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Paper per il tavolo di Vicenza Fare Italia nel Mondo

Gestire il declino o costruire il futuro ?


Gli interessi economici di una media potenza
e il ruolo della politica estera nel favorire la prosperità economica dell’Italia

***

Introduzione: a che punto è l’Italia nel Mondo ?

Qual è la posizione dell’Italia nel Mondo ? Quanto conta il nostro Paese ? Come si misurano
la nostra potenza o la debolezza nel sistema internazionale ? Dobbiamo ambire ad essere
potenza economica, politica o militare ? Come questi livelli interagiscono tra loro ? Quali
sono o potrebbero essere i dividendi economici della politica estera ?

Questo breve documento1 sintetizza alcune considerazioni su questi argomenti e pone diverse
domande agli imprenditori, ai rappresentanti delle associazione di categoria, ai dirigenti
degli Enti pubblici per il sostegno all’internazionalizzazione, ai funzionari dei Ministeri e agli
esperti di relazioni internazionali.

Le opinioni espresse nel corso della tavola rotonda saranno utilizzate, in forma anonima, per
contribuire alla stesura del rapporto finale di ricerca Fare Italia nel Mondo.

1.0 Il dibattito sul declino dell’Italia

Il dibattito sul declino o meno dell’Italia vede economisti, esperti ed analisti divisi tra quelli
che potremmo, con apposito neologismo, definire “declinisti” e coloro che, collocandosi su
prospettive più fiduciose, pensano che l’Italia possa recuperare posizioni nelle classifiche
internazionali con opportune riforme, senza una completa rigenerazione del famoso “sistema-
Paese”. La differenza tra i due campi è legata a differenti prospettive che pongono l’accento
più sulla strutturalità o, di converso, sulla ciclicità dell’attuale crisi del sistema-Italia. Negli
ultimi anni – anche in conseguenza della crisi di tutto il sistema politico occidentale – sono

1
Il presente position paper è stato prodotto dal gruppo di ricerca “Fare Italia nel Mondo” della Fondazione
Farefuturo. Il team di lavoro è composto da Paolo Quercia, Federico Romanelli, Lorenzo Striuli, Germano
Dottori e Federico De Renzi.
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aumentati, soprattutto nel mondo giornalistico e dei media, gli allarmismi di un inevitabile
declino del nostro Paese.

I sostenitori del declino dell’ex-Bel Paese proiettano gli attuali trend negativi nel medio-lungo
periodo, condannando l’Italia ad un inevitabile futuro di decadenza. Gli ottimisti puntano di
più sulle ciclicità delle crisi nell’economia, ponendo
L’Italia rischia di perdere il suo
l’attenzione sulle capacità rigenerative di tali crisi sui sistemi ruolo internazionale e anche ridurre il
industriali e individuando già i segnali di ripresa per il rapporto con gli USA. I migliori amici
dell’America, difatti, sono i paesi con
sistema-Italia. cui facciamo buoni affari e l’Italia
occupa un ruolo sempre minore. Nel
2004 gli USA hanno investito in Italia
Quale che sia la verità su questa disputa, è comunque certo 16,9 miliardi di dollari e in Spagna
49,3.
che l’Italia da diversi anni sta attraversando un periodo di
Ronald P. Spogli,
crisi, caratterizzato dall’impoverimento del Paese, dalla
Ambasciatore USA in Italia
difficoltà del sistema industriale e produttivo a stare nei nuovi
mercati allargati, dalla bassa crescita del PIL e dalla stagnazione della domanda interna.

