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Sull' eclissi dell' architettura italian a


On the Eclipse of Italian Architecture

Marco D e Michelis

Storia e progetto
History and Project

Neominimalismo
Neominimalism

Alia fine di un ciclo

20

Ignasi de Sola-Morales

Mies e il grado zero


Mies and the Degree Zero

104

Jean-Louis Cohen

Confluenze problematiche
Problematical Confluences

28

Takashi Yamaguchi

Shinichi Ogawa: passeggiare


nell'immanenza
Shinichi Ogawa: Roaming
into Immanence

106

Francesco Cellini

Catene evolutive
Evolutionary Links

110

Renato Rizzi

n cuore del progetto

At the End of a CJIC!e

The H eart of the Project

38

50

56

65

75

Vittorio Savi

Christos Papoulias

Roberto Collova

Roberto Pirzio-Biroli

Alessandro Rocca

Teorema Monestiroli: quattro progetti


Monestirolian Theorem: Four Projects

113

Mark W igley

Oltre i ponti
Beyond Bridges

lncontro con Kounellis


M eeting with Kounellis

117

Georges Teyssot

Storia come ticordo distruttivo


H ist01y as a Destructive R emembrance

Regole di derivazione
Rules of Derivation

123

Ernst H. Gombrich

Radici
Roots

Padiglione tessenowiano
Pavilion in the Manner of Tessenow

127

Gabriele Basilico

Milano nelle altre citta


M ilan in Other Cities

Renato Rizzi, alia ricerca del concetto


Renata Rizzi, in Search of the Concept

128

Joseph Rykwert

Gli usi della storia


The Uses of Histo1y

86

Donald Judd

A proposito di mobili
On Furniture

92

Fulvio Carmagnola,
Vanni Pasca

Minimalismo e design negli anni novanta


Minima/ism and Design in the Nineties

Ignasi de Sola-Morales
Mies van der Rohe e il grado zero
Mies van der Rohe and the Degree Zero

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Concel't Hall, 1944.

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Nella crisi di identita del movimento moderno


degli anni sessanta la revisione critica dell' ope
ra dei maestri dell' architettura moderna estata
uno dei compiti teorici piu impegnativi. Questa operazione culturale avveniva in un mo menta di crisi non solo dell'architettura, rna
anche delle arti plastiche, perle quali la condizione post-painterly significava scegliere linee
di lavoro diverse, alternative e radicali.
Tra queste, il minimalismo e la pop art costituivano esplorazioni in direzioni opposte a
partite da una medesima insoddisfazione nei
confronti del soggettivismo della tradizione
espressionista e del formalismo della pittura su
supporti convenzionali. Al centro delle preoccupazioni degli artisti che iavoravano sia nell'una che nell' altra direzione vi era la questione
del significato. Per i minimalisti si trattava di
tornare a un punto zero, al "grado zero della
scrittura", per dirla con il titolo del famoso testo di Barthes del1953 , e da li procedere per
costruire, con cautela, alcuni minimi significati estetici. Perla pop art, simmetricamente e all'opposto, il significato si sarebbe forse raggiunto con l'imitazione dei modelli stabiliti
dalla tradizione o con nuovi repertori iconici
espliciti e popolari diffusi dai nuovi mezzi di
comunicazione di massa.
In architettura il fenomeno era simile. Di fronte alia mancanza di vitalita dei topici della tradizione moderna alcuni si rivolgevano nuovamente aile origini, aile sorgenti pure dell' architettura illuminista o del purismo del movimento moderno, aile parole essenziali e ai gesti
funzionali dellinguaggio architettonico. Altri,
al contrario, cercavano una fonte di rinnovamento della significazione nella diffusa popolarita e nel prestigio dell'architettura classica.
Curiosamente entrambe le ottiche, non sempre ben delimitate e spesso conviventi, hanno
fatto ritorno a Mies.
Non si tratta di stabilire demagogicamente l'esistenza di una lettura pope di una lettura minimalista dell'architettura di Mies van der Rohe. Tuttavia e evidente che il problema del significato ha determinato la necessita di vedere
1' architettura di Mies soprattutto come una reminiscenza della tradizione dell' architettura

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Nella crisi di identita del movimento moderno


