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Mucchi Editore
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Estratto
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 11-30
Il custode delle fonti
Lo Stato dopo lo Stato e la sua legalit
di Mauro Barberis*
Sommario: 1. Stato, sovranit e gerarchia delle fonti.
1.1. Stato. 1.2. Sovranit. 1.3. Fonti del diritto.
2. Stato giurisdizionale, costituzionale, internaziona-
le. 2.1. Diritto privato. 2.2. Diritto costituzionale.
2.2.1. Forma di governo. 2.2.2. Dichiarazione dei
diritti. 2.3. Diritto internazionale. 3. Lo Stato come
custode delle fonti. 3.1. Parentesi. 3.2. Alternanza.
3.3. Resilienza.
Il rule of law costituisce una limitazione
di tutti i poteri dello Stato,
inclusi i poteri del legislativo
(F. Hayek)
Dopo una fne pi reclamizzata della morte di Dio, lo Stato altra parola
da scrivere in maiuscolo attende ricollocazione nel nostro paesaggio intel-
lettuale. Qui comincio risalendo alle origini giuridiche dello Stato moderno,
seguendo lipotesi che esso sia stato costruito dai giuristi attribuendogli la
sovranit sulle fonti del diritto. Poi, mostro come la concezione moderna del
diritto come legislazione incontri crescenti diffcolt in almeno tre settori: pri-
vato, costituzionale, e internazionale. Infne, confronto tre ipotesi di supera-
mento dello Stato, formulate in termini di parentesi, alternanza e resilienza, e
concludo che a essere davvero superata solo la concezione dello Stato come
signore delle fonti del diritto.
*
Universit degli Studi di Trieste.
Mauro Barberis
12
1. Stato, sovranit e gerarchia delle fonti
Che io sappia, la migliore ricostruzione delle origini giuridiche
dello Stato stata fornita da Michel Troper in un lavoro recente
1
. Dopo
averla esposta altrove
2
, qui le apporto tre precisazioni importanti.
Intanto, la ricostruzione di Troper riguarda solo la concezione giuridica
dello Stato: non altre almeno altrettanto importanti (politica, militare,
economica...). Poi, tale ricostruzione pu essere estesa al tema della cri-
si dello Stato, cui non si riferiva originariamente. Infne, essa va distinta
da altre ricostruzioni che attingono allo stesso materiale storico
3
, e che
possono servire a integrarla. In questa sezione analizzo sommariamen-
te le tre nozioni attorno alle quali la ricostruzione ruota Stato, sovrani-
t, gerarchia delle fonti al fne di impiegarle nelle sezioni successive.
1.1. Stato
Di Stato possono fornirsi diverse defnizioni (giuridiche, politi-
che, militari, economiche...), secondo gli scopi conoscitivi o normativi
che ci si propone. Troper insiste a ragione che la defnizione giuridica
da lui fornita pu servire da meta-concetto (ESJ, 8) per rendere conto dei
concetti effettivamente elaborati nelle diverse epoche e culture. Credo
che una defnizione giuridica di Stato sia davvero essenziale; dopotut-
to, elementi giuridici compaiono gi nella famosa defnizione dello Sta-
to come monopolio della forza legittima. Anche per noi giuristi, peral-
tro, sarebbe opportuno evitare una riduzione dello Stato al diritto, come
quella consumata da Hans Kelsen e ampiamente discussa da Troper.
La questione della defnizione di Stato centrale anche nelle
odierne discussioni fra sostenitori di un costituzionalismo politico e di
1
Cfr. M. TROPER, The Structure of the Legal System and the Emergence of the State, in www.
nyustraus.org, paper 06/12, trad. sp. La estructura del sistema juridico y el nacimiento del Esta-
do, in Eunomia, 4, 2013, 3-32 (dora in poi ESJ seguito dal numero di pagina). Le citazioni
saranno dalla versione spagnola salvo eventuali ritraduzioni da parte di chi scrive: linglese
emergence, ad esempio, non pu tradursi semplicemente con nascita (sp. nacimiento). La
ricostruzione di Troper presenta molte analogie con quella di P. BOURDIEU, Sur ltat. Cours
au Collge de France, vol. I, 1989-1990, Paris, Le Seuil, 2012, trad. it. a cura di M. Guareschi,
Sullo Stato. Corso al Collge de France, vol. I, 1989-1990, Milano, Feltrinelli, 2013; bisognerebbe
per distinguere maggiormente fra Stato e discorso sullo Stato, o statualit: cfr. A. CARRINO,
La Dottrina dello Stato e la sua crisi, Modena, Mucchi, 2014, 32.
2
Cfr. M. BARBERIS, La fne dello Stato e altri racconti, in Filosofa politica, 27, 2013, 317-328.
3
Cfr. in particolare F. DI DONATO, La rinascita dello Stato Dal confitto magistratura-
politica alla civilizzazione istituzionale europea, Bologna, il Mulino, 2010; IDEM, La costituzione
fuori del suo tempo. Dottrine, testi e pratiche costituzionali nella longue dure, in Quad. Cost.,
2011, 4, 895-926: il quale insiste sullinstabile compromesso fra politica e magistratura che
sta allorigine dello Stato moderno.
Mauro Barberis
30
Tornando alla concezione giuridica dello Stato, da cui eravamo
partiti, si potrebbe concludere cos. Dietro lo Stato signore delle fonti
consegnatoci dalla modernit giuridica fa capolino unaltra fgura, pi
rassicurante: uno Stato custode delle fonti, che pu essere soggetto al
controllo del diritto anche perch non ne monopolizza pi la produ-
zione. Ma la limitazione del potere tramite il diritto lobbiettivo tipico
del costituzionalismo giuridico si rivela, a ben vedere, poco pi che
una limitazione del diritto
50
. Il diritto non statale pu certo controllare
il diritto statale, come s visto, ma controllare il potere unimpresa
ben pi ardua: la politica soggetta al diritto solo se e quando accetta
di farsene controllare.
Abstract
The alleged end of the State a topic more debated than Gods death in
fact just imply a relocation of the term-concept State in our conceptual land-
scape. This paper provides a sketch in three steps of such a relocation. First,
drawing from Michel Tropers The Structure of Legal System and the Emergence
of the State (2013), the origins of modern State are retraced in the doctrines of
both sovereignty and legal sources worked out by French jurists at the end of
Middle Ages. Second, the ideas issued by these processes the State as lord of
legal sources, the law as mere legislation are criticized invoking three main
counterexamples: private law, constitutional law and international law. Final-
ly, three narratives of modern State history are compared, in terms of paren-
thesis, alternation and resilience respectively, in order to derive the following
conclusion: the State is alive, after all, to be dead is only its conception as lord
of legal sources.
50
Cos letteralmente G. PALOMBELLA, La resilienza del diritto, cit., 1058: il rule of law
da intendersi soprattuto come un ideale di limitazione del diritto tramite il diritto; molto
meno perspicua la sua ricorrente invocazione come limitazione del potere (se non e
solo conseguentemente con riguardo al potere di generazione di norme). Non aveva tor-
to R. BIN, Diritti, giudici, poteri, cit., 1051, dunque, a chiedersi dove si sia trasferito un pote-
re che resta sempre altro dal diritto.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 31-48
Il diritto nellEuropa del terzo millennio
Note a una raccolta di studi
di Pietro Giuseppe Grasso*
Sommario: 1. Una silloge. 2. La formazione del diritto
privato dei popoli europei nel corso dei secoli. 3. Il diritto
privato e lavvento dello Stato moderno. La concezione rivo-
luzionaria. 4. Permanenza del diritto privato nellevoluzio-
ne dello Stato moderno pure nella successione dei regimi poli-
tici. 5. Contraddizioni di diritto positivo alla summa divisio
tra diritto pubblico e diritto privato. 6. La fondazione di un
nuovo ordinamento politico non comporta di necessit lunif-
cazione del diritto privato. 7. Sulla nozione di diritto priva-
to europeo. 8. Proposte per un codice civile europeo unico.
Aspetti problematici. 9. Sulla questione dellunit linguistica
negli atti delle istituzioni europee. 10. Crescente estensione
del diritto giudiziario nei Paesi europei. 11. Formazione di
giuristi e avvocati europei. 12. Osservazioni fnali.
Con voto del Parlamento Europeo si proposto di introdurre un codice di dirit-
to civile unico per tutti i Paesi dellUnione. da dire che in ciascuno degli Sta-
ti appartenenti allEuropa continentale sinora risulta vigente un codice civile
approvato dal legislatore nazionale. Bisogna per osservare che fra detti codici
vi sono diverse analogie di contenuti normativi e istituzionali, elaborati nel cor-
so dei secoli, per conseguenza di grandiosi movimenti comuni: il diritto romano
rimasto in vigore ancora nel medioevo e successivamente; il diritto canonico; il
diritto comune; il diritto commerciale. Nellinsieme usata anche lespressione
Civil Law in contrapposizione a Common Law. Pur con dette tradizioni comuni
si sono presentate diffcolt notevoli alla formazione di un nuovo codice conti-
nentale, che dovrebbe rappresentare un legame di continuit con la cultura che
ha rappresentato un momento della storia e dellidentit europee.
1. Una silloge
A lEurope du troisieme millnaire il titolo di una raccolta di stu-
di, dedicati in onore del professore Giuseppe Gandolf e per il deci-
mo anniversario della Accademia dei Giusprivatisti Europei avente
sede in Pavia
1
. In quattro ampi volumi sono raccolti contributi di cen-
1
AA.VV., A lEurope du troisime millenarie. Mlanges offerts Giuseppe Gandolf locca-
sion du dixime anniversaire de la fondation de lAcadmie, Milano, Giuffr, 2004, da I a IV: il vol.
IV porta la data 2009. Di seguito i riferimenti a detta raccolta sono indicati come St. Gandolf.
*
Universit degli Studi di Pavia.
Pietro Giuseppe Grasso
32
todieci studiosi italiani e stranieri, pubblicati nei testi originali, scritti
in francese, inglese, tedesco, spagnuolo, oltrech in italiano. Nel caso
ben vale losservazione di ordine generale secondo che raccolte di stu-
di siffatte possono offrire elementi utili a visioni dinsieme, riguardan-
ti aspetti del diritto positivo e indirizzi della scienza giuridica in un
dato momento.
Nei quattro volumi menzionati di molto prevalgono gli studi con-
cernenti temi e questioni di diritto privato, di cui si possono conside-
rare in certo senso complementari taluni saggi di diritto romano. Fra i
tanti spunti desumibili da una silloge davvero ampia e varia pare giu-
stifcato trarre motivi di rifessione circa le problematiche proprie del
diritto privato, inteso nella sua grandezza unitaria, nelle condizioni
storico-spirituali dellEuropa di oggi
2
. Indicative in proposito risulta-
no alcune trattazioni circa profli di ordine generale e preliminare, dal-
le quali pare dato di trarre indicazioni per una lettura minima, in setto-
ri di ricerca per cui vi ha una bibliografa assai estesa. Pur nella variet
delle impostazioni, il titolo della raccolta vale a denotare, come comu-
ne motivo ispiratore, lesigenza di comprendere questioni attinenti alla
fondazione di un futuro ordinamento continentale. Nei fatti politici
auspicata una novit radicale come linstaurazione di un unico siste-
ma di potere, dopo secoli di radicate divisioni. Ma nel contempo si
vorrebbero mantenere i risultati delle esperienze giuridiche maturate
in un corso ultramillenario. Esplicite sono le enunciazioni per le quali
espressa lintenzione di riproporre, nel futuro assetto comunitario, i
princip del costituzionalismo liberaldemocratico
3
. Ancora pi specif-
cate sono le riaffermazioni della Carta dei diritti fondamentali, procla-
mata la prima volta a Nizza, nellanno 2000.
Per il diritto privato non si riscontrano analoghe dichiarazioni di
principio, ma dato di discernere atti e comportamenti in proposito,
come le votazioni del Parlamento europeo con le quali si auspicata
lapprovazione di un codice di diritto civile per tutto il Vecchio Con-
tinente, di cui fatto cenno pi oltre. Di maggior peso sono ragioni di
carattere storico culturale, posto che il diritto privato, per la sua forma-
zione nei secoli, rappresenta uno degli elementi essenziali della civilt
europea, anche perch sviluppatosi con contenuti normativi simili nei
diversi Paesi. Per questi aspetti da ritenere che si tratti di materia rile-
2
A illustrare il senso della raccolta, come esempi si possono menzionare gli scritti
seguenti, compresi in St. Gandolf, I: F. DE MARTINO, Considerazioni sullunit del diritto priva-
to in Europa, 231 ss.; A. GUARINO, Capitale Amaurote, 317 ss.; A. TRABUCCHI, necessario andare
avanti per questa strada dellunifcazione, 515 ss.
3
Per indicazioni e riferimenti in proposito sia consentito rimandare a P.G. GRASSO,
A proposito di una carta costituzionale europea, in AA.VV., Alle frontiere del diritto costituzionale.
Scritti in onore di V. Onida, Milano, Giuffr, 2011, 921 ss. e Dir. soc., 2011, 315 ss.
Pietro Giuseppe Grasso
48
Law, secondo le considerazioni che precedono. Per usare unespressio-
ne puntuale, nel diritto privato riconosciuto il carattere di elemento
essenziale della civilt e del pensiero europei: la tradizione giuridi-
ca tramandata nei secoli, le cui origini risalgono al 450 a. C., presun-
ta data della pubblicazione delle XII Tavole a Roma
52
. La tradizione
giuridica si presenta piuttosto come un complesso di atteggiamen-
ti profondamente radicati, storicamente condizionati, sulla natura del
diritto, sul ruolo del diritto nella societ e nellassetto politico, sullor-
ganizzazione e il funzionamento di un sistema giuridico, e sul modo
in cui il diritto o deve essere creato, applicato, studiato, perfeziona-
to e insegnato. La tradizione giuridica collega il sistema giuridico alla
cultura di cui essa espressione parziale
53
. Ancora qualche parola
da farsi circa la millenaria, lenta, faticosa formazione del diritto priva-
to europeo. la risultante di evoluzioni compiute per le opere quoti-
diane dinnumerevoli soggetti e per le rifessioni di tante generazio-
ni di giuristi, durante il corso dei secoli, attraverso i cambiamenti di
regimi politici, fra popoli separati in terre anche lontane e divisi per
tanti aspetti. Fu ben altro quindi che leffetto di qualche invenzione
sopravvenuta in particolari momenti di estro. Elaborazioni come quel-
le riscontrate per il diritto privato appaiono adeguate a stabilire una
qualche comunanza didee, di cultura e anche di costumi fra le genti.
Abstract
The European Parliament has voted a proposal to introduce a single civil rights
code for all countries in the European Union. A civil code approved by the
national legislator is in force in each of the member States of the European con-
tinent. It is necessary, however, to point out that among these codes there are
various similarities in legislative and institutional contents, formulated over
the centuries as a result of common civil law bases: Roman law, which remai-
ned in force into and after the Middle Ages; canon law; common law; commer-
cial law. The overall expression Civil Law is also used as distinct from Common
Law. Despite these common traditions, there are signifcant diffculties in for-
mulating a new continental code, which should have a sense of continuity with
the culture deriving from European history and identity.
52
Per questa parte si rimanda a J.H. MERRYMAN, op. cit., 9 ss. passim.
53
Sono parole prese da J.H. MERRYMAN, op. cit., 9. Si cfr. anche F. WIEACKER, Sulle co-
stanti della civilt giuridica europea, in Riv. trim. dir. pubbl., 1986, 3 ss.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 49-87
Rifessioni di un giurista intorno alla moneta
di Giuseppe Ugo Rescigno*
Sommario: 1. Come la banca centrale crea letteralmen-
te moneta. 2. Come si presenta la moneta. 3. Sulla
moneta in quanto depositaria di valore. 4. La moneta
un credito generale e generico. 5. Ancora sulla mone-
ta come credito. 6. La banca centrale e la moneta. 7.
Le banche e la moneta. 8. I circuiti in base ai quali
gli attori del sistema economico ottengono moneta. 9.
Le condizioni presupposte che consentono le funzioni e
il movimento della moneta. 10. Tre cicli della mone-
ta. 11. Da dove viene la maggior moneta che ricevono
i proprietari di moneta? 12. La risposta alla domanda
precedente. 13. La moneta e il movimento tra propriet
e credito. 14. La duplicit della merce. 15. La dupli-
cit della propriet. 16. La propriet diventa moneta e
viceversa. 17. Le azioni. 18. Le obbligazioni. 19.
Le cartolarizzazioni. 20. Una enorme e sempre crescen-
te massa creditoria alla ricerca spasmodica del maggior
proftto. 21. Una prima conclusione di ordine genera-
le partendo dalla moneta e ritornando ad essa. 22. Una
seconda conclusione partendo dalla moneta per arrivare
alla intera societ. 23. La conclusione pi importante.
1. Come la banca centrale crea letteralmente moneta
Le pagine che seguono espongono rifessioni iniziate dopo la let-
tura di una notizia che per qualche ragione (che posso tentare di indo-
vinare ma che qui non ha alcuna importanza indagare) mi colp profon-
damente: per pi di un anno e ancora oggi nel momento in cui scrivo
(gennaio 2014) la Fed (la Banca centrale degli Stati Uniti) ha attuato ed
attua la politica del c.d. quantitative easing, e cio ogni mese da pi di
un anno emette moneta per 85 miliardi di dollari, con i quali compra
obbligazioni sia dello Stato che delle banche (con lovvia conseguenza
che Stato e banche ogni mese possono a loro volta spendere in pi 85
miliardi di dollari). Ho poi letto che la medesima linea hanno segui-
to e stanno ancora seguendo la banca centrale del Giappone, quella di
Gran Bretagna ed in sostanza (anche se con limitazioni dovute al trat-
tato che disciplina tale banca) la Banca centrale europea.
*
Universit degli Studi La Sapienza di Roma.
Giuseppe Ugo Rescigno
50
Questa lapparenza con cui si presenta la notizia di una cosa e
quindi la cosa stessa fnch si resta fermi alla notizia (la cosa in que-
sto caso ci che in prima approssimazione e secondo una evidenza
empirica possono fare e fanno le banche centrali).
Lapparenza ci dice anche senza ombra di dubbio che chiunque
disponesse di x miliardi di dollari avrebbe un potere di acquisto enor-
me, e cio sarebbe molto ricco o vedrebbe incrementata la sua ricchezza
in modo signifcativo. Poich la banca centrale emette moneta o con lo
stampare e distribuire banconote o pi spesso mediante scritture con-
tabili, oggi basate su supporti informatizzati che trasferiscono limpor-
to su altri supporti informatici presso i benefciari della distribuzione
di moneta, la straordinaria apparenza quella di creazione di ricchez-
za dal nulla.
Non pu essere cos, la ricchezza e laumento di ricchezza non
possono venire dal nulla, per mero atto di volont di qualcuno: dietro
lapparenza ci deve essere qualcosa di non immediatamente visibile
che spiega anche lapparenza con cui la cosa si presenta
1
.
2. Come si presenta la moneta
Vediamo allora come si presenta la moneta
2
: qui per moneta inten-
do una delle tante monete presenti nel mondo, quali ad es. il dollaro, la
sterlina , leuro e cos via.
1
I libri che ho letto, e pi spesso riletto, da cui trarre preziose informazioni e conti-
nue occasioni di rifessione e apprendimento per scrivere questo mio lavoro sono natural-
mente piccola cosa rispetto alla mole sterminata di opere intorno alla moneta; ma anche
cos ridotte sono troppo numerose per darne suffciente notizia in un saggio dalle dimen-
sioni necessariamente contenute come quello qui presentato; a parte le poche citazioni indi-
spensabili nelle pagine seguenti, mi limito qui a ricordare autori recenti e meno recenti che
hanno costituito lo sfondo principale e generale al cui interno mi sono collocato (cito dal-
le pi recenti alle pi antiche): M. REVELLI, Post-Sinistra Cosa resta della politica in un mondo
globalizzato, Bari-Roma, Laterza, 2014; M. DE CECCO, Ma cos questa crisi LItalia, lEuropa e
la seconda globalizzazione (2007-20013), Roma, Donzelli, 2013; L. GALLINO, Finanzcapitalismo
La civilt del denaro in crisi, Torino, Einaudi 2011; IDEM, Il colpo di Stato di Banche e Governi
Lattacco alla democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2013; IDEM, Globalizzazione e disuguaglian-
ze, Bari-Roma, Laterza, 2000; V. RUGGIERO, I crimini delleconomia Una lettura criminologica
del pensiero economico, Milano, Feltrinelli, 2013; J.E. STIGLITZ, Bancarotta Leconomia globale in
caduta libera, Torino, Einaudi, 2010; U. MATTEI, L. NADER, Il saccheggio Regime di legalit e tra-
sformazioni globali, tr. it., Milano, B. Mondadori, 2010 (2008); C.R. MORRIS, Crack Come siamo
arrivati al collasso del mercato e cosa ci riserva il futuro, con introduzione di L. Spaventa, Roma,
Elliot, 2008; N.N. TALEB, Il cigno nero Come limprobabile governa la nostra vita, Milano, Il Sag-
giatore, 2009 (2007); R. C. LIPSEY, K.A. CHRYSTAL, Economia, ed. it. condotta sulla ottava edi-
zione inglese, Bologna, Zanichelli, 1999; R.L. HEILBRONER e L.C. THUROW, Capire leconomia
Come funziona leconomia e come sta cambiando il mondo, Milano, Il Sole-24 Ore, 1999 (1982);
R. PARBONI, Finanza e crisi internazionale, Milano, Etas, 1980; IDEM, Moneta e monetarismo- Da
Keynes a Friedman, Bologna, il Mulino, 1984; R. HILFERDING, Il capitale fnanziario, introduzio-
ne di G. Pietranera, Milano, Feltrinelli, 1961 (1910).
2
User prevalentemente la parola moneta, ma talvolta, secondo luso, anche dana-
ro (o valuta nel caso della moneta che si scambia nel mercato appunto delle valute). Sareb-
Rifessioni di un giurista intorno alla moneta
87
t, sicuramente), quali rapporti tra le aree di mercato e quelle non di
mercato vanno creati per non creare squilibri e crisi?
Naturalmente sterminate sono le condizioni e le conseguenze
da individuare e studiare per dare coerenza e credibilit alle diverse
ipotesi, in termini economici, sociali, morali, giuridici; a me piacereb-
be misurarmi con tali questioni, ma soprattutto mi piacerebbe che vi
fossero forze sociali e politiche signifcative che si pongono domande
eguali o simili o vicine, e che vi fossero in queste direzioni da un lato
esperienze signifcative e dallaltro insegnamenti dalla esperienza per
migliorarla e correggerla. Per ora mi accontento, posto che non pos-
so fare altro e non vedo quanto mi piacerebbe vedere, di togliere alla
moneta il velo di mistero e di magia che lavvolge, di guardare in fac-
cia la sua tragica realt attuale.
Abstract
According to the media, central banks put money into economic systems by
printing banknotes or, more often, by entering money into accounting records
and lending this money to the State or banks. To all appearances, this looks
like the creation of wealth from scratch. Since this is not possible, the author
intends to provide an account of the nature of money using juristic means.