Tale oggettiva crisi interna ha in parte prodotto, e in parte è stata anche amplificata, dalla
questione dell’immagine dell’Italia nel mondo sui media stranieri. L’Italia, il Paese del Made
in Italy, del life style e dell’eccellenza, sta scendendo nelle principali classifiche
internazionali2 di competitività e di sviluppo economico. Un’impietosa fotografia negativa di
questo stato delle cose è stata fatta dalla colonne del New York
Perché l’Italia sta scendendo in
Times dal corrispondente per l’Italia Ian Fisher, con un articolo ogni classifica internazionale di
competitività ?
divenuto simbolo del sentimento di compatimento con cui
all’estero osservano il crescente malessere del nostro Paese. Nelle Luca Cordero di Montezemolo
Presidente Confindustria
stesse settimane si è sviluppato un singolare dibattito tra Roma e
Madrid relativo al presunto superamento dell’economia spagnola
su quella italiana, in virtù dei dati del PIL pro capite calcolati da Eurostat.3 Nell’ultima
classifica dell’indice della competitività prodotta nell’ambito del World Economic Forum
l’Italia crolla al 47°, due posizioni dietro il Botswana.

2
Vedi allegato gli indici dell’Italia nelle principali graduatorie internazionali.
3
In particolare da dati Eurostat del 17 dicembre 2007, in cui, fatta 100 la media EU27 il PIL pro capite italiano
viene misurato in 103 e quello spagnolo in 105.
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Sono segnali preoccupanti ma non nuovi. Il dibattito sul declino dell’Italia, difatti, è un tema
che da tempo impegna economisti e studiosi e – pur se accentuatosi negli ultimi anni – ha la
sua recente origine nel decennio degli anni Novanta, quando il nostro Paese scopre di dover
fare i conti con gli imperativi della globalizzazione. Dalla metà di quel decennio critico e
cruciale l’Italia inizia progressivamente a perdere quote di mercato, in parte a causa dei fattori
interni e in parte a causa dei mutamenti degli scenari internazionali. Gli anni novanta e la
crisi italica
L’effetto di questi due fenomeni fa sì che mentre la globalizzazione
amplia il livello di ricchezza mondiale e i volumi del commercio estero, l’Italia conosce –
anche in una fase di boom – un livello di crescita delle nostre esportazioni minore di quello di
altre economie concorrenti. Quando un domani qualcuno studierà i costi e benefici della
globalizzazione per il nostro Paese forse si verificherà che i dividendi della globalizzazione
per l’Italia sono stati più bassi che per altri paesi occidentali e che – forse – i prezzi pagati
sono stati più alti che altrove.

DOMANDE :

Ci sono i presupposti per parlare di crisi o di declino del sistema Italia ?


Si sono recentemente registrati segnali di ripresa ? Quali ?
Quali sono le origine e cause del declino del sistema Italia ?

2.0 Le debolezze e la decadenza: le tre dimensioni della crisi italiana

Tra i paesi avanzati l’Italia è quello in cui un alto livello di ricchezza prodotta convive con
numerosi fattori di debolezza e vulnerabilità strategica. Dal lato del pubblico, l’Italia soffre
per l’eccesso di regolamentazione normativa, per un peso fiscale
Debolezze del pubblico…
eccessivo, per l’eccesso di burocrazia improduttiva, per mancanza
di infrastrutture strategiche, per l’alto costo dell’energia, per la
lentezza ed inaffidabilità del sistema giudiziario, per eccesso di situazioni monopolistiche, per
un sistema di formazione superiore e universitario inadeguato, nonché per il peso eccessivo
della criminalità su alcune regioni del Paese. Dal lato del
… del privato privato, elementi di criticità sono rappresentati dalle
piccole dimensioni delle imprese italiane, dal basso livello di capitalizzazione, dalla scarsa
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innovazione tecnologica, dai mancati investimenti in R&S, dall’eccessiva specializzazione


industriale in settori produttivi maturi e ad alta intensità di fattore lavoro, da un eccessivo
individualismo nella cultura d’impresa, dall’alto indebitamento, dalla commistione finanziaria
troppo elevata tra capitale d’impresa e patrimonio dell’imprenditore, e dalla scarsa capacità di
pianificare investimenti all’estero.