degli anni sessanta la revisione critic a dell' opera dei maestri dell' architettura moderna e stata
uno dei compiti teorici piu impegnativi. Questa operazione culturale avveniva in un momento di crisi non solo dell' architettura, ma
anche delle arti plastiche, perle quali la condizione post-painterly significava scegliere linee
di lavoro diverse, alternative e radicali.
Tra queste, il minimalismo e la pop art costituivano esplorazioni in direzioni opposte a
partite da una medesima insoddisfazione nei
confronti del soggettivismo della tradizione
espressionista e del formalismo della pittura su
supporti convenzionali. Al centro delle preoccupazioni degli artisti che iavoravano sia nell'una che nell' altra direzione vi era la questione
del significato. Per i minimalisti si trattava di
tornare a un pun to zero, al "grado zero della
scrittura", per dirla con il titolo del famoso testo di Barthes del1953, e da h procedere per
costruire, con cautela, alcuni minimi significati estetici. Perla pop art, simmetricamente e all'opposto, il significato si sarebbe forse raggiunto con l'imitazione dei modelli stabiliti
dalla tradizione o con nuovi repertori iconici
espliciti e popolari diffusi dai nuovi mezzi di
comunicazione di massa.
In architettura il fenomeno era simile. Di fronte alia mancanza di vitalita dei topici della tradizione moderna alcuni si rivolgevano nuovamente aile origini, aile sorgenti pure dell' architettura illuminista o del purismo del movimento moderno, aile parole essenziali e ai gesti
funzionali dellinguaggio architettonico. Altri,
al contrario, cercavano una fonte di rinnovamento della significazione nella diffusa popolarita e nel prestigio dell'architettura classica.
Curiosamente entrambe le ottiche, non sempre ben delimitate e spesso conviventi, hanno
fatto ritorno a Mies.
Non si tratta di stabilire demagogicamente l'esistenza di una lettura pop e di una lettura minimalista dell' architettura di Mies van der Robe. Tuttavia e evidente che il problema del significato ha determinato la necessita di vedere
1' architettura di Mies soprattutto come una reminiscenza della tradizione dell' architettura

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classica, provocando una lettura equivoca della sua opera. Basandosi sul suo apprendistato
con Beherens e sulla sua simpatia berlinese per
1'opera di Schinkel, certa critica recente ha
presentato un Mies van der Rohe classicista,
un maestro atipico del movimento moderno
imbevuto di tradizione classica nonostante l'aspetto moderno dell' acciaio e del cristallo dei
suoi edifici. E un' operazione che oggi bisogna
denunciate. Assomiglia troppo a quella che e
stata tentata con Wright o con Le Corbusier.
Dietro a esse si scorge !'interesse degli architetti e della critica di restituire un significato
all' opera di un architetto le cui soluzioni, standardizzate e manipolate, sono state trasformate nella retorica piu rappresentativa dell'architettura commerciale. Il classicismo presente in
alcuni degli edifici di Mies non puo diventare
un argomento con cui spiegare l'intensita estetica della sua intera opera. I riferimenti ai templi dorici e all'Erecteion, le analogie con 1'Altes Museum o la Neue Wache di Schinkel, le
sorprendenti interpretazioni che vedono nel
padiglione di Barcellona le colonne ioniche o
nello sfasamento delle colonne della Neue Nationalgalerie di Berlino un ridisegno degli ordini classici corrispondono a una ricerca ansiosa di significato che, appellandosi all'imitazione e alia mimesis classica, costituisce un'operazione ideologica difficile da giustificare se
confrontata con l'attitudine, gli scritti e il contesto dell' opera miesiana.
L'opera di Mies non nasce dalla ricreazione di
una naturalita permanente e trans-storica basata sugli ordini classici e sulla loro grammatica. Tanto meno e lecito pensare a Mies come a
un Duchamp o come a un autore di readymade architettonici nei quali il significato si
produrrebbe con una sorta di moderno nominalismo per il quale la ridondanza delle icone
classiche utilizzate costituirebbe la garanzia
del senso dell'opera di architettura. L'espressione "nominalismo pittorico", coniata da
Thierry de Duve in un recente, e intelligente,
saggio su Duchamp, descrive il procedimento
convenzionale con cui oggetti esteticamente
insignificanti, una fontanella per esempio, si
trasformano in opere d' arte. Questo nominali-

smo basato sull' accettazione, di fatto , della


condizione artistica di qualsiasi oggetto si sostituisce al platonismo essenzialista secondo
cui e l'ordine tra naturae arte nell'armonia di
un cosmos unico a garantire il significato profonda dell'opera d'arte. Il procedimento semantico si basa sulla condizion_e imitativa- ars
simi/is naturae, l'arte imita la natura- propria
del modo di operate classico. Come la cosiddetta architettura post-moderna, nel senso di
Jencks, ha dimostrato fino alia nausea, il nominalismo architettonico interpreta convenzionalmente il classicismo come segnale, come rivestimento di artisticita .
In Mies non esiste un riferimento alia totalita
del cosmos con cui 1' arte classica costruiva il significato, gli ordini, i tipi, le proporzioni, la
_prospettiva. Non ha senso dunque definite
Mies come l'ultimo classicista. E ancor meno
esiste un Mies pop, capace di appropriarsi liberamente dei significati della tradizione classica con l'audacia di chi faun colpo di mano,
una rapina. Al contrario, nella costruzione di
un grado zero della scrittura architettonica il
procedimento e completamente diverso.
L'opera di Mies non parte dalle immagini, ma
dai materiali. Materiali nel senso forte della
parola. Parte dalla materia con cui sono costruiti i suoi oggetti. Da una materia astratta,
generale, tagliata geometricamente, liscia e pulita, ma consistente, evidente, solida. Ma anche da una materialita piu ampia, che abbraccia la gravita e il peso degli elementi costruttivi, le tensioni dei loro comportamenti statici,
la durezza o la fragilita, dall'artificiosita materiale della tecnica che prepara e manipola gli
elementi con cui si costruisce 1'edificio. Da una
materialita, infine, che considera sin dall'inizio
i problemi dell'illuminazione, dell' aria condizionata, dell'impermeabilita dei serramenti,
del corretto funzionamento degli edifici in relazione all'uso al quale sono destinati. L'enorme carica di innovazione miesiana non procede dall'imitazione, e none neppure un discorso astratto sui concetti di spazio, luce o territorio. In Mies la realta e, sin dall'inizio, il materiale per l'opera di architettura, e i suoi appelli
a intendere 1' architettura unicamente come