The key starting point is that money is a generic and general credit, similar to
ordinary credit but essentially distinct from it, by virtue of its being generic
and general. On the basis of this statement, it is possible to analyse how any
credit or property may become money and vice versa, and how and why ev-
ery economic circle becomes a continuous movement and transformation of
money, with the aim typical of the capitalist system of having a greater
return on the money than the amount invested. The entire analysis assumes
that State and legal system protect the above-mentioned functions of money;
for this reason, at the end of his work the author wonders whether the State
and its laws are in fact capable of governing, controlling and of even remov-
ing some functions of money, in order to pursue objectives other than proft.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 89-100
Discussione sul divenire
Una prima risposta a Biagio de Giovanni
di Emanuele Severino*
Giuristi e flosof del diritto da sempre hanno dimestichez-
za con quelle verit artifciali che passano sotto il nome di
dogmi. Il fenomeno della volont interpretativa che for-
zi a considerare fatto ci che, in s, non sarebbe un possi-
bile contenuto desperienza tuttavia rischia dessere ben
pi esteso e radicale di quanto possa manifestarsi nel solo
mbito giuridico. La stessa morte fatto o interpretazio-
ne? Questa tappa del dialogo fra Emanuele Severino e Bia-
gio de Giovanni che Lo Stato si pregia qui dospitare per
il suo universale valore teorico racchiude cos in ununica
domanda, solo apparentemente provocatoria, lestrema sf-
da lanciata a tutte le categorie flosofche del Pensiero Occi-
dentale. (La Direzione)
Le domande della flosofa sulle cose ultime della nostra esisten-
za nascono con luomo e si estingueranno solo con lui, scrive Bia-
gio de Giovanni. Cio luomo non pu non porsele, ma non potr mai
risolverle. E la domanda fondamentale riguarda il rapporto tra eternit
e tempo, infnito e fnito, verit e storia. Ed egli aggiunge che le moda-
lit di questo rapporto sono illimitate e in Gentile e Severino sembrano
toccare il punto di unantitesi radicale fra ci che e ci che diviene
1
.
Come ogni tesi di de Giovanni, anche questa accompagnata da tut-
to un insieme di suggestive sfumature, ma anche in questa sua peren-
toria formulazione essa coglie il senso essenziale dellinterpretazione
che nei miei scritti vien data di Gentile. E sono daccordo anche sulla
posizione che de Giovanni assegna alla flosofa: la flosofa non una
sovrastruttura che resa possibile da qualcosa di pi profondo, ma
il cuore della storia europea e dellOccidente, il terreno, amo dire, in
cui crescono non solo le forme di sapienza, ma le opere stesse, le res
gestae dellOccidente. Scrive: Luomo , kantianamente, ente metafsi-
1
B. DE GIOVANNI, Disputa sul divenire. Gentile e Severino, Napoli, Editoriale Scientifca,
2013, XI s.
*
Universit Vita-Salute San Raffaele, Milano; Emerito dellUniversit degli Studi Ca
Foscari, Venezia.
Emanuele Severino
90
co, prima di essere animale politico
2
. Sono daccordo, anche se poi
ma de Giovanni non ha bisogno che lo ricordi , nei miei scritti, il rap-
porto tra fnito e infnito inteso in modo del tutto diverso non solo dal
criticismo kantiano ma dal modo in cui lintero Occidente ha pensato
tale rapporto. (LOriente non lalternativa, ma la preistoria dellOc-
cidente e preistoria, cio preparazione dellOccidente, tutta la vita
delluomo da che egli abita la terra).
E dico subito che sono grato a de Giovanni per il suo essere anda-
to in profondit in questo suo scritto un modo inedito, direi, di pren-
dere in considerazione i miei, come alla sua uscita concordavamo con
Vincenzo Vitiello. Tanto che amplier questo articolo dandogli for-
ma di libretto, che uscir nella collana Piccole Conferenze diretta da Aljs
Vignudelli.
Riferendosi alla mia interpretazione della storia dellOccidente e
del rapporto tra attualismo gentiliano e tecnica, de Giovanni osserva
che se Gentile per eccellenza il flosofo della tecnica, ovvero del-
la vera potenza che per Severino domina il mondo, e della radicale
distruzione di ogni Immutabile, per questa sola ragione Gentile diven-
ta il punto pi alto e coerente dellalienazione, o fede, che domina
la storia delluomo e che i miei scritti intendono portare alla luce
e negare, essendo tanto pi radicata quanto pi nascosta: la fede nel
diventar altro da parte delle cose. Nella sua forma pi compiuta essa
pensa nel proprio inconscio che quel che , nulla. De Giovanni non
condivide lesistenza della solidariet tra attualismo e tecnica. Ritiene
per che per Gentile quel che , nulla. Ma per Gentile questa affer-
mazione signifca innanzitutto che lessere divenire (esce dal nulla e
vi ritorna). Su un signifcato pi specifco di tale affermazione si ritor-
na qui avanti.
Tuttavia lAtto, per Gentile, il divenire stesso, che pu essere tale
solo in quanto il divenire dellesperienza, ossia della realt pensata (o
del pensiero della realt: pensiero e realt inscindibilmente uniti) che
continuamente superata e annientata dal prodursi di nuove realt, di
nuove verit. Autocreazione della realt. E poich il pensiero coscien-
za di s proprio perch coscienza della realt , esso Io (lIo che
non cosa tra le cose, ma il Tutto in cui ogni cosa e ogni tempo si pre-
sentano). Lautocreazione coincide con lautocoscienza. Daltra parte
lIo anche un dialogo con s stesso, un Noi, cio Stato: quella
societ trascendentale a cui Gentile guarda nellultima delle sue ope-
re, Genesi e struttura della societ. Lautocreazione della realt lauto-
creazione della societ trascendentale, che dunque la potenza som-
ma. Il pensiero volont creatrice.
2
B. DE GIOVANNI, op. cit., XII.
Emanuele Severino
100
terra isolata. Non solo non va detto, quindi, che nessuna cosa dove
la parola manca, ma non va detto nemmeno che la parola fa apparire
la cosa. Nel tempo del contrasto tra il destino e la terra isolata, la cosa
(il destino) appare anche se le manca la parola; e tuttavia la parola
dellisolamento a lasciare nellombra del non detto il destino. (Con ci
si apre il problema, che altrove ho affrontato, del rapporto tra il desti-
no e il linguaggio che invece lo testimonia).
Infne, tornando allantitesi radicale tra Gentile e i miei scritti,
vorrei aggiungere, a quelle prospettate da de Giovanni, unulteriore
opposizione tra le due dimensioni. In breve: per Gentile laccadimento
della storia e dei suoi contenuti vera realt (anche se si tratta di una
verit in continua trasformazione); i miei scritti mostrano invece che
quellaccadimento il contenuto della fede in cui consiste la terra iso-
lata. Nel destino appare lesistenza di questa fede e dei suoi contenu-
ti: nel senso che tale esistenza innegabile, non nel senso che sia inne-
gabile ci che in questa fede viene affermato che anzi non solo non
innegabile, ma errore perch qualcosa che, comunque si confguri,
appare isolandosi dalla verit che pur appare e rende possibile lappa-
rire della fede.
Abstract
The paper which is an initial response to an earlier work by Biagio de
Giovanni on the same subject calls for a return in a critical vein to the philo-
sophical concept of becoming. Western thought is based on the postulate
that things (all things) are born and die; that every object and every person in
the world is nothing more than burning wood appears to be the main proof
underpinning our cultural horizon. Emanuele Severino argues here the in-
terpretative nature of that proof, denying that it could have rigorous empiri-
cal grounds and demonstrating, at the same time, its implicit contradiction
that is to say, the equating of being and non-being, which would confrm the
extreme folly of Western thought.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 103-124
Ma, davvero, in mezzo a tutte queste rovine
non c altra via che il silenzio?
Il carteggio tra Norberto Bobbio e Carl Schmitt (1949-1980)
In occasione del decennale della morte di
Norberto Bobbio vogliamo ricordare il giurista e
flosofo torinese, che tanto ha contribuito al dibattito
culturale italiano nella seconda met del secolo
scorso, ristampando il carteggio che intrattenne con
il giurista e flosofo tedesco Carl Schmitt.
Quando lepistolario venne pubblicato per
la prima volta, in edizione flologicamente curata
da Piet Tommissen e su iniziativa di Agostino
Carrino, che in quegli anni intratteneva un rapporto
continuo con Bobbio, il quale a lui affd appunto
la divulgazione di tale corrispondenza attraverso Diritto e cultura (anno V, 1995, n. 1, 49-
81), le reazioni furono immediate e in qualche caso di sconcerto. Come poteva Norberto Bobbio,
pensatore liberale, socialista in politica, attento studioso di Kelsen, essere stato amico di penna
del solfureo giurista tedesco Carl Schmitt, presunto Kronjurist del Terzo Reich, grande avversario
nella scienza giuridica proprio di Hans Kelsen?
Eppure, nel 1980 Bobbio, in una lettera a Schmitt che riprendeva un contatto interrottosi
molti anni prima, volle ricordare proprio il loro primo incontro personale presso la casa berlinese
del giurista di Plettenberg, nellestate del 1937. In quegli anni, per la verit, Bobbio, come ha avuto
modo egli stesso di ricordare, non solo non era ancora un kelseniano, ma era un anti-kelseniano,
avendo avuto modo di criticare il suo formalismo in maniera non dissimile proprio da Schmitt o
dagli altri giuristi antipositivisti dellepoca weimariana, Smend, Kirchheimer, Heller.
Non questa la sede per cercare di spiegare le ragioni di questo carteggio e ci, a nostro avviso,
perch non v necessit di farlo, quasi che Bobbio dovesse giustifcarsi o essere giustifcato per aver
intrattenuto una relazione con un pensatore che, per quanto da lui lontano scientifcamente, per
quanto reazionario, poteva comunque certamente insegnare qualcosa anche a chi reazionario
non era e aveva posizioni culturali e politiche molto distanti. Del resto, Bobbio aveva anche detto
che dai reazionari si poteva imparare e ci perch, bene o male, egli stesso si inseriva nel flone dei
pensatori realisti (del realismo politico, beninteso), del quale fanno parte autori, da Machiavelli a
Hobbes, da Hegel a Pareto a lui cari e, in fondo, cari agli stessi Schmitt e Kelsen, da lui interpretato
in maniera che fosse conciliabile con una spiegazione realista del processo di produzione del diritto
Come che sia, Bobbio stato un pensatore complesso, scosso dal dubbio, sempre alla ricerca.
Nessuno pu rimproverargli di aver cercato la verit o nuovi dubbi? anche in una casa di
Berlino addirittura non tanto lontana dalla Kanzlerei hitleriana. Ci che conta, in ultima analisi,
quanto ci ha lasciato dal punto di vista intellettuale, la passione per la democrazia mai disgiunta
dalla consapevolezza che proprio la libert il bene pi fragile da conservare. Forse proprio a tal
fne, per difendere la libert e la democrazia, per utile ascoltare anche la voce di chi nella libert
e nel suo valore pu aver dubitato. (La Direzione)
Il carteggio Bobbio - Schmitt (1949-1980)
104
Plettenberg (Westfalen)
(Zona Britannica) 15/XII 48
Stimatissimo Signor Prof. Bobbio,
pu perdonare un vecchio ammiratore ed esperto di Hobbes che
si rivolge a Lei direttamente chiedendoLe se sia possibile avere la Sua
edizione del De Cive di Hobbes?
Ne ho sentito parlare e sarei felice di conoscere la Sua edizione. Ho
perso la mia bella, grande biblioteca, ma, con particolare soddisfazione,
ho salvato la Sua edizione della Citt del Sole di T. Campanella. Potrei
pregarLa, qualora vi fossero diffcolt a inviare libri in Germania, di man-
dare una copia al signor Armin Mohler, Rigistr. 36, a Basel (Schweiz)?
Il nome di Hobbes compare anche in una noterella, privata, Ex
captivitate salus, dellanno 1946. Potrei mandarLe una copia di questo
documento, se avr la bont di comunicarmi il Suo indirizzo. Nel Bol-
lettino del 1948 (vol. XXIV, fasc. 1) della Facolt di Giurisprudenza di
Coimbra trova una nota: Historiographia in nuce (su Tocqueville). L
lessi anche un riferimento del prof. Mereo (Coimbra) a un libro di Pas-
serin dEntrves su Filmer. Se non esagerato, vorrei permettermi di
chiederLe come sta il signor Passerin dEntrves e dove lavora adesso.
Di nuovo, La prego di avere unamichevole indulgenza verso le
mie richieste. E, tuttavia: on se lasse de tout except de penser. Con le-
spressione della mia sincera stima rimango sempre
il Suo devotissimo
Carl Schmitt
Torino, 26. dic. 1948
via Sacchi 66
Illustre Professore Schmitt,
pensi che dacch fnita la guerra la Sua lettera la prima voce
diretta che mi giunge dalla Germania dotta alla quale, come Ella sa, ero
legato da vincoli non soltanto culturali ma anche personali. Accolgo,
dunque, questa lettera come un gradito segno che la vita intellettuale
non si spegne pure in mezzo alle enormi diffcolt che le si oppongono,
e con laugurio che rappresenti linizio di nuove relazioni alle quali io,
per conto mio, sono ben lieto di dare il mio piccolo contributo.
Ho pregato leditore di mandare allindirizzo da Lei indicato la
mia edizione del De Cive. Perch la sua aspettativa non sia delusa, Le
debbo aggiungere che si tratta di una traduzione italiana del celebre
testo, da me commentata e accompagnata da una introduzione di carat-
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 125-164
Colloquio su Princpi, Diritto e Giustizia
Intervista al Prof. Robert Alexy (Kiel, 27 febbraio 2014)
di Federico Pedrini*
Robert Alexy, emerito di Diritto Pubblico e Filo-
sofa del Diritto della Christian-Albrechts-Univer-
sitt zu Kiel, uno tra i massimi teorici del dirit-
to contemporanei. Eminente giurista e flosofo
giuridico infuentissimo, nel corso del tempo ha
dialogato con i maggiori esponenti di entrambe
le discipline, da Ernst-Wolfgang Bckenfrde a
Jurgen Habermas, da Eugenio Bulygin a Joseph
Raz, da Ronald Dworkin a John Rawls.
Nella sua vasta produzione scientifca si con-
frontato con tutti i pi grandi temi del moderno
costituzionalismo, pubblicando opere cruciali
in tema di princpi e di bilanciamento, di teo-
ria del discorso e dellargomentazione giuridi-
ca, di rapporto fra diritto e morale e di relazione
fra diritti fondamentali, giustizia costituzionale
e democrazia.
Introduzione. Taking Non-Positivism Seriously**
Zwei Seelen wohnen, ach! in meiner Brust
(Faust I, 1112)
Due anime, ahim, mi dimorano in seno.
Forse proprio il celebre verso di Goethe, archetipo delle tensioni
contrastanti che fatalmente convivono in ogni natura complessa, pu
riuscire al meglio nel diffcile compito dintrodurre la sfaccettata fgura
di Robert Alexy, costituzionalista di fama mondiale e teorico del dirit-
to tra i pi autorevoli del nostro tempo contemporaneamente citato e
criticato, apprezzato e avversato, accolto e respinto (quanto non diret-
tamente rimosso) per ragioni in apparenza inconciliabili.
Da un lato il non-positivismo, il forte interesse per le connessio-
ni fra diritto e giustizia, per largomentazione giuridica, per il bilancia-
mento fra princpi, per la piena valorizzazione della dignit della per-
*
Alma Mater Studiorum - Universit degli Studi di Bologna. Alexander von Humboldt
Research Fellow presso la Freie Universitt Berlin.
**
Di Federico Pedrini.
Federico Pedrini
126
sona e dei diritti umani e fondamentali, per la giustizia costituzionale
come tessitrice dun discorso pubblico aperto fra giudici, giuristi e
opinione pubblica. Dallaltro lato lapproccio tenacemente analitico e
la conseguente acribia nellelaborazione di categorie e concetti sempre
pi precisi, la propensione alle indagini strutturali e formali, la scom-
posizione e ricomposizione dei pi complessi e spesso solo chiacchie-
rati problemi giuridici in formule matematiche esatte, la promozione
della razionalit e della correttezza come valori di fondo dogni imma-
ginabile sintassi giuridica.
Eppure, a meglio considerare, la pretesa contraddizione tra le due
citate polarit si svela presto meramente fttizia, concretando semmai
il contrasto fra di esse una contingenza storica, non gi unautentica
necessit concettuale. Segnatamente il loro possibile e fruttuoso connu-
bio, anzi, parrebbe costituire il Leitmotiv dellintervista che qui si pro-
pone, il cui senso ultimo parrebbe potersi riassumere in un trasversa-
le e defnitivo appello a prendere davvero sul serio il non-positivismo.
Un invito rivolto com ovvio anzitutto ai giuspositivisti aprio-
ristici che tuttora sostengono la potenziale arbitrariet di qualsivoglia
decisione o contenuto giuridici, ma che sbito si trasforma anche in un
monito per tutti i corifei generalisti dello stesso non-positivismo, a
partire dai neocostituzionalisti la Dworkin ultima maniera rispetto
ai quali oggi si potrebbe parlare a malapena di una teoria. Per entram-
be queste categorie, infatti, Robert Alexy rischia di divenire la prover-
biale spina nel fanco o, comunque, una coscienza teorica assai sco-
moda , mostrando come un modo rigoroso di procedere possa e debba
essere praticato anche presso coloro che non si collochino sulle sponde
dellauctoritas facit legem.
Non un caso, allora, se anche dalle considerazioni articola-
te durante questo Colloquio viene progressivamente a delinearsi un
manifesto programmatico idoneo, potremmo dire, a scontentare un
po tutti, che da una parte rende molto pi laborioso attaccare la posi-
zione non-positivistica riducendola comodamente agli stereotipi clas-
sici del giusnaturalismo e dallaltra detta per vincoli stringenti e non
negoziabili ai voli di fantasia (anche solo linguistica) e allestro fabu-
latorio di chi voglia prender quartiere allinterno di questo pi fortif-
cato perimetro teorico.
La prima e pi importante premessa dello statuto metodologi-
co che ne emerge costituita dal rilievo secondo cui esistono struttu-
re generali di razionalit, valide dunque per qualsiasi scienza umana,
compresa quella giuridica. segnatamente (e solo) in forza di tali strut-
ture che si possono gettare le basi le fondamenta razionali, appunto
per una dimostrazione della connessione necessaria fra diritto e morale,
per una concettualizzazione dei princpi giuridici (e in particolare dei
Federico Pedrini
164
A. Sarebbe quello di poter precisare meglio gli ulteriori svilup-
pi della teoria dei princpi formali e del rapporto fra diritti fondamen-
tali e democrazia rispetto alla giustizia costituzionale. il mio attuale
mbito di ricerca
(Traduzione dal tedesco di Federico Pedrini)
Abstract
This interview article offers a critical analysis of the key stages in the thought
of Robert Alexy, highlighting the characteristics peculiar to the non-positi-
vist position of the well-known jurist and philosopher of law. In particular,
Alexys position is examined and brought up to date as regards the connec-
tion between law and (certain forms of) morals, investigating the theoretical
premise constituted by the demand for correctness required by any juridi-
cal system. Furthermore, the article focuses on the evolution within the theo-
ry of principles, highlighting its reconstruction in terms of optimisation pre-
cepts, the ideal duty and their criterion of distinction from the rules. The
fnal part offers a number of transversal considerations on the limits of ju-
dicial interpretation and application, outlining the theory of discretionality
which the author believes essential to democratic constitutionalism.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 167-185
Ulisse e le corde: dalle Province allarea vasta
di Carmine De Angelis*
Sommario: 1. Il nodo Province nel vortice del-
la legislazione di crisi. 2. Il ritorno del mito
abolizionista: di riforma in riforma. 3. Tanto
tuon che piovve: il giudizio di illegittimit del-
la Corte Costituzionale riguardo alla ristruttura-
zione istituzionale. 4. Come se nulla fosse:
una legge ponte nellattesa di una riforma costi-
tuzionale.
1. Il nodo Province nel vortice della legislazione di crisi
Negli ultimi anni lamplifcazione della crisi economica ha deter-
minato ripercussioni non solo sul sistema legislativo ma fnanco sul-
la complessa articolazione costituzionale. La logica emergenziale dei
provvedimenti adottati dallo Stato, privi di prospettiva sistemica e
di coerenza, ha eroso il circuito rappresentativo
1
, scosso il riconosci-
mento pieno delle autonomie locali
2
e trasfgurato, in una prospet-
tiva di stampo dichiaratamente neocentralistica, il pluralismo delle
architetture territoriali
3
. Inoltre, i dichiarati propositi di contenimen-
to della spesa pubblica, di pareggio di bilancio e rispetto degli obbli-
ghi internazionali, giustifcativi ad utilizzare da parte del legislatore
1
Sul piano normativo gli effetti di questa compressione sono visibili gi sia nella leg-
ge 23 dicembre 2009, n. 191, che nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Cfr. N. VICECONTE,
Legislazione sulla crisi e Consigli regionali: riduzioni dei costi della politica o della democrazia?, in
Istituzioni del Federalismo, n. 1, 2013, 29 ss.
2
Sul punto si rimanda a: G. PIPERATA, I poteri locali: da sistema autonomo a modello razio-
nale e sostenibile?, in Istituzioni del Federalismo, n. 3, 2012, 503-522; S. MANGIAMELI, Le Regioni e
le autonomie tra crisi della politica e ristrutturazione istituzionale, in IDEM, Le Regioni italiane tra
crisi globale e neocentralismo, Milano, Giuffr, 2013.
3
Cfr. S. STAIANO, Le autonomie locali in tempi di recessione: emergenza e lacerazione del
sistema, in Federalismi.it, 2012.
*
Universit degli Studi di Roma Foro Italico.
Carmine De Angelis
168
anche strumenti eccezionali
4
, non sempre sono stati contrassegnati
da linearit e corrispondenza: anzi gli esiti sono stati assai sfumati, le
razionalizzazioni ridimensionate
5
e le restrizioni si sono rivelate uno
scambio verso dislocazioni diverse di risorse
6
.
Cos, come spesso avviene, gli scenari avanzati di legislazioni con-
cepite per assunti ideologici hanno prodotto effetti confusi, improvvi-
sati o inapplicati, e dilatati infruttuosamente nel tempo a causa degli
adempimenti procedimentali complessi. Ci che appare del tutto evi-
dente la diffcolt di prefgurare nitidamente un nuovo assetto ordi-
namentale o pi sinteticamente ravvisare una linearit degli intenti
prefgurati dalla normazione. In una forma probabilmente irreversibi-
le il rafforzamento dei caratteri emergenziali e la centralizzazione dei
meccanismi di fnanza pubblica hanno ridimensionato numerose sfe-
re di autonomia dellordinamento degli enti locali
7
. Che si tratti di tec-
niche legislative legittimate allinterno degli obiettivi di contenimento
dei costi, di decisioni cooptate dalle istituzioni europee
8
o piuttosto di
una ricalibratura della riforma costituzionale del 2001
9
, comunque lef-
fetto costante degli ampi provvedimenti resta la lenta erosione dellau-
tonomia locale
10
.
Gli ultimi anni hanno visto cos una progressiva divaricazione
sempre pi chiara quanto pericolosa tra la valorizzazione del fonda-
mentale principio autonomistico sancito nellart. 5 della Costituzione
e dalla Carta europea dellautonomia locale e le logiche di risparmio
sulla spesa pubblica, ovvero tra il necessario prezzo della democrazia
e i pesanti costi della politica. Cos lo stato ritorna sui suoi passi, frena
4
Corte costituzionale, 11 ottobre 2012, n. 233.
5
Ad esempio, dallanalisi delle voci della Banca dati Siope del Ministero dellecono-
mia i costi degli enti strumentali sono passati da 7,4 miliardi nel 2012 a 8,4 miliardi nel 2013.
Nel dettaglio nel 2013 il costo degli ATO (la legge 26 marzo 2010, n. 42 ne prevedeva la sop-
pressione entro il 2011) stato di oltre 126 milioni di euro, cos anche i Bacini imbriferi Mon-
tani sono costati 254 milioni di euro e il costo dei Consorzi passato da oltre 459 milioni di
euro a pi di 583 milioni di euro.
6
La plastica visione di una normazione a partita di giro pu essere scorta negli
effetti rovesciati del decreto-legge 31 dicembre 2012, n. 23. In specie, il tetto alla remunera-
zione dei consiglieri regionali previsto dalla norma (la somma di indennit, diarie e rimbor-
si non avrebbe dovuto superare gli 11.100 euro lordi), stato aggirato in molte Regioni
riducendo lemolumento totale alla voce dellindennit, che tassabile, ma aumentando la
diaria, che un rimborso a forfait, quindi di fatto un reddito non tassabile.