Queste debolezze del sistema-Italia si pongono oramai a dimensione storica del nostro
modello di sviluppo-Paese e in qualche modo hanno rappresentato sino ad oggi dei limiti
strutturali per il nostro sviluppo economico nazionale. Tuttavia, i fenomeni
dell’internazionalizzazione e della globalizzazione, che hanno determinato gran parte delle
politiche pubbliche e delle strategie private negli anni Novanta, hanno amplificato –
attraverso l’apertura delle frontiere e l’estremizzazione della competizione
internazionale – queste debolezze, trasformandole in punti di vulnerabilità … e mutamenti del
sistema internazionale
che rischiano di avvitare il nostro Paese in una spirale di declino costante.
Difatti, anche nel grande gioco allargato dell’economia mondializzata, in cui le merci e i
servizi competono su scala globale con merci e servizi di altri paesi, il ruolo degli stati quali
creatori di competitività e regolatori dei mercati non è venuto meno, ed anzi, negli ultimi anni,
si è persino registrato qualche rilevante fenomeno di ritorno della sovranità statale.

Che sia crisi ciclica o declino-Paese, sarà il tempo a dimostrarlo. È importante però riflettere
sul fatto che tre sono le origini di questa prolungata congiuntura negativa per l’economia
italiana. Possiamo distinguere tra (a) una dimensione economica della crisi, relativa alle
particolarità del sistema produttivo – economico italiano; (b) una dimensione istituzionale,
legata alla crisi del sistema di governance del Paese; e (c) una dimensione internazionale,
legata ai mutamenti occorsi nel sistema delle relazioni internazionali dal corso degli anni
Novanta, passando per la fatidica svolta rappresentata dai noti avvenimenti del 2001.

La somma e l’interazione di queste tre dimensioni, a nostro avviso, sono in gran parte
all’origine dell’attuale perdita di competitività dell’Italia in un sistema-mondo sempre più
difficile, problematico, conflittuale, competitivo, “cattivo”, assetato di risorse materiali e
ingiusto con quelle umane. Un mondo dove le aziende combattono su mercati sempre più
aperti con margini sempre più bassi. Questo mercato-mondo è sicuramente più ricco di
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opportunità, ma non sempre esse sono alla portata della maggioranza delle nostre aziende,
una parte delle quali finisce addirittura fuori mercato o si sposta su posizioni di rendita
(monopoli o mercati immobiliari).

In questo contesto, non è banale soffermarsi a riflettere sul fatto che, come sono tre le
congiunture di debolezza del sistema-Italia, tre sono anche le
macrovariabili su cui intervenire per migliorare le prestazioni Non tutte le
competitive del Paese nel suo complesso, agendo sul fattore impresa, globalizzazioni possibili
sono compatibili con i
sullo stesso fattore paese e sul fattore sistema internazionale; in nostri interessi nazionali.
ultima analisi, la competitività internazionale di un paese è in
qualche modo una media dei primi due fattori declinati nel terzo.

In altre parole, la competitività di un sistema-paese non è solo funzione dell’interazione tra le


prime due dimensioni (ovvero imprese private e infrastruttura statale), ma è sempre più
influenzata dalle mutazioni delle regole – scritte, consuetudinarie, informali o de facto – del
sistema-mondo. La creazione di aree di libero scambio, le regolamentazioni del commercio
internazionale, le politiche commerciali comuni, la creazioni di alleanze e blocchi regionali, i
flussi demografici e dei fattori di produzione, il sistema dei trasporti internazionali, il sistema
finanziario, la conflittualità, le guerre, ecc, sono tutti fattori capaci di aumentare o diminuire
le potenzialità competitive del nostro sistema-Paese, a parità della sua efficienza.