1
1\

Grattacielo/Skyscraper, 1946-50.

21

22

edificazione, come bauen, non sono un tributo


superficiale a una moda funzionalista rna la dimostrazione che per l' autore della casa Tughendath le condizioni percettive create dalla
materialita degli edifici sono all'origine delloro significato spirituale. Solo passando auraverso le condizioni materiali si possono ottenere "le forze che agiscono all'interno" e ''l'autentico campo d'azione che e senza dubbio
quello dei significati" (1953).
La relazione che si stabilisce tra la materialita
degli oggetti architettonici e la recezione del
loro significato spirituale non si produce per
Mies in un tessuto previamente stabilito di dementi astratti quali il ritmo, 1' equilibria, la proporzione e la misura. Questi valori sono, casomai, un risultato. Detto in altre parole: l'architetto non adegua le forme dei suoi materiali a
leggi o a convenzioni che bisogna imitate o riprodurre. La nostra relazione con l'architettura e im-mediata. L'opera d'arte moderna, hanno scritto Deleuze e Guattari nelloro Qu' estce que la philosophie?, e un blocco di sensazioni, un insieme di percezioni e di affezioni (percepts e affects). Le sensazioni non ci rinviano
ad altri oggetti o a immagini di riferimento. I1
materiale e la durata sono gli elementi che sostengono e producono tanto le percezioni che
riceviamo attraverso i sensi quanto le affezioni,
che non sono meramente soggettive e non si
possono considerate pure reazioni dell'individuo nei confronti dell' opera. L'architettura radicale miesiana e un blocco consolidato e permanente di produzione di sensazioni che auraverso i materiali permettono di giungere ai
concetti.
La condizione astratta della sensibilita miesiana implica un passaggio dalla sensazione alia
percezione e dalla percezione al concetto. Un
concetto che non ha niente a che vedere ne con
la scienza ne con la filosofia. Un concetto molto lontano pero anche dal pericolo di quella
che e stata definita arte concettuale, che con
1' estrema smaterializzazione dei suoi messaggi
mirava all'informazione pura, alia tassonomia,
alia formulazione di propositi e progetti genetali. L' arte miesiana, come le opere di Judd o
Flavin, possiede una componente materiale

che la delimita. La sua concreta materialita


non la rende generale rna particolare. Le opere
di Mies non sono l'espressione di un'idea, rna
oggetti fisici, tangibili, che producono percezioni e affezioni.
E sbagliato pens are all' architettura di Mies come a uno scenario, per quanto vuoto. La metafora adottata da T afuri e alcuni suoi discepoli
per i1 Padiglione di Barcellona tradisce an cora
una volta la modernita dell' opera miesiana,
perche la riduce a un'intelaiatura- uno scenario- che e per definizione una convenzione visuale precedentemente stabilita. Parlare di
scenario vuoto significa vedere gli alleggerimenti percettivi creati dagli edifici miesiani come l'ultimo residuo di una tradizione dell' opera d'arte come rappresentazione. Mala sensibilita moderna ha abbandonato questo procedimento. A partite dall'empirismo del XVIII
secolo, da Hume e Burke, da Uvedale Price e
Payne Knight, l'esperienza estetica e l'inaspettata commozione suscitata da un percorso
aleatorio, da un'accumulazione di immagini,
da un eccesso di sensazioni.
Walter Benjamin, nella sua Breve storia della
fotografia, diceva: "Il cinema offre materia per
una ricezione collettiva e simultanea, come da
sempre ha fatto 1' architettura". Nell' opera di
Mies la percezione che ci viene offerta non
presuppone un punto di vista, ne un ordine di
lettura, ne una gerarchia. La visione moderna
sviluppata dalla fotografia, ha scritto Paul Virilio, ha fatto sparire non solo la distanza spaziale rna anche la distanza nel tempo. None casuale I' interesse di Mies per i1 fotomontaggio e
i1 fatto che spesso lui stesso controllasse le fotografie dei suoi edifici. Quelle fotografie dimostrano che la nozione di scenografia e di
teatralita sono assolutamente inadeguate.
Parlare di contesto nell' opera di Mies significa
introdurre un paradigma concettuale altrettanto inadeguato. Le sue opere non sono costruite in relazione al contesto ne costituiscono
un commento o una mimesi alluogo in cui si
trovano. Ancora una volta, considerate le cose
in questo modo e un espediente per separate
1'opera di Mies dalle sue intenzioni che, come
direbbe Harold Rosemberg a proposito delle

