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CAPITOLO 13

CONTROLLI NON DISTRUTTIVI


13.1 INTRODUZIONE
I controlli non distruttivi (CND) permettono di individuare la presenza di alterazioni
nei pezzi, senza pregiudicare la funzionalit del manufatto.
Innanzi tutto, bisogna sottolineare il corretto significato dei termini alterazione e
difetto.
Alterazione una qualsiasi mancanza dintegrit del pezzo (cricca, porosit,
inclusione solida, ecc.); difetto unalterazione di dimensioni superiori a limiti
imposti dalle norme od in fase di progettazione della struttura sottoposta a controllo.
Nella descrizione delle tecniche di controllo non distruttivo risulta, quindi, pi
corretto utilizzare il termine alterazione, per identificare loggetto del controllo, in
quanto non si entra nel merito delle dimensioni rilevate.
Quando si effettua un controllo, invece, importante poter determinare con
precisione le dimensioni di quanto viene rilevato, in modo da poterlo classificare
alterazione (quindi accettabile) o difetto. In questultimo caso, la resistenza del pezzo
risulta compromessa e ci ne determina lo scarto o rende necessario procedere a
riparazioni (rimozione della zona in cui presente il difetto e successivo ripristino
della geometria del pezzo, ad esempio mediante saldatura di riempimento).
Altro aspetto da sottolineare il fatto che la validit di un controllo influenzata da
diversi fattori, quali:
la scelta del tipo di controllo, che deve essere adeguato ad effettuare lanalisi
del manufatto (ad esempio non si otterr alcuna indicazione se si effettua un
controllo magnetoscopico su un pezzo in lega dalluminio, in quanto materiale
non magnetizzabile. Lassenza di indicazioni non assicura che non vi siano
alterazioni);
la scelta delle modalit esecutive, con la conseguente stesura delle relative
procedure;
ladeguatezza della strumentazione, che deve essere certificata e tarata;
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il rispetto delle indicazioni riguardanti la preparazione dei pezzi da ispezionare


(ad esempio, la mancata rimozione del grasso dalla superficie di pezzi da
sottoporre a controllo con liquidi penetranti pu impedire la rilevazione di
unalterazione);
lesperienza del personale.
I CND devono essere effettuati da personale qualificato, ossia che abbia ricevuto un
opportuno addestramento e che abbia maturato una sufficiente esperienza
professionale. Inoltre, il personale addetto ai CND deve avere una condizione fisica
che lo renda adatto ad eseguire correttamente i controlli (ad esempio, adeguata acuit
visiva).
La corrispondenza a questi requisiti viene verificata mediante appositi esami e
controlli e loperatore che li supera ottiene una certificazione (specifica per il tipo di
controllo per cui ha sostenuto lesame).
In Italia, la certificazione del personale addetto ai CND regolamentata dalla norma
UNI EN 473 ed nominativa; in America, invece, la certificazione di propriet del
datore di lavoro e quindi loperatore perde la certificazione se cambia azienda.
Per ogni tipo di controllo, si possono ottenere tre livelli di certificazione:
livello 1: abilita ad effettuare operazioni di controllo, seguendo istruzioni
scritte redatte da un livello 2;
livello 2: abilita a redigere le istruzioni per i livelli 1 ed i resoconti di prova
relativi ai controlli eseguiti dai livelli 1;
livello 3: abilita a dirigere tutte le attivit di controllo a cui riferita a
certificazione.
I controlli non distruttivi possono essere effettuati durante la costruzione del
manufatto e/o durante lesercizio dello stesso.
I controlli durante la costruzione sono finalizzati ad assicurare che le discontinuit
presenti nel componente siano tali da soddisfare i limiti di accettabilit previsti a
progetto.
Le ispezioni effettuate in esercizio hanno lo scopo di definire lo stato di un
componente durante lutilizzo ed il suo grado di affidabilit. In tal modo, si pu
intervenire sul componente prima che il danno abbia provocato effetti irreparabili.
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Per poter eseguire correttamente un controllo, loperatore deve conoscere la tipologia


di manufatto che sta esaminando (laminato, forgiato, estruso, lavorato di macchina,
saldato, ecc.), il materiale con cui realizzato il pezzo (compreso lo stato di fornitura:
bonificato, temprato, invecchiato, ecc.) e le condizioni di esercizio (sollecitazioni,
temperature e composizione dei fluidi che vengono a contatto con il manufatto in
esame).
Le tipologie di CND possono essere cos suddivise:
indagini

difettoscopiche:

discontinuit

sia

interne

individuano,
sia

posizionano

superficiali,

aventi

dimensionano

caratteristiche

sia

bidimensionali (cricche) sia tridimensionali (porosit, scorie).


A questa categoria di controlli appartengono gli esami visivi, quelli con liquidi
penetranti, magnetoscopici, radiografici, ultrasonori e con correnti indotte, i
controlli basati sulle emissioni acustiche, sulla rilevazione di fughe e la
termografia;
indagini strutturali: individuano alterazioni della struttura metallurgica del
manufatto. Si utilizzano microscopi, in modo da esaminare in dettaglio la
struttura del materiale;
indagini di tipo dimensionale: verificano il rispetto delle tolleranze di progetto
e permettono di rilevare alterazioni dimensionali (riduzioni di spessore dovute
a corrosione, erosione, ecc.). I rilievi vengono effettuati con calibri, micrometri
oppure,

quando

la

misurazione

diretta

non

possibile

causa

dellinaccessibilit del pezzo da entrambe le parti, mediante luso di


ultrasuoni.
Nellambito del presente testo, verranno descritte solamente le indagini
difettoscopiche.
Per scegliere il controllo appropriato alla specifica situazione, bisogna conoscere le
differenze esistenti tra le diverse tipologie di indagine.
In relazione alla posizione dellalterazione che si deve individuare, si possono
distinguere i metodi superficiali ed i metodi volumetrici.
I metodi superficiali (ossia quelli che sono solo in grado di rilevare la presenza di
alterazioni affioranti in superficie o presenti poco sotto la stessa) sono:
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lesame visivo;
il controllo magnetoscopico;
i liquidi penetranti;
le correnti indotte.
I metodi volumetrici (ossia quelli che consentono di evidenziare alterazioni presenti
sia sulla superficie sia nel volume del manufatto) sono:
lesame radiografico;
lesame ultrasonoro;
la termografia;
la rilevazione di fughe;
lemissione acustica.
Lunico metodo che in grado di caratterizzare unalterazione in modo completo
(tipologia, dimensioni, posizione) il controllo ultrasonoro.
Prima di effettuare qualsiasi tipo di controllo, si esegue unispezione visiva dei pezzi.
Nel prossimo paragrafo, saranno quindi date alcune indicazioni sulla strumentazione
che si deve utilizzare e sui criteri che si devono seguire per effettuare questa indagine,
soprattutto nei casi in cui la zona da controllare non sia facilmente accessibile.

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13.2 CONTROLLO VISIVO


Il controllo visivo serve per verificare la presenza di difettosit grossolane, quali la
mancanza di un bullone in una struttura bullonata, e soprattutto il grado di
ossidazione di una superficie (in modo da stabilirne la causa e verificarne la
pericolosit).
Dato che il colore degli ossidi dipende dalla sostanza che li ha generati (ad esempio il
rame crea ossidi verdi, lossido di ferro rosso e lossidazione in condizioni di
scarsit di ossigeno nera), di fondamentale importanza eseguire il controllo visivo
in condizioni standardizzate di illuminazione.
Lilluminazione pu essere definita mediante due grandezze: la temperatura colore
ed il grado di illuminamento. La temperatura colore di una sorgente, espressa in
Kelvin, indica in termini numerici il colore apparente di una sorgente luminosa. La
luce del sole ha una temperatura colore di 3200 K e quindi, per non alterare la
percezione del colore rispetto a quanto risulta durante un controllo effettuato in
esterno, necessario che le lampade utilizzate, nel caso si effettuino controlli con
luce artificiale, abbiano questa stessa temperatura colore.
Il grado di illuminamento, che si misura in lux, dato dal rapporto tra il flusso
luminoso emesso da una sorgente e la superficie dell'oggetto illuminato. Il grado di
illuminamento per lesecuzione del controllo visivo deve essere almeno pari a 300
lux.
13.2.1 Tipologie di strumentazione
Nel caso si debba ispezionare la superficie esterna di un pezzo, lesame visivo viene
effettuato semplicemente ad occhio nudo, od utilizzando una lente con fattore
dingrandimento al massimo pari a 5X.
Se si devono ispezionare le superfici interne di un pezzo cavo (ad esempio di una
valvola, di un recipiente o di un tubo), lesame visivo viene definito remoto e lo
strumento normalmente utilizzato lendoscopio.
Un endoscopio composto da:
un sistema di illuminazione;
un sistema di visione.
A seconda del sistema di illuminazione utilizzato, si distinguono:
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gli endoscopi a luce calda;


gli endoscopi a luce fredda.
13.2.1.1 Endoscopi a luce calda
In questi strumenti, la luce viene generata e diffusa da una lampadina, alimentata da
corrente continua a bassa tensione, posta in prossimit dellobiettivo, ossia
sullestremit della sonda pi vicina alla superficie da osservare (zona chiamata
distale o distal end).
Questo tipo di endoscopi presenta i seguenti inconvenienti:
non possono essere inseriti in aperture di dimensioni inferiori al diametro della
lampadina;
non possibile controllare la zona posta proprio davanti alla lampadina; si pu
solo avere una sorta di visione panoramica, dato che la sorgente luminosa
posta di fronte alla lente dellobiettivo;
durante lispezione, la lampadina si scalda e quindi pericoloso utilizzare
questo tipo di strumentazione in presenza di liquidi o vapori infiammabili;
se la sonda viene immersa in liquidi, si pu avere corto circuito;
la regolazione dellintensit luminosa, quando prevista, comporta una
variazione delle caratteristiche cromatiche della luce prodotta (ingiallimento),
dato che ottenuta variando la tensione di alimentazione della lampadina:
lingiallimento della luce altera la percezione del colore della superfici in
esame;
la sorgente luminosa fragile: le eventuali rotture comportano la formazione
di frammenti di vetro difficilmente estraibili dalla cavit.
Per questi motivi, gli endoscopi a luce calda non sono quasi pi utilizzati.
13.2.1.2 Endoscopi a luce fredda
In questi strumenti, la sorgente luminosa collocata allesterno dellendoscopio, in
un contenitore portatile chiamato fonte luminosa (light source).
Nel contenitore alloggiato anche il circuito dalimentazione, una ventola di
raffreddamento ed un meccanismo che agisce su di un diaframma regolabile,
collocato davanti alla lampadina. Lilluminazione della zona da ispezionare viene,
quindi, regolata agendo sullapertura del diaframma e non sulla tensione di
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alimentazione della lampadina: la temperatura colore della luce emessa viene