Nell’ultimo decennio le mutazioni più importanti e sostanziali sono avvenute proprio nel
sistema internazionale, i cui cambiamenti strutturali hanno provocato una riscrittura della
grammatica delle relazioni internazionali. Questa riscrittura del
sistema-mondo in alcuni casi ha aperto nuove opportunità e prospettive
La scrittura delle regole
per il sistema-Italia, mentre in altri casi ha contributo a mettere a nudo
internazionali che
le debolezze del Paese, elevandole a criticità strategiche. delimitano il campo da
gioco del sistema mondo è
un atto politico, che deve
restare di dominio della
Con questa convinzione, è necessario tenere bene in mente che la sovranità statale
scrittura delle regole internazionali che delimitano il campo da gioco
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del sistema-mondo non è un atto tecnico – come spesso sostengono coloro che demandano
tale importante fase ad organismi tecnici nazionali o multilaterali – bensì un atto politico, che
dovrebbe vedere proprio nella sovranità nazionale la maggiore forma di espressione.

È chiaro dunque che la partita della competitività si gioca su almeno tre fronti:

• da un lato quello strettamente imprenditoriale, favorendo la crescita dimensionale


delle imprese, migliorandone i vantaggi competitivi, incoraggiando le specializzazioni
produttive, i processi di internazionalizzazione e le attività commerciali, riducendo il
carico fiscale, e promuovendo la ricerca, lo sviluppo e l’aggiornamento tecnologico;

• sul fronte del sistema-Paese, invece, sia migliorando le cosiddette infrastrutture


materiali e non del sistema-Italia (i cosiddetti public goods), sia riducendo l’eccessivo
peso dello stato che, dove non produce inefficienze burocratiche e regolamentari, porta
inesorabilmente all’aumento delle imposizioni;

• sul fronte del sistema internazionale, occorre lavorare ad ogni livello di coordinamento
del sistema-Paese per garantire che anche i livelli politici delle relazioni internazionali
remino nella stessa direzione delle politiche nazionali di competitività per le imprese.

In questo contesto, uno dei contributi più diretti della politica estera italiana alla competitività
del sistema-Italia sta proprio nell’effettuare, in tutte le sedi, un ruolo proattivo di vigilanza e
di azione, affinché gli assetti di potere del mondo e le macroregole del sistema internazionale
non vengano cambiate a svantaggio delle nostre imprese e degli interessi economici dell’Italia
nel mondo. Naturalmente un tale compito non può essere svolto solamente con le nostre forze,
ma necessariamente in coordinamento con i paesi che con noi condividono i principali
riferimenti della politica estera italiana, in che vale a dire Unione Europea e NATO in primo
luogo.

DOMANDE :

Quali sono i principali punti strategici di vulnerabilità del sistema-Italia nel pubblico e
nel privato ?
Gli effetti della globalizzaizone sul sistema-Italia sono stati positivi o negativi ?
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3.0 Debolezza e internazionalizzazione del sistema Italia. Il ruolo del


pubblico.

L’internazionalizzazione del sistema economico produttivo italiano è in parte una necessità


inevitabile e in parte una realtà imprescindibile per il nostro Paese. Le aziende italiane da
diversi anni hanno iniziato a reagire alle sfide economiche sia convenzionali che
asimmetriche provenienti dai più disparati angoli del pianeta,
utilizzando al meglio gli spazi offerti dalle maglie larghe della
globalizzazione. Proprio la delocalizzazione nell’estero vicino, Delocalizzazione
nel near abroad
ovverosia la creazione di reti lunghe di distretto in paesi europei, è stata
una delle strategie utilizzate per recuperare competitività, riducendo i costi di produzione e
gettando le basi per la presenza in altri mercati. Da questo punto di vista, è necessario
distinguere tra due tipologie di internazionalizzazione: una che potremmo definire virtuosa (o
dei campioni nazionali) ed una che potremmo definire di emergenza o di sopravvivenza.