opere d' arte minimalista, "affermano 1' esistenza indipendente dell'oggetto artistico come significato in se" piu che cercare una relazione
con le opere del passato, con idee sociali o
emozioni individuali.
Questa condizione isolata, autonoma dell'esperienza estetica riguarda anche il carattere
autoreferenziale dell' architettura miesiana. In
Mies l'architettura none mai un monumento.
Non lo e nel senso etimologico della parola
monumento: un'opera che si riferisce e ricorda qualcosa al di fuori di se stessa, cioe un fatto, un tempo storico, la collettivita, le origini, i
valori civili o morali. Mies van der Rohe nei
suoi scritti fa piu volte appello al significato
spirituale che l'opera di architettura deve raggiungere. Nella sua eccellente esegesi delle
fonti del pensiero miesiano Fritz Neumeyer ha
sottolineato l'importanza della tradizione fenomenologica dei discepoli di Max Scheller.
Romano Guardini e Paul Landsberg sono due
tra i pensatori contemporanei la cui influenza
su Mies pare fuori di dubbio. Tuttavia Neumeyer non ha messo sufficientemente in evidenza che sia l'uno che l' altro avevano al centro delle loro preoccupazioni una problematica religiosa. Nel caso di Guardini, un sacerdote cattolico, era la costante ricerca di relazioni
significative tra l'uomo, le cose e la tecnica. Si
trattava di ricostruire il significato in un mondo post-nietzschiano in cui non solo Dio era
morto, rna anche i comportamenti dell'avanguardia si radicavano sulla dichiarazione hegeliana della morte dell' arte. Guardini, il cui
pensiero piu compiuto si trova nei testi sulla liturgia e sui simboli sacri, aveva dedicato la vita
alla ricerca del significato trascendente, oltre
la materialita concreta rna a partite da questa,
dagli oggetti, dai gesti e dalle parole della vita
umana. Landsberg, assassinato in un campo di
concentramento nel1944, amico di Mounier e
dei personalisti francesi, si era impegnato soprattutto nella costruzione di un' antropologia
filosofica, di un pensiero capace di ricostruire
un luogo per l'uomo, per la sua produzione e
le sue relazioni interpersonali.
E in questo contesto che Mies sviluppa la sua
concezione autoreferenziale dell'opera d'arte.

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proposito delle

opere d 'arte minimalista, "affermano 1' esistenza indipendente dell'oggetto artistico come significato in se" piu che cercare una relazione
con le opere del passato, con idee sociali o
emozioni individuali.
Questa condizione isolata, autonoma dell'esperienza estetica riguarda anche il carattere
autoreferenziale dell' architettura miesiana. In
Mies l'architettura none mai un monumento.
Non lo e nel senso etimologico della parola
monumento: un'opera che si riferisce e ricorda qualcosa al di fuori di se stessa, cioe un fatto, un tempo storico, la collettivita, le origini, i
valori civili o morali. Mies van der Rohe nei
suoi scritti fa piu volte appello al significato
spirituale che l'opera di architettura deve raggiungere. Nella sua eccellente esegesi delle
fonti del pensiero miesiano Fritz Neumeyer ha
sottolineato l'importanza della tradizione fenomenologica dei discepoli di Max Scheller.
Romano Guardini e Paul Landsberg sono due
tra i pensatori contemporanei la cui influenza
su Mies pare fuori di dubbio. Tuttavia Neumeyer non ha messo sufficientemente in evidenza che sia l'uno che l'altro avevano al centro delle loro preoccupazioni una problematica religiosa. Nel caso di Guardini, un sacerdote cattolico, era la costante ricerca di relazioni
significative tra l'uomo, le cose e la tecnica. Si
trattava di ricostruire il significato in un mondo post-nietzschiano in cui non solo Dio era
morto, rna anche i comportamenti dell'avanguardia si radicavano sulla dichiarazione hegeliana della morte dell' arte. Guardini, il cui
pensiero piu compiuto si trova nei testi sulla liturgia e sui simboli sacri, aveva dedicato la vita
alla ricerca del significato trascendente, oltre
la materialita concreta rna a partite da questa,
dagli oggetti, dai gesti e dalle parole della vita
umana. Landsberg, assassinato in un campo di
concentramento nel1944, amico di Mounier e
dei personalisti francesi, si era impegnato soprattutto nella costruzione di un' antropologia
filosofica, di un pensiero capace di ricostruire
un luogo per l'uomo, per la sua produzione e
le sue relazioni interpersonali.
E in questo contesto che Mies sviluppa la sua
concezione autoreferenziale dell'opera d'arte.