mantenuta costante.
La luce viene condotta dalla sorgente fino allimpugnatura dellendoscopio tramite un
cavo portaluce (light guide cable) costituito da fibre ottiche, sottilissimi fili di vetro
(diametro pari a 10 - 15 m) che possono seguire percorsi anche molto tortuosi, data
la loro elevata flessibilit.
A seconda del sistema utilizzato per trasportare la luce dallimpugnatura fino alla
zona distale, in fase sia di illuminazione sia di visione, gli endoscopi a luce fredda
possono essere suddivisi in due tipologie:
i boroscopi;
i fibroscopi.
Boroscopi
I boroscopi sono strumenti ottici costituiti da una sonda rigida e rettilinea. Il diametro
pu essere al minimo pari a 1,2 mm, mentre la lunghezza pu raggiungere i 2 metri
(in tal caso il diametro non pu essere inferiore a 8 mm).
Il sistema di trasporto della luce allinterno dellendoscopio composto da gruppi di
lenti.
Prismi ottici, montati in prossimit della zona distale, consentono lilluminazione e la
visione in direzioni oblique.
In fase di visione, limmagine focalizzata da una lente posta sullestremit distale
deve raggiungere un oculare posto allestremit opposta dellendoscopio.
Sulloculare, possibile montare una telecamera collegata ad un monitor.
Fibroscopi
I fibroscopi sono costituiti da una sonda flessibile, che permette quindi laccesso in
cavit di geometria complessa, con andamento non necessariamente rettilineo. Il
diametro minimo della sonda pari a 0,8 mm.
La flessibilit della sonda dovuta al fatto che il sistema di trasposto della luce al suo
interno costituito da fibre ottiche.
Alcuni modelli di fibroscopi prevedono la possibilit di orientare la parte distale della
sonda, agendo su tiranti azionati da comandi posti sullimpugnatura.
Anche in questo caso, possibile collegare lendoscopio ad un monitor.
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13.3 CONTROLLO CON LIQUIDI PENETRANTI (UNI EN 571-1)


Lesame con liquidi penetranti un metodo di controllo non distruttivo che permette
di rilevare solo discontinuit affioranti in superficie, su pezzi realizzati con qualunque
materiale, anche non metallico, purch non poroso.
La superficie da controllare deve essere accuratamente pulita, in modo da eliminare
grassi, oli, ruggine, vernici od altre sostanze estranee che impedirebbero la
penetrazione del liquido nelle discontinuit superficiali. Anche lacqua pu ostacolare
la corretta penetrazione del liquido e quindi deve essere eliminata mediante accurata
asciugatura del pezzo.
A seconda delle condizioni della superficie da preparare, possono essere impiegati
diversi procedimenti di pulizia quali:
pulizia con acqua, detergenti o solventi;
attacchi chimici;
spazzolatura (fig. 13.1). La sabbiatura non utilizzabile, in quanto lazione
della graniglia potrebbe rendere le alterazioni non pi accessibili.

Fig. 13.1
Per rimuovere grasso, oli ed in genere prodotti di tipo organico sufficiente
impiegare un solvente, come acetone o tricloroetilene. Il metodo di pulizia pi
accurato prevede luso di vapori, ottenuti riscaldando il solvente, che lambiscono la
superficie da pulire. Il contatto con la superficie fredda fa condensare i vapori; la
goccia di condensa aumenta via via di dimensioni fino a che non riesce pi a
contrastare la forza peso e si stacca dalla superficie, trascinando con s lo sporco. Le
gocce cadono nella vasca contenente il solvente e lo sporco si deposita sul fondo,
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mentre il solvente rievapora. In questo modo, la superficie viene sempre lambita da


solvente pulito.
Nel caso di pezzi di grosse dimensioni o di impossibilit di utilizzare vapori, in
quanto non sono disponibili adeguati sistemi di aerazione, la pulizia pu essere
effettuata spruzzando il solvente e rimuovendo lo sporco con uno straccio (fig. 13.2).

Fig. 13.2

Fig. 13.3

In tal caso bisogna per utilizzare panni che non lascino residui, che potrebbero
occludere le alterazioni, e sostituire spesso lo straccio, in modo da non ridepositare lo
sporco appena asportato.
Nel caso di particolari di piccole dimensioni, si pu anche effettuare la pulizia
immergendo il pezzo in una vasca contenente il solvente (fig. 13.3), che per piano
piano verr inquinato dalle sostanze rimosse.
Ruggine ed ossidi in genere richiedono limpiego di attacchi chimici specifici, seguito
da lavaggio con apposito inibitore, per evitare che la sostanza aggressiva vada ad
intaccare la superficie sottostante.
Una volta effettuata la pulizia, bisogna fare attenzione a non toccare il pezzo con le
mani nude, in quanto anche il grasso delle mani costituisce una barriera alla
penetrazione del liquido utilizzato durante il controllo.
Dopo aver preparato il pezzo, si effettua il controllo vero e proprio, secondo le fasi
schematizzate in figura 13.4.

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Applicazione del liquido


penetrante

Rimozione del liquido


penetrante in eccesso

Applicazione
del rivelatore

Ispezione

Fig. 13.4
Il liquido penetrante viene applicato sulla superficie da esaminare e lasciato agire in
modo da permetterne la penetrazione nelle discontinuit affioranti.
La scelta del metodo di applicazione (fig. 13.5) dipende da diversi fattori, quali la
dimensione dei pezzi da controllare ed il fatto che il controllo avvenga in cantiere od
in officina.

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Fig. 13.5
Un metodo molto utilizzato, soprattutto in cantiere, lapplicazione a spruzzo. Nel
caso si operi in luoghi chiusi e su superfici estese, necessario predisporre un
adeguato sistema di ventilazione, in modo da evitare uneccessiva concentrazione del
gas prodotto dalla nebulizzazione.
Per il controllo di pezzi relativamente piccoli, il metodo migliore senzaltro quello
per immersione, in quanto garantisce che la superficie venga bagnata in maniera
uniforme. Tale metodo anche particolarmente adatto al controllo in serie, dato che
facilmente automatizzabile.
Infine, su pezzi di grandi dimensioni, si pu effettuare lapplicazione a pennello.
Dopo aver atteso 15 30 minuti, il penetrante in eccesso viene rimosso dalla
superficie, utilizzando un liquido (acqua o solvente) che abbia tensione superficiale
sufficientemente elevata da non poter penetrare nelle discontinuit, fatto che
determinerebbe lasportazione del liquido penetrato.
Successivamente, si applica un mezzo assorbente, il rivelatore, in modo da riportare
in superficie il liquido penetrato nelle alterazioni.
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Lapplicazione del rivelatore avviene solitamente a spruzzo, in modo da distribuirlo


in maniera uniforme. Il prodotto deve essere spruzzato da una certa distanza, rispetto
alla superficie del pezzo da controllare, in modo da evitare che il getto asporti il
liquido penetrato nelle alterazioni.
Inoltre, lo strato di rivelatore deve essere sottile, specie se si vogliono rilevare
alterazioni di piccole dimensioni, dai quali il penetrante pu emergere con difficolt.
Le alterazioni risulteranno visibili o per contrasto di colore, tra penetrante e
rivelatore, o per fluorescenza del penetrante.
Si deve sottolineare il fatto che il controllo pu dare indicazioni affidabili solo se si
proceduto ad unaccurata pulizia preventiva della superficie e se le condizioni
ambientali sono tali da non far indurire od evaporare il liquido penetrante
(generalmente la temperatura deve essere compresa fra 15 e 50 C).
13.3.1 Principio su cui si basa il controllo
Il controllo con i liquidi penetranti basato sui fenomeni di tensione superficiale e di
salita e discesa capillare.
La tensione superficiale causata dalla forza di coesione fra le molecole.
Un esempio dellinfluenza della tensione superficiale la tendenza di una goccia di
liquido a contrarsi in una sfera.
Quando il liquido entra in contatto con una superficie solida, la forza di coesione
viene contrastata dalla forza di adesione fra le molecole del liquido e quelle della
superficie solida.
Queste forze concorrono alla definizione dellangolo di contatto, , tra liquido e
superficie. Se < 90, si dice che il liquido bagna la superficie; se 90 la
bagnabilit scarsa (fig. 13.6).

Buona bagnabilit

Cattiva bagnabilit

Fig. 13.6
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Un fenomeno strettamente correlato con la capacit di un liquido di bagnare una


superficie quello della salita o della discesa capillare (fig. 13.7).

Fig. 13.7
Se langolo di contatto tra il liquido e la parete del tubo capillare minore di 90
(cio, se il liquido bagna la parete del tubo), il menisco del liquido nel tubo concavo
ed il liquido sale nel tubo (fig. 13.7-a). Se = 90, non c n salita n discesa
capillare (fig. 13.7-b). Se > 90, il menisco del liquido convesso ed liquido scende
nel tubo (fig. 13.7-c).
Lazione capillare rende possibile linfiltrazione del liquido anche in anfratti presenti
su una superficie disposta sopratesta.
Laltezza alla quale sale il liquido inversamente proporzionale alla densit di
questultimo e direttamente proporzionale alla tensione superficiale del liquido ed alla
pressione atmosferica agente sulla superficie libera del liquido presente allesterno
del tubo.
La viscosit del liquido non influenza laltezza di salita ma fa variare la velocit di
penetrazione.
13.3.2 Tipologie di liquidi penetranti
I liquidi penetranti possono essere classificati in base a:
rimovibilit;
colore.
Secondo la classificazione in base alla rimovibilit, si possono distinguere i seguenti
tipi di liquidi penetranti:
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lavabili con acqua;