Quella delle aziende competitive è il frutto di strategie precise


di internazionalizzazione da parte di aziende capaci di
La delocalizzaizone
investire capitali e risorse manageriali per potere diventare
“buona”:
l’internazionalizzazione attori globali, a volte anche nel piccolo (le cosiddette
dei campioni nazionali
multinazionali tascabili). Per questa tipologia di aziende,
l’internazionalizzazione è una parte della più ampia strategia
industriale, che punta a mantenere comunque la prevalenza della presenza produttiva e
manageriale in Italia e che delocalizza solo alcune funzioni, integrandole in rete con l’azienda
madre o addirittura con i distretti stessi. In molti di questi casi l’internazionalizzazione ha
assunto l’aspetto di acquisizioni effettuate all’estero o comunque, anche quando realizzate
sotto forma di fenomeni di delocalizzazione greenfield, hanno contribuito ad aumentare non
solo il fatturato globale dell’azienda e la competitività internazionale, ma spesso anche il
numero dei dipendenti in Italia.

A questo tipo d’internazionalizzazione se n’è affiancata un’altra tipologia, legata alla


necessità, e che in alcuni casi ha rappresentato una vera e propria fuga dal nostro Paese che in
qualche modo ricorda i fenomeni di emigrazione legati al bisogno che hanno in passato
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caratterizzato l’Italia. Questo secondo tipo di internazionalizzazione lascia aperte molte


questioni e molto spesso è l’alternativa all’uscita delle aziende dal mercato. Nella
maggioranza di questi casi il sostegno pubblico a questo tipo di internazionalizzazione non
dovrebbe essere incoraggiato, in quanto tali attività non rappresentano il frutto di una sfida
d’impresa all’internazionalizzazione o una strategia di recupero di competitività ma tentativi,
a volte un po’ avventurosi e spesso volatili, di provare la fortuna all’estero.

La ricostituzione di un Ministero del Commercio Internazionale è stata sicuramente un passo


avanti nel risolvere i problemi di coordinamento del supporto del
sistema pubblico all’internazionalizzazione (in passato in parte bloccato
La ricostituzione del
da un incrocio di competenze tra Ministero dell’Industria e Ministero
Ministero del Commercio
degli Affari Esteri) e soprattutto il segno che, anche all’interno Internazionale
dell’Unione europea, la promozione dell’export del Made in Italy resta
un onere ed una competenza nazionale. Certamente c’è ancora molto da
fare, soprattutto nel campo della razionalizzazione delle risorse, efficientamento della PA,
coordinamento e razionalizzazione tra le azioni delle Regioni e quella delle Amministrazioni
centrali, nonché nel miglioramento della qualità dei servizi erogati dalle agenzie specializzate.

Dal punto di vista di coordinamento tra politica estera e internazionalizzazione, è forse da


registrare con un certo sollievo il fatto che le funzioni di promozione del commercio
internazionale non sono state accorpate al Ministero degli Affari Esteri,
come in passato era stato ventilato. Pur condividendo la necessità di una Coordinamento Esteri –
politica estera più mercantile e business friendly, è tuttavia necessario MinComEs
e proposte di riforme
mantenere il rispetto dei ruoli, delle funzioni e delle specializzazioni.
Sarebbe invece opportuno procedere, nel campo delle riforme degli
strumenti per l’internazionalizzazione, verso un’altra tipologia di
riorganizzazioni: una concernente l’operatività dell’Istituto Commercio Estero e l’altra le
attività economiche del Ministero degli Affari Esteri. In particolare:

o Attribuire al Ministero del Commercio Internazionale e all’ICE delle funzioni


non solo di promozione delle esportazioni italiane verso l’estero bensì anche che
quelle di promozione delle importazioni estere in Italia.
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o Attribuire al Ministero degli Affari esteri le competenze e le agenzie nel campo


degli investimenti esteri di capitale, sia in entrata che in uscita.