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autoreferenzialita di Mies e quella del minimalismo degli anni sessanta e posteriore sta precisamente nel senso di apertura o di chiusura
che questa implica in relazione con altri valori.
Peri minimalisti l'opera non richiama ne evoca nient'altro che se stessa. Partecipa della pura aleatorieta ereditata da Mallarme e dal silenzio finale di Malevic. L' opera d' arte e autoreferenziale perche co min cia e finisce in se stessa e
si spiega solo con la sua materialita, la sua fattualita, la sua evidenza. Anche in Mies e molto
presente la volonta di mantenere l'opera di architettura lontana da qualsiasi tentazione di
veicolare un altro significato o l'espressione di
altri contenuti. La sua architettura e autoreferenziale. Spiega se stessa e fa della sua presenza l'atto primordiale della sua significazione.
Tuttavia in Mies vi e un progetto etico che si
realizza precisamente nell'opera. Tutto il dibattito sulla tecnica del periodo fra le due
guerre e un dibattito etico. Spengler e Heidegger, Mann e Junger riflettono sulla tecnica e
sui suoi prodotti da un punto di vista etico nella prospettiva di una ricostruzione dopo il nichilismo nietzschiano. Le analisi delle differenze tra tekhne e pofesis nel pensiero greco
cosi come le sviluppa Werner Jaeger nascono
da una preoccupazione contemporanea alla
quale Mies van der Robe partecipa. La riconsiderazione dell' estetica medievale, in cui la produzione e il significato si davano in modo inscindibile, costituisce per quei pensatori e per
Mies un riferimento indiscutibile. L'autonomia dell' opera di architettura, il progetto di fare di essa "un composto solido e duraturo" come aveva detto Cezanne del suo progetto di
pittura, e il cuore dellavoro di Mies. :E l'idea
chela sua opera suscita. L' architettura non deve essere solipsistica, chiusa in se stessa, autocompiaciuta dei propri interessi ne tanto meno
puramente empirica, l"' io non cerco, trovo " di
Picasso. I1 progetto architettonico miesiano si
inscrive in un progetto piu ampio, etico, in cui
il contributo dell' architetto alla societa si ottiene proprio grazie alla trasparenza, all'economia e all'ovvieta delle sue proposte architettoniche. I1 suo e il contributo della verita,

dell'onesta. E questo il suo messaggio.


Il1968 e 1' anno emblematico della fine del movimento moderno e dell'esplosione della cultura postmoderna. Nel 1968 il minimalismo
era gia stato riconosciuto come tendenza e gia
se ne trovava la definizione nei testi critici
chi ave di Clement Greenberg,_Barbara Rose,
Harold Rosemberg, Irving Sandler e Richard
Wollheim, tra gli altri. E nel1968 si inaugurava
a Berlino la Neue Nationalgalerie, l'ultimo degli edifici terminati da Mies.
In quello stesso anno Gilles Deleuze pubblicava il suo trattato filosofico piu rilevante, Difference et repetition. "Credo che quest'opera
aleggera sulle nostre teste per molto tempo",
aveva profetizzato Foucault.
I1 testo di Deleuze esprime un pensiero figurativo che consente di individuate i nessi evidenti tra 1' esperienza estetica del minimalismo e
l'opera miesiana. Esso costituisce la via d'uscita dalla rigidita del pensiero strutturalista e
dalla pura decomposizione del carnevale postnietzschiano; Deleuze stabilisce le basi di un
processo di significazione e di costruzione del
significato a partite dallo squilibrio che introduce nell' idea monista dell'uguale e dell'identico, la ripetizione e la differenza.
La ripetizione come novita, come meccanismo
di liberta, di vita e di morte; la ripetizione come volonta, come il contrario delle leggi della
natura; la ripetizione come nuova morale al di
la dell'abitudine e della memoria. Una ripetizione che si fa tesa e creativa grazie alle crepe
della differenza, dello squilibrio, dell'innovazione, dell'apertura e del rischio.
Over the course of the identity crisis that
beset the Modern Movement in architecture
in the sixties, one of the theoretical tasks that
was approached with the greatest commitment was the reappraisal of the work of the
masters of modern architecture. This cultural
operation was begun at a moment of crisis not
only in architecture, but in the visual arts in
general. The post-painterly situation saw the
emergence of various alternative and radical
lines of approach .
Amongst these, Minimalism and Pop Art con-

Jizp cvr

1 ~ ,

bi I
-

Q
;:::::

Case a corte/Courtyard
houses, 1931-35.