rimovibili con solvente;
post-emulsionabili.
La rimovibilit interessa la fase in cui bisogna eliminare, dalla superficie del pezzo in
esame, il liquido penetrante in eccesso, ossia il liquido che stato applicato in zone
dove non erano presenti alterazioni. La sostanza utilizzata per la rimozione deve
avere tensione superficiale superiore a quella del liquido da rimuovere, in modo che
non possa penetrare nelle alterazioni e vanificare il controllo.
I liquidi penetranti rimovibili con acqua sono i pi utilizzati, data la facilit e
leconomicit della rimozione. Trovano applicazione principalmente su superfici
rugose e/o estese ma non possono essere utilizzati su materiali che arrugginiscono a
contatto con lacqua (acciai al carbonio). La rimozione avviene mediante un getto
dacqua agente direttamente sul pezzo, con una pressione di 2 - 3 bar.
I liquidi rimovibili con solventi richiedono, per la loro rimozione, luso di soluzioni a
base di acetone, tricloroetilene o trielina. Il costo dellesame risulta maggiore, rispetto
al caso precedente, e quindi tali liquidi sono utilizzati per ispezionare zone limitate.
Inoltre, lesame deve essere effettuato in ambienti areati od allaperto, data la tossicit
dei solventi. Lasportazione deve avvenire mediante straccio imbevuto con il
solvente, poich lapplicazione diretta del solvente sulla superficie rischierebbe di
eliminare il penetrante anche dalle discontinuit.
I liquidi penetranti post-emulsionabili richiedono, dopo che avvenuta la
penetrazione nelle cavit, lapplicazione di un liquido emulsionante che ne permetta
la successiva rimozione con acqua. Se si fa uso di tali tipi di liquidi, bisogna
rispettare accuratamente il tempo di emulsionatura indicato dal produttore (non si
deve eccedere nel mantenere lemulsionante a contato con il liquido penetrante), in
quanto si potrebbe rischiare di eliminare il liquido anche dallinterno delle
discontinuit.
La classificazione in base al colore permette di suddividere i liquidi penetranti in:
colorati (rossi);
fluorescenti.
La scelta del liquido da utilizzare viene fatta in base ai seguenti aspetti:
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luogo dove si effettua il controllo (officina o cantiere);


dimensione delle alterazioni che si intendono rilevare;
finitura superficiale dei pezzi da ispezionare.
Come verr illustrato in seguito, la rilevazione delle alterazioni mediante liquidi
fluorescenti avviene in un ambiente scuro, illuminando il pezzo con luce ultravioletta.
Risulta, quindi, evidente che non quasi mai possibile utilizzare questo tipo di liquidi
se si deve effettuare il controllo in cantiere: lenergia elettrica necessaria per
alimentare la lampada UV pu non essere disponibile ed difficile oscurare la zona
dispezione.
Dal punto di vista della qualit superficiale del pezzo da ispezionare e della
dimensione minima dellalterazione che si intende rilevare, bisogna tenere presente
quanto segue.
Locchio umano in grado di distinguere gli oggetti ed i colori in un ambiente ben
illuminato (visione fotopica). Se lilluminazione scarsa, labilit di distinguere e
percepire le variazioni di colore diminuisce, mentre aumenta labilit di individuare
piccole sorgenti di luce. In questultimo caso si parla di visione scotopica (fig. 13.8).

Fig. 13.8
La capacit di rilevare le indicazioni maggiore quando si tratta di piccole fonti
luminose su fondo scuro, rispetto a quando si ha contrasto di colore in luce diurna.
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Da ci si deduce che alterazioni di piccole dimensioni possono essere pi facilmente


individuate utilizzando liquidi penetranti fluorescenti.
I liquidi penetranti colorati sono invece consigliabili quando si devono esaminare
pezzi con superficie rugosa e le alterazioni da rilevare sono di dimensioni abbastanza
elevate.
Se si utilizzassero liquidi fluorescenti su superfici scabre, si avrebbe una luminosit
diffusa, dovuta allimpossibilit di eliminare totalmente il liquido in eccesso dagli
avvallamenti della rugosit: lindividuazione delle alterazioni risulterebbe difficile.
Quindi, i liquidi penetranti fluorescenti devono essere utilizzati su superfici lisce.
13.3.3 Tipologie di rivelatori
I rivelatori sono caratterizzati da un elevato potere assorbente, in modo da poter
richiamare in superficie il liquido penetrato nelle alterazioni.
Possono essere asciutti, ossia in polvere, oppure liquidi, ossia in soluzione o
sospensione in un liquido che pu essere acqua o solvente.
I primi sono pi economici e vengono generalmente confezionati in barattoli mentre i
secondi sono spesso forniti in bombolette spray, che devono essere agitate prima
delluso per emulsionare la soluzione.
I rivelatori asciutti sono utilizzati su superfici rugose, sulle quali i rivelatori liquidi
potrebbero accumularsi in modo irregolare.
I rivelatori liquidi sono impiegati quando si debba effettuare il controllo in posizioni
disagevoli o su zone limitate, dato il loro costo relativamente elevato.
Quando si usano liquidi penetranti colorati, si devono utilizzare rivelatori bianchi; i
liquidi penetranti fluorescenti sono, invece, utilizzati in abbinamento con rivelatori
trasparenti alla luce visibile e blu-violetti alla luce ultravioletta.
13.3.4 Metodi dispezione
Lispezione della superficie del pezzo deve avvenire dopo 5 - 30 minuti
dallapplicazione del rivelatore, in modo che il liquido penetrato nelle alterazioni
possa avere il tempo di risalire in superficie, assorbito dal rivelatore.
Se si sono utilizzati liquidi penetranti colorati, lispezione avviene alla luce del sole
od alla luce di una lampadina che sia in grado di fornire unilluminazione di almeno
300 lux.
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Le parti sane del pezzo risulteranno bianche (il colore del rivelatore) mentre le
alterazioni appariranno come macchie o linee rosse.
Se si sono utilizzati liquidi penetranti fluorescenti, lispezione deve essere eseguita in
condizioni di oscuramento, in modo che la luce ambiente non renda difficile se non
impossibile rilevare le alterazioni. Il valore massimo di illuminamento deve essere
pari aa 32 lux.
Il pezzo deve essere illuminato con luce ultravioletta, impiegando lampade di Wood:
le parti sane risulteranno blu-violette (il colore del rivelatore illuminato da raggi UV)
mentre le alterazioni risulteranno di colore giallo-verde e brillanti.
La lampada di Wood una lampada a vapori di mercurio, che emette radiazioni sia
nel campo ultravioletto sia nel campo della luce visibile. Un apposito filtro elimina la
quasi totalit della luce visibile (rimane solo una piccola parte di luce violetta,
indispensabile per dirigere il fascio luminoso) e tutta la radiazione ultravioletta di
lunghezza donda inferiore a 3300 (che pericolosa).
Nellutilizzazione di una lampada di Wood bisogna tener conto di alcuni
accorgimenti e precauzioni.
Prima dellutilizzo, bisogna lasciar scaldare la lampada per almeno 5 minuti, in modo
da permettere al mercurio di vaporizzare completamente dentro al bulbo.
La lampada pu subire danneggiamenti a causa di sbalzi di tensione o di frequenti
accensioni e spegnimenti: conviene, perci, lasciare la lampada accesa anche quando
non serve, se si prevede di doverla riutilizzare entro breve tempo.
Il filtro deve essere tenuto sempre in perfetta efficienza, in modo che non lasci
passare la parte dannosa della radiazione.
La superficie della lampada e del filtro devono essere pulite spesso, in quanto la
presenza di sporco impedirebbe il passaggio della radiazione utile e loperatore non
in grado di accorgersi di eventuali anomalie nellemissione: una mancata
illuminazione non permetterebbe di individuare le alterazioni, anche se presenti.

Il controllo con liquidi penetranti non fornisce indicazioni precise sulla profondit
della discontinuit rilevata anche se, in modo qualitativo, la maggior o minor quantit

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di liquido penetrante fuoriuscito, o lintensit della fluorescenza, possono servire a


formulare un giudizio sulla profondit della cavit.
Inoltre, a parit di altre condizioni, il tempo necessario ad unindicazione per
manifestarsi inversamente proporzionale al volume della discontinuit. Pi grande
lalterazione, pi rapidamente il penetrante che vi contenuto sar assorbito dal
rivelatore.
Un altro modo di valutare le dimensioni di unalterazione pu essere la persistenza di
unindicazione. Se essa riappare dopo che il rivelatore stato tolto e riapplicato
(senza riapplicare il penetrante), la discontinuit contiene molto penetrante e quindi
profonda.

Nel caso in cui si sia usato un liquido di colore rosso, possibile ottenere una
documentazione permanente del controllo scattando fotografie od utilizzando
particolari vernici pelanti. In questultimo caso, dopo avere evidenziato le alterazioni
con il rivelatore, si spruzza la vernice e si attende che questa asciughi. Si forma in tal
modo una pellicola facilmente asportabile, sulla quale rimane impressa la forma delle
alterazioni.

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13.4 CONTROLLO MAGNETOSCOPICO (UNI EN ISO 9934-1)


Il controllo magnetoscopico fa parte, come il controllo con liquidi penetranti, degli
esami superficiali, in quanto permette la rilevazione delle discontinuit affioranti
sulla superficie esaminata. Tuttavia, tale metodo permette anche di individuare
alterazioni che si trovino poco al di sotto della superficie, nonch le discontinuit
superficiali ostruite da sporcizia o da altre sostanze estranee.
Bisogna ricordare, per, che lesame magnetoscopico d indicazioni solo se effettuato
su materiali ferromagnetici, in quanto possono essere magnetizzati.
Gli acciai inossidabili austenitici, le leghe dalluminio, le leghe di rame e le leghe di
titanio sono materiali non ferromagnetici e, pertanto, non ispezionabili con metodo
magnetoscopico. Gli acciai al carbonio e basso legati sono, invece, ispezionabili.
Lesame magnetoscopico si basa sul principio che le linee di flusso di un campo
magnetico che attraversa un pezzo vengono deviate dalla presenza di discontinuit.
Quando tali discontinuit si trovano in prossimit della superficie, le linee di flusso
deviate fuoriescono parzialmente dal pezzo, creando un flusso disperso (fig. 13.9).

Fig. 13.9
Tale dispersione di flusso pu essere evidenziata cospargendo la superficie del pezzo
con fine polvere di materiale ferromagnetico (rivelatore); essa andr ad accumularsi
in corrispondenza delle deviazioni delle linee di flusso, rendendo visibili le
discontinuit. Lindicazione verr resa pi visibile da unopportuna scelta del colore
del rivelatore, cos da ottimizzare il contrasto con la superficie del pezzo.
Lapplicazione di un campo magnetico di determinata direzione permette
lindividuazione delle discontinuit il pi possibile ortogonali ad esso; ne consegue
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che, per effettuare un esame completo del pezzo, necessario applicare pi campi
magnetici, diversamente orientati tra loro.
praticamente impossibile ottenere una registrazione permanente dei risultati di un
controllo magnetoscopico, se non fotografando il pezzo.
13.4.1 Metodi di magnetizzazione
Il campo magnetico, necessario per ispezionare il pezzo, pu essere prodotto
impiegando un magnete permanente (calamita), oppure indotto mediante corrente
elettrica.
E noto che un conduttore percorso da corrente genera un campo magnetico le cui
linee di flusso assumono andamenti diversi, a seconda della geometria del conduttore
stesso.
Un conduttore rettilineo, attraversato da corrente elettrica, genera un campo
magnetico circolare (fig. 13.10). Se il conduttore non altro che il pezzo da
ispezionare, le discontinuit rilevabili sono quelle disposte parallelamente rispetto al
flusso di corrente.

