuto diverse volte
quell’esperimento, dovette concludere
che con quella misteriosa radiazione
era possibile vedere all’interno del
corpo umano. Il 22 dicembre di quel
1895 produsse la prima radiografia di
una mano, quella della moglie, con
una perfetta definizione del suo
sistema osseo. Fu allora che Röntgen esclamo’ “e adesso puo‘ scatenarsi il putiferio”. Pochi giorni
dopo, precisamente il 28 dicembre, presento‘ al Presidente della Societa‘ di Fisica la sua prima
relazione scientifica, intitolata “Su una nuova specie di raggi”. Il Presidente ordino‘ che il lavoro
venisse subito stampato e l’autore ne distribui‘ alcuni estratti ai suoi colleghi, spedendoli insieme
agli auguri per le festivita‘ di Natale e ad una copia della radiografia. Una di queste lettere fu
ricevuta, a Vienna, da un certo Flexd che la mostro’ al suo amico, il Professor Lecher di Praga,
giunto proprio quel giorno a Vienna per far visita al padre, redattore-capo di un grande giornale
viennese. Quella notte stessa, padre e figlio scrissero per il giornale un breve articolo sulla
sensazionale scoperta di Röntgen: nella fretta del tipografo, questi divento’ “il signor Rautger di
Vienna”. Cosi’ il primo annuncio della scoperta venne da Vienna e non da Würzburg, il giorno dopo
la stampa londinese riprese la notizia e la diffusa nel mondo intero via telegrafo e l’8 gennaio del
1896 era in stampa in tutte le rotative americane. Il 9 gennaio, finalmente, la notizia apparve anche
su un giornale di Würzburg dopo aver fatto praticamente il giro della terra. Ma, in citta’, nessuno
poteva immaginare che “il signor Rautger di Vienna” altro non era che il concittadino e Professore
di fisica Wilhelm Conrad Röntgen.
Tutti i laboratori del mondo, disponendo di un qualche tubo di Geissler e di un generatore di
corrente, si diedero allora a fare radiografie. Röntgen ricevette innumerevoli lettere di invito e lo
stesso Kaiser lo chiamo’ a Berlino per decorarlo con un’alta onorificenza cavalleresca. La sua
scoperta diede il via ad un gran numero di applicazioni nel campo della scienza e della tecnica. Si
comprese immediatamente che i raggi X potevano risultare utilissimi nell’indagine medica: la cosa
era piu’ che evidente, ma i primi che utilizzarono la nuova scoperta furono soprattutto medici
giovani e squattrinati che dovettero scontrarsi con lo scetticismo e l’incomprensione dei grandi
luminari, trovandosi quindi molto spesso costretti a lavorare nei sotterranei degli ospedali con
apparecchiature pagate di tasca loro. Ma si comprese anche che la nuova radiazione nascondeva
un’insidia atroce: il suo uso, senza un’adeguata protezione, produceva un danno permanente ai
tessuti esposti ad essa, molti medici scontarono infatti l’audacia del suo utilizzo con gravi
mutilazioni e anche con la morte causata dalla leucemia. Nel frattempo Röntgen mieteva i meritati
onori: la facolta’ di medicina dell’Universita’ di Würzburg lo nomino’ dottore onorario; poco dopo
gli fu anche conferita la cittadinanza onoraria nella sua citta’ d’origine. Nel 1900 accetto’ l’offerta
di una cattedra all’Universita’ di Monaco offertagli del governo bavarese, e con essa la direzione
dell’istituto di fisica. Nonostante tutta questa celebrita’, resto’ sempre un uomo modesto, e non si
preoccupo’ mai dei vantaggi materiali che la scoperta avrebbe potuto procurargli. Ai rappresentanti
di una famosa industria tedesca che gli avevano proposto di sfruttare industrialmente i raggi X e che
gli avevano parlato di brevetti, Röntgen replico’ seccamente: “Brevetti? Non ne voglio, non sono io
che ho inventato i raggi X, essi appartengono a chi li adopera. Leggano i miei scritti coloro che
vogliono fare ulteriori indagini. Del resto io penso che le mie scoperte sono fatte per l’umanita‘ e
non debbano essere riservate mediante brevetti a singole imprese”. Nel 1901 fu il primo fisico ad
essere insignito del premio Nobel.

Ulteriori approfondimenti
Helge Kragh, Quantum Generations, Princeton University Press 2002.
Morris H. Shamos, Great Experiments in Physics, Dover Publications, New York 1959

I raggi X, parenti della luce

I raggi X sono una particolare forma di radiazione elettromagnetica, analoga a quella della luce.
Differiscono pero’ da questa per la lunghezza d’onda notevolmente minore: essa e’ circa 3000 volte
piu’ corta della lunghezza d’onda media della luce visibile. Tutta la loro gamma e’ compresa tra un
milionesimo e un miliardesimo di centimetro e pertanto sono raggi estremamenti energetici. Infatti,
per ogni radiazione elettromagnetica l’energia e’ inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda.
Ma come ha origine questa radiazione cosi’ penetrante? Se lanciamo un raggio catodico, formato da
elettroni molto veloci, su una lastra di vetro o di metallo, al contatto con il bersaglio questi elettroni
vengono bruscamente fermati: i “proiettili” perdono cosi’ completamente l’energia cinetica che
viene pero’ trasformata in energia elettromagnetica, proprio sotto forma di raggi X. La prova della
natura elettromagnetica dei raggi X fu ottenuta nel 1912 soprattutto ad opera di Max von Laue. La
difficolta’ maggiore era legata alla loro piccolissima lunghezza d’onda, perche’ questa si misura di
solito usando le cosiddette griglie di dispersione: queste sono delle placche segnate da sottili
incisioni lineari (delle dimensioni della lunghezza d’onda che si vuole misurare), collocate a breve
distanza l’una dall’altra. Se un raggio di luce incide su queste placche sotto un angolo particolare, si
producono delle frange d’interferenza e da queste si puo’ dedurre la lunghezza d’onda della luce.
Ma il metodo era inapplicabile per i raggi X, perche’ al di la’ di un certo limite, e’ difficile
accrescere il grado di finezza delle incisioni e la loro spaziatura. Riflettendo su queste difficolta’, a
Max von Laue venne in mente che la struttura interna dei cristalli avrebbe potuto fornire dei reticoli
adeguati per la misura desiderata. Non era pero’ ben sicuro dell’idea perche’, a quel tempo, la
natura reticolare della struttura cristallina formava essa stessa l’oggetto di una teoria, che non aveva
ancora ricevuto conferma sperimentale. Ma i primi esperimenti dissiparono rapidamente i dubbi:
inviando i raggi X su alcuni cristalli, questi rivelarono l’ordinamento meraviglioso degli atomi nelle
strutture cristalline e, per giunta, permisero di misurare la lunghezza d’onda dei raggi X. Dopo
questi importanti sviluppi, per cui Max von Laue vinse il premio Nobel in Fisica nel 1914, i raggi X
permisero di penetrare piu’ a fondo la struttura dell’atomo, di vedere che la radiazione puo’
comportarsi sia come un’onda che come una particella elementare, e di scoprire che essa trasporta
energia in quantita’ definite e separate, come se fossero tanti piccoli pezzetini: i quanti.

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