23

stituted two opposmg lines of exploration,


both having their origins in the same dissatisfaction with the subjectivism of the Expressionist tradition and the formalism of painting
on conventional supports. The question of
meaning was a central concern for the artists
working in both of these directions. For the
minimalists, the aim was to return to a zero
point, a degree zero of writing to use the title of
Barthes' famous 1953 text, on the basis of
which to construct, painstakingly, a number of
minimal aesthetic meanings. For Pop Art, in
its symmetrical and contrasting way, the
meaning could be found in the imitation of
the models established by tradition or in the
new repertories-iconic, obvious, populardiffused by the new mass communications
media.
In architecture there was a clearly parallel development. Faced with the no longer tenable
cliches of the modern tradition, there were
those who sought, through a return to the origins, to the pure wellsprings of the architecture of the Enlightenment or the purism of the
Modern Movement, the essential words, the
founding gestures of the language of architecture. Others, in marked contrast, believed the
diffusion of the popular or the prestige of classical architecture to be a source with the power to renew meaning.
Curiously, the revival of interest in Mies
emerged from both of these standpoints: two
points of view that were not always well defined, and often held simultaneously.
Our purpose here is not to claim, in a demagogical manner, that there have been both a
"pop" and a minimalist interpretation of the
architecture of Mies van der Rohe. Because
what is now clearly apparent is that the problem of meaning was a powerful incentive to see
Mies' architecture above all as an evocation of
the classical architectural tradition. This gave
rise to a false and misleading view of his work.
24 Calling on his apprenticeship to Behrens and
his Berlin-nurtured liking for the work ofK. F.
Schinkel as evidence to support this view, a
picture of a classicist Mies van der Rohe, of an
atypical master of the Modern Movement

steeped in the classical tradition, for all the apparent modernity of the glass and steel of his
buildings has been put forward in recent years.
It is high time for a public denuciation of this
distortion. It is all too similar to what has also
been attempted with Wright and Le Corbu,
sier, and behind all of these: endeavors we can
detect the desire of architects and critics to
find a consistent meaning in the work of an
architect whose solutions, duly standardized
and manipulated, had become the most rhetorically representative commonplace of commercial architecture.
Yet the classicism to be found in certain of
Mies' buildings cannot be used as an argument
to explain all the aesthetic intensity of his
work. The references to Doric temples and to
the Erectheum, the parallels with Schinkel's
Altes Museum or Neue Wache, the surprising
views of the Barcelona pavilion through Ionic
columns, or the division of the columns of the
Neuenationalgalerie in Berlin as a revision of
the classical orders : all these amount to an
anxious search for meaning by means of imitation, of classical mimesis, in an ideological
operation that is difficult to justify on the basis
of Mies' attitude, his writings, and the body of
his work as a whole.
Mies' work was not born out of an attempt to
recreate a permanent, transhistorical nature
based on the classical orders and their grammar. Nor is it licit to think of Mies, after the
manner of Duchamp, as the author of a series
of architectural "ready-mades" in which the
meaning would be the product of some kind of
modern nominalism, through which the redundancy of the classical icons employed
serves to guarantee the significance of the
work of architecture. Thierry de Duve, in an
intelligent recent book on Duchamp, coined
the expression "pictorial nominalism." This
refers to the conventional procedure by which
aesthetically insignificant objects- the fontaine, for example-are transformed into
works of art. This nominalism, based on the de
facto acceptance of artistic status for any object whatsoever, takes the place of Platonic essentialism, in which it is the order of the rela-

Casa a col'te/Couttyal'd house,


1931-34.

Hubbe House, 1935.

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Museum for a small town, 1942.

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tionship between nature and art, in the hannony of a unique cosmos, that guarantees the
profound significance of the work of art. The
semantic procedure is based on the imitative
condition-ars simiae naturae, art imitates nature- intrinsic to the classical modus operandi.
Architectural nominalism conventionally
makes use of the classical as a sign, as a surface
display denoting the artistic, in the same way
that so-called post-modern architecture, at
least in Jencks' version of it, has contrived to
do ad nauseam .
In Mies there is no reference to the totality of
the cosmos within which classical art constructed meaning, orders, types, proportions,
perspective. It makes no sense, then, to treat
Mies as the last classicist. Yet neither is there a
"pop" Mies, capable of freely appropriating
the meanings of the classical tradition with the
cool daring of a bankrobber on a kidnapper.
On the contrary, the construction of a degree
zero of the architectonic text requires an entirely different procedure.
Mies ' work developed not out of images but
out of materials. Materials in the strongest
sense of the word. Naturally, the matter from
which objects are constructed. A matter that is
abstract, general, geometrically cut, smooth,
and polished, but also a material that is substantial, tangible, and solid. And at the same
time a broader materiality which takes in the
gravity and weight of the elements of construction, the tensions in their static behavior, their
hardness or fragility, the material artifice of
the technology which prepares and handles
the elements from which the building is raised.
A materialism, finally, which sets out from the
point of origin of the material problems of
the lighting, the air conditioning, the sealing of
the outer skin, and the satisfactory functioning
of the building in relation to the use for which
it was designed. The whole tremendous body
of innovation in Mies derives neither frorn imitation nor from abstract discourse involving
concepts of space, light, or territory. In Mies,
the realities are from the very outset material
for the work of architecture, and his calls to
understand architecture solely as building, as