Fig. 13.10
Un conduttore percorso da corrente ed avvolto a spirale, in modo da formare un
solenoide, genera un campo magnetico le cui linee di flusso risultano parallele
allasse del solenoide (fig. 13.11). Se allinterno del solenoide viene posizionato il
pezzo da controllare, possibile rilevare le alterazioni disposte circonferenzialmente.

342

Fig. 13.11
La corrente impiegata per generare campi magnetici pu essere di diversi tipi:
continua, alternata o raddrizzata.
La corrente alternata determina un campo magnetico le cui linee di flusso sono
addensate sulla superficie del pezzo (effetto pelle), quindi permette di rilevare
alterazioni poste al massimo a 2 - 3 mm di profondit.
La corrente continua genera campi magnetici che interessano lintero volume del
pezzo ma raramente usata, in quanto sono necessarie intensit elevate, per far
disporre le particelle evidenziatici in corrispondenza delle distorsioni delle linee di
flusso, e ci richiede luso di generatori costosi.
La corrente pi utilizzata per effettuare controlli magnetoscopici quella raddrizzata
a mezzonda, in quanto la sua pulsazione fa vibrare la polvere rilevatrice e rende
facilmente individuabile lalterazione.
Per indurre il campo magnetico nel pezzo da controllare, si possono utilizzare:
due puntali;
un elettromagnete.
I puntali sono generalmente in rame, protetti con cappellotti in piombo per evitare
surriscaldamenti locali della superficie del pezzo in esame.
Il controllo viene eseguito posizionando i puntali, collegati ad un generatore di
tensione, a contatto con la superficie da ispezionare (fig. 13.12). La corrente genera
un campo magnetico di tipo circolare, che permette di individuare discontinuit
parallele alla congiungente i puntali. E pertanto necessario effettuare pi
343

magnetizzazioni, orientando diversamente i puntali, in modo da individuare tutte le


discontinuit, comunque esse siano disposte.

Fig. 13.12
Lelettromagnete, detto anche giogo (fig. 13.13), costituito da un nucleo di ferro
dolce su cui avvolta una bobina di filo elettrico: il campo magnetico, generato dal
passaggio di corrente nella bobina, attraversa il nucleo e viene chiuso sul pezzo in
esame.
Le linee di flusso prodotte dallelettromagnete sono parallele alla congiungente le
espansioni polari, quindi possono essere rilevate le discontinuit disposte
perpendicolarmente alla congiungente i poli.
Anche in questo caso, necessario effettuare pi magnetizzazioni, orientando
lelettromagnete in maniera differente.
Un vantaggio presentato dallelettromagnete, rispetto ai puntali, consiste nel fatto che
il pezzo da ispezionare non viene attraversato da corrente e quindi non subisce
riscaldamenti, che potrebbero alterare la struttura del materiale.

344

Fig. 13.13
13.4.2 Tipologie di rivelatori
In un controllo magnetoscopico, il rivelatore costituito da polvere ferromagnetica
(ossidi di Fe), opportunamente additivata con sostanze colorate o fluorescenti, per
migliorarne il contrasto con la superficie in esame.
I rivelatori di tipo colorato (neri, rossi, blu, ecc.) sono utilizzati quando il controllo
viene effettuato in ambiente illuminato, quelli di tipo fluorescente richiedono
limpiego di una lampada di Wood e di un ambiente oscurato, come gi descritto a
proposito del controllo con liquidi penetranti fluorescenti.
I rivelatori, sia colorati sia fluorescenti, possono essere secchi od in sospensione, in
un solvente od in acqua.
In genere, le polveri secche hanno dimensioni maggiori (50 300 m), rispetto ai
rivelatori in sospensione (5 20 m). Quindi, se si desidera individuare alterazioni
molto piccole, consigliabile utilizzare rivelatori liquidi e di tipo fluorescente.

A volte, il controllo magnetoscopico pu dare indicazioni non corrette: le deviazioni


delle linee di flusso possono essere causate da fattori non imputabili alla presenza di
discontinuit, quali variazioni del profilo del pezzo (spigoli o scanalature) o diversit
di permeabilit magnetica di parti adiacenti realizzate in materiali differenti.

345

Si possono avere false indicazioni anche quando la superficie del pezzo sporca,
bagnata od ha rugosit elevata: il rivelatore non risulta uniformemente distribuito e
gli accumuli vengono interpretati come indicazioni di discontinuit.
13.4.3 Smagnetizzazione finale
Si pu facilmente costatare che un pezzo di materiale ferromagnetico, posto in un
campo magnetico, resta parzialmente magnetizzato anche quando il campo magnetico
viene annullato: si ha un magnetismo residuo, che pu causare problemi. Ad esempio,
qualora il pezzo debba essere sottoposto a lavorazioni per asportazione di truciolo,
questultimo si pu magnetizzare, a contatto con il pezzo, e restare attaccato
allutensile, rendendo difficoltosa la lavorazione. Se si devono eseguire operazioni di
saldatura, larco elettrico pu essere deviato dal campo magnetico residuo,
impedendo la corretta esecuzione della giunzione. In altri casi, un pezzo magnetizzato
non pu essere messo in esercizio in quanto il magnetismo residuo pu disturbare il
corretto funzionamento di apparecchiature elettriche vicine (ad esempio, strumenti di
bordo di navi ed aerei).
Terminato il controllo, quindi necessario prevedere una fase di smagnetizzazione
del pezzo: necessario applicare un campo magnetico di verso contrario, rispetto a
quello che ha provocato la magnetizzazione.
Se il pezzo magnetizzato deve subire trattamenti termici e quindi viene portato a
temperatura superiore alla temperatura di Curie (A2 , nel caso del ferro puro A2= 769
C) del materiale di cui costituito, la smagnetizzazione avviene spontaneamente.
La valutazione della presenza di magnetizzazione residua pu essere effettuata
utilizzando un dispositivo denominato sonda di Hall (fig. 13.14).

Fig. 13.14
346

Lo strumento composto da una piastrina metallica alle cui estremit sono disposte
due placchette. In presenza di campo magnetico, tra le placchette si produce una
differenza di potenziale elettrico, proporzionale allintensit del campo.

347

13.5 CONTROLLO RADIOGRAFICO E GAMMAGRAFICO (UNI EN 444)


I controlli radiografici e gammagrafici sono i pi diffusi metodi di indagine non
distruttiva di tipo volumetrico, ossia in grado di individuare alterazioni presenti sia
sulla superficie sia allinterno di un pezzo.
Tali controlli si basano sulluso di radiazioni ionizzanti, ossia di onde luminose che
hanno la caratteristica di attraversare i corpi opachi alla luce visibile, venendo
attenuate in maniera pi o meno significativa, a seconda della natura e dello spessore
della sostanza attraversata. La radiazione uscente dal pezzo ispezionato risulta,
perci, di intensit variabile (fig. 13.15).

Fig. 13.15
Limmagine ottenuta rappresenta la proiezione geometrica delle discontinuit presenti
nel pezzo.
Il controllo pu essere radiografico o radioscopico, a seconda che il raggio emergente
dal pezzo impressioni una pellicola o vada ad incidere su uno schermo trattato con
sali fluorescenti.
Nelle radiografie, le zone pi scure corrispondono a spessori minori, cavit o parti
caratterizzate da basso coefficiente di assorbimento.

348

Nelle radioscopie, limmagine invertita: le zone corrispondenti ad una minore


attenuazione risultano pi luminose.
Inoltre, su una radioscopia, unalterazione risulta meno visibile, rispetto a quanto
ottenibile su una radiografia. Infatti, con la prima si ha una rilevazione istantanea,
mentre con la seconda si ha una rilevazione integrata nel tempo.
Daltra parte, la radioscopia consente lesame di parti in moto, cosa impossibile in
radiografia, dato che si otterrebbero immagini sfocate.
Un aspetto vantaggioso delle radiografie la possibilit di fornire una
documentazione permanente.
Infine, durante una radiografia, loperatore non esposto ai pericoli delle radiazioni.
13.5.1 Radiazioni ionizzanti
Le radiazioni ionizzanti utilizzate nei controlli radiografici e radioscopici sono:
raggi X;
raggi .
I raggi X vengono generati in modo artificiale, utilizzando unapparecchiatura
chiamata tubo radiogeno.
I raggi , invece, sono prodotti spontaneamente, per disintegrazione del nucleo di
isotopi di particolari materiali.
In entrambi i casi, le radiazioni sono di natura elettromagnetica e si propagano in
linea retta.
La natura dei raggi e dei raggi X , quindi, analoga a quella delle radiazioni
costituenti la luce visibile, il calore e le onde radio: lo spettro delle radiazioni X e
caratterizzato, per, da lunghezze donda particolarmente piccole ( = 10-1 10-7 m)
(fig. 13.16) e quindi, ricordando la relazione = c/ ove c la velocit della luce e
la frequenza, da frequenze molto elevate (1011 1014 MHz).

349

Fig. 13.16
La penetrazione delle radiazioni ionizzanti nei solidi avviene tanto pi facilmente
quanto elevata la frequenza della radiazione.
Si dicono dure le radiazioni a frequenza pi alta e molli quelle a frequenza pi bassa.
Interagendo con il materiale, la radiazione cede parte della sua energia agli atomi del
pezzo attraversato e quindi la sua intensit decresce secondo la relazione:
I s = I 0 e s

(13.1)

dove:
Is lintensit alla profondit s;
I0 lintensit del fascio incidente sul pezzo;

il coefficiente di assorbimento del materiale, che dato dallespressione:


= C Z4 3

(13.2)

dove:
C una costante;
Z il numero atomico del materiale attraversato dalla radiazione;

la lunghezza donda della radiazione;


la densit del materiale attraversato dalla radiazione.
Si pu notare che, teoricamente, lintensit della radiazione non si annulla mai,
qualunque sia lo spessore attraversato ma, in pratica, alcuni materiali, come ad
esempio il piombo e sufficienti spessori di cemento o terra, riducono lintensit della
radiazione fino a livelli trascurabili.

350

Si definisce Strato EmiValente (SEV) di un determinato materiale, lo spessore che


riduce a met lintensit della radiazione incidente. Ovviamente il SEV, per un
determinato materiale, tanto pi elevato quanto pi la radiazione penetrante, ossia
costituita da raggi duri.
I materiali che assorbono pi efficacemente le radiazioni (ad esempio il piombo) sono
usati per realizzare schermi per proteggere gli operatori addetti ai controlli.
13.5.2 Apparecchiature per la produzione di raggi X
Lapparecchiatura per la produzione di raggi X costituita dal tubo radiogeno, o tubo
di Coolidge (fig. 13.17).