7
Cfr. V. TONDI DELLA MURA, La riforma delle Unioni dei Comuni tra ingegneria e
approssimazione istituzionali, in Federalismi.it, 2012, 3 ss.
8
Basti pensare allimpatto notevole che ha avuto la lettera spedita il 5 agosto 2011
al governo italiano dallallora presidente della Bce Jean-Claude Trichet con la quale veni-
va rimarcata lesigenza di prendere immediatamente misure per garantire una revisio-
ne dellamministrazione pubblica allo scopo di migliorare leffcienza amministrativa e la
capacit di assecondare le esigenze delle imprese, abolendo in tal senso i livelli interme-
di di governo.
9
Sul punto L. VANDELLI, Crisi economica e trasformazione del governo locale, in Il libro
dellanno del Diritto 2012, Roma, Treccani, 2012, 309 ss.
10
Cfr. S. STAIANO, Le autonomie locali in tempi di recessione, cit., 5 ss.
Ulisse e le corde: dalle Province allarea vasta
185
za territoriale sia scosso, quasi compromesso, da unapprossimazione
istituzionale.
Le nuove disposizioni sulle Province bismarckianamente devo-
no piacere, appagare e soddisfare: approfondirne il senso, la ratio e
guardarle come vengono fatte potrebbe, forse, far emergere il grado
di sconfortante superfcialit e la costante sordit dei nuovi costituen-
ti alle istanze costituzionali. Daltronde, pi che lesito dellopera di
revisione, interessa lattivit di revisione in s; pi che la riforma (com-
piuta e coerente) interessa il riformare (ininterrotto ed instancabile)
79
.
Abstract
This paper reviews the actual challenge for italian local government, with a
special focus on the provincial role. The organization and regulation of local
powers in Italy have been debated over a long period of time. The Provinces
have for many years been considered a wasteful and largely superfuous lay-
er of local government whose tasks could be redistributed among the smaller
town councils and the larger regional authorities. The analysis contrarily re-
marks a fundamental role of Provincial governments in delivering services to
the public.
79
Ibidem.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 187-196
La garanzia aristocratica della democrazia
(a proposito della sent. Corte cost. n. 1 del 2014)
di Massimo Luciani*
Sommario: 1. Le categorie. 2. Il quadro
normativo. 3. La sentenza. 4. La lezione
1. Le categorie
Il mito della forma di governo mista sembrerebbe tramontato:
pochi ne parlano; pochi, nella discussione pubblica e nello stesso dibat-
tito tra i giuristi, sinteressano ancora delle categorie classiche del pen-
siero politico. Quel mito, si sa, era stato alimentato dal successo delle
Storie di Polibio, che, riprendendo spunti platonici e aristotelici, aveva
esaltato la forma di governo della repubblica romana al massimo del
suo fulgore (e subito prima della sua crisi, dovuta soprattutto a quel-
lo sviluppo repentino che in poco tempo laveva condotta a domina-
re, dopo le vittorie su cartaginesi e macedoni, tutto il Mediterraneo). Il
mito ha percorso lintera storia del pensiero politico e giuridico occi-
dentale, sino alla modernit, e aveva dalla sua due punti di forza: le-
sempio storico del successo e della durata dellesperienza romana; il
convincimento che le spinte disgregatrici interne a ciascuna forma di
governo (che avrebbero fatalmente comportato la loro degenerazio-
ne e innescato la fatale anakklosis)
1
sarebbero state contenute, se non
1
E cio il passaggio da una forma di governo allaltra, in un eterno circolo che alter-
nava le tre forme di governo buone (monarchia, aristocrazia, democrazia) alle tre forme
di governo cattive (tirannia, oligarchia, oclocrazia).
*
Universit degli Studi di Roma La Sapienza.
Massimo Luciani
188
annullate, da una sapiente miscela degli elementi delluna e dellaltra,
cos come aveva fatto appunto Roma.
In realt, sotto quella forma di governo mitizzata giaceva un
implicito riconoscimento del concreto assetto degli interessi materia-
li e degli effettivi rapporti sociali in Roma antica, tanto che in essa ogni
istituzione costituzionale riproduceva una parte di quegli interessi e
proiettava un aspetto di quei rapporti al livello delle istituzioni. Ben
pochi lo compresero (e, probabilmente, ben pochi, ancora oggi, linten-
dono): solo Machiavelli ebbe subito la cosa ben chiara in mente, come
dimostrano le folgoranti osservazioni sul tribunato romano che tro-
viamo nei Discorsi. Era fatale, dunque, che, sia pure inavvertitamen-
te e per molti inconsapevolmente, la forza del mito prendesse ad affe-
volirsi una volta che si cominciato ad avvertire come le condizioni
materiali sulla cui base era nato si erano modifcate. Non solo: lam-
pliamento dorizzonte segnato da Montesquieu, che osserva giusta-
mente Bobbio come Vico aveva assunto la prospettiva della flosofa
della storia, ma laveva allargata al di l dellantichit classica
2
, invita-
va a cancellare i segni del pi lontano passato e sollecitava una rifes-
sione pi prossima alle esigenze della modernit.
Di qui, dunque, la crisi del mito. Eppure, crisi non signifca scom-
parsa. Come negare, infatti, che la dottrina della divisione dei poteri o
quella dei checks and balances, pur essendo assai diverse da quella del-
la forma di governo mista, ne abbiano ripreso lidea che nelle costru-
zioni costituzionali si debbono assemblare pi materiali diversi per assi-
curarne la solidit? E, in effetti, evidente che in quelle che chiamiamo
democrazie rappresentative sono presenti sia elementi democratici che
elementi aristocratici (la stessa rappresentanza, invero, ha una matrice
propriamente aristocratica), e talora anche elementi monarchici (la for-
mula duvergeriana della monarchie rpublicaine illuminante).
Laspetto pi paradossale, forse, che, quando le democrazie
rappresentative evolvono verso la forma dello Stato costituzionale di
diritto, a costituzione rigida e con controlli di costituzionalit, la garan-
zia delle forme democratiche fnisce per essere affdata ad un istituto
tipicamente aristocratico come la magistratura costituzionale. Ormai,
infatti, chiaro: le costituzioni contemporanee hanno escluso di aff-
darsi, per la propria garanzia, allo schmittiano Hter der Verfassung e
hanno introdotto la kelseniana garantie juridictionnelle de la Constitu-
tion
3
, sicch spetta proprio ad organi aristocratici garantire la tenuta
delle costituzioni democratiche.
2
N. BOBBIO, La teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico, Torino, Giap-
pichelli, 1976, 133.
3
Resta da stabilire se, nei regimi parlamentari, i capi dello Stato siano difensori poli-
tici (come a me sembra: v. il mio La parabola della Presidenza della Repubblica, in Rivista AIC,
Massimo Luciani
196
coerenza solo entro una lettura dello Stato costituzionale di diritto che
(come peraltro molti, ormai, fanno) tende a svincolarlo dal suo fonda-
mento democratico per radicarlo in valori costituzionali destoricizzati,
espressione di un novello diritto naturale positivo
9
.
Sulle Camere, in realt, grava il dovere di prendere atto del-
la lezione e di non porre tempo in mezzo. Proprio una risalente pro-
nuncia della Corte costituzionale
10
indica quale sia la giusta misura in
vicende di questo tipo: chiamata a pronunciarsi sulla non commende-
vole prassi di votare in Parlamento in luogo daltri (schiacciando anche
i pulsanti di voto dei colleghi assenti) la Corte disse che lo svolgimen-
to interno dei lavori parlamentari si sottrae al sindacato giurisdiziona-
le. Ma aggiunse un passaggio fondamentale: Tuttavia questa Corte non
pu esimersi dallosservare che, nello Stato costituzionale nel quale viviamo,
la congruit delle procedure di controllo, ladeguatezza delle sanzioni regola-
mentari e la loro pronta applicazione nei casi pi gravi di violazione del diritto
parlamentare si impongono al Parlamento come problema, se non di legalit,
certamente di conservazione della legittimazione degli istituti della autonomia
che presidiano la sua libert. La questione era allora ed oggi, una vol-
ta di pi, politica e sono gli organi della politica a dover capire come
e quanto la loro legittimazione sia sfdata e quanto sia indispensabi-
le agire per ricostruire un corretto rapporto fduciario con la pubblica
opinione, se di democrazia (sia pure rappresentativa) vogliamo conti-
nuare a parlare.
Abstract
This paper is inspired by the recent judgment no. 1 of 2014 of the Italian Con-
stitutional Court, which declared void our electoral legislation. It is a signif-
cant example of a guarantee of democracy through the application of aristo-
cratic institutions.
The essay highlights the legacy of the theory of the mixed form of government
and clarifes the extent to which the current mix (in the same form of govern-
ment) of monarchical, aristocratic and democratic principles is different than
it did in classical antiquity.
9
Sulla questione accennata nel testo, v. le opposte posizioni di Staiano (pi vicina a
quella qui sostenuta) e di Ferrara, negli scritti gi citati in precedenza.
10
Sent. n. 379 del 1996.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 197-210
Nobile sogno o pia illusione?
Teoria e politica dellinterpretazione giuridica,
ovvero: altre glosse ad Aljs Vignudelli
di Giorgio Pino*
Sommario: 1. La natura dellimpresa di Vignu-
delli. 2. Perch la scientifcit dellinterpreta-
zione giuridica un mito. 3. Gli interpreti del
diritto.
Sono molto gratifcato dalle parole espresse da Aljs Vignudelli,
nella sua replica alla mia recensione del volume Interpretazione e Costi-
tuzione
1
: sia per il fatto stesso egli abbia ritenuto meritevoli di una sua
replica le rifessioni da me sviluppate a partire dal suo testo (non a caso
le avevo chiamate note a margine); sia perch lAutore ripetutamen-
te sottolinea che, lungi dal fraintendere o manipolare il suo pensiero, lo
ho inteso correttamente e questo non pu che suonare alquanto con-
fortante, per chi di professione legge i lavori altrui.
Ma il fatto che lillustre Autore evidenzi la generale correttezza
del modo in cui ho inteso la sua proposta teorica pu essere, a ben
vedere, anche segno di una circostanza potenzialmente pi allarman-
te: pu essere cio il segno che, forse, tra Vignudelli e chi scrive corra
un disaccordo teorico genuino, che non si potrebbe riuscire ad emen-
dare ricorrendo a qualche chiarimento o a qualche correzione di tiro
1
I lavori cui si fa riferimento nel testo sono, nellordine: A. VIGNUDELLI, Interpretazio-
ne e costituzione. Miti, mode e luoghi comuni del pensiero giuridico, Torino, Giappichelli, 2011;
G. PINO, Di interpretazione e interpreti della Costituzione. Note a margine di Interpretazione e
Costituzione di Aljs Vignudelli, in Diritto e Societ, 2013, 2, 353-373; A. VIGNUDELLI, Non lo fo
per piacer mio . Brevi osservazioni (e qualche ulteriore quesito) sullinsostenibile avalutativi-
t dellinterpretazione giuridica, in Diritto e Societ, 2013, 3, 559-581 (i numeri tra parentesi nel
testo si riferiscono a questultimo lavoro).
*
Universit degli Studi di Palermo. giorgio.pino@unipa.it www.unipa.it/gpino
Giorgio Pino
198
nei concetti e nelle defnizioni utilizzati, da lui o da me. E in effetti cre-
do che questo sia esattamente ci che accade in questo caso. Pur essen-
do sempre in agguato potenziali (miei) fraintendimenti, e nonostante
Vignudelli abbia dichiarato di voler approfttare della nostra discus-
sione anche per tornare su alcune delle tesi-chiave di teoria dellinter-
pretazione sostenute in Interpretazione e Costituzione, per formularle
meglio, [] eliminarne le residue opacit o, se del caso, [] integrar-
le con qualche ulteriore argomento (560), non vedo proflarsi alloriz-
zonte quella possibilit, auspicata da Vignudelli, che se il dialogo si
protrae a suffcienza, quanto meno un certo accordo sui fondamentali
si possa progressivamente costituire (560).
In effetti, la lettura della replica di Vignudelli alla mia recensione,
replica come sempre arguta, colta, ed esteticamente assai godibile, mi
conferma nella mia gi esplicitata (e, spero, argomentata) convinzione
dellinsostenibilit della posizione di Vignudelli in teoria dellinterpre-
tazione giuridica.
Se di teoria dellinterpretazione si tratta, beninteso. Infatti, non ho
alcuna riserva ad affermare che sarebbe del tutto possibile, plausibi-
le, e legittimo difendere una posizione affne a quella di Vignudelli se
intesa come dottrina dellinterpretazione, o, se si preferisce chiamar-
la cos, come una proposta di politica dellinterpretazione: cio, non
come una indagine concettuale sulla defnizione di interpretazione,
ma come una serie di direttive su come fare o non fare buona inter-
pretazione. Ma, poich ci che Vignudelli intende offrire non affatto
una proposta di politica dellinterpretazione ma dichiaratamente una
teoria dellinterpretazione, con fni conoscitivi e descrittivi, tutte le mie
riserve sulla sua posizione restano intatte, e se possibile aumentate,
anche dopo la sua replica.
Contro-replicher, dunque, alle tesi di Vignudelli, sperando di riu-
scire a strutturare il mio intervento in un modo che non somigli trop-
po ad una partita di ping pong, o ancora peggio ad uno scambio di
messaggi in codice tra iniziati. Passer in rassegna tre nuclei temati-
ci principali, nellambito di ciascuno dei quali sintetizzer la posizio-
ne di Vignudelli (che spero di continuare a non fraintendere), e ne evi-
denzier le ragioni che a mio parere la rendono insostenibile: la natura
dellimpresa di Vignudelli ( 1); la questione della (inattingibile) scien-
tifcit dellinterpretazione giuridica ( 2); lindividuazione della platea
degli interpreti del diritto, e le conseguenze di tale individuazione sulla
caratterizzazione del linguaggio giuridico ( 3). Non riprodurr qui per
intero le osservazioni critiche che ho gi svolto nel mio primo interven-
to, al quale rimando il lettore particolarmente paziente per una tratta-
zione pi dettagliata; ma qua e l, per la maggiore comodit del lettore,
richiamer sinteticamente quanto gi detto in quella occasione.
Giorgio Pino
210
to funziona (e, si noti, non un modo contingente: cos che il diritto
), e di conseguenza sul fatto che inevitabilmente anche il cittadino sar
pi interessato a conoscere non un fantomatico signifcato vero di un
enunciato normativo, ma piuttosto lo stato della giurisprudenza su una
certa questione (come esattamente nota anche Vignudelli, 575).
Ora, si pu anche stipulare, ancora una volta, che questo un pro-
blema di (teoria del) diritto e non anche di (teoria dell)interpretazio-
ne. Ma forse non sarebbe una stipulazione granch utile: il diritto
(anche) linguaggio, ed linguaggio destinato ad essere utilizzato da
organi dellapplicazione ai fni delladozione di atti coercitivi; e qui,
si badi, non in questione la circostanza che nei casi singoli le speci-
fche decisioni degli organi dellapplicazione diventano defnitive (a
questo mi pare alluda Vignudelli quando dice che i giudici ammini-
strano s il diritto [], ma non certo il linguaggio del legislatore, 577,
corsivi nelloriginale). piuttosto in questione la circostanza che i giu-
dici nel loro complesso, nelle motivazioni delle sentenze, rielaborano
continuamente il linguaggio del legislatore. La modifcazione del lin-
guaggio legislativo non avviene nel dispositivo della sentenza, ma nel-
la motivazione, l che i giudici parlano alle parti del processo, ai
loro avvocati, ai giudici dei successivi gradi di giudizio, a tutti gli altri
giudici, alla cultura giuridica nel suo complesso, e talvolta allo stesso
legislatore. la motivazione della sentenza il luogo in cui le disposi-
zioni legislative si trasformano in norme, da utilizzare come premessa
maggiore del sillogismo giudiziario.
Dire che il linguaggio giuridico un linguaggio amministrato
signifca semplicemente questo, e rimanda ad una caratteristica sem-
plicemente ineliminabile del diritto (di sicuro del diritto moderno).
un fatto che pu non piacere, ma pur sempre un fatto che nessuna
teoria del diritto pu permettersi il lusso di ignorare.
Abstract
In a previous review essay, I have discussed Aljs Vignudellis book Interpre-
tazione e costituzione, pointing to some problems in the theoretical framework
offered by Vignudelli. Professor Vignudelli has subsequently replied to my
review, stating again his views on legal interpretation as a properly scientifc
enterprise, and on the individuation of the class of legal interpreters. I now
seize the opportunity of this exchange to assess again Vignudellis position
on the theory of legal interpretation and to provide further arguments for my
own views on the subject.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 211-231
Rigore quando arbitro fschia?
Ovvero: (anche) con Pino monologo spesso
di Aljs Vignudelli
Sommario: 1. Dreamers vs. Deludeds. 2.
Ancra sugli interpreti del diritto. 3. Teoria e dot-
trina della stipulazione. 4. Necessit teoriche e
Intenzione del Legislatore di Kakania. 5. Rigore
quando arbitro fschia?
1. Dreamers vs. Deludeds
Giorgio Pino, che ha avuto qui la pazienza di stendere alcune ulte-
riori glosse al mio lavoro Interpretazione e Costituzione
1
(e alle precisa-
zioni che erano seguite, da parte mia, a una prima recensione per mano
dello stesso Pino)
2
, non senza un pizzico di provocatoriet titola il suo
intervento Nobile sogno o pia illusione?
3
.
Com noto, il riferimento letterario (almeno per il primo corno
dellalternativa) alla categorizzazione introdotta da Jos Juan More-
so
4
, il quale, sulla scia di Herbert L.A. Hart
5
, scrive di nobile sogno
per riassumere icasticamente la posizione propria del formalismo in
1
A. VIGNUDELLI, Interpretazione e Costituzione. Miti, mode e luoghi comuni del pensiero
giuridico, Torino, Giappichelli, 2011.
2
G. PINO, Di interpretazioni e interpreti della Costituzione. Note a margine a Interpretazio-
ne e Costituzione di Aljs Vignudelli, in Dir. e Soc., 2/2013, 353 ss., cui era seguito il mio Non
lo fo per piacer mio. Brevi osservazioni (e qualche ulteriore quesito) sullinsostenibile avaluta-
tivit dellinterpretazione giuridica, in Dir. e Soc., 3/2013, 559 ss.
3
G. PINO, Nobile sogno o pia illusione? Teoria e politica dellinterpretazione giuridica, ovve-
ro: altre glosse ad Aljs Vignudelli, in Questa Rivista, 197 ss.
4
J.J. MORESO, La indeterminacin del derecho y la interpretacin de la constitucin, Madrid,
Centro de Estudios Constitucionales, 1997.
5
H.L.A. HART, The Concept of Law (1961), trad. it. Il concetto di diritto, a cura di M.A.
Cattaneo, Einaudi, Torino, 2002, part. 146 ss.
Aljs Vignudelli
212
teoria dellinterpretazione. E al lettore minimamente attento, daltro
canto, non sfugge che dovrei con ci sentirmi chiamato personalmen-
te in causa, poich di l a poco Pino defnisce appunto la mia posizione
come neoformalista
6
, sia pure allinterno dun approccio dichiarata-
mente cauto nei confronti delle tradizionali etichettature.
Condividendo appieno col mio interlocutore la diffdenza verso
il labelling teorico, rinuncio alla tentazione di replicare sbito diffu-
samente a Pino come, se volessimo davvero applicare la tripartizio-
ne di Moreso il quale al nobile sogno (formalismo) contrappone
lincubo (scetticismo giusrealista) e la pi moderata veglia (teo-
ria intermedia o eclettica) , io mi vedrei a rigore relegato tra i vigili
ed escluso dai sognatori. Sul punto, che sospetto tuttora condiziona-
to da alcuni fraintendimenti puramente nominalistici (e forsanche da
qualche equivoco concettuale), prover semmai a tornare pi avanti.
Piuttosto, vorrei sfruttare in esordio la dicotomia nobile sogno/
pia illusione proponendola come chiave di lettura non tanto per quel
che io specifcamente sostengo in materia di teoria dellinterpretazio-
ne, bens per il presunto dialogo che si dovrebbe articolare in queste
pagine tra me e Pino.
Nobile Sogno o pia illusione? Id est, gli interlocutori ammettono
davvero la possibilit di rivedere le proprie premesse e i relativi svilup-
pi in rapporto alle critiche articolate dalloppositore dialettico o sem-
plicemente si arroccano a oltranza nella loro difesa? Detto altrimen-
ti: siamo seriamente di fronte a un dialogo o assistiamo semplicemente
alla riproposizione di due distinti monologhi?
Ebbene, se dovessi indicare un campo nel quale sono realmente
partito con i panni del sognatore e oggi mi specchio sempre pi a
indossare quelli dellilluso, sarei tentato di scegliere proprio quello
delle discussioni teoriche in tema dinterpretazione giuridica
7
. Unim-
passe che, peraltro, oltre a dover essere rilevata, sembrerebbe qui, se
non proprio compiutamente da spiegare, quanto meno un poco pi
dapprofondire.
Sicuramente a creare questa situazione di stasi (a lungo anda-
re, peraltro, un tantino coeurant) possono aver concorso, a vario titolo,
una o pi componenti di quel disaccordo teorico genuino menzio-
nato anche da Pino
8
e diciamolo pure un certo naturale attacca-
mento alle proprie idee da parte dei colloquianti. Tuttavia, n il quid di
autentico dissenso teorico, n la possibile cocciutaggine degli inter-
6
G. PINO, op. ult. cit., 199.
7
Cfr. gi la Avvertenza in M. BARBERIS, A. VIGNUDELLI, Nuovi dialoghi sullinterpreta-
zione, Mucchi, Modena, 2013, 7, dove il sottotitolo (dascendenza krausiana) era appunto
Con Barberis monologo spesso.
8
G. PINO, op. ult. cit., 197.
Rigore quando arbitro fschia?
231
to e dellinterpretazione) come quella di Pino, che nemmeno in astratto
e nemmeno in parte consenta di realizzare tale obiettivo, continua ad
apparirmi poco funzionale a quello che ritengo tuttora essere uno degli
scopi fondamentali e pi nobili della scienza giuridica.
Con questo, riprendendo ciclicamente da dove si era comincia-
to, non ho mai pensato dessere un sognatore in teoria dellinter-
pretazione, ma se ci fosse richiesto da una qualche etichetta potrei
sempre abituarmici. Fin dora, daltro canto, mi posso consolare col
pensiero che lo stesso Pino, seguendo la citata tripartizione di More-
so, parrebbe trovarsi benissimo pure allinterno di una prospettiva teo-
ricamente Nightmare-oriented. Forse aveva ragione Gesualdo Bufalino
quando scriveva che ognuno sogna i sogni che si merita.
Abstract
The essay constitutes a reply to the latest critique by Giorgio Pino published
in this journal. The thesis of the essay is that various perspectives from which
to study juridical interpretation are possible, but that whatever position is
chosen must be stipulated, backing up ones choice on the basis of the aims to
be achieved. Furthermore, the essay shows how a theory (and not a doctrine)
of juridical interpretation may be conceivable, looking upon this as a cogni-
tive undertaking; at the same time, it highlights the explanatory diffculties of
the model countered, both with regard to the intentions of the legislator and
to the subjects of juridical communication.
Lo Stato, n. 2 (2014), pp. 233-252
Francesco Gentile e la legalit costituzionale:
dalla diffdenza alla piena sintonia
*
di Pietro Perlingieri**
Sommario: 1. Fattualit del diritto. 2. Legalit e giu-
stizia. 3. Dinamicit del sistema ordinamentale. 4. Si-
stema ordinamentale aperto. 5. Il primato della politica.