La prima riforma riunirebbe il Ministero del Commercio Internazionale e l’ICE in un polo di


riferimento per ogni attività di import-export da, verso e attraverso l’Italia per il mondo, in
omaggio tanto alla posizione strategica del nostro Paese nel Mediterraneo quanto alla
tradizione industriale che ci vede come un Paese trasformatore privo di materie prime.
L’incremento del flusso del trading da e verso l’Italia produrrà maggiore ricchezza,
svilupperà il settore dei servizi, aumenterà la domanda per investimenti nel settore delle
infrastrutture e logistica, e produrrà anche economie legate alla concorrenza e alla maggiore
disponibilità di merci straniere. Il Ministero del Commercio Internazionale diverrebbe in
questo modo una struttura di governance e di certificazione per il trading tra Italia e mondo.

La seconda riforma proposta si basa sulla considerazione che gli investimenti esteri di
capitale, sia in entrata che in uscita, rappresentano ancora una funzione delle relazioni
industriali internazionali dotata di forte componente politica, sia se sono flussi tra paesi
industrializzati ed occidentali che – a maggior ragione – verso paesi in transizione o economie
di sviluppo. Utilizzare il Ministero politico delle relazioni internazionali consentirebbe di
migliorare i ritorni della politica estera in campo industriale, anche facendo maggiore ricorso
allo strumento della condizionalità tra politica estera pura e politica industriale internazionale.
L’Italia è indietro tanto come Paese investitore all’estero tanto come Paese destinatario di
investimenti stranieri. Mediante la delega alla Direzione Economica del Ministero degli Affari
Esteri (DGCE) della gestione politico-strategica dei flussi di investimenti di capitale da e per
l’Italia, questo strategico ambito della cooperazione industriale internazionale verrebbe
senz’altro migliorato.

Infine, è fondamentale che il sistema pubblico per l’internazionalizzazione, oltre ad eliminare


duplicazioni ed inefficienze ed elevare la qualità generale dei servizi offerti, sviluppi delle
capacità di nicchia altamente specializzate – ad esempio nell’assistenza giuridico-legale alle
imprese italiane all’estero e nei servizi avanzati – senza trascurare anche la formazione di
nuove professionalità nel campo delle pubbliche relazioni industriali internazionali, della
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negoziazione internazionale, del business scouting e del privatization management.

DOMANDE :

Sono necessarie riforme del sistema pubblico per l’internazionalizzazione ?


Quali ?
È necessario il sostegno pubblico all’internazionalizzazione o essa è
prevalentemente una dinamica tra imprese private ? Se sì, in quali campi ?

4.0 I segnali di ripresa del sistema industriale italiano

Già da qualche anno assistiamo ad importanti segnali di ripresa del sistema-italia, almeno per
quanto riguarda il settore privato, e che in parte devono ispirarci ad una visione meno
“declinista” del nostro sistema industriale. Una porzione delle imprese italiane che hanno
subito la crisi ha rivelato delle importanti capacità di reazione alla maggiore pressione
derivante sia dalla competitività internazionale sia anche dalle forme di aggressività
commerciale predatoria di cui alcuni settori produttivi del nostro Paese – tessile e calzaturiero
in particolare – sono stati vittima.

Negli scorsi anni, il sistema industriale italiano ha subito una vera e propria ristrutturazione
produttiva con un conseguente riposizionamento sui mercati esteri, sia attraverso
delocalizzazioni nei settori tradizionali e verso paesi con bassi costi di lavoro, che con
miglioramenti qualitativi dei prodotti esportati. Come è stato osservato4, questi processi hanno
avuto luogo prevalentemente all’interno dei settori di specializzazione,
cosicché, piuttosto che assistere ad un cambiamento della Crisi e ristrutturazioni
industriali
compartimentazione più in linea con quella degli altri maggiori paesi
industrializzati, si sta verificando un ulteriore “arroccamento” nei settori di tradizionale
specializzazione.