Fig. 13.17
Due elettrodi, catodo e anodo, sono racchiusi in un involucro di vetro di tipo speciale
(Pyrex), in cui praticato un vuoto molto spinto (circa 10-6 mmHg).
Il catodo costituito da un filamento in tungsteno e da una coppa focalizzatrice o
cupola di concentrazione: il fascio di elettroni, emesso per effetto termoionico dal
filamento percorso da una corrente elettrica a bassa tensione, viene focalizzato verso
lanodo dalla coppa focalizzatrice. Sullanodo, costituito da materiale ad elevata
conduttivit termica, ad esempio rame, applicata una placchetta di tungsteno,
chiamata anticatodo.
Il fascio di elettroni, prodotto dal catodo, viene accelerato da una differenza di
potenziale elevata (da alcune decine di kV a centinaia di kV) e colpisce lanticatodo:
la maggior parte (99 %) dellenergia incidente viene trasformata in calore, che viene
351

disperso dallanodo opportunamente raffreddato, mentre solo una piccolissima


porzione si converte in raggi X.
Il rendimento di conversione del fascio in radiazione X cresce con il numero atomico
del materiale emittente ed per questo motivo che lanticatodo generalmente
costituito da tungsteno.
La proiezione della parte dellanticatodo colpita dal fascio di elettroni, sul piano
perpendicolare alla direzione di propagazione dei raggi X, chiamata macchia focale.
Le sue dimensioni, come si vedr in eseguito, influenzano la qualit dellesposizione
radiografica.
I parametri che permettono di controllare e variare lintensit di una radiazione X
sono:
la tensione di accelerazione;
la corrente di emissione.
Entrambi

possono

essere

regolati

agendo

sul

pannello

di

controllo

dellapparecchiatura.
Al variare della corrente di emissione, a parit di tensione, si modifica il flusso di
elettroni che nellunit di tempo va ad urtare lanticatodo. Ne consegue che,
allaumentare della corrente, aumenta la quantit dei raggi prodotti nellunit di
tempo.
Al variare della tensione di accelerazione, mantenendo costante la corrente, varia
lenergia degli elettroni incidenti sullanticatodo e, quindi, lenergia dei raggi X
prodotti: pi la tensione elevata, pi la radiazione penetrante.
Infatti, la tensione acceleratrice V e la frequenza della radiazione sono legate dalla
legge di Duane-Hunt:
eV = h

(13.3)

dove:
h la costante di Plank, h = 6.625 10 34 J s ;
e la carica di un elettrone.
La penetrazione dei raggi X avviene tanto pi facilemente quanto maggiore la loro
frequenza; quindi, aumentando la tensione acceleratrice, si ottiene una radiazione pi
penetrante.
352

Le normali apparecchiature a raggi X possono essere alimentate con tensioni al


massimo pari a 400 kV, utilizzabili per ispezionare fino a 100 mm di spessore di
acciaio. Oltre a detto limite, si deve ricorrere a particolari apparecchiature, come i
betatroni e gli acceleratori di particelle.
Lo spessore massimo di acciaio radiografabile, a seconda della tensione utilizzata per
ottenere la radiazione X, indicato in tabella 13.I.
Tab. 13.I
Tensione

Spessore

[kV]

[mm]

5 100

< 25

100 150

25

150 200

50

200 400

75

400 1000

125

1000 2000

200

15000 25000 400

Logicamente, se il pezzo da radiografare costituito da un materiale caratterizzato da


un coefficiente dassorbimento maggiore di quello dellacciaio, lo spessore
radiografabile con una determinata radiazione risulter inferiore; se pi piccolo, lo
spessore sar superiore (vedi relazione 13.1).
Dati gli altissimi costi di manutenzione e di esercizio dei betatroni e degli acceleratori
di particelle, in caso si debbano ispezionare pezzi di elevato spessore, si preferisce
utilizzare un altro tipo di radiazioni ionizzanti: i raggi .
13.5.3 Processi demissione dei raggi
I raggi sono generati spontaneamente dagli isotopi di alcuni elementi chimici.
Lisotopo si differenzia dal corrispondente elemento chimico per il fatto che nel suo
nucleo presente un numero maggiore di neutroni: ad esempio, il Co60 ottenuto per
bombardamento neutronico del Co59 (elemento non radioattivo).

353

Un isotopo si disintegra spontaneamente, in modo da raggiungere una condizione di


maggiore stabilit, emettendo radiazioni (nuclei di elio), (elettroni) e . Solo
queste ultime sono, per, impiegate per effettuare controlli non distruttivi, in quanto il
potere penetrante delle radiazioni e trascurabile.
Al termine del processo di disintegrazione, lisotopo si trasforma in elemento stabile
e quindi non radioattivo.
I pi comuni isotopi utilizzati in gammagrafia sono:
Iridio 192 (Ir192)
Cobalto 60 (Co60)
Tullio 170 (Tm170).
Il numero che accompagna il nome dellelemento identifica il numero di massa,
ovvero la somma di neutroni e protoni contenuti nel nucleo.
LIr192 impiegato nella radiografia di spessori in acciaio, o materiale
radiograficamente equivalente, pari a 18 100 mm.
Il Co60 produce raggi di energia elevata e, quindi, permette di radiografare spessori di
acciaio pari a 40 180 mm.
Raggi di basso contenuto energetico, adatti al controllo di spessori medio piccoli
(circa 10 mm), sono prodotti dal Tm170.
Lutilizzo dei raggi pu essere determinato, oltre che dalla necessit di attraversare
spessori elevati, anche dal fatto che il controllo deve essere effettuato in zone
ristrette, non raggiungibili utilizzando gli ingombranti tubi radiogeni, o in assenza di
alimentazione elettrica, necessaria per la produzione di raggi X.
Gli isotopi vengono normalmente utilizzati sotto forma di pastiglie cilindriche, aventi
diametro e altezza circa uguali (2 4mm): il diametro lequivalente della macchia
focale di un tubo radiogeno.
Ogni tipo di isotopo emette raggi di energia ben definita; non quindi possibile
intervenire per modificare il potere penetrante dei raggi prodotti.
Si definisce attivit di un isotopo il numero di disintegrazioni che hanno luogo
nellunit di tempo: lunit di misura pi usualmente impiegata il Curie, che
rappresenta lattivit di una sostanza radioattiva nella quale avvengono 3,71010

354

disintegrazioni al secondo. Lattivit pu essere considerata proporzionale alla


quantit di radiazioni prodotte nellunit di tempo.
Lattivit di un isotopo dipende dalla sua massa: pi elevate sono le dimensioni della
pastiglia, maggiore sar la quantit di radiazioni emesse nellunit di tempo.
Lenergia dei raggi prodotti da un isotopo non muta durante tutta la sua vita; la
quantit di radiazioni prodotte , invece, funzione dellet dellelemento.
Dallistante della produzione, con il passare del tempo, lattivit di un isotopo
diminuisce in modo esponenziale:
A = A0 e t

(13.4)

dove la costante di disintegrazione, caratteristica di ogni isotopo.


Per ogni elemento, pu essere definito un tempo T, chiamato tempo di dimezzamento
o semiperiodo, trascorso il quale il valore dellattivit risulta dimezzato: ad esempio,
per lIr192 il tempo di dimezzamento 75 giorni ovvero, se lattivit iniziale era di 30
Curie, dopo 75 giorni ridotta a 15 Curie.
In tabella 13.II, sono riportati i valori dei tempi di dimezzamento di alcuni elementi
comunemente utilizzati quali emettitori di raggi .
Tab. 13.II
Elemento radiattivo

Tempo di dimezzamento

Tm170

127 giorni

Ir192

75 giorni

Cs137

33 anni

Co60

5.3 anni

13.5.4 Qualit di un controllo effettuato con raggi X o


La qualit di una controllo effettuato utilizzando radiazioni ionizzanti determina la
sensibilit del controllo ossia la minima differenza di spessore percepibile sulla lastra
o sullo schermo.
Per ottenere unelevata sensibilit, necessario ottimizzare il contrasto e la
definizione dellimmagine radiografica (o gammagrafica).

355

Il contrasto la differenza di densit (D2 D1) tra due aree adiacenti della
radiografia, aventi spessore diverso (fig. 13.18).

Fig. 13. 18
La densit il rapporto logaritmico tra lintensit di luce incidente (I0) e lintensit di
luce emergente (I) da una pellicola impressionata dalla radiazione (D = Log (I0/I)).
Ovviamente, tale grandezza valutabile durante la visione di una lastra radiografica
impressionata e sviluppata, esponendola alla luce di un apposito visore.
Alto contrasto significa avere una forte variazione chiaro-scuro tra due zone relative a
parti del pezzo aventi spessore differente e, quindi, lindividuazione di tale anomalia
risulta agevole.
Per definizione si intende, invece, la rapidit con cui avviene il passaggio tra le due
densit (fig. 13.19).

Fig. 13.19
Ottenere unelevata definizione vuol dire poter distinguere in modo nitido i contorni
di una discontinuit.

356

La sensibilit viene valutata impiegando gli indicatori di qualit di immagine (IQI),


anche detti penetrametri (UNI EN 462).
Il penetrametro deve essere fatto dello stesso materiale con cui realizzato il pezzo
da controllare.
Durante lesecuzione del controllo, lindicatore di qualit posto sulla superficie del
pezzo direttamente colpita dalla radiazione ionizzante, in posizione periferica in
modo da alterare il meno possibile la rilevazione di eventuali anomalie presenti nel
materiale.
Limmagine radiografica dellIQI, sovrapponendosi a quella del pezzo, permette di
giudicare la minima differenza di spessore apprezzabile sulla lastra o sullo schermo.
Esistono diversi tipi di IQI:
a fili;
a piastrine.
Un penetrametro a fili (fig. 13.20) costituito da una serie di 7 fili di diverso
diametro, contenuti in una busta di plastica. La sensibilit del controllo viene
calcolata come il rapporto tra il diametro del pi piccolo filo visibile e lo spessore del
pezzo radiografato. Ad esempio, chiedere una sensibilit del 2% sulla radiografia di
un pezzo di spessore 20 mm, significa che dovr essere possibile individuare sulla
lastra o sullo schermo almeno il filo di diametro pari a 0.4 mm.

Fig. 13.20
357

Un IQI a piastrina costituito da una piastrina contenente due o tre fori, di diametro
pari o multiplo dello spessore T della piastrina stessa. La sensibilit valutata in base
al rapporto tra lo spessore della piastrina e lo spessore del pezzo ed al diametro del
pi piccolo foro visibile. Durante il controllo, si dispongono sul pezzo le tre piastrine
raffigurate in figura 13.21, ognuna caratterizzata da uno spessore differente. Ad
esempio, il grado di sensibilit 2 - 2T indica che sulla pellicola (o sullo schermo)
visibile la piastrina di spessore T pari al 2% dello spessore del pezzo ed in particolare
il foro di diametro 2T, ovvero pari a 2 volte lo spessore della piastrina stessa.