6. Rinnovamento dellordine giudiziario. 7. Leduca-
zione del giurista.
1. Fattualit del diritto
La storia del mio rapporto umano con Francesco Gentile ha signi-
fcato paradigmatico nellapproccio allo studio del diritto, caratteriz-
zato dalla convinzione della necessit di un dialogo, opportunamen-
te dialettico, tra il flosofo e il giurista, ispirato dallamore del sapere
nel quale, con tanta passione, lamico flosofo identifca la flosofa
1
.
1
Sulla centralit del ruolo della flosofa nella formazione e nellattivit del giurista
v. F. GENTILE, Filosofa del diritto. Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi, Padova,
*
Relazione tenuta al Convegno Il contributo di Francesco Gentile alla flosofa giuridico-
politica contemporanea che si svolto nellAula Magna dellUniversit degli Studi di Pado-
va, il 22 novembre 2013. Un gruppo di giovani dottorandi presso il Dipartimento di Diritto,
Economia, Management e Metodi quantitativi dellUniversit degli Studi del Sannio, compo-
sto da Francesca Carra, Valeria Guida, Antonio Lacatena, Emanuella Prascina, Emilia Pen-
nucci Molinaro, Angelo Rubano, coordinati dalla mia allieva Anna Bizzarro, hanno contri-
buito alla stesura delle note. Le principali opere di Francesco Gentile, ripartite tra loro, sono
state lette e collegialmente discusse, in impegnativi incontri seminariali: quelle sulla storici-
t e sul rapporto flosofa-diritto (A. Bizzarro, A. Lacatena), quelle sulla fattualit (A. Bizzar-
ro, F. Carra, A. Lacatena, E. Prascina), quelle sulla centralit della controversia e sul ruolo
della giurisprudenza nella formazione del giurista (F. Carra, E. Pennucci Molinaro, V. Gui-
da, A. Rubano), quelle sul rapporto potere-diritto (V. Guida), quelle sul potere e sul primato
della politica, sui diritti e doveri, sullidentit europea e sulla sussidiariet (F. Carra, E. Pra-
scina) e, infne, quelle sulla legalit, sulla giustizia e sulla giustifcazione (F. Carra, V. Gui-
da, E. Pennucci Molinaro). Una discussione appassionata che lascer una traccia gentiliana
nella formazione di questi giovani.
**
Universit degli Studi del Sannio. Professore emerito di diritto civile.
Pietro Perlingieri
234
Sin dalla sua presenza nella Facolt giuridica napoletana sono
gli anni dal 1980 al 1984 i nostri colloqui si vanno con reciproca sim-
patia infttendo e hanno riscontro anche in iniziative corali. Nel 1986, a
Benevento in un Convegno, da me voluto, tra flosof del diritto e civi-
listi, su Soggetti e norma, individuo e societ
2
, Francesco Gentile incentra
la sua relazione sulla controversia
3
alle radici della esperienza giuri-
dica ed invita a non confondere [] lordine con lordinamento
4
che
si attuato mediante la costruzione artifciale di un sistema
5
, condi-
videndo esplicitamente lo spunto che la conoscenza giuridica non
Cedam, 2006, 7, ove si legge: la flosofa, in quanto sapere radicalmente problematico, in
quanto autentico e non simulato amore del sapere, la condizione perch si possa eserci-
tare tecnicamente la professione del giurista; IDEM, Il diritto civile nella legalit costituziona-
le secondo il sistema italo-comunitario, in LIrcocervo, Rivista elettronica italiana di metodologia
giuridica, teoria generale del diritto e dottrina dello stato, 2007, n. 219, 1; IDEM, Il ruolo della floso-
fa nella formazione del giurista, ivi, IV, 2008, 1; IDEM, Legalit giustizia giustifcazione. Sul ruolo
della flosofa del diritto nella formazione del giurista, Napoli, Esi, 2008, 9 ss., l dove si richiama
lattenzione sulla necessit e sullimportanza della flosofa allinterno della scienza giuridi-
ca e sul cammino che ha portato allintroduzione della flosofa del diritto nei piani di studio
delle facolt di giurisprudenza delluniversit italiana. Analogamente, P. PERLINGIERI, Filoso-
f del diritto e civilisti a confronto, in Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli,
Esi, 1989, 313 ss.; IDEM, Il diritto civile nella legalit costituzionale secondo il sistema italo-comu-
nitario delle fonti, Napoli, Esi, 2006, 7, dove ribadita la necessariet dellincontro del floso-
fo e del giurista e, in particolare, del flosofo del diritto e del civilista. Favorevole al dia-
logo tra flosof e giuristi, anche L. BAGOLINI, La scelta del metodo nella giurisprudenza (Dialogo
tra giurista e flosofo), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 1054 ss. Tuttavia, non mancano perples-
sit circa la rilevanza della flosofa nella formazione del giurista l dove si evidenzia (N.
IRTI, La formazione del giurista, in Riv. trim. dir. pubb., 2004, 647 ss.) la necessit che i saperi
tecnici, affnch si svolgano con metallica precisione, siano alleggeriti di ogni bagaglio, di
ogni peso culturale, proponendo che la flosofa del diritto debba convertirsi in metodo-
logia dei saperi speciali e diventare, pertanto, uno strumento che il giurista possa impiega-
re in funzione pratica e operativa. Quanto, per, alla rilevanza della flosofa sulla politica,
v. IDEM, La tenaglia. In difesa dellideologia politica, Roma-Bari, Laterza, 2008.
2
Gli atti del Convegno, svoltosi a Benevento nei giorni 12 e 13 dicembre 1986, sono
raccolti nel testo: P. PERLINGIERI (a cura di), Soggetti e norma, individuo e societ, Napoli, Esi,
1987.
3
F. GENTILE, La controversia alle radici dellesperienza giuridica, in Soggetti e norma, indi-
viduo e societ, cit., 144, ove il flosofo afferma che lordine della norma, non rileva se non
in quanto operante nellordinamento della controversia. Sul ruolo della controversia qua-
le schema e misura dialettica dellordinamento giuridico, v. IDEM, Ordinamento giuri-
dico tra virtualit e realt, 3
a
ed., Padova, Cedam, 2005, 46 ss., secondo il quale il disordine
della lite non un non-ordine oggettivo, ma divergenza tra due vedute dellordine, da com-
porre dialetticamente. Lidea della centralit della controversia e del processo qualifcato
questultimo come schema dellordinamento giuridico (IDEM, Filosofa, cit., 223) mutua-
ta, come lo stesso Autore riconosce, dallinsegnamento della sua Scuola: Giuseppe Capo-
grassi e Enrico Opocher.
4
Sul punto, si veda il secondo codicillo Su linguaggio e diritto in F. GENTILE, Ordi-
namento giuridico tra virtualit e realt, cit., 121, nel quale si esamina il rapporto tra ordine e
ordinamento, sottolineandone la diversit e, nello stesso tempo, la inevitabile connessione,
giacch lordinamento condizione dellordine. Tuttavia, IDEM, Filosofa, cit., 105 ss., con-
sapevole della diffcolt di defnire in astratto lordine e di individuarlo fuori dal concetto
di ordinamento. La necessit di distinguere i due concetti ribadita a proposito del ruolo
della legge positiva nella traduzione del confitto in controversia quando afferma che ci
che usano i giuristi quando maneggiano il diritto positivo, non lordine, e neppure la fon-
te dellordine, bens uno strumento per individuare le modalit dellordinamento delle rela-
zioni intersoggettive (IDEM, op. ult. cit., 217).
5
F. GENTILE, La controversia alle radici dellesperienza giuridica, in Soggetti e norma, indi-
viduo e societ, cit., 142.
Pietro Perlingieri
252
Filosofa del Diritto, la Rivista Italiana Internazionale di Filosofa del Dirit-
to, fondata da Giorgio Del Vecchio: flosof e giuristi troppo spesso
si ignorano e quasi ostentano una reciproca incomprensione mentre
grande sarebbe da ambo le parti il vantaggio se, abbandonando vieti
abiti mentali e diffdenze ingiustifcate, si stabilisse tra gli uni e gli altri
una certa comunione di lavoro e un attivo scambio di idee per ci che
concerne la vita del diritto e i suoi problemi fondamentali
83
. Auspica-
bile sarebbe che dalle diffdenze potessero scaturire, in una sana dia-
lettica, piene sintonie, come avvenuto tra Francesco Gentile e me. Ci
potrebbe essere assai utile, in questo momento storico, in un Paese,
come il nostro, in profonda crisi etica e identitaria.
Abstract
The need for a continuous dialogue between the philosopher and the jurist,
inspired by the love of knowledge, fows from the study of Francesco Gen-
tiles main works. The aversion to a geometrical and formalistic approach to
law, as well as the claim that legal interpretation does not deal with the lan-
guage of legal provisions but with facts and their complexity, are convincing.
Therefore, the key role of litigation is undeniable. Law is experience, factua-
lity and, thus, a historical and political process.
83
F. GENTILE, Legalit, cit., 19 ss.
Lo Stato, n. 1 (2013), pp. 287-318
Riferimenti bibliografci
Kelseniana
Segnaliamo i due ultimi titoli delle opere complete di Hans Kelsen, par-
tendo dallultima in ordine pubblicazione:
HANS KELSEN, Werke, hrsg. von Matthias Jestaedt in Kooperation mit dem
Hans Kelsen-Institut, Band 4: Verffentliche Schriften 1918-1920, Tbingen,
Mohr Siebeck, 2013, pp. 892.
Questo tomo racchiude, in edizione flologicamente accurata, tre saggi
importanti di Kelsen, noti anche allo studioso italiano avendo chi scrive cura-
to in anni passati la loro traduzione nella nostra lingua: il saggio sulle fnzioni
giuridiche, del 1919, Il problema della sovranit, del 1920 (anno di edizione, ma
in realt il testo era gi in buona parte composto nel 1916), con una prefazio-
ne che per la verit non rende conto delle complesse problematiche del testo
kelseniano e gli abbozzi preliminari (1919) di Wesen und Wert der Demokra-
tie. Oltre a questi, i curatori hanno raccolto altri scritti kelseniani risalenti ai
cruciali anni 1918-1920, nei quali lAustria trapassa dalla monarchia asburgi-
ca alla Repubblica, tentata prima come grande-tedesca, poi ridotta, com
noto, anche per lopposizione delle potenze vincitrici, a meramente austriaca.
Di questi scritti, da un lato appaiono signifcativi per il diritto costituzio-
nale quelli dedicati al diritto elettorale, in modo particolare alla difesa politi-
ca e giuridica del sistema proporzionale, dallaltro scritti eclettici, recensioni
e necrologi. Ci che tiene insieme tutti questi lavori, ad avviso di chi scrive,
lidea di signifcato non soltanto metodologico di unit. Nella recensione
a Layer sul contratto di diritto pubblico (153-157), ma un po in tutti gli scrit-
ti qui raccolti, compreso, ovviamente, il saggio sulla sovranit, ci che va sot-
tolineato lo sforzo costante, da parte di Kelsen, di ricondurre ad unit tutti i
dualismi pi o meno falsi o fondati su fnzioni che impediscono allo sguardo
scientifco di spiegare loggetto nella sua coglibilit da parte della scienza. Il
concetto di unit, indubbiamente, in questa fase, si fonda e sempre pi si fon-
der negli anni immediatamente successivi sulla metodologia del neokanti-
smo di Marburgo (Cohen, Natorp, Cassirer).
Gli scritti minori offrono al lettore molti spunti; vorrei qui limitarmi a
segnalare la recensione (1918), assai favorevole, di uno scritto di Rudolf von
Laun sulla questione delle nazionalit, dove Kelsen prende posizione a favo-
re del vigente diritto austriaco in materia di lingue e di nazioni, che alleste-
ro la propaganda bellica indicava invece come oppresse. Importante anche
segnalare che lapparato flologico, veramente imponente e di grande preci-
sione, offre anche una sinossi della conferenza di Kelsen sulla democrazia nel-
le due varianti pubblicate nel 1919, prima della pi nota prima edizione di
Wesen und Wert der Demokratie del 1920.
Gli scritti sul sistema elettorale ed un altro sulla riforma costituzionale si
ricollegano al quinto volume delle opere, uscito due anni prima:
288
Biblioteca
HANS KELSEN, Werke, hrsg. von Matthias Jestaedt in Kooperation mit dem
Hans Kelsen-Institut, Band 5: Verffentliche Schriften 1919-1920, Tbingen,
Mohr Siebeck, 2011, pp. 765.
Il volume raccoglie le quattro parti del trattato e dei materiali legislativi
relativi alla ideazione e redazione della costituzione della repubblica austria-
ca: Die Verfassung der Republik Deutschsterreich (1919-1920).
La pubblicazione delle opere complete di Kelsen non ha per fermato le
edizioni critiche di singole opere del giurista viennese. Segnaliamo:
HANS KELSEN, Wer soll der Hter der Verfassung sein?, hrsg. von R. Chr. Van Oo-
yen, Tbingen, Mohr, 2008, pp. 112.
Insieme con il famoso testo sul custode della costituzione del 1931, repli-
ca al saggio di Carl Schmitt, il curatore ha inserito anche il saggio su Wesen
und Entwicklung der Staatsgerichtsbarkeit, del 1929, per offrire allo studioso un
panorama essenziale delle posizioni di Kelsen in materia di giustizia costitu-
zionale, essendo egli stato appunto tra i principali propugnatori e poi teorici
del controllo di costituzionalit delle leggi da parte di un giudice ad hoc, intro-
dotto in Austria con la costituzione del 1920.
Van Ooyen presenta i due saggi con il sottotitolo di Abhandlungen zur
Theorie der Verfassungsgerichtsbarkeit in der pluralistischen, parlamentarischen
Demokratie, terminologia che segnala anche il particolare approccio interpreta-
tivo della reine Rechtslehre da parte sua in altri lavori dedicati a Kelsen. Si trat-
ta di uninterpretazione molto interessante, simile a quella da me sostenuta nel
saggio del 1984 su Lordine delle norme, che interpreta politicamente la dottrina
pura del diritto, ben oltre, quindi, lidea che si tratti di una teoria puramente
scientifca del diritto. importante, invece, coglierne la dimensione epocale
nel senso di una teoria specifca di una societ democratica e pluralistica, dove
la costituzione appare come la forma del compromesso politico che si ripete
nella legislazione e dove quindi la giustizia costituzionale essa stessa garan-
zia (per lappunto politica) degli accordi realizzati a livello legislativo.
Appare evidente che questa interpretazione di Kelsen implica anche,
comunque, la constatazione di una lontananza della dottrina pura da quel
neo-costituzionalismo che fa del giudice il depositario di una giuridicit
moralisticamente legittimata contro la politica. Il giudice costituzionale, per
Kelsen, come legislatore negativo, svolge una funzione in parte almeno
politica, perch deve essere il soggetto protettore di quei compromessi tra
maggioranza e minoranza che sono lespressione della democrazia pluralista.
La costituzione ha il ruolo di garantire non la maggioranza, ma la minoranza,
e non certo in astratto, ma proprio per quanto riguarda la dimensione politica
dellaccordo realizzato tra le parti e che trova espressione nella legge, la quale
sta sotto la costituzione intesa essa stessa come compromesso politico.
importante questa interpretazione perch, anche se forse inconsape-
volmente, essa implica che una costituzione non pu essere affdata allinter-
pretazione di princpi e valori da parte di un giudice che opera necessaria-
mente in maniera politica; ci vorrebbe dire che il giudice costituzionale non
289
Riferimenti bibliografci
tanto fa politica, ma fa la sua politica, nel senso che darebbe giudizi moral-
mente fondati su leggi la cui compatibilit non tanto con la costituzione
come concetto giuridico che racchiude il compromesso politico, ma con un
insieme di regole vaghe, aperte strutturalmente allinterpretazione libera di
soggetti il cui obbligo non pi giuridico, ma morale.
La controversia sul guardiano della costituzione resta dunque un riferi-
mento imprescindibile per ogni studio sul signifcato e i limiti della giustizia
costituzionale, ma altrettanto importante capire la differenza che oramai si
d anche tra il padre del sindacato di costituzionalit delle leggi e le forme
pi recenti di giustizia costituzionale quali ipotizzate e propugnate dal neo-
costituzionalismo.
Un altro testo che merita di essere segnalato sono gli atti di un convegno
dedicato ai rapporti tra Kelsen e i costituzionalisti di lingua tedesca:
MATTHIAS JESTAEDT (Hrsg.), Hans Kelsen und die deutsche Staatsrechtslehre. Sta-
tionen eines wechselvollen Verhltnisses, Tbingen, Mohr Siebeck, 2013, pp. 280.
Si tratta delle relazioni presentate ad un convegno tenutosi presso la Sie-
mens-Stiftung di Monaco nel 2011, con le relative discussioni. Il sottotitolo
richiama appunto il progetto di seguire Kelsen nei suoi rapporti con i costi-
tuzionalisti dagli anni di Weimar fno alla riscoperta o rinascita della dottrina
pura del diritto in Germania negli anni Ottanta del secolo scorso. Il volume
articolato in quattro parti: I. Gli anni di Weimar. II. La dottrina del diritto statuale
nel primo decennio postbellico. III. Kelsen nel giudizio della generazione postbellica.
IV. La riscoperta postuma di Kelsen. V. Kelsen e lodierna dottrina del diritto statuale.
La dottrina pura del diritto, com noto, ha sempre avuto un imprinting
austriaco. Lo stesso Kelsen ne aveva sottolineato la radice austro-ungarica,
per spiegare sopra tutto il rapporto tra unit (giuridico-formale) e moltepli-
cit (socio-politica). Ma da parte dei giuristi tedeschi essa stata anche, per
molto tempo, considerata austriaca non tanto per la sua genesi, quanto per il
suo provincialismo. Ci in particolare negli anni del secondo dopoguerra.
Si trattato indubbiamente di una perdita, perch il misconoscimento di Kel-
sen non ha consentito di fare i conti anche con la storia della scienza costitu-
zionalistica tedesca. Posso sbagliarmi, ma loblio di Kelsen laltra faccia della
tabuizzazione di Schmitt negli stessi anni. Cos come non si poteva e dove-
va parlare di Schmitt, cos Kelsen diventava un autore poco interessante.
un dato di fatto almeno questa la mia opinione, ma anche la mia tesi
che giuristi come Kelsen e Schmitt (ma anche Smend, Kirchheimer, Heller) con-
tinuano a rivestire un ruolo nella misura in cui essi vengono storicizzati e trat-
tati come un tutto nel quale ogni parte (ogni singolo) richiama il tutto, gli altri
autori, opposti ma complementari. Lobiezione che in tal modo essi possono
essere considerati non nella loro scientifcit, ma nella loro politicit polemica;
ci vero, ma io considero la giurisprudenza una scienza pratica e quindi la
verit sempre una verit storicamente e pragmaticamente situata. Giustamente
Horst Dreier, nel suo contributo sulla (ri-)scoperta di Kelsen negli anni Ottanta,
fa riferimento alla crisi del marxismo e non a caso egli ricorda uno dei primi
volumi della serie dello Hans Kelsen-Institut fu dedicata a Reine Rechtslehre und
290
Biblioteca
marxistische Rechtstheorie. Tuttavia, va anche detto che ha probabilmente ragio-
ne Schnberger, quando parla di normalizzazione e non di rinascita.
Hanno contribuito al volume: T. Olechowski; S. Korioth; Ch. Mller; F.
Gnther; E. Wiederin; M. Schulte; H. Schulze-Fielitz; H. Dreier; Ch. Schnber-
ger; U. Lembke; O. Lepsius. Arricchisce il volume la riproduzione di una foto
con tutti i partecipanti al Congresso dei giuristi tedeschi in Mnster, nel 1926.
Segnaliamo per ultimo la pubblicazione di un inedito kelseniano, a chi
scrive noto per aver veduto le fotocopie delle bozze del testo nella sua prima
edizione, che per Kelsen, arrivato al momento della correzione, decise di non
far pi stampare:
HANS KELSEN, Secular Religion. A Polemic against the Misinterpretation of Modern
Social Philosophy, Science and Politics as New Religions, ed. by R. Walter, C. Ja-
bloner and K. Zeleny, Wien-New-York, Springer, 2012, pp. 292.
Il volume era pronto per la stampa nel 1964 (California University Press),
ma gi in bozze Kelsen decise di ritirarlo e non venne pi stampato. In que-
sto scritto Kelsen sostiene la tesi secondo cui alcuni flosof vorrebbero ripor-
tare la teologia nella scienza e la religione nella politica, una tesi che qualcu-
no potrebbe ritenere poco valida allora ma pi attuale oggi. Poich vorremmo
farne oggetto di una considerazione pi approfondita in un articolo di recen-
sione, ci limitiamo a segnalare la decisione dello Hans Kelsen Institut di stam-
parlo. Il testo kelseniano stato per gi oggetto di un seminario di studi:
CLEMENS JABLONER / THOMAS OLECHOWSKI / KLAUS ZELENY (Hrsgg.), Secular Reli-
gion. Rezeption und Kritik von Hans Kelsens Auseinandersetzung mit Religion und
Wissenschaft, Wien, Manz, 2013, pp. 206.
Il volume raccoglie gli atti di un convegno dedicato a discutere appun-
to del libro inedito di Kelsen gi menzionato. Il volume si apre con un saggio
di Horst Dreier, certamente fne conoscitore di Kelsen. Per lui lo scopo dello
scritto di Kelsen quello di difendere lautonomia e loggettivit della scienza
da quelle correnti e quegli autori che vorrebbero fare invece della scienza una
sorta di teologia mascherata. Il fondamento di questa posizione di Kelsen la
separazione di essere e dovere, dalla quale tutto discende. Rinunciare a questa
separazione signifca far ricadere la civilt occidentale in un mondo premoder-
no, dominato dalla religione. Il libro dunque un grido dallarme (11) contro
questi rischi, rappresentati da scrittori come Schmitt o Voegelin (che il vero
obiettivo polemico di Kelsen). Se, da un certo punto di vista, questa spiegazio-
ne accettabile e rappresenta anche lessenza della maniera in cui noi abbiamo
interpretato Kelsen sin dal 1984, anno di pubblicazione della prima edizione
de Lordine delle norme, da un altro si ha la netta impressione che coloro che si
sono occupati di questo Kelsen si siano trovati per cos dire spiazzati e anche
sconcertati. Ci spiega il tentativo di ricondurre Secular Religion alla dicotomia,
pi consueta, tra essere e dovere, ma anche discorsi il cui rapporto con Kelsen
tutto da dimostrare: si veda ad es. il saggio di Sonja Puntscher sul paganesi-
mo e il fondamento antiteologico della costituzione europea.
291
Riferimenti bibliografci
Daltro canto, Voegelin autore non di primo piano nella flosofa politi-
ca e della storia, ma non detto che avesse torto per principio rispetto a Kel-
sen. Defnire i movimenti politici totalitari del XX secolo come religioni seco-
lari non affatto un errore e che la politica moderna, per vari aspetti, sia fon-
data su concetti teologici secolarizzati un dato di fatto. Che riconoscere
tutto ci implichi un ritorno alla religione, come sostengono molti autori e lo
stesso Kelsen nel libro, pi che dubbio.
Va poi detto che il rapporto tra politica e religione non stato inventato
per la prima volta da Carl Schmitt, ma forse proprio da Hans Kelsen, sia pure
con intenti differenti. Sfugge a quasi tutti gli autori di questo libro (fa ecce-
zione Otto Pfersmann) il senso del saggio di Kelsen Gott und Staat, del 1922.
Come che sia, la lettura di questo libro fornisce informazioni utili e spunti
interessanti: cos il saggio di I. Englard su un eventuale retroterra culturale
ebraico della reine Rechtslehre (101 ss.),
In defnitiva, pur ripromettendoci di ritornare sul libro in altra sede, sia-
mo personalmente convinti che se Kelsen non volle pubblicare il libro una
ragione anche oltre quelle avanzate e discusse da Ian Stewart doveva pur
esserci e questa forse molto ovvia: pensava di aver scritto un libro sbagliato.