In questo contesto, a soffrire di più sono le imprese di minori dimensioni che mostrano le
maggiori difficoltà di adeguamento alla nuova situazione internazionale ed alla maggiore
pressione competitiva. Ciò ha comportato una riduzione delle quantità esportate che è stata

4
Beniamino Quintieri, Declino o cambiamento, Università di Roma Tor Vergata e Fondazione Manlio Masi,
giugno 2007.
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infatti accompagnata dalla tenuta delle quote di mercato a prezzi correnti, grazie ad una
dinamica dei prezzi all’export particolarmente sostenuta.

Se il settore privato ha in qualche modo iniziato un duro processo di riforma e ristrutturazione


dovuto alla competizione internazionale, la stessa cosa non è in gran parte avvenuta per
quanto riguarda il settore della PA e della capacità di governance. Il sistema-Paese pubblico è
sostanzialmente rimasto impermeabile alle sfide della competizione internazionale, non
avviando quelle riforme strutturali della macchina-Stato che costituiscono l’altra metà della
competitività del sistema-Italia. Questo ritardo, se si protrarrà nel tempo, rischia di vanificare
molti degli sforzi del settore privato e rendere ulteriormente difficile per l’Italia tenere testa
nelle classifiche della competizione internazionale. Il grande boom della Spagna degli ultimi
anni è stato in gran parte prodotto dagli effetti positivi delle politiche liberali e di deregulation
interne attuate già a partire dalla fine degli anni Novanta.

Nel campo del sistema internazionale e della sua regolamentazione in campo politico ed
economico, abbiamo assistito negli ultimi anni ad un trend – maggiormente evidente a partire
dal 2001 – di recupero di sovranità degli stati nazionali nei confronti di enti ed organismi
multilaterali o sovranazionali, in parte come reazione agli squilibri causati dal decennio
dell’internazionalizzazione (1989–2001) e in parte come conseguenza degli effetti
internazionali dei mutamenti politici post-11 settembre. È importante che la politica italiana
colga in tempo utile il senso della portata storica di queste tendenze, e sviluppi una politica
maggiormente disinibita di tutela degli interessi nazionali nelle sedi multilaterali.

DOMANDE :

I segnali di ripresa indicano una fine della crisi ?


Come sono usciti i settori di forza del Made in Italy dalla crisi ? La
“selezione darwiniana” prodotta dalla concorrenza internazionale ha
prodotto settori più forti o deboli ?

5.0 L’azione dello stato e la competitività internazionale: l’efficientamento


della PA, il rapporto pubblico privato e i dividendi possibili della politica
estera

Le crisi internazionali politiche ed economiche producono o costringono ad effettuare


cambiamenti e riforme. Questo processo è evidentissimo nel campo del settore privato – in
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Italia e nel resto del mondo – e in parte nel campo della mutazione delle regole internazionali,
come effetto del riadattamento delle volontà degli stati sovrani ai cambiamenti occorsi nel
sistema internazionale. In Italia il settore della PA ha mostrato invece una bassa elasticità ai
cambiamenti e alle crisi migliorando nel corso degli ultimi anni solo parzialmente il rapporto
pubblico–privato.

Questo è un problema rilevante in quanto, come evidenziato, una grande parte della
competitività delle imprese dipende dal funzionamento della macchina-Stato, dal suo basso
costo e dalla sua alta capacità di sostegno degli interessi economici italiani nel mondo, anche
utilizzando gli ambiti della politica estera e di sicurezza. Il
modello industriale ed economico italiano basato sulle PMI e Ruolo dello Stato e
sulle specializzazioni produttive in settori industriali maturi rapporto pubblico privato

necessita di protezione e promozione, due attività che non


possono non essere in larga parte svolte dal settore pubblico: protezione dalla concorrenza
estera – sia quella sleale che quella semplicemente dannosa – e promozione come assistenza
e sostegno.