Fig. 13.21
Va notato che lindicazione di un penetrametro ha aspetto opposto a quello risultante
dalla presenza delle alterazioni pi frequentemente presenti in un pezzo (cricche o
porosit). Infatti, il penetrametro costituisce un aumento locale di spessore e quindi
provoca una maggiore attenuazione della radiazione, rispetto al materiale costituente
il pezzo. Quindi, la sua immagine sulla pellicola risulta chiara (sullo schermo
radioscopico risulta meno brillante). Invece, le cricche e le porosit contengono aria e
quindi schermano meno la radiazione, dando origine sulla lastra a zone pi scure
(sullo schermo a zone pi brillanti).
Infine, necessario precisare che i penetrametri forniscono solo unindicazione di
massima delle dimensioni minime dellalterazione rilevabile, in quanto esse
dipendono dalla forma e soprattutto dalla giacitura dellalterazione stessa.

358

13.5.5 Fattori influenzanti la qualit di un controllo con raggi X o


I fenomeni di attenuazione e di diffusione, dovuti allinterazione del fascio incidente
con la materia, influenzano la qualit di un controllo effettuato utilizzando radiazioni
ionizzanti.
Un eccessivo assorbimento della radiazione incidente e, quindi, un fascio emergente
troppo debole, determina una pellicola radiografica (od uno schermo radioscopico)
scarsamente impressionata. Daltra parte, una radiazione troppo dura determina un
annerimento uniforme della pellicola, con la conseguente impossibilit di distinguere
le zone difettose da quelle sane.
La presenza di raggi diffusi, ovvero deviati rispetto alla direzione primaria, comporta
un effetto nebbia, sulla pellicola, che compromette la nitidezza dellimmagine.

Come detto, la qualit di un controllo effettuato con radiazioni ionizzanti


determinata dal contrasto e della definizione dellimmagine ottenuta.
Il contrasto legato allenergia emergente dal pezzo e quindi influenzato da:
potere penetrante della radiazione incidente sul pezzo;
intensit della radiazione incidente sul pezzo.
spessore del pezzo da ispezionare;
numero atomico e densit del materiale costituente il pezzo da ispezionare;
Per quanto riguarda il potere penetrante, la scelta della radiazione ionizzante deve
essere effettuata in modo che la radiazione emergente dal pezzo abbia energia
sufficiente ad impressionare la lastra o lo schermo posti al di l del pezzo. Tale
energia non deve per essere eccessiva, altrimenti si avrebbe unimmagine
caratterizzata da basso contrasto. Nel caso di pezzi di spessore limitato, i raggi X
forniscono un contrasto migliore, rispetto ai raggi . Infatti, la tensione di
alimentazione di un tubo radiogeno regolabile, in modo da ottenere una radiazione
non eccessivamente penetrante (meno dura); la durezza dei raggi dipende
dallisotopo utilizzato e, quindi, non regolabile.

Lintensit della radiazione emergente funzione dellintensit della radiazione


utilizzata, nonch dello spessore e della natura del materiale attraversato, secondo
359

quanto indicato dalla relazione 13.1. Lintensit della radiazione emergente


direttamente proporzionale allintensit del fascio incidente e decresce allaumentare
dello spessore attraversato ed al crescere del numero atomico e della densit del
materiale illuminato.
Lintensit della radiazione incidente sul pezzo determinata, oltre che dal tipo di
parametri elettrici (nel caso dei raggi X) o dal grado di decadimento (et) dellisotopo
utilizzato (nel caso di raggi ), dalla distanza sorgente pezzo. Infatti, data la
propagazione conica del fascio, la superficie illuminata da una radiazione
proporzionale al quadrato della distanza sorgente - superficie: a distanza D2 dalla
sorgente, la superficie illuminata quattro volte maggiore rispetto a quella posta a
1
2

distanza D1 = D2 (fig. 13.22).

Fig. 13.22
Ne consegue che lintensit I2 pari ad , rispetto ad I1 , secondo la relazione:
2

I 2 D1
=
.
I 1 D2 2

(13.5)

Per aumentare il contrasto dellimmagine radiografica, quando lenergia della


radiazione incidente sul pezzo limitata, si pu aumentare il tempo di esposizione (t)
del pezzo alla radiazione ionizzante. Il prodotto e = It, detto esposizione, esprime
lintensit luminosa che investe il pezzo, nel tempo in cui questo rimane esposto
allazione della radiazione.

360

Allaumentare della distanza tra sorgente radiogena e pezzo, bisogna aumentare il


tempo di esposizione: se la distanza raddoppia, lintensit luminosa per unit di
superficie si riduce ad e quindi il tempo di esposizione deve quadruplicare.
Se si utilizzano raggi , lesposizione data da:
e = At

(13.6)

dove
A lattivit dellisotopo utilizzato;
t il tempo di esposizione.
Siccome lattivit di un isotopo diminuisce nel tempo, gammagrafie eseguite in tempi
diversi, con lo stesso isotopo, richiederanno un tempo di esposizione diverso, se si
vuole ottenere lo stesso livello di illuminamento del pezzo (ad esempio, un tempo
doppio, se si utilizza lIr192 e si lasciano trascorrere 75 giorni tra una gammagrafia e
laltra).
I fattori che influenzano la definizione radiografica sono:
dimensione della macchia focale, nel caso di controllo con raggi X, o
dimensione della pastiglia di isotopo, nel caso di controllo con raggi ;
distanza sorgente pezzo (o meglio sorgente alterazione);
distanza pezzo pellicola (o meglio alterazione pellicola);
tipo di pellicola radiografica o di schermo radioscopico;
presenza di radiazioni diffuse.
La macchia focale, per quanto piccola, non pu essere considerata puntiforme e
quindi i bordi di unalterazione non possono essere chiaramente definiti: si ha una
certa penombra geometrica (fig. 13.23).

361

Fig. 13.23
Come detto, le radiazioni ionizzanti, come tutte le radiazioni elettromagnetiche,
avanzano in linea retta. Si pu seguire il percorso effettuato da ognuno dei raggi
emessi dai diversi punti della macchia focale (S). Analizzando quanto accade in
corrispondenza dei punti M ed N, si nota che ogni raggio proietta le estremit
dellalterazione generando, sulla pellicola (o sullo schermo), una zona di ampiezza p,
caratterizzata da annerimento variabile (penombra).
Con semplici considerazioni geometriche, si pu dimostrare che la penombra
direttamente proporzionale alla dimensione della macchia focale ed alla distanza (d)
tra alterazione e pellicola; , invece, inversamente proporzionale alla distanza (D) tra
macchia focale ed alterazione.
Per limitare la penombra geometrica, e quindi aumentare la definizione
dellimmagine, quindi necessario impiegare sorgenti a macchia focale piccola, od
adottare distanze macchia focale alterazione elevate (in modo da ottenere raggi
praticamente paralleli), e porre il pezzo a diretto contatto con la pellicola.

362

Poich, per un determinato apparecchio radiogeno, la dimensione della macchia


focale fissa, per ridurre la penombra quasi sempre necessario aumentare la
distanza macchia focale - pezzo. In tal caso , per, necessario ricordare che,
allaumentare di tale distanza, aumenta in proporzione quadratica il tempo di
esposizione.
Per quanto riguarda le pellicole radiografiche, esse consistono in un supporto in
plastica ricoperto da ambo i lati da uno strato di emulsione sensibile, composta
essenzialmente da cristalli di alogenuro di argento sospesi in gelatina.
Il comportamento di una pellicola determinato dalla sua grana, ossia dalla
dimensione dei cristalli di alogenuro di argento. Una pellicola a grana fine richiede un
maggior tempo di esposizione, per raggiungere un determinato annerimento, ma
garantisce una migliore definizione dellimmagine, rispetto ad una pellicola a grana
pi grossa. Infatti, la radiazione annerisce lintero grano, anche se lo colpisce solo
parzialmente.
La scelta del tipo di pellicola dipende dal livello di sensibilit radiografica richiesto
ed quindi funzione dellimportanza del componente esaminato: se si vogliono
individuare alterazioni di piccole dimensioni o se si vuole rilevare in maniera pi
precisa le dimensioni dellalterazione, necessario utilizzare pellicole a grana fine.
Nel campo della radioscopia, come rivelatori di immagine si utilizzano schermi
ricoperti di solfuri di zinco o cadmio che, sotto lazione dei raggi X o , emettono una
luce giallo verde, ben visibile: una cricca od una porosit risulteranno, quindi, come
una zona pi luminosa, rispetto alle zone adiacenti integre. La definizione
dellimmagine dipende, anche in questo caso, dalle dimensioni dei cristalli sensibili:
pi i cristalli sono piccoli, pi la definizione elevata.
Per limitare leffetto delle radiazioni diffuse, e quindi migliorare la definizione
dellimmagine, la pellicola radiografica posta tra due schermi di piombo (quello
anteriore di spessore pari a 0,10 0,15 mm e quello posteriore di spessore pari a 0,15
0,20 mm).
Lo schermo anteriore serve per impedire alla radiazione diffusa, proveniente dal
pezzo, di incidere sulla lastra. Lo schermo posteriore svolge la stessa funzione ma nei

363

confronti delle radiazioni riflesse dal pavimento e dalle pareti dellambiente in cui
eseguita la radiografia.
13.5.6 Sviluppo delle pellicole radiografiche e lettura delle immagini
Al termine dellesposizione, limmagine del pezzo radiografato gi presente sulla
pellicola impressionata ma non visibile allocchio umano (immagine latente).
Per poter leggere il film, quindi necessario procedere al suo sviluppo in camera
oscura.
Il procedimento di sviluppo consiste nelleseguire una serie di operazioni
(rivelazione, arresto, fissaggio, lavaggio, essicazione) che, se non correttamente
effettuate o se realizzate con impianti e prodotti di bassa qualit, pu compromettere
seriamente la qualit finale dellimmagine. Tempi di rivelazione eccessivi possono
diminuire il contrasto ed aumentare il velo della pellicola, rendendo pi difficoltosa
lindividuazione dei particolari. In maniera analoga, la scelta non corretta della
temperatura dei bagni o limpiego di bagni ormai esausti peggiora la sensibilit del
controllo.
Il trattamento pu essere eseguito manualmente o in modo automatico. Nel primo
caso, la pellicola, estratta dallastuccio e posta in un telaio, viene immersa in vasche
contenenti, in successione, i diversi prodotti, fino al lavaggio finale in acqua: il tempo
complessivo, compresa la fase di essiccazione, pari a 50 - 60 minuti.
Nel trattamento automatico, durante il quale tutte le operazioni sono meccanizzate e
dove possono essere utilizzati prodotti molto pi attivi e temperature dei bagni pi
elevate, il processo dura circa 10 minuti; utilizzando apparecchiature sofisticate, si
pu anche effettuare lo sviluppo in soli 3 - 5 minuti. E evidente, per, che limpiego
delle sviluppatrici automatiche giustificato da un notevole volume di lavoro.
La lettura di una radiografia viene effettuata posizionando la pellicola su unadeguata
sorgente luminosa, generata da unapparecchiatura chiamata negativoscopio: la luce
deve attraversare il film in modo da permettere allocchio umano di valutare le
differenze di annerimento presenti sulla pellicola. A tal fine, la luminosit del
negativoscopio deve essere adeguata e periodicamente verificata facendo uso di
esposimetri.