Potrebbe aver avuto quindi ragione Robert Walter quando, alla mia proposta
di pubblicare certi scritti di Kelsen (pareri per una tesi di dottorato di Umber-
to Campagnolo a Ginevra negli anni Trenta) e proprio anche questo libro allo-
ra inedito (ma delle cui bozze originali possedevo una fotocopia), rispose che
se Kelsen aveva deciso di non pubblicarli bisognava rispettare la sua volont.
Cosa che poi non stata fatta, n per i pareri su Campagnolo, che M.G. Losa-
no pubblic anni addietro, n per questo testo.
Ho la sensazione che intorno a Kelsen si cominci a fare troppa confusio-
ne e che rischia di avere ragione chi recentemente ha invocato una liberazio-
ne da Kelsen. A parte il rischio di interpretare Kelsen come una volta si face-
va con Marx, c anche quello di voler usare Kelsen a tutti i costi per operazio-
ni editoriali pi o meno discutibili.
Ho fatto cenno sopra al caso Campagnolo, tradotto e pubblicato temo
al solo fne di giustifcare lutilizzo di una relazione di Kelsen, scritta a fni
amministrativi. Lo stesso autore di quella operazione, il prof. Mario Losano, si
segnala ora per uniniziativa per certi aspetti analoga, velata dietro il paraven-
to della scoperta di un presunto primo libro italiano di Kelsen. Si tratta di
unoperazione che per poter essere condotta in porto tra laltro nascondendo
un fatto di cui dir poi , ha portato a spacciare Kelsen, in un dialogo storica-
mente mai esistito, per contraddittore di un personaggio minore dellepoca
del fascismo, Arnaldo Volpicelli, sulla cui rivista erano stati pubblicati alcuni
scritti di Kelsen tra la fne degli anni Venti e i primi anni Trenta.
Losano ristampa un libro che in realt pare fosse una pubblicazione fat-
ta a stampa per ragioni concorsuali e/o per ragioni didattiche (adozione) da
Volpicelli nel 1930, contenente saggi di Kelsen pubblicati gi sulla rivista da
lui diretta, Nuovi studi di diritto, economia e politica, con laggiunta di due suoi
(di Volpicelli) saggi critici degli scritti di Kelsen, presentato addirittura come
coautore del libro, certamente ad insaputa del giurista viennese.
292
Biblioteca
Losano fa precedere ai saggi di Volpicelli e Kelsen una sua introduzio-
ne che spazia dal fascismo di sinistra a vicende sudamericane, tra cui quella
relativa a un flosofo del diritto argentino, Cossio, che aveva invitato Kelsen a
Buenos Aires. Si occupa del concetto di cultura e di cultura fascista, di Bob-
bio, di liberalismo, parlamentarismo, corporativismo, il tutto per costruire un
fatto per lappunto storicamente mai esistito, un dibattito tra Kelsen e Volpi-
celli (56) che non c mai stato se non per luso improprio e non autorizzato,
oltre che unilaterale, che Volpicelli fece dei saggi di Kelsen pubblicati (quelli
s con il consenso di Kelsen) sulla sua rivista.
Ma ancora pi improprio (ad esser benevoli) luso che Losano fa di
un libro di Kelsen, questo s il primo libro di Kelsen in lingua italiana, cura-
to da Volpicelli nel 1932 (Lineamenti di una teoria generale dello stato e altri scrit-
ti, Roma, Are, 1932) e che raccoglieva i saggi pubblicati sulla rivista negli anni
precedenti, alcuni a completamento solo dopo la pubblicazione delle dispen-
se o della provvisoria concorsuale. Losano infatti non ha il coraggio di ristam-
pare il testo del 1932 e fnge di ripubblicare la provvisoria (o le dispense?)
del 1930, avendo per cura di integrarle con i pezzi mancanti. In realt non
fa altro che ripubblicare ledizione del 1932, spacciandola come edizione del
1930 integrata con le parti mancanti del saggio sullo Stato, ma avendo la
massima cura di tacere sul fatto che chi scrive aveva gi riedito i testi del 1932
sia in unedizione completa, nel 1995, con il titolo Dottrina dello Stato (Napo-
li, ESI, 1995), sia in forma individuale: Essenza e valore della democrazia, prima
edizione del 1920 (Torino, Giappichelli, 2004), Lineamenti di teoria generale dello
Stato (Torino, Giappichelli, 2004).
Losano, che pure usa pagine e pagine per ricostruire la storia bibliogra-
fca del saggio sulla democrazia, tace con cura maniacale lesistenza di que-
sti testi. Aveva forse paura che leditore non gli pubblicasse questo presunto
scoop, considerando che certo Volpicelli non val la pena di essere letto se non
come testimonianza di un certo fascismo? E considerando che i testi di Kelsen
erano gi stati pubblicati, emendati di vari refusi?
Unultima cosa. Chi scrive ha sempre chiesto allo Hans Kelsen Institut di
Vienna, oggi diretto dal prof. Clemens Jabloner, lautorizzazione a pubblicare
in traduzione o in originale testi di Kelsen, astenendosi dal farlo quando lau-
torizzazione mancata (come nel caso di Campagnolo e di Secular Religion).
Sulla base di quale privilegio il prof. Losano usa Kelsen a suo personale uso
e consumo, senza una previa autorizzazione (che se chiesta e concessa, come
pure mi auguro, non risulta dal copyright)?
Come che sia, di questo passo Kelsen destinato ad una fne poco glorio-
sa proprio a causa dei suoi presunti estimatori. Il libro, per chi fosse curioso, :
HANS KELSEN - ARNALDO VOLPICELLI, Parlamentarismo democrazia e corporativi-
smo, Prefazione e cura di Mario G. Losano, Torino, Aragno, 2012, pp. 296.
A dimostrazione della originaria problematicit della dottrina pura del
diritto, opportuno segnalare anche la raccolta di scritti di uno dei primissi-
mi allievi e studiosi di Kelsen, Leonidas Pitami, flosofo del diritto sloveno,
che dopo aver frequentato luniversit di Vienna ritorn a vivere a Lubiana.
293
Riferimenti bibliografci
merito del professor Marijan Pavnik aver curato e ben introdotto questa rac-
colta bilingue di scritti dal 1917 al 1971:
Leonidas Pitami, An den Grenzen der Reinen Rechtslehre, Ljubljana, Slovenska
akademja znanosti in umetnosti, 2009, pp. 350.
Pitami, pur accogliendo buona parte dellimpostazione kelseniana, a
partire dal normativismo, si rese immediatamente conto che la spiegazione
del diritto in quanto insieme di norme, gerarchicamente disposte, non pote-
va in defnitiva soddisfare la curiosit intellettuale di chi vuole arrivare ad
una spiegazione esaustiva del fenomeno giuridico: il Sollen certamente par-
te costitutiva del diritto, ma esso non implica che il diritto sia tutto e soltan-
to Sollen, in quanto i presupposti giuridici ricadono nella sfera dellessere pur
essendo ancora giuridici. Questa posizione Pitami, correttamente, la sosten-
ne sin dal suo primo, pi noto saggio, quello sul rapporto tra reine Rechtsleh-
re e dottrina denkkonomische del pensiero. Questa tesi si sviluppa anche nei
saggi successivi, dove sempre pi, tra laltro, Pitami si pone il problema del
rapporto di tensione tra diritto positivo e diritto naturale, il cui riconoscimen-
to non per questo signifca in alcun modo una caduta nel giusnaturalismo
tout-court. Il rapporto tra oggetto e metodo non riducibile al metodo produt-
tivo del suo oggetto, in quanto anche loggetto determina inevitabilmente,
in certa misura, il metodo col quale si studia loggetto. Come scrive Pavnik
al termine della sua introduzione, le ricerche di Pitami hanno mostrato che
anche la pi pura dottrina del diritto non pu occuparsi del diritto unicamen-
te come costruzione normativa (173). Essere e dovere vanno distinti logica-
mente, ma separarli signifca rischiare di perdere del tutto loggetto della pro-
pria scienza, in questo caso, per la scienza del diritto, il diritto.
Agostino Carrino
Schmittiana
Prosegue la meritoria impresa della Duncker & Humblot di Berlino di pub-
blicare opere di Carl Schmitt in nuove edizioni, spesso a cura di Gnter Masch-
ke, in attesa di un lavoro analogo a quello fatto dalla Mohr per le opere complete
di Kelsen o dalla stessa Duncker per Adolf J. Merkl. Intanto segnaliamo:
CARL SCHMITT, Staatsgefge und Zusammenbruch des zweiten Reiches. Der Sieg des
Brgers ber den Soldaten, hrsg., mit einem Vorwort und mit Anmerkungen ver-
sehen von Gnter Maschke, Berlin, Duncker & Humblot, 2011, pp. XLVI-117.
Si tratta di un testo di cui lo studioso italiano dispone in una traduzione
risalente agli anni Trenta, per la verit piuttosto superata, di Delio Cantimori.
Il saggio del 1934 e stranamente esso viene trascurato anche da coloro (come
per esempio, in Francia, Zarka) che condannano a priori Schmitt e il suo pen-
siero come nazisti. Eppure, pi profondamente di altri scritti di Schmitt, que-
294
Biblioteca
sto saggio rappresenta il culmine della compromissione di Schmitt con il regi-
me di Hitler, perch in fondo il tentativo di tradurre in termini storico-giu-
ridici unaffermazione del Fhrer sulla rivoluzione nazista come supera-
mento fnale del compromesso legale-borghese rappresentato dal II Reich,
anche se la vittoria del borghese sul soldato, dichiarata da Hitler e Schmitt per
il II Reich, potrebbe apparire del tutto infondata storicamente, considerando
quanto il II Reich tedesco deve al militarismo prussiano. In verit, la contrad-
dizione tra soldato (esercito prussiano e suoi valori) e borghese (parlamenta-
rismo liberale, separazione Stato/societ) vuol essere qui un tentativo di spie-
gare la sconftta del II Reich nella prima guerra mondiale, una versione certo
molto pi raffnata della leggenda del colpo di pugnale alla schiena, ma tut-
tavia pur sempre entro lo stesso flone: Un quadro storico nazional-liberale
ancora ampiamente predominante e una dottrina dello Stato ad esso connes-
sa, nata dallo stesso spirito ci hanno fnora impedito di penetrare fno alla cau-
sa pi profonda e pi vera del crollo del 1918 (6). Questa causa il compro-
messo tra esercito e rappresentanza liberale, ovvero costituzione borghese. La
dottrina costituzionale del II Reich concorse a fare del militare un funzionario
civile tra gli altri, inserendolo cos nel sistema delle relazioni giuridiche del-
lo Stato costituzionale borghese (11).
signifcativo che Schmitt inquadri anche loperaio tra le vittime del
compromesso esercito/costituzione, probabilmente attento al fatto che il
nazionalsocialismo era anche, appunto, socialismo, o anche perch reduce
dalla lettura di Der Arbeiter. Gestalt und Form, di Ernst Jnger. I privilegi delle-
sercito (giuramento al re e non alla costituzione, mancata controfrma ministe-
riale ecc.) non potevano essere un reale contrappeso allideologia pericolosa
del Rechtsstaat liberale, a proposito della cui defnizione incerta e vaga Sch-
mitt cita un famoso passo di Bismarck. Ideologia pericolosa perch disgregan-
te la volont popolare, cui si contrappone la volont della rappresentanza.
Una rappresentanza del resto plurale in molti sensi: non solo i partiti rappre-
sentanti del pluralismo sociale costituivano un contraltare allo Stato prussia-
no, ma gli stessi Lnder continuavano ad avere potere di imposizione tributa-
ria diretta, mentre il Reich ne aveva una solo indiretta. Una struttura giuridica
intimamente scissa avrebbe dunque portato prima alla sconftta militare del
1918 e poi alla Costituzione di Weimar, che Schmitt defnisce come la parte
borghese della discorde compagine statale dellimpero crollato (40).
Questo breve libro, come abbiamo detto, poco considerato dalla let-
teratura schmittiana e questo un errore. Crediamo anzi che proprio queste
pagine aiutano a comprendere la sostanza, al tempo stesso semplice e com-
plessa, del pensiero di Schmitt. Daltro canto, se esse si inseriscono in un ten-
tativo di Schmitt di farsi interprete del nazionalsocialismo, dallaltro aiuta-
no anche a spiegare e comprendere le differenze, spesso insuperabili, tra il
suo decisionismo concreto e larbitrio totale del nazismo. E possono anche, a
nostro modo di vedere, contribuire ad un dibattito in corso sulla separazione
dei poteri e il ruolo del giudice. Scrive Schmitt in una pagina di grande acu-
me: Ma se deve valere soltanto il normativismo di una costituzione, e non c
n una legittimit dinastica, n una democratica, n unaltra qualsiasi, ma sol-
tanto una legalit neutra dinanzi a ogni valore, tutte le decisioni politiche di
295
Riferimenti bibliografci
governo vengono sottomesse al preteso giudizio puramente giuridico di una
istanza che da parte sua non responsabile e sottomessa a nessun altri che
ad una legge molto poco chiara e interpretata da lei stessa. Allora dice lulti-
ma parola nello Stato un tribunale composto di giudici indipendenti, cio non
responsabili, inamovibili, pubblici funzionari. Ogni possibilit di governo o
tanto meno di direzione allora soppressa e lideale liberaldemocratico dello
Stato di diritto senza capo realizzato (45).
La ripubblicazione di questo testo accompagnata da una ricca introdu-
zione del suo curatore, G. Maschke, che ha aggiunto anche, oltre ad un com-
mentario esplicativo, in appendice un altro piccolo scritto di Schmitt del 1934,
Die Logik der geistigen Unterwerfung.
Il pensiero di Schmitt complesso, ambiguo, spesso oscuro, comunque
aperto a nuove interpretazioni e nuovi studi. Segnaliamo tra questi:
RDIGER VOIGT (Hg.), Groraum-Denken. Carl Schmitts Kategorie der Grorau-
mordnung, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2008, pp. 265.
Reiche () sono le potenze guida la cui idea politica traluce in un deter-
minato grande spazio e che per questo grande spazio escludono in linea di
principio lintervento di potenze spazialmente estranee: questa frase di Sch-
mitt pu ben sintetizzare la sua teoria dei grandi spazi, sulla quale si soffer-
mano i saggi raccolti nel volume qui segnalato.
Nonostante il fatto che il Groraum schmittiano non si identifchi con li-
dea di Lebensraum hitleriana, resta per indiscusso, a nostro avviso, e nono-
stante gli sforzi fatti specialmente dai cultori di Schmitt, che le due nozio-
ni sono piuttosto simili, in quanto il grande spazio non identifcabile con
una forma di Stato e nemmeno con lidea di impero. Il grande spazio travali-
ca il ncciolo centrale dellorganizzazione politico-giuridica, ovvero della sta-
tualit, per diventare una sorta di riserva di caccia della potenza dominan-
te entro quello spazio. Da questo punto di vista esso potrebbe anche signifca-
re una rinascita del politico dopo il tramonto della decostruzione postmoder-
na, ma in un senso che risentirebbe di categorie classiche non ancora adeguate
alle nuove forme di confronto. La rivoluzione spaziale del XVI secolo, di cui
parla Schmitt, pur non essendo superata, sperimenta nuove modalit dove
la territorialit non pi direttamente legata alla nazione, ma richiama, ad
esempio, la nozione di interesse comune (in primis economico), che pu ben
essere indifferente alla nazionalit dei soggetti agenti.
Le analogie tra Groraum e Lebensraum non devono per nemmeno far
trascurare le differenze: per i teorici nazisti lo spazio vitale ci che a dispo-
sizione della razza superiore, mentre Schmitt immagina una struttura giuri-
dica dello spazio, di cui tuttavia non si intuisce la forma. Giustamente Andre-
as Anter, nel suo contributo, sottolinea come Schmitt resti comunque tra i pro-
tagonisti del regime (60). Ma come ci vero, cos altrettanto vero che il con-
cetto di Groraum pu essere modifcato e adattato a nuove condizioni. ci
che lo stesso Schmitt fa negli anni Sessanta, rinviando alle precondizioni eco-
nomiche e tecniche dei grandi spazi come dimensioni plurali.
296
Biblioteca
I saggi raccolti affrontano pi volte, direttamente o indirettamente, il tema
dei rapporti tra la Groraumtheorie di Schmitt e la questione europea; appa-
re evidente, pur senza considerare lo scetticismo di Schmitt sulla comunit
economica europea, che la differenza pi netta sta nella prospettiva: lEuropa
resta un progetto economico, mentre il grande spazio il luogo della politica.
Alla defnizione del concetto di politico come fondato sulla distinzio-
ne amico/nemico dedicato laltro volume che segnaliamo:
RDIGER VOIGT (Hg.), Freund-Feind-Denker. Carl Schmitts Kategorie des Politi-
schen, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2011, pp. 231.
Il tema dei saggi qui raccolti pu essere sintetizzato nel concetto di con-
fitto come dimensione esistenziale. Ci non deve essere inteso come un giu-
dizio positivo dellantagonismo in quanto tale, piuttosto come presa datto
che il confitto un dato imprescindibile dellesistere e che pensare di poterlo
superare solo unideologia, per di pi cattiva, che pu portare a confitti sen-
za fne. Riconoscere il confitto signifca per prima cosa volerlo e saperlo rego-
lare, rifutando le fnzioni della pace perpetua.
Ci non signifca che il criterio di Schmitt possa essere accolto senza cor-
rezioni. in fondo ci che emerge dalle diverse sensibilit degli autori, che
spaziano dal confronto tra Schmitt e Spengler (P. Nitschke, 131 ss.) al tema
della omogeneit come possibilit di uno Stato democratico (cfr. U. Thiele,
Der Feind ist unsere Frage als Gestalt, 151 ss.). Il confronto con Rousseau attra-
versa alcuni saggi pi flosofcamente orientati, mentre non mancano le consi-
derazioni sulla situazione internazionale dopo l11 settembre e la delineazio-
ne di nuove forme di nemico assoluto.
Questo volume fa parte di una collana della Steiner Verlag intitolata
Staatsdiskurse. Poich limpianto in qualche modo legato direttamente o
indirettamente al pensiero di Schmitt, segnaliamo anche:
RDIGER VOIGT, Alternativlose Politik? Zukunft des Staates Zukunft der De-
mokratie?, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, pp. 247.
I saggi qui raccolti si propongono di rispondere ad un dilemma della
politica contemporanea: se in un mondo globalizzato, nel quale le scelte poli-
tiche vengono sempre pi considerate obbligate, senza alternative, sia sul
piano internazionale sia su quello interno, non signifchi ci la fne della poli-
tica in quanto tale, la quale implica nel suo stesso concetto la scelta, ovvero la
decisione tra possibilit diverse ed anche opposte. Schmitt aveva sottolineato il
carattere polemico dello stesso concetto di politica e Chantal Mouffe, da sini-
stra, ha sottolineato come la perdita dellantagonismo possa signifcare la
perdita della democrazia tout-court. Certo, lo Stato nazionale in pericolo per-
ch sono sotto attacco il concetto di nazione e quello di sovranit popolare. La
risposta che Voigt d in questi saggi alla domanda relativa al futuro dello Sta-
to non sempre univoca, nel senso che i rischi di un crollo fnale della demo-
crazia gli sono ben presenti, anche perch le proposte sono spesso pregiudi-
297
Riferimenti bibliografci
zialmente rifutate, cos come una maggiore partecipazione diretta del popolo
elettore alle scelte politiche attraverso referendum decisori.
Ha vinto la pura legalit formale sulla concreta legittimit sostanzia-
le? I concetti di Stato, nazione, popolo, sovranit devono veramente cedere il
passo ad un ipotetico Superstato europeo che sarebbe forse pi centralista
degli stessi Stati nazionali? Sicurezza e libert possono ancora essere disgiun-
te? Alle problematiche qui rappresentate Voigt risponde offrendo spesso
spunti di rifessione, ma anche analisi specifche su autori (almeno apparen-
temente) molto diversi tra loro, come Engels e Machiavelli, di cui si sottolinea
lattualit in una prospettiva realista tesa a difendere la libert, le cui garanzie
dipendono, prima che dal diritto e dalla morale, dalla sicurezza e dalla forza.
Agostino Carrino
La scienza politica liberale e pragmatica di Wilhelm Hennis
Wilhelm Hennis (1923-2012) non ha fatto in tempo a vedere stampato il
volume di scritti dedicato al suo pensiero:
ANDREAS ANTER (Hrsg.), Wilhelm Hennis Politische Wissenschaft, Tbingen,
Mohr Siebeck, 2012, pp. 369.
Il volume era stato pensato come una raccolta di scritti in onore, per poi
tramutarsi di fatto in un Festschrift in memoria. Per questo il pensiero di Hen-
nis viene discusso in maniera per cos dire trasversale, su temi e argomenti
molto diversi ma che tutti presuppongono il suo modo di concepire la politica
come scienza pratica e quindi sottratta allidea di una mera descrivibilit ava-
lutativa. Ci appare con chiarezza in molti suoi libri pubblicati proprio con
Mohr, che mostrano uno studioso poliedrico, pur con punti fermi.
Al pubblico italiano Hennis noto specialmente come studioso di Max
Weber (alcuni suoi saggi sono stati infatti pubblicati da Laterza), ma lattivit
scientifca di Hennis stata molto pi ampia e variegata e certamente una rico-
struzione della cultura giuridica e politologica tedesca della seconda met del
Novecento non potr fare a meno dei suoi contributi, nei quali egli ha sapu-
to affrontare problemi concreti a partire da una prospettiva scientifca e que-
stioni della scienza politica (e giuridica) a partire da problematiche empiriche
rilevanti, un metodo che non sempre facile padroneggiare con perizia, come
invece riesce a Hennis. Bene, infatti, si fece anni addietro a raccogliere i suoi
pi importanti scritti di scienza politica in due volumi, nel primo dei quali:
WILHELM HENNIS, Regieren im modernen Staat. Politikwissenschaftliche Abhandlun-
gen I, Tbingen, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), 1999, pp. 428.
si possono leggere scritti importanti in materia di scienza della politica,
da quello del 1949 dedicato al sistema di governo parlamentare a quelli sulla
democrazia rappresentativa e le tecniche di governo. Specifco interesse rive-
298
Biblioteca
stono ai nostri occhi gli scritti di orientamento pi giuridico e costituzionali-
stico, in particolare il saggio su Costituzione e realt costituzionale (che ci propo-
niamo di offrire quanto prima al lettore di questa Rivista in traduzione italia-
na), del 1968, che analizza una contrapposizione centrale della scienza costi-
tuzionalistica moderna (a noi pi nota sotto lopposizione di costituzione
formale e costituzione materiale), nella convinzione che la scienza politica
(come professione, come titola weberianamente lultimo saggio del volume)
pu e deve offrire al diritto un punto di riferimento e materiali di rifessione
imprescindibili per una scienza giuridica non formalistica (si vedano anche le
considerazioni sulla dottrina della costituzione di Smend). Il secondo volume,
WILHELM HENNIS, Politikwissenschaft und politisches Denken, Politikwissenschaftli-
che Abhandlungen II, Tbingen, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), 2000, pp. 386.
conteneva saggi che partono dal 1959 (Politica e flosofa pratica) e nei
quali appare evidente ci che nel primo volume lo forse meno, vale a dire
che la scienza politica deve avere quale suo orizzonte problematico la pras-
si, la concreta esperienza che si fa del governo empiricamente dato in quan-
to governo buono, cattivo, migliorabile; Hennis parte dal dato insu-
perabile della divisione tra governati e governanti. evidente che qui egli si
avvale al meglio della lezione di Max Weber, che anzi riesce assai bene a ren-
dere feconda in molti dei suoi scritti, ed anche della lezione di Edmund Bur-
ke, che avvertiva di non tralasciare mai il contesto, le circostanze, per non
cadere nellastrazione di un cattivo illuminismo. Il volume raccoglie, oltre al
saggio sulla flosofa pratica (suo lavoro di abilitazione, del 1960), scritti vari,
tra i quali meritano di essere citati almeno quello sulla fne della politica, una
discussione critica della tesi di Schelsky, il denso studio sul concetto di legit-
timit, il leggero ma acuto e signifcativo scritto del 1994 su Goya (che forse
bisognerebbe leggere per primo, per afferrare subito il senso della produzio-
ne scientifca di Hennis): sono i sogni della ragione progettante, scrive lAu-
tore, che producono mostri, come a dire che occorre stare in guardia sin dalli-
nizio, perch siamo circondati da mostri, perch il dissenso tra la ragione pra-
tica e la ragione tecnica, che vorrebbe costruire Stato, diritto e morale come
si costruisce un cannone, ci avvolge e ci riguarda tutti.