Nel bene o nel male, la macchina-Stato rappresenta ancora uno dei pilastri della forza o della
debolezza del sistema-Italia nel mondo. Le necessità di snellimento e semplificazione della
PA e dei suoi costi non devono comportare la perdita di efficienza dello Stato né la sua
riduzione sic et simpliciter. Vi sono settori in cui lo Stato è assente o scarsamente presente. In
un’ottica liberale, essere fautori di uno Stato minimo non vuol dire sostenere l’assenza dello
Stato, ma la sua ottimizzazione, che può comportare anche la concentrazione delle risorse
pubbliche – anche con rilevanza e forza – in pochi ma strategici settori di sostegno agli
interessi nazionali. Il campo dell’internazionalizzazione delle imprese è uno di questi.

Analogamente, liberismo e protezionismo non si escludono reciprocamente, ma possono


entrambi porsi come strategie coordinate applicate ad ambiti territoriali diversi. In questo
campo, oggi, non dovrebbero esistere ricette ideologiche applicabili erga omnes. All’interno
dell’Italia sono sicuramente necessarie maggiori politiche liberiste al fine di rafforzare la
competitività del settore privato all’estero attraverso una maggiore concorrenza interna.

Nei settori strategici possono al contrario essere utili anche dosi sagge di dirigismo e di
limitato intervento pubblico. Dovrebbero opportunamente essere studiate le possibilità di un
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ingresso dello Stato come socio di minoranza in alcuni distretti industriali (non come socio
delle singole aziende!) con capitali di rischio volti a
finanziare l’internazionalizzazione, l’apertura dei mercati
Una strategia nazionale
esteri e l’attrazione di investimenti stranieri. Per quanto non ideologica e
riguarda il sistema-Mondo, d’altro canto, la linea di politica soprattutto differenziata
per aree geo-economiche
dell’internazionalizzazione per l’Italia dovrebbe di volta in
volta – nelle differenti aree geoeconomiche del globo –
essere calibrata sulle specifiche esigenze nazionali, attuando un mix tra liberismo,
protezionismo tattico e neocolbertismo.

Infine, è necessario tenere presente il circuito esistente tra ricchezza nazionale e relazioni
internazionali. Le nostre relazioni internazionali (politica estera, politica di sicurezza,
politiche industriali internazionali) hanno dei costi che sono
finanziati attraverso la fiscalità generale e quindi attraverso la
Quali dividendi dalla
tassazione della ricchezza prodotta dal sistema produttivo. È politica estera ?
necessario che tra queste dimensioni vi sia un circuito non di
sola andata, bensì di andata e ritorno. Se è vero che più aumenta la ricchezza nazionale più
aumentano le risorse che possono essere spese nel campo internazionale, non è
necessariamente vero il contrario; anzi, spesso l’aumento della spesa pubblica per le attività
internazionali dello Stato producono un effetto distorsivo di assorbimento di risorse dal
privato al pubblico che genera a sua volta scarsi ritorni diretti per l’economia italiana (fatta
eccezione ovviamente per il settore dell’industria della difesa).
Invece, le relazioni internazionali, politiche e di sicurezza non vanno viste solamente come un
atto dovuto della statualità e della sovranità nazionale, ma – soprattutto in tempi di
globalizzazione – anche come una possibile fonte di rafforzamento della ricchezza economica
nazionale, ricchezza che può fare la differenza tra declino o sviluppo.

Sarebbe pertanto necessario studiare dei meccanismi che consentano quantomeno di produrre
dei dividendi dalla politica estera – ed anche in misura minore da quella di sicurezza – al fine
di migliorare l’efficienza globale del sistema-Italia.

Sono sfide importanti e difficili ma che non possono essere trascurate in tempi incerti e critici.
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DOMANDE :

Sono possibili ritorni dalla politica estera e di sicurezza svolta dall’Italia


nel mondo per l’economia italiana ?

Se si, in quale modo è possibile garantirli ?

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