364

Prima di effettuare la lettura della radiografia, loperatore deve giudicare se stata


ottenuta la qualit radiografica richiesta, verificando sulla pellicola la presenza
dellIQI e rilevando la sensibilit percentuale rispetto allo spessore radiografato.
Bisogna tener presente che, per ottenere informazioni corrette, estremamente
importante che la pellicola o lo schermo vengano letti da personale esperto, in grado
di interpretare correttamente le immagini e di valutarne laccettabilit, essendo anche
a conoscenza della geometria interna ed esterna del pezzo e delle tecniche utilizzate
per realizzarlo.

365

13.6 CONTROLLO ULTRASONORO (UNI EN 583-1)


Il controllo ultrasonoro rientra nella categoria degli esami non distruttivi di tipo
volumetrico.
Tale metodo si basa sul fenomeno della propagazione rettilinea di un particolare tipo
di onde elastiche (le onde ultrasonore, appunto) nei materiali e nella loro propriet di
essere riflesse ogni qualvolta incidono su ostacoli disposti pi o meno
perpendicolarmente alla direzione di propagazione dellonda.
Le caratteristiche peculiari del controllo ultrasonoro sono:
condizioni di assoluta sicurezza per gli operatori;
possibilit di determinare la posizione in profondit, oltre che le dimensioni in
pianta, delle alterazioni;
gamma di spessori ispezionabili praticamente illimitata;
possibilit di impiego anche in caso di accessibilit del pezzo solo da una
parte;
apparecchiature di peso ed ingombro limitati.
Per contro, i limiti del metodo sono:
impiego di operatori altamente qualificati;
risultati dellesame non facilmente documentabili ed archiviabili;
difficolt nel correlare la segnalazione di una anomalia con la forma e le
dimensioni dellalterazione;
difficolt di interpretazione, nel caso di pezzi di forma molto complessa.
13.6.1 Strumentazione e tecniche desame
La strumentazione utilizzata per effettuare un controllo ultrasonoro costituita da:
un generatore di tensione;
un trasduttore in grado di emettere vibrazioni (trasduttore trasmittente);
un trasduttore che riceve le vibrazioni (trasduttore ricevente);
un oscilloscopio od un monitor che visualizza il segnale ricevuto dal secondo
trasduttore.

366

Fig. 13.24
I trasduttori sono, normalmente, di tipo piezoelettrico ossia sono dei cristalli di
quarzo, di titanato di bario o di solfato di litio, tagliati secondo particolari piani. Se
viene applicata una differenza di potenziale tra le facce di taglio, il cristallo
piezoelettrico si mette a vibrare ed, al contrario, se il cristallo riceve una vibrazione,
si crea una differenza di potenziale tra le sue facce.
Il trasduttore trasmittente collegato ad un generatore che impone una differenza di
potenziale tra le facce del cristallo. Questultimo inizia a vibrare e trasmette le onde
meccaniche al pezzo da esaminare. Se nel pezzo sono presenti delle alterazioni, il
percorso delle onde viene deviato.

Le tecniche di controllo ultrasonoro possono essere classificate in base a:


modo in cui viene garantita la trasmissione dellonda sonora dal trasduttore al
pezzo;
fenomeno fisico in base al quale viene rilevata la presenza dellalterazione.
Secondo la prima classificazione, si possono distinguere le seguenti tecniche:
367

ad immersione: il pezzo viene immerso in una vasca contenente acqua od, in


caso di materiali facilmente ossidabili (ad esempio, acciai al carbonio), altro
liquido. La sonda rimane ad una certa distanza dalla superficie del pezzo ma la
trasmissione dellonda sonora dal trasduttore al pezzo viene garantita dalla
presenza del liquido. In tal modo, si evitano danneggiamenti della superficie,
dovuti allo strisciamento della sonda sul pezzo. Tale tecnica utilizzata
solamente in fase di fabbricazione del pezzo;
a contatto (fig. 13.24): la sonda posta direttamente a contato con la superficie
da controllare. Per garantire la trasmissione del segnale, tra la sonda ed il
pezzo viene applicato un apposito gel che riempie gli avvallamenti della
rugosit superficiale. Tale tecnica utilizzata sia durante la fabbricazione sia
su componenti in esercizio, durante le operazioni di manutenzione.

In base al fenomeno fisico secondo il quale viene rilevata la presenza dellalterazione,


si distinguono le seguenti tecniche:
per riflessione (figg. 13.25 b, 13.25-c);
per trasmissione o per trasparenza (fig. 13.25-a).

368

Fig. 13.25
Nel primo caso, il trasduttore ricevente posto sulla stessa superficie del pezzo su
cui appoggiato il trasduttore trasmittente. Le onde intercettate dalla discontinuit
vengono riflesse verso il trasduttore ricevente che, colpito dalle vibrazioni, invia un
segnale elettrico alloscilloscopio od al monitor.
La tecnica per trasmissione prevede che la sonda ricevente sia posta sulla superficie
opposta del pezzo, rispetto alla sonda trasmittente. Ci implica, evidentemente,che il
pezzo sia accessibile da entrambe le parti. Il segnale intercettato dalla discontinuit
non riesce a raggiungere la sonda ricevente e quindi la presenza della discontinuit
indicata da unassenza di segnale sulloscilloscopio. Per avere indicazioni corrette,
bisogna assicurare un perfetto allineamento tra sonda trasmittente e sonda ricevente:
se ci non avviene, una parte del segnale trasmesso non verr ricevuto ma non a
causa della presenza di unalterazione.
13.6.2 Tipologie di onde ultrasonore
Le onde ultrasonore sono un particolare tipo di onde elastiche.
369

Un importante grandezza caratteristica di unonda elastica la frequenza, definita


come il numero di oscillazioni complete (cicli) che vengono compiute dalle particelle
nellunit di tempo. Lunit di misura della frequenza lHertz (1 Hz = 1 ciclo/s).
Il termine ultrasuoni deriva proprio dal valore dalla frequenza che li contraddistingue:
nelle applicazioni industriali, vengono utilizzate frequenze dellordine di grandezza
del megahertz (0,5 20 MHz) e cio estremamente superiori alle frequenze che
riescono a mettere in vibrazione la membrana costituente il timpano umano, che
vanno da circa 20 a circa 20.000 Hz (lorecchio dei cani e dei pipistrelli , invece, in
grado di udire gli ultrasuoni, in quanto la sua membrana pi sottile).
La frequenza di unonda ultrasonora dipende in maniera inversamente proporzionale
dallo spessore del cristallo costituente il trasduttore che genera il suono.
A seconda di come si propagano, rispetto al moto delle particelle del materiale che
stanno attraversando, si distinguono due tipi di onde elastiche:
longitudinali;
trasversali (o di taglio).
Le onde longitudinali (fig. 13.26) si propagano nella stessa direzione del moto di
oscillazione delle particelle: nel materiale, si alternano zone di compressione e zone
di rarefazione delle particelle. La distanza, costante, fra due zone di compressione
consecutive si dice lunghezza donda ().

370

Fig. 13.26
Le onde trasversali (fig. 13.27) si propagano in direzione perpendicolare, rispetto al
moto di oscillazione delle particelle: queste ultime descrivono una vera e propria
onda.

Fig. 13.27
La propagazione delle onde trasversali pu essere raffigurata con quanto accade in
una frusta: la frustata si sposta dal capo della corda tenuto nella mano al capo opposto
mentre le particelle della corda si muovono dallalto al basso e viceversa, cio in
direzione perpendicolare rispetto allavanzamento dellonda.
Anche in questo caso, si definisce lunghezza donda la distanza fra due creste
consecutive.
371

Le onde longitudinali possono propagarsi in tutti i mezzi (solidi, liquidi e gassosi),


mentre le onde trasversali si propagano solo nei solidi.
13.6.3 Caratteristiche di unonda ultrasonora
La velocit di propagazione delle onde costante ma dipende dal tipo di onda e dal
materiale che viene attraversato.
In particolare, nel caso di materiali metallici, la velocit dipende dal modulo elastico
E e dalla densit del materiale attraversato. Il prodotto della densit per la
velocit di propagazione V si dice impedenza acustica del materiale ed una
caratteristica che condiziona pesantemente la propagazione di unonda.
Per quanto riguarda la tipologia di onde, quelle trasversali hanno una velocit di
propagazione pari a circa la met di quella delle onde longitudinali nello stesso
mezzo. In tabella 13.III sono riportati i valori delle velocit di propagazione delle
onde ultrasonore in alcuni materiali (per frequenza di oscillazione del cristallo
emettitore pari a 1MHz).
Tab. 13.III
Materiale
attraversato

Velocit di propagazione
Densit

[105 cm/s]

[g/cm ]
onde longitudinali
Alluminio
Rame
Piombo
Magnesio
Mercurio
Molibdeno
Nichel
Acciaio
Acciaio inossidabile
Titanio
Tungsteno
Ghisa
Vetro
Ghiaccio
Acqua
Aria
Olio minerale

372

2,71
8,90
11,4
1,74
13,60
10,09
8,80
7,80
7,67
4,54
19,25
7,20
2,51
1,00
1,00
0,001
0,92

6,35
4,66
2,16
5,79
1,42
6,29
5,63
5,65
7,33
6,10
5,40
3,80
5,70
3,98
1,49
0,33
1,38

onde trasversali
3,10
2,26
0,70
3,10
3,36
2,96
3,23
2,99
3,12
2,87
2,20
3,40
1,99
-

Velocit di propagazione (V), frequenza (f) e lunghezza donda () di unonda


ultrasonora sono legate dalla relazione:
V = f

(13.7)

dalla quale si evince che, stabilita una certa frequenza (tipo di sonda), il tipo di onda
ed il mezzo di propagazione (perci la velocit di propagazione), la lunghezza donda
risulta determinata.
Ad unonda elastica sempre associabile una pressione, cio la forza per unit di
superficie generata dalla vibrazione meccanica delle particelle. Questa grandezza
fisica di fondamentale importanza in quanto quella che una sonda per esami ad
ultrasuoni in grado di rilevare, ed la grandezza alla quale risultano proporzionali
le altezze dei segnali (echi) sullo schermo dellapparecchiatura.
La pressione acustica di unonda ultrasonora diminuisce allaumentare della distanza
dal trasduttore che ha generato londa.
Il volume di materiale interessato dalle vibrazioni ultrasonore formato da una
porzione approssimativamente cilindrica, di diametro pari a quello della sorgente e
profondit pari a N = a2/ (con a raggio del trasduttore), e da una porzione
approssimativamente conica (fig. 13.28).