Non si pu a questo punto, prima di dar conto del Festschrift, non segna-
lare per anche altri due suoi libri, il primo, la sua tesi di dottorato:
WILHELM HENNIS, Das Problem der Souvernitt. Ein Beitrag zur neueren Literatur-
geschichte und gegenwrtigen Problematik der politischen Wissenschaften, Tbin-
gen, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), 2003, pp. 127.
nella quale lA. studia il problema della sovranit a partire dalla lettera-
tura in materia della seconda met del XIX secolo il dibattito weimariano,
senza mediazioni, ovviamente sempre presente nella ricostruzione , con
uno sguardo alla giustifcazione della sovranit dello Stato nei cmpiti che
esso deve assolvere (uno sguardo per cos dire sociologico) e un altro ai limiti
che la sovranit statale trova nel valore del singolo. Le conclusioni del lavoro,
299
Riferimenti bibliografci
critiche sulla possibilit di estendere la sovranit ad entit sovranazionali nel-
la misura in cui non vi sia un rapporto di responsabilit verso i singoli, acqui-
sta attualit oggi con riferimento alle problematiche dellUnione Europea. Il
secondo volume riguarda invece un autore caro a Hennis:
WILHELM HENNIS, Max Weber und Thukydides, Tbingen, J.C.B. Mohr (Paul Sie-
beck), 2003, pp. 202.
una raccolta di saggi e di conferenze dedicate allopera di Max Weber e
alla sua attualit, che integrano i pi ampi e noti lavori di Hennis dedicati alla
problematica antropologico-politica del grande sociologo tedesco.
Come si vede, la produzione letteraria di Hennis pluriforme e articola-
ta. I saggi raccolti da Andreas Anter nel volume gi citato sulla scienza politi-
ca di Hennis in qualche modo la riproducono. Si va infatti dal saggio di Peter
Graff Kielmansegg, che chiarisce il senso della scienza politica hennisiana
come scienza normativa simile alla medicina: come questa mira alla salute del
corpo, cos quella vuole la tutela del bene comune e si sforza di capire e di
prescrivere i rimedi necessari. La verit della scienza politica dunque altro
dalla verit delle scienze naturali. E buon governo, anche quando si discu-
te di democrazia, e sopra tutto di democrazia, vuol dire governo responsabi-
le, come dimostra anche, nel suo saggio sul concetto di democrazia in Hennis,
Tine Stein (25 ss.), richiamandosi per esempio alla preferenza di Hennis per il
sistema elettorale maggioritario proprio in nome del principio della responsa-
bilit.
Responsabilit signifca ricerca della verit nel senso proprio della politi-
ca come scienza pratica, sicch non a caso Hennis, attento lettore di Smend (col
quale si addottora), Schmitt, Heller, critica quelle posizioni che da Bacone in poi
ignorano i limiti dellagire umano e, rifacendosi ad Aristotele, si richiama alla
topica di Viehweg (cfr. R. Mehring, Ideologie und Topik, 47 ss.). Di qui anche la-
nalisi critica dello Stato dei partiti (cfr. K. Von Beyme, Hennis und die Kritik am
Parteistaat, 139 ss.), ma anche una concezione della costituzione come ordina-
mento fondamentale che deve essere strumentale al buon funzionamento del-
la politica e non intesa come deposito sacrale di valori sovrastorici e immutabi-
li (cfr. A. Anter, Hennis Verfassungsdiagnostik , 73 ss.). La costituzione non un
testo sacro, ma uno strumento di governo e della politica.
Agostino Carrino
ANTER, ANDREAS, Die Macht der Ordnung. Aspekte einer Grundkategorie des
Politischen, II. Auf., Tbingen, Mohr Siebeck, 2007, pp. 321.
Merita di essere recensito, anche se a distanza di anni dalla sua uscita,
questo libro di Andrea Anter, allievo di Wilhelm Hennis, sul concetto di ordi-
ne. Leggendolo, la prima obiezione che potrebbe sorgere nel lettore che lor-
dine presuppone sempre il disordine e che, se questo libro studia il concetto
di ordine in vari mbiti dellesperienza umana, sembra dimenticare il disordi-
ne. In realt, cos non : anzi, il libro presuppone esattamente lidea di disor-
dine, anche se come concetto negativo, mentre il disordine, proprio nelle-
300
Biblioteca
sperienza concreta, si d sempre come premessa dellordine, come laltra fac-
cia dellordine, come ci che sempre, in ogni momento, rischia di rompere
lordine. Non necessario pensare al disordine come caos creativo e pro-
duttivo, come forza tellurica produttiva; suffciente sapere che luno e lal-
tro, ordine e disordine, sempre si tengono nellesperienza e nellagire delluo-
mo. vero ci che Anter dice allinizio del suo libro, che lordine il telos del
politico, ma altrettanto vero che spesso la politica e anche il politico mira-
no al dis-ordine, sia pure come prerequisito dellordine. Una rivoluzione vuo-
le un nuovo ordine attraverso il dis-ordinamento del vecchio ordine.
Detto questo, il libro assai pregevole e fa molto rifettere. La doman-
da cardine ovviamente quella relativa a dove si colloca lordine, nelle
cose o nellio? Nella realt o nella coscienza? Almeno da Kant in poi lordi-
ne ci che noi ci rappresentiamo come ordine nel pensiero; come scriveva
Fritz Mauthner, citato da Anter (12), Wir wissen nur von der subjektiven
Ordnung in unserem Kopfe () Der Mensch hat die Ordnung in die Natur
hineingetragen. Altrettanto centrale, se non pi, ovviamente, il discorso
dellordine in chi pensa che vi sia invece un ordine delle cose. Lidea di ordi-
ne gioca cos un ruolo centrale in tutte le discipline scientifche della moder-
nit e in primis per la scienza della politica, ma signifcativo che il concet-
to di ordine non pu non trovare declinazioni ermeneutiche diverse, come
dimostra Anter. Ordine una soluzione dai molti usi, che possono reclama-
re non soltanto il conservatorismo, ma anche il socialismo e lanarchismo
(260). Il problema dellordine, daltro canto, consiste sempre in un equili-
brio tra ordine e disordine, essendo impossibile sia un ordine assoluto sia un
disordine assoluto. Proprio questa necessit per cos dire relativa dellordine
fa anche comprendere che la crisi dello Stato e del diritto, pur indubbia, non
signifca affatto che delluno e dellaltro si possa fare a meno. A meno che
non si voglia cadere in quel pensiero concreto dellordinamento la Carl
Schmitt (il giurista convertito allhitlerismo), cui Anter dedica diverse buo-
ne pagine, per il quale lordine sta da una parte (nella volont del Fhrer) e
il disordine nella mera capacit di regolazione giuridica da parte dello Sta-
to (cfr. 190 ss.).
Signifcativo il riferimento a Lederer e al suo giudizio sul Terzo Reich
come Unstaat (203), nel senso che se lordine e lo Stato si tengono, Anter sa
bene cogliere i limiti di una identifcazione, che infatti non si d nella storia
moderna, anche perch egli interpreta lidea di ordine almeno per quanto
riguarda la cultura tedesca come una nostalgia: di unit, di integrazione e
di comunit (219). In effetti, dietro la classe, dietro la razza, dietro anche la
nazione, si sempre celata questa nostalgia di una comunit perduta. Nel-
la postmodernit si creduto di poter superare questa nostalgia o questo
bisogno privatizzando le funzioni di ordine e di sicurezza, ma, come giusta-
mente osserva Anter, ci lascia fuori tutto il resto, che quasi tutto, la societ
e il pubblico. Non a caso, dopo la retorica della morte dello Stato, si ritor-
na a guardare allo Stato, sia pure in forme rinnovate e ci perch, come giu-
stamente scrive Anter, leuforia della destatalizzazione nasconde il fatto che
ogni ordine non-statuale sfocia alla fne nel diritto del pi forte (251).
Agostino Carrino
301
Riferimenti bibliografci
BALDUS, CHRISTIAN / KRONKE, HERBERT / MAGER, UTE (Hrsgg.), Heidelberger The-
sen zu Recht und Gerechtigkeit, Tbingen, Mohr Siebeck, 2013, pp. 495.
Nel 2011 la prestigiosa Universit di Heidelberg ha festeggiato i 625 anni
dalla sua fondazione. Il diritto, com noto, ha sempre rappresentato una par-
te signifcativa e importante dello Studium Generale di quella Universit. La
Facolt di Giurisprudenza, in occasione di un colloquio sul tema, ha volu-
to festeggiare lanniversario raccogliendo in volume gli atti di quel conve-
gno, dove si sono ricordati secondo una simpatica tradizione dellaccade-
mia tedesca gli studiosi che in quellAteneo svolsero tutta o parte della loro
principale attivit di studio e di insegnamento nei vari rami del diritto.
Si parte cos da un saggio di Ch. Hattenhauer sulla persona, ovvero
lessere umano in quanto tale come fondamento del diritto privato in Hugo
Donellus (1527-1591), a S. Pufendorf e ad altri giuspubblicisti che in Hei-
delberg insegnarono per periodi pi o meno lunghi (Thibaut, Bluntschli,
Goldschmidt, Windscheid) a molti altri ancora oggi punto di riferimento nel-
lo studio scientifco del diritto.
Naturalmente, non mancano saggi specifcamente dedicati a quei giuri-
sti che tra Otto e Novecento diedero lustro ulteriore alla Facolt giuridica di
Heidelberg, a partire da Georg Jellinek (al quale dedica un saggio importan-
te Winfried Brugger, che si occupa specifcamente della dottrina dello status
in Jellinek, a Hugo Preu, Walter Jellinek, Max Weber, G. Anschtz, Gustav
Radbruch, del cui pensiero flosofco due saggi discutono alcuni punti contro-
versi, in particolare se la famosa formula di Radbruch del 1946 costituisca
o meno un rovesciamento nella flosofa del diritto di Radbruch da positivi-
sta a nonpositivista. Di ci tratta G. Dannecker, mentre T. Hillenkamp discu-
te della ricerca di alternative al diritto penale a partire dal pensiero giuspena-
lista di Radbruch.
Angelo Di Giovanni
BIN, ROBERTO, A discrezione del giudice. Ordine e disordine, una prospettiva quanti-
stica, Milano, Franco Angeli, 2013, pp. 111.
Il libro di Roberto Bin qui recensito al di l delle aspettative che potreb-
bero suscitare il titolo e il focus iniziale apposto dallA. medesimo alla sua rifes-
sione fondamentalmente un saggio teorico sulla separazione del potere.
N tale affermazione deve stupire pi di tanto, poich lo stesso Bin,
nella parte fnale dello scritto, a rendere palese tale trama verticale (segna-
tamente nel 11, rubricato Qualche conclusione, 101 ss.).
Pi esattamente, Roberto Bin prende le mosse da una constatazione dif-
fcilmente revocabile in dubbio, e cio la presenza negli ordinamenti libe-
raldemocratici occidentali di una forte discrezionalit giudiziale in sede
di applicazione del diritto (7), e da qui sviluppa un racconto sempre nitido, a
tratti persino avvincente.
Forse, al di l della capacit di razionalizzare fenomeni solo apparente-
mente circoscritti ed in-comunicanti allinterno di un quadro dinsieme coe-
rente, ci che colpir maggiormente il lettore sar il verifcare la sostanziale
302
Biblioteca
consonanza tra quanto Bin va sostenendo a livello teorico-generale ed il piano
giuridico-positivo (in ispecie, quello italiano).
Lo scritto, infatti, dopo aver posto laccento sulla suddetta discreziona-
lit giudiziale apparentemente senza controllo, e comunque accresciutasi in
corrispondenza dellirrigidimento delle costituzioni del secondo dopoguer-
ra, considerate quali testi normativi individua lantagonista del giudice nel
legislatore (ibidem), ed in particolare nel legislatore democratico.
Intavolate sinteticamente le ormai classiche questioni sulla legittima-
zione democratica dei tribunali costituzionali, nonch le obiezioni che abitual-
mente vengono allegate contro tale rilievo, lA. (sempre in chiave introdutti-
va) enuncia le sue due principali linee di indagine: a) la critica dellidea che
soggetto osservante ed oggetto osservato siano, nel procedimento conosciti-
vo, entit separate; b) la valorizzazione di quella che egli chiama la dimen-
sione istituzionale dellinterpretazione giuridica (12).
Nello sviluppo di tali tesi, Bin si avvale delle acquisizioni epistemologi-
che provenienti da quei fsici teoretici che hanno fondato un nuovo paradig-
ma di studio del mondo naturale: la meccanica quantistica.
La giustifcazione di tale accostamento, allapparenza eccentrico, viene
effettuata nei 2 e 4 (rubricati rispettivamente Perch la fsica? e Inde-
terminazione giuridica e allora?, rispettivamente, 15 ss. e 27 ss.), e mira a
dimostrare come i mondi delle scienze c.d. dure e delle scienze sociali sia-
no in realt meno lontani di quel che potrebbe credersi: in questa chiave, lo
studioso si inserisce in una corrente di pensiero piuttosto recente, che tenta di
attualizzare la risalente tensione degli scienziati sociali, in generale, e dei giu-
risti, in particolare (ad iniziare da Hans Kelsen), verso lo statuto epistemico
delle scienze esatte; tuttavia, attraverso il richiamo alla prospettiva quanti-
stica (spec. 2), Bin non dispiega tale tentativo in funzione di una (irrealisti-
ca?) affermazione di oggettivit delle scienze sociali, quanto piuttosto verso
una de-mitizzazione delle certezze proprie delle scienze naturali ( 4).
Il momento di verifca privilegiato per la tenuta di tale modello di
scienza giuridica si colloca in occasione delle decisioni dei giudici sui c.d. hard
cases, i quali a rimanere nella metafora dellA. esigono, per essere risolti,
di essere esaminati con una risoluzione ottica diversa da quella suffciente
per affrontare la stragrande maggioranza delle questioni sottoposte ai giudi-
ci ordinari ( 3, 21 ss.).
Obbiettivo polemico di tali osservazioni, assieme a Kelsen ed alla sua
costruzione gradualistica dellordinamento, quindi anche Dworkin, o,
meglio, il suo giudice erculeo ( 4).
Per argomentare contro la ontologia materialistica dei due chiari
Autori, Roberto Bin si concentra sullesame di quellattivit, tanto importan-
te quanto misconosciuta, che ogni giudice compie ben prima di iniziare ad
interpretare il diritto, ossia il (cercarlo e) trovarlo ( 5, 35 ss.); Bin eviden-
zia, soprattutto, come la libert del giudice in tale fase sia ben poco control-
labile ( 5 e 6, 53-60), per lo meno sino a quando si rimanga in una prospet-
tiva individuale (i.e.: sino a che si guardi il singolo atto, la singola senten-
za: 7, 61 ss.).
303
Riferimenti bibliografci
La questione si presta invece ad essere affrontata in maniera pi profcua
accogliendo coerentemente coi postulati epistemologici quantistici una
prospettiva pi ampia, istituzionale, che guardi cio allinsieme dei casi in
cui una norma interpretata ed applicata (il virgolettato preso dal 7, ma
largomentazione viene declinata nel successivo 8, 69 ss.).
Ed proprio in questa dimensione che ad avviso dellA. emerge un
dato fondamentale e dirimente, e cio che il legislatore tratta i diritti come un
problema di politica generale, mentre i giudici li trattano affrontando un caso
specifco alla volta (ibidem): inizia ad afforare proprio in questo punto quella
trama verticale di cui si diceva in apertura, poich a scambiare o confon-
dere le due prospettive, ne resterebbe leso lo stesso principio di separazione
dei poteri (ibidem).
Del resto, il medesimo rilievo pu essere associato anche alle (diverse)
sentenze dei tribunali costituzionali, a seconda della sede in cui questi sono
chiamati ad esprimersi e dellinterlocutore cui si rivolgono; ci che spiega
per lappunto la diversit di stile e di approccio delle varie Corti, spesso
allinterno di lassi temporali molto brevi, in casi aventi il medesimo oggetto; e
che pu altres fare chiarezza sul quando possano realmente insorgere questio-
ni sulla legittimazione democratica degli organi giudicanti: ossia quando lor-
gano giudicante tratti i diritti come problemi di politica generale e non come
una questione singolare ( 9, 81 ss.).
Un caso concreto tratto dalla cronaca italiana (pudicamente dissimulato
dietro uniniziale E.) viene infne evocato per saggiare la tenuta del modello
( 10, 93-100) e riaffermare la necessit (anche) teorica di tenere distinto il pia-
no politico da quello giurisdizionale ( 11, 101 ss.).
Cosa che, del resto, i nostri Padri costituenti dovevano aver avuta ben
chiara sin dallinizio, se vero che hanno esplicitamente riservato la funzione
legislativa alle Camere (art. 70 Cost.) e quella giurisdizionale al singolo giudi-
ce (art. 102 Cost.).
Antonio Riviezzo
CARRINO, AGOSTINO, La giustizia come confitto. Crisi della politica e Stato dei giu-
dici, Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 268.
Questo volume di Agostino Carrino pone a tema le principali contrad-
dizioni della forma Stato moderna attraverso lassunzione di una prospettiva
che fn dallesergo il motto eracliteo necessario che la giustizia sia la con-
tesa riconosce esplicitamente il confitto come possibilit concreta, se non
come condizione strutturale e necessaria del vivere associato.
Nella prefazione il tema della giustizia illustrato con riferimento al rap-
porto, problematico e, appunto, confittuale, fra diritto e potere (cfr. 12) e al
pericolo rappresentato, in questo contesto, dalla possibile deriva verso uno
Stato dei giudici. Tale deriva si realizza qualora colpevolmente si dimen-
tichi il carattere inevitabilmente politico e storicamente determinato di ogni
Costituzione: da un lato, infatti, le Costituzioni sono fenomeni culturali com-
plessi, che non possono essere abbandonati alla mera interpretazione razio-
nale, quasi che il testo delle norme supreme sia indifferente a tutto ci che ne
304
Biblioteca
ha costituito e ne costituisce il contesto, le premesse, il fne (18); dallaltro esi-
ste un legame indissolubile fra la carta costituzionale nella sua confgurazio-
ne formale e il popolo, che ne costituisce a un tempo lautore e il custode in
ultima istanza. Essa infatti scrive lAutore un bene che il popolo si d e
che non pu essere affdato in esclusiva a nessun altro (17). In questo conte-
sto non si tratta di scalzare il giudice dal trono, quanto piuttosto di ricono-
scere in esso un potere, al di fuori di ogni connotazione morale e valoriale,
e di assoggettarlo ai limiti previsti per ogni potere (24).
Il capitolo pi ampio del libro quasi a costituire per dimensione e arti-
colazione interna un volume a s intitolato La crisi dello Stato tra liberalismo
e democrazia. Se la forma politica moderna coincide per molti versi con linven-
zione dellindividuo titolare di diritti (Ci che flosof e sociologi hanno chia-
mato modernit, ovvero il progetto specifco di questo particolare tempo sto-
rico, consistito fondamentalmente in unidea di liberazione e di autonomiz-
zazione dei cittadini, 31), tale circostanza deve problematicamente convivere
con laffermazione della nozione sovra-individuale di popolo che, nella decli-
nazione democratica, si confgura in termini di identit fra governante e gover-
nati (cfr. 33). Per altro verso, se nella sua variante liberale la teoria moderna
considera quale suo compito prioritario quello di limitare il potere (34), sul
versante democratico essa assume consapevolmente il potere come proprio
principio (cfr. 35). Ma il principio individualista deve ancora misurarsi pro-
blematicamente con lesigenza contrapposta eppure frutto della medesima
logica dei gruppi e delle formazioni sociali di costituirsi e rivendicare la pie-
na partecipazione alla vita politica (cfr. 45). Nel moderno, in realt, individuo
e comunit, unit e pluralit, pi che principi opposti appaiono poli distinti i
quali defniscono un comune campo di tensione che non pu essere pacifca-
mente risolto in termini teorici, ma piuttosto governato politicamente (cfr. 52). In
questo senso si spiega lattenzione che Agostino Carrino rivolge al tema della
decisione politica (cfr. 92) e alla necessit di un rinnovato senso del bene comu-
ne: Libert e bene comune si tengono e sottolineare un solo aspetto di una
dialettica molto articolata storicamente e teoreticamente signifca impoverire
lo sforzo di comprensione del reale e quindi indebolire qualunque progetto di
buon governo (101). Il bene comune va tuttavia inteso in termini di realismo
politico e al di fuori di ogni tentazione irenica: La democrazia si rivela, cos,
essere () convinzione della necessit della frattura e dellantagonismo, socie-
t del confitto e concezione realistica della politica (57). Ad una tale consa-
pevolezza non peraltro estraneo un ben preciso sostrato etico: non un caso
che lautore si richiami a Nicolai Hartmann per il quale vi un valore speci-
fco della comunit () esattamente come vi un valore specifco dellindivi-
duo (46) e ponga una sorta di primato etico del dovere rispetto al diritto, indi-
viduando nelletica dei doveri dellindividuo nella citt un effcace antidoto
alla deriva soggettivistica di unetica dei diritti fondati solo su se stessi (125).
Un ruolo cruciale in questo quadro svolge, dunque, la funzione di gover-
no, nei cui confronti deve cadere ogni sospetto (140); qui viene posta
unalternativa stringente: o la funzione di governo accettata in quanto tale
e quindi regolata nelle sue competenze e nelle sue facolt di comando () o
compressa in maniera illogica e innaturale, al punto da fare alla fne esplode-
305
Riferimenti bibliografci
re talora in maniera anticostituzionale tutte le funzioni e le competenze
proprie del governo (148).
Lanalisi del saggio di Guizot, Des conspirations, et de la justice politique, di
cui nel 2001 Carrino ha curato ledizione italiana, offre allAutore lopportuni-
t di ritornare sul tema della giustizia, declinandolo in due direzioni diverse,
ma contigue: da un lato la necessit di mantenere separate le sfere della politi-
ca e della giustizia (cfr. 181); dallaltro la necessit che il giudice sia subordina-
to alla legge: Quando il giudice dimentica il vincolo della legge e teorizza un
diritto superiore di cui egli e soltanto egli linterprete, lequilibrio dei poteri
si spezza e in nome della virt si infrangono tutti i limiti che salvaguardano i
cittadini nellesercizio delle libert garantite dal governo e dalla legge (190).
Nel capitolo successivo, lAutore insiste sul tema della giustizia, distan-
ziandosi da posizioni teoriche di marcato carattere nichilistico (il riferimento
esplicito a Morris Ghezzi e Natalino Irti) e proponendo come possibile antido-
to ad esse il riferimento (sia pure con qualche cautela) alle origini sociali del
diritto (211). Laffermazione del relativismo perde infatti la sua (paradossale)
assolutezza, convertendosi produttivamente in pluralismo/politeismo, qualo-
ra si consideri che lindividuo non mai veramente solo nel suo agire, ma sem-
pre rapportato ad un altro e che il confitto interindividuale, proprio in quanto
confitto, implica esattamente quel riconoscimento reciproco che relativizza il
relativismo e rende possibile la convivenza come agonismo fra valori e conce-
zioni del mondo (212). Anche nel capitolo successivo, discutendo alcune tesi
di Severino e, di nuovo, di Irti, lAutore scorge una possibile via duscita dal
nichilismo giuridico, di cui il kelsenismo veramente lespressione adegua-
ta (248), nel ritorno dattenzione agli individui concreti, agli uomini viven-
ti (252) e, sul piano giuridico, nellimpegnativa individuazione di un diritto
naturale vigente, inteso come il complesso dei diritti degli individui concre-
ti che vivono in sociale comunione luno con laltro diritto alla salvaguardia e
alla tutela della propria individualit, diritto come ci che accomuna (253).