bauen , are no mere lip-service to a fashionable


functionalism but proof that for the creator of
the Tugendath house the perceptual conditions established by the materiality of the
building were at the very origins of its spiritual
meaning. It is only by way of the material conditions that we can arrive at "the forces which
act in their interior" and the" authentic field of
action which is, without a doubt, that of meaning" (1953) .
Of course the relationship that is established
between the materiality of the architectonic
object and its reception as spiritual meaning
does not, for Mies, rely on some previously
worked-out pattern of abstract elements such
as rhythm, balance, proportion, and measure.
These values are, in any event, an outcome. To
put it another way: the architect does not
adapt the forms of his materials to laws or conventions that have to be imitated or reproduced. Our relationship with the architect is
immediate. The work of modern art, as Deleuze and Guattari observe in their most recent book, Qu'est-ce que la philosophie?
(1991), is a block of sensations, that is to say a
compound of percepts and affects. Such sensations do not lead us on to other objects or
images serving as points of reference. The
material and its durability are what support
and produce both the sense-data we receive
and the affects which are neither merely subjective nor to be considered pure reactions on
the part of the individual confronted with the
work of art. The radical architecture of Mies is
a consolidated, permanent block for the production of sensations, through which the materials pass and the concepts are reached. The
abstract condition of Mies' sensibility reinforces the transition from sensation to perception and from percept to concept. A concept
that has nothing to do with science or philosophy and which steers well clear of the dangers
associated with so-called conceptual art. This
tended, in effect, through the extreme demate- 25
rialization of its messages, toward pure information, toward taxonomy, toward the formulation of general aims and plans . Mies' art,
like the work of Judd or Flavin, has a material

26

component which delimits it. The concrete


materiality these have in common makes them
not general but particular. Their works are not
the expression of a general idea but tangible
physical objects, the producers of percepts
and affects.
It is wrong to think of the architecture of Mies
as a stage, even an empty one. The metaphor,
as it has been used by T afuri and certain of his
disciples in reference to the Barcelona Pavilion, once again betrays the modernity of Mies'
work by reducing it to a framework-the
stage-that is by definition a previously determined visual convention. To speak of the empty stage is to see the perceptual discharges that
Mies' buildings represent as the last bastion of
the work of art as representation. Yet modern
sensibility has abandoned this procedure.
Since the empiricism of the eighteenth century, since Hume and Burke, since Uvedale
Price and Payne Knight, the aesthetic experience has been the unexpected commotion
provoked by a course pursued at random, by
an accumulation of images, by an excess of
sensations. Walter Benjamin, in his Little History of Photography, said: "The cinema provides material for collective, simultaneous repetition, just as architecture has always done."
In Mies ' work, the percept which we are offered presupposes neither a point of view nor
an order of interpretation nor hierarchy. The
modern vision which photography has developed, as Paul Virilio has suggested, has resulted in the disappearance not only of spatial distance but also of distance in time. There is
nothing fortuitous about Mies ' interest in photomontage and in having control over the photographs reproduced in his books; photographs, it should be noted, for which all notions of stage-setting or theatricality prove entirely inadequate.
In the same way, to speak of context in Mies '
work is to introduce another inadequate and
inappropriate conceptual paradigm. His
works of architecture were not produced in relation to the context, and they did not constitute a commentary on or mimesis of the place
in which they were situated. Once again, look-

ing at things in this way is a trick whose purpose is to carry Mies' work beyond the architect's own intentions. As Harold Rosenberg
said works of minimalist art, they "assert the
independent existence of the artistic object as
significant in itself" rather than in r.elation to
works from the p::~st or to social ideas and individual emotions.
This isolated, autonomous condition of the
aesthetic experience has some bearing on the
self-referential character ofMies' architecture.
With Mies, the architecture is never a monument. It is not a monument in the strict etymological sense of that word : a work that refers
to, recalls, something outside itself: an event, a
moment in history, the community, its origins,
certain civic or moral values. Mies van der
Robe refers time and again in his writings to
the spiritual meaning that the work of architecture ought to attain. Fritz Neumeyer, in his
excellent discussion of the sources of Mies'
thinking, has underlined the importance of the
phenomenological tradition of the followers of
Max Scheller. Romano Guardini and Paul
Landsberg are two contemporary thinkers
whose influence on Mies seems beyond doubt.
Perhaps, however, Neumeyer might have laid
greater emphasis on the fact that a religious
problem played a crucial role in the concerns
of each of these thinkers. In the case of Guardini, a Catholic priest, this was an endless
search for meaningful relations between human beings, things, and technology. He was
trying to reconstruct meaning in a post-Nietzschean world in which not only was God dead
but in which the Hegelian proclamation of the
death of art lay at the root of the activities of
the avant-garde. Guardini, whose writings on
liturgy and sacred symbols reveal his aesthetic
thought at its most developed, meditated
throughout his life on the transcendent significance, as something stemming from but going
beyond their concrete materiality, of the objects, the gestures and the words of human life.
Landsberg, a Jew by birth, died in a concentration camp in 1944; he was a friend of Mounier
and the French personalists and devoted his
working life to the development of a philo-