Fig. 13.28
Il semiangolo di apertura del fascio definito dalla relazione:
sen = C

2a

(13.8)

e dipende pertanto dal raggio a del trasduttore e, attraverso la lunghezza donda, dal
tipo di materiale, dal tipo di onda (longitudinale o trasversale) e dalla frequenza del
trasduttore (in quanto = V/f, dove V la velocit di propagazione di quel tipo di
onda in quel tipo di materiale).
373

Questa divergenza si traduce nel fenomeno, gi citato, del decadimento della


pressione acustica lungo lasse del fascio, allaumentare della distanza dal trasduttore;
tale fenomeno noto come attenuazione geometrica.
Al fenomeno dellattenuazione geometrica si somma la cosiddetta attenuazione
strutturale dovuta sostanzialmente a fenomeni di dissipazione dellenergia del fascio,
sia di tipo fisico (assorbimento) sia di tipo geometrico (diffusione). Cio, la
perturbazione meccanica che si propaga nel materiale, interagendo con la struttura
stessa del materiale (bordi di grano, interfacce di separazione fra la matrice e le
inclusioni, particelle precipitate, ecc.) viene in parte diffusa in varie direzioni, con la
conseguenza di attenuare lenergia del fascio, e in parte assorbita e trasformata in
calore.
Il fenomeno dellattenuazione strutturale tanto pi evidente quanto pi la struttura
del materiale costituita da grani grossi, ricchi di precipitati (carburi, nitruri, ecc.) e
di inclusioni.
13.6.4 Tipi di sonde
Con il termine sonda, si intende la custodia contenente il cristallo trasmettitore e/o
ricevitore di ultrasuoni.
Nella sonda, sono presenti le connessioni elettriche, che connettono le facce del
trasduttore, opportunamente metallizzate, ai poli di un generatore, ed un materiale
assorbente, che ha la funzione di smorzare la vibrazione del cristallo.
Per proteggere il cristallo piezoelettrico dallusura dovuta al contatto con la superficie
del pezzo da controllare, il trasduttore viene coperto da una membrana in
polimetilmetacrilato (Plexiglass), dello spessore di alcuni decimi di millimetro.
A seconda del tipo di fascio che emettono, si distinguono due tipi di sonde:
a fascio normale;
a fascio angolato.
Le sonde a fascio normale (fig. 13.29) emettono onde ultrasonore longitudinali.

374

Fig. 13.29
Le sonde angolate (fig. 13.30) sono costituite da un trasduttore incollato su un cuneo
in plexiglas (zoccolo), attraverso il quale si trasmette lenergia ultrasonora in onde
longitudinali fino alla superficie di contatto. A seconda dell angolo di inclinazione
del piano inclinato del cuneo e della velocit di propagazione nel materiale, si
determina un certo angolo di rifrazione, ed in questo modo si introducono nel
materiale onde trasversali.

Fig. 13.30
13.6.5 Caratteristiche di un controllo ultrasonoro
La sensibilit di un controllo ultrasonoro definita come la capacit del sistema di
rilevare (attraverso echi visibili sullo schermo) piccole discontinuit. La sensibilit
del controllo strettamente legata a due fattori:
la lunghezza donda adottata
la potenza del fascio emesso
375

Allaumentare della lunghezza donda la sensibilit dellesame in generale


diminuisce, in quanto, per fenomeni di diffrazione, onde con molto maggiore delle
dimensioni caratteristiche della discontinuit tendono ad aggirarla senza essere
riflesse e pertanto la discontinuit risulta invisibile a quella (fig. 13.31-a). Al
contrario quando pi piccola o, al pi, dello stesso ordine di grandezza delle
dimensioni caratteristiche del riflettore, la parte del fascio geometricamente
intercettato dal riflettore, viene riflessa ed esso risulter perci facilmente rilevabile
(fig. 13.30-b).

Fig. 13.31
Invece, la sensibilit dipende dalla potenza del fascio emesso: tanto maggiore la
quantit di energia che incide su di un riflettore (alterazione), tanto pi elevata sar la
sua risposta ultrasonora e tanto meglio visibile sar leco che apparir sullo schermo
in quanto di altezza superiore.
Una caratteristica fondamentale di un controllo ultrasonoro il suo potere risolutivo,
definito come la capacit del sistema di rappresentare con due diversi echi,
chiaramente distinti tra loro, due discontinuit molto vicine fra loro nel senso dello
spessore, anzich con un solo eco di maggiore larghezza. (fig. 13.32).

Fig. 13.32
376

Il potere risolutivo tanto maggiore quanto minore la lunghezza dellimpulso di


emissione: infatti se limpulso inviato nel materiale breve la risposta della
discontinuit pi vicina si smorzer prima dellarrivo della risposta pi lontana e si
potranno visualizzare due echi distinti.
In figura 13.33, visibile la cos detta zona morta, ossia la porzione di materiale
immediatamente sottostante al trasduttore entro la quale non possibile rilevare
discontinuit (fig. 13.32).

Fig. 13.33
Infatti, nei primi istanti susseguenti allemissione dellimpulso, il trasduttore non
ancora in grado di ricevere segnali.
Lentit della zona morta, pur dipendendo in massima parte dalle caratteristiche di
smorzamento della sonda, viene spesso erroneamente vista come una caratteristica
peculiare della sola sonda. In realt, poich nel tempo di smorzamento delle
vibrazioni del cristallo, gli ultrasuoni compiono un percorso direttamente
proporzionale alla velocit di propagazione, la zona morta dipende anche dal
materiale su cui si appoggia la sonda.
Con lutilizzo di sonde a doppio cristallo o di 2 sonde (trasmittente - ricevente),
lestensione della zona morta viene ridotta.
13.6.6 Rappresentazione del segnale
Il segnale ricevuto viene inviato ad un oscilloscopio e quindi sar visibile su uno
schermo come un picco detto eco.
377

La rappresentazione del segnale sullo schermo pu essere di tre tipi:


scan A (fig. 13.34-a);
scan B (fig. 13.34-b);
scan C (fig. 13.34-c).

Fig. 13.34
La rappresentazione di tipo A quella maggiormente utilizzata.
Secondo tale rappresentazione, la distanza del piede di sinistra delleco dallorigine
proporzionale alla profondit del riflettore e laltezza delleco proporzionale alla
pressione acustica della risposta ultrasonora.
378

Con la rappresentazione scan B, si ottiene una sezione longitudinale del pezzo in


esame. Con la rappresentazione scan C viene persa ogni informazione relativa alla
profondit dei riflettori e si ottiene una vista in pianta del pezzo, in maniera simile
ad unimmagine radiografica.
13.6.7 Taratura della strumentazione
Un esame con ultrasuoni richiede lesecuzione di alcune operazioni preliminari di
taratura che possono essere riassunte nei seguenti punti:
controllo dellapparecchiatura
taratura dellasse dei tempi (distanze)
taratura del livello di sensibilit
Tali operazioni vengono normalmente compiute su blocchi di calibrazione
appositamente studiati.
I blocchi di calibrazione o blocchi campione devono essere costruiti in materiale
avente caratteristiche fisiche e strutturali quanto pi possibile simili a quelle del
materiale da esaminare, in modo da presentare analoghe propriet acustiche.
I principali blocchi di taratura impiegati sono:
blocco V1 (fig. 13.35-a);
blocco o V2 (fig. 13.35-b);
blocchi di taratura del livello di sensibilit (fig. 13.36).

379

Fig. 13.35
In figura 13.36 viene rappresentata la procedura per eseguire la taratura dellasse dei
tempi con sonde a fascio normale.

380

Fig. 13.36
La scelta della distanza da disporre sullasse dei tempi principalmente dettata dallo
spessore del pezzo da esaminare.
Si pone la sonda sulla superficie del blocco e si proietta il fascio di ultrasuoni verso la
superficie riflettente. Si cerca la condizione di massima risposta, muovendo la sonda
avanti ed indietro. La rappresentazione ottenuta nello schermo dopo aver posizionato
i picchi in corrispondenza delle linee verticali, quella mostrata dalla fig. 13.36-c.
In figura 13.37 rappresentata la taratura dellasse dei tempi con sonde angolate.

Fig. 13.37
La taratura del livello di sensibilit serve per valutare le risposte ultrasonore delle
discontinuit.
I fattori che influiscono sulla risposta ultrasonora proveniente da unalterazione sono
numerosi: estensione dellalterazione, sua giacitura, grado di rugosit della superficie
dellalterazione, distanza dalla sonda, attenuazione del materiale, ecc..
Lunico sistema per ottenere unindicazione, seppur approssimativa, della grandezza
delle alterazioni riscontrate, il confronto tra le riflessioni ultrasonore ottenute da
381

queste discontinuit e le riflessioni ultrasonore ottenute da alterazioni artificiali


praticate in appositi blocchi di riferimento.
Un sistema di calibrazione della sensibilit di esame quello della costruzione della
curva di calibrazione distanza-ampiezza (DAC) (fig. 13.38).

Fig. 13.38
Utilizzando il blocco in fig.13.38-a si procede nel modo seguente:
si rilevano le risposte ultrasonore dei fori presenti nel blocco di riferimento
con un livello di amplificazione tale da portare la massima risposta ultrasonora
del foro pi prossimo alla superficie di scorrimento della sonda, ad una
definita altezza sullo schermo (ad esempio 80% dello schermo);
mantenendo costante lamplificazione, si marcheranno in successione le
altezze raggiunte dagli echi massimi di risposta di tutti i fori presenti nel
blocco;
si congiungono tali punti, ottenendo la curva di taratura della sensibilit (fig.
13.38-b).
382

Si ora in grado di confrontare le riflessioni delle alterazioni riscontrate durante il


controllo dei materiali con la riflessione dellalterazione campione scelta, purch il
blocco campione sia dello stesso materiale del pezzo, oppure si tenga conto delle
differenti attenuazioni strutturali.
Se, ad esempio, durante il controllo si rileva una discontinuit ad una distanza x, con
il livello di amplificazione fisso al valore di taratura, e si ottiene uneco di ampiezza
inferiore allaltezza della curva di taratura, si pu dire che la riflettivit
dellalterazione rilevata minore della riflettivit dellalterazione campione, di
dimensioni sono note.

Lesame ultrasonoro viene condotto facendo scorrere la sonda lungo un reticolo


avente lato pari a 200 mm o minore.

383

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