Nel capitolo fnale, lAutore affronta alcuni aspetti del dibattito (italia-
no e non solo) sul federalismo. Questo concetto non va inteso, a suo giudi-
zio, come sinonimo di secessione o disgregazione, ma costituisce anzi il loro
esatto contrario, soprattutto se bilanciato da unadeguata dose di presiden-
zialismo (263). In questa declinazione istituzionale, che potrebbe costituire la
grande, rivoluzionaria novit del XXI secolo (ibd.), troverebbe posto una rin-
novata nozione di popolo, inteso dinamicamente come molteplice e differen-
ziata unit (267). Una tale nozione di federalismo, in grado di operare la sin-
tesi diffcile fra individuo e comunit, si presenterebbe infne come laltra
faccia dellidea di un liberalismo politico e sociale () capace di proiettarsi su
un progetto di Europa custode, non matrigna e negatrice delle caratteristiche
dei popoli, delle nazioni e delle entit subnazionali (268).
Molteplici e impegnative sono dunque le sfde che il volume lancia alla
rifessione flosofca e giuridica. Fra queste ci sembra si segnali innanzitutto la
necessit di determinare ulteriormente un concetto di popolo capace di dar ragio-
ne insieme della sua dimensione unitaria senza la quale non sono pensabili azio-
ne politica e decisione e della molteplicit delle aggregazioni e delle differenze
che a un tempo lo attraversano e lo costituiscono. A tale fne il tradizionale mec-
306
Biblioteca
canismo rappresentativo, per il quale lunit del popolo si costituisce attraverso
un movimento di autorizzazione da parte dei suoi membri nei confronti delli-
stanza, individuale o collettiva, che la impersona, sembra aver perso, anche in
conseguenza delle critiche radicali cui stato sottoposto nel corso del Novecen-
to, gran parte della propria effcacia esplicativa. In secondo luogo, vi lurgenza
di pervenire ad una nozione di federalismo nella quale la struttura federale non
si costituisca semplicemente come la somma di strutture territoriali di dimensio-
ni pi ridotte rispetto alla tradizionale forma-Stato: una soluzione di questo tipo
avrebbe come esito la mera riproposizione in scala minore delle aporie tipiche
della forma-Stato moderna. Il federalismo che lanalisi di Agostino Carrino sem-
bra esigere, infatti, non risulterebbe pienamente adeguato al proprio compito se
non si mostrasse in grado di tenere e dare conto, in termini di presenza politica
e di partecipazione, non solo delle articolazioni territoriali, ma anche e soprat-
tutto delle molteplici aggregazioni dinteresse, variamente organizzate e struttu-
rate, che, sia a livello statale che sovra-statale, di fatto esercitano da gran tempo
un peso decisivo nella determinazione delle politiche nazionali e sovranaziona-
li. questa una circostanza che, a nostro avviso, rende particolarmente urgente
la determinazione concettuale delle modalit di una possibile costituzionalizza-
zione plurilivello delle parti. In terzo luogo, vi il problema del modo in cui
la ridefnizione della funzione di governo possa utilmente collocarsi al di l della
tradizionale (e ineffcace) identifcazione con il potere esecutivo. questo infat-
ti, come sottolinea lAutore, un temine improprio e sviante, in quanto nessun
governo degno di questo nome si mai limitato ad eseguire la volont altrui
(182). Lultima e forse pi impegnativa sfda riguarda la necessit di dar conto
dei rapporti fra Comunit europea e Stati in termini ulteriori rispetto alla concet-
tualit tipica dello Stato moderno. Ci signifca procedere risolutamente oltre il
vocabolario della sovranit e concepire lo spazio politico-istituzionale europeo
come unorganizzazione complessa di poteri la cui legittimazione non sia sem-
plicemente affdata alle procedure elettive, ma dipenda in misura decisiva dalla
capacit reciproca di limitazione e controllo (cfr. 129).
Antonino Scalone
EHRLICH, EUGEN, Politische Schriften, hrsg. u. eingel. von Manfred Rehbinder,
Berlin, Duncker & Humblot, 2007, pp. 206.
Eugen Ehrlich (1863-1922) appartiene agli autori che hanno infuen-
zato la mia formazione scientifca, molti dei quali di origine appunto ebraica.
Triste e paradossale destino quello di tanti ebrei mitteleuropei, uomini di for-
mazione mentale intimamente tedesca, ma anche di vocazione quasi natural-
mente tedesca. Quanti ebrei consideravano la cultura del loro paese come la
cultura per eccellenza! diffcile immaginare il senso di sgomento di quanti
dovettero assistere alla fne del loro sogno di integrazione dellebraismo nel-
la germanicit e viceversa. E cos anche diffcile pensare il senso di spaesa-
mento per un ebreo come Ehrlich, che dovette subire un doppio ostracismo:
in quanto ebreo e in quanto austro-tedesco.
Ehrlich era stato rettore delluniversit di Czernowitz, dove insegnava
diritto romano. La Bucovina faceva parte dellImpero austro-ungarico; dopo
307
Riferimenti bibliografci
la guerra entr a far parte della Romania e l Ehrlich si trov a combattere
contro anti-semiti, che per lappunto lo combattevano in quanto ebreo, e anti-
tedeschi, che gli rinfacciavano le sue posizioni politiche a favore dellImpero
austro-ungarico, del josephinismo, avvero dellidea che solo in una realt
imperiale multinazionale come lAustria di Francesco Giuseppe fosse possi-
bile per letnia e la cultura ebraiche trovare se stesse, la propria autonomia, la
propria dignit. E cos Ehrlich venne privato della cattedra, per cos dire, due
volte: in quanto ebreo e in quanto austro-tedesco.
Va anche per questo segnalato questo libro curato da M. Rehbinder, mas-
simo conoscitore di Ehrlich, dove sono raccolti alcuni scritti politici pubblicati
dal 1918 al 1921, praticamente sconosciuti, del fondatore della sociologia del
diritto. Ehrlich vi appare come sociologo di stampo conservatore, ma impe-
gnato per la pace e per il quale lattivit dello Stato trova dei limiti invalicabi-
li che gli sono posti dalla realt economica. Com noto, il teorico del diritto
vivente ha sempre considerato che il fondamento del diritto non risiede n
nella legislazione n nella giurisdizione, bens nella societ, che quindi impe-
disce naturaliter allo Stato di regolare i rapporti sociali oltre un dato limite pre-
stabilito, in qualche modo, dalle regole che vivono gi dentro la societ.
Il primo saggio, dedicato al crollo dellImpero austriaco (Der Verfall eines
grossen Reiches) interessante perch si pone un interrogativo fecondo anche
oggi: perch dalle nazioni che componevano lImpero non nata una nazione
austriaca? Oggi il nostro interrogativo suona: perch non nasce una nazione
europea? La lettura di questo scritto, che ricostruisce la storia politica dellIm-
pero absburgico dalla fne del Settecento fno al crollo in una chiave sociologi-
co-politica, offre molti spunti di rifessione. Seguono altri lavori, tra cui una cri-
tica della politica di Bismarck, un pungente articolo di recensione sulla mania
dei generali di scrivere memorie e pensieri, un saggio su Marx e la questione
sociale, uno sul movimento pacifsta e uno sul futuro della Lega delle Nazioni.
Agostino Carrino
EISFELD, JENS / OTTO, MARTIN / ZWANZGER, MICHAEL UND PAHLOW, LOUIS. (Hrsgg.),
Naturrecht und Staat in der Neuzeit, Tbingen, Mohr Siebeck, 2013, pp. 640.
I giuristi che si occupano dei problemi del diritto vigente sono soliti
scomporre la materia del loro studio in singole unit logicamente separabi-
li, al fne di poterle analizzare meglio. Gli storici, invece, praticano la ricostru-
zione dei contesti per evitare che le connessioni di senso tra i fatti siano lace-
rate arbitrariamente. Gli storici del diritto si trovano precisamente a met stra-
da tra questi due mondi e la loro attivit scientifca si svolge allinsegna tanto
dellanalisi quanto della sintesi.
proprio ad un importante storico del diritto, Diethelm Klippel, che
dedicato questo ampio volume, contentente pi di trenta contributi che affron-
tano, da diverse prospettive, il rapporto tra Stato e diritto naturale nellet
moderna. La Festschrift per i settantanni dello storico di Treviri rifette gli inte-
ressi scientifci del festeggiato che, nella sua lunga e produttiva carriera, svolta-
si prima nelluniversit di Gieen, poi in quella di Bayreuth, ha approfondito la
dinamica evolutiva, storica e concettuale, che il diritto naturale e la flosofa del
308
Biblioteca
diritto, dopo il periodo antico e quello cristiano-medievale, hanno subito dalle-
poca illuministica fno al XIX e, in parte, al XX secolo. La questione principale
che sta a fondamento del presente volume quindi quella di comprendere in
che modo le idee giusnaturalistiche si siano inserite in quel contesto storico, in
che misura siano state infuenzate dagli sviluppi dellepoca in cui si erano radi-
cate e, infne, in che senso siano state proprio esse ad esercitare un infusso con-
sistente e duraturo sulla modernit e sulla concezione che oggi abbiamo di essa.
I contributi del volume danno unidea molto precisa dei numerosi aspetti
storici, culturali, flosofci e giuridici che si intrecciano intorno al tema del dirit-
to naturale, estendendosi dalla prima fase dellIlluminismo fno alle ripercus-
sioni presunte o effettive che esso ha generato nel XX secolo, dal proto-illumi-
nismo della Germania mediana (mitteldeutsch) fno alla teoria dello Shareholder
Value, da John Locke fno a Kurt Wolzendorff, dalla concezione ottocentesca
del diritto naturale nel Wittenberg al diritto francese della schiavit nei Caraibi.
Pur non essendo possibile in questa sede dare conto di tutti i saggi, vor-
rei per segnalarne alcuni che mi sembrano particolarmente interessanti e tali
da rifettere la fertile interdisciplinariet dellapproccio tedesco allo studio del
diritto, in grado di fondere insieme la prospettiva tecnicamente giuridica con
quella storica e flosofca: Heinhard Steiger si occupa, per esempio, del tema
concernente la libert dei mari e il diritto naturale, mostrando come il dibattito
svoltosi a partire dal XVI secolo sulla distinzione tra mare liberum e mare clausum
abbia acquisito un signifcato giuridico-positivo per il diritto internazionale
attuale, mentre solo superfcialmente pu considerarsi di valore esclusivamen-
te storico. Walter Pauly e Jens Eisfeld si dedicano rispettivamente allanalisi del
concetto di Sollen e alla Trennung tra diritto e morale in Kant; Wolfang Schild
svolge una originale e approfondita analisi del diritto naturale in Hegel, indivi-
duando tre tappe fondamentali del suo sviluppo nel 1817, nel 1827 e nel 1830,
ovvero nelle tre edizioni della Enciclopedia delle scienze flosofche; Dieter Schwab
dirige la propria analisi sul destino del diritto naturale e dellidea di diritto nel
XX secolo, con particolare riferimento a Gierke, Radbruch e Stammler, mentre
Louis Pahlow concentra il proprio interesse sul rapporto tra diritto dellecono-
mia e flosofa del diritto, analizzando i teorici che di questa connessione han-
no fatto un nucleo decisivo di infussi reciproci (lasciato troppo spesso ai mar-
gini dalla relativa letteratura); dopo la prima guerra mondiale, infatti, le idee
giusflosofche hanno giocato un ruolo decisivo nella fondazione e legittimazio-
ne di uno specifco diritto delleconomia (si veda, tra gli altri, ancora Stammler
in Wirtschaft und Recht, e poi Goldschmidt, Hedemann, Sinzheimer, Westhoff,
Darmstaedter). In conclusione al volume posto un indice analitico, diviso per
anno, delle pubblicazioni di Klippel (1975-2012) curato da Martin Otto.
Federico Lijoi
GREGORIO, MASSIMILIANO, Parte totale. Le dottrine costituzionali del partito politico
in Italia tra Otto e Novecento, Milano, Giuffr, 2013, pp. 439 (Biblioteca per la sto-
ria del pensiero giuridico, n. 101).
Bel lavoro, questo di Gregorio, ma sopra tutto perch arriva in un momen-
to in cui il partito politico sembra essere un residuo del passato, liquefatto
309
Riferimenti bibliografci
nel presunto partito personale (che in realt un mero comitato di affari) o
in semplici comitati elettorali.
Eppure il partito non solo ha una sua storia complessa (in Europa in
generale come in Italia), ma il simbolo di un processo civile e politico che
quello della trasformazione dei sudditi in cittadini, un processo travagliato e
contrastato, perch la nozione di partito esprime anche la contraddizione fon-
damentale della politica moderna, che vuole essere al tempo stesso universa-
le e fondata sullindividuo e che si affda ad una parte (il partito, un tempo la
fazione) per realizzare progetti generali.
Parte totale dunque espressione adeguata alla problematica pi sot-
tile di una parte che si vuole tutto o vuole farsi tutto. In quanto tale, il parti-
to espressione del confitto sociale e quindi si comprende come esso sia sta-
to mal giudicato a partire dalla Rivoluzione francese. ma anche entro quel-
le dottrine che hanno mirato, attraverso il diritto, a fare delle istituzioni il
regno dellarmonia di contro al regno della disgregazione, rappresentato dal-
la societ. Cos Kelsen, ma anche, in Italia, come racconta Gregorio, la scuola
di Orlando, che col metodo giuridico voleva neutralizzare il confitto e imma-
ginava un partito in senso puramente liberale, cio parlamentare.
Gregorio ripercorre le vicende del partito nelle dottrine costituzionali
italiane dalla destra storica al secondo dopoguerra, partendo da una citazione
di Antonio Gramsci del 1921: Unassociazione pu essere chiamata partito
politico solo in quanto possiede una sua propria dottrina costituzionale, solo
in quanto riuscita a concretare e divulgare una sua propria nozione delli-
dea di stato. Esattamente il contrario di quanto ancora un Giolitti pensava
di poter fare, cio controllare il confitto sociale attraverso uno Stato neutrale,
proprio mentre le masse operaie premevano ai cancelli delle istituzioni e ci
sempre pi, proprio, attraverso il partito politico, non pi parlamentare, ma
di massa, la cui alterit rispetto alla forma ottocentesca di partito parlamenta-
re di notabili non fu subito clta (cfr. 60 ss.), anche se parti della scienza giu-
ridica, anche civilistica, si rendevano ormai conto del superamento dellindi-
vidualismo dei codici, inadeguato al pluralismo sociale crescente e al confitto
tra partiti oramai differenti. Con Santi Romano si riparte dalla giuridicit dei
fatti (71), ma, secondo la., senza sconvolgere il ragionamento orlandiano su
uno Stato emancipato dalla societ.
Solo dopo la guerra si rompe lantropologia individualista, che aveva
ispirato lEuropa dalla Rivoluzione francese in avanti, si riscopre il valore
della comunit e si alimenta una forte propensione allassociazionismo poli-
tico (79) e il partito, in particolare con Kelsen, diventa uno strumento per
la formazione (democratica) della volont politica, anzi lo strumento do-
ra innanzi indispensabile, fondato sullidea di compromesso. Con Weimar,
com noto, i partiti entrano, sia pure convulsamente, dentro lo Stato e ci in
quella forma di partiti di massa che mettono in crisi il partito dellra libera-
le. A Weimar il pluralismo dei partiti nuovi non regge, e come in Italia con
il fascismo, cos in Germania al partito della tradizione liberale segue il par-
tito unico, espressione patologica della concezione di parte totale. Alle
due esperienze Gregorio dedica molte pagine del suo libro, soffermandosi in
particolare, per la Germania, su Schmitt e mettendo in rilievo la differenza
310
Biblioteca
tra lo statualismo fascista e il movimentismo nazista, che fa s che lo Stato sia
solo uno strumento del partito e ci, aggiungiamo noi, perch il fondamen-
to sostanziale la razza, rispetto alla quale lo Stato viene ancora considerato
impotente per il suo originario formalismo. Cos come per il partito leninista
il fondamento la classe.
Come che sia, gli anni Trenta rappresentarono davvero un tornante fon-
damentale nella ricostruzione dellidea novecentesca di partito [quale] portato-
re di un nuovo principio di unit politica (216). Non possibile, qui, dar conto
di tutto il percorso di Gregorio, dalla ideazione da parte di Panunzio del sinta-
gma parte totale alle rifessioni di Chiarelli e Mortati, Crisafulli e Lavagna o
di un Esposito con lidea di nazione quale fondo comune di Stato e partito.
La terza parte si sofferma infne sul partito nella repubblica, unidea di
partito che riafferma le idee di pluralismo e di parlamentarismo e lo fa sul-
la base di un accordo preliminare a livello costituzionale sulle caratteristiche
del pluralismo sociale. Signifcativo che anche qui ritorni con forza il concetto
di parte totale, coniugato per in senso personalistico, per esempio in Laz-
zati (vicino a Dossetti), teso quindi a costruire un principio di unit politi-
ca (312), ma anche in altre culture politiche. Un progetto, tuttavia, quello di
parte totale, che mancher sempre pi col tempo la totalit, ovvero luni-
t politica, fno alla crisi della forma-partito, ovvero della politica, nella quale
ancora ci si dibatte e rispetto alla quale non si intravede la luce fuori del tun-
nel di una eterna transizione.
Agostino Carrino
HBERLE, PETER, Der kooperative Verfassungsstaat aus Kultur und als Kultur,
Berlin, Duncker & Humblot, 2013, pp. 816.
Tra i costituzionalisti tedeschi noti al pubblico italiano Peter Hberle
occupa un posto di rilievo. Non a caso il saggio di apertura di questo suo
nuovo volume loriginale tedesco di una voce pubblicata sullEnciclopedia
Treccani. I lavori qui raccolti, tuttavia, non aggiungono molto a quanto si sa
delle tesi di Hberle in materia di diritto costituzionale, tesi gi consegnate
in ponderosi libri precedenti, come, Verfassung als ffentlicher Proze. Materi-
alen zu einer Verfassungstheorie der offenen Gesellschaft (Berlin, Duncker & Hum-
blot, 1996, 878). Sia in quello, sia in questo fresco di stampa, si tratta di sillo-
gi di scritti di varia origine, sempre uniti dallidea di costituzione come pun-
to di precipitazione di problematiche, domande, bisogni propri di ogni socie-
t democratica; la costituzione rappresenta un processo pubblico ed aperto
perch (deve essere) aperta la societ e costituzione e societ si tengono in
una visione liberal-democratica focalizzata sul signifcato di cultura come
teatro di un pluralismo aperto. Le costituzioni sono per Hberle degli edif-
ci in costruzione; le modifche costituzionali appaiono proprio per questo la
via per garantire la continuit della costituzione nel tempo. Solo cos essa si
conserva come costituzione della libert, strumento di tolleranza in una socie-
t aperta e perci essa stessa la costituzione aperta alle altre scienze socia-
li. La stessa interpretazione costituzionale deve essere interna ad una societ
aperta degli interpreti costituzionali (Verf. als ffentl. Proze, 123).
311
Riferimenti bibliografci
Una societ pluralista, dunque. Da questo punto di vista Hberle si vuole
continuatore delle teorie di Fraenkel, Scheuner e altri giuristi tedeschi che han-
no lasciato importanti contributi in materia. Il fondamento epistemologico del
pluralismo visto da Hberle nella teoria di Popper: Il razionalismo critico
la pi convincente teoria scientifca del pluralismo, considerato che il contenu-
to del Grundgesetz (i suoi elementi strutturali pluralistici) e gli elementi teorici
del razionalismo critico sono congruenti (Verf. als ffentl. Proze, 144).
Ma cosa signifca societ aperta, costituzione aperta, se non che la
costituzione non pu essere data una volta per sempre, ma che interprete e
costituente devono alternarsi e che tra luno e laltro si d una parziale iden-
tit (Verf. als ffentl. Proze, 199)? La creazione di una costituzione (Verfas-
sungsgebung) non termina con lentrata in vigore di una concreta costituzio-
ne; essa un processo continuo, spesso inosservato, e irrinunciabile; ci nella
misura in cui linterpretazione (pluralistica) della costituzione un processo
creativo (ibidem). Societ e Stato non sono quindi per H. opposti, ma tra lu-
na e laltro si dnno, proprio grazie allevoluzione della costituzione, cana-
li di comunicazione e di trasmissione di informazioni: la costituzione lor-
dinamento giuridico fondamentale di Stato e societ (19). Il cittadino deve
conoscere la sua costituzione e questa deve a sua volta aprirsi ai cittadini
attraverso la comunit degli interpreti (che evidentemente non pu limitarsi
ai giudici, ma presuppone appunto, scrive H. in maniera per la verit cripti-
ca, una societ aperta di interpreti della costituzione: 263 ss.). La costituzio-
ne dunque contratto, ma non solo sociale, bens anche intergenerazionale
nel senso di limite alle capacit decisorie delle istituzioni e delle generazioni
del momento. In tal senso la costituzione per Hberle fenomeno culturale,
cio espressione nel tempo e nello spazio di una razionalit intrinseca allesse-
re dei popoli e delle nazioni, meglio: allumanit. I popoli sono infatti gran-
dezze culturali (41) e non elementi dello Stato la Jellinek. Hberle, in effetti,
si inscrive tra i teorici delle costituzioni che formano gli Stati, nel senso che lo
Stato si d solo nella costituzione, che dunque crea e mette in forma lo Stato
(45). In questo senso egli senzaltro da annoverare tra i teorici del neocosti-
tuzionalismo, che pretende di superare i concetti classici della scienza costitu-
zionale. Resta per dubbio come il popolo inteso in questo senso possa esse-
re integrato nel diritto.
Hberle sostiene che la sovranit morta e che si deve parlare di sovra-
nit della costituzione (Verf. als ffentl. Proze, 395). Personalmente, noi ci tro-
viamo sulla sponda opposta (cfr. A. CARRINO, La dottrina dello Stato e la sua crisi,
Modena, Mucchi, 2014; ID., Il problema della sovranit nellet della globalizzazio-
ne, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014), sia perch riteniamo che la sovrani-
t non sia morta n che lo sia lo Stato, sia perch per noi la costituzione una
forma che lo Stato d a se stesso. Tuttavia, quale che sia il rapporto tra Stato
e costituzione, Hberle sottolinea (in questo come in tutti gli altri suoi libri)
un punto interessante, che cio il moderno Stato costituzionale deve necessa-
riamente strutturarsi in senso federalistico (53 ss.). Cosa signifchi federalisti-
co e quale sia il rapporto tra federalismo e idea dei piccoli Stati deve essere
qui lasciato da parte, anche se il concetto appare pi esposto che argomenta-
to e giustifcato. Vi sono infatti in Hberle non pochi pregiudizi politico-flo-
312
Biblioteca
sofci che gli impediscono di problematizzare le sue tesi, di regola presenta-
te in maniera quasi apodittica: signifcativo, da questo punto di vista, proprio
il rifuto di Platone e di Hegel come autori totalitari (65). Non basta infat-
ti dichiarare che le identit sono plurali e a forma di mosaico per risolve-
re una questione quella dellidentit culturale, che a base del federalismo
che invece esige approfondimenti e rifessioni pi complesse, tanto pi che
proprio la comparazione, che H. invoca addirittura come metodo di interpre-
tazione, invita a rifettere sulle differenze concrete nello spazio e nel tempo,
non riconducibili ad un comune denominatore.