sophical anthropology, a body of thought that


set out to reconstruct a place for humanity, human production, and interpersonal relations.
This is the context in which Mies developed
his self-referential conception of the work of
art. Perhaps the difference between Mies' use
of the notion and that of the minimalists of the
sixties and later derives precisely from the degree to which this self-reference is held as being open or closed in relation to other values.
For the minimalists, the work neither appeals
to nor evokes anything other than itself. It partakes of the pure randomness inherited from
Mallarme and of the final silence of Malevich.
The work of art is self-referential because it
begins and ends in itself and explains only its
own materiality, factuality, obviousness. In
Mies there is much of this same spirit, which
preserves the work of architecture from any
temptation to make it the vehicle for some other meaning or the expression of some other
content. In Mies, too, the architecture refers to
itself. It explains how it is and makes its own
presence the primordial act of its meaning. But
in Mies there is an ethical intention that is given precise expression in the work. The entire
debate over technology in the period between
the wars is an ethical debate. Whether it be
Spengler or Heidegger, Mann or JUnger, the
reflections on technology and its products are
framed from an ethical viewpoint within the
perspective of the reconstruction that followed in the wake of Nietzschean nihilism.
Analyses of the differences between tekhne
and poesis in Greek thought, such as were being undertaken by Werner Jaeger, were born
out of a major preoccupation of the time from
which Mies van der Robe was by no means immune. The reconsideration of Medieval aesthetics, in which production and meaning
were perceived as indivisible, provided the
thinkers mentioned above, and Mies amongst
them, with an undisputable point of reference.
The autonomy of the work of architecture, the
aim of making of it once again a "solid and enduring compound," as Cezanne had said of his
project for painting, lies at the very heart of
Mies' work. This is the idea that emerges from

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This is the context in which Mies developed
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art. Perhaps the difference between Mies' use
of the notion and that of the minimalists of the
sixties and later derives precisely from the degree to which this self-reference is held as being open or closed in relation to other values .
For the minimalists, the work neither appeals
to nor evokes anything other than itself. It partakes of the pure randomness inherited from
Mallarme and of the final silence of Malevich.
The work of art is self-referential because it
begins and ends in itself and explains only its
own materiality, factuality, obviousness. In
Mies there is much of this same spirit, which
preserves the work of architecture from any
temptation to make it the vehicle for some other meaning or the expression of some other
content. In Mies, too, the architecture refers to
itself. It explains how it is and makes its own
presence the primordial act of its meaning. But
in Mies there is an ethical intention that is given precise expression in the work. The entire
debate over technology in the period between
the wars is an ethical debate. Whether it be
Spengler or Heidegger, Mann or JUnger, the
reflections on technology and its products are
framed from an ethical viewpoint within the
perspective of the reconstruction that followed in the wake of Nietzschean nilo.ilism.
Analyses of the differences between tekhne
and poesis in Greek thought, such as were being undertaken by Werner Jaeger, were born
out of a major preoccupation of the time from
which Mies van der Robe was by no means immune. The reconsideration of Medieval aesthetics, in which production and meaning
were perceived as indivisible, provided the
thinkers mentioned above, and Mies amongst
them, with an undisputable point of reference.
The autonomy of the work of architecture, the
aim of making of it once again a "solid and enduring compound," as Cezanne had said of his
project for painting, lies at the very heart of
Mies' work. This is the idea that emerges from

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1 11 1

the work. Architecture should not be solipsistic, closed in on itself, complacently satisfied
with its own interests; nor should it be purely
empirical, the "I don't search, I find" of Picasso. The Miesian project in architecture is
inscribed within a wider ethical design in
which the architect makes his contribution to
society precisely by means of the transparency,
economy, and obviousness of his architectural
proposals. His contribution is that of truth, of
honesty. That is his message.
1968 was the year that symbolically marked
the end of the modern movement and the
emergence of post modern culture, when minimalism as a current had already been given
not only its name but its definition through the
writings of Clement Greenberg, Barbara Rose,
H arold Rosenberg, Irving Sandler, and Richard Wollheim, amongst others, and with the
opening, in Berlin, of the Neuenationalgalaie,
the last of Mies' buildings to be completed in
the architect's lifetime. That same year Gilles
Deleuze published his most important book of
philosophy: Dzfjerence et repetition. "I think
we will have this work going round in our
heads for a long time to come. Perhaps one day
the century will be called Deleuzian," Foucault prophesied. To cite Deleuze's text here is
relevant because it contains a figurative way of
thinking that is capable of formulating the evident nexuses between the aesthetic experience
of minimalism and the work of Mies . Conceived as a way of breaking away from the rigidity of structuralist thinking and at the same
time of escaping from the pure de~omposition
of the post-Nietzschean carnival, Deleuze's
text lays the foundations for a process of signification and construction of meaning grounded in the imbalance that it introduces into the
monist idea of the same, the uniform, repetition and difference.
Repetition as innovation, as a mechanism of
liberation, of life and death; repetition as will,
as the opposite of the laws of nature; repetition
as a new morality beyond habit and memory.
A repetition that only attains tension and creativity with the fissures of difference, with imbalance, innovation, opening, and risk.

Studio di un intemo/Study
of an interior, 1935.

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