Il modello di Stato costituzionale cooperativo, entro il quale H. rac-
chiude i criteri della cultura e del federalismo, implica certo dinamicit ed
evolutivit in un quadro di giuridifcazione sovranazionale e universale, ma
anche in H. sembra perdersi del tutto come nei teorici dei diritti delluomo
prestatuali ogni dimensione pratica dellagire giuridico politicamente orien-
tato. Il concetto di cultura, quale impiegato da H., chiaramente un concet-
to impolitico, se non anti-politico. Non a caso il metodo espositivo di H. sem-
bra pi accumulativo che argomentativo, in una massa enorme di riferimen-
ti a testi di varia e composita origine, dove tra laltro, ad avviso di chi scrive,
si associano esperienze culturali eteroclite, dal Myanmar al Venezuela, dal
Sud-Africa alla Francia, al Messico. Il concetto di cultura di H. sembra infatti
un concetto funzionale alla cancellazione delle differenze, non uno strumen-
to empirico che si prende cura delle variet storiche e per lappunto culturali
tra i popoli, le loro istituzioni e i loro costumi. Cos il legislatore venezuelano,
pur autoritario e collettivista, si inserisce per H. passivamente e attivamente
() nella universale offcina dello Stato costituzionale (161).
Nellinsieme bisognerebbe chiedersi che senso ha parlare ancora di Sta-
to (costituzionale cooperativo) per un fenomeno che si oppone radicalmen-
te alla tradizione della statualit europea e occidentale, in defnitiva al jus
publicum europaeum, rispetto alla cui sostanza sono solo pallide evanescenze
le festivit per la costituzione che Hberle riassume con tanta enfasi (167 ss.).
Non poche perplessit suscita poi lidea che il fne dello Stato costituzionale
cooperativo sarebbe quello di far interiorizzare (351) i diritti delluomo ai
cittadini, quasi che si tratti di uno Stato etico rinnovato in senso democratico-
universalistico, per il quale gli esempi, un po alla rinfusa, sono la Spagna, il
Per e il Guatemala
Hberle ha una capacit pi unica che rara di padroneggiare i documenti
costituzionali dei paesi pi diversi, da quelli europei a quelli in via di sviluppo.
I testi costituzionali, scrive Hberle, sono testi di diritto positivo, ma essi rin-
viano a qualcosa di pi che questo, ad una realt effettiva che il testo pu indi-
care soltanto. La cultura tradizione, trasformazione, pluralismo, e una scien-
za della costituzione deve orientarsi in quanto scienza della cultura su questi
tre principi fondamentali. Ma veramente questo cultura? Non forse trop-
po indeterminata e generica una tale defnizione, che lascia in secondo piano
lelemento differenziante, per il quale soltanto la cultura ha senso, in quanto
solo essa consente, come categoria generale, di cogliere le culture storiche esi-
stenti nelle loro differenziazioni e specifcit? Che per H. cultura sia solo un
modo per delineare una prospettiva umanistico-universalistica tesa ad uno
313
Riferimenti bibliografci
Stato mondiale lo dimostrano i riferimenti che egli fa a J. Habermas (353) e alla
sua prospettiva di una cittadinanza mondiale (idea per la verit oggi dallo
stesso Habermas ridimensionata).
Proprio per questo la scienza delle costituzioni, per Hberle, prevale sul-
la classica dottrina dello Stato, la quale tra gli elementi dello Stato considera
imperio, territorio e popolo, ma non la costituzione, che dovrebbe se non altro
essere trattata come il quarto elemento dello Stato (per la verit, Hberle con-
sidera lo Stato moderno, liberal-democratico, ma ogni Stato una costituzio-
ne dal punto di vista storico-esistenziale).
Se volessimo ora domandarci in cosa concretizzare tutto il discorso di
Hberle, dovremmo dire che si tratta di una difesa del tema della dignit
delluomo (cfr. 333 ss.). Per questo occorre, dice Hberle, una teoria del bene
comune (cfr. 459 ss.) come parte integrante di ogni scienza delle costituzioni,
che giustifchi e legittimi uneconomia sociale di mercato. Appaiono per del
tutto estrinseci e vaghi i riferimenti aIle esperienze della Tailandia, del Niger
e dellUganda (473 ss.) messe insieme con le esperienze costituzionali dellEu-
ropa. Direi che luniversalismo culturale di H. prevale sulle culture particola-
ri, solo dalle quali ci si pu sollevare ad una visione dellumanit. Da questo
punto di vista, rintracciabile nel discorso di H. anche una evidente contrad-
dizione, in quanto il municipalismo da lui propugnato non si concilia pi di
tanto con questo culturalismo mondialistico.
Tra incursioni ed escursioni questo libro di non facile lettura rischia
di offrire allo studioso pi che una teoria del diritto costituzionale, o una dot-
trina della costituzione alternativa alle classiche dottrine dello Stato, una teo-
ria accumulativa e ripetitiva di tutto ci che empiricamente pu essere riassun-
to a livello di testi e di dottrine riferentesi alle costituzioni.
Agostino Carrino
KRONER, RICHARD, Von Kant bis Hegel, Tbingen, Mohr Siebeck, 2007, 2 Bnde,
pp. 612 e 526.
Gli studi hegeliani restano obbligati nei confronti di Richard Kroner
(1884-1974), il quale allinizio degli anni Venti diede grande impulso alla
rinascita hegeliana in Germania, partendo da posizioni neokantiane (era sta-
to allievo di Windelband e di Rickert). merito delle edizioni Mohr Siebeck
aver ristampato, in edizione anastatica, lopus magnum di Kroner, apparso in
due volumi nel 1921 e nel 1924, molto citato ma letto forse proprio solo dagli
specialisti di Hegel.
Si tratta, com noto, di una interpretazione in chiave irrazionalistica
del pensiero di Hegel ma, soprattutto, si tratta di un tentativo di dimostrare
come il passaggio da Kant a Hegel, attraverso Schelling e Fichte (al quale Kro-
ner dedica pagine magistrali), fosse un passaggio logicamente e oggettiva-
mente necessario. Per Kroner si danno nel pensiero di Kant una serie di con-
traddizioni che impongono una loro soluzione, specialmente per quanto con-
cerne il rapporto tra fenomeno e noumeno. Ma se Hegel per Kroner il punto
di arrivo necessario di un percorso intellettuale unico nella storia intellettuale
del mondo, Hegel non certo anchegli privo di contraddizioni, in particolare
314
Biblioteca
per quanto riguarda la sua ontoteologia, rispetto alla quale la dialettica hege-
liana resta, ad avviso di Kroner, impotente. Non a caso nelle sue opere succes-
sive di flosofa della religione, nellesilio americano, egli far riferimento ad
altri autori, in particolare Pascal e Kierkegaard, che a suo avviso vanno collo-
cati al di sopra, per molti aspetti, dello stesso Hegel.
Angelo Di Giovanni
LEISNER, WALTER, Institutionelle Evolution. Grundlinien einer Allgemeinen Staats-
lehre, Berlin, Duncker & Humblot, 2012, pp. 139.
In un tempo in cui non pochi, tra giuristi e politologi, parlano (a nostro
avviso a torto) di morte dello Stato (tema del resto ricorrente), va controcor-
rente questo libro di Walter Leisner, colto giurista attento ai presupposti sto-
rici dei concetti e quindi in grado anche di capire quali tra loro sono veramen-
te transitori o gi superati.
Leisner coglie il senso della Staatslehre, in quanto dottrina genera-
le, nella missione civilizzatrice della cultura occidentale, ci senza attribuir-
le, ovviamente, nessuna funzione missionaria. La flosofa greca e il dirit-
to romano sono le basi di una visione del mondo che continua a tuttoggi a
dare i suoi frutti, perch appunto imperituri. Lo stesso concetto di impero
appare come uno dei concetti fondamentali della dottrina dello Stato, essen-
do la vocazione imperiale (romana) la nostalgia sottile di ogni statualit, sen-
za anche qui attribuire al concetto nessun signifcato negativo. Holzwege (19),
sentieri interrotti, sono dunque quelli su cui si muove la dottrina dello Stato,
insieme con la sua faccia giuridica, che mette in forma la sostanza politica del-
lo Stato. Il jus publicum europaeum la forma che lo Stato nella sua dimensione
tipicamente moderna, appunto in quanto Stato, assume a partire da Machia-
velli in poi.
Si badi: ci che Leisner cerca nellantichit non certo lo stesso Stato
della modernit, bens quelle caratteristiche e quelle precondizioni che resta-
no valide a tuttoggi e che costruiscono lo Stato come ricerca sempre ancora
oggi incompiuta di quel modo di associarsi che forse potrebbe trovare nella
Roma di Augusto un modello insuperato. la politica per lappunto di Augu-
sto, con i suoi requisiti gravitas, severitas, auctoritas che da allora forse man-
ca (ma forse era essa stessa un tentativo, meno fallito di altri) e che luomo
moderno ha cercato. Forse la crisi della Staatslehre altro potrebbe non esse-
re che labdicazione a questa ricerca da parte delluomo doggi, dunque una
dichiarazione di naufragio.
Resta invece alluomo di cultura, qui al giurista, tener viva la nostalgia
di contro al naufragio predetto perfno da Carl Schmitt (o era forse unesor-
cizzazione?) e continuare a praticare la nobile scienza per quanto rischio-
sa del diritto, a dispetto di tutti i fallimenti e dello scadimento intellettuale
di cui pure oggi essa soffre.
Leisner, in questi lineamenti, ripercorre sinteticamete ma con effcacia
la storia della disciplina fno alla sua tecnicizzazione attraverso le costitu-
zioni e i testi giuridici codifcati, con la conseguente modifca del ruolo della
dottrina stessa, alla quale si associa ora anche una teoria che prende in con-
315
Riferimenti bibliografci
siderazione ci che vige, la prassi concreta quale delineata dalle costituzioni
moderne. Non a caso, nel XX secolo, specialmente in Germania, la dottrina
dello Stato rischia di confondersi con il diritto pubblico tout-court, alle prese
con i processi di democratizzazione in atto. Cos, la dottrina pura di Kelsen si
rivela come una legittimazione della nuova forma di Stato della democrazia
nella tecnica giuridica del normativismo (31), contro la quale si erge la dottri-
na dellintegrazione di Smend, che si spinge come dottrina dei valori da Wei-
mar fn dentro le discussioni odierne come Gegenpol del normativismo kel-
seniano.
La dottrina dello Stato stata una disciplina tendenzialmente multifor-
me. La tendenza attualmente vigente a trasformarla in una sorta di politologia
dimentica per alcune caratteristiche della disciplina che ne fanno un qualcosa
di imprescindible tuttoggi, come Leisner dimostra: la sua tendenza a comparare
gli ordinamenti giuridici e quindi ad impiegare strumenti tecnicamente raffna-
ti per la comprensione del diritto positivamente vigente e quindi a mettere alla
prova, criticamente, i fondamenti di legittimazione delle democrazie moderne.
La dottrina dello Stato non dunque trascendente alla realt, ma trascenden-
tale nel senso che elabora la realt giuridica data, nella sua storica evoluzione,
tenendo presente il passato e guardando al futuro. La dottrina dello Stato si fa
cos dottrina delle istituzioni giuridico-politiche studiate nella loro evoluzione.
Leisner dedica attenzione ai metodi, in particolare quello storico, indut-
tivo, analogico e principiale, senza indulgenze per concezioni moralizzanti
dello Stato e della democrazia.
Agostino Carrino
LEMKE, MATTHIAS (Hrsg.), Die gerechte Stadt. Politische Gestaltbarkeit verdichteter
Rume, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2012, pp. 208.
Lo Stato del XXI secolo si trova in un campo di tensione che vede con-
trapporsi sicurezza e libert, ordine e mutamento, autorit e democrazia. Si
trova cio in un dilemma, per cui, da un lato, le transazioni internazionali ne
riducono la sovranit verso lesterno, dallaltro lato, la proliferazione degli
interessi particolari ne circoscrivono la capacit di azione verso linterno. Lo-
biettivo della collana in cui il volume si inserisce (Staatsdiskurse) consiste pro-
prio nel monitorare levoluzione dello Stato e, pi concretamente, il suo rap-
porto con il diritto, la potenza e la politica. In tal senso quindi naturale che
sia in special modo la globalizzazione, con tutte le conseguenze che ne deri-
vano, a rappresentare uno dei fenomeni di maggiore importanza ai fni di
una disamina delle sempre nuove confgurazioni assunte dalle unit politi-
che nazionali. Incaricata di un compito cos ambizioso, la scienza giuridica,
in quanto Staatswissenschaft, non pu sottrarsi alla necessit di acquisire un
proflo integrato e multidisciplinare, in cui compaiano intrecciate prospettive
giuridiche, politiche, sociologiche e flosofche.
Scopo dei saggi qui raccolti quello di analizzare il rapporto tra la cit-
t, intesa come spazio denso e concentrato (globalizzato) di individualit e di
legami sociali, di confitto, lotta e confronto (si pensi alle metropoli urbane e
alle megalopoli), e laspirazione alla giustizia di cui si fa portatore il discor-
316
Biblioteca
so politico: Nel XXI secolo accanto allo Stato avanza di nuovo sempre di
pi la citt quale luogo del politico (19). In tal senso, dunque, il collegamen-
to tra politico e polis torna a divenire un nesso altamente signifcativo e la cit-
t, pertanto, non si trova al principio della politica soltanto dal punto di vista
puramente concettuale, bens rappresenta la problematica specifca, origina-
ria ed empiricamente esperibile per lapplicazione delle tecniche di sicurezza
e di dominio. Essa si rivela, come afferma il curatore del volume, il cataliz-
zatore del politico. Ma il politico anche, come notavamo sopra, aspirazio-
ne alla giustizia, costruzione della polis ideale, ovvero categoria normativa e
concretizzabile ad hoc del politico (Leitkategorie der Politik). Questa dunque la
domanda principale che si trova a fondamento dei contributi raccolti in que-
sto volume: Come possibile, sullo sfondo della pressione sempre crescente
esercitata dai problemi posti dalla citt, una politica giusta?.
I saggi sono divisi in tre gruppi: il primo si occupa di esporre i princi-
pi basilari e le prospettive storiche e flosofche concernenti il tema della cit-
t giusta. Il primo saggio, quello di M. Mhring-Hesse, tematizza il rappor-
to tra citt e giustizia, individuando i tipici meccanismi ingiusti di emar-
ginazione e disintegrazione sociale (che, come lA. nota con precisione, non
rimangono nellambito della citt ma hanno effetti e ripercussioni negative
anche sullintera nazione). D. Kuchler, invece, nel secondo contributo, rivolge
la sua attenzione analitica alla polis greca, dimostrando, con riferimento alla
Repubblica di Platone, come i rapporti vitali che generano integrazione sia-
no costitutivi per lo spazio politico della polis. Il richiamo ad Hanna Arendt e
alla sua lettura di Platone, infne, permette allAutore di chiarire che una cit-
t pu defnirsi giusta quando sia in grado di allestire un contesto per la
pluralit dei modelli di interazione e dei progetti di vita dei suoi abitanti. Per
F. Hausknotz la citt moderna invece un luogo di confitto in cui, di contro
allo sforzo platonico per lintegrazione e lunit, la giustizia diviene esperibile
nel contesto urbano post-moderno solamente quando lindividuo capace in
modo autonomo di creare una connessione con il suo spazio vitale.
Il secondo gruppo di saggi si concentra su alcune problematiche concre-
te, di tipo economico e sociale, che una politica urbana interessata alla giusti-
zia non pu non prendere in considerazione. Il saggio di A. Holm, per esem-
pio, si dedica alla spiegazione di come i processi di gentrifcazione di alcuni
quartieri, svolti allinsegna dellalleanza con il mercato, conducano non sol-
tanto allemarginazione sociale, ma anche alla spoliticizzazione dello spa-
zio urbano. I. Voelcker, invece, vede nella necessit di costruire infrastruttu-
re urbane adatte agli anziani e, ancora di pi, nella realizzazione di forme di
convivenza infragenerazionali, la condizione principale per uno spazio vitale
urbano giusto. Chiude questa seconda parte del volume il saggio di J. Lan-
fer, dedicato alle politiche urbane di sicurezza sempre dal punto di vista della
giustizia, ovvero in base al bisogno e alla partecipazione degli abitanti.
La terza parte del volume propone una diagnosi del presente in vista
dei possibili sviluppi della citt giusta, soprattutto in riferimento alle pratiche
che necessario porre in essere per assicurare una capacit di confgurazione
dinamica al tessuto urbano in vista delle esigenze sempre mutevoli dei suoi
abitanti. Entrambe le autrici, U. Altrock e Ch. Reicher, insistono sulla neces-
sit che tali strumenti di confgurazione siano allestiti mediante forme attive
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Riferimenti bibliografci
di partecipazione della societ. La citt, infatti, scrive Reicher, sempre un
accordo di interessi differenti, i quali devono essere determinati in primo luo-
go nellambito e con la partecipazione del contesto sociale.
Federico Lijoi
Pavnik, marijan, Auf dem Weg zum Ma des Rechts. Ausgewhlte Schriften zur
Rechtstheorie, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 2011, pp. 318.
Linteresse dei saggi raccolti in questo volume, risalenti a periodi dif-
ferenti dellattivit di studioso di Pavnik, professore di flosofa del diritto
nellUniversit di Lubiana, sta specialmente nel fatto di considerare il dirit-
to nella sua normativit (le norme giuridiche, contrariamente a quanto soste-
neva il nostro Rav, non sono norme tecniche), ma in una normativit non
formalistica e soprattutto non autoreferenziale: la norma giuridica pu essere
compresa solo nella sua relazione con il giudizio che la societ d della norma
in merito alla sua validit, la quale non pertanto mai solo astratta, ma sem-
pre richiama la concretezza dei rapporti sociali. Ci signifca che il diritto non
pu tutto e che la produzione normativa deve essere sempre storicamente e
socialmente condizionata (e quindi limitata). Contrariamente a quanto ritene-
va Kelsen, gli scopi, i fni e i valori sono ci che determinano la scelta di parti-
colari norme, il che consente che le norme tecniche entrino nel diritto senza
confondersi con la giuridicit intrinseca alle norme propriamente giuridiche.
Il diritto, pur nella multiformit delle norme che lo compongono, dun-
que un fenomeno eminentemente culturale. Come tale, esso storicamente
determinato e dipende dalle scelte ideali dei singoli e dei popoli. Ne consegue
che lo Stato di diritto non soltanto una forma di Stato, ma (Pavnik si richia-
ma spesso a Radbruch) la forma del livello culturale raggiunto dalla civilt
umana. Stato di diritto signifca in particolare divisione dei poteri e qui lA.
attribuisce particolare signifcato al ruolo del giudice, ma anche al Judicial self-
restraint (cfr. 373 s.), che signifca agire con moderazione. Evidentemente, in
Slovenia ancora non si alle prese con un certo super-attivismo della magi-
stratura e si pu ancora auspicare, ad esempio, che il giudice delle leggi pre-
sti attenzione alla teoria del diritto (cfr. 175 ss.), alla quale lA. dedica un dia-
logo con il giurista americano L.E. Wolcher (335 ss.). Chiude il libro un saggio
dedicato a Pitami, cui si aggiunge una interessante lettera di Pitami a Kelsen.
Agostino Carrino
VOSSKUHLE, ANDREAS / BUMKE, CHRISTIAN / MEINEL, FLORIAN (Hrsgg.), Ve-
rabschiedung und Wiederentdeckung des Staates im Spannungsfeld der Disziplinen,
Berlin, Duncker & Humblot, 2013, pp. 388.
Questo Quaderno 21 della rivista Der Staat raccoglie saggi in onore di
Gunnar Folke Schuppert, studioso dello Stato da lui inteso, come ricorda Oli-
ver Lepsius nel suo saggio, non come sostanza esistenziale ma come relazio-
ne normativa (41). Esso ha a che fare con una scienza del diritto orientata al
futuro e aperta tematicamente nella convinzione che lo Stato processo dina-
mico e in trasformazione. Come si vede, la scienza giuridica tedesca sta ritor-
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Biblioteca
nando con forza sullo Stato e sulla statualit, intesa per, appunto, come
concetto in trasformazione di una rinnovata scienza dello Stato, che ritorna
alla statualit dopo essersi incentrata sulla costituzione. Ma quale statuali-
t? Le posizioni di Schuppert partono, in verit, dalla preminenza data alla
governance e la statualit viene intesa da lui come subordinata al primato
della governance, tesi alla quale noi non aderiamo (cfr., tra gli altri, A. CARRI-
NO, La dottrina dello Stato e la sua crisi, Modena, Mucchi, 2014). Ci nonostante,
si tratta di argomentazioni signifcative se non altro perch rivelano come la
dottrina giuridica tedesca non riesca a fare a meno dello Stato anche quando,
di fatto, lo riduce ad un fantasma di meri rapporti giuridici astratti e formali.
Non si pu quindi dire che si ritorna dalla dottrina della costituzione
alla dottrina dello Stato, ma di fatto una qualche scienza dello Stato appa-
re comunque necessaria. Lepsius osserva che quella tedesca una via speciale
nella scienza giuridica, perch solo l si parla di Staatsrecht, mentre per esem-
pio in Italia si conosce come analogo solo il diritto pubblico. Non trovo del
tutto corretta questa tesi, perch il concetto di pubblico sempre stato inteso
da noi come diritto statale, nel senso che la res publica dei Romani lantesigna-
no, mutatis mutandis, dello Stato. N si pu pensare che un ritorno alla statua-
lit possa prescindere del tutto dal problema della defnizione ovvero del fon-
damento della decisione per concentrarsi sulle relazioni normative o le quali-
t del diritto quasi che tutto sia riconducibile al diritto. La giuridicizzazione
del mondo non signifca soltanto la fne dello Stato, ma la fne della politica.
La funzionalizzazione del diritto, ovvero la sua relativizzazione (rispetto alla
quale Kelsen resta un precursore) al fne di cogliere meglio le qualit del dirit-
to signifca in defnitiva perdere lo stesso oggetto diritto, perch la dinamica
giuridica continuo a pensare richiede un soggetto che mette in movimento
lordinamento giuridico e questo soggetto, essendo sempre un soggetto poli-
tico, pu servirsi dello Stato se vuole un ordine democratico, pu fare a meno
dello Stato se vuole assoggettare il mondo alla retorica dei diritti.
Manca una teoria della trasformazione, si sostiene, ma in realt, come giu-
stamente sottolinea Werner Jann (Bedeutung von Verwaltungen, Institutionen und
Institutionentheorie, 93 ss.), la scienza, troppo attenta alle trasformazioni del suo
oggetto, rischia di perdere loggetto. Governance un nuovo importante para-
digma di ricerca, ma esso non sostituisce in alcun modo linteresse centrale per
le amministrazioni e le istituzioni pubbliche, democraticamente legittimate e
controllate, scrive Jann (99). E cos il concetto di sovranit, che lidea di gover-
nance dovrebbe mettere radicalmente in crisi, ritorna in forme mutate, non pi
come gioco di dinastie n scontro di ideologie fnalizzate al controllo di un ter-
ritorio, ma, come idea regolativa, alla protezione delle proprie popolazioni.
Conclude Michael Zrn: La nuova sovranit considera lo Stato sempre pi
come uno strumento per assolvere altri valori. La nuova sovranit si distingue
certo molto nettamente dalla sovranit tradizionale, ma essa indica pur sempre
la stessa idea regolativa. La sovranit si unicamente trasformata (210). Cos
come vero che lo Stato ha perso il monopolio del politico (ma lo ha veramente
sempre avuto?), ma la sua qualit politica resta indispensabile, come Ulrich K.
Preu osserva, per la formazione del mondo globalizzato del 21. secolo (337).
Agostino Carrino

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